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F. Cambi, N. Terrenato, Introduzione all’archeologia dei paesaggi, Roma 1994, Sintesi del corso di Archeologia

Studio dell’archeologia dei paesaggi a partire dalla scelta del contesto fino all’elaborazione dei dati raccolti.

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica F. Cambi, N. Terrenato, Introduzione all’archeologia dei paesaggi, Roma 1994 e più Sintesi del corso in PDF di Archeologia solo su Docsity! F. Cambi, N. Terrenato, Introduzione all’archeologia dei paesaggi, Roma 1994 2.4.3. VERSO LA CARTOGRAFIA DELLA STORIA Quali sono le caratteristiche della cartografia per la storia? Sicuramente deve essere una carta della distribuzione degli insediamenti, quindi un supporto cartografico in cui abbiamo rappresentate le Unità topografiche (che poi possono essere divise per periodi stabiliti in diversi criteri). Il primo problema è capire se possiamo rappresentare tali Unità con dei simboli, come triangoli o pallini, o se rappresentare i contorni e i perimetri. Il problema tocca le sfere topografia e archeologia dei paesaggi. Per es. la Carta archeologica d’Italia, di cui uscirono 20 fogli in scala 1:100.000 e una carta delle zone archeologiche, non può dare conto delle articolazioni di un insediamento, per via delle scale, quindi il ricorso ai simboli è una necessità. Questa necessità vale per: -le carte riassuntive dei siti: in scala1:25.000, è una carta in cui troviamo i siti scoperti, a prescindere dalla cronologia, per cui usiamo le tavolette IGM e sopra poniamo simboletti per indicare l’Unità topografica con accanto il numero di catalogo; questo è un archivio neutro di tutte le Unità topografiche tradotto in immagine. -le carte di fase, diacroniche o tematiche: sono carte in cui troviamo documenti archeologici relativi a una fase cronologica precisa. Sono dette tematiche, ma in realtà mettono insieme non solo tutti i siti di identica cronologia, ma presuppone uno studio sulla geomorfologia antica, sulle scelte dell’insediamento, sulle correlazioni tra uomo e ambiente. Affronta più temi. Quindi per farla, partiamo dalla tavoletta IGM o dalla carta tecnica regionale e da questa si elabora su un foglio lucido una carta base in cui ci sono curve di livello e bacini idrografici; ovviamente non possiamo mettere strutture del paesaggio attuale, tipo ferrovie, autostrade, ecc. eventualmente si aggiungono caratteri geomorfologici che si sono manifestati in quel determinato periodo che vogliamo rappresentare. La scala da utilizzare deve essere scelta di volta in volta: alcune sono 1:10.000 o 1:25.000 ma qui sono necessari poi degli ingrandimenti. In sostanza, questa carta serve a chi vuole datare archeologicamente le trasformazioni dell’ambiente (es. trovare una laguna in età arcaica). 3. LA SCELTA DEL CONTESTO 3.1. Il contesto della tutela. Ogni carta viene fatta per uno scopo. La Carta archeologica d’Italia, coordinata dall’istituto di Topografia dell’Università di Roma e nota come Forma Italiae, sceglie dei contesti che coincidono con le tavolette IGM. Cioè svolge una ricognizione dei resti archeologici per tutte le 3.556 tavolette che compongono la Carta d’Italia (accorpa due o tre tavolette dove non ci sono ritrovamenti). Queste poi vengono pubblicate e aggiornate. Quindi, scegliere il contesto cartografico aiuta a registrare ciò che viene fatto con esattezza. Infatti chi progetta periferie o strade ha bisogno di carte di riferimento e subito. Mentre per fare un tipo di carta come questa ci vuole del tempo. Così è necessario creare i contesti della tutela laddove ci sono aree che a breve subiranno trasformazioni e lavori, da considerare prioritarie dal punto di vista della tutela. La Carta archeologica propone dunque di istituzionalizzare il rapporto tra gli enti che operano nei lavori pubblici in modo da evitare distruzioni accidentali. Questa collaborazione sta portando all’edizione di fascicoli snelli con cartografie informatizzate in scala 1:25000. A questo proposito, vengono redatte le mappe del rischio archeologico, cioè cartografie di contesti studiati con lo scopo di sottrarre alla distruzione di insediamenti archeologici presunti o accertati. Se un comune richiede di avere la carta archeologica del suo territorio comunale, i limiti del contesto si identificano con quelli della giurisdizione del comune. Tuttavia, questa carta poi non può essere la base di uno studio di archeologia dei paesaggi, a meno che non sia tanto grande da comprendere più comprensori sub-regionali. E in questo caso, ci vogliono dai 5 ai 10 anni per redigerla, significa che nel frattempo dei danni possono comunque essere fatti. Allora cosa si fa? Per risparmiare tempo e denaro, si analizza il territorio facendo una diagnosi: -si fa una campionatura preliminare a bassa percentuale di copertura (anche se per fare una carta del rischio archeologico si dovrebbe coprire tutto il territorio), cioè si indagano delle aree strette e lunghe per valutare il tipo di alterazione del territorio, il grado di visibilità e la resa cartografica delle aree a rischio. Ovviamente questo metodo non è condiviso da tutti perché il rischio è quello di valutare in modo casuale e veloce, tuttavia in alcuni casi può lo stesso essere una utile alternativa. La carta viene fatta a un livello dettagliato di una scala 1:10.000 o 1.5000, valide come strumento di tutela parziale. 3.2. Il contesto geografico e l’archeologia dei paesaggi. DEFINIZIONI: 1.Territorio: dal latino territorium indica l’ambito geografico di un dominio politico o politico-militare. Gli scrittori latini facevano risalire alla parola terror, cioè quella’area conquistata da cui sono state estromesse con la violenza le genti che lo abitavano. Dunque, per questo i romani lo intendevano come spazio militarizzato dopo la conquista, in attesa di divenire ager, cioè territorio amministrato da una colonia. Ager è possesso, valore, campagna da coltivare. Anche se nessuno allo stesso tempo, quindi non ebbe finanziamenti; il fatto che ci fossero tanti comuni nel comprensorio ha fatto sì che non risultasse utile per la tutela preventiva; c’erano troppe problematiche e le campionature del terreno erano spesso insufficienti. 4. L’IMPOSTAZIONE DELLA RICERCA 4.1. Introduzione. C’è un dibattito sulle strategie di intervento fra cosa è prioritario tra necessità della ricerca scientifica e tutela del patrimonio, centri CNR e Soprintendenze. In particolare sul tema della campionatura è sorto il dibattito: è più importante fare un catalogo di tutte le presenza archeologiche in modo da tutelarle, oppure no, visto che per farlo ci vogliono decenni e nel frattempo i siti si degradano comunque? Un catalogo generale dei siti costituisce uno strumento di tutela incompleto se manca la garanzia che le aree senza presenza archeologiche siano davvero tali, dall’altro versante, chi fa ricerca scientifica e pratica la campionatura rischia di restituire un’immagine distorta del popolamento antico se non tiene conto delle continue trasformazioni del paesaggio. Il problema dunque è: come ottenere il massimo risultato da una campionatura? Bisogna creare delle procedure che consentano di fare ipotesi verosimili sulle zone su cui non abbiamo informazioni. 4.2. I tipi di ricognizione Per “ricognizione” noi intendiamo proprio l’insieme di tutte le tecniche che consentono di identificare siti sul territorio (in inglese “survey”). Queste tecniche non si escludono a vicenda, ma possono convivere nello stesso progetto. I. La ricognizione sistematica: è quella cui è dedicato questo libro. E’ la più diffusa nell’archeologia del Mediterraneo ed è anche quella che si presta meglio a una trattazione metodologica. Per definirla, diremo che è un’ispezione diretta, detta anche autoptica, di porzioni ben definite di territori sottoposti a coltivazione, e che garantisce una copertura uniforme e controllata di tutte le zone facenti parte del contesto. Si inizia dividendo il territorio in unità individuabili sulle carte (per es. i singoli campi coltivati) e si percorrono a piedi cercando manufatti o tracce di siti archeologici. Le squadre attraversano il campo per linee parallele e a intervalli regolari. Qualora si trovi un sito, i ricognitori si fermano e documentano le tracce presenti. Questo si può fare solo per i siti rappresentati da aree di manufatti nei campi coltivati. Se c’è una struttura in elevato, devi essere molto lontano per coglierla, e non camminarci sopra. II. Ricognizioni non sistematiche: ci riferiamo a indagini che non coprono una zona prefissata, ma punti del paesaggio che sembrano promettenti. I dati raccolti però non sono molto affidabili, visto che parte del terreno viene lasciato scoperto. Questa era usata fino agli anni ’50. Tuttavia è utile per sommità e costoni rocciosi, letti di fiume, foreste, paludi. Qui rinveniamo non aree di manufatti, ma ripari preistorici, tombe ipogee, ponti, strade, catacombe, cinte murarie, torri, castelli, caverne, ville, fattorie. E’ difficile delineare una metodologia seguita da chi fa queste ricognizioni. Inoltre, queste ricognizioni tendono a rinvenire quantità di siti con caratteristiche eccezionali, anche detti “siti particolari”. Questi, rivestono grande importanza soprattutto per periodi come l’alto medioevo, i cui siti sono identificabili se sopravvivono in elevato. III. Indagini sotto la superficie: le indagini geognostiche e i sondaggi. -Le indagini geognostiche sono quelle che analizzano proprietà fisiche e chimiche del terreno e forniscono informazioni sulla presenza di tracce archeologiche nel sottosuolo. Di solito la presenza di siti è indicata da anomalie nelle caratteristiche fisiche e chimiche del terreno: resistività, cioè nella capacità di condurre corrente elettrica; nel geomagnetismo, cioè nell’orientamento del campo magnetico, ecc. E’ possibile però ha questi segnali siano presenti per motivi insiti al sottosuolo, quindi è meglio usare queste tecniche laddove siamo già sicuri che ci siano presenze archeologiche, magari per precisarne i confini o l’articolazione interna, e non per nuovi siti. Fa eccezione l’impiego del georadar, strumento che fornisce profili a una profondità oltre i 10 m e copre ampie distanze: per questo viene usato il radar per localizzare siti preventivamente in zone minacciate da interventi edilizi. -I sondaggi invece sono piccoli scavi a distanza regolare che vengono affiancati alla ricognizione di superficie, con una tecnica definita shovel test (prova del badile). E’ stato introdotto da archeologi statunitensi per rinvenire siti in zone a scarsissima visibilità di superficie, come le foreste. Si praticano dei fori di piccole dimensioni (50 cm) a distanze ampie regolari (100 m) per creare una maglia uniforme da indagare. Non si fa uno scavo stratigrafico nei fori, ma si cercano solo manufatti in zone incolte (si ricrea la situazione prodotta dalle arature nelle zone coltivate). In genere, la frazione di area esposta è piccola rispetto al totale, quindi i risultati hanno suscitato dubbi sulla utilità di questa tecnica. IV. La ricognizione indiretta della foto aeree: questa tecnica riconosce tracce lineari sul territorio, come centuriazioni, viabilità, sistemi di canalizzazione, o per l’articolazione interna di grandi siti abbandonati. Anche quando con le foto aeree si scoprono siti nuovi, santuari, ville, ecc. bisogna che questi poi vengano indagati direttamente sul campo. La ricognizione indiretta spesso produce siti già definiti “particolari”. 4.2.5.La rappresentatività delle ricognizioni Tutte queste tecniche elencate finora si possono applicare solo a contesti i cui dati risultano omogenei e di cui possiamo conoscere la rappresentatività. Perché a volte dati di diverse tecniche posso deformare le informazioni vicendevolmente. 4.3. La progettazione di una ricognizione sistematica Per iniziare, vagliamo la bibliografia esistente, la cartografia disponibile, schediamo i siti già esistenti e facciamo una ricognizione preliminare anche non sistematica. Su questo quadro ottenuto, noi definiamo le metodologie i modi di operazione da applicare nella ricognizione che vogliamo intraprendere. Definiamo subito l’ambito geografico di interesse e l’intensità con cui deve essere indagato, perché c’è da considerare che più documentazioni molto analitiche consumano molte risorse e coprono superfici minori. Poi è opportuno stabilire l’ambito cronologico di interesse. Inoltre, se abbiamo già carte catastali è ottimo perché sono in scala 1.5000 o 1:10.000 e ci aiutano, altrimenti dovremmo addirittura modificare la strategia di ricerca o creare noi una carta ad hoc. 4.4 I confini della ricerca Per una ricognizione storica, la scelta del contesto rappresenta un problema. Se invece avessimo bisogno solo di una ricognizione finalizzata alla tutela, potremmo adottare un modulo uniforme di quadrati da 10 km di lato (come avviene per la Carta archeologica d’Italia, corrispondenti alle tavolette IGM): questo reticolo aggrega ovviamente zone eterogenee sia geograficamente che archeologicamente. Se invece il nostro obiettivo è la comprensione storica il discorso cambia, perché dobbiamo ridurre il territorio a una parcella amministrativa come un comune o un gruppo di comuni. Perché? Laddove ci sono confini naturali, etnici, ci sono differenze culturali, e se noi dobbiamo studiare lo sviluppo dell’insediamento umano in una unità geografica nelle medesime condizioni ambientali, non possiamo estendere la ricerca a un tratto di km troppo ampio. Quindi la ricerca deve andare su scala locale, quindi ad es. lo studio su città antiche o su regioni storiche ben delimitate. Le isole sono un caso a parte in quanto i suoi confini culturali coincidono con quelli geografici, quindi sono un contesto particolarmente adatto alla ricognizione per risolvere quesiti storici di periodi molto diversi. 4.4.2. Scelte cronologiche Il territorio può essere considerato come un palinsesto di superfici esposte di epoche diverse. Ne consegue che per indagare epoche particolari è necessario ricognire selettivamente le zone in cui esse sono rappresentate e soprattutto ricognire i dati relativi a quell’epoca bisogna cartografare le zone non visibile, almeno nella Forma Italiae, in modo da rendere noti i confini effettivi della copertura. Dire semplicemente che una zona sfugge al rilevamento di superficie non risolve il problema. Di solito queste zone (montagne, vallate, ecc.) sono disomogeneamente distribuite e non si possono ignorare: per es. una pianura con recenti depositi alluvionali può aver nascosto le tracce di un antico insediamento e a noi risulta disabitata. I fattori ambientali che influenzano la visibilità sono diversi: vegetazione, lavori agricoli, fenomeni geopedologici (accumulo, erosione). Il problema è separare i fattori culturali da quelli ambientali nello studio dei risultati. 5. LA RACCOLTA DEI DATI 5.2. La documentazione archeologica Ci sono diversi metodi ma spesso vengono combinati nello stesso progetto di ricerca. Siti e tracce particolari: per siti intendiamo le unità territoriali caratterizzate da una concentrazione di resti antropici che spiccano nel paesaggio (tombe, strade, ponti, acquedotti); abbiamo definito particolari quei resti di insediamenti rurali, interi centri abbandonati, fortificazioni, templi, teatri, anfiteatri, impianti idraulici, ecc. Questi siti possono essere rappresentati da fitta vegetazione che copre un castello medievale, ad es., oppure da materiale archeologico reimpiegato (parti di edifici antichi, colonne, ecc.). I tratti di muratura in situ indicano con certezza la presenza di una sito particolare. I toponimi sono molto importanti come indizio di un sito, perché ricordano un sito antico e contrassegnano punti notevoli del paesaggio. Ultima categoria di siti particolare è rappresentata da tracce lineari sul paesaggio (divisioni confinarie, canalizzazioni, centuriazioni): le linee che l’uomo traccia condizionano le strade odierne oppure compaiono come tracce nelle foto aeree (nella pianura padana si sono conservate le tracce di centuriazione nel paesaggio). La natura antropica di queste tracce è proprio il loro aspetto rettilineo. 5.2.2 Manufatti portati in superficie dai lavori agricoli L’adozione dell’agricoltura meccanizzata ha portato all’emergenza di materiale archeologico di tutte le epoche, essendo il riflesso di una colossale distruzione di stratigrafia archeologica. Anche nella zona arata può portare fuori materiali di un sito. L’indicatore archeologico però diviene meno leggibile, poiché i contadini rompono, aggrediscono i manufatti con le acque e raccolgono pezzi da clandestini. Così, gli archeologi della scuola britannica, negli anni 50, hanno iniziato le prime ricognizioni sistematiche e definito SITI questa distribuzione di manufatti nei campi coltivati (termine corrisponde indirettamente al popolamento antico, ma è da considerare più un’astrazione per classificare le tracce rinvenute). Poi, negli anni 70 sono state fatte delle aggiunte a questa definizione: il sito è una concentrazione anomala di manufatti rispetto alla dispersione di manufatti erratici che caratterizza molte aree coltivate. Per distinguere i siti dai materiali sporadici osserviamo la densità di manufatti (5 o 4) per metro quadrato: le concentrazioni che superano questo valore sono siti. Ma è sorto un problema: stabilire una definizione di sito quantitativa comporta trovarsi con manufatti di numero inferiore che non sono catalogabili come siti, e quindi cosa sono? Li avevamo definiti materiale erratico, ma essendo comunque materiale di indagine, anche se non indicano un sito sepolto, sono tracce di attività umana svolte aldi fuori dei siti, e per questo detti EXTRASITO (es. concimazione che avveniva spargendo nei campi letame in contenitori di ceramica poi abbandonata). Un ulteriore approccio è quello di abbandonare il sito come unità minima di raccolta di dati e considerare la distribuzione di manufatti sul territorio (metodo della ricognizione senza siti, detta NONSITO). Tuttavia è stato fatto un esperimento che riguarda la distribuzione di manufatti in un terreno agricolo: si sono distribuiti tali manufatti e tenuti d’occhio per qualche anno; si è visto che l’aratura li ha sgretolati e soprattutto che si sono dispersi in un’area di superficie maggiore rispetto a quella in cui erano stati messi. Questo vuol dire che la distribuzione di manufatti non rappresenta sempre il riflesso diretto della stratificazione sottostante, ma è da prendere con cautela. 5.3 La documentazione sistematica delle tracce archeologiche. Metodologie adottate: -Quadrettatura: I ricognitori passano sul terreno e raccolgono i manufatti che vedono, sia che siano appartenenti al sito che all’extrasito; questi vengono documentati e l’area riportata sulla carta archeologica. Per distinguere i primi manufatti dai secondi, viene adottato un criterio quantitativo: si stabilisce una soglia di densità di manufatti per unità. Le unità che contengono un numero di manufatti che oltrepassa la soglia è un sito. Tali unità hanno in genere forma quadrata o rettangolare. Questa operazione di tracciare caselle sul campo è detta quadrettatura. -Linee parallele: è più rapida della quadrettatura; i ricognitori camminano in linee parallele e a distanza esattamente uguale, senza deviare e raccogliendo i manufatti che trovano li tengono distinti linea per linea. Ogni striscia può essere divisa in più parti. Nel complesso ci dà l’idea rapida della distribuzione per l’individuazione del sito. Ogni ricognitore ha un contatore a scatto munito di bottone che viene pigiato ogni volta che si osserva un manufatto. Quando la densità oltrepassa il valore stabilito, si riduce la distanza tra i ricognitori. Possiamo quindi concludere che come tipi di indagine abbiamo quelle definite come ricognizione a livello di manufatto e quelle che adottano il sito come unità minima di raccolta dei dati. 5.3.2 Le carte archeologiche Sono quelle carte che riportano i siti presenti in un territorio. Recentemente si è proposto di suddividere la cartografia archeologica in: -Topografica: quella che rappresenta i monumenti nelle loro dimensioni reali. -Tematica: quella in cui i monumenti sono contrassegnati da simboli. Le carte archeologiche a scala 1.25.000 e 1:100.000 sono da considerare tematiche visto che non possiamo rappresentarvi topograficamente i siti. Questo problema viene ovviato dalla cartografia numerica applicata all’archeologia: consente di rilevare una struttura a una scala adeguata e di inserirla in un archivio cartografico complessivo. Da questo poi posso ricavare rappresentazioni del territorio a qualunque scala. In Italia per es. sarebbe utile avere una carta che riporta tutti i siti conservati in elevato; i siti particolari dovrebbero essere rilevati e agganciati a capisaldi topografici (catastali o dell’IGM) oppure si potrebbe ricorrere al GPS (il posizionamento satellitare) che consente di agganciare i rilievi senza usare capisaldi. Alcune evidenze archeologiche tuttavia non sono facilmente definibili, e per questo usiamo la cartografia per distribuzione di manufatti in unità geometriche piuttosto che con rilievi topografici. Oltre alla cartografia archeologica vi è la documentazione particolare per ogni sito rinvenuto. La scheda con tutte le informazioni necessarie è un tipo diffuso di documentazione infrasito. In Italia c’è un istituto che definisce i formati con cui raccoglier ei dati archeologici (ICCD, istituto centrale per il catalogo e la documentazione). Loro hanno pubblicato i prototipi e le norme per le schede. Esse si basano sul lavoro fatto per la schedatura dell’Ager Cosanus e poi rielaborato per il progetto Campi flegrei. La scheda è quella di MA (monumento archeologico) che si può applicare a ogni genere di sito, dai più complessi monumenti urbani ad aree rurali. Le voci della scheda sono: -posizione e denominazione del luogo; dalla cartografia si desumono le coordinate e la particella catastale in cui si trova il sito. Le strade di accesso a questo sito; -caratteristiche archeologiche varie, dimensioni, orientamento, tipi di manufatti e leggibilità del sito, tipo insediativo, interpretazione del sito. -rimandi a disegni, foto, bibliografie. Contesto ambientale in cui si colloca il sito: a queste informazioni è dedicata una scheda diversa, la scheda del Territorio, che riporta: naturale. Consentono il recupero di più manufatti. Di solito, sono usati per contrastare gli effetti della scarsa visibilità. -lo scavo: è il metodo più intenso di indagine infrasito. Costituisce lo sviluppo finale del processo di focalizzazione della ricerca su un sito. Ci sono ovviamente interazioni tra i risultati dello scavo e quelli della ricognizione. Per es. l’economia dei siti, la composizione sociale sono alcune delle problematiche che lo scavo può chiarire. 5.4. Cartografia non archeologica Carte di visibilità. Vengono fatte ex novo dal ricognitore, si tratta solo di riportare la visibilità incontrata al momento della ricognizione. Servono, durante l’elaborazione dei dati, a valutare l’effetto della visibilità sulla distruzione dei siti rinvenuti, per evitare condizioni della superficie fuorvianti al momento di interpretare la distribuzione dei siti. Per redigere questa carta, si fissa un valore assoluto compreso in una scala di visibilità predeterminata (da 1 a 5) oppure si usa un metodo descrittivo delle condizioni incontrate. La base ideale è il mosaico catastale al 5.000 o al 10.000. Il codice di visibilità rilevato lo riporti nella particella. Carte geopedologiche. Mentre fai la ricognizione ti può essere utile fare delle osservazioni sulla geologia e pedologia della zona. Ci si basa sulla cartografia geologica esistente, e le informazioni aggiuntive vengono apportate dai ricognitori (cave, bonifiche, discariche, erosione, accumulo alluvionale) se non sono presenti. Botanica e antropologia culturale. Altre osservazioni che può fare il ricognitore sono le potenzialità produttive della zona: le specie di alberi presenti, indice per es. dello sfruttamento del legname antico. L’antropologia culturale invece può affiancare la ricognizione per suggerire comportamenti umani antichi. Utile inoltre, è anche il diario del ricognitore per segnare ulteriori informazioni giorno per giorno. 6. L’ELABORAZIONE DEI DATI I risultati della ricognizione posso essere espressi sicuramente tramite la cartografia. La carta archeologica fornisce un esame impressionistico della documentazione, ossia permette tramite le note illustrative e la carta stessa di capire. Per rappresentare aree esatte di manufatti su carta archeologica non sempre è necessario riportarli su carta topografica, a volte può bastare la carta tematica. Fra le carte tematiche con cui elaborare dati ci sono le carte di fase che offrono potenzialità interpretative maggiori. Qui si riportano solo i siti e le tracce attribuibili a particolari periodi cronologici. Si fissa la durata dei siti (solo alcuni siti hanno breve durata) che si basa ovviamente sulla datazione del materiale rinvenuto in maggiore quantità e che è come minimo di qualche decennio. Può essere che il sito mostri due fasi, tra cui c’è un vuoto, quindi bisogna porvi attenzione. Idem quando anziché resti ceramici abbiamo un alzato: in questo caso guardiamo eventuali epigrafi, tecnica edilizia, fonti letterarie. Qualora un sito sia difficile da datare compare nella carta archeologica generale, ma è più difficile da attribuire alle singole carte di fase. In queste infatti troviamo tutti i siti che si ritiene siano stati occupati durante una fase relativa (sono sempre carte tematiche, quindi poi troviamo i simboli come siti e non in scala). I siti databili compaiono nelle carte di tutte le fasi. La loro funzione è quella di confrontare l’evoluzione del paesaggio e del popolamento nelle varie epoche, offrendo per ogni fase la densità della presenza. -Definizione delle fasi o periodizzazione: nella preistoria e protostoria vi sono già periodizzazione esistenti che agevolano il compito, il problema è per l’età storica in cui bisogna determinare da noi la fase che ci interessa. Ci sono della cautele da prendere in considerazione quando si fa un confronto tra carte di fase: ovviamente si devono confrontare siti che hanno più o meno la stessa durata, perché se confronto due siti con durata diversa avrò dati distorti, visto che è logico che quello con durata più lunga risulterà maggiormente popolato o con più siti. In ogni caso sono molte le distorsioni che possono provenire dalla carta di fase. -Tipologia dei siti: dopo l’elaborazione della carta di fase, si passa a identificare i tipi di sito e a mettere un simbolo diverso a seconda del sito (villa, casa rurale), ciò rappresenta un grado ulteriore di tematicità rispetto alle carte di fase. Ci sono siti che rientrano in due tipologie e siti che non rientrano in nessuna. In paesaggi con siti particolari e ricchi di dettagli specifici è meglio usare la carta topografica, che presenta i siti nelle loro strutture e senza ricondurli a tipi generali. Molte carte di fase contengono anche informazioni sul modo della raccolta dei dati e sulla presenza di siti anche se questi non sono stati mai ricogniti. Questo per evitare che zone non ricognitesembrino disabitate. Ne consegue che bisogna anche indicare l’estensione delle zone ricognite e visibili. Prima di passare a come vengono elaborati i dati, ci chiediamo: perché? cosa si vuole capire dalla distribuzione dei siti? La risposta è la configurazione dell’insediamento. L’archeologia processuale ha criticato questa impostazione perché secondo loro, più che alla configurazione dei siti, bisogna rivolgersi ai processi insediativi, cioè ai meccanismi che determinano quella distribuzione, secondo degli obiettivi: 1.conoscere la distribuzione dei siti, tramite la carta archeologica; 2.conoscere la densità dei siti per ogni fase; 3. il rapporto fra siti e ambiente, tramite la stratificazione ambientale del contesto, ma anche tramite tecnologie e ambiente: i modi di occupazione del territorio sono influenzati dalle caratteristiche dell’ambiente e della tecnologia, ma anche da complessi fattori culturali ed etnici; 4. rapporto dei siti fra di loro, tramite grado di aggregazione, sistemi sociali, ecc. Per quanto riguarda il rapporto tra siti e ambiente, si cerca di comprendere se i siti hanno una preferenza per particolari zone tramite la definizione della stratificazione ambientale: si suddivide il terreno in unità (dette strati) con caratteristiche ambientali simili e si studia il comportamento dei siti rispetto a questo mosaico. Così si capisce per es. se fortificazioni preromane sono quasi sempre su rocce gessose affioranti. Lo scopo è definire strati che mostrino forti differenze nella densità dei sti presenti. Il limite della stratificazione ambientale è considerare solo il punto preciso in cui si trova il sito; invece bisognerebbe considerare anche le zone circostanti, anche perché di solito il raggio di sussistenza degli abitanti è ricavato da terreni che si trovano a 2-3 km di distanza (si pensi a un pezzo di terra fertile circondato dal deserto, sarebbe insensato pensare che lì c’era una fattoria). Si è dimostrato che aree coltivabili nelle immediate vicinanze dei siti sono indispensabili alla sopravvivenza. Quindi c’è una tendenza da parte dell’uomo a scegliere bacini di approvvigionamento che comprendono unità ambientali diverse. Questo consente addirittura, di prevedere dove è possibile trovare un sito. 6.4 Analisi infrasito e a livello di manufatto Nel tempo questi metodi si sono innovati per intensificare l’indagine. Per es. viene rilevate la densità dei manufatti per unità o addirittura la posizione dei singoli manufatti e la stessa cosa anche nei metodi che elaborano i dati raccolti. Le carte di distribuzione modificate ad esempio riportano quantitativamente le parti del paesaggio in cui c’è stata attività umana. La solita cautela deve essere considerata in casi si poca visibilità, ma per sanare ogni dubbio si fa sempre riferimento a un coefficiente di errore. Nella carta vengono tracciate delle campiture che indicano le varie densità, altrimenti si possono anche tracciare delle curve di livello che racchiudono zone con la stessa densità di materiali. Si può fare anche una cernita e raggruppare i materiale a seconda della loro categoria di appartenenza: mensa, produzione alimentare, attività artigianale o agricola. Questo aiuta a trovare aree produttive del sito. successivo è vedere la quantità di questi manufatti per sito, distinguendo presenze più massicce o meno. Altro approccio a questo problema è l’analisi per irraggiamento di una categoria di manufatti da un punto del paesaggio: partendo dal luogo di produzione, o comunque da quello che ha più presenze, si studia l’irraggiamento nei territori circostanti di quel prodotto, che diminuisce man mano che ci allontaniamo a causa del progressivo aumento dei costi di trasporto. Da tenere in conto è che gli oggetti più pregiati tendono a viaggiare più lontano perché, avendo un costo maggiore, i costi del viaggio incidono di meno in percentuale. Per quanto riguarda l’analisi dei canali di diffusione delle merci, le vie di comunicazione, possono essere ricostruite con un esame informale degli indizi: tratti di strade, ponti, porti) oppure indicatori indiretti (fonti letterarie, centuriazioni). 7. L’EDIZIONE E LA NARRAZIONE Quando si pubblica un progetto di archeologia dei paesaggi bisogna che sia integrale, nel senso che devo essere presenti le tappe percorse, dalla ricerca alle scelte che si sono fatte, fino all’elaborazione dei dati. In realtà, quello che si può saltare è il catalogo delle unità stratigrafiche: è un eccesso di analisi. Al contrario, non devono mancare le Unità topografiche (UT) o monumento archeologico o sito, che corrispondono a migliaia di unità stratigrafiche (si pensi a una villa romana, un castello). Ci sono 4 livelli nell’edizione di un catalogo: I livello: è quello del grande catalogo o archivio di base, in cui abbiamo la descrizione delle UT. Primo livelli di edizione dei dati in cui stiamo solo dando informazioni. Le UT sono elencate in ordine di identificazione e per il momento non vengonointerpretate. Ad ogni UT diamo una definizione tipologica (casa rurale, villa romana, villaggio medievale) e può accadere che una sola UT abbia due o più siti archeologici insieme. II livello:si procede alla datazione: degli scavi con cocci ceramici possono aiutare in questo. Fatto ciò si può passare a un diagramma periodizzato dei siti archeologici, per giungere a quello più complesso che raccoglie tutti i siti archeologici di tutte le fasi. III livello: bisogna raggiungere due scopi essenziali, l’omogeneizzazione dei lemmi delle interpretazioni e la creazione di un archivio elettronico. Informatizzare diventa indispensabile quando abbiamo centinaia o migliaia di UT. I lemmi che si mantengono sono: indicazione della UT, descrizione, dimensione, interpretazione, elementi datanti, periodo e cronologia. Parallelamente vengono elaborate delle carte sincroniche accanto al catalogo sincronico. Cioè avviene uno smembramento del catalogo di II livello in una serie di cataloghi periodizzati. IV livello: si può ottenere così, se si vuole, il catalogo tematico delle ville romane, delle case medievali, delle miniere, ecc. e questo rappresenta uno spunto tematico per aspetti storico-archeologici che ampliano la ricchezza di un progetto. Problema della catalogazione di tutti i reperti trovati: alcuni (Carandini) sostengono che non bisogna elencarli tutti, soprattutto quando ci troviamo di fronte ad un numero molto grande di reperti. La soluzione più opportuna è avere un’edizione scientifica dei reperti che, senza perdersi in analisi tipologiche troppo profonde, resti agile e faccia cogliere i picchi, le anomalie, i fenomeni importanti.
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