Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Europa e Stati Uniti dopo la guerra Fredda, Dispense di Storia Contemporanea

Giuseppe Mammarella, l'ultimo quarto di secolo ha visto la scena mondiale percorsa da vicende fra le piu intense e drammatiche della seconda guerra mondiale.

Tipologia: Dispense

2018/2019

Caricato il 04/12/2019

alicezanre
alicezanre 🇮🇹

4.4

(86)

35 documenti

1 / 38

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Europa e Stati Uniti dopo la guerra Fredda e più Dispense in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! EUROPA E STATI UNITI DOPO LA GUERRA FREDDA GIUSEPPE MAMMARELA Capitolo 1. All’indomani della guerra fredda. Mettiamo in luce le differenze tra USA e Europa. fine della gf= USA e Europa escono molto diversi rispetto a quando erano entrati. Gli USA avevano combattuto più intensamente degli europei per i quali questa guerra sembrava essere stata una crociata, dove oltre alle motivazioni politiche ed ideologiche s’erano aggiunte anche quelle religiose e morali. Esempio: Reagan che definisce l’URRS l’impero del male. L’Europa invece con l’inizio del disgelo e la scomparsa di Stalin si era “abituata” alla presenza del comunismo anche rappresentato nei partiti comunisti nazionali e si era adattata ad una visione che tentava di risolvere i conflitti usando la diplomazia piuttosto che le armi. L’obbiettivo dei governi gollisti era di creare appunto un accordo con la Russia per smorzare la tensione. La Francia era uscita dalla NATO e conduceva una politica a tutto campo molto spesso alternativa a quella americana. L’Italia aveva il partito comunista più importante in Europa e si muoveva verso un compromesso storico mentre la Germania cercava di avere un atteggiamento più soft nei confronti dell’URRS varando l’Ostpolitik e instaurando negli anni 70\80 rapporti economici con l’est tra cui quello dei gasdotti che ancora oggi lega l’Europa al gas russo. Fin dall’inizio del conflitto, gli Usa si erano impegnati sul piano militare, raccogliendo qualche vittoria ma anche sconfitte. La guerra in corea finiva con un compromesso, quella in Vietnam una sconfitta che portò anche a una crisi nella società americana, nel’83 ci fu il ritiro frettoloso dal Libano della VI flotta di Marines, arrivata insieme agli italiani e ai francesi per riportare la pace nel paese. Intanto l’Europa aveva concluso la propria stagione militare con la crisi di Suez e la guerra in Algeria. Con la costruzione della NATO gli USA accusano l’Europa di sfruttare “l’ombrello americano” senza però condividere i costi e le esperienze della guerra fredda. l’Europa realizzare la sua ricostruzione come grande potenza con una spesa militare contenuta. Lo sforzo militare delle due potenze fece crollare l’URRS ma indebolì anche l’economia americana: lo spostamento di questa da una manifatturiera a una di servizi e tecnologie grazie ai bisogni di una società “tecnocratica” sarà anche il frutto di quegli sforzi di ricerca che vennero messi a punto durante le ricerche sulla tecnologia militare. Gli Usa comunque erano diventati una superpotenza militare in tempo di pace e questo minò alcuni dei suoi principi come il pacifismo e l’isolazionismo che vennero rimpiazzati da interventismo e un nuovo nazionalismo che solleciterà un sostegno popolare per le forze armate. Mentre la società americana si impoverisce e con la rivoluzione reaganiana si creano nuove disuguaglianze e nuove povertà, l’Europa comincia a costruire un generoso welfare e irrobustisce la propria finanza. Negli USA l’esasperazione dell’individualismo e l’indebolimento dello stato e i suoi organi, dopo la nascita del neoconservatorismo, porta in vantaggio i vertici della piramide sociale mentre gli altri rimangono svantaggiati e i più poveri perdono protezione → la società dei privati cresce e travolge gli argini della speculazione che viola le regole del libero mercato. La nascita del pericolo terrorista porta a una radicalizzazione dei rapporti umani e anche a nuove leggi che creano restrizioni alle libertà degli individui. In Europa invece si assumono nuovi obblighi nei confronti dei cittadini e la società diventa più articolata, inoltre l’eredita del socialismo, vista come male in America, viene accettata in Europa (i programmi molto spesso di origine socialista, ovvero proposte riformatrici, che vengono adottate dai governi e accettate anche dalle destre); in Europa c’è anche un sentimento positivo nei confronti del futuro. Negli USA si è invece pessimisti e ci sono nuovi storici che preannunciano nuove sfide in arrivo ( Samuel Huntington annuncia lo scontro la tra la civiltà islamica e quella occidentale, scontro delle civiltà). Gli USA quindi cominciano a tenere un atteggiamento di unilateralismo politico e interventismo che che accredita il furto imperiale, nato dall’orgoglio della vittoria della guerra fredda e vanta una superiorità tecnologica. L’Europa invece porta valori di pace e vuole un progresso economico comune e infatti si apre anche ai paesi ex comunisti → sarà così che Europa geografica e politica coincideranno quasi totalmente (Nel 1994 la cooperazione arriverà anche alla Russia di Gorbacev e di Eltsin, si stipulerà un accordo di partnership e cooperazione). Dopo la fase di forre convergenza del dopoguerra gli affari europei hanno perso importanza nell’economia globale americana mentre l’America per l’Europa ha cessato di essere un modello. Gli USA però non vogliono dare troppa indipendenza all’Europa, opponendosi alla creazione di una forza armata indipendente dalla NATO, inoltre ci saranno una serie di “chiamata alle armi” dei paesi europei che accresceranno la loro dipendenza da Washington. Per esempio la Guerra del Golfo per frenare l’espansionismo di Saddam Hussein e altri: l’Europa seguirà gli USA nella lotta contro il terrorismo ma non ne condividerà urgenze e strategie. Durante i due mandati Bush verrà allargato il gap tra gli obbiettivi degli USA e quelli dell’Europa fino a provocare una rottura tra vecchia e nuova Europa. C’è una crisi anche tra Francia e Germania che si schiereranno al fianco della Russia nell’ONU per bloccare l’azione americana in Iraq. Il disastro dell’Iraq, e la crisi del 2008 portano alla Casa Bianca Obama, un uomo nuovo ma che è schiacciato ancora dalle istituzioni del passato, dalla ritiro in Iraq, dalla crisi e dalla guerra in Afghanistan che non può essere vinta. Non si dimentichi inoltre la vera sfida per l’occidente che è rappresentata da i paesi in via di sviluppo e poveri che fa si che si siano moltiplicati gli attori della politica mondiale: i paesi del G8 (ovvero quello dei paesi + industrializzati che ormai appare stanco e senza una politica rilevante) vengono soppiantati da i G14, il G20. Capitolo 2. La guerra del Golfo: un’occasione perduta 1. Da Desert Shield a Desert Storm La guerra del golfo(1990-91) è stata una guerra che è stata frutto di calcoli sbagliati. Prima di tutto del Kuwait che non si aspettava che un paese fratello che era stato aiutato dal Kuwait stesso durante la guerra contro l’Iran, ovvero l’Iraq l’avrebbe attaccato militarmente. Inoltre Saddam Hussein pensò male quando credette di colpire il Kuwait senza la reazione dei paesi vicini e degli USA. Anche gli americani sbagliarono quando pensarono che Saddam sarebbe stato liquidato dopo la sconfitta in più ci fu la distrazione del dipartimento di stato americano che non seppe interpretare i numerosi segnali dell’aggressione dell’Iraq nei confronti del Kuwait, già abbastanza chiari nel febbraio 1990. Saddam rivendicava al Kuwait fatti che risalivano al 1960 ovvero quando l’Iraq si rifiutò di ratificare gli accordi di frontiera con il Kuwait stipulati nel 1961 che furono poi contestati con la rivendicazione delle due isole Bubiyan e Warba che controllavano l’accesso al Golfo. Durante la guerra contro l’Iran(1980-88), il Kuwait aveva aiutato finanziariamente l’Iraq, perchè temeva la vittoria dell’Iran khomeinista. L’Iraq, prima e dopo la guerra, premeva per aver ed esso voleva una parte del prodotto del campo petrolifero della Rumalia (che dal Kuwait arrivava al territorio iracheno). Saddam voleva convincere la dinastia regnante, i Sabath, a cedere i territori rivendicati dall’Iraq per allargare l’accesso alle acque del Golfo. Saddam contava sulla debolezza politica del Kuwait, su 2 milioni, il 17% aveva diritto di cittadinanza, inoltre la dinastia Sabath non godeva di buona considerazione nel mondo arabo, noti per le stravaganze nelle capitali europee. Non ottenendo nulla passa alle minacce e parallelamente a una campagna antiamericana e anti-israeliana, passata inosservata a Washington. Saddam accusa il Kuwait di un eccesso di produzione sulle quote assegnate dall’OPEC (fondata nel 60) che aveva creato molte perdita all’Iraq e aveva depresso il prezzo del petrolio. Il 17 luglio avanza quello che sembra un ultimatum: una richiesta di risarcimento per 27 miliardi di dollari insieme all’accusa di voler distruggere l’economia irachena. Suscitò l’intervento di mediazione soprattutto dell’Egitto di Mubarak che dichiarò poi di aver ricevuto da Saddam la promessa che non sarebbe arrivato alle armi. L’OPEC il 27 luglio andò parzialmente incontro a Saddam alzando il prezzo del barile a 21 dollari (prima era a 19) non abbastanza per l’Iraq. Fino a qui Saddam sembrava avere l’appoggio della maggior parte dei paesi arabi, sembrava incomprensibile la resistenza del Kuwait. Il 25 luglio ci fu un colloquio tra Saddam e l’ambasciatrice americana April Glaspie. Qui Saddam non nascondeva le sue intenzioni di attaccare se non avesse ricevuto ciò che voleva per via diplomatiche, la Glaspie rispose con frasi di circostanza e invitò Saddam a parlare alla tv americana per far comprendere a tutti le sue ragioni. Saddam forse intese questo colloquio come dichiarazione di neutralità degli USA. Anche 2 mesi prima un senatore americano Metzenbaum disse dopo un incontro con Saddam che dopo piano per la riunificazione, Gorbacev fu d’accordo per l’entrata nella NATO a condizione che gli effettivi militari fossero diminuiti. I membri della CE chiesero al governo tedesco la rinuncia al marco per realizzare la moneta comune (sarà varata nel 1992 a Maastricht) mentre l’URSS chiedere un prestito di 5miliardi di marchi e concessioni finanziarie per il fallimento della perestrojka. L’unificazione delle due Germanie era la fine di un’epoca ma anche il proseguo della collaborazione tra USA e URRS che stava diventando una “genuine entente” e che si sarebbe trasformata in una “quasi alliance”. La genuine entente venne rafforzata dal personale rapporto tra Bush e Gorbaciov ma si interrompe alla fine degli anni novanta dopo un inizio amichevole tra Clinton e Eltsin, il rapporto poi riprenderà tra Bush figlio e Putin anche se con alti e bassi. 2. Gli anni di Eltsin Gorbacev cadde per due motivi: - il fallimento della Perestrojka; perché le riforme sono timide e non incidono sulle strutture dell’economia socialista e inoltre il tentativo di conciliare le leggi di mercato con imprese ancora del tutto statalizzate era una rincorsa di due obbiettivi che andavano in due parti opposte. Quando nel 1988 si fa la legge sulle cooperative per privatizzare le aziende sarà troppo tardi. Gorbacev rimaneva legato all a proprietà collettiva e per rimodernizzare il paese voleva introdurre misure di concorrenza e leggi sul mercato senza intaccare il vecchio stato socialista. - Gorbacev stava smantellando l’impero senza costruire alla Russia un ruolo adeguato il suo status di superpotenza nel mondo democratico: la Russia si trovava isolata e senza la “cintura di sicurezza”. Mentre la popolarità di Gorbacev saliva in Occidente (espressione di una politica liberale e democratica), accresceva la sua impopolarità in Russia dove iniziava ad emergere la figura di Boris Eltsin, più vicino alla sensibilità russa. Già nel 1987 prendeva le distanze da Gorbacev, nel 1990 dava le dimissioni dal PCUS e veniva eletto presidente del Soviet Supremo della Repubblica Russa. Nel 1991, mentre Gorbacev blocca le tendenze indipendentiste baltiche, vola a Tallin e per conto della Repubblica Russa e firma un trattato che riconosce l’indipendenza delle 3 repubbliche baltiche. Si dissocia ancora di più dalle politiche conservatrici di Gorbacev (spostatosi in tentativo di salvarsi) e il 12 giugno è eletto Presidente della Repubblica Russa. Nel 1991 ci fu un tentativo di colpo di stato da parte dei conservatori ma fu Eltsin a chiamare il popolo nelle piazze per combattere per la difesa delle liberà conquistate. Eltsin quindi appare come colui che aveva garantito la continuità della democratizzazione. Il golpe falliva e Gorbacev si dimette. Gli USA e alleati riconoscono Eltsin come nuovo leader e a dicembre l’Unione delle Repubbliche Socialiste e Sovietiche termina di esistere e si instaura un organismo di nome Comunità degli Stati Indipendenti (CIS) in cui la repubblica russa è il più grande per popolazione e territorio. Wolfowitz, futuro viceministro della difesa Bush figlio, dirà che ora la Russia necessitava di crediti e di tecnologie e di esser accolta in quella famiglia delle nazioni occidentali; degli analisti della Rand Corporation invece diranno che la politica occidentale sarebbe dovuta rimanere attenta alle esigenze di sicurezza della Russia e non bisognava isolarla perché sennò si sarebbe data l’impressione di una cortina di ferro che tornava a crearsi. All’inizio Clinton terrà rapporti amichevoli con Eltsin ma poi la situazione si raffredderà.Dei deputati in minoranza si oppongono alle riforme di privatizzazione di Eltsin, il quale il 21 settembre con poteri speciali scioglie il Parlamento e indice nuove elezioni. c’è uno scontro tra conservatori, nazionalisti e Eltsin. A ottobre il presidente del Soviet Supremo Chasbulatov accusa Eltsin di aver violato la costituzione e ne proclama la decadenza e la sostituzione con il vicepresidente Rutkoij. Eltsin però ha l’aiuto dell’esercito e del ministero degli Interni i carri armati prendono a cannonate la Casa Bianca che è la sede del parlamento e Casbulatov e Rutskoij si arrendono. Si forma quindi un nuovo parlamento con un risultato deludente dei riformisti e migliore per i comunisti e facevano emergere un partito nuovo di ultranazionalisti, quello di Zhirinovski dei liberal democratici. Un referendum popolare che approva la nuova costituzione e che da poteri a Eltsin come arbitro del governo, dei ministri e anche a volte della vita del parlamento. Eltsin però era stato aiutato a vincere dai militari e adesso ne era diventato l’ostaggio. Questi influenzano molto la politica estera: si irrigidisce nei confronti dell’occidente, si rinnova l’appoggio della Russia alla Serbia per la questione bosniaca e si tende a riaccorpare intorno a Mosca i membri della Federazione. Verrà dato aiuto alla Georgia di Shevardnadze contro i ribelli di Gamsakhurdia, intervento in Moldavia in contrasto con l’Ucraina per il controllo della flotta del mar Nero e la sua base in Crimea: questo fa si che la Russia riprenda il controllo di 11 paesi su 15 ex repubbliche sovietiche appartenenti al CIS. Dicembre 1994, Eltsin ordina l’invasione della Cecenia che aveva dichiarato la sua indipendenza già nel 1991 ma Eltsin la rivoleva nella Federazione. Le truppe russe mal equipaggiati e poco motivate si trovarono in difficoltà davanti alla strategia di guerra Cecena ma dopo con l’occupazione di Grozny e l’uccisione di Dudaev (il presidente della repubblica secessionista), l’esercito riprese in mano l’iniziativa. Tuttavia con la mobilitazione dell’opinione pubblica internazionale fortemente contro questa guerra, furono create le condizioni per un cessate il fuoco e un accordo di pace che concedeva alla Cecenia una parziale autonomia → ciò veniva raggiunto grazie alla mediazione del generale Lebed che fu considerato il potenziale concorrente di Eltsin. 3. Il declino di Eltsin Le cannonate contro il parlamento e l’attacco della Cecenia certo non avevano fatto bene all’immagine della Russia e a quella di Eltsin. Nel 1994 anche i rapporti con Clinton erano cambiati poiché i due rami del congresso dominati da repubblicani e conservatori come Gingrich e Armey non erano disposti a dar credito a un ex comunista e Clinton doveva adeguarsi visto anche gli scandali e le pressioni del partito. Sul territorio balcanico, teatro di nuovi conflitti, le posizioni russe e americane non combaciavano. Altre voci invece, come quella di Matlock, un ex ambasciatore americano a Mosca, diceva con un saggio sul “Foreign Affairs” che bisognava dar tempo al paese e che un totale cambiamento della politica russa era improbabile però diceva anche che se fosse stato eletto un comunista la Russia si sarebbe dovuta spettare le peggiori conseguenze. La Russia nel frattempo si irrigidiva per l’impressione di essere tagliata fuori dalle organizzazioni di sicurezza europee. L’espansione della NATO verso est poteva esser ritardata fino a quando non ci fosse stato un modo per integrare la Russia in una struttura di sicurezza europea. Eltsin aveva già dal febbraio 1996 annunciato la sua volontà di ricandidarsi anche se le sue possibilità sembravano scarse e veniva dato per favorito il leader comunista Zjuganov. Alle elezioni del 1996, appoggiato a una campagna elettorale travolgente che fu anche supportata finanziariamente dall’America, Eltsin rovesciava le previsioni iniziali. Proponeva un programma che prevedeva l’abbandono di riforme popolari, aumento spesa sociale, fine guerra in cecenia e pagamento di stipendi e pensioni.Questo secondo mandato però fu ancora più rovinoso del primo. Eltsin fece una serie di riforme che volevano preparare la Russia ad entrare nel sistema economico occidentale e quindi cominciò con una serie di liberalizzazioni secondo uno schema concordato con alcuni economisti di Harvard che insieme al primo ministro russo Gajdar: liberalizzazioni del commercio estero, prezzi moneta, veniva aumentato il costo del denaro, aboliti sussidi ad industrie e aumentate le tasse. Questa politica riduceva le già basse qualità della vita dei cittadini, molte industrie chiusero e ci fu disoccupazione. Ci fu la crescita dell’inflazione dovuta alla politica creditizia della Banca centrale che concesse denaro facilmente per sostenere le privatizzazioni. Queste in una prima fase erano favorite dalla distribuzione di speciali certificati per l’acquisto di azioni delle industrie di stato con l’obiettivo di creare un azionariato popolare, operazione che però fallì in quanto gli intermediari di gruppi privati rilevavano i certificati pagandoli in contanti ai cittadini. Ci fu poi una seconda fase di privatizzazione: con Cubajs, vendette a una classe di manager i pezzi più pregiati dell’industria statale grazie a prestiti bancari a basso tasse di interesse. Il governo poteva così pagare stipendi e pensioni arretrati e grazie alle privatizzazioni si creavano grosse porzioni di potere industriale e finanziario che costituiva una vera e propria oligarchia (i manager di prima) che faranno i propri interessi e quelli dei vertici non pensando alla nazione. Questo sistema inoltre favoriva corruzioni e atti criminali. Il governo era povero e inflazionato e cercava sempre liquidità e non trovandola ricorreva a prestiti dal Fondo monetario internazionale o di banche private, specialmente tedesche: il prelievo dava solo respiro breve e non cambiava le cause della penuria di denaro. Nel 1998 l’economia stava solo peggiorando e allora si susseguirono un certo numero di uomini ai vertici: Cernomyrdin dal 1992 al 1998 (piu lungo), Kirienko nel 1998 poi Primakov, nel 1999 Stepashin e nel 1999 Vladimir Putin, uomo della svolta scelto da Eltsin. Un terzo mandato era escluso dalla costituzione e inoltre Eltsin aveva un consenso stimato al 2%. La guerra in Cecenia e la crisi del Kosovo e i progetti americani di allargamento dei confini della NATO ai paesi ex comunisti avevano creato degli attriti tra USA e Russia. Finisce quindi l’epoca della genuine entente e anche la fase fallimentare della Russia post comunista. Eltsin si dimise per questioni di salute e fino alle elezioni del 2000 ci fu Putin al comando, con il quale, insieme alla nuova classe politica avevano un progetto ben preciso: restaurare il potere statale contro gli oligarchi e riportare la Russia la potenza che era un tempo. L’occidente e soprattutto la Thatcher e Bush avevano fatto poco per la Russia, solo l’Europa e generalmente la Germania si era impegnata per preparare ‘integrazione dei paesi ex comunisti in quella che sarà l’Unione Europea. Capitolo 4. La nato dopo la guerra fredda 1. Gli interventi “out of area” Dopo la caduta del muro si credeva che un’alleanza militare creata all’inizio della guerra fredda non avesse più ragione di esistere e invece ci si accorse che la fine della guerra fredda non avrebbe posto fine ai conflitti e non avrebbe creato un periodo d’oro di pace e per questo, con la guerra del Golfo, con la guerra in Cecenia e con la disgregazione della Jugoslavia, si comprese che la NATO era essenziale per la sicurezza. La conservazione della NATO era voluta dagli USA, che volevano mantenere le basi in Europa per esercitare il controllo politico nell’area mediterranea e mediorientale (sempre su impronta egemonica) in più contribuiva l’impreparazione europea per una eventuale creazione di un organo che avrebbe sostituito la protezione americana. Infine c’erano ancora interessi locali e nazionali attorno alla presenza americana nei vari paesi ospitanti e le realtà storiche e ideologiche alla base dell’alleanza atlantica. A Londra nel 1990 e a Roma nel 1991 vennero però decisi alcuni cambiamenti di strategia: si passava a una strategia non più statica a concentrazione in Europa centrale ma orientata a sud e più flessibile e dinamica con la creazione di unità di impiego rapido (ARRC= allied rapid reaction corps). Erano cambiamenti tecnici che però non cambiarono nulla sul piano politico (comando generale sotto americani). L’occasione per gli europei di vere maggiore responsabilità andava perduta. Gli alleati accettarono l’allargamento dell’area territoriale dell’azione della NATO in contraddizione palese con l’articolo 6 del Trattato di Washington sottoscritto nel 1946. Si rendevano così possibili interventi “out of area” ovvero fuori dai paesi membri in Europa e USA. A Roma questa decisione provocò delle perplessità soprattutto alla Germania la cui Costituzione impediva l’impiego di truppe tedesche fuori dal territorio nazionale ma alla fine l’”out of area” si impose, i governi europei avevano sottoscritto un silenzio-assenso e le opinioni pubbliche ignoravano le dimensioni delle conseguenze politiche di questo nuovo impegno (alla guerra del golfo la NATO non partecipa ufficialmente, anche se i membri entrano nella coalizione; nella guerra in Jugoslavia favorirà una prima partecipazione; la guerra del Kosovo vedrà una dichiarata partecipazione della NATO). Un’altra cosa importante fu l’aumento dei paesi membri all’interno della NATO. Nel 1990 entrò la Germania orientale dopo un accordo tra Kohl e Bush che venne chiamato “due + quattro” dal numero dei contraenti (ovvero le 2 Germanie + le 4 potenze vincitrici della guerra mondiale). Nel 1994 x volontà degli USA inizia un processo di riavvicinamento e cooperazione con i paesi ex dominio russo voluta dalla destra repubblicana. Nasce il “Contract with america” documento preparato dai già citati Gingrich e Armey che appunto si riferiva all’allargamento della NATO sotto il regime autoritario di Slobodan Milosevic e voleva la creazione di una Grande Serbia che aveva l’appoggio dell’esercito federale già jugoslavo ma a maggioranza serba. Il conflitto tra serbi e croati nel 1993 si espanse anche al territorio bosniaco, principale campo di battaglia dello scontro tra croati e musulmani e poi tra croati e musulmani contro i serbi. La città di Sarajevo dal 92 al 96 diventa un obbiettivo dei serbi che proprio sul territorio bosniaco avevano costruito una enclave: la Repubblica serba di Bosnia (Srpska) che aveva come presidente Karadzic e Pale come capitale provvisoria. Durante questi 4 anni di assedio Sarajevo è stata protagonista di uccisioni, stupri di massa, espulsione della popolazione dai luoghi di residenza, pulizie etniche e creazione di campi di concentramento e nel luglio del 1995 il massacro di 8000 musulmani bosniaci per mano del generale Mladic, elementi che determinarono una reazione internazionale. L’Europa aveva seguito la vicenda fin dall’inizio e cercò di contrastarla con molteplici iniziative a scarso successo: nel 1991 era stato inviato un gruppo di osservatori a monitorare la situazione, che tentò una mediazione con una conferenza di pace all’Aia sotto la direzione di Carrington (ex ministro esteri britannico), ma così come le sanzioni economiche alla Serbia, ebbero scarso effetto. Così si fece appello all’ONU e il Consiglio di sicurezza: nel 1991 adottava la risoluzione 713 che confermava ed estendeva l’embargo di armi ed equipaggiamenti militari a tutti gli stati in conflitto. (in più il segretario generale dell’ONU, De Cuellar, nominava suo rappresentante personale l’americano Vance che fece la spola tra i governi delle repubbliche cercando di far accettare il cessate il fuoco, che veniva mantenuto per pochi giorni/ore). L’ONU inoltre inviò un corpo di caschi blu, Unprofor (United Nation Protection Force) incaricato di far rispettare i cessate il fuoco che aumentò da 14 mila a 38 mila uomini nel 1994. e nel 94 Cercò inoltre di mantenere aperto l’aeroporto di Sarajevo che era l’unico collegamento tra la città bosniaca e il mondo. Comincia nel frattempo una serie di proposte per cercare di risolvere la questione: 1) nel 1993 Vance e l’inglese Owen, a rappresentanza dell’UE, propongono un piano di divisione della Bosnia in 10 cantoni autonomi con un governo centrale che però avrebbe dovuto occuparsi solo della politica estera. Questo venne accettato dalla Serbia ma non dai serbi della Repubblica di Pale, che avevano conquistato il 70% della Bosnia, mentre il piano Vance-Owen avrebbe concesso solo il 43%. 2) il leader croato Tudjman e il serbo Milosevic presentano un piano di divisione della Bosnia in 3 repubbliche. Questo non va bene ai musulmani perchè temevano una divisone del paese tra serbi e croati. 3) nel 1994 un altro piano viene proposto da un gruppo di contatto formato da USA, Francia, Germania, Gran Bretagna e Russia: assegnazione del 51% del territorio a una federazione croato-musulmana che si era formata nel 94 + il 49% ai serbi bosniaci. Quest’ultimi respingono il piano. Il negoziato viene interrotto con l’offensiva dell’aviazione della Nato l’iniziativa diretta americana. 2. Interviene la NATO Clinton stava seguendo la faccenda dall’America ma era restio ad entrare nel conflitto anche se tutti affermavano che soltanto gli USA avrebbero potuto risollevare le sorti. Clinton era molto cauto poiché aveva ereditato da Bush padre la Restore Hope, ovvero l’intervento con obbiettivi umanitari nella Somalia in preda all’anarchia. Inizia nel 1992 con lo sbarco a Mogadiscio di 18 mila Marines e nel 1993 con il placet delle Nazioni Unite, Unosom, che finì in tragedia con l’uccisione di 18 militari americani trascinati per le strade e vennero ripresi dalla TV il che produsse un forte shock nella popolazione americana che ora appunto non avrebbe gradito un’entrata in guerra in un conflitto che riguardava l’Europa e quindi che generalmente non aveva nulla a che fare con gli USA. La vicenda Jugoslava però aveva messo in luce come l’Europa non riuscisse a venirne fuori da sola e quindi quanto realmente fosse debole, così come alcuni governi (quello tedesco, che contribuì a far precipitare la situazione con l’affrettato riconoscimento dell’indipendenza slovena e croata). Clinton alla fine decise di intervenire perché: 1) temeva per il futuro della NATO; se il conflitto si fosse esteso a Sud sarebbe arrivato fino alla Macedonia, che nel 1991 si era staccata pacificamente dalla Jugoslavia ma che era anche il conflitto con la Grecia poiché la denominazione “macedonia” sembrava porre un’ipoteca sull’omonima provincia greca, il che avrebbe potuto provocare casini nella NATO. 2) l’Albania mirava alla liberazione della provincia serba del Kosovo e quindi c’era il pericolo che la guerra si estendesse e si cronicizzasse venendo a creare una situazione di tipo Vietnamita in senso europeo che non poteva non preoccupare gli USA. 3) l’intervento della NATO in un’area che era al di fuori dei confini previsti dall’art. 6 del Patto Atlantico che avrebbe vincolato i membri dell’alleanza a future operazioni out of area. Nel 1993 sembrò che l’intervento degli USA fosse imminente e questo incoraggiò i musulmani bosniaci ad opporsi ai piani di divisione del paese sperando che gli USA avrebbero ristabilito lo status quo. Nel 1993 Clinton si limitò a dare migliori armamenti ai musulmani e decise un ricorso ad attacchi aerei della NATO contro i serbi situati in Bosnia, prima sulle postazioni serbo- bosniache intorno a Sarajevo poi su Pale. I bombardamenti su Pale faranno catturare da parte dei serbo-bosniaci ben 350 caschi blu, al fine di scoraggiare future incursioni. I governi di Francia e Inghilterra allora inviano una forza di rapido impiego per difendere i caschi blu francesi e inglesi. Si liberano poi gli ostaggi grazie all’intervento di Milosevic che ormai non puntava più all’obbiettivo della Grande Serbia ma solo al raggiungimento della pace. L’ultimo atto è rappresentato dalla diplomazia americana il cui principale attore sarà Richard Holbrooke, funzionario del dipartimento di stato che dal 1995 iniziò una serie di trattative che si concluderanno alla Conferenza di Dayton, Ohio. L’approdo a un accordo ormai era maturo anche perché mancavano le ragioni stesse che avevano fatto iniziare il conflitto: i croati grazie anche agli USA si erano ripresi la Krajina, i musulmani bosniaci che erano alleati croati si resero conto che non avevano alternative alla divisione del territorio, Milosevic si era convertito. Così il 21 novembre 1995 si raggiunse l’accordo: la Slovenia orientale era restituita ai croati e venne tolto l’embargo alla Serbia. La Bosnia rimase unita con un governo centrale, un parlamento e la capitale Sarajevo ma era divisa in 2 entità ovvero la Federazione croato-musulmana che aveva il 51% del territorio e la Repubblica serbo-croata (Srpska) che aveva il 49%. Alle famiglie veniva concesso di ritornare ai propri paesi di origine e alle loro case, simbolicamente, viste le distruzioni. Per far si che la pace fosse mantenuta e che non ci fossero stati altri sconti la NATO mantenne una forza, l’IFOR (implementation force), dopo un anno di vita diventa SFOR (stabilization force) e nel 2004 viene sostituito da una missione dell’unione europea EUFOR (european force). Alla fine l’America uscirà con prestigio da questa guerra. La Russia di Eltsin invece, nonostante fosse amica della Serbia e le avesse promesso aiuti, rimase ai margini, mancando di risorse. Anche per questo Milosevic rinuncerà alla sua politica espansionistica. L’ EU usciva molto male e dimostrava la mancanza di una linea comune e l’impossibilità di risolvere un problema autenticamente europeo con le sue forze la legava ancor di più agli Usa. Fu la prima volta inoltre che la NATO si era trovata in una azione militare. 3. La guerra per il Kosovo La crisi del Kosovo scoppiò nel 1999 a seguito della disintegrazione della Jugoslavia. Il Kosovo era una regione della Serbia dal 1919 e abitato per il 90% da albanesi; questo faceva si che i nazionalisti di Tirana ne facessero l’obbiettivo di una “grande Albania”. Esso però era anche la culla e il cuore storico e religioso dei serbi e per questo per loro la sua indipendenza non era pensabile. Tito aveva dato autonomia al Kosovo che aveva parlamento, governo, una lega comunista e una bandiera e lingua ufficiale, l’albanese. Dopo la morte di Tito e dopo che Milosevic, in nome del nazionalismo serbo, abolisce lo statuto speciale del Kosovo (1989), il movimento indipendentista kosovaro si divide in 2 correnti, una moderata la Lega democratica del Kosovo (ldk) guidata da Rugova che arriva a proclamare una repubblica nel 1990 e ad indire elezioni (non riconosciute dalla comunità internazionale) e quella militare organizzata attorno al UCK, l’esercito di liberazione del Kosovo, guidato da Demaci. La guerriglia e il terrorismo del UCK venivano fronteggiate dai Serbi che intervenivano con l’esercito e le milizie popolari, provocando un conflitto aperto. Fu così che intervennero ONU, OSCE e UE ma la mediazione tentata da Felipe Gonzales non ebbe successo. Anche Holbrooke prova a iniziare un dialogo tra Milosevic e Rugova, ma sulla base di due principi cari ai serbi e agli organismi internazionali: gli albanesi kosovari dovevano rinunciare all’indipendenza e mantenere le richieste sul piano dell’autonomia mentre i serbi dovevano concederla e rinunciare ad azioni di forza, pena sanzioni. Un primo accordo si raggiunge il 13 ottobre 1998: la Serbia accetta di ritirare le truppe da Kosovo facendo rientrare la popolazione nelle case. Questo segnava la prima fase della conclusione del conflitto. La seconda fase poco dopo: le truppe serbe rientrarono nel Kosovo, uccidendo 51 persone nel villaggio di Racak. Si riprendono i tentativi di pacificazione da parte del gruppo d contatto il 6 febbraio 1999 a Rambouillet, in Francia. Il documento garantiva piena autonomia ma non l’indipendenza del Kosovo. Inizialmente l’UCK voleva respingerlo, ma sotto pressione degli americani lo accettò. Inoltre il segretario di stato Madeleine Albright mandò una lettera al rappresentante dell’UCK Thaci: parlava di convocare una conferenza internazionale per finire una soluzione definitiva in base alla volontà popolare, lasciando trasparire l’indipendenza, si sarebbe potuto fare un referendum popolare chiedendo l’indipendenza. La cosa era in aperta contraddizione col trattato stesso che indicava solo l’AUTONOMIA. Inoltre un’appendice del trattato dava alle forze della Nato la facoltà di occupare il territorio serbo per transitare. Questo era inaccettabile per la Serbia. Kissinger affermò che il trattato era una provocazione e serviva come scusa per bombardare la Serbia, già in programma da mesi. Il ricorso alle armi era stato reso inevitabile dall’intransigenza dell’Albright che voleva sostenere i movimenti indipendentisti delle minoranze in funzione anti russa e anti cinese (infatti la Cina aveva problemi simili a quelli del Kosovo in Tibet e nello Xinjang con la minoranza aigura). Questa presa di posizione favorevole all’Uck isolava l’ala moderatrice di Rugova. La maggioranza dei governi europei accettava l’ormai inevitabile ricorso alle armi mentre alcune forze della sinistra europea giudicavano eccessive le pressioni alla Serbia anche quando Milosevic aveva dichiarato la volontà di trovare un accordo per la pace. Il governo americano era diviso in due: coloro che vedevano la crisi del Kosovo meramente europea e quelli favorevoli al conflitto per la caduta di Milosevic e la creazione di una base Nato nei Balcani. Gli ultimi, chiamati anche “falchi”, approfittarono della difficoltà di Clinton (caso Lewinski). Il 24 marzo iniziò la guerra aerea contro la Serbia da parte della Nato, senza pronunciamenti da parte dell’ONU, in quanto Russia e Cina avrebbero messo il veto. 4. La partecipazione dell’Italia In Italia in governo d’Alema, già prima di Rambouillet, aveva confermato alla NATO il conferimento di 50 aerei da combattimento e anche la partecipazione dell’Italia alla costituzione di un gruppo di invasione di terra. C’è chi dice che il governo D’Alema, succeduto nel 1998 a Prodi, fosse stato già concepito dall’inizio come un ‘governo di guerra’, infatti fu la prima volta dopo la seconda guerra mondiale che l’Italia era coinvolta in un conflitto offensivo che inoltre andava contro alla costituzione che ripudia la guerra (di attacco). Gli arei partivano dalle basi nato di Ghedi e Aviano ed era il terzo contributo per importanza dopo USA e Francia. Nonostante la proposta italiana appoggiata dalla Grecia di interrompere i bombardamenti dopo il primo giorno, dopo 11 settimane di offensiva aerea che avevano raggiunto gli obbiettivi militari sul campo e che ormai stavano puntando ai civili si concludono in giugno con la capitolazione di Belgrado. L’esercito serbo si ritirò dal Kosovo che si divise in 5 zone di occupazione (Usa, Francia. Gran Bretagna, Italia e Germania) più la presenza di truppe russe a cui però non veniva assegnato il controllo di qualche zona. Ci sono 40 mila uomini in tutto, organizzati nel KFOR che hanno il compito di proteggere la minoranza serba dalla rappresaglie dei kosovari. Infine l’amministrazione del paese era affidata all’ONU. L’azione violenta dell’UCK post conflitto riaccreditavano il partito democratico di Rugova ovvero la Lega democratica del Kosovo (ldk) che vinse le elezioni nel 2000 e come obbiettivo c’era quello di portare il paese alla piena indipendenza con mezzi diplomatici. Rugova è rieletto nel politica su capitalismo americano dinamico e flessibile e quello europeo lento e abituato alla protezione diretta dello stato, sarebbe stato motivo di dissenso ora che il nemico comune del comunismo era sconfitto). Fred Bergsten invece era fuori dal coro e diceva che l'euro avrebbe creato un accordo tra USA e EU e questo accadeva perchè in un mondo in via di sviluppo c'era spazio per più di un attore, euro e dollaro potevano coesistere creando stabilità nell'economia internazionale. Charles Kupchan, consigliere di Clinton e e membro del Council of Foreign Relations diceva che, nel 2001, l'America era alive and well e l'unica superpotenza senza concorrenti, ma che questo stava per concludersi in quanto il mondo era sulla strada di un bipolarismo irreversibile e sosteneva che la sfida principale al potere americano sarebbe stata l'EU e non la Cina. Nonostante le opinioni pessimistiche americane, il nome della nuova moneta veniva adottato il 16 dicembre del 1995 e nel dicembre del 1998 venivano fissate le percentuali di scambio tra le monete nazionali che stavano per scomparire. Il 1 gennaio 2002 entra nell'uso comune. Partì alla pari del dollaro, perse in una prima fase il 18% e recuperò poi la parità nel 2003 fino a raggiungere un massimo di 1,59 dollari x 1 euro nel luglio 2008. nel 2007 il presidente della Federal Reserve riconosceva la possibilità che l'euro arrivasse a sostituire il dollaro come moneta di riserva → l'euro in effetti adottato da 16 stati EU, entrava nell'uso di diversi altri (kosovo, san marino, montenegro) e diventava moneta di pagamento per transazioni commerciali in paesi come Cuba, Corea del nord, Siria, Iran, Russia (il che era anche una scelta politica). Ecco che ben presto l'euro diventa la piu importante moneta di riserva dopo il dollaro. La grave crisi finanziaria del 2008 e 2009 confermerà poi i vantaggi della filosofia conservatrice adottata e coerentemente seguita dalla BCE. Capitolo 7. Da Bill Clinton a George W. Bush 1.L'eredità di Clinton A fine secolo i mandati di Clinton erano finiti, era stato un presidente democratico nel corso di un ventennio dominato dai repubblicani. Il suo mandato non fu visto come buono e fu soggetto a molte critiche però questo giudizio severo non tiene conto del periodo difficile in cui Clinton si trovò ad operare, in aree geografiche disparate ; la politica di Clinton era post guerra fredda e rifletteva le situazioni di un mondo globalizzato che era ancora fluido e in evoluzione. Bisogna quindi distinguere le azioni positive (Bosnia e Kosovo) da quelle meno positive (lotta al terrorismo, rapporti con la Russia, questione palestinese) è inoltre importante sottolineare che egli fu più vicino all'Europa dei suoi predecessori.→ Clinton e i suoi interessi di carattere sociale e il suo multilateralismo lo avvicinavano all'Europa ( in un incontro a Firenze nel 1999 con i maggiori premier europei Clinton confermava affinità e assonanze con la social democrazia e con socialismo europeo che erano demonizzati in America). Bush invece fu presentato dagli europei e dagli Usa stessi come un personaggio sbiadito, poco chiaro, un uomo che aveva fatto la sua esperienza politica solo come governatore del Texas e che non sa molto di politica estera per sua stessa ammissione e le cose che sa le ha imparate in campagna elettorale dalla sua mentore Condoleezza Rice, professionista in politica estera. A preparare Bush c'è anche il falco Paul Wolfowitz uno dei più convinti neocon. Bush era contro Al Gore che fece una campagna elettorale migliore ma Bush vince con poche centinaia di voti in più nonostante il volere popolare aveva chiaramente preferito Al Gore, ed è appoggiato dalla Corte suprema che era a maggioranza conservatrice. Questa elezione venne gridata come rubata e spaccò in paese in due tra i 2 partiti. l’Europa simpatizzava per Gore. Nei primi mesi di mandato Bush rende chiara la sua politica unilaterale infatti la dimostra respingendo gli accordi di Kyoto sul riscaldamento globale, denuncia il trattato del 1972 con l'Unione Sovietica, che aprirà un contenzioso con Mosca nel 2002. Sarà solo l'attacco dell’11 settembre a definire la personalità di Bush che parla e opera come un leader. Egli con semplicità ed efficacia parla di punizione per il terrorismo e garantisce la sicurezza per gli USA. Contro il terrorismo promette una vera e propria guerra con durata indefinita e a cui attribuisce un fondamento ideologico che rovescerà i principi della politica estera americana e quella del diritto internazionale con la dottrina con la dottrina dell'azione preventiva. Bush a questo punto si presenta come un uomo di profondi sentimenti religiosi che aveva accettato la carica presidenziale come un sacrificio voluto da Dio (il che aveva fatto piacere alla destra religiosa americana). Egli condanna una cultura che ha reso incerta la distinzione tra il bene e il male fondata sul permissivismo e l'edonismo→ usa espressioni nuove come “asse del male” o “stati canaglia” e questo estremizzava la politica e i rapporti internazionali. Le idee di Bush sono “pilotate” da una nuova classe politica che arriva al potere con Bush, è quella dei neocon (neoconservatori). 2. Conservatori vecchi e nuovi La storia americana è un continuo confronto tra conservatori progressisti, ma, nonostante la teoria del pendolo, più di 2 secoli di storia americana hanno visto al potere molto più spesso e molto piu a lungo i conservatori. Dall'indomani della guerra civile fino agli anni 30 ci sono stati solo presidenti repubblicani, ad eccezione di Cleveland, Wilson. Con Roosevelt inizia la parentesi democratica interrotta poi da Eisnhower, un moderato. La spinta progressista della nuova sinistra degli anni sessanta prova una reazione conservatrice già nell’autunno 1960. Sarà Reagan a portare il conservatorismo al potere ma è proprio in quel momento che il conservatorismo si divide e nascono i neoconservatori. Tutti e due sono accomunati dai valori che hanno fatto grande l'America ovvero individualismo, libero mercato, guerra allo statalismo, alla sua burocrazia. Ciò in cui differiscono è invece la politica estera: i conservatori tradizionali sono patriottici e sono talvolta nazionalisti, c'è una forte vena isolazionista che è molto culturale e religiosa, seguendo la Via di George Washington lontana dall’epicentro della politica mondiale del tempo, l’Europa; esso non è pacifista ma vede nella pace le condizioni per la piena maturazione del paese. I neocon in origine si concentravano sulla società americana, nasce per combattere le pericolose bugie del movimento radicale degli anni sessanta e hanno come nemico il '68 (rivoluzione culturale, welfare, pacifismo, cultura gay, terzomondismo...). Il nucleo originale dei neocon era formato da Podhoretz, Kristol, Blazer, Bell: molti di loro nella guerra fredda approdano ad un anticomunismo e molti sono ebrei e difensori appassionati della causa di Israele. La prima generazione generalmente si limita a scrivere sui giornali ma quelli della seconda entrano in politica. Molti (della 2 generazione) entrano con Bush figlio ma avevano già fatto la gavetta con Reagan e Bush padre e avevano svolto attività nelle fondazioni e nei gruppi di pressione con cui la destra faceva assalto al potere (American Enterprise Insitute, Heritage Foundation, Jewish Insitute for national security affairs...); ne fanno parte Paul Wolfowitz, Lewis Libby, John Bolton e anche Elliott Abrams difensore di Israele. Molti di questi nomi nel 1998 inviarono una lettera a Clinton per metterlo in guardia della presenza di una minaccia che proveniva dal Medio Oriente, ovvero Saddam Hussein, sostenendo che esso producesse armi di distruzione di massa e chiedeva di intraprendere una campagna militare contro l'Iraq. Nel 1992 inoltre Wolfowitz, Libby e Cheney pubblicano il documento defence policy guidance, segna il debutto in pubblico del gruppo, che sosteneva il dominio degli USA e l'impegno di evitare a ogni nazione l'ascesa se questa avrebbe intralciato gli USA e difendeva l'uso della guerra preventiva contro gli stati sospettati di produrre armi nucleari. I neocon inoltre ignorano le organizzazioni internazionali in particolare l'ONU, anche gli alleati europei entrano nel loro mirino, si accusava l'EU di essere imbelle e che il suo pacifismo fosse conseguenza di debolezza militare, EU è venere, USA sono Marte. Quella che si delinea quindi è una politica imperiale, gli USA come Roma, dove però prevarranno libertà e democrazia (ma che non ripudia la guerra). Le voci liberali che tentavano di opporsi erano ben poche. Bush non fa parte dei neocon, era membro di una famiglia politica con nonno senatore, padre presidente e fratello governatore della florida. Ha studiato nelle grandi università, era un alcolista salvato dalla fede e dalla moglie e la sua unica esperienza politica fu appunto quella di governante del Texas, lui era diverso dalla sua famiglia. Nei neocon trova comunque quella visione del mondo e del ruolo americano che gli è congeniale, teme come loro il declino morale degli USA e nella reazione al relativismo e apprezza le convinzioni forti e il desiderio di azioni. Bush inoltre è un nuovo arrivato nel territorio politico nazionale e per questo non ha un seguito di persone da inserire nei posti che compongono il governo ecco perchè saranno i Neocon ad infiltrarsi, in particolare il ruolo di consigliere e mentore è svolto da Cheney che non è neocon ma particolarmente vicino all'ambito→ mai nessun vice esercitò così tanto potere come fece lui. Capitolo 8. 11 settembre 2001, “nulla sarà più come prima” 1. Siamo tutti americani questo attacco non fu il primo in america (Pearl Harbour, 1941) ma fu il primo non in una situazione di guerra e segnava la fine dell'invulnerabilità del paese e l'esistenza di un pericolo indefinibile. L'attacco alle Torri e al Pentagono creò una reazione emotiva molto forte, si chiedono leggi e stanziamenti illimitati da parte del Congresso per piegare il terrorismo. Bin Laden viene identificato come il responsabile e Cheney affermerà di non aver alcuna obiezione da fare. Si crea un clima di “licenza d'uccidere”. Il governo americano doveva dare una risposta forte con 2 obbiettivi: concedere una soddisfazione alla rabbia della gente + lanciare un avvertimento ai nemici dell'America. Bush utilizzando un linguaggio forte e chiaro dirà che l'attentato ha segnato la guerra del terrorismo islamico contro gli USA e l’Occidente, e a questa guerra gli Usa risponderanno con un'offensiva diretta per stanare i terroristi, guerra di durata indefinita e senza paesi neutrali. Dopo poco tempo verrà sostenuta anche la teoria dell'attacco preventivo. È una dichiarazione di global war on terrorism. Il terrorismo però è un concerto troppo vago, esso non ha una vera identità e inoltre è una tattica e non un nemico in carne e ossa, le tattiche sono diverse e diverse sono gli obbiettivi ecco perchè la dichiarazione di guerra al terrorismo impegnerà Bush a combattere senza distinzione Al-Queda, Hamas, Hezbollah gli “stati canaglia” e le espressioni di violenza all’Occidente.. In Europa “le Monde” diceva “nous sommes tous americains”, a segnare la partecipazione di molti europei alla tragedia della nazionale amica. Ma le due sponde reagivano in modo diverso, anzitutto perché gli europei avendo subito già attacchi terroristici, mantovano maggior controllo e assorbivano gli aspetti emotivi della vicenda più rapidamente. Gli Usa inoltre, rifiutando almeno in un primo momento l'applicazione dell'articolo 5 del Patto Atlantico che prevedeva azioni comuni in caso di aggressione di uno dei firmatari, dimostrava di voleva agire da sola. Il ministro della Difesa Donald Rumsfeld disse che la guerra contro il terrorismo sarebbe stata combattuta non con una grande alleanza ma con una floating coalition of countries (piu alleanze che potevano essere mutevoli), che diventava un’orgogliosa rivendicazione di un ruolo guida assoluto ed espressione di politica imperiale di un’America che presupponeva lealtà acritica ed incondizionata (ormai i neocon si erano infiltrati nella politica di Bush). Il 13 settembre 2001 già si discutevano nel National Security Council le opzioni di una risposta militare con la possibilità di un attacco in Iraq (già da tempo Saddam e al-Qaida erano nel mirino dei neocon e del Pentagono). 2. attacco all'Afghanistan Nonostante le insistenze dei neocon, Bush decide per l'attacco in Afghanistan. Si richiese al governo talebano la consegna di Bin Laden, rifugiato nelle montagne del Pakistan, ma viene respinta dal Mullah Omar, capo politico e religioso dei talebani. Il 7 ottobre 2001 inizia la guerra contro l'Afghanistan con grandi bombardamenti e l’azione di comando di unità di forze speciali. Il conflitto in realtà lo combattono soprattutto gli uomini dell'Alleanza del Nord (una coalizione tra uzbeki, tagiki e gli hazara), da tempo in guerra con i talebani. Riforniti dalle armi della Russia di Putin che collabora con gli americani. L'alleanza del Nord riesce a conquistare gran parte del paese già da metà novembre e la resistenza dei talebani crolla grazie anche ai milioni di dollari dati dalla CIA ai capi di clan locali, ma comunque Bin Laden sfugge alla cattura. La frontiera dell'Afghanistan che confina con il Pakistan è permeabile per i talebani che attraverso di essa ricevono aiuti dal radicalismo islamico pachistano. centrali (22%), da tempo padrone del paese perchè etnia della classe dirigente → situazione esplosiva. Gli sciiti erano appoggiati dall'Iran e volevano il potere e la rivendicazione dell'oppressione di Saddam; i Curdi volevano almeno l'autonomia amministrativa e politica, i Sunniti volevano mantenere la monopolizzazione del potere. Gli americani non sapevano come gestire la situazione, gli Iracheni non erano preparati per la democrazia. Già all'inizio della guerra la Turchia (alleata USA) aveva negato il passaggio delle truppe nel suo territorio e quindi rimaneva solo il fronte in Kuwait. Si assiste anche a battibecchi tra le gerarchie militari, esempio Rumsfeld che sosteneva la sufficienza di un corpo di spedizione leggero e poi con il Capo di stato maggiore, Eric Shinseik che diceva che servisse una maggiore quantità di uomini e per avere contraddetto Rumsfeld in publico è costretto a ritirarsi. La stessa cosa successe a Lindsay (capo dei consiglieri economici) che riteneva il costo della guerra che sarebbe stata di 100 e 200 miliardi di dollari era trp alto. Bush ne licenzia molti altri. Ci furono già nel 2003 una serie di attentati a Ryadh, Casablanca e a Baghdad al quartier generale dell'ONU, era la prima risposta di Al-Qaeda all'invasione dell'Iraq da parte americana. L'errore iniziale fu quello di sciogliere l'esercito iracheno e dimissionare i membri del partito unico, il Baath, che aveva dominato il paese condannando 400.000 persone all'indigenza→ ci fu quindi una guerriglia con atti terroristici contro gli americani da parte dei sunniti che trovavano alleati in Al-Qaeda (i terroristi aprivano così un nuovi fronti). Un’ipotesi fu una collaborazione con l’Iran sciita, per una transizione meno violenta a un nuovo assetto politico. Ma un accordo era sconsigliabile siccome avrebbe turbato l'equilibrio con gli altri stati di maggioranza sunnita (Egitto, Siria e Arabia Saudita) e anche perchè era classificato come uno degli ‘stati canaglia’. Così gli americano devono affrontare anche gli sciiti che si erano organizzati con movimenti sostenuti da Teheran per esempio con l'esercito di Madhi e del giovane sceicco Muqtada al Sadr. Gli sciiti intrapresero una guerra del terrore contro sunniti e americani. I Curdi, nel nord con capitale Mosul, ricca di petrolio, erano guardati con sospetto dalla Turchia che combatteva contro la guerriglia curda del suo partito dei lavoratori curdi PKK. I curdi iracheni però volevano che il paese di dividesse in 3 parti per acquistare l'indipendenza. Gli americani riuscivano a tenere sotto controllo solo le città più grandi e a volte nemmeno quelle. Le autorità americane in una situazione così pericolosa, per diminuire le perdite dei loro uomini, arrivavano al ricorso di misure di particolare durezza che andavano contro la democrazia stessa. Nel 2004 sui giornali venivano documentate le condizioni orribili del carcere di Abu Ghraib il che farà perdere prestigio agli USA. Anche in America venivano adottate pratiche discutibili; ordinanze come quella dell'Attorney General John Aschroft, che autorizzava la detenzione dei cittadini sospettati a tempo indefinito e rifiutava di applicare la convenzione di Ginevra. I catturati in Afghanistan e dopo in Iraq venivano mandati a Guantanamo (Cuba)→ famosa per maltrattamenti e torture. Quando Barack Obama bandirà la tortura emergeranno info sui tipi di tortura usati: privazione sonno, celle frigorifere, posizioni dolorose, waterboarding (cui il torturato sentiva di affogare). 2. Dall'escalation al “Surge” dal 2004 al 2006 gli americani persero 316 uomini e il totale dei morti alla fine del 2009 sarà di 4000, ma il prezzo più alto sarà della popolazione civile con 150 mila morti nel 2006 (si trattavano di conflitti inter-etnici per la maggioranza: Gli sciiti facevano vere e propria pulizia etnica, sfruttando la loro maggioranza). Nel gennaio 2005 c'è l'elezione per l'assemblea legislativa a cui parteciparono solo i curdi e gli sciiti e si crea un governo provvisorio con Ibrahim al-Jaafari. All'inizio della guerra gli americani erano generalmente da soli pur con aiuti di Australiani, Britannici e Polacchi, creando una coalizione per legittimarli. Nel 2003 la Casa Bianca comunicò che la coalizione comprendeva 48 paesi ma solo alcuni avevano inviato contingenti: Italia, Spagna, Ucraina, Paesi Bassi e Corea del Sud. Nel 2004 a Istanbul, l'America all'incontro dell'alleanza atlantica chiedeva una maggiore presenza di contingenti al sud dell'Iraq ma gli alleati rifiutano. Davanti ad un ritorno dei talebani, veniva rifiutato anche l’invio di contingenti NATO in Afghanistan per permettere agli americani di spostarsi. Gli USA cercavano un’onorevole ritirata previa costituzione di una forza di polizia e un esercito nazionale iracheno rappresentativi degli equilibri nel paese, e attenuare le azioni terroristiche→ questa azione era lenta e la guerra si inaspriva. Vari membri della colazione riducono e richiamano le forze, i primi gli spagnoli e anche l'Italia nel 2003 (dopo l’attacco terroristico dei sunniti a Nassirya vorrà il ritiro entro il 2007), anche Polonia, Ucraina volevano ritirarsi e la Gran Bretagna riduceva gli uomini. Per risolvere il problema istituzionale venivano imposti una serie di provveidmenti: nel 2005 viene eletta l’assemblea legislativa, che formulò una nuova costituzione, sottoposta a referendum ed approvata con 70% dei si, nonostante i sunniti si astennero a maggioranza dal voto. Nel maggio 2006 si creò un governo stabile con il presidente Nuri al-Maliki. Nel 2006 in America, con le elezioni per rinnovare le totalità della Camera e un terzo del Senato, segnarono conquiste da parte del partito democratico, segno che il clima del paese stava cambiando. (sul voto influivano le conseguenze dell’uragano Katrina dell’anno prima, simbolo di inefficienza e improvvisazione dei soccorsi e incertezza di Bush). Nel frattempo in Iraq le cose peggioravano, ma Bush rassicurava la popolazione. Il licenziamento di Rumsfeld e la sostituzione con il moderato Robert Gates e Wolfowitz che se ne va alla banca mondiale nel 2005 libera la scena dei 2 che più avevano sostento la guerra in Iraq. Condoleezza Rice (non neo con) diventa segretario di stato fa si che si avvicini a Francia e Germania che avevano osteggiato la guerra in Iraq. Nel 2007 Bush annuncia l'invio di 20 mila uomini sotto il controllo del generale David Petraeus fautore della nuova strategia SURGE, la rimonta. I sunniti intanto che avevano lasciato Al-Qaeda perchè essa voleva sostituirsi ai capi tribali e l'introduzione di estremismi islamici. Gli americani avevano ora l'appoggio delle tribù sunnite, si crea una coalizione chiamata i figli dell'Iraq che andrà contro Al-Qaeda. (ricevevano soldi in cambio, sia i soldati che gli sceicchi). C'è una relativa stabilizzazione del paese ma c'erano comunque i problemi di fondo: i sunniti speravano di poter riprendere il potere grazie agli americani, obbiettivo impensabile, inoltre l'avvicinamento di sunniti agli americani insospettiva il governo di al-Maliki che era sciita e che era a sua volta sostenuto dagli USA. Il SURGE aveva un po’ risolto la situazione ma che rimaneva precaria. Avvicinandosi alla fine del mandato, Bush chiedeva il ritiro delle truppe. Nel 2008 Bush faceva un accordo con Maliki in cui si diceva che le truppe si sarebbero ritirate entro il 2012, con Obama sarà anticipata e si richiamavano i contingenti già dal 2009 → l'Iraq andava verso la guerra civile Capitolo 10. Una svolta tardiva 1. Il riavvicinamento dell'Europa Dal secondo mandato del 2006 si va verso una svolta nella politica di Bush che tenta di riavvicinarsi all'Europa dopo che ci fu un ritorno di aggressività talebana in Afghanistan, lo stallo nei rapporti Israele-Palestina e peggioramento dei rapporti con la Russia. L'America si rende conto che differentemente da come pensava non può fare tutto da sola ma ha bisogno degli alleati. Intanto i neocon avevano perso potere e Bush poteva dare il via a una politica più democratica grazie anche alla figura di Condoleezza Rice. Per quanto riguarda l’Iraq, si capisce che la tecnica del hard power va sostituita con quella del soft power ovvero un ricorso alla cooperazione e alla condivisione delle decisioni. Nel 2008, durante la campagna elettorale, si farà appello invece alla smart power, che vuole dare una obbiettiva interpretazione dei fatti e vuole una collaborazione tra USA, Afghanistan, Iraq e EU. I principali interlocutori degli USA furono la Germania e la Francia. In Germania nel 2005 arriva al governo la coalizione di social- democratici e cristiano-democratici con Angela Merkel e nel 2006 alla presidenza francese arriva Nicholas Sarkozy, tutti e 2 volevano ristabilire i rapporti con gli USA dopo che c'era stato l'antiamericanismo di Schroder e l'isolazionismo di Chirac. In Italia grazie ai 2 governi Berlusconi gli USA potevano contare sulla vicinanza del premier e in Gran Bretagna, dopo Tony Blair sale Gordon Brown che continuerà a seguire la linea di lealtà verso gli USA. Sarkozy annuncia il volere della Francia di entrare nella NATO da cui era uscita nel 1966, Germania e Francia sostengono inoltre l'espansione dell'alleanza Atlantica verso i paesi dell'est Europa e infatti negli anni di Bush entreranno nella NATO Croazia, Albania, Slovenia, Estonia, Lettonia, Lituania, Bulgaria, Romania. (alcuni di questi paesi come Romania, i 3 paesi baltici e Slovenia eran entrati anche nell’EU, questo segnava una parziale sovrapposizione dei paesi tra Nato e UE). seppur con qualche riserva da parte di Polonia e Repubblica Ceca, verranno poi installati dei missili in Polonia e una base radar nella Repubblica Ceca per intercettare i missili provenienti dagli stati canaglia. In Iran arriva alla presidenza della repubblica Ahmadinejad che porterà a una violenta escalation contro Israele e l'Occidente; c'è un programma di arricchimento nucleare iraniano che vuole creare la bomba atomica e ci sono delle minacce dirette verso Israele → c'è quindi tensione con gli USA e Bush accusa l'Iran di sostenere le azioni sciite che facevano terrorismo in Iraq e si comincia anche a parlare di un possibile attacco aereo contro gli impianti atomici dell'Iran sostenuto dagli USA. Ma grazie ai paesi europei del gruppo dei 5 + 1 (Francia,, Gran Bretagna, Cina e Russia + Germania) va avanti un negoziato con Teheran sull'arricchimento dell'uranio. Grazie ai paesi europei verranno mediati i rapporti tra Russia e USA. L’accordo Nato- Russia Council aveva prodotto scarsa risultati e frustrato i russi per una mancata partnership più stretta. A ciò si aggiunge il disappunto per l’atteggiamento di superiorità degli americani nei confronti di mosca, retaggio della guerra fredda. La Russia però sta recuperando la forza di un tempo - all'aumento del prezzo del petrolio - e vogliono essere trattati come una potenza, ma gli USA avevano fatto entrare nella NATO la Georgia e e L'Ucraina e avevano istallato i missili in Polonia e i Radar in Rep. Ceca e questo per la Russia era una minaccia al proprio territorio. Germania, Francia e Italia, che avevano accordi con Mosca e dipendevano dal gas russo, volevano ridurre la polemica tra USA e Russia. Al contrario i paesi dell’est sono abbastanza ostili verso la Russia. (si vede anche la propensione anti-russa quando a Kiev c'è un cambiamento di regime dove vince le elezioni nel 2004 il presidente filo occidentale Viktor Juscenko e i polacchi e i paesi baltici si schierano appunto con i filo occidentali, si chiama la Rivolta Arancione) Il 3 aprile 2008 c'è un vertice NATO a Bucarest dove si discute l'entrata dell'Ucraina e della Georgia; si da loro la concessione dello stato di MAP (membership action plan) che è propedeutico per l'ammissione ma al quale si opporranno Francia e Germania e Bush dovrà rassegnarsi al fatto che non potrà dare mano forte ai paesi dell'est che volevano isolarsi dalla Russia→ alla vigilia di questo incontro Putin aveva minacciato lo smembramento dell'Ucraina se fosse stata ammessa alla NATO e quindi l'Europa dei grandi stati che non voleva questo casino si schiera per una volta contro gli USA. Nel 2008 scoppia la crisi tra la Georgia e la Russia determinata anche dalla scelta di non far entrare la Georgia nella NATO. La Georgia con Saakashvili e le sue forze armate, riorganizzate dagli Usa, lanciarono un attacco alla città di Tskhinvali la capitale dell'Ossezia del Sud→ i russi fecero un pronto intervento rispondendo gia poche ore dopo con truppe corazzate contro i georgiani e ciò faceva pensare che l'offensiva georgiana fosse già attesa e quindi si parla di una trappola in cui i georgiani cascarono. La disputa però riguardava le provincie dell'Ossezia del sud e dell'Abkhazia che confinavano con la Georgia e che essa rivendicava contro la Russia che invece voleva riassorbirle anche se queste si erano proclamate indipendenti nel 1992. Saakashvili con il suo attacco voleva provocare un intervento americano politico o militare a favore della Georgia ma questo non avviene, essa sarà invece aiutata da “il nuovo gruppo di amici” ovvero i paesi baltici, la Polonia, la Romania e la Bulgaria ma purtroppo cederà all'attacco russo. In tutto questo Sarkozy che nel 2008 era anche il presidente dell'Ue negozia con il presidente russo Medvedev (subentrato a Putin ora alla presidenza del consiglio de ministri) il ritiro delle truppe russe e fa si che ci sia una fine pacifica. L'America quindi esce ancora una volta sconfitta e debole sotto Bush e l'Europa si dimostrava invece forte 2. La “road map” di Israele Per rilanciarsi, Bush tenterà di rilanciare la questione israelo-palestinese. Gli Usa negli ultimi 30 anni avevano sempre sostenuto in maniera acritica Israele anche perchè vi era una lobby ebraica americana al potere che faceva forti pressioni, dopo l'11 settembre con la presa di forza dei Ad aumentare la crisi ci pensò anche la politica monetaria degli USA che aveva approfittato del ruolo acquistato dal dollaro diventato principale mezzo di pagamento per gli scambi internazionali e strumento di riserva delle banche centrali dopo Bretton-Woods. I guadagni delle esportazioni degli USA, in crescente deficit, permetteva ai paesi esportatori l'accumulo di consistenti surplus di moneta americana che veniva investita in titoli di stato americani. Il caso maggiore fu la Cina, cui esportazioni negli Usa erano cresciute in modo esponenziale nell’ultimo decennio (costi bassi per i prodotti). La Cina era il maggior creditore degli USA. Il dollaro era quindi dipendente dalle scelte del governo cinese ma c'era un duplice interesse: mantenere alto il cambio del dollaro e basso quello dello yen per continuare ad esportare vantaggiosamente e non svalutare il dollaro che era detenuto in gran parte dalla Banca centrale di Pechino. Gli americani a loro volta volevano continuare le importazioni dalla Cina, e paesi emergenti, i cui prodotti avevano costi minori e ciò avvantaggiava il consumatore medio americano e maggiore guadagno per i paesi asiatici, legati al consumo americano. Il tesoro americano così si indebita molto con l'estero e il debito cresceva fino ad arrivare a livelli non sopportabili. Quindi l'eccessivo livello dei consumi americani e l'eccessivo risparmio dei cinesi avevano prodotti squilibri, la caduta dei consumi degli americani dopo lo scoppio della bolla dei subprime riduceva l'esportazione cinese e creava a sua volta crisi e disoccupazione in Cina. Il prezzo più alto della crisi veniva pagato dai paesi poveri, che non avevano alternative di produzione e vendita. Sorge così una tendenza per una riforma finanziaria internazionale in particolare del Fondo monetario internazionale che aveva posto all'epoca il dollaro al centro del sistema finanziario mondiale. C'era una forte iniziativa europea, condivisa dalla Cina, per una profonda riforma sulle regole stabilite con Bretton Woods: sostituire il dollaro con altri mezzi si pagamento con un paniere di monete forti (euro, dollaro, yen o moneta mondiale nuova) o gli special drawing right, una moneta di conto fondata su un paniere di monete più numerose; paesi europei come Francia e Germania volevano che questo problema venisse affrontato come parte della soluzione della crisi mentre gli USA e la Gran Bretagna volevano rimandare a dopo la risoluzione della crisi. 2. Barack Hussein Obama Le elezioni nel campo democratico erano state disputate tra Hillary Clinton (senatrice dello stato di NY) e Barack Obama. Obama, dopo l'uscita di scena della Clinton, si batté contro il repubblicano McCain, senatore e eroe della guerra in Vietnam che però punterà ancora sul sostegno della guerra in Iraq e Afghanistan. Obama nato da madre bianca e padre keniano nasce alle Hawaii nel 1961 e vive tra li e Indonesia nella fanciullezza in affidamento ai nonni, frequenta poi la Harvard Law School di Chicago, dopo alcuni anni nel Senato dell'Illinois Obama viene eletto al Senato degli USA nel 2004 e da li comincia a prepararsi per arrivare alla casa bianca. Carta vincente della sua campagna elettorale sarà l’opposizione ala guerra in Iraq, assieme ad un innegabile carisma, doti oratorie lodevoli e slogan efficaci sul tema del cambiamento. Obama si prefissava di sconfiggere l’astensionismo degli ultimi trent’anni, sopratutto tra giovani e persone di colore. Nelle settimane precedenti alla elezione (4 novembre) la crisi economica si manifestò in maniera dirompente e cominciò ad essere colta anche da quei cittadini che l'avevano ignorata; fu per questo che Obama vinse le elezioni, promettendo il cambiamento che gli americani si aspettavano per la soluzione della crisi e il recupero del prestigio logorato con Bush. Contro un repubblicano che si affidava al mercato, causa della crisi, e riconfermerà la volontà di un maggiore impegno in Iraq ed Afghanistan, vinse facile. Obama affronta la crisi con una azione di sostegno nei confronti di un sistema bancario che ormai era vicino al fallimento→ con l’iniezione di capitale pubblico si volevano eliminare dai bilanci delle banche le forti passività costituite soprattutto dai subprime (“titoli spazzatura”). Altro problema era quello di ptoeggere le attività economiche e produttive, che rischiava di mancare di crediti necessari per via della crisi: vennero previste spese dirette alla costruzione di infrastrutture nazionali e locali, per ristabilire la crescita economica in fase recessiva. Il bilancio prevedeva attraverso al leva fiscale, una redistribuzione del reddito nazionale a favore della classe media, negli ultimi trent’anni in erosione. Obama ha anche a cuore un programma di rilancio della ricerca e dell'economia legata a una rivoluzione “ecologica”. Insieme ai favori degli ecologisti questi programmi suscitavano critiche dell’industria manifatturiera. L’altra grande riforma di Obama è quella sulla sanità che voleva garantire una copertura assicurativa per i 47 milioni di americani che non l’avevano o la stavano perdendo( i costi sarebbero stati pagati con una tassa sui redditi maggiore); il piano di questa riforma alla fine uscirà profondamente modificato x i necessari compromessi con i repubblicani ma anche per un'opinione pubblica che non era abituata a questa forma di riforme “socialiste”. Nel complesso i provvedimenti varati avevano una favorevole accoglienza e ai cento giorni il consenso di Obama era uno dei più alti degli ultimi trent’anni. Riceveva critiche dai repubblicani, che dopo la sconfitta affrontavano una crisi di organizzazione, ma anche dalla sinistra dei democratici che imputano a Obama la mancanza di una politica più energica e cambiamenti radicali nel settore finanziario. Per quanto riguarda la politica estera, assieme al segretario di Stato Hillary Clinton si cercava di trovare accordi economici con la Cina, si apre una trattativa con la Russia sul disarmo missilistico, verrà annunciata un’apertura verso Cuba, e Obama condannerà anche pubblicamente gli attacchi che Israele rivolge contro i palestinesi. A Londra c'è l'incontro del G20 dove il problema di una nuova moneta non verrà ancora discusso ma si insisterà ancora sul rafforzo del Fondo Monetario internazionale che veniva appunto rafforzato per erogare prestiti ai paesi maggiormente colpiti dalla crisi (est Europa, Asia). Ci si concentra inoltre sul problema dei paradisi fiscali che sottraevano agli stati centinaia di migliaia di dollari e ci si impegna a riportate i capitali illegalmente esportati nei paesi che ne dovrebbero beneficiare. Dopo il G20 Obama chiede all'Europa una collaborazione militare in Afghanistan, in occasione del vertice della NATO a Praga, e richiedeva che ci fosse maggior impegno dai paesi eu ma questi rispondono negativamente e l'impegno che mettono è uguale a quello prefissato in passato. Primo segnale di un certo raffreddamento di entusiasmi europei nei confronti dell'osannato Obama. Gli USA volevano cambiare davvero e ritornare al multilateralismo di un tempo, per esempio si annuncia la imminente chiusura del carcere di Guantanamo e si rivelano i metodi di tortura della CIA. Per quanto riguardava il piano militare venivano cancellate delle spese per una serie di armi e mezzi costosi non più utili per i conflitti che il paese pensava di combattere in futuro 3. L'Europa davanti alla crisi La crisi finanziaria ha prodotto tensioni tra europei e americani: i primi non hanno mai mancato, ufficialmente e ufficiosamente, di richiedere riforme della finanza internazionale che il governo americano ha lasciato cadere. I governi europei di loro conto hanno respinto i suggerimenti americani per contenere la crisi (piano i salvataggio per l’Est europeo, respinto da tedeschi e Francesi. Berlino aveva interessi strategici nel mantenere coesa l’area ma voleva farlo caso per caso, invitando gli americani ad astenersi dal diventare protettori di quei paesi). Nella vecchia Europa il mito di Obama si offuscava, nella nuova cresceva con sospetto specie dopo la decisione USA di interrompere il programma di installazione di un sistema missilistico a difesa di una probabile minaccia. I molti europei danneggiati dalla crisi non hanno nascosto il loro disappunto e guardano alla moneta americana con sospetto. Le operazioni per stabilizzare il dollaro erano impensabili (i maggiori detentori di grandi quantità di dollaro erano i paesi del Golfo e Estremo Oriente). Il ruolo europeo nei processi decisionali andava ridursi prima con la sostituzione del G20 al posto del G8 e la prospettiva di un G2, tra Usa e Cina, quest’ultima avrebbe dovuto gestire il soft landing del dollaro insieme a Giappone e Paesi arabi. Le misure adottate per contenere la crisi sono le stesse in EU e USA. Tuttavia gli americani creano fondi di precisa entità per salvare le banche mentre gli europei hanno scelto di intervenire di volta in volta, la misura del costo dei salvataggi non differiva molto. La vera diversità sta nelle misure varate per evitare la crisi: sopratutto Francia, Germania e Italia chiedono riforme per controllare (e quindi limitare) le transazioni finanziarie internazionale in un mercato senza freni; nuovi mezzi di pagamento in sostituzione del dollaro; riorganizzazione del fondo monetario internazionale; limiti ai bonus degli operatori della grande finanza (responsabili della crisi). Americani e inglesi prestano attenzione formale e rinvieranno le riforme a dopo la crisi. L’unico accordo uscito dal G20 di Londra 2009, fu quello dei paradisi fiscali che rispondeva alle urgenze dei vari ministeri del Tesoro con il fine di colmare parzialmente i vuoi del deficit di bilancio. Le economie europee erano fondamentalmente industriali e manifatturiere e necessitavano dell’esportazione, e quindi di regole commerciali e un sistema finanziario stabile. Al contrario, gli Usa privilegiavano i prodotti della tecnologia e i servzii, sopratutto finaziari. Per l’Europa la ripresa economica coincide con quella degli scambi commerciali, ridottisi per la crisi. Per gli Usa questa consiste nella ripresa delle attività finanziarie internazionali, ciò spiega la riluttanza dell’amministrazione americana a intervenire sul sistema di Bretton Woods, a meno che non cambieranno i rapporti di forza, con il rafforzamento delle posizioni di Cina,India e Brasile, emergenti. Per quanto riguarda il futuro del dollaro si può dire che aumentando in deficit americano il dollaro è destinato a svalutarsi che per l'intenzione della Federal Reserve di mantenere basso il costo del denaro per permettere il recupero delle attività manifatturiere di vecchia o nuova (produzioni Green di Obama) creazione. È probabile che i paesi emergenti piloteranno una sostituzione del dollato. La svalutazione del dollaro ( prevista per 2006-2012) renderà più care le importazioni ma penalizzerà però le esportazioni europee e avvantaggerà quelle americane stimolando nuove produzioni. Da una situazione di complementarietà (america fornitrice di servizi, Europa produttrice) si passerà ad una sempre maggiore concorrenzialità. Capitolo 12. Verso un mondo nuovo 1. Il disarmo atomico nella sessione di sicurezza di fine settembre 2009 il consiglio di Sicurezza ONU approvava la risoluzione 1887 con l'obbiettivo di eliminare armi nucleari dal pianeta e di sollecitare le nazioni a bloccare ogni forma di proliferazione. Si invitava inoltre gli stati che non l'avevano ancora fatto (Pakistan India e Israele) a firmare il Trattato di non proliferazione: esso nasce il 1 luglio del 68 ma entra in vigore nel 70 dopo la ratifica di USA, URRS, GB e 40 stati. Ora i firmatari sono 189 ovvero a tutti gli stati riconosciuti sovrani a eccezione di India, Israele, Pakistan e Corea del Nord, uscita nel 2003. L'Art 1 prevede l'impegno di non trasferire le armi nucleari e a non incoraggiare la creazione e l'uso di queste armi. L'art 2 impegna gli stati non nucleari a non ricercare l'acquisizione o la fabbricazione di armamenti nucleari e di sottoporsi al controllo dell international atomic energy agency IAEA. In più si dice che è possibile lo sviluppo dell'energia nucleare con scopi pacifici (eg come energia e non arma). L’art 10 prevede il diritto di recesso se “avvenimenti straordinari abbiano messo in pericolo gli interessi del paese”. Obama aveva precisato nel discorso fatto nel 2009 a Praga che si trattava di un progetto non realizzabile ma giustificato per importanza Già negli anni ottanta Reagan aveva dichiarato che una guerra nucleare non dovrà essere combattuta, affermazione propedeutica ai negoziati tra URSS e USA durante la guerra fredda per la riduzione dei rispettivi stock di armi nucleari. I negoziati tra i due paesi stavano dando i loro frutti anche se i due paesi rimanevano i maggiori detentori di armi atomiche, seguiti da Francia, Gran Bretagna, India, Pakistan e Cina e anche Israele (anche se non l’ha riconosciuto). L’obiettivo di tagli agli arsenali russi e americani, oltre a motivazioni di tipo economico, era per l’America inserito nel quadro della lotta al terrorismo (le armi atomiche del Pakistan sarebbero potute cadere in mano dei talebani o di Bin Laden); era preoccupante anche il numero crescente dei paesi in possesso delle conoscenze tecniche della bomba (negli ultimi anni effettivamente aumentato, il direttore generale della IAEA El Baradei ne conta 35-40); era accresciuta la possibilità di una prospettiva di olocausto nucleare. delle emissioni permesse a ciascun settore e prevedeva l’acquisto di quote di inquinamento, per far si che le aziende mantenessero il livello sotto i limiti massimi. Venne creato un vero e proprio mercato. Nel 2003 questo sistema di emissions trading venne adottato anche in Europa che il parlamento rende operativo nel 2005. Nonostante il monetizzare le emissioni non ebbe risultati positivi, era unico modo per attenuare le difficoltà delle piccole aziende non ancora pronte. Obama, durante e dopo la campagna elettorale, dichiarava il suo impegno nei confronti delle riforme ambientali. Diede l’obiettivo di raddoppiare in tre anni le attuali risorse di energia alternativa (al tempo il 7% dell’energia). Nel 2009 venne approvato il Waxman-Marken Bill sul principio di cap and trade, che incontra l’opposizione del Senato. Con il protocollo di Kyoto prossimo all’esaurimento, si tiene nel 2009 il protocollo di Copenhagen: questo prevedeva una maggiore collaborazione tra Usa e EU per la riduzione dell’80% delle emissioni di CO2 entro il 2050. L’industria, la class politica e l’opinione pubblica americana resta contraria all’adozione di precisi parametri di riduzione. Inoltre paesi come l'India e la Cina rifiutano di assumere pesanti riduzioni d'inquinamento che potrebbero limitare gli standard di crescita della vita di popolazioni gia con standard bassi e accusano i paesi di antica industrializzazione di aver inquinato per secoli, quindi non prendono impegni precisi per il futuro. l’Unione europea non riesce a fare da intermediario Capitolo 13. L'unione europea prima e dopo Lisbona 1. L'allargamento Alla nascita dell'euro si pensava che si sarebbe creata una politica estera comune e un'autonomia politica di difesa, è seguito invece un periodo di stasi degenerata in una crisi. Per quanto riguarda l'integrazione, il 1 maggio 2004 in EU sono entrati ben 10 paesi dell'Europa centro orientale e mediterranea (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Lituania, Lettonia, Estonia, Ungheria, Slovenia, Cipro e Malta). Romania e Bulgaria entreranno nel 2007, Croazia nel 2013→ fu forse però un errore far entrare questi paesi non avendo prima rafforzato istituzionalmente e politicamente il nucleo europeo originario prima di aprirla a chi proveniva da esperienze politiche molto diverse dai paesi originali; c'erano infatti disparità sul piano economico, il che incentivava però gli investimenti dei membri forti dell'Unione che contribuivano alla crescita economica dei nuovi venuti. Con lo scoppio della crisi però questo gap fra le 2 Europe riversò dei rischi per l'economia e per la moneta: il forte deficit bancario e le difficoltà del sistema bancario dei paesi dell'Europa centro orientale rischiavano di pesare sulla stabilità finanziaria dell’unione e metterne in forse la ripresa economica. Importante fu la bocciatura del progetto di costituzione europea da parte dei Francesi e degli Olandesi in 2 referendum popolari del 2005 (per l’impopolarità dei governi che avevano indetto il referendum, e l’eccessiva complessità del trattato) che segnò per quasi un quinquennio la deriva dell'unione europea. Il progetto di costituzione europea avrebbe creato passi avanti per il processo di integrazione ma era molto complesso, c'erano ben 448 articoli che quasi nessuno aveva letto, alcuni degli obbiettivi erano: • introduzione di un presidente del consiglio con un mandato di 2 anni e mezzo • un ministro degli esteri dell'unione che sarebbe stato anche vice della commissione • snellimento della commissione ridotta a 30 membri, solo 15 dei quali con diritto di voto • ampliamento dei poteri del parlamento, ridotto a 736 seggi • creazione di un'agenzia degli armamenti per dar vita alle cosiddette “cooperazioni rafforzate” • coordinamento maggiore in fatto di politiche economiche così per cercare cmq di portare avanti qst progetto si arriva al Trattato di Lisbona il 18 ottobre 2007. I problemi più grandi per le trattative furono creati da Polonia (contraria al principio della maggioranza qualificata in seno al Consiglio Europeo) e Regno Unito (il quale in omaggio alla common law non voleva attribuire valore giuridico alla carta dei diritti fondamentali che insieme al trattato costitutivo della comunità europea e al trattato del finanziamento dell'unione europea entrava a far parte del trattato di Lisbona). È così che a UK e Polonia veniva riconosciuta la facoltà di opt out in materia di diritti fondamentali. Si decise anche di cambiare il nome di Ministro degli esteri del trattato costituzionale in Alto rappresentante per la Politica estera e la Sicurezza comune. Veniva poi confermata la figura del presidente dell'unione e rafforzate le competenze del parlamento europeo e quelle dei parlamenti nazionali che avevano più tempo per decidere sulle delibere della commissione. Il Trattato di Lisbona quindi ricalcava le linee fondamentali del trattato istituzionale ma lo rendeva più flessibile e snello con solo 70 articoli. Tuttavia il governo irlandese indisse un referendum (unico in Europa) che boccia il trattato nel giugno 2008; in Polonia e Repubblica Ceca non vogliono controfirmare. Ma dopo un secondo referendum positivo in Irlanda (2009) il presidente polacco firma e dopo un po’ anche quello ceco. Si designa il premier belga Van Rompuy come il presidente e l'inglese Catherine Ashton, baronessa, diventa rappresentate per la politica estera, i due personaggi poco noti non soddisfano tanto. Il trattato di Lisbona seppur allontanandosi dalla natura federalista che era stata pensata in origine è un passo decisivo verso una politica comune diretta a permettere all'Europa di operare a livello dei maggiori protagonisti vecchi e nuovi della politica mondiale. Nonostante la popolarità dell’Europa sia in calo, la prospettiva per alcuni paesi di entrare in Europa è un obbiettivo da non lasciar perdere anche perchè questi paesi avrebbero difficoltà a progredire senza essere nell'unione europea, ci sono molti candidati (Serbia, Albania, Bosnia, Macedonia, Turchia). I problemi dell’allargamento sono messi in secondo piano con la crisi mondiale: compito dell'unione verso i candidati è ora quello di aiutarli a superare le difficoltà derivate dalla crisi mondiale. L’allargamento in paesi come i Balcani è stato importante per aver contribuito a consolidare la democrazia ed equilibrio economico e politico, per questo l'allargamento europeo, secondo “L’economist”, è stato fin ora il maggior successo della politica estera dell'unione. Per l'allargamento dell'Europa a paesi come la Russia e l'Ucraina si dovrà invece pensare a forme di associazione e di partenariato diverse, meno impegnative e più elastiche in settori come quelli del commercio della tecnologia, delle comunicazioni ecc. fatto sta che oggi sarebbe opportuno proporre nuove formule di associazione che faciliterebbero l'adesione di altri membri e darebbe all'unione una maggiore elasticità e una capacità di movimento in una molteplicità di settori che le mancano 2. Il rapporto Europa-Russia La crisi americana sia economico-finanziaria e che quella politico-militare e la proiezione della Cina ai vertici del potere mondiale hanno bloccato il progetto di un’America come superpotenza imperiale. l’America potrà tornare grande ma non più come una superpotenza solitaria ma come primus inter pares, arriveranno solo scenario mondiale nuovi protagonisti. Dieci paesi saranno in testa del concerto mondiale (pochi europei senza significativa influenza, soprattutto nel direttorio Cina-Usa) e gli altri saranno in secondo piano. Da qui nasce la necessità di un rafforzamento dell’Unione Europea, attivato già con il Trattato di Lisbona (politica estera comune; sistema di difesa comune). L’unione europea ha bisogno di nuovi spazi economici in un momento storico che si annuncia di grande competitività, soprattutto nella ricerca delle materie prime. È a est nello spazio euroasiatico russo che l'Europa può trovare gli uni e le altre nel quadro di una convivenza reciproca. I rapporti economici con la Russia sono ormai strategici specialmente per la Germania e l’Italia, maggiori importatori di prodotti energetici russi. La Russia oggi, indietro di decenni rispetto all’Occidente in ambito economico, civile e di organizzazione sociale, ha bisogno di un rapido processo di modernizzazione e, davanti alla pressione delle masse cinesi, è obbligata alla scelta europea e occidentale; l'Europa invece ha bisogno di esportare per continuare a crescere e per riequilibrare le importazioni di petrolio e gas, di cui la Russia è appunto fornitrice storica. Gli investimenti tedeschi e italiani in Russia risalgono addirittura alla guerra fredda: la Germania di Brandt con la Russia di Breznev organizzarono lo scambio di “tubi contro gas”; l'Italia per esempio è presente in vari settori dell'economia russa (energetico, automobilistico, alimentare..). Questo rapporto che resta prevalentemente sul piano economico non manca di creare preoccupazione negli alleati, si parla infatti della “guerra delle pipelines” ovvero dei gasdotti e degli oleodotti che trasportano prodotti energetici da est a ovest. Ci sono: - North Stream che attraverso il Baltico evitando la Polonia, porterà il gas dalla Russia direttamente alla Germania e South Stream nato a un accordo tra Eni e Gazprom, che porta il gs dalla Russia all’Europa balcanica e all’Italia, sospeso per il cambiamento politico in seguito all’intervento russo in Ucraina; (ORIGINE RUSSA - Un oleodotto di origine americano, il Nabucco, che evita il territorio russo per raggiungere Bulgaria, Romania ed Austria attraverso la Turchia (sostenuto anche da UE). Poi il TAP, anche questo di origine americana che,evitanto il territorio russo, porta il gas dal Mar Caspio alla Puglia. Questa è una strategia che riporta alla guerra fredda. Varie volte gli americani hanno messo in guardia il governo italiano dall’eccessiva dipendenza da un fornitore ‘inaffidabile’. Ma tuttavia la Russia è il solo paese a poter fornite quantità rilevanti di prodotti ecnergetici ed assorbire una quantità dimeni necessari per pareggiare export-import. La moltiplicazione delle fonti energetiche ha creato una frammentazione eccessiva e non sempre agevole (Libia e Algeria hanno una limetta capacità di assorbimento) e ciò conferisce alla Russia ruolo prioritario. Quello tra EU-Russia è un legame molto solido perchè è nato su interessi reciproci, come quello nato tra Francia e Germania nel ’50 con l'accordo del carbone acciaio che ha gettato le basi per la costruzione dell’Europa. 3. Europa casa comune? Il problema economico si lega con quello politico e della sicurezza nell'area che dall'atlantico arriva fino all'Asia orientale. Da Vancouver a Vladivostok si ipotizza un sistema di sicurezza collettiva che allarghi l'area atlantica comprendere quella euro asiatica. Per 60 anni la sicurezza nell'area nord atlantica è stata garantita dalla NATO insieme al legame forte con gli USA. Con la fine della guerra fredda si aspettava una revisione dell’alleanza e un adattamento alle nuove condizioni geopolitiche, ma è stata occasione di ad un allargamento della sfera d’azione in Europa e in Medio oriente un rafforzamento dell’egemonie americana nel quadro diu na politica imperiale subita dagli alleati europei: per alcuni, questa egemonia garantisce sicurezza. Tuttavia pochi europei sentivano come minaccia l’iraq di Hussain o l’Iran di Ahmadinejad e anzi reputavano gli usa non in grado nella questione palestinese. L'esigenza di affrontare i temi della sicurezza in una prospettiva nuova e più ampia ha costituito la base del Vertice Ue-Russia nel giugno del 2008 (interrotto per il conflitto Georgia - Abkhazia e ripreso in autunno) ed ha avviato un negoziato su una serie di problemi di interesse comune dall'energia all'ecologia e con l'obbiettivo di costruire un nuovo sistema di sicurezza in Europa. I ministri degli esteri dell'OSCE nel giugno del 2009 a Corfù e riconoscevano la necessità di ricreare fiducia e comprensione tra tutti gli stati membri e tenere conto dei problemi di sicurezza di ciascuno partendo dl principio della loro indivisibilità nell'area compresa tra Vancouver e Vladivostol. Emergevano diversità in ambito di concetti di sicurezza, per Mosca problema di accordi politico-militari fuori dai diritti umani. Inoltre la Russia ha intenzione di assumere ruolo di protagonista della politica dell’UE, fatto da limitare con un accordo generale tra tutti gli stati interessati al tema della sicurezza energetica che crei equilibrio tra gli interessi di consumatori, produttori e di transito. Con Corfù 2002 si rilancia anche il dialogo NATO-Mosca anche sul tema della riduzione di armi nucleari. Mosca e Washington con Obama oggi sono più vicine: il tema della riduzione nucleare è alla base di un primo accordo e la decisione di Obama di riaggiornare l’istallazione di missili in Polonia e Rep. Ceca tranquillizzava Mosca. Il problema rimaneva con Georgia ed Ucraina, dove gli USA avevano impegni politici e militari. Il governo americano però dava l'OK a un'iniziativa della Carnagie Foundation per la formazione di un comitato trilaterale tra USA, Russia e Ue per discutere un nuovi sistema di sicurezza euroatlantica che venga incontro alle proposte russe. La russia, sebbene non possa ricreare il vecchio impero con le vecchie repubbliche, vuole un’area cuscinetto attorno alle frontiere, senza basi americane/NATO. crudeltà, le popolazioni sono costrette a fuggire, ingrossando i flussi migratori verso il Nord Europa. Nel settembre 2014 si forma una coalizione anti Isis guidata dagli Usa con più di 40 stati, occidentali e medio orientali, che offrono diversi contributi. L’offensiva della coalizione è esclusivamente aerea, non infierirà decisamente sull’Isis ma li dissuade dal fare alcune conquiste. l’Isis ricorre al terrorismo: quello amplificato mediaticamente delle pubbliche esecuzioni e quello diretto contro le città dell’Occidente, grazie ad ‘agenti’ di nuove generazioni islamiche nate in Europa, frustrati da esistenze senza prospettive ed tratti da una promessa di riscatto dai jihadisti. Si rifugiano in Siria e si arruolano nei foreign fighters dove in cambio di lealtà trovano ascolto: si trasformano nei nuovi kamikaze pronti a sacrificarsi in nome di un credo politico e uno religioso male assemblati. Nella primavera del 2015 le truppe di Assad sono logorate e subiscono una grave disfatta a Palmire, città simbolo, che viene conquistata dall’Isis. Inaccettabile per Theran (la caduta di Assad provocherebbe lo sgretolamento del fronte sciita) ma anche per Putin: rafforza la base navale in Siria (ai russi dal 1971) e a fine settembre partono gli attacchi aerei contro l’Isis (c’è chi dice anche contro i ribelli vs Assad). Mosca comincia l’offensiva diplomatica cercando di convincere le potenze occidentali a negoziare con il dittatore siriano, onde evitare situazioni come quella irachena e libica. Molti accettano, non gli Usa, nonostante l’offensiva aerea sia insufficiente. Alle presidenziali del 2016, i repubblicani parlano di un intervento di terra, Obama accusa ai russi di attaccare i nemici di Assad, riflettendo l’imbarazzo di chi sis stente anticipato dall’iniziativa di Putin. Obama invierà alcune unità, una presenza simbolica. Il 24 novembre i turchi abbattono un aereo russo accusato di essere nel proprio spazio Aereo, Mosca nega e li accusa di doppio gioco (acquisto di petrolio), varando una serie di misure contro le esportazioni di prodotti turchi in Russia. Nel frattempo l’Isis, indebolita dall’offensiva aerea contro i pozzi di petrolio, dal recupero dell’esercito iracheno e dall’avanzata dei curdi, rafforza la presenza del califfato in Libia, territorio pieno di petrolio, dove si potrebbe sfuggire dalla Siria. Nel luglio 2015 viene raggiunto un accordo a Ginevra per la sospensione dell’arricchimento dell’uranio iraniano, rendendo impossibile la creazione dell’ordigno nucleare. Decisione presa da Rouhani, luglio 2013, e Obama il quale rimuove nel 2016 metà delle sanzioni imposte nel 2006 a Theran. 15. Sul fronte dell’Ue 1.Crisi finanziaria e crisi politica Alla crisi economica degli anni successivi al 2008 si sommava quella politica, dovuta alla caduta della fiducia delle istituzioni dell’Unione e un atteggiamento di critica o di rifiuto per la burocrazia di Bruxelles e un diffuso malcontento per l’euro, cui peso crescente nei confronti del dollaro incideva sulle esportazioni. Le elezioni per il parlamento di maggio 2014 vede un’alta area di euroscettici ma affida la maggioranza al PPE e al PSD che si spartivano le maggiori cariche. Al centro del dibattito erano le misure da adottare di fronte alla crisi: chi sosteneva una politica creditizia espansiva (tipo Federal Reserve) e chi come i rigoristi che sostenevano l pareggio dei bilanci e la riduzione dl debit. L’unione sarà divisa tra Nord, pro ad un’applicazione rigorosa dei trattati e degli accordi e meridionali, che contestavano il rigore delle politiche imposte. Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda ed Italia accusavano situazioni particolari per vicende politiche ed economiche nazionali che davano scarsa possibilità di uscire dalla crisi a breve. Il caso greco è il più drammatico: la sua possibile uscita dall’euro avrebbe segnato la fine dell’esistenza della moneta stessa e il default del paese avrebbe danneggiato anche le banche tedesche e francesi, creditrici di Atene. La Grecia compì degli errori (falsando i propri conti per entrare nell’euro e rinviando le riforme a dopo la crisi) ma anche l commissione e il Fondo monetario internazionale hanno mal gestito la crisi greca. Nell’estate 2015 la Grecia fu salvata all’ultimo da un’erogazione di fondi, ma rimasero dei problemi aperti. l’Europa si dimostrava in mancanza di una leadership continentale: l’asse Frenica-Germania non era più credibile, la prima affrontava una crisi economica ed identitaria che cercava di nascondere, la seconda era indisponibile ad affrontare un ruolo di leadership reale perchè aggrappata alla regole e all’austerità. Pur tra l’opposizione dei rigoristi, la capacità dell’Unione di contenere gli assalti della speculazione è cresciuta grazie alla BCE sotto Mario Draghi che propose: interventi usl mercato per acquisti di titoli dei paesi in difficoltà, potere di controllo del Sistema Bancario Europeo, costituzione di riserve per falle improvvise. L’italia è riuscita a contenere la crisi finanziaria ma ebbe conseguenze sull’economia reale, in conseguenza anche alla deindustrializzazione. Dopo sette anni di recessione, a fine 2015 cominciò una lenta ripresa, dove però permanevano disoccupazione e bassa produttività. Il governo cercò di varare una serie di riforme per liberare l’economia ma se la speculazione riprendesse il paese sarebbe in pericolo. In Italia negli ultimi anni crebbe l’euroscetticismo, dovuto in parte dalla demagogia dei partiti che sfruttano il malcontento popolare per arrivare potere ma i media iniziano a fare serie analisi sulla convenienza del paese a far parte di un sistema in cui è penalizzato. È necessario fare un passo in avanti verso l’integrazione, sul piano della difesa nello sforzo di coordinamento della lotta al terrorismo, sul piano fiscale è necessario un coordinamento sempre piu stretto, fino alla creazione di un bilancio europeo che rafforzerebbe l’euro, permetterebbe la creazione degli eurobond, titoli di credito europei, e tutelerebbe l’Eu da future crisi finanziarie. Un primo passo potrebbe essere al creazione di un bond per finanziare l’accoglienza e l’integrazione dei migranti, o far fronte alle spese per la lotta al terrorismo. 2. L’immigrazione: dal Mediterraneo ai Balcani In una prima fase i flussi migratori partivano dall’Africa per dirigersi in Spagna, Grecia ed Italia. Dopo la caduta di Gheddafi e il caos in Libia i flussi migratori, spinti da associazioni criminali che lucrano in vario modo, sbarcano verso Sicilia e isole. L’italia ha dovuto gestire da sola il problema e dopo sans serie di disastri umanitari particolarmente drammatici, l’Europa prenderà coscienza del fenomeno e concederà un minimo di aiuto. Secondo gli accordi di Dublino (2003) i migrnti dovrebbero restare nel paese di arrivo. In questa fase poche centinaia, delle migliaia in arrivo, venivano espulse perchè non avevano requisisti. Molti altri si sottraevano ai controlli amministrativi per andare verso i paesi del nord. Ad inizio 2014 l’Italia l’8% della popolazione era immigrata, numero inferiore a quello di altri paesi europei di popolazione equivaneltne. Tra la fine del 2014 e l’estate 2015 si riducevano le partenze dalla Libia per misure più severe contro gli scafisti. Iniziavano a Partire dalla Turchia, attraversando le isole greche, i Balcani raggiungevano la Germania. Erano in maggioranza siriani in fuga dalla guerra, la Germania si dichiarava pronta ad ospitarli in numero illimitato. Nel frattempo Bruxelles decideva un’equa distribuzione degli immigrati: 40 mila in due anni dovevano essere assegnati a Svezia, Finlandia, Francia e Spagna, ma incontrarono resistenze di vario genere e ne vennero ricollocate solo poche centinaia. Con accordi nei paesi arabi ed africani, i rimpatriati erano saliti a più di 5 mila. Altri paesi europei attivarono una serie di misure per allontanare le masse di profughi dalle frontiere: muro, ostruzioni di filo spinato ai confini. Altri (tra i quali anche la Germania) ripristinavano i controlli alle fronteire, o ponevano una serie di limitazioni dei permessi di soggiorno. Questo rischiava di compromettere la libertà di circolazione dei cittadini europei (Trattato di Schengen). A La Valletta nel novembre 2015 venne affrontato il problema alla radice, offrendo ai paesi africani di provenienza aiuti economici e di assistenza tecnica e culturale. Alla Turchia, che ospitava più di 2milioni di siriani, vennero promessi aiuti economici per 3miliardi per i campi profughi e ripresi i negoziati per l’ammissione nell’UE. L’Europa era priva di un piano comune. 3. 13 novembre: attacco a Parigi Il 7 gennaio 2015 il giornale satirico “Charie Hebdo” fu attaccato. La sera del 13 novembre iniziò il pluriattentato che ha sconvolto Parigi e fu prontamente rivendicato dall’Isis, configurando l’attentato come dichiarazione di guerra. Il presidente Hollande dichiarerà guerra due giorni dopo l’attentato, chiedendo l’appoggio dei membri dell’Ue secondo l’articolo 42/7 del trattato di Lisbona (aiuto dei membri in caso di guerra in seguito ad aggressione), sollecitando una serie di accordi bilaterali per la fornitura di mezzi e impegno logistico. L’appello veniva accolto dalla Mogherini, alto rappresentante per gli affari dell’UE. Putin ordinava alle navi russe nel Mediterraneo di affiancare l gruppo nvavale francese, con l’obiettivo di recuperare i legami con l’UE allentati con la crisi ucraina. Obama confermava la volontà di non farsi coinvolgere. Nonostante al G20 ad Antalya (novembre 2015) sembrava esserci un riavvicinamento tra Usa e Russia, Obama confermava l’intenzione di non voler intervenire in Siria con forze di terra. Nel frattempo cresceva la collaborazione tra Francia e Russia, in lotta contro il comune nemico terrorismo e ciò segnava l’allentamento del ‘cordone sanitario’ voluto dagli Usa per accerchiare la Russia (allargamento Nato, aiuti al governo ucraino). L’europa era complessivamente contraria a questa politica: Germania e Francia avevano frenato sull’allargamento della Nato a est ponendo un veto sull’associazione di Ucraina e Georgia; era nota l’insofferenza dei tedeschi e degli italiani per le sanzioni in Russia, per il rischio di perdere mercati tradizionali e impronti in tempo di crisi. L’america non era più vista bene, a partire dalla gestione della crisi, che gli europei imputavano tutta la responsabilità agli stessi Usa. Obama era critico della politica di austerity tedesca. Inoltre i rapporti Washington Berlino si inasprirono quando i servizi tedeschi scoprirono che l’establishment politico tedesco, compresa la Merkel, era stato spiato dagli apparati americani. In Europa cresceva un antiamericanismo caratteristico della guerra fredda negli ambienti di sinistra che ora si spostava anche alla destra (Patrioti europei contro ‘americanizzazione del continente). Sul piano ideologico si stavano allontanando, i temi della diffusione della democrazia perdevano attrazione di fronte al disordine creato delle guerre di Bush e sembrava incomprensibile l’ostracismo di Obama verso al - assad, se questi avesse contributi alla soluzione della guerra. In Europa, con riferimento al terrorismo, si assumeranno posizioni attendiste che daranno la responsabilità del terrorismo agli errori dell’occidente mentre il America il conflitto con il mondo islamico farà parte dello scontro di civiltà. L’accordo con l’Iran per bomba atomica (luglio 2015) veniva accordo con entusiasmo in Europa, avrebbe aperto scambi commerciali nuovi, ma con sospetto in America. Nel 2008 venne avaro un negoziato per la liberalizzazione del commercio e degli investimenti TTIP non vide partecipazione della stampa e assoluta libertà di accesso alle fonti informative per i lobbisti e attribuì un forte potere alle multinazionali, che potranno portare in tribunale gli stati nazionali che si opponessero le disposizioni del trattato. La conferenza sul clima di Parigi al 30 novembre all’11 dicembre 2015 ha visto i paesi dell’occidente assumere forti impegni, come mantenere il riscaldamento globale sotto i 2gradi. l’America assumerà un ruolo attivo in ambito, con il “no” sul completamento del gasdotto Keystone per far arrivare il gas dal Canada al Messico attraverso gli USA. Obama sarà però fortemente contrastato dai repubblicani, che invece avranno maggioranza al Congresso e decideranno loro per la politica energetica del paese. 4. La svolta americana Le speranze suscitate dalla salita di Obama sono andate scemando, Obama ha diviso il paese e si vedrà molto probabilmente sacrificata la riforma sanitaria. In politica interna è però riuscito ad assicurare a molti milioni di americani un’assistenza sanitaria, ha portato fuori l’America da una crisi epocale. In politica estera anche se non completo, ha condotto il programma di riduzione degli impegni miltari come aveva annunciato,
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved