Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Etruschi, Dispense di Storia

Storia degli Etruschi

Tipologia: Dispense

2015/2016
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 22/03/2016

emmanuele.albi1
emmanuele.albi1 🇮🇹

4.3

(8)

23 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Etruschi e più Dispense in PDF di Storia solo su Docsity! Perché gli Etruschi sono un popolo misterioso? Noi siamo in grado di dare un profilo, anche se incerto nei particolari, della civiltà etrusca nel suo svolgimento; abbiamo una gran ricchezza di documenti sui costumi e la vita quotidiana di questo popolo, riprodotta specie nelle pitture funerarie con una esattezza ed una vivacità fotografica; conosciamo almeno l’essenziale della lingua, degli avvenimenti storici, degli ordinamenti politici, dell’organizzazione sociale, dell’arte e della vita economica. Quindi, nessun mistero avvolge la civiltà etrusca. Si tratta però di un popolo diverso dagli altri con cui è venuto e restato in contatto nella storia, Greci, Romani, Fenici; diverso perché isolato in tante manifestazioni della sua civiltà. Non tragga in inganno l’aspetto greco delle sue divinità; la religione etrusca appare in sostanza primitiva ed oscura. Un rapporto di apprensione vige tra uomini e dei; le divinità erano imprecisate nel numero, nel carattere, nella volontà, a differenza del pantheon della religione greca e di quella romana. Siamo perfettamente in grado di leggere e di comprendere la lingua etrusca, almeno nel significato essenziale; resta il fatto che la lingua etrusca, di fronte alla famiglia numerosa e ben ordinata delle lingue indoeuropee resta unica, isolata, di carattere arcaico, relitto di una famiglia linguistica per il resto totalmente scomparsa. Gli studiosi latini di grammatica conoscevano qualcosa della lingua etrusca: Varrone ci dà il significato di alcune parole, l’imperatore Claudio fu uno studioso di etruscologia; l’uno e l’altro si fondavano nei loro studi sui testi di “autori etruschi” che quindi erano in grado di comprendere e capire. Ai Romani dovette apparire ben strano il popolo etrusco, che già assoggettato da decenni manteneva in vita il nome e gli attributi di magistrature che già da secoli non avevano più senso; questo atteggiamento conservatore appare anche nella vita sociale degli etruschi. Nella storia di Roma e della Grecia lotte politiche e sociali si susseguono; la società etrusca, invece, ci appare immobile, congelata per sempre in un rapporto fra padroni e servi, fra aristocratici e popolo, creatosi sin dal VII secolo. La quiete è rotta solo dal passaggio dalla monarchia alla repubblica aristocratica, che è un fatto più apparente che sostanziale. Vediamo ora di approfondire i vari aspetti della vita, della cultura e degli usi di questo popolo, la cui storia è ancora parzialmente avvolta dal mistero. Il problema delle origini Da dove proviene il popolo etrusco? Già gli storici antichi non erano d’accordo: la notizia più autorevole ci viene da Erodoto: “Ai tempi del (re dei Lidi) Atys, figlio di Manes, sulla Lidia si abbatté una tremenda carestia…; e siccome al male non si poteva porre rimedio, il re, divisi i Lidi in due gruppi, fece decidere dal sorteggio quale dovesse restare e quale avrebbe abbandonato la patria; a capo di quelli destinati all’esilio avrebbe posto il figlio Tirreno. Questi ultimi, radunatisi a Smirne e costruita una flotta su cui caricarono tutti i loro oggetti di valore, partirono alla ricerca di un altro paese da abitare; dopo aver vagato attraverso molti popoli, giunti fra gli Umbri vi fondarono quelle città che ancora oggi abitano. Cambiarono il loro nome di Lidi con quello del principe che li aveva guidati, e si dissero Tirreni”. (Erodoto, Le Storie, I, 94) I Tirreni non sono altro che gli Etruschi, secondo il nome sempre conosciuto ed usato dai Greci. L’origine asiatica quindi entrò fra le notizie che gli storici antichi accettarono come sicure. Ma quattro secoli dopo Dionisio di Alicarnasso, nelle sue Antichità romane, dice che gli Etruschi non sarebbero venuti da fuori, ma originari del paese da loro abitato e che il loro nome non sarebbe stato quello di Tirreni ma di Rasenna: “Credo che i Tirreni non fossero neppure dei coloni Lidi; infatti non parlano la loro lingua né hanno conservato qualche altro segno dell’antica patria… Perciò mi sembra sia più vicino alla verità chi sostiene che questo popolo non è venuto di fuori, ma è indigeno. Può darsi che dai Greci siano stati chiamati Tirreni o perché abitavano in torri, o dal nome di un capo. Però il nome che essi stessi si danno è Rasenna, dal nome di un loro condottiero” (Dionisio di Alicarnasso, Antichità romane, I, 30) Dionisio era di certo ben informato, perché effettivamente le iscrizioni ci confermano il nome di Rasna o Rasenna. Gli storici moderni hanno ripreso la discussione tra queste due opinioni, aggiungendovene una terza: fondandosi sul fatto che la civiltà villanoviana del IX - VIII secolo è legata senza dubbio ad altre civiltà fiorite nell’Europa centrale, alcuni studiosi hanno supposto una provenienza degli Etruschi dal Nord. Nello stesso tempo l’ipotesi di Erodoto sembrava confermata dalla scoperta e dallo studio di una civiltà “orientalizzante” del VII secolo (mentre la migrazione di Tirreno e dei suoi compagni sarebbe avvenuta almeno mezzo millennio prima). Chi ha ragione e chi torto? E’ chiaro che l’errore non è nelle risposte ma è nella domanda formulata in modo non corretto. Non bisogna chiedersi da dove venga un popolo, ma come si sia formata la sua civiltà. Così noi ci dobbiamo porre il problema della “formazione” della civiltà etrusca come risultante di apporti derivati da popoli e civiltà diverse e successive, dalla penisola italica o esterne, definendone volta a volta i vari aspetti e potendo solo dopo dare un giudizio sul suo carattere, anche mettendo in evidenza gli scambi che vi furono certamente con altri popoli e civiltà che gli Etruschi conobbero. Il paese degli Etruschi Gli antichi storici greci e romani in parte, e in parte l’archeologia, ci dicono quale fosse la regione abitata dagli Etruschi. Da una parte gli antichi autori ci ricordano il nome ed i fatti di grandi e piccole città; ma di molte tra queste non era rimasto sui luoghi dove sorgevano neanche il ricordo del nome. Il borgo medievale sorto al posto della famosissima Tarquinia si chiamava Corneto, la notissima Veio si cercava a Civita Castellana. L’archeologia ci restituisce i resti materiali delle città etrusche e permette di ricollegare le rovine ad un nome. Così oggi conosciamo perfettamente quale fosse il luogo delle più grandi città etrusche: Veio, Cere, Tarquinia, Vetulonia, Populonia, Vulci. Altre città, specialmente quelle della zona interna settentrionale, non hanno subito interruzioni nella loro vita, e sono sopravvissute sul luogo che occupavano e col loro nome; sono quelle che hanno avuto una continuità in età romana: Chiusi, Cortona, Fiesole, Arezzo, Perugia, Volterra. Esse non sono mai morte perché divenute parte della civiltà romana, e con questa sopravvissute fino ai giorni nostri. Fra queste città etrusche bisogna comprendere Roma stessa che fu una città etrusca. 1) L’Etruria Meridionale dove si trovavano le più importanti città: Tarquinia, Caere, Vulci e Veio 2) L’Etruria Marittima costituita dai territori di Volterra, Roselle, Vetulonia e Populonia 3) L’Etruria interna con Chiusi, Volsinii, Perugia e Cortona Queste 12 città costituivano la dodecapoli (12 città o meglio 12 popoli) una lega religiosa che vedeva le 12 città-stato riunirsi una volta l’anno a Voltumna (non ancora ritrovato, probabilmente sul Lago di Bolsena), sede di un santuario sacro a tutti gli Etruschi, dove si svolgevano giochi e feste solenni e dove si prendevano, anche, decisioni politiche comuni. Queste tre regioni costituiscono l’Etruria propria; i “territori coloniali” sono: 4) L’Etruria campana dove sarebbe stata fondata un’altra dodecapoli della quale conosciamo le città di Capua, Pontecagnano, Paestum e Pompei 5) L’Etruria padana dove sarebbero state fondate altre 12 città delle quali conosciamo Felsina (Bologna), Modena, Spina, Marzabotto, Mantova, Melpum (Milano). La ricchissima Etruria attira artisti greci, che vengono qui a lavorare o a vendere i loro prodotti. Gli Etruschi furono il primo popolo del mondo ad essere attratti dalle opere dell’arte greca, ed in questo periodo i legami tra le due civiltà sono profondissimi. Nella seconda metà del sesto secolo le importazioni di oggetti artistici greci sono documento non solo della potenza finanziaria degli Etruschi, ma anche di una precisa scelta di civiltà. Gli Etruschi si orientano cioè verso le forme della civiltà greca. Essi furono favoriti dalla ricchezza, e quindi dal potere di acquisto, ma anche spinti da una sincera e appassionata ammirazione. L’arte etrusca, almeno tra VI e V secolo fu così profondamente imbevuta di insegnamenti greci da apparire partecipe attiva di quel mondo artistico. La scrittura Ecco un’iscrizione etrusca, graffita su un vaso: Si può osservare che le lettere sono aperte verso sinistra; quindi è molto probabile che l’iscrizione corra in questo senso. Molte lettere sono riconoscibili, perché simili o identiche a quelle dell’alfabeto usato da greci, latini e da noi. L’iscrizione recita più o meno così: “mi mulvanice Mamarce Velkanas”. Il significato è: mi ha dedicato Mamarce Velkanas (nome di chi ha dedicato il vaso a qualche divinità; si pensa che il vaso parli in prima persona). Sono stati ritrovati oggetti del VII secolo sui quali è riportato un alfabeto greco di 26 lettere: si assiste così al momento in cui gli Etruschi imparano a scrivere, e vogliono avere l’abbecedario sotto gli occhi su vasi, su tavolette. Non tutte le lettere erano utili: la lingua etrusca non possedeva i suoni b, d, g, kh, ks, e i relativi segni greci non furono mai utilizzati. Occorreva invece il suono f, che fu reso col segno 8. Se è facile decifrare un’iscrizione etrusca, non è altrettanto semplice interpretarla. Infatti l’etrusco non è parente di nessuna delle lingue indoeuropee (come l’italiano, il francese, lo spagnolo, il rumeno…); di conseguenza non è possibile confrontare l’ignota parola etrusca con parole greche o latine per poter conoscerne il significato. Vivendo per secoli a contatto le varie popolazioni si sono scambiate alcune parole con gli Etruschi; ma sono poche. Ci sono quelle che riconosciamo, poi gli scrittori latini ci hanno lasciato la traduzione di qualche termine. Infine possiamo cercare di comprendere il significato di una parola dal contesto e dalla sua posizione nella frase. Purtroppo gli Etruschi scrivevano poco, e solo testi funerari o religiosi; quindi i 9000 reperti con iscrizioni non sono molto utili poiché le scritte sono sempre epigrafi che utilizzano sempre le stesse parole. Ma alcuni documenti che differiscono da questo “genere letterario” sono stati rinvenuti. Ad esempio, da ricordare ci sono: la tegola di Santa Maria Capua Vetere, la quale in realtà è un calendario rituale, inciso su una lastra di terracotta, il cui testo presenta una scrittura continua, senza divisioni fra parole e sembra databile nel V secolo a.C.; un cippo rinvenuto presso Perugia che riporta una lunga iscrizione (45 righe); è la versione monumentale di un documento privato fra la famiglia dei Velthina e quella degli Afuna. le laminette auree del Santuario di Pyrgi (Santa Severa) su cui è riportata la dedica in etrusco e in fenicio di un’ara sacra a Uni (Giunone) da parte di Thefarie Velianas. il “Liber Linteus”, un manoscritto tagliato in strisce, era stato impiegato per avvolgere la mummia di una donna: il riutilizzo lo ha conservato. La mummia, acquistata da un collezionista, fu poi lasciata in eredità al Museo di Zagabria, dove è ancora conservata. Successivamente le bende vennero riaccostate e riconosciute come parti di un libro di lino scritto in etrusco. Il contenuto concerne testi e prescrizioni di carattere sacro redatte in forma di calendario; per il luogo della redazione si è pensato a Volterra, o a un’area situabile fra Perugia, Cortona e il Lago Trasimeno. Considerando quanto detto sopra non sarà sorprendente notare l’assenza di una letteratura degna di questo nome, con testi storici, scientifici, narrativi, drammatici. Gli autori greci e latini ci parlano di una letteratura etrusca composta di opere religiose riguardanti le arti divinatorie (Libri Haruspicini) e minuziose prescrizioni sui riti religiosi (Libri Rituales). Queste sono opere per noi tutte perdute eccetto il Liber Linteus Lamine di Pyrgi L’origine di questi libri era considerata antichissima, e la loro compilazione attribuita ad essere soprannaturali; sarebbero stati cioè dei libri di origine divina, rivelati. In realtà pare che solo in epoca tarda, corrispondente alla conquista romana e forse ancora posteriore, tutte le norme e consuetudini di epoche diverse siano state raccolte sistematicamente in opere generali, e talvolta tradotte in latino, passano così in parte nella tradizione religiosa romana. Ma la scrittura “non era uguale per tutti”: la diversità di grafia di alcune lettere permette di distinguere almeno due diverse aree di scrittura: una settentrionale ed una meridionale comprendente anche Volsinii e Vulci. Architettura e pittura funeraria Nel VI secolo i morti venivano deposti in vaste camere sotterranee, scavate nella roccia e sormontate da un enorme tumulo di terra. L’interno riproduce l’architettura della casa: nella roccia tufacea sono scolpite porte, finestre, travi del tetto, mobili, ornamenti, mentre i morti venivano distesi su banconi, lungo le pareti, con un grande corredo di vasi e di oggetti personali. Si diffonde anche l’uso di dipingere le pareti di queste camere; appaiono scene di vita reale, di caccia, di pesca, giochi sportivi, scene di banchetto con musica e danze, di vita familiare. Queste pitture hanno uno scopo magico-rituale: gli Etruschi credevano che l’uomo sopravvivesse alla morte, sia pure senza più corpo, ma con il suo nome, aspetto, carattere, dignità sociale e ricchezze, e quindi ponevano nella tomba tutto ciò che potesse assicurare allo spirito la continuazione della vita terrena, ricordandogliene la ricchezza ed i piaceri. Le pitture delle tombe non possono essere considerate semplici opere d’arte, ma veri e propri riti magici. Si tratta di scene che vogliono rappresentare un preciso episodio con i personaggi che effettivamente vi hanno preso parte. La rappresentazione del banchetto serve ad assicurare nutrimento allo spirito che ha sede nella tomba; i giochi funebri, atletici o teatrali, gli assicurano con la loro celebrazione, perennemente ricordata nel dipinto, il diritto a passare e risiedere nell’oltretomba. Le scene di caccia e di pesca, di vita pubblica o familiare, attorniano il morto, facendolo vivere nei luoghi a lui abituali, ricordandogli le persone care ed il suo prestigio sociale. Inoltre esse sono un prezioso documento per ricostruire gli aspetti della vita di ogni giorno, nelle ore più liete. Al pasto della numerosa famiglia assisteva uno stuolo di servi, giocolieri, attori, cuochi, ancelle; giovani e fanciulle curano e servono i padroni in ogni loro necessità, li rallegrano con la loro presenza. La musica del doppio flauto e della lira, il canto, danze lente e fluide o sfrenate esibizioni accompagnano ogni attività della vita, anche il lavoro nei campi. Gli abiti sono sontuosi, diversi secondo la condizione sociale e l’attività del momento, di svariati tessuti, leggeri o pesanti, i più lussuosi dipinti o ricamati. Giochi sportivi servono allo spettacolo in sé, ad accompagnare raduni politici o religiosi, e si celebrano durante i funerali. Dopo il IV secolo si trovano soggetti diversi e soprattutto una profonda modificazione degli scopi che la rappresentazione si proponeva. Le anime vivono nell’Ade, immaginato alla maniera greca come dimora sotterranea dei morti e degli dei infernali; esse vengono tormentate dalla presenza di esseri mostruosi, questi sconosciuti ai greci, come Tucul cha, mostro cornato di serpenti, dal becco di avvoltoio, che infliggono loro pene anche corporali, picchiandole con mazze. In questo ambiente di angoscia vivono le anime dei mortali, avvolte in nuvole nere che si sollevano dalla palude infernale. Accanto ad esse le anime di esseri famosi del mito e della leggenda greca, Teseo, Agamennone, Nestore, tutte figure che ci ricordano episodi di sangue e di guerre. Al mondo infernale presiedono gli dei degli Inferi, Ades e Persefone. Molto spesso la rappresentazione fantastica del viaggio agli Inferi, dove il morto appare su un carro accompagnato dai demoni infernali, si confonde con la rappresentazione realistica della vita e della dignità sociale dello stesso individuo. Charun, demone etrusco della morte La figura di Caronte, Charun presso gli Etruschi, compare sulle urne funerarie etrusche di età ellenistica, nella fattispecie in scene che rappresentano il passaggio all’Ade del cavaliere accompagnato dai demoni della morte. Le urne accomunate da questo soggetto sono le più antiche tra quelle che rappresentano il viaggio all’aldilà e si datano alla seconda metà del III secolo a.C. Nei rilievi delle stesse Charun è raffigurato con naso adunco, orecchie ferine e indossa corta tunica e alti calzari. In alcuni esemplari è alato e reca inciso su un’ala un occhio, chiaro segno apotropaico. I Se riflettiamo sulle lamine iscritte di Pyrgi, ne abbiamo la conferma: siamo di fronte ad un fenomeno di fusione tra le due civiltà per quello che riguarda la lingua e la religione. I Greci non rinunciavano a contrastare questo dominio: verso la metà del VI secolo tentarono di collegare la greca Marsiglia alle colonie della Magna Grecia, per creare una via marittima commerciale verso la Francia e di là verso l’Europa centrale. Etruschi e Cartaginesi nel 535 stroncarono questo tentativo riportando una vittoria navale presso Aleria (Corsica). Nonostante tutto, però, i rapporti tra Greci ed Etruschi continuavano, anzi andavano via via crescendo. Cominciano ora i rapporti di commercio con Atene, che esporta in Etruria la maggior parte dei vasi dipinti di sua fabbricazione. E’ questo il momento in cui troviamo nelle tombe etrusche le ceramiche a figure rosse. Immediatamente dopo, alla fine del VI secolo, alcuni avvenimenti, di cui abbiamo notizie fra storiche e leggendarie, segnano il declino del dominio territoriale etrusco nella regione campana, ed anche della loro potenza marittima. La leggenda ci dice che nel 509 i Romani avrebbero cacciato da Roma Tarquinio il superbo, e riconquistato l’indipendenza; essi si attribuiscono cioè il vanto di aver cacciato gli Etruschi dalla zona a sud del Tevere. Altre notizie, però, fanno intravedere un altro seguito dei fati, in cui i Romani avrebbero avuto ben poca parte. Il motivo è questo: sulle coste tirreniche c’erano delle città greche ed etrusche ricche e circondate da territori fertili ben coltivati. Le tribù indigene che abitavano gli Appennini trovano ora la capacità di premere se queste grandi città che rappresentano un’attrazione per il loro levato grado di civiltà e ricchezza. I Greci colgono l’occasione per allearsi con le popolazioni indigene contro gli Etruschi. Gli Etruschi, ormai soli, senza alcun alleato, persero il dominio sulla regione campana, a causa della sconfitta contro i Sanniti nel 423 a Capua. Decaderono così le antiche città della costa tirrenica, mentre acquisivano maggior forza quelle interne. I problemi dell’influenza etrusca nella valle padana sono ancora da chiarire: alcune città sono sicuramente di fondazione etrusca, come Misa (Marzabotto), mentre altre come Bologna esistevano già. Pare che non vi sia stata una vera e propria dominazione politica etrusca, né tanto meno un colonizzazione profonda nella valle del Po, ma che in questa zona gli Etruschi siano stati gli intermediari del commercio fra l’Europa e l’Italia peninsulare. L’egemonia etrusca sulla regione padana dura poco più di un secolo. All’inizio del IV secolo, infatti, orde di Galli scendono nella valle padana e, attraverso l’Etruria, arrivano a conquistare e devastare Roma nel 390. Da questo momento in poi gli Etruschi, ormai ridotti ai loro territori originari fra Arno e Tevere, vengono a trovarsi direttamente contro i Romani. Di fronte alle città etrusche, isolare fra loro e divise da rivalità, che tentano in modo improvvisato di unire le loro forze, c’è lo Stato Romano, con la sua solida organizzazione interna; così cadono Veio (396), Cere (353), Tarquinia (351). Le guerre puniche, l’invasione di Annibale, offrono l’occasione di isolate ribellioni; ma i Romani procedono inflessibilmente alla fondazione delle loro colonie e legano sempre più il territorio etrusco al loro Stato. Infine, dopo le guerre sociali, le città etrusche ricevono la cittadinanza romana e così i cittadini di questa nazione perdono anche il loro antico nome. La donna etrusca La “Cistellaria” è una commedia di Plauto, importante perché contiene una battuta assai significativa: il servo Lampadione riferendosi alla protagonista femminile, la bella Silenia, afferma di essersi adoperato in tutti i modi perché non fosse costretta “come le etrusche” a procacciarsi la dote vendendo il proprio corpo. Questo sembra riassumere in sé quel giudizio morale negativo che il mondo latino e greco ha sempre espresso sulla donna etrusca. Le donne etrusche, la cui libertà, l’ascendente politico, il ruolo non subordinato nel ruolo sociale erano esempi in negativo, modelli da rifiutare e da additare al pubblico disprezzo. Infatti per i romani, sono viste in sintonia con la complessiva immagine che gli autori latini e greci ci hanno tramandato degli etruschi: “diversi”, “gli altri”, in una parola “i nemici”. É da un’interpretazione errata di fonti come questa che, alla metà del secolo scorso, si propose addirittura l’idea di un vero e proprio matriarcato nell’Etruria arcaica. In realtà una “tirannide delle donne” non sembra stata mai possibile in Etruria dove, evidentemente, la notevole dimensione sociale di queste non è mai stata serenamente valutata dai moralisti di tutte le epoche. La grande autorità morale e l’ascendente politico delle donne etrusche è fuori da ogni discussione. La differenza in termini di dimensione sociale è evidentissima nel confronto con le donne greche chiuse nell’opprimente ambiente del gineceo o le matrone romane cui era destinato un ruolo subordinato legato essenzialmente alla cura dei figli e della casa. Il giudizio degli storici romani di fronte a tanta importanza e libertà fu notevolmente severo. Un esempio può essere un brano di Livio, istruttivo al riguardo: Trovatisi a festeggiare la vittoria presso Sesto Tarquinio, il discorso venne a cadere sulle loro mogli; accesasi una disputa Collatino disse che non c’era bisogno di tante parole perché la sua Lucrezia era migliore di tutte le altre. Decisero così di recarsi a casa di Collatino per cogliere la moglie di sorpresa, eccitati dal vino. Giuntivi verso l’imbrunire, non trovarono Lucrezia a spassarsela in sontuosi banchetti insieme alle compagne, ma seduta in mezzo all’atrio, benché fosse notte inoltrata, intenta alle sue lane. La vittoria in quella gara muliebre toccò a Lucrezia. Ivi Sesto Tarquinio è preso dal capriccio di far violenza a Lucrezia; lo invogliano non solo la sua bellezza, ma anche la sua specchiata onestà. L’aneddoto contrappone alla dissolutezza delle etrusche la virtù delle donne romane delle quali Lucrezia incarna il modello. Questo “racconto morale” divenuto quasi proverbiale nello stesso mondo antico ha, per Livio, il senso di un vero e proprio esempio che compendia la sua concezione moralistica della storia. L’archeologia è una fonte di straordinaria importanza per determinare il ruolo e la funzione della donna etrusca, specie tramite i materiali rinvenuti in sepolture femminili e le rappresentazioni figurate su vasi, pitture o sculture. É presumibilmente durante la fase cosiddetta “villanoviana” che riteniamo debba essersi codificato il ruolo della donna nella società etrusca: compartecipe a pieno titolo della vita comunitaria, ma fondamentalmente subalterna. Un indizio rivelatore dell’altissimo grado della dimensione della donna etrusca è costituito dall’onomastica. Lo studio dei nomi, è molto importante dal punto di vista sociale. Innanzitutto un elemento che emerge come fondamentale è il fatto che le donne etrusche avevano un prenome, ovvero un corrispondente del nostro nome personale. Nelle formule onomastiche latine i prenomi femminili sono tabù. In Etruria le donne aggiungevano il prenome anche il gentilizio, o nome di famiglia, una specie di nostro cognome. Questo rimaneva anche dopo il matrimonio. Addirittura gli uomini -caso veramente particolare per il mondo antico- aggiungevano nella formula onomastica che li designava, il matronimico, cioè il nome della madre, che seguiva, di norma, quello del padre. Conclusione Qual è stato il contributo degli Etruschi alla civiltà dell’uomo? Quali conoscenze e realizzazioni sono poi rimaste patrimonio delle civiltà successive? Anzitutto gli Etruschi furono il primo popolo della storia della penisola italica che ci appaia nella piena luce della storia. Essi costituiscono un punto di partenza, il più remoto per ora, nella ricostruzione delle vicende storiche di questo territorio. L’impero etrusco che si estendeva come penetrazione politica e commerciale, sia pure in forma e gradi diversi, dalla pianura padana a quella campana, fu la prima realtà politica della penisola italica, e il più ampio fenomeno unitario prima della conquista romana. Alcuni caratteri e realizzazioni della civiltà etrusca sono ancora un patrimonio vivo, come realtà o come esempio. L’impianto di oliveti e di vigneti a sostegno vivo (con viti cioè appoggiate a filari di piante viventi) caratterizza ancora il paesaggio toscano e padano, e l’economia agricola italiana. A queste colture si accompagnava una cura attenta per la sistemazione del terreno, attraverso lo scavo di canali e gallerie di scolo delle acque eccedenti, per combattere quella che per natura è, e per lunga imprevidenza rimane, una delle piaghe dell’Italia: essere soggetta a frane ed alluvioni. Il commercio marittimo e il dominio dei mari indicò per tempo una delle possibilità di sviluppo economico per i popoli abitanti il territorio italiano; quando Roma volle uscire dall’isolamento provinciale della sua politica ed inserirsi nella scena storica di tutto il Mediterraneo venendo a confronto con le potenze greca e cartaginese, dovette ricorrere all’esperienza marinara di tradizione etrusca. Ancora grande merito degli Etruschi fu di essere il primo popolo della penisola ad aprirsi alla civiltà greca, ridiffondendola fra i popoli con cui era in contatto. Fu una conoscenza parziale e non profonda quella che gli Etruschi seppero avere della civiltà ellenica; le manifestazioni di cultura etrusche sono incomplete, lacunose proprio nei campi essenziali del pensiero storico e filosofico, oltre che nella grande letteratura drammatica, lirica e narrativa. Ma l’essere stati mediatori sensibili, se non intelligenti, della civiltà greca e l’aver contribuito all’incivilimento dell’Europa con la fondazione di una vita cittadina resta forse il merito principale degli Etruschi. Si può aggiungere qualche parola sul contributo alla civiltà romana. Le origini di Roma furono quelle di una qualsiasi civiltà etrusca, e della civiltà etrusca Roma fece parte almeno fino agli inizi del V secolo; ciò permise a Roma di divenire una città a tutti gli effetti. Forse minore importanza hanno dei fatti che più spesso si sentono ricordare: l’adozione da parte dei Romani dei titoli e delle insegne di magistrature etrusche; il passaggio a Roma di insegnamenti e di forme religiose dall’Etruria. E’ avvenuto qui un fenomeno strano ma spiegabile. I Romani, volendosi gloriare di origini indipendenti, hanno cercato di nascondere nella leggenda quella antica fase etrusca della loro storia da cui tanto vantaggio avevano tratto, perché li aveva portati a far parte di una civiltà avanzata. Le istituzioni politiche etrusche, così presto sorpassate dalla storia, non avevano nulla da suggerire alla politica interna ed espansionistica romana, che noi sappiamo essere nuova e creatrice perché si trova ad agire in situazioni originali, per le quali nessun insegnamento di un passato remoto e diverso poteva essere utile. Così si dica per la religione romana, che ci appare nuova e diversa da ogni altra; è una religione essenzialmente politica, che tende a favorire l’assimilazione dei popoli nello Stato romano, e istituisce fra uomini e divinità un rapporto giuridico preciso, secondo leggi che da entrambe le parti devono essere ugualmente rispettate. Il fatto è che gli Etruschi, ormai sconfitti ed assorbiti, potevano liberamente essere citati senza pregiudicare l’orgoglio romano, specialmente nei campi dove gli Etruschi godevano di fama di antica divina saggezza: nella religione e nelle cerimonie rituali.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved