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Eugenio Montale: vita, poetica, descrizione di alcuni brani e opere, Appunti di Italiano

(ideale per la maturità) Descrizione di: I limoni, Non chiederci la parola, Meriggiare pallido e assorto, Non recidere forbice quel volto.

Tipologia: Appunti

2016/2017
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Anteprima parziale del testo

Scarica Eugenio Montale: vita, poetica, descrizione di alcuni brani e opere e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! EUGENIO MONTALE (1896-1981) Eugenio Montale nasce a Genova il 12 ottobre 1896. Frequenta le scuole tecniche, ottenendo nel 1915 il diploma di ragioniere. Prende, intanto, lezioni di canto, che interromperà alcuni anni più tardi, pur continuando tuttavia a nutrire una profonda passione per la musica. Dopo aver partecipato alla Prima guerra mondiale, frequenta, nella villa di Monterosso (La Spezia) la giovane Anna degli Uberti, che canterà nelle sue poesie con il nome di Annetta-Arletta. Nel 1985 egli scrive "Omaggio a Italo Svevo", un articolo apparso sull'"Esame" che segnala per la prima volta in Italia l'importanza dello scrittore triestino, fino ad allora da noi praticamente ignorato. Sempre nel 1925 esce la sua prima raccolta di versi, "Ossi di seppia"; nello stesso anno Montale firma il Manifesto degli intellettuali antifascisti redatto da Benedetto Croce. Dopo aver iniziato la collaborazione a "Solaria" ed essersi trasferito a Firenze, nel 1929 egli diventa direttore del Gabinetto letterario Vieusseux (come Leopardi). Negli anni successivi incontra Irma Brandeis, una giovane studiosa americana che diverrà la Clizia di alcune note poesie. Nel 1939 appare la sua seconda raccolta poetica, "Le occasioni", presso Einaudi, un altro editore di "opposizione". Avvia intanto intensa attività di traduttore in collaborazione con Bompiani, cosa che gli permetterà di aprirsi a esperienze extraitaliane. Dal 1939 vive con Drusilla Tanzi, che diventerà sua moglie sono nel '62 e verrà poi cantata in poesia con il nomignolo di Mosca. Nel 1956 esce la sua terza raccolta, "La bufera e altro". Dopo aver ospitato nella sua casa Umberto Saba e Carlo Levi, perseguitati per motivi razziali, fa parte del CLN toscano e si iscrive al Partito d'Azione. Nel dopoguerra inizia a Milano la sua definitiva attività di redattore presso il Corriere della Sera. Negli anni successivi usciranno altri volumi di articoli e saggi tra cui "Auto da fé", "Fuori di casa" e "Sulla poesia". Dopo un lungo silenzio, escono nel '71 presso Mondadori i versi di "Satura", a cui appartiene il conosciuto componimento "Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale". Nel 1975 Montale riceve il Premio Nobel per la letteratura, pronunciando, presso l'Accademia di Svezia, il discorso "É ancora possibile la poesia?". Muore, infine, a Milano, il 12 settembre 1981. “Ossi di seppia”: La prima raccolta poetica di Montale, Ossi di seppia, uscì nel 1925. Il libro è diviso in quattro sezioni: "Movimenti", "Ossi di seppia", "Mediterraneo", "Meriggi e ombre". Nella raccolta si possono cogliere i legami con il contesto culturale del tempo: filosoficamente, l'influenza del pessimismo di Schopenhauer, ravvisabile nell'idea che le realtà sensibili siano "parvenze" ingannevoli, e l'interesse per quelle correnti che ai primi del Novecento si opponevano al determinismo positivistico; letterariamente, è evidente l'influenza di Pascoli, in particolare per la scelta di trattare oggetti “poveri". Il titolo e il motivo dell’aridità Gli ossi di seppia sono i residui calcarei di quei molluschi che il mare deposita sulla riva. Alludono, quindi, a una condizione vitale impoverita, prosciugata, ridotta all'aridità minerale o quasi all'inconsistenza. Al tempo stesso gli ossi sottolineano una condizione della poesia che, in conseguenza di quell'impoverimento non può più attingere al sublime, ma deve ripiegare sulle realtà minime, marginali, sui detriti che la vita lascia dietro di sè. Un tema centrale che percorre il libro è quello dell'arsura, dell'aridità. Il paesaggio che si profila nei versi montaliniani è quello ligure, familiare al poeta, ma esso non è mai proposto nella sua realistica concretezza, s'innalza sempre a una dimensione metafisica. È un paesaggio arido e brullo, dissecato dell'aria salmastra e da un sole implacabile, che non è simbolo di pienezza vitale, ma rappresenta una forza quasi crudele che prosciuga einaridisce ogni forma di vita. Questa condizione esistenziale inaridita e impoverita, che imprigiona le creature umane senza possibilità di scampo, si proietta in un altro oggetto carico di significato, ricorrente negli Ossi, il muro: la "muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia". Questo allegorico muro è impossibile da valicare; l'uomo non è in grado di passare al di là di esso per attingere a una pienezza vitale, una verità ultima e certa. La prigionia nei limiti dell'esistente si manifesta soprattutto nell'eterno ritornare del tempo su se stesso, nel ripetersi monotono di gesti e azioni senza mutamento. L'uomo si illude di muoversi, ma in realtà il suo è un "immoto andare”. La crisi dell’identità, la memoria e l’”indifferenza”: L'anima non ha più una consistenza unitaria, coerente, si frantuma, diventa "informe". Montale tocca così uno dei grandi temi della letteratura novecentesca europea, la crisi del soggetto. Questa frantumazione del soggetto fa sì che esso si senta in totale disarmonia con il mondo esterno. Non vi può essere salvezza neppure nella memoria che, riportando in vita il passato, dovrebbe spezzare il ritorno ciclico del tempo su stesso in un eterno e angoscioso presente immobile: la memoria per Montale non è che un "morto viluppo". Nonostante ogni sforzo di recuperarlo e di salvarlo, "il passato si deforma, si fa vecchio, appartiene ad un altro." La condizione di "arsura" e di prosciugamento che coinvolge tutto il reale si riflette sulla dimensione psicologica del poeta: l'aridità esterna di viene anche inaridimento interiore che fa sì che tutto gli sia indifferente. Solo in questa indifferenza si può trovare una forma di salvezza dal male di vivere che affligge tutti gli esseri, non solo quelli animati ma anche quelli inanimati (il "rivo strozzato che gorgoglia"). Il poeta come alternativa può solo proporre un atteggiamento di stoico distacco. Dietro questo pessimismo assoluto è possibile scorgere la lezione di Leopardi, non solo nell'idea di una sofferenza cosmica ma anche nell'atteggiamento, che era proprio del poeta recanatese, di ferma e consapevole accettazione di essa. Il “varco”: Il poeta si protende a cercare un varco che consenta di uscire dalla prigionia esistenziale, "una maglia rotta nella rete che ci stringe", "l'anello che non tiene". Questo varco, tuttavia, non si apre e, anche se si aprisse, si tratterebbe per il poeta di un'esperienza totalmente negativa, ossia la percezione improvvisa e traumatica del nulla che si cela dietro l'apparenza ingannevole delle cose. È tuttavia significativa la poesia che chiude la raccolta, "Riviere". Nonostante la desolata consapevolezza raggiunta, si impone tenacemente una speranza: gli "Ossi" si chiudono con un auspicio, che un giorno la sua anima non sia più divisa, possa rifiorire nel sole che investe le riviere. La poetica: A differenza della linea simbolista, che arriva fino a Ungaretti, Montale non può più avere fiducia nella parola poetica come formula magica capace di arrivare all'essenza profonda della realtà ("Non domandarci la formula che mondi possa aprirti"), che sappia dare un ordine al caos dell'anima divisa e informe. La poesia può solo offrire ormai definizioni in negativo, ossia chiarire "ciò che non siamo, ciò che non vogliamo". Montale non ricorre al linguaggio analogico, prediligendo una poetica degli oggetti: essi vengono citati nella poesia come equivalenti di concetti astratti o della condizione interiore del soggetto. Ad esempio, la definizione del "male di vivere" è presentata non in forma direttamente concettuale ma come un incontro realmente accaduto lungo il cammino della vita. Questo incontro serve per trasferire e identificare uno stato d'animo, una condizione esistenziale in alcune presenze concrete. Se, quindi, l'analogia simbolista giocava sul piano dell'irrazionale, la poetica degli oggetti di Montale tende invece a un rapporto razionale col mondo, fonde poesia e pensiero. È una poetica che presenta convergenze significative con quella del "correlativo oggettivo" elaborato da Eliot. Il correlativo oggettivo è infatti una parola che stabilisce un rapporto o una relazione tra un oggetto e un concetto più ampio: l'oggetto diventa rappresentativo di una dimensione altra, correlazionandosi infatti con essa. Gli oggetti a cui il poeta sceglie di fare riferimento sono sempre umili, dimessi, prosaici. Montale dichiara di non amare la poesia aulica della tradizione italiana e i "poeti laureati" che cantano solo realtà nobili e sublimi. Egli predilige realtà povere, impoetiche, coerenti con la sua visione desolata del mondo. poetica e della poesia montaliane agì sicuramente il trasferimento del poeta a Firenze nel 1927 e il suo inserimento nel gruppo degli intellettuali che facevano capo alla rivista "Solaria". Le posizioni che caratterizzavano questo contesto culturale erano ispirate a un culto umanistico della letteratura, vista con estremo baluardo dei valori più alti della civiltà contro l'avanzare della barbarie (le prime manifestazioni di una società di massa, l'opprimente dittatura fascista e l'addensarsi delle prospettive di guerra). Ne derivava una concezione elitaria della cultura e degli intellettuali, una tendenza a isolarsi dal contesto sociale per preservare incontaminata la purezza dei valori e la dignità dell'uomo di lettere. La donna salvifica: A partire dalle "Occasioni" si viene a creare un'immagine sublimata di donna- angelo, di nuova Beatrice dotata di virtù miracolose, l'intelligenza e la chiaroveggenza, capaci di indicare una via di salvezza dall'inferno quotidiano. La nuova figura di Beatrice costituisce, quindi, un'alternativa all'esistenza. Da un lato vi è una condizione esistenziale imprigionata nel fluire sempre uguale del tempo, che ritorna ciclicamente ci sono spesso, in una quotidianità opaca e frustrante (l'imminenza della guerra, la massificazione della vita); dall'altro si presenta, per contro, l'attesa dell'epifania luminosa della donna-angelo, che può indicare una via di salvezza dando un senso e un valore al reale. Non recidere forbice quel volto (1937): La poesia fu scritta nel novembre 1937 e fa parte della sezione intitolata "Mottetti". Il mottetto è un'antica forma musicale francese, polifonica e di carattere sacco. Nella poesia italiana invece è un componimento di pochi versi, che comprende una sentenza o un proverbio. Il poeta prega una forbice di risparmiare un volto amato, che dai recessi della memoria è tornato per un istante a invadere, grande e nitido, il suo pensiero: è un viso in ascolto, sollecito, attento. Invece tutto nuovamente si annebbia con fulminea violenza. L'immagine consueta della nebbia, per indicare lo svanire dei ricordi, contrasta con il nitore degli atti, che li cancellano con colpi netti e decisi, simboleggiando le crudeli necessità della vita che operano con tagli secchi e impietosi nelle speranze dell'esistenza. Alla forbice corrisponde, nella seconda strofa, il duro colpo dell'accetta, che amputa la cima dell'acacia. L'altezza dell'albero rende più miserevole la caduta, nella "belletta" (termine dantesco che indica la fanghiglia, la melma) del guscio di cicala, scheletro di un insetto che aveva trascorso sull'albero la bella stagione. È il corrispettivo dell'indifeso e misero ricordo, il cui venir meno è accompagnato da un brivido di morte: "Un freddo cala..." Il poeta sceglie di esprimere una situazione interiore attraverso gli oggetti, ovvero descrive cose e azioni concrete per suggerire il sentimento di angoscia che si prova nel perdere anche il ricordo di una persona amata. Centrale in questa rappresentazione è la forbice, un oggetto temibile che incombe minaccioso, pronto a tagliare. Nella seconda strofa un'altra lama colpisce, forse un'accetta; l'acacia viene "ferita", subisce una perdita violenta come la memoria che si "sfolla" della prima strofa. Il parallelismo tra la prima e la seconda strofa è confermato anche delle parole "nebbia" e "belletta", che esprimono attraverso elementi del paesaggio l'idea della perdita della memoria e del conseguente smarrimento del poeta. Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale (1971) Dedicati alla moglie morta (Drusilla Tanzi, chiamata da Montale "Mosca"), i versi rievocano gli anni trascorsi dal poeta al suo fianco. Il tema della poesia è l'amore coniugale, descritto nel suo ordinario procedere, nella sua continuità temporale: la vita accanto alla moglie può essere ripensata come una scala percorsa in discesa, gradino dopo gradino, fino alla vecchiaia e alla morte. Nonostante il viaggio compiuto insieme sia stato lungo (l'espressione "almeno un milione di scale" allude infatti a un percorso costante e duraturo), esso tuttavia appare troppo breve, ora che si è concluso e che il poeta deve continuare da solo. Egli confessa la propria estraneità e impotenza di fronte alle incombenze quotidiane, ai fastidi, alle insidie che pure gli altri (coloro che non si pongono troppe domande sul senso dell'esistenza) sperimentano ogni giorno. In questa realtà quotidiana Mosca sapeva invece orientarsi, il suo sguardo era l'unico capace di vedere davvero; senza i suoi occhi il poeta è incapace di procedere nel proprio cammino e ne percepisce "il vuoto ad ogni gradino". Parlando delle pupille "tanto offuscate" della moglie, il poeta allude in modo affettuoso alla sua pronunciata miopia, che la costringeva a portare occhiali molto spessi. È proprio questo difetto della vista a suggerire il paradosso che è al centro del componimento: benché priva della nitidezza dello sguardo, Mosca è provvista di una ben più profonda capacità di distinguere nella vita l'essenziale, ha la virtù della saggezza e sa muoversi tra i problemi di ogni giorno e sa affrontarli senza incertezze.
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