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FABIO DEI ANTROPOLOGIA CULTURALE, Schemi e mappe concettuali di Antropologia

Che cos’è l’antropologia? Alla base della nascita dell’antropologia come scienza ci sono le ragioni politiche, ed è strettamente legata all’espansione politica delle nazioni europee sul resto del mondo e al colonialismo.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

In vendita dal 03/11/2022

NottoladiMinerva95
NottoladiMinerva95 🇮🇹

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Scarica FABIO DEI ANTROPOLOGIA CULTURALE e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Antropologia solo su Docsity! FABIO DEI ANTROPOLOGIA CULTURALE Che cos’è l’antropologia? Alla base della nascita dell’antropologia come scienza ci sono le ragioni politiche, ed è strettamente legata all’espansione politica delle nazioni europee sul resto del mondo e al colonialismo. L’antropologia è lo studio della natura, della società e del passato dell’uomo e mira a descrivere nel senso più ampio possibile cosa significhi essere uomini. Uno dei contributi più importanti dell’antropologia allo studio dell’evoluzione umana è stato quello di sottolineare la differenza tra evoluzione biologica (riguardante attributi e comportamenti trasmessi geneticamente) e evoluzione culturale (riguardante credenze e comportamenti non trasmessi geneticamente ma mediante l’insegnamento e l’apprendimento). Perchè il concetto di cultura è importante? Gli antropologi sostengono che la cultura è ciò che distingue la condizione umana da quella delle altre specie viventi. La cultura sono i modelli di comportamento e le idee che gli esseri umani acquisiscono in quanto membri della società insieme agli artefatti materiali e alle strutture che creano e usano. La cultura la apprendiamo dagli altri membri dei gruppi sociali ai quali apparteniamo. I bambini usano i loro corpi e cervelli per esplorare il mondo però altre persone si attivano per indirizzare le attività e l’attenzione dei bambini in particolari direzioni quindi non esplorano per tentativi ed errori ma il cammino viene illuminato per loro da altri. Nelle scienze sociali per questo processo plasmato culturalmente e socialmente si usano due termini: -socializzazione: processo in cui impariamo a vivere come membri di un certo gruppo e comporta la capacità di un’appropriata interazione con gli altri e di sapersi rapportare alle regole stabilite dal gruppo sociale. -inculturazione: sfide cognitive affrontate dagli esseri umani che vivono insieme quindi che devono venire a patti con i modi di pensare e sentire appropriati per le loro culture. Socializzazione-inculturazione: esperienza olistica, termine usato perchè i bambini imparano a agire, pensare, sentire e parlare contemporaneamente; produce un sé socialmente e culturalmente costruito capace di funzionare con successo nella società, è condivisa e appresa. Habitus: antropologo Bourdieu l’ha chiamato così questo apprendimento culturale influenzato dalle nostre interazioni con la cultura materiale( le buone maniere a tavola, ciò che è commestibile). Le culture umane sono caratterizzate da modelli cioè che credenze e pratiche culturali connesse tra loro fanno ripetutamente la loro comparsa in aree diverse della vita sociale. La variazione dei modelli culturali permette agli antropologi di distinguere tra “tradizioni culturali” differenti, sebbene le tradizioni culturali distinte siano difficili da individuare perchè le tradizioni culturali presentano tutte elementi contraddittori o che condividono con altre tradizioni; abitudini e costumi che vigono in un certo ambito della cultura possono contraddire quelli che vigono in un altro (religione ci fa condividere con il Pagina 1 di 53 prossimo invece l’economia di pensare a noi stessi), le persone hanno preso in prestito elementi culturali dai propri vicini ma molti rifiutano di essere limitati nel presente dalle pratiche culturali del passato. I modelli culturali possono servire come una nota stenografica ma i confini tra le tradizioni culturali sono sfumati. La cultura è appresa, condivisa e basata su modelli; le tradizioni culturali vengono ricostruite e arricchite di generazione in generazione perchè la sopravvivenza biologica umana dipende dalla cultura. La cultura è anche adattiva, i neonati non sono dotati di istinti che permettono loro di sopravvivere in maniera autonoma dipendono completamente dal sostegno/accudimento degli adulti e dei membri del gruppo ed apprendendo le pratiche culturali di chi li circonda che gli umani padroneggiano appropriati modi di agire e pensare per la sopravvivenza. La cultura ha carattere simbolico, un simbolo è qualcosa che sta per qualcos’altro, qualunque cosa facciamo nella società ha una dimensione simbolica e questa dipendenza dell’apprendimento simbolico distingue la cultura umana dall’apprendimento apparentemente non simbolico al quale si affidano altre specie. CULTURA UMANA: appresa, condivisa, basata su modelli, adattiva e simbolica; non è emersa tutta in una volta ma si è evoluta nel corso del tempo. La predisposizione umana contemporanea nei confronti della cultura è il prodotto di un’evoluzione lunga milioni di anni. Potts ritiene che la moderna cultura simbolica umana come le istituzioni sociali discendano da altre più elementari abilità emerse in momenti differenti nel corso del nostro passato evolutivo. Le scimmie antropomorfe possiedono apparentemente una rudimentale capacità di codificazione simbolica (rappresentazione) che possedevano anche i nostri antenati, le nuove specie possono sviluppare nuove capacità che non si riscontrano nei loro progenitori ciò è avvenuto nel passato umano quando i nostri antenati svilupparono per la prima volta l’attitudine alla rappresentazione simbolica complessa che comprende la capacità di comunicare sul passato, futuro e sull’invisibile. Questa abilità distingue il linguaggio simbolico umano dai sistemi vocali dei gorilla. L’antropologo Deacon sostiene che l’evoluzione abbia prodotto nell’ Homo Sapiens un cervello sovradimensionato per apprendere le associazioni simboliche. La rappresentazione simbolica complessa aveva un valore adattivo per i nostri antenati creando pressioni selettive che aumentavano nel tempo l’attitudine umana alla simbolizzazione. Le persone di un’altra cultura possono aiutarci a intravedere la possibilità di credenze e azioni in contrasto con tutto quanto la nostra tradizione considerata accettabile, diventando consapevoli di tali possibilità diveniamo persone diverse. Conoscere altre culture è promettente e rischioso e una volta che ciò avviene non possiamo più pretendere che una qualsiasi cultura abbia il monopolio della verità. La verità incorporata in qualunque tradizione culturale è destinata ad essere parziale, approssimativa e aperta ad altri intuizioni e sviluppi. Che cos’è il relativismo culturale? Nel corso delle ricerche gli antropologi devono imbattersi con le tensioni prodotte dalle diversità culturali. Il relativismo culturale può essere definito come la “comprensione di un’altra cultura nei suoi propri termini in maniera sufficientemente empatia da farla apparire come un progetto di vita coerente e dotato di senso”. Il fine del relativismo culturale è promuovere la comprensione delle pratiche culturali soprattutto quelle che uno estraneo trova disturbanti o incoerenti. Tali pratiche spaziano da quelle banali a quelle orribili. Cultura e ragionamento morale Una comprensione relativistica per esempio del taglio genitale femminile serve per più scopi, rende la pratica comprensibile e coerente, rivela come un procedimento fisicamente Pagina 4 di 53 pericoloso possa apparire accettabile e indispensabile quando è inserito in un particolare contesto di significato. Ci aiuta a vedere anche come pratiche culturali che diamo per scontate (perdita di peso, chirurgia plastica) tra le donne della nostra società siano ugualmente pericolose dalla clitoridectomia vittoriana alla chirurgia estetica del ventunesimo secolo. È stata la cultura a farglielo fare? Le donne sopportano pratiche “irrazionali” e dolorose solo perchè “glielo fa fare la loro cultura”? Per alcune persone questo tipo di spiegazione risulta plausibile o persino preferibile rispetto a spiegazioni diverse perchè assolve i singoli individui delle proprie responsabilità. Comprendere qualcosa non vuol dire approvarla o scusarla, quando le persone si imbattono per la prima volta in pratiche culturali sconosciute possono avvertire un senso di repulsione nei loro confronti ma a volte comprendendole meglio possono cambiare opinione e concludere che le pratiche in questione siano più adatte alle persone che l mettono in atto di quanto non lo sarebbero le proprie. Possono perfino ad arrivare a raccomandare di incorporare nella propria società pratiche che provengono da altre culture però può accadere anche il contrario. È possibile comprendere perfettamente la razionalità culturale sottesa a pratiche come la schiavitù, l’infanticidio, la caccia delle teste e il genocidio e tuttavia rifiutarsi di approvare simili pratiche. I membri di una società quanto gli estranei possono non trovare persuasive le ragioni addotte per spiegare queste pratiche oppure possono prefigurare sistemi che assicurino il risultato desiderato con metodi meno drastici. Il relativismo culturale rende il ragionamento morale più complesso, ogni tradizione culturale offre più di un modo per valutare l’esperienza. Trovarci a contatto con le interpretazioni di una cultura che non ci è familiare ci obbliga a riconsiderare in una nuova luce le possibilità che la nostra stessa tradizione riconosce e a ricercare le aree tanto di intersezione quanto in disaccordo. Il relativismo culturale scoraggia la facile soluzione di rifiutarci fin dall’inizio di considerare le alternative, inoltre non ci esime dal doverci confrontare con scelte difficili tra alternative in questo senso è una filosofia con i piedi per terra. La cultura spiega tutto ? In anni recenti il concetto di cultura è stato sottoposto a un riesame critico a seguito degli sconvolgimenti e riconfigurazioni a cui sono stati sottoposti i modelli di comportamento umani. Nel corso degli ultimi cinquant’anni molti antropologi hanno distinto tra Cultura e culture. Cultura è usato per descrivere un attributo della specie umana nel suo complesso: capacità dei suoi membri di creare e di imitare idee nell’assenza di una programmazione genetica specifica e attività organizzate in modelli e simbolicamente che promuovono la sopravvivenza della specie. Il termine culture è stato utilizzato per riferirsi a modi di vita particolari e appresi che appartengono a specifici gruppi di esseri umani. La cultura è un attributo qualificante della specie umana intesa nel suo complesso ma che in pratica gli esseri umani avrebbero accesso solo a particolari culture umane o alla propria o a quella di altre persone. Pagina 5 di 53 È stato messo in discussione il termine culture, gli antropologi l’hanno trovato utile non solo a livello analitico ma anche progressista sul piano politico. Il loro punto di vista riflette uno scontro sviluppato in Europa nel 19 sec: i sostenitori della civiltà universale e progressista dell’illuminismo inaugurata dalla rivoluzione francese e diffusa attraverso le conquiste napoleoniche incontrava l’opposizione di altre nazioni europee che resistevano sia a napoleone che all’illuminismo in nome di ciò che fu chiamato controilluminismo romantico. Gli intellettuali romantici della Germania rifiutavano l’imposizione della civiltà artificiale dell’illuminismo sulle tradizioni spirituali naturali delle loro culture nazionali. Questa dinamica politica che contrappone una civiltà che avanza verso le culture locali si estese ai successivi sviluppi dell’antropologia (nord-america). Fine del 19 sec ci fu l’espansione degli imperi coloniali europei così come l’espansione verso ovest e il consolidamento del controllo dei coloni europei in America settentrionale, in quello stesso periodo furono istituiti nelle università insegnamenti in scienze sociali. Gli antropologi divennero esperti di quelle società in cui i membri subivano una denigrazione razzista in quanto primitivi e i cui modi di vita venivano minati dal contatto con la civiltà coloniale occidentale. Gli antropologi era determinati a dimostrare che lo stereotipo del primitivo era falso. Tylor aveva definito la cultura o civiltà come quell’insieme complesso che include le conoscenze, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro di una società. Questa definizione aveva il pregio di vedere la differenze tra civiltà e cultura e incoraggiava il punto di vista secondo cui anche i primitivi possedevano capacità e abitudini che meritavano rispetto. Boas e Malinowski dimostrarono che i primitivi possedevano culture ragionevoli, ordinate, sviluppate sul piano artistico e disciplinate a livello morale. L’uso del plurale della parola cultura permise a loro di sostenere che i primitivi erano pienamente umani quanto le persone civilizzate. Verso la fine del 20 sec gli antropologi manifestarono preoccupazione su come veniva usato il concetto plurale di cultura, quel confine che prima proteggeva nelle situazioni di vulnerabilità stava apparendo simile al muro di prigione condannando chi si trovava al suo interno a vivere secondo la loro cultura così come avevano fatto i loro antenati. Se alcuni membri di un gruppo criticano una certa pratica (taglio genitale femminile) che fa parte della loro tradizione culturale significa che i critici non sono più membri “autentici” delle loro rispettive culture?La questione diviene non tanto quali tradizioni siano ereditate dal passato quasi che le culture “autentiche” fossero monolitiche e immutabili bensì quali pratiche tradizionali dovrebbero continuare a esistere nel mondo contemporaneo e chi può prendere tale decisione. I mutamenti della cultura e l’autenticità culturale Oggi vari gruppi ha incorporato l’uso del plurale del termine “cultura” nelle proprie auto-definizioni e gli antropologi difendono questa scelta considerandola molto utile e progressista. Inoltre altre discipline fuori dall’antropologia hanno inglobato la parola “cultura” nei propri vocabolari tecnici tutto ciò lo possiamo ponderare da un lato come misura del successo che le prime generazioni di antropologi hanno avuto nel dimostrare la rilevanza Pagina 6 di 53 del concetto cultura dall’altra che oggi la cultura viene usata in modi che gli antropologi trovano inappropriati ma che non sono in grado di controllare. La promessa della prospettiva antropologica Non è facile mantenere una prospettiva antropologica sulla condizione umana. Ci obbliga a mettere in dubbio gli assunti di senso comune che ci fanno sentire più a nostro agio. Aumenta la difficoltà che incontriamo quando ci troviamo di fronte a decisioni di ordine morale e politico e non ci permette una facile ritirata perché una volta esposti al tipo di esperienze che l'impresa antropologica rende possibili ci ritroviamo cambiati. Quando procedere diventa difficile non possiamo tornare indietro all’etnocentrismo se non in malafede in pratica l'antropologia ci garantisce di complicarci la vita, nonostante ciò la prospettiva antropologica ci offre un'ampia comprensione della natura umana e del mondo in Obiettivo della teoria positivista: produrre una conoscenza oggettiva, una conoscenza della realtà che sia vera per tutti in qualsiasi epoca e luogo. Gli antropologi furono impressionati dai successi nelle scienze fisiche che usavano metodi positivisti. Lo scenario prototipico della ricerca scientifica prevede lo studio di “scienze dure” intento a lavorare in un laboratorio. Che cosa non andava del positivismo ? Il ripensamento della ricerca sul campo portò a prestare un’attenzione più accurata alle dimensioni etiche e politiche delle relazioni che gli antropologi stabiliscono con le persone di cui studiano il modo di vita e che vengono definite informatori. Gli antropologi che vogliono fare ricerca sul campo di natura scientifica non possono evitare di accorgersi che condividono con loro oggetti di studio comuni; gli esseri umani hanno obblighi etici verso gli altri esseri umani, i fattori politici possono complicare le relazioni che gli etnografi sono in grado di sviluppare con i loro informatori. Gli antropologi devono considerare i propri informatori come esseri umani a tutti gli effetti, e sia l’antropologo che gli studiosi devono apprendere l’uno dall’altro e gli antropologi devono vedere se stessi come esseri umani e che il coinvolgimento umano con i propri informatori è essenziale per la comprensione interculturale. Per questo gli antropologi si devono porre delle domande e non possono più accettare gli assunti fondamentali della ricerca positivista. Rifiutare il positivismo trasforma la ricerca sul campo in impressioni soggettive sugli altri? Gli antropologi dicono no perchè la ricerca sul campo è un dialogo tra gli etnografi e i loro informatori ed il fatto che entrambi siano esseri umani implica il fatto che lo scienziato e l’oggetto di ricerca possiedono entrambi un’intelligenza indagatrice. Gli etnografi si impegnano in conversazioni reali con i loro informatori e questi dialoghi sono tentativi collaborativi di capire e classificare le cose e di metterle insieme con criterio. Il risultato se riesce è una nuova visione del mondo che sia l’antropologo che l’informatore possono condividere ciò vuol dire che i dati raccolti sono intersoggettivi (prodotto di lunghi dialoghi tra ricercatore e informatore). Al centro della ricerca sul campo ci sono significati intersoggettivi che gli informatori condividono. L’approccio riflessivo può sostituire il positivismo? I significati intersoggettivi sono pubblici, per renderli esplica l’antropologo e l’informatore devono esaminarli criticamente, devono riflettere sul modo in cui i membri di una certa cultura concepiscano le proprie vite, questo riflettere è detto riflessività che l’esperienza sulla ricerca sul campo in antropologia culturale è un’esperienza riflessiva. Pagina 9 di 53 Una ricerca sul campo riflessiva deve tener conto della raccolta informazioni dettagliate ma presta attenzione anche al contesto etico e politico della ricerca, al retroterra dei ricercatori, al coinvolgimento degli informatori e alle relazioni collaborative e tutto questo forma la conoscenza antropologica. La ricerca sul campo riflessiva considera più informazioni rispetto a quella positivista per produrre conoscenze sugli esseri umani che abbiano una validità scientifica. Gli etnografici si sono resi conto che l’attendibilità delle loro conoscenze sulle altre culture dipende dal riconoscimento delle dimensioni etiche e politiche della ricerca sul campo e dalla consapevolezza delle modalità su cui questi aspetti hanno plasmato quel sapere. La conoscenza etnografica modellata dalla riflessività dell’etnografo è una conoscenza situata ovvero che l’etnografo renda esplicita la sua identità. La riflessività promuove l’esplicito riconoscimento che qualsiasi resoconto etnografico deve essere concepito come una coscienza situata, prodotta sulla base di conoscenza parziali di specifici etnografi che lavorano con gli informatori le cui relazioni sono plasmate dai contesti etici e politici. L’adozione del metodo riflessivo ha avuto implicazioni di vasta portata sulle modalità con cui gli antropologi conducono le loro ricerche. Questi studiosi si considerano scientificamente e eticamente obbligati a rendere pubblico il modo in cui hanno raccolto i dati. Alcuni antropologi dicono che si deve condividere con gli informatori anche le conclusioni e includere le riflessioni dei propri informatori su tali conclusioni. La ricerca sul campo può essere multisituata? I cambiamenti che hanno coinvolto tutto il mondo hanno portato molti antropologi a concludere che le loro conoscenze etnografiche sarebbero state incomplete se avessero circoscritto la ricerca ad un unico contesto anche qualora fossero rimasti fedeli alla prospettiva riflessiva. Gli sviluppi conosciuti dall’antropologia e da altre scienze sociali affini hanno lasciato intendere che se gli etnografi non si fossero esplicitamente sforzati di situare la propria opera in un contesto globale avrebbero perso di vita fattori importanti. Successivamente gli antropologi cominciarono ad integrare le loro raccolte di dati con ricerche di archivio per situare storicamente la società con cui entrano in contatto inoltre incominciarono a rivedere il proprio modo di concepire gli ordinamenti sociali e le concezioni culturali esistenti considerandoli come prodotti della risposta attiva alle espressioni esterne. Tale lavoro rinforzò l’attenzione rivolta all’agency degli informatori, enfatizza dall’approccio riflessivo, stimolò la sensibilità nei confronti dei modi in cui i contesti di ricerca particolari si connettevano al mondo globale. Gli etnografici cominciarono a interpretare i dati che raccoglievano sul campo contestualizzandoli nell’ambito delle divisioni territoriali internazionali a loro volta concepite come prodotti della storia della conquista coloniale e dell’espansione capitalista europee. Intorno ai primi anni novanta ci sono stai stravolgimenti politici ed economici in tutto il mondo in grado da stimolare un’ondata migratoria su scala internazionale. In questo contesto gli antropologi cominciarono a sviluppare un nuovo approccio all’etnografia chiamato ricerca sul campo multisituata dove gli etnografi si concentrano su processi culturali non circoscrivibili entro confini sociali, etnici, religiosi o nazionali. Pagina 10 di 53 Gli etnografi dell’approccio multisituato seguono persone, cose, metafore, storie e vite. Muovendosi da un sito all’altro situando ogni volta se stessi in ciascun nuovo contesto gli etnografi sono stati in grado di sviluppare prospettive multiple sui loro oggetti di ricerca, sulle persone con cui hanno lavorato e su sé stessi in quanto osservatori situati. Gli etnografi che accumulano una serie di prospettive parziali chiamato “posizionamento mobile” e adottando tanti punti di vista diventa possibile rivelare contraddizioni ma anche stabile solide analogie tra le differenze che sono forme di forte oggettività. Che cos’è la dialettica della ricerca sul campo? La ricerca sul campo è rischiosa può offendere i propri informatori e affronta lo shock dell’inconsueto e la propria vulnerabilità ma questo bisogna accettarlo e tenerlo a bada per ottenere una qualsiasi comprensione significativa della cultura dei propri informatori. Inizialmente chi fa ricerca sul campo può sentirsi rassicurato da alcune intenzioni dato che tutti gli esseri umani appartengono alla stessa specie biologica, questo può aiutarli a combattere gli impulsi etnocentrici rammentando loro che se ciò che osservano sembra strano o irrazionale è perchè non lo comprendono. Agar usa l’espressione punti ricchi per definire i momenti inattesi in cui emergono problemi nella comprensione interculturale. I punti ricchi possono essere parole o azioni che segnalano lo scarto tra gli assunti inconsapevoli della gente del luogo su come funziona il mondo e quelli dell’antropologo. Gli etnografi lavorano duramente per situare i punti ricchi all’interno del mondo culturale locale sottoponendo a continua verifica le proprie interpretazioni in una varietà di contesti e con persone diverse per vedere se quelle interpretazioni trovano o meno conferma. In che modo interpretazione e traduzione sono aspetti importanti della ricerca? Abbiamo bisogno di una forma di interpretazione basata sulla riflessività. Per l’antropologo sul campo il compito dell’interpretazione è arrivare a comprendere il sé culturale passando per la comprensione dell’altro culturale. Gli antropologi e gli informatori coinvolti nell’osservazione partecipante condividono la situazione stessa della ricerca sul campo, si trovano faccia a faccia osservando e discutendo gli stessi oggetti e le stesse attività. All’inizio parlano senza capirsi poi discutono permettendo l’antropologo e all’informatore di andare alla ricerca di modi per comunicare riguardò a ciò che sta avvenendo intorno a loro. Le sovrapposizioni o intersezioni può costituire la base su cui l’antropologo e informatore possono costruire un nuovo comune linguaggio simbolico e intersoggettivo. Questo processo di costruzione di un ponte di comprensione tra sé e l’altro è ciò che Rabinow definisce la dialettica della ricerca sul campo. Sia il ricercatore che l’informatore possono avviare questa impresa avendo alle spalle nessuna esperienza condivisa che permetta loro di farsi un’idea accurata l’una dell’altro, se sono intenzionati a capirsi potranno dare un’interpretazione valida e una comprensione reciproca. La ricerca sul campo inizia raccogliendo dati, poi l’antropologo preparato arriva sul campo avendo già in mente forme di organizzazione sociale. Queste idee derivano in parte dall’esperienza personale dell’antropologo in fatto di relazioni sociali ma si baseranno anche sulla ricerca e sulle teorizzazioni di altri antropologi in materia. Pagina 11 di 53 Una buona etnografia oltre a convincere i suoi lettori sul piano intellettuale dovrebbe permettere loro di sperimentare l’umanità degli informatori. L’opportunità di fare esperienza dell’altro non capita facilmente va coltivato ed esige cooperazione e impegno sia da parte nostra che dagli informatori. L’etnografia multisituata può complicare può complicare il quadro proponendo simultaneamente ritratti ricchi e documentati basati sulla ricerca sul campo di altre persone che vivono altre vite. Pagina 13 di 53 Nei migliori scritti etnografici si può cogliere l’umanità, l’avidità, la compassione, la sofferenza, il piacere elementi di confusione e ambivalenza delle persone che hanno concesso all’antropologo di vivere con loro per un lungo periodo di tempo. Da dove viene la conoscenza antropologica? L’antropologo Hess definisce come fatto un’osservazione ampiamente accettata, un elemento della conoscenza comune dato per scontata. Come si produce la conoscenza? I fatti sono fenomeni complessi, da un lato asseriscono la verità di un certo stato di cose dall’altra l’analisi riflessiva ci insegna che è importante sapere chi ci dice che x è un fatto perchè i fatti non parlano da soli ma devono essere interpretati a posti in un contesto che li rende intangibili. I fatti dell’antropologia sono interculturali perchè sono prodotti attraversando confini delle culture. I fatti sono costruiti e ricostruiti sul campo quando i ricercatori riesaminano le note di campo e riflettono sull’esperienza vissuta e quando scrivono le loro esperienze o le discutono con altri. Il lavoro sul campo è lavoro quindi bisogna prendere appunti, condurre interviste, fare osservazioni, formulare interpretazioni. Secondo Wolcott ciò che rende l’esperienza della ricerca sul campo qualcosa di diverso dalla semplice esperienza e la trasforma in etnografia è ciò che gli antropologi fanno con i dati. La ricerca sul campo multisituata arricchisce questa esperienza e la complica perchè comporta l’essere qui e là e passando da una località all’altra nuovi fatti catturano l’attenzione aggiungendo uno strato in più a quel pensare. La conoscenza antropologica è illimitata? L’impresa etnografica non avrà mai fine. Il metodo antropologico secondo B. Malinowski Il lavoro etnografico percorre tre strade: 1. Organizzazione della tribù e l’anatomia della sua cultura (registrare in uno schema solido e chiaro). 2. All’interno di questa struttura vanno inseriti gli imponderabili della vita reale e il tipo di comportamento (raccolti attraverso osservazioni dettagliate in forma di diario). 3. La raccolta di affermazioni etnografiche, narrazioni caratteristiche, espressioni tipiche. Obiettivo finale: bisogna afferrare il punto di vista del nativo, il suo rapporto con la vita e la visione del suo mondo. Diario di campo: i dati sull’esperienza di campo vengono registrati nel diario etnografico (scritto ogni giorno a caldo e carico di soggettività) che non è destinato alla pubblicazione. Per un’etnografia dei processi educativi: - definire il campo - posizionamento dello sguardo e dislivelli di potere (es. dalla cattedra vs dai banchi) - Osservare partecipando (l’insegnante come mediatore fra culture) - Includere l’osservatore nell’osservazione - Descrivere è già interpretare - Dal diario al testo etnografico Pagina 14 di 53 - Esempi di etnografie nei contesti scolastici CAPITOLO 4: COM’E’ CAMBIATO NEL TEMPO IL PENSIERO ANTROPOLOGICO SULLA DIVERSITA’ CULTURALE? Capitalismo e colonialismo Capitalismo: un sistema economico dominato da quel meccanismo di domanda-offerta- prezzo che viene detto mercato; un intero modo di vita sviluppatosi in risposta e in servizio di tale mercato. Colonialismo: dominazione culturale che ha imposto cambiamenti sociali. L'antropologia si affermò come disciplina universitaria nel 19º secolo, al culmine dell'espansione coloniale europea specializzandosi nella ricerca su società che erano già diventate territori dominati dagli imperi europei o lo sarebbero diventati presto. Negli Stati Uniti l'attenzione si concentrò sugli abitanti indigeni del continente. La storia moderna dell'Occidente è stata caratterizzata dall'ascesa del capitalismo (nuovo tipo di economia) il cui sviluppo venne incentivato dal commercio e dalle conquiste la cui metafora chiave è che il mondo è un mercato e qualsiasi cosa esista ha un prezzo e può essere comprata. Prima del contatto con l'Occidente una tale visione era sconosciuta nelle società non capitalistiche anche in quelle che avevano istituzione economiche altamente sviluppate. La penetrazione capitalistica europea nelle società non occidentali è stata frequentemente seguita dalla conquista politica (colonialismo) che ha rimodellato le società sottomesse in modo tale da promuoverne lo sfruttamento economico (es miniere e piantagioni). Gli imperi coloniali hanno riunito economicamente e politicamente aree del mondo molto vaste che in precedenza non avevano tra loro alcun collegamento. I popoli colonizzati per operare in maniera efficace nell'ordine capitalista mondiale hanno dovuto cominciare a vedere il mondo con magazzino di potenziali merci. Colonialismo e modernità e l’economia politica coloniale Nelle colonie, l’essere moderni è stato concepito come la semplice adozione di pratiche e della visione del mondo del capitalismo occidentale. Di conseguenza i cosiddetti popoli rurali arretrati finirono per essere o coloro che sfuggivano al capitalismo o coloro che attivamente vi si opponevano. Le città erano centri di commercio e le aree rurali erano fonte di materie prime per l’industria. I sistemi instaurati dalle autorità coloniali per estrarre le materie prime disgregarono le comunità indigene e ne crearono di nuove. La mano d’opera per queste attività veniva spesso reclutata con la forza, tra le popolazioni locali. Economia politica: termine olistico che pone l’accento sulla centralità dell’interesse materiale (economia) e sull’uso del potere (politica) per proteggere e promuovere quell’interesse. Dal momento che l’ordine coloniale si concentrava sull’estrazione di ricchezze materiali, si può dire che la ragione della sua esistenza era di natura economica. Le popolazioni che gli antropologi avrebbero in seguito studiato non sfuggirono a processi storici della colonizzazione e dell’assimilazione economica capitalistica mondiale. Si tentò di reintegrare i gruppi indigeni, che avevano perso la loro autonomia, nella nuova economia politica coloniale. Nel corso dei contatti commerciali e politici tra popolazioni Pagina 15 di 53 indigene ed europei si formarono molti nuovi gruppi. Il fatto che continuino ad esistere i discendenti di popoli colonizzati dimostra che i popoli conquistati possono attivamente far fronte alle difficoltà e riorganizzare le proprie identità sociali a dispetto dell’oppressione e dello sfruttamento. L’antropologia e l’incontro coloniale Quando l’antropologia emerse come disciplina formale nell’ultima parte del diciannovesimo secolo, il contesto del colonialismo europeo e euroamericano era una realtà onnipresente entro cui gli antropologi erano obbligati a operare. Molti speravano che lo smantellamento degli imperi coloniali dopo la Seconda guerra mondiale avrebbe restituito sovranità e dignità ai popoli colonizzati. L’indipendenza, però, non liberò le ex colonie dai profondi legami neocoloniali che le univano ai loro ex padroni. In America settentrionale e altrove, gruppi di indigeni continuano a perseguire una giustizia sociale che li ripaghi delle perdite subite a causa della colonizzazione. Neocolonialismo: persistenza di complessi intrecci sociali ed economici che legano gli ex territori coloniali ai loro passati dominatori, a dispetto dell’acquisita sovranità politica. Variabilità culturale umana In che modo il mutare dei contesti storici ha modellato le teorie concepite dagli antropologi per spiegare la variabilità delle culture umane? 1. Molte delle società studiate dagli antropologi non conducevano una vita fuori dal tempo e sempre uguale a se stessa, indifferente alla presenza di altri popoli e specialmente degli europei. I modelli culturali che osserviamo sono stati ovunque condizionati dall’arrivo degli europei o dalle trasformazioni del mondo messe in moto dalla diffusione del capitalismo e del colonialismo europei. 2. Di fronte a queste forze esterne molti gruppi definirono nuove identità ed escogitarono nuove forme sociali per gestire gli effetti del contatto e della conquista. 3. Le società umane continuano a generare e a conservare un’impressionante varietà di forme culturali in risposta alle mutevoli circostanze che la vita impone loro. Le circostanze storiche che hanno ruotato attorno al contatto tra gli antropologi e coloro con i quali hanno lavorato chiariscono in maniera illuminante l’insieme delle tipologie utilizzate dagli antropologi durante l’ultimo secolo e mezzo per dare un senso alla variabilità culturale umana. A seconda degli scopi analitici che l’antropologo si prefiggeva, le stesse forme sociali potevano essere classificate in modi differenti. sociali all’interno della tribù sono relativamente egualitarie, anche se può esservi un capo che parla a nome del gruppo o ne organizza le attività. 2. Sistemi politici centralizzati (regimi dei capi-stato): mostrano un centro istituzionalizzato di autorità, quale un capo (chief) o un re. Questi sistemi implicano anche una gerarchia, alcuni membri della società centralizzate godono di maggior prestigio, potere o ricchezza rispetto ad altri membri. Si dividono in due: • regimi dei capi (chiefdom): forma di organizzazione sociale nella quale il leader (chief) e i suoi parenti stretti sono distinti dal resto della società e godono di accesso privilegiato alla ricchezza, al potere e al prestigio; • stato: società stratificata che possiede un territorio difeso dai nemici esterni con un esercito e dai disordini interni con una polizia. Uno stato, che comprende un insieme separato di istituzioni governative destinate a far valere le leggi e a esigere le tasse e i tributi, viene retto da un élite che esercita il monopolio nell’uso della forza. Teoria struttural-funzionalista (Radcliffe-Brown 1930-1940): posizione teorica che esplora come funzionino di giorno in giorno particolari forme sociali al fine di riprodurre la struttura tradizionale della società. Fare a meno delle tipologie Tratti culturali: particolari caratteristiche o elementi di una tradizione culturale (danza, rituale, stile). Area culturale: zona di prestito, ovvero di diffusione, di un particolare tratto o insieme di tratti culturali. Seguendo Franz Boas (considerato il padre dell’antropologia americana), gli antropologi nordamericani rifiutarono l’evoluzionismo culturale unilineare in base alla constatazione che le società potevano facilmente prendere e dare in prestito forme culturali, saltando in tal modo i presunti stadi evolutivi universali. L’attenzione dei boasiani per le forme di mescolanza sociale e culturale mise anche in luce la mescolanza biologica che sempre si verifica quando i gruppi umani si incontrano, offrendo così un contesto entro cui gli antropologi biologici furono finalmente messi in condizione di dimostrare che le razze biologiche non esistono. Di conseguenza, lo scopo di gran parte delle ricerche si orientò verso l’elaborazione di elenchi di tratti culturali e la mappatura delle aree culturali attraverso cui tali tratti si erano diffusi per effetto del prestito culturale, ignorando i confini che delimitavano le singole società. Biologia della variabilità umana Pagina 19 di 53 Macroevoluzione: si focalizza sui mutamenti evolutivi a lungo termine, specialmente sulla genesi di nuove specie e sulla loro diversificazione nello spazio, nel corso di milioni di anni. Microevoluzione: si concentra sui cambiamenti evolutivi a breve termine che si verificano nell’ambito di una data specie nell’arco di un numero relativamente ridotto di generazioni. Gli studi microevolutivi nell’ambito della biologia evoluzionistica furono resi possibili dalla sintesi moderna, una fondamentale innovazione teorica raggiunta negli anni 1930-1940, che integrava la genetica e la selezione naturale darwiniana nel vasto quadro della genetica di popolazione. Dopo la Seconda guerra mondiale i “nuovi antropologi fisici” (antropologi biologi) abbandonarono la vecchia antropologia fisica basata sulle “razze” e cominciarono a utilizzare concetti e metodi attinti alla genetica di popolazione per affrontare questioni concernenti i modelli di variazione biologica nella specie umana nel suo complesso. Specie: comunità riproduttiva di popolazioni (riproduttivamente isolate dalle altre) che in natura occupa una specifica nicchia. La capacità degli esseri umani di riprodursi qualsiasi sia la loro provenienza, testimonia la nostra appartenenza a un’unica specie. I genetisti hanno inoltre dimostrato che la maggior parte dei geni si presenta in varie forme, dette alleli. La genetica delle popolazioni ha dimostrato che la variabilità genetica delle popolazioni umane è per lo più una questione di differenze nelle proporzioni relative dello stesso insieme di alleli e che la distribuzione di particolari fenotipi si modifica gradualmente da un luogo all’altro attraverso le popolazioni, dal momento che le frequenze di alcuni alleli aumentano, mentre quelle di altri diminuiscono o rimangono invariate. I confini che si diceva definissero le razze umane sono stati imposti culturalmente su raggruppamenti mutevoli e instabili di alleli. Inoltre la distribuzione di taluni tratti (colore della pelle) non si accorda con quella di altri (tipo di capelli). Fenotipi: caratteristiche esteriori, osservabili e misurabili, di un organismo. I contrasti fenotipici sono massimi quando vengono raggruppate e comparate persone provenienti da luoghi molto diversi, ignorando le popolazioni intermedie che le collegano. Geni differenti entrano in gioco nella produzione di tratti fenotipici simili in popolazioni diverse. L’identità e il numero di alleli che concorrono a generare un tratto fenotipico possono differire da una popolazione all’altra. Cline: graduale intergradazione della variazione genetica da una popolazione all’altra. I biologi evoluzionisti sostengono che questa distribuzione del colore della pelle sia un effetto della selezione naturale. Pressioni selettive di natura differente potrebbero però aver operato, nell’ambito della medesima popolazione, su altri tratti (es. statura, capelli), motivo per cui le distribuzioni geografiche di tali tratti non corrispondono chiaramente a quella della colore della pelle. Pagina 20 di 53 Frank Livingstone (prove dell’intergradazione nei fenotipi umani): la variazione clinale spiega perché coloro che vanno in cerca delle razze non siano mai stati in grado di mettersi d’accordo su quante razze ci siano e su come possano essere identificate. I clini non sono gruppi. L’unico gruppo coinvolto nella mappatura clinale è l’intera specie umana. Ciascun cline è una mappa della distribuzione di un singolo tratto. Le distribuzioni dei tratti mappati non coincidono con nette suddivisioni in sottopopolazioni umane distinte. Realtà postcoloniali Con la fine del colonialismo sono apparse nuove classificazioni, poiché i popoli del periodo precedente divenivano ora cittadini di stati post coloniali. Durante la Guerra fredda nacque una nuova suddivisione degli stati nazionali in Primo, Secondo e Terzo mondo e il contrasto tra le “società sviluppate” del Primo mondo e le “società sottosviluppate” del Terzo. Nonostante alcuni antropologi si siano sempre sentiti a disagio con tali distinzioni, queste sono divenute ancora più problematiche al termine della guerra fredda nel 1989. Sebbene alcuni antropologi trovino tuttora utili certe tipologie ai fini di particolari indagini, la maggior parte oggi non si propone più come scopo finale la classificazione sulle forme di società. Situare i processi culturali nella storia Di recente, gli antropologi hanno esplorato nuovi modi di analizzare la diversità culturale in contesti storici in costante cambiamento. Etnografia di John e Jean Comaroff sugli Tswana del Sudafrica: i Comaroff hanno evidenziato le connessioni storiche precoloniali esistenti tra gli Tswana e i loro vicini e hanno ricostruito i primi incontri avvenuti durante il periodo coloniale e postcoloniale tra gli Tswana e i missionari protestanti scozzesi, oltre a quelli con le imprese capitaliste. Hanno anche prestato attenzione etnografica e storica ai vincoli che si sono stabiliti tra i missionari e le stesse imprese coloniali. La loro etnografia mostra come una serie di piccoli cambiamenti che si sono verificati sul lungo periodo abbiano prodotto effetti di vasta portata per i contemporanei Tswana e del Sud Africa sia sul piano sociale che politico e culturale. Particolarmente utile è stata l’attenzione rivolta al ruolo fondamentale delle nuove forme di cultura materiale e dalle pratiche che sono state introdotte presso gli Tswana dagli stranieri provenienti dall’Occidente. Analisi dei processi culturali durante la globalizzazione Globalizzazione: rimodellamento delle condizioni di vita locali a opera di potenti forze globali che agiscono con sempre maggiore intensità. Dopo la fine della Guerra fredda nel 1989, la caduta del comunismo e la diffusione del capitalismo in ogni parte del mondo hanno avuto profondamente ripercussioni sulle comunità studiate dagli antropologi e sulle condizioni in cui viene condotta la ricerca etnografica. Questi cambiamenti, a cui si fa complessivamente riferimento con il termine globalizzazione, implicano l’intensificazione dei flussi di ricchezze, persone, cose, immagini e ideologie, un’intensificazione resa possibile dai progressi raggiunti nel Pagina 21 di 53 campo dei trasporti, della produzione e delle tecnologie della comunicazione. La globalizzazione viene concepita in modo diverso a seconda dei soggetti: alcuni gruppi in certe parti del mondo beneficiano dei flussi globali, dei contatti e degli scambi, mentre alti ne sono completamente esclusi. Oggi sarebbe difficile trovare un qualsiasi progetto di ricerca nell’ambito dell’antropologia culturale contemporanea che non finisca in qualche modo per dare rilievo ai modi in cui i processi globali influenzano le comunità locali in cui si lavora. Gli antropologi si focalizzano sui dettagli storicamente definiti relativi agli effetti dei processi di globalizzazione sui contesti locali. Antropologia della scienza, della tecnologia e della medicina I flussi globali di tecnologie e merci hanno spinto gli etnografi a estendere i loro interessi ad argomenti e contesti che non erano mai stati presi in considerazione dalla ricerca etnografica portata avanti per gran parte del ventesimo secolo. Particolarmente rilevante è stato lo spostamento degli antropologi culturali verso campi come l’ingegneria informatica o verso Lo sport è lotta per amore della lotta, gli atleti e le squadre esistono solo per essere rivali ed è questo il punto della loro relazione. Lo scopo dello sport è giocare e vincere a differenza dei rivali del mondo reale che hanno fini politici, economici o sociali opposti e i concorrenti devono essere protetti. Come si relazionano cultura e sport? Lo sport è sicuramente un gioco, rispecchiano i valori di fondo del contesto culturale in cui sono praticati e nel momento in cui li si traduce in un nuovo contesto culturale vengono trasformati. Com’è organizzato lo sport nello stato nazionale? Secondo Lever la caratteristica più importante dello sport nello stato nazionale è quella di favorire la coesione in seno alle moderne società complesse. Lever dice che lo sport organizzato su vasta scala costituisce un meccanismo che porta a costruire l’unità politica e la fedeltà della nazione. La capacità dello sport di rafforzare le divisioni in seno alla società e al tempo stesso di trascenderle fa dello sport il mezzo perfetto per ottenere una più perfetta unità tra molteplici gruppi. Spesso i campionati a livello cittadino e nazionale unificano i diversi gruppi che si distinguono nella società sia dal punto di vista socioeconomico che geografico. Per molti popoli del mondo sostenere una squadra (di calcio per esempio) può essere la prima e forse l’unica a comportare una lealtà che travalica la comunità locale. L’unità dimostra che le diverse squadre e i gruppi che esse rappresentano sono in conflitto su un certo piano ma sono uniti a livello più alto. La segregazione di genere nell’ambito dello sport ha conseguenze significative in rapporto all’esperienza del crescere come maschi o come femmine inoltre influenza anche nella vita le relazioni tra uomini e donne che non condividono le stesse esperienze. Gli sport uniscono in un certo piano ma la dividono su un altro. Lo sport come metafora Perchè il calcio? Bromberger dice che il calcio affascina perchè mette a nudo il modo in cui procede una partita, una competizione, somiglia all’incerto destino delle persone nel mondo contemporaneo. La combinazione di regole che ne definiscono lo stile conferisce a questa incertezza una sensazione di accettabilità. Pagina 24 di 53 Il risultato di una gara o di un torneo, gli alti e bassi di una squadra nel tempo possono essere metafore della fragilità e della mobilità sia della condizione individuale che quella collettiva. La complessità e i cambiamenti improvvisi nel corso della partita vengono definiti la scorciatoia verso le gioie e i drammi della vita. Un incontro o una stagione del campionato oltre al successo in base al merito mettono in scena anche le incertezze che discendono da strategia, fortuna, legge e ingiustizia sotto forma di arbitraggio, furbizia, slealtà permettendo al tifoso di paragonare i giocatori, riflettere, progettare, formulare strategie e rimanere sorpreso. Qual’è la relazione tra baseball e mascolinità a Cuba? Lo sport riguarda sia le persone che lo praticano ma anche gli spettatori e le loro vite. L’antropologo Carter ha studiato i tifosi di baseball a Cuba (sport più importante) soprattutto dagli uomini e ora è l’attività principale del paese. Prima dell’indipendenza cubana il baseball era vietato a causa del suo “potenziale rivoluzionario”. Carter nota che per essere un vero tifoso di baseball a Cuba occorre desiderare e essere capaci di discutere di baseball ovvero opposizione e scontro e lo scontro è un aspetto cruciale della mascolinità cubana. Discutendo di baseball gli uomini di Cuba incarnano ed esibiscono i valori del maschio cubano ovvero la disciplina, la lotta e la lucidità. Le dispute tra tifosi enfatizzano la mascolinità. Nello spagnolo cubano la pena è un’estemporanea associazione di persone che si incontrano regolarmente per parlare di sport sia cubano che statunitensi. Gli uomini appartengono al ceto medio urbano e la loro reputazione si fonda sulla capacità di conoscere a memoria i fatti del baseball (statistiche, rapidità e accuratezza con cui sanno sfruttare tali conoscenze nel corso di una discussione), le donne invece non partecipano mai a la pena e pochissime sanno discutere del baseball e sono interessate a farlo. Secondo Carter discutere di baseball ed essere vero tifoso è come esibire e dichiarare la mascolinità, ci si interessa ad un passatempo maschile se si ha la conoscenza necessaria a dimostrare quell’interesse, se si ha l’abilità, l’autocontrollo e l’inclinazione per scontrarsi nei limiti accettati e dimostrano che questa mascolinità è cubana. Che cos’è l’arte? Nelle culture occidentali l’arte comprende la scultura, disegno, pittura, danza, teatro, musica e la letteratura e prodotti simili come il cinema, fotografia, narrativa orale, le feste e celebrazioni nazionali. Le attività definite come “arte” differiscono dal gioco libero perchè sono limitate da regole e indirizzano l’attenzione soprattutto alla forma delle attività o dagli oggetti prodotti dagli artisti fornendo criteri per valutarli. Si può definire l’arte? L’antropologo Alland definisce l’arte come un giocare con la forma che produce una trasformazione-rappresentazione esteticamente riuscita. Secondo lui la “forma” si riferisce alle regole del gioco dell’arte cioè alle restrizioni culturalmente appropriate dove contengono il modo in cui si può organizzare questo gioco nel tempo e nello spazio. Si può pensare alla forma anche in termini di stile e mezzi. Pagina 25 di 53 Lo stile è uno schema che dentro una cultura viene riconosciuto come appropriato in un dato mezzo; il mezzo invece attraverso cui l’arte viene creata e realizzata sono riconosciuti e caratterizzati culturalmente. Secondo Alland il termine “estetico” rimanda all’apprezzamento o alla reazione che una forma artistica o naturale suscita. I giudizi di valore estetico guidano l’artista nella scelta della forma e del materiale così come guidano le valutazioni dell’osservatore. Voloshinov sostiene che l’arte è un creativo evento di comunicazione viva che coinvolge l’opera, l’artista e il suo pubblico. La risposta del pubblico può essere entusiasta o critica, bisogna prestare attenzione al processo attraverso cui si arriva ad un certo risultato. Alland con trasformazione-rappresentazione intende è che dobbiamo ricordare che il nesso tra un simbolo e ciò che rappresenta è arbitrario cioè che i simboli possono essere separati dall’oggetto o dall’idea rappresentata e possono essere rappresentati in quanto tali e possono anche essere usati per un significato differente. La trasformazione e la rappresentazione dipendono l’una dall’altra Alland suggerisce di considerarle insieme. L’antropologa Errington osserva che tutte le culture umane possiedono “forme simboliche” che gli uomini vedono intensamente dotati di significato. Ma è arte questa? Molte persone e gli antropologi dicono che l’arte sia solamente ciò che un gruppo di esperti occidentali definisce come tale. Per mettere in evidenza l’etnocentrismo di questi esperti d’arte gli antropologi sottolineano che la distinzione tra “arte” e “non arte” non è universale. L’obbiettivo degli antropologi fu quello di riconoscere una completa capacità umana nei confronti dell’arte in tutte le società. L’arte intenzionale comprende gli oggetti che furono concepiti come arte, invece l’arte per appropriazione è costituita da tutti gli altri oggetti che sono divenuti opere d’arte perchè ad un certo punto alcune persone hanno deciso che appartenevano alla categoria dell’arte. Un oggetto per trasformarsi in arte deve avere un valore di esibizione cioè qualcuno deve esporlo. Come il gioco l’arte offre ai suoi creatori e ai partecipanti realtà alternative, possibilità di commentare e di trasformare il mondo. I mass media I mass media oggi comprendono tanti prodotti: i film, la radio, la televisione, i fumetti e il web, queste cose sono importanti nella vita delle persone. Che cos’è il mito? Il gioco è il cuore della creatività umana, si caratterizza per un’apertura casuale per questo mette in discussione l’ordine sociale che lo rafforza, le società lo circoscrivono con regole culturali incanalandolo in direzioni meno distruttive. Le regole che limitano l’espressione artistica sono tra i risultati di questo incanalamento. Gli artisti che operano nei diversi campi possono avere una vasta gamma di potenzialità espressive ma solo conformandosi alle regole che governano la forma espressiva prescelta. Le società si differenziano in rapporto alla flessibilità o alla rigidità con cui queste regole sono applicate alla forma artistica. Chi esegue il rituale sono individui attivi le cui scelte sono guidate dai testi rituali precedenti, l’esecuzione rituale può servire come commento al testo fino ad arrivare al punto di trasformarlo. Che cosa sono i riti di passaggio? I riti di passaggio includono le nascite, le iniziazioni, le conferme, i matrimoni, i funerali e simili. Gennep osservò che tutti questi riti avevano inizio con un periodo di separazione dalla vecchia posizione e dal tempo normale, il secondo stadio dei riti di passaggio comporta un periodo di transizione durante il quale la persona non si trova né nella vecchia vita né nella nuova, questo periodo è caratterizzato da una mancanza di ruolo, dall’ambiguità e dalla percezione di un pericolo. Durante l’ultimo stadio del passaggio la riaggregazione la persona è reintrodotta nella società nella sua nuova posizione. Pagina 28 di 53 Turner si concentrò sul periodo di transizione che reputava importante, e per Gennep questo passaggio era un periodo eliminale durante il quale l’individuo si trova sulla soglia, a metà strada. La liminalità viene assimilata alla morte, all’essere nel grembo, all’invisibilità, all’oscurità, alla bisessualità, alla natura selvaggia o a un’eclissi di sole o di luna. Le persone che si trovano nello stato liminale tendono a sviluppare un intenso cameratismo reciproco in cui gli elementi che li distinguevano nella condizione non eliminale finiscono per scomparire o per diventare irrilevanti. In che modo gioco e rito sono complementari? Il rito e il gioco sono complementari di metacomunicazione. Il gioco si basa sulla premessa “facciamo come se” mentre il rituale si basa sulla premessa “crediamo che”. Di conseguenza il frame rituale è molto più rigido di quanto non sia quello del gioco. Sebbene il rito possa apparire soverchiante e onnipotente gli individui e i gruppi possono a volte manipolare le forme rituali per conseguire scopi non tradizionali. In che modo le pratiche culturali combinano gioco, arte, mito e il rituale? Possono essere sperimentati insieme e spesso tutto ciò avviene. Per comprendere l’esecuzione nella sua interezza occorre cogliere le interazioni tra tutti gli aspetti che la costruiscono. L’estica della cerimonia ha successo perchè è costituita da molte parti diverse che si adattano tra loro in un modo soddisfacente. Nel regno dell’estiva le idee, gli oggetti simbolici, le azioni entrano in una relazione dalla quale emerge il significato. Gioco, arte, mito e rituale sono diverse sfaccettature della capacità olistica dell’uomo di vedere il mondo da una varietà di punti di vista. L’attitudine umana al gioco viene incanalata in direzioni diverse dalle diverse culture però è onnipresente. CAPITOLO 11: PERCHE’ LE PERSONE SI SPOSANO E FORMANO LE FAMIGLIE? Quale definizione di matrimonio danno gli antropologi? Un matrimonio è un istituzione che trasforma lo status dei partecipanti, sancisce il grado di accessibilità sessuale di cui i partner sposati godranno l'uno dell'altro, grado che può variare da esclusivo a preferenziale, perpetua i modelli sociali tramite la procreazione l'adozione di una prole; crea relazioni fra le parentele dei due partner; riceve un riconoscimento simbolico che può variare da un’elaborata cerimonia alla semplice apparizione, una mattina di marito e moglie seduti fuori della capanna di lei. Il matrimonio tra donne e il matrimonio col fantasma tra i Nuer Fra i Nuer studiati da Pritchard negli anni 30, una donna poteva sposare un'altra donna e diventare il “padre” dei suoi figli, in genere il “marito” era una donna che non riusciva ad avere figli, una volta sposata aveva tutti i ruoli sociali di un uomo, faceva ingravidare la donna e svolgeva in casa tutti quei compiti che i Nuer consideravano solo maschili, i figli della moglie ne prendevano il nome e la chiamavano padre. Sempre fra i Nuer c'era poi il matrimonio con uno spettro: poiché lo spettro di un uomo morto senza eredi maschi poteva perseguitare i parenti, per placarlo un fratello o il figlio di un fratello sposava una donna in suo nome e i figli che nascevano erano i figli dello spettro. In questo modo, però, anche questo uomo alla sua morte non lasciava eredi maschi, diventando a sua volta uno spirito irato e così la storia si ripeteva. Pagina 29 di 53 Il matrimonio come processo sociale Se concepiamo il matrimonio come un processo sociale che si dispiega nel tempo constatiamo che la nostra definizione ovvero che trasforma lo status sociale dei partecipanti, modifica i rapporti fra i parenti dei coniugi, perpetua i modelli sociali tramite i figli, la nostra definizione permette di dare luogo di una sfera più ampia di pratiche matrimoniali. Un rituale matrimoniale può unire gli sposi ma il fatto che diano alla luce dei figli i quali cresceranno come membri riconosciuti di un particolare gruppo sociale è una cosa che richiede tempo, in alcune società una coppia non era considerata pienamente sposata fino quando non aveva dato la luce dei figli. Il matrimonio instaura nuove relazioni fra i parenti di entrambi gli sposi ovvero relazioni di affinità (create per mezzo del matrimonio),che si distinguono da quelle consanguinee che sono basate sulla discendenza. Le relazioni che una coppia sposata a quelli sei parenti possono modificarsi nel tempo e non si possono prevedere o controllare. A volte i matrimoni devono essere contratti all'interno di un particolare gruppo sociale (endogamia), in altri casi vanno trovati al di fuori di un particolare gruppo (esogamia). In tutte le società alcuni parenti stretti sono proibiti sia come sposi sia come partner sessuali e questo modello si chiama tabù dell’incesto. I modelli di residenza dopo il matrimonio Una volta sposata una coppia deve vivere da qualche, ci sono quattro principali modelli di residenza postmatrimoniale: -residenza neolocale dove la coppia mette su famiglia per conto suo in un posto a sua scelta (società individualista come gli eschimesi) -residenza patrilocale quando la coppia di sposi abita con la famiglia del padre del marito o vicino( società pastorali, agrarie) Questo modello dà origine ad un raggruppamento sociale composto da uomini imparentati fra loro, gli antropologi ritengono che la sopravvivenza in queste società dipenda da attività che vengono svolte al meglio da gruppi di uomini che hanno lavorato insieme per tutta la loro vita. -residenza matrilocale quando la coppia sposata vive con la famiglia in cui è cresciuta la moglie o nei pressi ed è associata ai sistemi di parentela matrilineare, il nucleo del gruppo sociale è costituito da una donna, dalle sue sorelle, dalle loro figlie insieme ai rispettivi mariti (società che praticano l’orticoltura) -residenza avuncolocale nella comune ho presente nelle società matrilineari, la coppia sposata vive con il fratello della madre del marito o nei pressi, l'uomo più importante nel matrilignaggio di un ragazzo è il fratello di sua madre dal quale riceverà l'eredità. -residenza ambilocale la coppia cambia abitazione vivendo prima con la famiglia di uno degli sposi poi con quella dell’altro e ad un certo punto deve scegliere a quale famiglia affiliarsi in maniera permanente. -residenza duolocale si riscontra quando l'appartenenza al proprio lignaggio è talmente importante che i mariti e mogli continuano a vivere presso i rispettivi lignaggi anche dopo essersi sposati. Un coniuge, molti coniugi Pagina 30 di 53 Il numero dei coniugi consentiti varia da cultura a cultura, abbiamo la monogamia quando si può sposare solo una persona, poligamia quando si può sposare diverse persone e si divide in poliginia (plurità di mogli) e in poliandria (plurità di mariti). La monogamia è l’unico modello matrimoniale nella maggior parte delle società industriali, prima del XX sec. Generalmente ci si sposava solo una volta, a meno che il coniuge non morisse; oggi abbiamo una monogamia seriale ovvero che ci si può sposare con diverse persone ma uno alla volta. Nella poliginia il numero di mogli ammesse varia da società a società, l’Islam permette fino a 4 mogli ma solo se si è in grado di mantenerle tutte sia economicamente che affettivamente. Altre società non pongono limi ma in realtà i limiti ci sono ugualmente perché avere più mogli con relativi figli ha un costo non indifferente e inoltre per uno che ha tante mogli ce n’è un altro senza. Poliandria, sessualità e capacità riproduttiva delle donne Monogamia e poliginia sono per certi versi simili perché entrambi si preoccupano di controllare la sessualità femminile lasciando agli uomini una maggiore libertà d'azione. La poliandria invece, merita un esame più attento quindi prenderemo in esame le tre forme presenti: accade si ritiene che la donna finisca sempre più sotto il controllo degli spiriti del clan del marito, inoltre si crede che dopo la sua morte oltre all'influenza che eserciterà sul proprio clan in quanto sorella divenuta spirito avranno influenza anche su clan del marito in quanto madre divenuta spirito. Quale concezione della struttura della famiglia hanno gli antropologi? Il processo attraverso cui la donna viene gradualmente coinvolta nel clan del marito è stato descritto da Pritchard. La nascita di un figlio stabiliva una parentela tra la moglie e i coniugi del marito, e tra il marito e coniugi della moglie. In molte società patrilineari la donna comincia a identificarsi negli affari del lignaggio del marito, ma l'aspetto più significativo è che quello che era stato il lignaggio di suo marito diviene quello dei suoi figli e questi ultimi creano un legame con il lignaggio che non dipende da suo marito. La definizione di famiglia Alcuni antropologi preferiscono distinguere la famiglia coniugale basata sul matrimonio da un marito, una moglie e dai loro figli, dalla famiglia non coniugale che consiste in una donna inizio figli in questo caso il marito/padre può essere presente solo occasionalmente oppure del tutto assente. La famiglia nucleare Per degli antropologi una famiglia nucleare è costituita da due generazioni, i genitori e i loro figli non sposati. Ciascun membro di una famiglia nucleare intrattiene con gli altri una serie di rapporti in evoluzione: marito e moglie, genitori e figli, figli tra loro. Lungo queste linee che si sviluppano gelosia, competizione, dispute e gli affetti all’interno della famiglia monogamica neolocale, la rivalità tra fratelli. La famiglia poliginica Le famiglie poliginiche sono differenti nelle loro dinamiche, ogni moglie è in rapporto con le altre co-mogli sia come singole persone sia come gruppo. Le co-mogli interagiscono con il marito sia individualmente che collettivamente, Queste relazioni cambiano col tempo. Le differenze nelle dinamiche interne alle famiglie poliginiche non sono circoscritte alle relazioni fra il marito e le mogli. Una distinzione importante riguarda i figli di una stessa madre e quelli di una madre diversa. Pagina 33 di 53 Quando vogliamo mettere in evidenza la connessione stretta che hanno con un fratello ho una sorella particolare dicono che lui o lei ha lo stesso padre, la stessa madre e questo significa che è un rapporto dotato di particolare intimità e significato. I figli hanno anche relazioni di tipo diverso con le loro madri e con le altre mogli del padre, così come con il loro stesso padre. Quando c'è un'eredità significativa queste relazioni incanalano gelosie, i figli della stessa madre ma soprattutto quelli di madri diverse competono fra loro per assicurarsi il favore del padre, ciascuna madre protegge gli interessi dei propri figli a volte a spese di quelli delle altre co-mogli. La competizione nella famiglia poliginica Le mogli di una famiglia poliginica hanno relazioni molto strette ma le co-mogli alla fine competono tra loro, e questa competizione si incentra spesso sui figli. I mariti devono evitare segnali di favoritismo, le mogli sono classificate per ordine di matrimonio, la moglie più anziana esercita la sua autorità su quelle successive E l'ordine di matrimonio struttura il gruppo domestico ma fa insorgere le rivalità. In secondo luogo le mogli vengono classificate anche in termini di status delle famiglie di provenienza, Il marito non deve mostrare favoritismi nei confronti di una moglie che proviene da una famiglia di status elevato facendo istruire i figli di lei prima dei figli più grandi avuti da altre mogli con figli di mogli con una status più elevato nell'ordine di matrimonio. Il livello di istruzione dei figli ha molta importanza per la donna perché alla morte del marito le principali rivendicazioni relativi alla terra o al denaro passano attraverso i figli. Una donna dipende per il suo sostentamento non solo dal reddito che un figlio può guadagnare ma anche dai diritti che i suoi figli hanno ereditato dal padre proprietà e posizioni di prestigio. L'istruzione esige una spesa considerevole e un uomo può trovarsi nella condizione di poter mandare a scuola un solo figlio oppure di potermi iscrivere uno a una prestigiosa scuola privata a patto di avviarne un altro a una professione nel settore del commercio. Questi dati della loro realtà economica hanno consenso per i mariti ma provocano aspre contese fino ad arrivare al divorzio, Spesso per evitare questi problemi si mandano i figli a vivere con i parenti che potranno mandarli a scuola. Famiglie estese e famiglie congiunte In una famiglia estesa verticale abitano insieme tre generazioni, in altre società d'estensione orizzontale, i fratelli e le rispettive mogli vivono insieme in una famiglia congiunta. Le singole famiglie possono mutare nel tempo la propria struttura di base. Trasformazioni della famiglia nel tempo Divorziare e riposarsi La maggior parte delle società consente la separazione delle coppie sposate, in certe società il processo è lungo e difficile specie quando comporta la restituzione della ricchezza della sposa, un uomo che divorzio che viene lasciato dalla moglie si attende la restituzione di una parte della ricchezza della sposa, per la famiglia della sposa però questa restituzione può comportare la rottura dell'intera catena di matrimoni. Il divorzio a Guider Tra il musulmani di Guider il divorzio è prerogativa degli uomini che secondo la regola che è stabilita dal Corano devono solo comparire davanti a due testimoni e pronuncia e per tre volte “io divorzio da te”, dopodiché è libero e la moglie deve andarsene di casa e Pagina 34 di 53 dei figli può portarsi via solo i neonati per riconsegnarli al padre quando compiranno sei o otto anni. La donna per sfuggire ad un matrimonio sfortunato può esprimere il desiderio di divorziare ma se il marito rifiuta o se lei non ha il coraggio di affrontarlo l'unica arma che le rimane quella di cominciare a trascurare le faccende di casa, bruciare la cena e diseredare il letto coniugale. I motivi di divorzio Le cause di divorzio possono essere le vessazioni, i litigi, la crudeltà a volte anche per la mancanza dei figli. Dopo la discussione spesso intensa una coppia che deciso di separarsi semplicemente lo fa, tutto quello che è necessario è il consenso reciproco e i figli seguono la madre. Sono poche le società che non ammettono divorzio. La separazione fra gli Inuit Fra gli Inuit nord occidentali il matrimonio permanente e benché esista la separazione il matrimonio non sarà mai sciolto. I coniugi che smettono di vivere insieme e di avere rapporti sessuali si considerano separati, Se si risposano i due mariti diventano co-mariti e le due donne co-mogli, insomma per gli Inuit con il divorzio i vincoli aumentano. Le famiglie allargate Negli ultimi anni gli antropologi hanno constatato l'emergere negli Stati Uniti della famiglia allargata. Questa famiglia si crea quando persone precedentemente divorziate o rimaste vedove si risposano portando con sé i figli dei loro precedenti matrimoni. La disgregazione dei gruppi domestici complessi Le famiglia congiunte costituiscono il miglior esempio di formazione di nuovi gruppi domestici a seguito della disgregazione delle famiglie estese, in questa famiglia le tensioni che si accumulano sono fra fratelli o sorelle conviventi e la situazione peggiora con la morte del padre, il figlio maggiore eredità dal padre la posizione di capofamiglia ma i fratelli minori possono rifiutarsi di accettare la sua autorità. Alcuni fratelli più giovani possono decidere di mettere su casa per conto proprio così la famiglia si divide. Le migrazioni internazionali e la famiglia La migrazione in altri paesi alla ricerca del lavoro è divenuto fenomeno comune in tutto il mondo e ha ricadute importanti sulla famiglia. Negli ultimi anni Internet è venuto ad assumere un ruolo sempre più importante nella vita delle famiglie separate dalla migrazione, dall'istruzione, dal lavoro e cosi via. L'impiego di internet offre agli antropologi l'opportunità di osservare come si possono mitigare gli effetti della separazione dalla famiglia e dà alle persone di tutto il mondo la possibilità di provare forme di comunicazione quotidiana cordiali che hanno effetti importanti sulla vita familiare. In uno studio della Georges 1990 su immigrati sudamericani negli Stati Uniti, si osserva che nonostante la lontananza il padre mantiene un ruolo attivo nella famiglia, è sempre quello che porta casa il pane e prendere decisioni principali con telefonate, lettere ecc… Famiglie per scelta Weston sapeva che un punto di svolta nelle vite della maggior parte dei gay e delle lesbiche era la decisione di annunciare a genitori e fratelli il proprio orientamento sessuale. Pagina 35 di 53 proteggere se stessa significa compromettere ciò che vuole preservare e piuttosto che proteggerle i matrimoni per amore possono contribuire a esporre le donne al rischio di contrarre l’HIV dai loro mariti. Sessualità e potere Le pratiche sessuali possono essere un modo per affermare la realtà delle differenze di potere. CAPITOLO 12: CHE COSA PUO’ DIRCI L’ANTROPOLOGIA SULLA DISEGUAGLIANZA SOCIALE ? Pagina 37 di 53 Gli antropologi sono interessati a documentare le varie forme di stratificazione sociale che gli esseri umani hanno inventato, le società stratificate sono costituite da sottogruppi stabilmente ordinati in modo gerarchico nelle quale i gruppi di rango più elevato hanno un accesso maggiore rispetto a quelli di rango inferiore alla ricchezza, al potere e al prestigio. Oggi nel mondo tutti devono confrontarsi con l'autorità dell'uno o dell'altro stato nazionale e tutti questi Stati sono socialmente stratificati. All'interno degli Stati nazionali la diseguaglianza può emergere da molte categorie ordinate secondo gerarchie di stratificazione differenti e contraddittorie. Ognuna di queste categorie un'invenzione culturale destinata a creare confini che circoscrivano ora l'una ora l'altra comunità immaginata. Alcuni di questi modelli risalgono a migliaia di anni fa altri sono più recenti E sono associati i cambiamenti che ebbe inizio in Europa all'incirca 500 anni fa, il capitalismo e il colonialismo ha introdotto nuove forme di stratificazione in società autonome ed egualitarie altrove invece ha rimodulato le stratificazioni già presenti. Approcci decostruttivi (tendenti ad isolare e frammentare i problemi anziché affrontarsi e risolverli) per sconfiggere gli stereotipi Il genere Costruzione culturale fatta di credenze comportamenti considerati appropriati per ciascun sesso. La ricerca si è focalizzata non solo sui ruoli riproduttivi e sulla sessualità ma anche sulla questione della diseguaglianza di genere. I primi risultati suggerivano che il dominio maschile fosse un fatto universale. I maschi godevano di un rango superiore rispetto alle femmine perché venivano considerate più vicine alla natura in virtù del fatto che erano loro a partorire ed allevare la prole. Dimostrarono che ruolo di uomini e donne all'interno della famiglia variava sul piano storico e interculturale; conclusero che la famiglia nucleare fosse ben lontana dall'essere un modello universale. Fondamentale per la ricerca di genere fu l’antropologa Leacock che sostenne che la subordinazione delle donne agli uomini potesse essere connessa con l’affermazione della proprietà privata e l’ emergere dello Stato. La Leacock dimostrò come la colonizzazione capitalistica avesse trasformato le relazioni di genere di tipo egualitario vigenti nei popoli indigeni in relazioni diseguali e dominate dei maschi. Strathern ha sostenuto che le relazioni esistenti fra maschi e femmine in una società vanno considerate solo comune esempio di simbolismo di genere, definisce il genere come quelle categorizzazioni di persone, artefatti, sequenze di eventi che attingono all'immaginario sessuale ovvero ai modi in cui la distinguibilità delle caratteristiche maschili e femminili rende concrete legate le persone sulla natura delle relazioni sociali. L’antropologa Stoler ha paragonato il colonialismo olandese in Indonesia con quelle in altre parti del mondo e ha constatato che i colonizzatori bianchi europei concepivano il loro rapporto con i maschi indigeni in termini di disuguaglianza razziale e di genere. I colonizzatori stabilirono un divario razziale fra colonizzatori e colonizzati, ponendo se stessi maschi “bianchi” al di sopra dei maschi indigeni “non bianchi” che avevano sottomesso, allo stesso tempo premevano con violenza qualsiasi coinvolgimento sessuale Pagina 38 di 53 fra maschi indigeni e donne “bianche” mentre concedevano a se stessi un accesso sessuale prima di restrizioni alle donne indigene punta In questo modo i colonizzatori maschi bianchi “femminilizzavano” I maschi indigeni rappresentandoli come non maschi perché non avevano difeso il loro territorio e le loro donne dagli invasori bianchi più forti di loro. Stoler sottolinea che i colonizzatori maschi bianchi rafforzavano queste gerarchie coloniali razzializzate e basate sul genere ogni volta che i maschi indigeni si organizzavano politicamente E minacciavano governo coloniale. La classe Sono gruppi sociali ordinati gerarchicamente e definiti su base economica. Il concetto di classe ha seguito una linea di sviluppo proveniente dall'Europa ed una dagli Stati Uniti. Per gli europei le classi erano gruppi chiusi e ben consolidati. La rivoluzione industriale e francese portarono con sé la promessa di porre fine ai privilegi oppressivi della classe dominante e di rendere uguali per tutti le possibilità di accesso alla ricchezza. Le classi tuttavia non scomparvero, ma modificarono i propri confini. Marx definisce le classi sociali in base ai rapporti che i membri hanno con i mezzi di produzione significa che finché in una società prospera un particolare insieme di rapporti di produzione ineguali le classi definite dalla disuguaglianza dei ruoli nella divisione del lavoro sono destinate a persistere. Con il passare del tempo secondo Marx gli operai dell'industria sarebbero divenuti la nuova “classe al comando” che si sarebbe sollevata con l'avvento della rivoluzione socialista per spodestare capitalisti. Marx era ben consapevole che tutti coloro che sono collegati ai mezzi di produzione nello stesso modo spesso non riconoscono ciò che hanno in comune e possono non riuscire a sviluppare quel tipo di solidarietà reciproca la “coscienza di classe”. In molte delle società stratificate la possibilità che emerga una solidarietà di classe fra i contadini o gli operai viene messa a rischio dall'istituzione della clientela. Smith fornisce la definizione di clientela come una relazione basata sull'ineguaglianza di status delle persone associate come caratteristica comune. La clientela È una relazione fra individui, la parte che ha uno status è superiore È il patrono, l'altra il cliente. Le società stratificate uniti da vincoli di clientela possono essere molto stabili, i clienti con uno status basso credono che la loro sicurezza dipenda dal trovare un individuo con uno status elevato che possa proteggerli. Antropologi di formazione statunitense al contrario definirono le classi sociali in termini di reddito sostennero che queste fossero aperte e permeabili e che la mobilità sociale sia accessibile a chiunque. Vi era tuttavia un'eccezione costituita dalla barriera di colore che impediva una mobilità sociale ascendente ai cittadini di origine africana. Warner sostenne che la barriera del colore assomigliava più alla rigida barriera che si riteneva esistesse fra le caste indiane che non al supposto confine permeabile fra le classi sociali americane. L'appartenenza a una casta è ascritta alla nascita, è chiusa per cui gli individui non è consentito passare dalla casta all’altra. Pagina 39 di 53 Warner dice che anche l'appartenenza alla classe sociale era scritta fin dalla nascita però non sono chiuse per cui la mobilità sociale individuale da una classe all'altra è possibile. Warner fu colpito dalla rigidità della barriera rilevata tra le caste appariva assai simile a quella che separava bianchi neri negli Stati Uniti. Cox osserva che in India sostenevano che le caste indù plasmato dalle credenze religiose indù concernenti la purezza e la contaminazione. I membri della casta impura di basso rango non mettevano in discussione sistema anche se li opprimeva. La casta Origine portoghese, lo applicarono alle gerarchie ordinate di sottogruppi dell’Asia Meridionale. Ha il significato di “casto” erano proibiti i legami sessuali o maritali fra diversi gruppi. In termini antropologici le caste erano endogamiche e dicono che sia una forma di parentela. Le caste in india Nel termine casta ci sono due concetti provenienti dall’Asia meridionale, il primo espresso dal termine varna che è la nozione diffusa secondo cui la società indiana è suddivisa in sacerdoti, guerrieri, agricoltori, mercanti; il secondo concetto è espresso dal termi jati si riferisce a gruppi localizzati, dotati di un nome ed endogamici. Sebbene i nomi degli jati corrispondano spesso a mestieri non esiste alcun modo accettato di raggruppare i molti jati locali all’interno dell’uno o dell’altro dei quattro varna motivo per cui i membri degli jati posso non concordare fra loro rispetto al varna a cui dovrebbe appartenere il loro jati. Gli antropologi biologici contrappongono l’eredità genetica di un organismo o genotipo al suo aspetto esteriore osservabile, o fenotipo determinato dalle influenze ambientali quanto dai fattori genetici. La razza come categoria sociale Nella seconda metà del 19º secolo molti tra i primi antropologi inventarono schemi per classificare gerarchicamente le razze dell’umanità. In cima troviamo i bianchi nordeuropei, nel livello intermedio troviamo i popoli dalla pelle più scura come gli abitanti indigeni delle Americhe e dell'Asia, al livello più basso di tutti proviamo gli africani. In questo modo l'identificazione delle razze si trasformò in razzismo ovvero la sistematica oppressione di uno o più “razze” definite da un’altra “razza” giustificata in base alla pretesa superiorità biologica intrinseca dei dominatori e altrettanto pretesa inferiorità biologica intrinseca dei dominati. Le cosiddette razze sono comunità immaginate, il tradizionale concetto di razza della società occidentale è privo di significato sia sul piano biologico che genetico. Le categorie razziali hanno origine non nella biologia ma nella società. Gli antropologi sostengono che la razza è una categoria sociale costruita culturalmente i cui membri vengono identificati sulla base di particolari caratteristiche fenotipiche che vengono condivise da tutti coloro che fanno parte. Il risultato è un insieme di criteri distorti ma coerenti che i membri di una società possono usare per assegnare le persone all'una o all'altra categoria razziale culturalmente definita, quando ciò accade i membri di una data società possono trattare le categorie razziali come se riflettessero la realtà biologica usandole per stabilire istituzioni che includono o escludono particolari razze culturalmente definite. La razza nella Oaxaca coloniale L’antropologo Chance studiò lo sviluppo delle idee di razza e classe nella città di Oaxaca, era abitata da un popolo indigeno, esaminò il modo in cui la stratificazione sociale si modificò dal periodo della conquista spagnola ai primi anni della guerra di Pagina 42 di 53 indipendenza messicana, mostrando che avvennero cambiamenti sia nelle categorie usate per descrivere i gruppi sociali sia nei significati attribuiti a queste categorie e che accompagnarono alle trasformazioni avvenute nelle dinamiche di stratificazione sociale. La mobilità sociale nel sistema di casta Durante il periodo coloniale, i confini dei sistemi di stratificazione di Oaxaca erano rigidi in particolare per i discendenti “non misti” di indigeni, africani, europei. La crescita della popolazione casuale coincise con la trasformazione dell’economia coloniale che cominciò a fondarsi sul capitalismo commerciale, questa evoluzione portò Oaxaca il centro di un’importante industria manifatturiera per la produzione di tessuti e tinture. Chance sostiene che il modo migliore per capire il sistema delle caste è pensarlo come un “sistema legale e cognitivo di status sociorazziali gerarchizzati”. Gli antropologi hanno adoperato l’espressione razza sociale per descrivere il sistema di classificazione a cui diede origine. Il sistema di stratificazione di Oaxaca cominciò con categorie razziali chiuse simili a caste dove non fu possibile conservare la purezza e sfociò in categorie aperte assimilabili alla classi con un marchio razziale. Il colorismo in Nicaragua Lancaster sostiene che in Nicaragua il razzismo esiste ma che non è assoluto come negli Stati Uniti. Una dimensione del razzismo nicaraguense contrappone la maggioranza dei mestizo agli indigeni Miskito e ai caraibici di ascendenza africana. I mestizo consideravano i gruppi costieri arretrati, inferiori e pericolosi. Lancaster interpretò il razzismo nei confronti della popolazione costiera come un’estensione del modello delle relazioni razziali interno alla cultura dei mestizo che chiamò colorismo ovvero un sistema di identità fondate sul colore negoziate in base alla situazione contingente. Nel colorismo non esistono confini razziali fissi, gli individui negoziano la propria identità basata sul colore in modo nuovo con il risultato che il colore che possono rivendicare oche può essere loro attribuito cambia da una situazione all’altra. Gli informatori di Lancaster classificavano tre diversi sistemi basati sul colore, il primo “fenotipico” comprendeva tre categorie (blanco, Moreno, negro). Il secondo sistema utilizzato viene definito “cortese”, gli europei venivano chiamati chele ( chi ha gli occhi blu), chi è moreno è detto blanco invece chi è negro è chiamato moreno. Il terzo sistema viene definito “peggiorativo e/o affettuoso” dove esistono solo due termini: chele (pelle e capelli più chiari) e negro (pelle e capelli più scuri). Lancaster constatò che essere bianchi è una qualità desiderata e il discorso cortese esagera le descrizioni delle persone. Lancaster sottolinea che tutti e tre i sistemi di colori usati in Nicaragua presuppongono la superiorità dei bianchi e l’inferiorità dei neri. Africani, Indio e meticci sono stati riuniti sotto il termine “negro” segno di sconfitta. L’etnicità Per gli antropologi i gruppi etnici sono gruppi sociali i cui membri distinguono se stessi in termini di etnicità cioè riferendosi a caratteristiche culturali distintive come la lingua, la religione o il modo di vestire. Pagina 43 di 53 L’etnicità è un concetto culturalmente costruito. L’etnicità si sviluppa nel momento in cui membri di gruppi differenti tentano di dare un senso agli ostacoli materiali che incontrano all'interno della specifica struttura politica in cui sono confinati. Questo fenomeno è descritto come una lotta fra l'autoastrazione (sforzi degli interni per definire la propria identità) e l’eteroascrizione (sforzi esterni per definire le identità di altri gruppi. Dal punto di vista dei Comaroff il gruppo dominante trasforma se stesso e i gruppi subordinati in classi perché tutti i raggruppamenti sociali subordinati perdono indipendenza nel controllo dei mezzi di produzione e/o riproduzione. Un risultato di questo lotta è la comparsa di nuovi gruppi etnici e di nuove identità etniche che non sono in continuità con alcun singolo gruppo culturale persistente. I Comaroff sostengono che in tutte le colonie europee in africa era molto comune una particolare struttura fatta di identità accorpate e contrapposte. La meno inclusiva era costituita da gruppi detti “tribù” che combattevano per dominarsi a vicenda all’interno di stati coloniali. I livelli intermedi erano rappresentati da entità che travalicavano i confini locali dette sovratribù o nazioni. L’etnicità nell’Africa urbana Gli studi antropologici che si sono concentrati sui tentativi di ottenere una mobilità etnica costituiscono secondo i Comaroff il punto focale dell’etnografia sull’Africa urbana. Gli attributi chiave che spesso si associano all’eticità è fluida e malleabile ovvero che si può abbracciare volontariamente o che si può disinvoltamente ignorare seconda delle situazioni. In una società stratificata su base etnica individui e gruppi ambiziosi possono manipolare l’etnicità come una risorsa che consenta loro di perseguire i propri interessi. Laddove sono compresenti diverse identità le persone possono in contesti diversi spostarsi dall'una all’altra. Etnicità e razza I membri del gruppo etnico dominante possono mettere in evidenza la propria superiorità culturale e mettere in dubbio l'adeguatezza dei gruppi subordinati che li sfidano. Secondo l’antropologo Harrison l'etnicità viene a essere razzializzata. Dal suo punto di vista la razza differisce dall’etnicità proprio perché viene usata per marcare e stigmatizzare certe persone come diverse in modo sostanziale e irreconciliabile, mentre i privilegi che gli altri sono trattati come normativi. Harrison sostiene che nel 19º secolo i bianchi nord europei cominciarono a razzializzare gli stereotipi etnici e religiosi o di classe associati ad altri europei giudicandoli meno umani, alcuni gruppi etnici razzializzati come gli irlandesi rovesciarono questo processo una volta emigrati negli Stati Unit, etnicizzandosi divenendo così uno dei tanti gruppi etnici americani. Harrison sostiene che i tentativi di interpretare le relazioni razziali negli Stati Uniti come relazioni etniche hanno trattato il concetto di razza in modo eufemistico perché non hanno tenuto conto dei fattori politici ed economici che mantengono esclusi e stigmatizzati al livello più basso della società gruppi come quello degli afroamericani. Pagina 44 di 53 Harrison riconosce che gli afroamericani si impegnano in pratiche etnicizzanti che mettono l’accento sull’eredità culturale. L’etnicità dovrebbe probabilmente essere integrata dalla nozione di razza per distinguere il sconfinamento di certi gruppi sociali negli strati più bassi della società. L’antropologa Werbner dice che per compiere progressi nell’analisi della violenza etnica come forza sociale bisogna distinguere le pratiche di “quotidiana” identificazione etnica dal razzismo. Werbner distingue due diversi processi sociali, l’oggettivazione e la reificazione. Impiego della violenza contro I cittadini che contrastano le pretese di omogeneità nazionale può fornire ai governi nazionali un mezzo moderno per cercare di garantire solidarietà e stabilità. La pulizia etnica o etnocidio e il genocidio possono costituire una serie di pratiche correlate che diventano premonitrici di eventi futuri. CAPITOLO 14: CHE COSA PUO’ DIRCI L’ANTROPOLOGIA SULLA GLOBALIZZAZIONE? Gli antropologi definiscono globalizzazione, il rimodellamento delle condizioni di vita locali a opera di potenti forze globali che agiscono su scala sempre più vasta e con intensità crescente e che molti dei tentativi di comprendere la globalizzazione sono stati favoriti dall’identificazione di cinque flussi globali di rilevanza cruciale: flussi di ricchezza, di tecnologia, di persone, di immagini e di ideologia. Questi flussi si sono scatenati in modo imprevedibile, le condizioni globalizzata te sono una caratteristica scontata dei contesti in cui gli antropologi svolgono le proprie ricerche e tutti i processi globalizzanti esistono nel contesto delle realtà di particolari società e devono venire a patti con esse. Il risultato Michele etnografia contemporanea continuano a investigare i complessi modi in cui processi globali si articolano con le particolari caratteristiche delle comunità locali. Imperialismo culturale o ibridazione culturale? L'imperialismo culturale L'Imperialismo culturale è basato su due nazioni, questa visione afferma che alcune culture ne dominano altre, in secondo luogo si dice che il dominio culturale da parte di una sola cultura porti alla distruzione delle culture subordinate e alla loro sostituzione con quella di chi detiene il potere. L'imperialismo culturale si da la responsabilità di aver distrutto la musica, la tecnologia, l'abbigliamento e le tradizioni alimentari locali sostituendoli con il rock and roll, le radio, le torce elettriche, i telefoni cellulari, le t-shirt, gli hamburger del Mc Donald’s e la coca cola. Il risultato dell'imperialismo culturale occidentale È l'omogeneizzazione culturale del mondo con la conseguenza di condannare il mondo all’uniformità. L'Imperialismo culturale non è in grado di spiegare la sua diffusione per tre ragioni: -nega l’agency dei popoli non occidentali che utilizzano le forme culturali occidentali, li presuppone passivi e privi delle risorse necessarie per opporre resistenza a qualunque cosa di origine accidentale che arrivi a loro tramite il mercato. -da per scontato che le forme culturali nonna occidentali non passano mai muoversi dal resto del mondo verso l’Occidente. -ignora che forme pratiche culturali si spostano da una parte all'altra del mondo non occidentale saltando completamente l’occidente. L’ibridazione culturale Gli antropologi hanno messo in evidenza che l'assunzione di forme e pratiche culturali da qualsiasi luogo arrivino comporta sempre un prestito con modifica ovvero accettano raramente idee, pratiche o oggetti che vengono da fuori essenza addomesticare o indigenizzarli. Pagina 47 di 53 FABIO DEI ANTROPOLOGIA CULTURALE Che cos’è l’antropologia? Alla base della nascita dell’antropologia come scienza ci sono le ragioni politiche, ed è strettamente legata all’espansione politica delle nazioni europee sul resto del mondo e al colonialismo. L’antropologia è lo studio della natura, della società e del passato dell’uomo e mira a descrivere nel senso più ampio possibile cosa significhi essere uomini. Uno dei contributi più importanti dell’antropologia allo studio dell’evoluzione umana è stato quello di sottolineare la differenza tra evoluzione biologica (riguardante attributi e comportamenti trasmessi geneticamente) e evoluzione culturale (riguardante credenze e comportamenti non trasmessi geneticamente ma mediante l’insegnamento e l’apprendimento). Perchè il concetto di cultura è importante? Gli antropologi sostengono che la cultura è ciò che distingue la condizione umana da quella delle altre specie viventi. La cultura sono i modelli di comportamento e le idee che gli esseri umani acquisiscono in quanto membri della società insieme agli artefatti materiali e alle strutture che creano e usano. La cultura la apprendiamo dagli altri membri dei gruppi sociali ai quali apparteniamo. I bambini usano i loro corpi e cervelli per esplorare il mondo però altre persone si attivano per indirizzare le attività e l’attenzione dei bambini in particolari direzioni quindi non esplorano per tentativi ed errori ma il cammino viene illuminato per loro da altri. Nelle scienze sociali per questo processo plasmato culturalmente e socialmente si usano due termini: -socializzazione: processo in cui impariamo a vivere come membri di un certo gruppo e comporta la capacità di un’appropriata interazione con gli altri e di sapersi rapportare alle regole stabilite dal gruppo sociale. -inculturazione: sfide cognitive affrontate dagli esseri umani che vivono insieme quindi che devono venire a patti con i modi di pensare e sentire appropriati per le loro culture. Socializzazione-inculturazione: esperienza olistica, termine usato perchè i bambini imparano a agire, pensare, sentire e parlare contemporaneamente; produce un sé socialmente e culturalmente costruito capace di funzionare con successo nella società, è condivisa e appresa. Habitus: antropologo Bourdieu l’ha chiamato così questo apprendimento culturale influenzato dalle nostre interazioni con la cultura materiale( le buone maniere a tavola, ciò che è commestibile). Le culture umane sono caratterizzate da modelli cioè che credenze e pratiche culturali connesse tra loro fanno ripetutamente la loro comparsa in aree diverse della vita sociale. La variazione dei modelli culturali permette agli antropologi di distinguere tra “tradizioni culturali” differenti, sebbene le tradizioni culturali distinte siano difficili da individuare perchè le tradizioni culturali presentano tutte elementi contraddittori o che condividono con altre tradizioni; abitudini e costumi che vigono in un certo ambito della cultura possono contraddire quelli che vigono in un altro (religione ci fa condividere con il Pagina 1 di 53 prossimo invece l’economia di pensare a noi stessi), le persone hanno preso in prestito elementi culturali dai propri vicini ma molti rifiutano di essere limitati nel presente dalle pratiche culturali del passato. I modelli culturali possono servire come una nota stenografica ma i confini tra le tradizioni culturali sono sfumati. La cultura è appresa, condivisa e basata su modelli; le tradizioni culturali vengono ricostruite e arricchite di generazione in generazione perchè la sopravvivenza biologica umana dipende dalla cultura. La cultura è anche adattiva, i neonati non sono dotati di istinti che permettono loro di sopravvivere in maniera autonoma dipendono completamente dal sostegno/accudimento degli adulti e dei membri del gruppo ed apprendendo le pratiche culturali di chi li circonda che gli umani padroneggiano appropriati modi di agire e pensare per la sopravvivenza. La cultura ha carattere simbolico, un simbolo è qualcosa che sta per qualcos’altro, qualunque cosa facciamo nella società ha una dimensione simbolica e questa dipendenza dell’apprendimento simbolico distingue la cultura umana dall’apprendimento apparentemente non simbolico al quale si affidano altre specie. CULTURA UMANA: appresa, condivisa, basata su modelli, adattiva e simbolica; non è emersa tutta in una volta ma si è evoluta nel corso del tempo. La predisposizione umana contemporanea nei confronti della cultura è il prodotto di un’evoluzione lunga milioni di anni. Potts ritiene che la moderna cultura simbolica umana come le istituzioni sociali discendano da altre più elementari abilità emerse in momenti differenti nel corso del nostro passato evolutivo. Le scimmie antropomorfe possiedono apparentemente una rudimentale capacità di codificazione simbolica (rappresentazione) che possedevano anche i nostri antenati, le nuove specie possono sviluppare nuove capacità che non si riscontrano nei loro progenitori ciò è avvenuto nel passato umano quando i nostri antenati svilupparono per la prima volta l’attitudine alla rappresentazione simbolica complessa che comprende la capacità di comunicare sul passato, futuro e sull’invisibile. Questa abilità distingue il linguaggio simbolico umano dai sistemi vocali dei gorilla. L’antropologo Deacon sostiene che l’evoluzione abbia prodotto nell’ Homo Sapiens un cervello sovradimensionato per apprendere le associazioni simboliche. La rappresentazione simbolica complessa aveva un valore adattivo per i nostri antenati creando pressioni selettive che aumentavano nel tempo l’attitudine umana alla simbolizzazione. Le persone di un’altra cultura possono aiutarci a intravedere la possibilità di credenze e azioni in contrasto con tutto quanto la nostra tradizione considerata accettabile, diventando consapevoli di tali possibilità diveniamo persone diverse. Conoscere altre culture è promettente e rischioso e una volta che ciò avviene non possiamo più pretendere che una qualsiasi cultura abbia il monopolio della verità. La verità incorporata in qualunque tradizione culturale è destinata ad essere parziale, approssimativa e aperta ad altri intuizioni e sviluppi. Che cos’è il relativismo culturale? Nel corso delle ricerche gli antropologi devono imbattersi con le tensioni prodotte dalle diversità culturali. Il relativismo culturale può essere definito come la “comprensione di un’altra cultura nei suoi propri termini in maniera sufficientemente empatia da farla apparire come un progetto di vita coerente e dotato di senso”. Il fine del relativismo culturale è promuovere la comprensione delle pratiche culturali soprattutto quelle che uno estraneo trova disturbanti o incoerenti. Tali pratiche spaziano da quelle banali a quelle orribili. Cultura e ragionamento morale Una comprensione relativistica per esempio del taglio genitale femminile serve per più scopi, rende la pratica comprensibile e coerente, rivela come un procedimento fisicamente Pagina 4 di 53 pericoloso possa apparire accettabile e indispensabile quando è inserito in un particolare contesto di significato. Ci aiuta a vedere anche come pratiche culturali che diamo per scontate (perdita di peso, chirurgia plastica) tra le donne della nostra società siano ugualmente pericolose dalla clitoridectomia vittoriana alla chirurgia estetica del ventunesimo secolo. È stata la cultura a farglielo fare? Le donne sopportano pratiche “irrazionali” e dolorose solo perchè “glielo fa fare la loro cultura”? Per alcune persone questo tipo di spiegazione risulta plausibile o persino preferibile rispetto a spiegazioni diverse perchè assolve i singoli individui delle proprie responsabilità. Comprendere qualcosa non vuol dire approvarla o scusarla, quando le persone si imbattono per la prima volta in pratiche culturali sconosciute possono avvertire un senso di repulsione nei loro confronti ma a volte comprendendole meglio possono cambiare opinione e concludere che le pratiche in questione siano più adatte alle persone che l mettono in atto di quanto non lo sarebbero le proprie. Possono perfino ad arrivare a raccomandare di incorporare nella propria società pratiche che provengono da altre culture però può accadere anche il contrario. È possibile comprendere perfettamente la razionalità culturale sottesa a pratiche come la schiavitù, l’infanticidio, la caccia delle teste e il genocidio e tuttavia rifiutarsi di approvare simili pratiche. I membri di una società quanto gli estranei possono non trovare persuasive le ragioni addotte per spiegare queste pratiche oppure possono prefigurare sistemi che assicurino il risultato desiderato con metodi meno drastici. Il relativismo culturale rende il ragionamento morale più complesso, ogni tradizione culturale offre più di un modo per valutare l’esperienza. Trovarci a contatto con le interpretazioni di una cultura che non ci è familiare ci obbliga a riconsiderare in una nuova luce le possibilità che la nostra stessa tradizione riconosce e a ricercare le aree tanto di intersezione quanto in disaccordo. Il relativismo culturale scoraggia la facile soluzione di rifiutarci fin dall’inizio di considerare le alternative, inoltre non ci esime dal doverci confrontare con scelte difficili tra alternative in questo senso è una filosofia con i piedi per terra. La cultura spiega tutto ? In anni recenti il concetto di cultura è stato sottoposto a un riesame critico a seguito degli sconvolgimenti e riconfigurazioni a cui sono stati sottoposti i modelli di comportamento umani. Nel corso degli ultimi cinquant’anni molti antropologi hanno distinto tra Cultura e culture. Cultura è usato per descrivere un attributo della specie umana nel suo complesso: capacità dei suoi membri di creare e di imitare idee nell’assenza di una programmazione genetica specifica e attività organizzate in modelli e simbolicamente che promuovono la sopravvivenza della specie. Il termine culture è stato utilizzato per riferirsi a modi di vita particolari e appresi che appartengono a specifici gruppi di esseri umani. La cultura è un attributo qualificante della specie umana intesa nel suo complesso ma che in pratica gli esseri umani avrebbero accesso solo a particolari culture umane o alla propria o a quella di altre persone. Pagina 5 di 53 È stato messo in discussione il termine culture, gli antropologi l’hanno trovato utile non solo a livello analitico ma anche progressista sul piano politico. Il loro punto di vista riflette uno scontro sviluppato in Europa nel 19 sec: i sostenitori della civiltà universale e progressista dell’illuminismo inaugurata dalla rivoluzione francese e diffusa attraverso le conquiste napoleoniche incontrava l’opposizione di altre nazioni europee che resistevano sia a napoleone che all’illuminismo in nome di ciò che fu chiamato controilluminismo romantico. Gli intellettuali romantici della Germania rifiutavano l’imposizione della civiltà artificiale dell’illuminismo sulle tradizioni spirituali naturali delle loro culture nazionali. Questa dinamica politica che contrappone una civiltà che avanza verso le culture locali si estese ai successivi sviluppi dell’antropologia (nord-america). Fine del 19 sec ci fu l’espansione degli imperi coloniali europei così come l’espansione verso ovest e il consolidamento del controllo dei coloni europei in America settentrionale, in quello stesso periodo furono istituiti nelle università insegnamenti in scienze sociali. Gli antropologi divennero esperti di quelle società in cui i membri subivano una denigrazione razzista in quanto primitivi e i cui modi di vita venivano minati dal contatto con la civiltà coloniale occidentale. Gli antropologi era determinati a dimostrare che lo stereotipo del primitivo era falso. Tylor aveva definito la cultura o civiltà come quell’insieme complesso che include le conoscenze, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro di una società. Questa definizione aveva il pregio di vedere la differenze tra civiltà e cultura e incoraggiava il punto di vista secondo cui anche i primitivi possedevano capacità e abitudini che meritavano rispetto. Boas e Malinowski dimostrarono che i primitivi possedevano culture ragionevoli, ordinate, sviluppate sul piano artistico e disciplinate a livello morale. L’uso del plurale della parola cultura permise a loro di sostenere che i primitivi erano pienamente umani quanto le persone civilizzate. Verso la fine del 20 sec gli antropologi manifestarono preoccupazione su come veniva usato il concetto plurale di cultura, quel confine che prima proteggeva nelle situazioni di vulnerabilità stava apparendo simile al muro di prigione condannando chi si trovava al suo interno a vivere secondo la loro cultura così come avevano fatto i loro antenati. Se alcuni membri di un gruppo criticano una certa pratica (taglio genitale femminile) che fa parte della loro tradizione culturale significa che i critici non sono più membri “autentici” delle loro rispettive culture?La questione diviene non tanto quali tradizioni siano ereditate dal passato quasi che le culture “autentiche” fossero monolitiche e immutabili bensì quali pratiche tradizionali dovrebbero continuare a esistere nel mondo contemporaneo e chi può prendere tale decisione. I mutamenti della cultura e l’autenticità culturale Oggi vari gruppi ha incorporato l’uso del plurale del termine “cultura” nelle proprie auto-definizioni e gli antropologi difendono questa scelta considerandola molto utile e progressista. Inoltre altre discipline fuori dall’antropologia hanno inglobato la parola “cultura” nei propri vocabolari tecnici tutto ciò lo possiamo ponderare da un lato come misura del successo che le prime generazioni di antropologi hanno avuto nel dimostrare la rilevanza Pagina 6 di 53 del concetto cultura dall’altra che oggi la cultura viene usata in modi che gli antropologi trovano inappropriati ma che non sono in grado di controllare. La promessa della prospettiva antropologica Non è facile mantenere una prospettiva antropologica sulla condizione umana. Ci obbliga a mettere in dubbio gli assunti di senso comune che ci fanno sentire più a nostro agio. Aumenta la difficoltà che incontriamo quando ci troviamo di fronte a decisioni di ordine morale e politico e non ci permette una facile ritirata perché una volta esposti al tipo di esperienze che l'impresa antropologica rende possibili ci ritroviamo cambiati. Quando procedere diventa difficile non possiamo tornare indietro all’etnocentrismo se non in malafede in pratica l'antropologia ci garantisce di complicarci la vita, nonostante ciò la prospettiva antropologica ci offre un'ampia comprensione della natura umana e del mondo in Obiettivo della teoria positivista: produrre una conoscenza oggettiva, una conoscenza della realtà che sia vera per tutti in qualsiasi epoca e luogo. Gli antropologi furono impressionati dai successi nelle scienze fisiche che usavano metodi positivisti. Lo scenario prototipico della ricerca scientifica prevede lo studio di “scienze dure” intento a lavorare in un laboratorio. Che cosa non andava del positivismo ? Il ripensamento della ricerca sul campo portò a prestare un’attenzione più accurata alle dimensioni etiche e politiche delle relazioni che gli antropologi stabiliscono con le persone di cui studiano il modo di vita e che vengono definite informatori. Gli antropologi che vogliono fare ricerca sul campo di natura scientifica non possono evitare di accorgersi che condividono con loro oggetti di studio comuni; gli esseri umani hanno obblighi etici verso gli altri esseri umani, i fattori politici possono complicare le relazioni che gli etnografi sono in grado di sviluppare con i loro informatori. Gli antropologi devono considerare i propri informatori come esseri umani a tutti gli effetti, e sia l’antropologo che gli studiosi devono apprendere l’uno dall’altro e gli antropologi devono vedere se stessi come esseri umani e che il coinvolgimento umano con i propri informatori è essenziale per la comprensione interculturale. Per questo gli antropologi si devono porre delle domande e non possono più accettare gli assunti fondamentali della ricerca positivista. Rifiutare il positivismo trasforma la ricerca sul campo in impressioni soggettive sugli altri? Gli antropologi dicono no perchè la ricerca sul campo è un dialogo tra gli etnografi e i loro informatori ed il fatto che entrambi siano esseri umani implica il fatto che lo scienziato e l’oggetto di ricerca possiedono entrambi un’intelligenza indagatrice. Gli etnografi si impegnano in conversazioni reali con i loro informatori e questi dialoghi sono tentativi collaborativi di capire e classificare le cose e di metterle insieme con criterio. Il risultato se riesce è una nuova visione del mondo che sia l’antropologo che l’informatore possono condividere ciò vuol dire che i dati raccolti sono intersoggettivi (prodotto di lunghi dialoghi tra ricercatore e informatore). Al centro della ricerca sul campo ci sono significati intersoggettivi che gli informatori condividono. L’approccio riflessivo può sostituire il positivismo? I significati intersoggettivi sono pubblici, per renderli esplica l’antropologo e l’informatore devono esaminarli criticamente, devono riflettere sul modo in cui i membri di una certa cultura concepiscano le proprie vite, questo riflettere è detto riflessività che l’esperienza sulla ricerca sul campo in antropologia culturale è un’esperienza riflessiva. Pagina 9 di 53 Una ricerca sul campo riflessiva deve tener conto della raccolta informazioni dettagliate ma presta attenzione anche al contesto etico e politico della ricerca, al retroterra dei ricercatori, al coinvolgimento degli informatori e alle relazioni collaborative e tutto questo forma la conoscenza antropologica. La ricerca sul campo riflessiva considera più informazioni rispetto a quella positivista per produrre conoscenze sugli esseri umani che abbiano una validità scientifica. Gli etnografici si sono resi conto che l’attendibilità delle loro conoscenze sulle altre culture dipende dal riconoscimento delle dimensioni etiche e politiche della ricerca sul campo e dalla consapevolezza delle modalità su cui questi aspetti hanno plasmato quel sapere. La conoscenza etnografica modellata dalla riflessività dell’etnografo è una conoscenza situata ovvero che l’etnografo renda esplicita la sua identità. La riflessività promuove l’esplicito riconoscimento che qualsiasi resoconto etnografico deve essere concepito come una coscienza situata, prodotta sulla base di conoscenza parziali di specifici etnografi che lavorano con gli informatori le cui relazioni sono plasmate dai contesti etici e politici. L’adozione del metodo riflessivo ha avuto implicazioni di vasta portata sulle modalità con cui gli antropologi conducono le loro ricerche. Questi studiosi si considerano scientificamente e eticamente obbligati a rendere pubblico il modo in cui hanno raccolto i dati. Alcuni antropologi dicono che si deve condividere con gli informatori anche le conclusioni e includere le riflessioni dei propri informatori su tali conclusioni. La ricerca sul campo può essere multisituata? I cambiamenti che hanno coinvolto tutto il mondo hanno portato molti antropologi a concludere che le loro conoscenze etnografiche sarebbero state incomplete se avessero circoscritto la ricerca ad un unico contesto anche qualora fossero rimasti fedeli alla prospettiva riflessiva. Gli sviluppi conosciuti dall’antropologia e da altre scienze sociali affini hanno lasciato intendere che se gli etnografi non si fossero esplicitamente sforzati di situare la propria opera in un contesto globale avrebbero perso di vita fattori importanti. Successivamente gli antropologi cominciarono ad integrare le loro raccolte di dati con ricerche di archivio per situare storicamente la società con cui entrano in contatto inoltre incominciarono a rivedere il proprio modo di concepire gli ordinamenti sociali e le concezioni culturali esistenti considerandoli come prodotti della risposta attiva alle espressioni esterne. Tale lavoro rinforzò l’attenzione rivolta all’agency degli informatori, enfatizza dall’approccio riflessivo, stimolò la sensibilità nei confronti dei modi in cui i contesti di ricerca particolari si connettevano al mondo globale. Gli etnografici cominciarono a interpretare i dati che raccoglievano sul campo contestualizzandoli nell’ambito delle divisioni territoriali internazionali a loro volta concepite come prodotti della storia della conquista coloniale e dell’espansione capitalista europee. Intorno ai primi anni novanta ci sono stai stravolgimenti politici ed economici in tutto il mondo in grado da stimolare un’ondata migratoria su scala internazionale. In questo contesto gli antropologi cominciarono a sviluppare un nuovo approccio all’etnografia chiamato ricerca sul campo multisituata dove gli etnografi si concentrano su processi culturali non circoscrivibili entro confini sociali, etnici, religiosi o nazionali. Pagina 10 di 53 Gli etnografi dell’approccio multisituato seguono persone, cose, metafore, storie e vite. Muovendosi da un sito all’altro situando ogni volta se stessi in ciascun nuovo contesto gli etnografi sono stati in grado di sviluppare prospettive multiple sui loro oggetti di ricerca, sulle persone con cui hanno lavorato e su sé stessi in quanto osservatori situati. Gli etnografi che accumulano una serie di prospettive parziali chiamato “posizionamento mobile” e adottando tanti punti di vista diventa possibile rivelare contraddizioni ma anche stabile solide analogie tra le differenze che sono forme di forte oggettività. Che cos’è la dialettica della ricerca sul campo? La ricerca sul campo è rischiosa può offendere i propri informatori e affronta lo shock dell’inconsueto e la propria vulnerabilità ma questo bisogna accettarlo e tenerlo a bada per ottenere una qualsiasi comprensione significativa della cultura dei propri informatori. Inizialmente chi fa ricerca sul campo può sentirsi rassicurato da alcune intenzioni dato che tutti gli esseri umani appartengono alla stessa specie biologica, questo può aiutarli a combattere gli impulsi etnocentrici rammentando loro che se ciò che osservano sembra strano o irrazionale è perchè non lo comprendono. Agar usa l’espressione punti ricchi per definire i momenti inattesi in cui emergono problemi nella comprensione interculturale. I punti ricchi possono essere parole o azioni che segnalano lo scarto tra gli assunti inconsapevoli della gente del luogo su come funziona il mondo e quelli dell’antropologo. Gli etnografi lavorano duramente per situare i punti ricchi all’interno del mondo culturale locale sottoponendo a continua verifica le proprie interpretazioni in una varietà di contesti e con persone diverse per vedere se quelle interpretazioni trovano o meno conferma. In che modo interpretazione e traduzione sono aspetti importanti della ricerca? Abbiamo bisogno di una forma di interpretazione basata sulla riflessività. Per l’antropologo sul campo il compito dell’interpretazione è arrivare a comprendere il sé culturale passando per la comprensione dell’altro culturale. Gli antropologi e gli informatori coinvolti nell’osservazione partecipante condividono la situazione stessa della ricerca sul campo, si trovano faccia a faccia osservando e discutendo gli stessi oggetti e le stesse attività. All’inizio parlano senza capirsi poi discutono permettendo l’antropologo e all’informatore di andare alla ricerca di modi per comunicare riguardò a ciò che sta avvenendo intorno a loro. Le sovrapposizioni o intersezioni può costituire la base su cui l’antropologo e informatore possono costruire un nuovo comune linguaggio simbolico e intersoggettivo. Questo processo di costruzione di un ponte di comprensione tra sé e l’altro è ciò che Rabinow definisce la dialettica della ricerca sul campo. Sia il ricercatore che l’informatore possono avviare questa impresa avendo alle spalle nessuna esperienza condivisa che permetta loro di farsi un’idea accurata l’una dell’altro, se sono intenzionati a capirsi potranno dare un’interpretazione valida e una comprensione reciproca. La ricerca sul campo inizia raccogliendo dati, poi l’antropologo preparato arriva sul campo avendo già in mente forme di organizzazione sociale. Queste idee derivano in parte dall’esperienza personale dell’antropologo in fatto di relazioni sociali ma si baseranno anche sulla ricerca e sulle teorizzazioni di altri antropologi in materia. Pagina 11 di 53 Una buona etnografia oltre a convincere i suoi lettori sul piano intellettuale dovrebbe permettere loro di sperimentare l’umanità degli informatori. L’opportunità di fare esperienza dell’altro non capita facilmente va coltivato ed esige cooperazione e impegno sia da parte nostra che dagli informatori. L’etnografia multisituata può complicare può complicare il quadro proponendo simultaneamente ritratti ricchi e documentati basati sulla ricerca sul campo di altre persone che vivono altre vite. Pagina 13 di 53 Nei migliori scritti etnografici si può cogliere l’umanità, l’avidità, la compassione, la sofferenza, il piacere elementi di confusione e ambivalenza delle persone che hanno concesso all’antropologo di vivere con loro per un lungo periodo di tempo. Da dove viene la conoscenza antropologica? L’antropologo Hess definisce come fatto un’osservazione ampiamente accettata, un elemento della conoscenza comune dato per scontata. Come si produce la conoscenza? I fatti sono fenomeni complessi, da un lato asseriscono la verità di un certo stato di cose dall’altra l’analisi riflessiva ci insegna che è importante sapere chi ci dice che x è un fatto perchè i fatti non parlano da soli ma devono essere interpretati a posti in un contesto che li rende intangibili. I fatti dell’antropologia sono interculturali perchè sono prodotti attraversando confini delle culture. I fatti sono costruiti e ricostruiti sul campo quando i ricercatori riesaminano le note di campo e riflettono sull’esperienza vissuta e quando scrivono le loro esperienze o le discutono con altri. Il lavoro sul campo è lavoro quindi bisogna prendere appunti, condurre interviste, fare osservazioni, formulare interpretazioni. Secondo Wolcott ciò che rende l’esperienza della ricerca sul campo qualcosa di diverso dalla semplice esperienza e la trasforma in etnografia è ciò che gli antropologi fanno con i dati. La ricerca sul campo multisituata arricchisce questa esperienza e la complica perchè comporta l’essere qui e là e passando da una località all’altra nuovi fatti catturano l’attenzione aggiungendo uno strato in più a quel pensare. La conoscenza antropologica è illimitata? L’impresa etnografica non avrà mai fine. Il metodo antropologico secondo B. Malinowski Il lavoro etnografico percorre tre strade: 1. Organizzazione della tribù e l’anatomia della sua cultura (registrare in uno schema solido e chiaro). 2. All’interno di questa struttura vanno inseriti gli imponderabili della vita reale e il tipo di comportamento (raccolti attraverso osservazioni dettagliate in forma di diario). 3. La raccolta di affermazioni etnografiche, narrazioni caratteristiche, espressioni tipiche. Obiettivo finale: bisogna afferrare il punto di vista del nativo, il suo rapporto con la vita e la visione del suo mondo. Diario di campo: i dati sull’esperienza di campo vengono registrati nel diario etnografico (scritto ogni giorno a caldo e carico di soggettività) che non è destinato alla pubblicazione. Per un’etnografia dei processi educativi: - definire il campo - posizionamento dello sguardo e dislivelli di potere (es. dalla cattedra vs dai banchi) - Osservare partecipando (l’insegnante come mediatore fra culture) - Includere l’osservatore nell’osservazione - Descrivere è già interpretare - Dal diario al testo etnografico Pagina 14 di 53 - Esempi di etnografie nei contesti scolastici CAPITOLO 4: COM’E’ CAMBIATO NEL TEMPO IL PENSIERO ANTROPOLOGICO SULLA DIVERSITA’ CULTURALE? Capitalismo e colonialismo Capitalismo: un sistema economico dominato da quel meccanismo di domanda-offerta- prezzo che viene detto mercato; un intero modo di vita sviluppatosi in risposta e in servizio di tale mercato. Colonialismo: dominazione culturale che ha imposto cambiamenti sociali. L'antropologia si affermò come disciplina universitaria nel 19º secolo, al culmine dell'espansione coloniale europea specializzandosi nella ricerca su società che erano già diventate territori dominati dagli imperi europei o lo sarebbero diventati presto. Negli Stati Uniti l'attenzione si concentrò sugli abitanti indigeni del continente. La storia moderna dell'Occidente è stata caratterizzata dall'ascesa del capitalismo (nuovo tipo di economia) il cui sviluppo venne incentivato dal commercio e dalle conquiste la cui metafora chiave è che il mondo è un mercato e qualsiasi cosa esista ha un prezzo e può essere comprata. Prima del contatto con l'Occidente una tale visione era sconosciuta nelle società non capitalistiche anche in quelle che avevano istituzione economiche altamente sviluppate. La penetrazione capitalistica europea nelle società non occidentali è stata frequentemente seguita dalla conquista politica (colonialismo) che ha rimodellato le società sottomesse in modo tale da promuoverne lo sfruttamento economico (es miniere e piantagioni). Gli imperi coloniali hanno riunito economicamente e politicamente aree del mondo molto vaste che in precedenza non avevano tra loro alcun collegamento. I popoli colonizzati per operare in maniera efficace nell'ordine capitalista mondiale hanno dovuto cominciare a vedere il mondo con magazzino di potenziali merci. Colonialismo e modernità e l’economia politica coloniale Nelle colonie, l’essere moderni è stato concepito come la semplice adozione di pratiche e della visione del mondo del capitalismo occidentale. Di conseguenza i cosiddetti popoli rurali arretrati finirono per essere o coloro che sfuggivano al capitalismo o coloro che attivamente vi si opponevano. Le città erano centri di commercio e le aree rurali erano fonte di materie prime per l’industria. I sistemi instaurati dalle autorità coloniali per estrarre le materie prime disgregarono le comunità indigene e ne crearono di nuove. La mano d’opera per queste attività veniva spesso reclutata con la forza, tra le popolazioni locali. Economia politica: termine olistico che pone l’accento sulla centralità dell’interesse materiale (economia) e sull’uso del potere (politica) per proteggere e promuovere quell’interesse. Dal momento che l’ordine coloniale si concentrava sull’estrazione di ricchezze materiali, si può dire che la ragione della sua esistenza era di natura economica. Le popolazioni che gli antropologi avrebbero in seguito studiato non sfuggirono a processi storici della colonizzazione e dell’assimilazione economica capitalistica mondiale. Si tentò di reintegrare i gruppi indigeni, che avevano perso la loro autonomia, nella nuova economia politica coloniale. Nel corso dei contatti commerciali e politici tra popolazioni Pagina 15 di 53 indigene ed europei si formarono molti nuovi gruppi. Il fatto che continuino ad esistere i discendenti di popoli colonizzati dimostra che i popoli conquistati possono attivamente far fronte alle difficoltà e riorganizzare le proprie identità sociali a dispetto dell’oppressione e dello sfruttamento. L’antropologia e l’incontro coloniale Quando l’antropologia emerse come disciplina formale nell’ultima parte del diciannovesimo secolo, il contesto del colonialismo europeo e euroamericano era una realtà onnipresente entro cui gli antropologi erano obbligati a operare. Molti speravano che lo smantellamento degli imperi coloniali dopo la Seconda guerra mondiale avrebbe restituito sovranità e dignità ai popoli colonizzati. L’indipendenza, però, non liberò le ex colonie dai profondi legami neocoloniali che le univano ai loro ex padroni. In America settentrionale e altrove, gruppi di indigeni continuano a perseguire una giustizia sociale che li ripaghi delle perdite subite a causa della colonizzazione. Neocolonialismo: persistenza di complessi intrecci sociali ed economici che legano gli ex territori coloniali ai loro passati dominatori, a dispetto dell’acquisita sovranità politica. Variabilità culturale umana In che modo il mutare dei contesti storici ha modellato le teorie concepite dagli antropologi per spiegare la variabilità delle culture umane? 1. Molte delle società studiate dagli antropologi non conducevano una vita fuori dal tempo e sempre uguale a se stessa, indifferente alla presenza di altri popoli e specialmente degli europei. I modelli culturali che osserviamo sono stati ovunque condizionati dall’arrivo degli europei o dalle trasformazioni del mondo messe in moto dalla diffusione del capitalismo e del colonialismo europei. 2. Di fronte a queste forze esterne molti gruppi definirono nuove identità ed escogitarono nuove forme sociali per gestire gli effetti del contatto e della conquista. 3. Le società umane continuano a generare e a conservare un’impressionante varietà di forme culturali in risposta alle mutevoli circostanze che la vita impone loro. Le circostanze storiche che hanno ruotato attorno al contatto tra gli antropologi e coloro con i quali hanno lavorato chiariscono in maniera illuminante l’insieme delle tipologie utilizzate dagli antropologi durante l’ultimo secolo e mezzo per dare un senso alla variabilità culturale umana. A seconda degli scopi analitici che l’antropologo si prefiggeva, le stesse forme sociali potevano essere classificate in modi differenti. sociali all’interno della tribù sono relativamente egualitarie, anche se può esservi un capo che parla a nome del gruppo o ne organizza le attività. 2. Sistemi politici centralizzati (regimi dei capi-stato): mostrano un centro istituzionalizzato di autorità, quale un capo (chief) o un re. Questi sistemi implicano anche una gerarchia, alcuni membri della società centralizzate godono di maggior prestigio, potere o ricchezza rispetto ad altri membri. Si dividono in due: • regimi dei capi (chiefdom): forma di organizzazione sociale nella quale il leader (chief) e i suoi parenti stretti sono distinti dal resto della società e godono di accesso privilegiato alla ricchezza, al potere e al prestigio; • stato: società stratificata che possiede un territorio difeso dai nemici esterni con un esercito e dai disordini interni con una polizia. Uno stato, che comprende un insieme separato di istituzioni governative destinate a far valere le leggi e a esigere le tasse e i tributi, viene retto da un élite che esercita il monopolio nell’uso della forza. Teoria struttural-funzionalista (Radcliffe-Brown 1930-1940): posizione teorica che esplora come funzionino di giorno in giorno particolari forme sociali al fine di riprodurre la struttura tradizionale della società. Fare a meno delle tipologie Tratti culturali: particolari caratteristiche o elementi di una tradizione culturale (danza, rituale, stile). Area culturale: zona di prestito, ovvero di diffusione, di un particolare tratto o insieme di tratti culturali. Seguendo Franz Boas (considerato il padre dell’antropologia americana), gli antropologi nordamericani rifiutarono l’evoluzionismo culturale unilineare in base alla constatazione che le società potevano facilmente prendere e dare in prestito forme culturali, saltando in tal modo i presunti stadi evolutivi universali. L’attenzione dei boasiani per le forme di mescolanza sociale e culturale mise anche in luce la mescolanza biologica che sempre si verifica quando i gruppi umani si incontrano, offrendo così un contesto entro cui gli antropologi biologici furono finalmente messi in condizione di dimostrare che le razze biologiche non esistono. Di conseguenza, lo scopo di gran parte delle ricerche si orientò verso l’elaborazione di elenchi di tratti culturali e la mappatura delle aree culturali attraverso cui tali tratti si erano diffusi per effetto del prestito culturale, ignorando i confini che delimitavano le singole società. Biologia della variabilità umana Pagina 19 di 53 Macroevoluzione: si focalizza sui mutamenti evolutivi a lungo termine, specialmente sulla genesi di nuove specie e sulla loro diversificazione nello spazio, nel corso di milioni di anni. Microevoluzione: si concentra sui cambiamenti evolutivi a breve termine che si verificano nell’ambito di una data specie nell’arco di un numero relativamente ridotto di generazioni. Gli studi microevolutivi nell’ambito della biologia evoluzionistica furono resi possibili dalla sintesi moderna, una fondamentale innovazione teorica raggiunta negli anni 1930-1940, che integrava la genetica e la selezione naturale darwiniana nel vasto quadro della genetica di popolazione. Dopo la Seconda guerra mondiale i “nuovi antropologi fisici” (antropologi biologi) abbandonarono la vecchia antropologia fisica basata sulle “razze” e cominciarono a utilizzare concetti e metodi attinti alla genetica di popolazione per affrontare questioni concernenti i modelli di variazione biologica nella specie umana nel suo complesso. Specie: comunità riproduttiva di popolazioni (riproduttivamente isolate dalle altre) che in natura occupa una specifica nicchia. La capacità degli esseri umani di riprodursi qualsiasi sia la loro provenienza, testimonia la nostra appartenenza a un’unica specie. I genetisti hanno inoltre dimostrato che la maggior parte dei geni si presenta in varie forme, dette alleli. La genetica delle popolazioni ha dimostrato che la variabilità genetica delle popolazioni umane è per lo più una questione di differenze nelle proporzioni relative dello stesso insieme di alleli e che la distribuzione di particolari fenotipi si modifica gradualmente da un luogo all’altro attraverso le popolazioni, dal momento che le frequenze di alcuni alleli aumentano, mentre quelle di altri diminuiscono o rimangono invariate. I confini che si diceva definissero le razze umane sono stati imposti culturalmente su raggruppamenti mutevoli e instabili di alleli. Inoltre la distribuzione di taluni tratti (colore della pelle) non si accorda con quella di altri (tipo di capelli). Fenotipi: caratteristiche esteriori, osservabili e misurabili, di un organismo. I contrasti fenotipici sono massimi quando vengono raggruppate e comparate persone provenienti da luoghi molto diversi, ignorando le popolazioni intermedie che le collegano. Geni differenti entrano in gioco nella produzione di tratti fenotipici simili in popolazioni diverse. L’identità e il numero di alleli che concorrono a generare un tratto fenotipico possono differire da una popolazione all’altra. Cline: graduale intergradazione della variazione genetica da una popolazione all’altra. I biologi evoluzionisti sostengono che questa distribuzione del colore della pelle sia un effetto della selezione naturale. Pressioni selettive di natura differente potrebbero però aver operato, nell’ambito della medesima popolazione, su altri tratti (es. statura, capelli), motivo per cui le distribuzioni geografiche di tali tratti non corrispondono chiaramente a quella della colore della pelle. Pagina 20 di 53 Frank Livingstone (prove dell’intergradazione nei fenotipi umani): la variazione clinale spiega perché coloro che vanno in cerca delle razze non siano mai stati in grado di mettersi d’accordo su quante razze ci siano e su come possano essere identificate. I clini non sono gruppi. L’unico gruppo coinvolto nella mappatura clinale è l’intera specie umana. Ciascun cline è una mappa della distribuzione di un singolo tratto. Le distribuzioni dei tratti mappati non coincidono con nette suddivisioni in sottopopolazioni umane distinte. Realtà postcoloniali Con la fine del colonialismo sono apparse nuove classificazioni, poiché i popoli del periodo precedente divenivano ora cittadini di stati post coloniali. Durante la Guerra fredda nacque una nuova suddivisione degli stati nazionali in Primo, Secondo e Terzo mondo e il contrasto tra le “società sviluppate” del Primo mondo e le “società sottosviluppate” del Terzo. Nonostante alcuni antropologi si siano sempre sentiti a disagio con tali distinzioni, queste sono divenute ancora più problematiche al termine della guerra fredda nel 1989. Sebbene alcuni antropologi trovino tuttora utili certe tipologie ai fini di particolari indagini, la maggior parte oggi non si propone più come scopo finale la classificazione sulle forme di società. Situare i processi culturali nella storia Di recente, gli antropologi hanno esplorato nuovi modi di analizzare la diversità culturale in contesti storici in costante cambiamento. Etnografia di John e Jean Comaroff sugli Tswana del Sudafrica: i Comaroff hanno evidenziato le connessioni storiche precoloniali esistenti tra gli Tswana e i loro vicini e hanno ricostruito i primi incontri avvenuti durante il periodo coloniale e postcoloniale tra gli Tswana e i missionari protestanti scozzesi, oltre a quelli con le imprese capitaliste. Hanno anche prestato attenzione etnografica e storica ai vincoli che si sono stabiliti tra i missionari e le stesse imprese coloniali. La loro etnografia mostra come una serie di piccoli cambiamenti che si sono verificati sul lungo periodo abbiano prodotto effetti di vasta portata per i contemporanei Tswana e del Sud Africa sia sul piano sociale che politico e culturale. Particolarmente utile è stata l’attenzione rivolta al ruolo fondamentale delle nuove forme di cultura materiale e dalle pratiche che sono state introdotte presso gli Tswana dagli stranieri provenienti dall’Occidente. Analisi dei processi culturali durante la globalizzazione Globalizzazione: rimodellamento delle condizioni di vita locali a opera di potenti forze globali che agiscono con sempre maggiore intensità. Dopo la fine della Guerra fredda nel 1989, la caduta del comunismo e la diffusione del capitalismo in ogni parte del mondo hanno avuto profondamente ripercussioni sulle comunità studiate dagli antropologi e sulle condizioni in cui viene condotta la ricerca etnografica. Questi cambiamenti, a cui si fa complessivamente riferimento con il termine globalizzazione, implicano l’intensificazione dei flussi di ricchezze, persone, cose, immagini e ideologie, un’intensificazione resa possibile dai progressi raggiunti nel Pagina 21 di 53 campo dei trasporti, della produzione e delle tecnologie della comunicazione. La globalizzazione viene concepita in modo diverso a seconda dei soggetti: alcuni gruppi in certe parti del mondo beneficiano dei flussi globali, dei contatti e degli scambi, mentre alti ne sono completamente esclusi. Oggi sarebbe difficile trovare un qualsiasi progetto di ricerca nell’ambito dell’antropologia culturale contemporanea che non finisca in qualche modo per dare rilievo ai modi in cui i processi globali influenzano le comunità locali in cui si lavora. Gli antropologi si focalizzano sui dettagli storicamente definiti relativi agli effetti dei processi di globalizzazione sui contesti locali. Antropologia della scienza, della tecnologia e della medicina I flussi globali di tecnologie e merci hanno spinto gli etnografi a estendere i loro interessi ad argomenti e contesti che non erano mai stati presi in considerazione dalla ricerca etnografica portata avanti per gran parte del ventesimo secolo. Particolarmente rilevante è stato lo spostamento degli antropologi culturali verso campi come l’ingegneria informatica o verso Lo sport è lotta per amore della lotta, gli atleti e le squadre esistono solo per essere rivali ed è questo il punto della loro relazione. Lo scopo dello sport è giocare e vincere a differenza dei rivali del mondo reale che hanno fini politici, economici o sociali opposti e i concorrenti devono essere protetti. Come si relazionano cultura e sport? Lo sport è sicuramente un gioco, rispecchiano i valori di fondo del contesto culturale in cui sono praticati e nel momento in cui li si traduce in un nuovo contesto culturale vengono trasformati. Com’è organizzato lo sport nello stato nazionale? Secondo Lever la caratteristica più importante dello sport nello stato nazionale è quella di favorire la coesione in seno alle moderne società complesse. Lever dice che lo sport organizzato su vasta scala costituisce un meccanismo che porta a costruire l’unità politica e la fedeltà della nazione. La capacità dello sport di rafforzare le divisioni in seno alla società e al tempo stesso di trascenderle fa dello sport il mezzo perfetto per ottenere una più perfetta unità tra molteplici gruppi. Spesso i campionati a livello cittadino e nazionale unificano i diversi gruppi che si distinguono nella società sia dal punto di vista socioeconomico che geografico. Per molti popoli del mondo sostenere una squadra (di calcio per esempio) può essere la prima e forse l’unica a comportare una lealtà che travalica la comunità locale. L’unità dimostra che le diverse squadre e i gruppi che esse rappresentano sono in conflitto su un certo piano ma sono uniti a livello più alto. La segregazione di genere nell’ambito dello sport ha conseguenze significative in rapporto all’esperienza del crescere come maschi o come femmine inoltre influenza anche nella vita le relazioni tra uomini e donne che non condividono le stesse esperienze. Gli sport uniscono in un certo piano ma la dividono su un altro. Lo sport come metafora Perchè il calcio? Bromberger dice che il calcio affascina perchè mette a nudo il modo in cui procede una partita, una competizione, somiglia all’incerto destino delle persone nel mondo contemporaneo. La combinazione di regole che ne definiscono lo stile conferisce a questa incertezza una sensazione di accettabilità. Pagina 24 di 53 Il risultato di una gara o di un torneo, gli alti e bassi di una squadra nel tempo possono essere metafore della fragilità e della mobilità sia della condizione individuale che quella collettiva. La complessità e i cambiamenti improvvisi nel corso della partita vengono definiti la scorciatoia verso le gioie e i drammi della vita. Un incontro o una stagione del campionato oltre al successo in base al merito mettono in scena anche le incertezze che discendono da strategia, fortuna, legge e ingiustizia sotto forma di arbitraggio, furbizia, slealtà permettendo al tifoso di paragonare i giocatori, riflettere, progettare, formulare strategie e rimanere sorpreso. Qual’è la relazione tra baseball e mascolinità a Cuba? Lo sport riguarda sia le persone che lo praticano ma anche gli spettatori e le loro vite. L’antropologo Carter ha studiato i tifosi di baseball a Cuba (sport più importante) soprattutto dagli uomini e ora è l’attività principale del paese. Prima dell’indipendenza cubana il baseball era vietato a causa del suo “potenziale rivoluzionario”. Carter nota che per essere un vero tifoso di baseball a Cuba occorre desiderare e essere capaci di discutere di baseball ovvero opposizione e scontro e lo scontro è un aspetto cruciale della mascolinità cubana. Discutendo di baseball gli uomini di Cuba incarnano ed esibiscono i valori del maschio cubano ovvero la disciplina, la lotta e la lucidità. Le dispute tra tifosi enfatizzano la mascolinità. Nello spagnolo cubano la pena è un’estemporanea associazione di persone che si incontrano regolarmente per parlare di sport sia cubano che statunitensi. Gli uomini appartengono al ceto medio urbano e la loro reputazione si fonda sulla capacità di conoscere a memoria i fatti del baseball (statistiche, rapidità e accuratezza con cui sanno sfruttare tali conoscenze nel corso di una discussione), le donne invece non partecipano mai a la pena e pochissime sanno discutere del baseball e sono interessate a farlo. Secondo Carter discutere di baseball ed essere vero tifoso è come esibire e dichiarare la mascolinità, ci si interessa ad un passatempo maschile se si ha la conoscenza necessaria a dimostrare quell’interesse, se si ha l’abilità, l’autocontrollo e l’inclinazione per scontrarsi nei limiti accettati e dimostrano che questa mascolinità è cubana. Che cos’è l’arte? Nelle culture occidentali l’arte comprende la scultura, disegno, pittura, danza, teatro, musica e la letteratura e prodotti simili come il cinema, fotografia, narrativa orale, le feste e celebrazioni nazionali. Le attività definite come “arte” differiscono dal gioco libero perchè sono limitate da regole e indirizzano l’attenzione soprattutto alla forma delle attività o dagli oggetti prodotti dagli artisti fornendo criteri per valutarli. Si può definire l’arte? L’antropologo Alland definisce l’arte come un giocare con la forma che produce una trasformazione-rappresentazione esteticamente riuscita. Secondo lui la “forma” si riferisce alle regole del gioco dell’arte cioè alle restrizioni culturalmente appropriate dove contengono il modo in cui si può organizzare questo gioco nel tempo e nello spazio. Si può pensare alla forma anche in termini di stile e mezzi. Pagina 25 di 53 Lo stile è uno schema che dentro una cultura viene riconosciuto come appropriato in un dato mezzo; il mezzo invece attraverso cui l’arte viene creata e realizzata sono riconosciuti e caratterizzati culturalmente. Secondo Alland il termine “estetico” rimanda all’apprezzamento o alla reazione che una forma artistica o naturale suscita. I giudizi di valore estetico guidano l’artista nella scelta della forma e del materiale così come guidano le valutazioni dell’osservatore. Voloshinov sostiene che l’arte è un creativo evento di comunicazione viva che coinvolge l’opera, l’artista e il suo pubblico. La risposta del pubblico può essere entusiasta o critica, bisogna prestare attenzione al processo attraverso cui si arriva ad un certo risultato. Alland con trasformazione-rappresentazione intende è che dobbiamo ricordare che il nesso tra un simbolo e ciò che rappresenta è arbitrario cioè che i simboli possono essere separati dall’oggetto o dall’idea rappresentata e possono essere rappresentati in quanto tali e possono anche essere usati per un significato differente. La trasformazione e la rappresentazione dipendono l’una dall’altra Alland suggerisce di considerarle insieme. L’antropologa Errington osserva che tutte le culture umane possiedono “forme simboliche” che gli uomini vedono intensamente dotati di significato. Ma è arte questa? Molte persone e gli antropologi dicono che l’arte sia solamente ciò che un gruppo di esperti occidentali definisce come tale. Per mettere in evidenza l’etnocentrismo di questi esperti d’arte gli antropologi sottolineano che la distinzione tra “arte” e “non arte” non è universale. L’obbiettivo degli antropologi fu quello di riconoscere una completa capacità umana nei confronti dell’arte in tutte le società. L’arte intenzionale comprende gli oggetti che furono concepiti come arte, invece l’arte per appropriazione è costituita da tutti gli altri oggetti che sono divenuti opere d’arte perchè ad un certo punto alcune persone hanno deciso che appartenevano alla categoria dell’arte. Un oggetto per trasformarsi in arte deve avere un valore di esibizione cioè qualcuno deve esporlo. Come il gioco l’arte offre ai suoi creatori e ai partecipanti realtà alternative, possibilità di commentare e di trasformare il mondo. I mass media I mass media oggi comprendono tanti prodotti: i film, la radio, la televisione, i fumetti e il web, queste cose sono importanti nella vita delle persone. Che cos’è il mito? Il gioco è il cuore della creatività umana, si caratterizza per un’apertura casuale per questo mette in discussione l’ordine sociale che lo rafforza, le società lo circoscrivono con regole culturali incanalandolo in direzioni meno distruttive. Le regole che limitano l’espressione artistica sono tra i risultati di questo incanalamento. Gli artisti che operano nei diversi campi possono avere una vasta gamma di potenzialità espressive ma solo conformandosi alle regole che governano la forma espressiva prescelta. Le società si differenziano in rapporto alla flessibilità o alla rigidità con cui queste regole sono applicate alla forma artistica. Chi esegue il rituale sono individui attivi le cui scelte sono guidate dai testi rituali precedenti, l’esecuzione rituale può servire come commento al testo fino ad arrivare al punto di trasformarlo. Che cosa sono i riti di passaggio? I riti di passaggio includono le nascite, le iniziazioni, le conferme, i matrimoni, i funerali e simili. Gennep osservò che tutti questi riti avevano inizio con un periodo di separazione dalla vecchia posizione e dal tempo normale, il secondo stadio dei riti di passaggio comporta un periodo di transizione durante il quale la persona non si trova né nella vecchia vita né nella nuova, questo periodo è caratterizzato da una mancanza di ruolo, dall’ambiguità e dalla percezione di un pericolo. Durante l’ultimo stadio del passaggio la riaggregazione la persona è reintrodotta nella società nella sua nuova posizione. Pagina 28 di 53 Turner si concentrò sul periodo di transizione che reputava importante, e per Gennep questo passaggio era un periodo eliminale durante il quale l’individuo si trova sulla soglia, a metà strada. La liminalità viene assimilata alla morte, all’essere nel grembo, all’invisibilità, all’oscurità, alla bisessualità, alla natura selvaggia o a un’eclissi di sole o di luna. Le persone che si trovano nello stato liminale tendono a sviluppare un intenso cameratismo reciproco in cui gli elementi che li distinguevano nella condizione non eliminale finiscono per scomparire o per diventare irrilevanti. In che modo gioco e rito sono complementari? Il rito e il gioco sono complementari di metacomunicazione. Il gioco si basa sulla premessa “facciamo come se” mentre il rituale si basa sulla premessa “crediamo che”. Di conseguenza il frame rituale è molto più rigido di quanto non sia quello del gioco. Sebbene il rito possa apparire soverchiante e onnipotente gli individui e i gruppi possono a volte manipolare le forme rituali per conseguire scopi non tradizionali. In che modo le pratiche culturali combinano gioco, arte, mito e il rituale? Possono essere sperimentati insieme e spesso tutto ciò avviene. Per comprendere l’esecuzione nella sua interezza occorre cogliere le interazioni tra tutti gli aspetti che la costruiscono. L’estica della cerimonia ha successo perchè è costituita da molte parti diverse che si adattano tra loro in un modo soddisfacente. Nel regno dell’estiva le idee, gli oggetti simbolici, le azioni entrano in una relazione dalla quale emerge il significato. Gioco, arte, mito e rituale sono diverse sfaccettature della capacità olistica dell’uomo di vedere il mondo da una varietà di punti di vista. L’attitudine umana al gioco viene incanalata in direzioni diverse dalle diverse culture però è onnipresente. CAPITOLO 11: PERCHE’ LE PERSONE SI SPOSANO E FORMANO LE FAMIGLIE? Quale definizione di matrimonio danno gli antropologi? Un matrimonio è un istituzione che trasforma lo status dei partecipanti, sancisce il grado di accessibilità sessuale di cui i partner sposati godranno l'uno dell'altro, grado che può variare da esclusivo a preferenziale, perpetua i modelli sociali tramite la procreazione l'adozione di una prole; crea relazioni fra le parentele dei due partner; riceve un riconoscimento simbolico che può variare da un’elaborata cerimonia alla semplice apparizione, una mattina di marito e moglie seduti fuori della capanna di lei. Il matrimonio tra donne e il matrimonio col fantasma tra i Nuer Fra i Nuer studiati da Pritchard negli anni 30, una donna poteva sposare un'altra donna e diventare il “padre” dei suoi figli, in genere il “marito” era una donna che non riusciva ad avere figli, una volta sposata aveva tutti i ruoli sociali di un uomo, faceva ingravidare la donna e svolgeva in casa tutti quei compiti che i Nuer consideravano solo maschili, i figli della moglie ne prendevano il nome e la chiamavano padre. Sempre fra i Nuer c'era poi il matrimonio con uno spettro: poiché lo spettro di un uomo morto senza eredi maschi poteva perseguitare i parenti, per placarlo un fratello o il figlio di un fratello sposava una donna in suo nome e i figli che nascevano erano i figli dello spettro. In questo modo, però, anche questo uomo alla sua morte non lasciava eredi maschi, diventando a sua volta uno spirito irato e così la storia si ripeteva. Pagina 29 di 53 Il matrimonio come processo sociale Se concepiamo il matrimonio come un processo sociale che si dispiega nel tempo constatiamo che la nostra definizione ovvero che trasforma lo status sociale dei partecipanti, modifica i rapporti fra i parenti dei coniugi, perpetua i modelli sociali tramite i figli, la nostra definizione permette di dare luogo di una sfera più ampia di pratiche matrimoniali. Un rituale matrimoniale può unire gli sposi ma il fatto che diano alla luce dei figli i quali cresceranno come membri riconosciuti di un particolare gruppo sociale è una cosa che richiede tempo, in alcune società una coppia non era considerata pienamente sposata fino quando non aveva dato la luce dei figli. Il matrimonio instaura nuove relazioni fra i parenti di entrambi gli sposi ovvero relazioni di affinità (create per mezzo del matrimonio),che si distinguono da quelle consanguinee che sono basate sulla discendenza. Le relazioni che una coppia sposata a quelli sei parenti possono modificarsi nel tempo e non si possono prevedere o controllare. A volte i matrimoni devono essere contratti all'interno di un particolare gruppo sociale (endogamia), in altri casi vanno trovati al di fuori di un particolare gruppo (esogamia). In tutte le società alcuni parenti stretti sono proibiti sia come sposi sia come partner sessuali e questo modello si chiama tabù dell’incesto. I modelli di residenza dopo il matrimonio Una volta sposata una coppia deve vivere da qualche, ci sono quattro principali modelli di residenza postmatrimoniale: -residenza neolocale dove la coppia mette su famiglia per conto suo in un posto a sua scelta (società individualista come gli eschimesi) -residenza patrilocale quando la coppia di sposi abita con la famiglia del padre del marito o vicino( società pastorali, agrarie) Questo modello dà origine ad un raggruppamento sociale composto da uomini imparentati fra loro, gli antropologi ritengono che la sopravvivenza in queste società dipenda da attività che vengono svolte al meglio da gruppi di uomini che hanno lavorato insieme per tutta la loro vita. -residenza matrilocale quando la coppia sposata vive con la famiglia in cui è cresciuta la moglie o nei pressi ed è associata ai sistemi di parentela matrilineare, il nucleo del gruppo sociale è costituito da una donna, dalle sue sorelle, dalle loro figlie insieme ai rispettivi mariti (società che praticano l’orticoltura) -residenza avuncolocale nella comune ho presente nelle società matrilineari, la coppia sposata vive con il fratello della madre del marito o nei pressi, l'uomo più importante nel matrilignaggio di un ragazzo è il fratello di sua madre dal quale riceverà l'eredità. -residenza ambilocale la coppia cambia abitazione vivendo prima con la famiglia di uno degli sposi poi con quella dell’altro e ad un certo punto deve scegliere a quale famiglia affiliarsi in maniera permanente. -residenza duolocale si riscontra quando l'appartenenza al proprio lignaggio è talmente importante che i mariti e mogli continuano a vivere presso i rispettivi lignaggi anche dopo essersi sposati. Un coniuge, molti coniugi Pagina 30 di 53 Il numero dei coniugi consentiti varia da cultura a cultura, abbiamo la monogamia quando si può sposare solo una persona, poligamia quando si può sposare diverse persone e si divide in poliginia (plurità di mogli) e in poliandria (plurità di mariti). La monogamia è l’unico modello matrimoniale nella maggior parte delle società industriali, prima del XX sec. Generalmente ci si sposava solo una volta, a meno che il coniuge non morisse; oggi abbiamo una monogamia seriale ovvero che ci si può sposare con diverse persone ma uno alla volta. Nella poliginia il numero di mogli ammesse varia da società a società, l’Islam permette fino a 4 mogli ma solo se si è in grado di mantenerle tutte sia economicamente che affettivamente. Altre società non pongono limi ma in realtà i limiti ci sono ugualmente perché avere più mogli con relativi figli ha un costo non indifferente e inoltre per uno che ha tante mogli ce n’è un altro senza. Poliandria, sessualità e capacità riproduttiva delle donne Monogamia e poliginia sono per certi versi simili perché entrambi si preoccupano di controllare la sessualità femminile lasciando agli uomini una maggiore libertà d'azione. La poliandria invece, merita un esame più attento quindi prenderemo in esame le tre forme presenti: accade si ritiene che la donna finisca sempre più sotto il controllo degli spiriti del clan del marito, inoltre si crede che dopo la sua morte oltre all'influenza che eserciterà sul proprio clan in quanto sorella divenuta spirito avranno influenza anche su clan del marito in quanto madre divenuta spirito. Quale concezione della struttura della famiglia hanno gli antropologi? Il processo attraverso cui la donna viene gradualmente coinvolta nel clan del marito è stato descritto da Pritchard. La nascita di un figlio stabiliva una parentela tra la moglie e i coniugi del marito, e tra il marito e coniugi della moglie. In molte società patrilineari la donna comincia a identificarsi negli affari del lignaggio del marito, ma l'aspetto più significativo è che quello che era stato il lignaggio di suo marito diviene quello dei suoi figli e questi ultimi creano un legame con il lignaggio che non dipende da suo marito. La definizione di famiglia Alcuni antropologi preferiscono distinguere la famiglia coniugale basata sul matrimonio da un marito, una moglie e dai loro figli, dalla famiglia non coniugale che consiste in una donna inizio figli in questo caso il marito/padre può essere presente solo occasionalmente oppure del tutto assente. La famiglia nucleare Per degli antropologi una famiglia nucleare è costituita da due generazioni, i genitori e i loro figli non sposati. Ciascun membro di una famiglia nucleare intrattiene con gli altri una serie di rapporti in evoluzione: marito e moglie, genitori e figli, figli tra loro. Lungo queste linee che si sviluppano gelosia, competizione, dispute e gli affetti all’interno della famiglia monogamica neolocale, la rivalità tra fratelli. La famiglia poliginica Le famiglie poliginiche sono differenti nelle loro dinamiche, ogni moglie è in rapporto con le altre co-mogli sia come singole persone sia come gruppo. Le co-mogli interagiscono con il marito sia individualmente che collettivamente, Queste relazioni cambiano col tempo. Le differenze nelle dinamiche interne alle famiglie poliginiche non sono circoscritte alle relazioni fra il marito e le mogli. Una distinzione importante riguarda i figli di una stessa madre e quelli di una madre diversa. Pagina 33 di 53 Quando vogliamo mettere in evidenza la connessione stretta che hanno con un fratello ho una sorella particolare dicono che lui o lei ha lo stesso padre, la stessa madre e questo significa che è un rapporto dotato di particolare intimità e significato. I figli hanno anche relazioni di tipo diverso con le loro madri e con le altre mogli del padre, così come con il loro stesso padre. Quando c'è un'eredità significativa queste relazioni incanalano gelosie, i figli della stessa madre ma soprattutto quelli di madri diverse competono fra loro per assicurarsi il favore del padre, ciascuna madre protegge gli interessi dei propri figli a volte a spese di quelli delle altre co-mogli. La competizione nella famiglia poliginica Le mogli di una famiglia poliginica hanno relazioni molto strette ma le co-mogli alla fine competono tra loro, e questa competizione si incentra spesso sui figli. I mariti devono evitare segnali di favoritismo, le mogli sono classificate per ordine di matrimonio, la moglie più anziana esercita la sua autorità su quelle successive E l'ordine di matrimonio struttura il gruppo domestico ma fa insorgere le rivalità. In secondo luogo le mogli vengono classificate anche in termini di status delle famiglie di provenienza, Il marito non deve mostrare favoritismi nei confronti di una moglie che proviene da una famiglia di status elevato facendo istruire i figli di lei prima dei figli più grandi avuti da altre mogli con figli di mogli con una status più elevato nell'ordine di matrimonio. Il livello di istruzione dei figli ha molta importanza per la donna perché alla morte del marito le principali rivendicazioni relativi alla terra o al denaro passano attraverso i figli. Una donna dipende per il suo sostentamento non solo dal reddito che un figlio può guadagnare ma anche dai diritti che i suoi figli hanno ereditato dal padre proprietà e posizioni di prestigio. L'istruzione esige una spesa considerevole e un uomo può trovarsi nella condizione di poter mandare a scuola un solo figlio oppure di potermi iscrivere uno a una prestigiosa scuola privata a patto di avviarne un altro a una professione nel settore del commercio. Questi dati della loro realtà economica hanno consenso per i mariti ma provocano aspre contese fino ad arrivare al divorzio, Spesso per evitare questi problemi si mandano i figli a vivere con i parenti che potranno mandarli a scuola. Famiglie estese e famiglie congiunte In una famiglia estesa verticale abitano insieme tre generazioni, in altre società d'estensione orizzontale, i fratelli e le rispettive mogli vivono insieme in una famiglia congiunta. Le singole famiglie possono mutare nel tempo la propria struttura di base. Trasformazioni della famiglia nel tempo Divorziare e riposarsi La maggior parte delle società consente la separazione delle coppie sposate, in certe società il processo è lungo e difficile specie quando comporta la restituzione della ricchezza della sposa, un uomo che divorzio che viene lasciato dalla moglie si attende la restituzione di una parte della ricchezza della sposa, per la famiglia della sposa però questa restituzione può comportare la rottura dell'intera catena di matrimoni. Il divorzio a Guider Tra il musulmani di Guider il divorzio è prerogativa degli uomini che secondo la regola che è stabilita dal Corano devono solo comparire davanti a due testimoni e pronuncia e per tre volte “io divorzio da te”, dopodiché è libero e la moglie deve andarsene di casa e Pagina 34 di 53 dei figli può portarsi via solo i neonati per riconsegnarli al padre quando compiranno sei o otto anni. La donna per sfuggire ad un matrimonio sfortunato può esprimere il desiderio di divorziare ma se il marito rifiuta o se lei non ha il coraggio di affrontarlo l'unica arma che le rimane quella di cominciare a trascurare le faccende di casa, bruciare la cena e diseredare il letto coniugale. I motivi di divorzio Le cause di divorzio possono essere le vessazioni, i litigi, la crudeltà a volte anche per la mancanza dei figli. Dopo la discussione spesso intensa una coppia che deciso di separarsi semplicemente lo fa, tutto quello che è necessario è il consenso reciproco e i figli seguono la madre. Sono poche le società che non ammettono divorzio. La separazione fra gli Inuit Fra gli Inuit nord occidentali il matrimonio permanente e benché esista la separazione il matrimonio non sarà mai sciolto. I coniugi che smettono di vivere insieme e di avere rapporti sessuali si considerano separati, Se si risposano i due mariti diventano co-mariti e le due donne co-mogli, insomma per gli Inuit con il divorzio i vincoli aumentano. Le famiglie allargate Negli ultimi anni gli antropologi hanno constatato l'emergere negli Stati Uniti della famiglia allargata. Questa famiglia si crea quando persone precedentemente divorziate o rimaste vedove si risposano portando con sé i figli dei loro precedenti matrimoni. La disgregazione dei gruppi domestici complessi Le famiglia congiunte costituiscono il miglior esempio di formazione di nuovi gruppi domestici a seguito della disgregazione delle famiglie estese, in questa famiglia le tensioni che si accumulano sono fra fratelli o sorelle conviventi e la situazione peggiora con la morte del padre, il figlio maggiore eredità dal padre la posizione di capofamiglia ma i fratelli minori possono rifiutarsi di accettare la sua autorità. Alcuni fratelli più giovani possono decidere di mettere su casa per conto proprio così la famiglia si divide. Le migrazioni internazionali e la famiglia La migrazione in altri paesi alla ricerca del lavoro è divenuto fenomeno comune in tutto il mondo e ha ricadute importanti sulla famiglia. Negli ultimi anni Internet è venuto ad assumere un ruolo sempre più importante nella vita delle famiglie separate dalla migrazione, dall'istruzione, dal lavoro e cosi via. L'impiego di internet offre agli antropologi l'opportunità di osservare come si possono mitigare gli effetti della separazione dalla famiglia e dà alle persone di tutto il mondo la possibilità di provare forme di comunicazione quotidiana cordiali che hanno effetti importanti sulla vita familiare. In uno studio della Georges 1990 su immigrati sudamericani negli Stati Uniti, si osserva che nonostante la lontananza il padre mantiene un ruolo attivo nella famiglia, è sempre quello che porta casa il pane e prendere decisioni principali con telefonate, lettere ecc… Famiglie per scelta Weston sapeva che un punto di svolta nelle vite della maggior parte dei gay e delle lesbiche era la decisione di annunciare a genitori e fratelli il proprio orientamento sessuale. Pagina 35 di 53 proteggere se stessa significa compromettere ciò che vuole preservare e piuttosto che proteggerle i matrimoni per amore possono contribuire a esporre le donne al rischio di contrarre l’HIV dai loro mariti. Sessualità e potere Le pratiche sessuali possono essere un modo per affermare la realtà delle differenze di potere. CAPITOLO 12: CHE COSA PUO’ DIRCI L’ANTROPOLOGIA SULLA DISEGUAGLIANZA SOCIALE ? Pagina 37 di 53 Gli antropologi sono interessati a documentare le varie forme di stratificazione sociale che gli esseri umani hanno inventato, le società stratificate sono costituite da sottogruppi stabilmente ordinati in modo gerarchico nelle quale i gruppi di rango più elevato hanno un accesso maggiore rispetto a quelli di rango inferiore alla ricchezza, al potere e al prestigio. Oggi nel mondo tutti devono confrontarsi con l'autorità dell'uno o dell'altro stato nazionale e tutti questi Stati sono socialmente stratificati. All'interno degli Stati nazionali la diseguaglianza può emergere da molte categorie ordinate secondo gerarchie di stratificazione differenti e contraddittorie. Ognuna di queste categorie un'invenzione culturale destinata a creare confini che circoscrivano ora l'una ora l'altra comunità immaginata. Alcuni di questi modelli risalgono a migliaia di anni fa altri sono più recenti E sono associati i cambiamenti che ebbe inizio in Europa all'incirca 500 anni fa, il capitalismo e il colonialismo ha introdotto nuove forme di stratificazione in società autonome ed egualitarie altrove invece ha rimodulato le stratificazioni già presenti. Approcci decostruttivi (tendenti ad isolare e frammentare i problemi anziché affrontarsi e risolverli) per sconfiggere gli stereotipi Il genere Costruzione culturale fatta di credenze comportamenti considerati appropriati per ciascun sesso. La ricerca si è focalizzata non solo sui ruoli riproduttivi e sulla sessualità ma anche sulla questione della diseguaglianza di genere. I primi risultati suggerivano che il dominio maschile fosse un fatto universale. I maschi godevano di un rango superiore rispetto alle femmine perché venivano considerate più vicine alla natura in virtù del fatto che erano loro a partorire ed allevare la prole. Dimostrarono che ruolo di uomini e donne all'interno della famiglia variava sul piano storico e interculturale; conclusero che la famiglia nucleare fosse ben lontana dall'essere un modello universale. Fondamentale per la ricerca di genere fu l’antropologa Leacock che sostenne che la subordinazione delle donne agli uomini potesse essere connessa con l’affermazione della proprietà privata e l’ emergere dello Stato. La Leacock dimostrò come la colonizzazione capitalistica avesse trasformato le relazioni di genere di tipo egualitario vigenti nei popoli indigeni in relazioni diseguali e dominate dei maschi. Strathern ha sostenuto che le relazioni esistenti fra maschi e femmine in una società vanno considerate solo comune esempio di simbolismo di genere, definisce il genere come quelle categorizzazioni di persone, artefatti, sequenze di eventi che attingono all'immaginario sessuale ovvero ai modi in cui la distinguibilità delle caratteristiche maschili e femminili rende concrete legate le persone sulla natura delle relazioni sociali. L’antropologa Stoler ha paragonato il colonialismo olandese in Indonesia con quelle in altre parti del mondo e ha constatato che i colonizzatori bianchi europei concepivano il loro rapporto con i maschi indigeni in termini di disuguaglianza razziale e di genere. I colonizzatori stabilirono un divario razziale fra colonizzatori e colonizzati, ponendo se stessi maschi “bianchi” al di sopra dei maschi indigeni “non bianchi” che avevano sottomesso, allo stesso tempo premevano con violenza qualsiasi coinvolgimento sessuale Pagina 38 di 53 fra maschi indigeni e donne “bianche” mentre concedevano a se stessi un accesso sessuale prima di restrizioni alle donne indigene punta In questo modo i colonizzatori maschi bianchi “femminilizzavano” I maschi indigeni rappresentandoli come non maschi perché non avevano difeso il loro territorio e le loro donne dagli invasori bianchi più forti di loro. Stoler sottolinea che i colonizzatori maschi bianchi rafforzavano queste gerarchie coloniali razzializzate e basate sul genere ogni volta che i maschi indigeni si organizzavano politicamente E minacciavano governo coloniale. La classe Sono gruppi sociali ordinati gerarchicamente e definiti su base economica. Il concetto di classe ha seguito una linea di sviluppo proveniente dall'Europa ed una dagli Stati Uniti. Per gli europei le classi erano gruppi chiusi e ben consolidati. La rivoluzione industriale e francese portarono con sé la promessa di porre fine ai privilegi oppressivi della classe dominante e di rendere uguali per tutti le possibilità di accesso alla ricchezza. Le classi tuttavia non scomparvero, ma modificarono i propri confini. Marx definisce le classi sociali in base ai rapporti che i membri hanno con i mezzi di produzione significa che finché in una società prospera un particolare insieme di rapporti di produzione ineguali le classi definite dalla disuguaglianza dei ruoli nella divisione del lavoro sono destinate a persistere. Con il passare del tempo secondo Marx gli operai dell'industria sarebbero divenuti la nuova “classe al comando” che si sarebbe sollevata con l'avvento della rivoluzione socialista per spodestare capitalisti. Marx era ben consapevole che tutti coloro che sono collegati ai mezzi di produzione nello stesso modo spesso non riconoscono ciò che hanno in comune e possono non riuscire a sviluppare quel tipo di solidarietà reciproca la “coscienza di classe”. In molte delle società stratificate la possibilità che emerga una solidarietà di classe fra i contadini o gli operai viene messa a rischio dall'istituzione della clientela. Smith fornisce la definizione di clientela come una relazione basata sull'ineguaglianza di status delle persone associate come caratteristica comune. La clientela È una relazione fra individui, la parte che ha uno status è superiore È il patrono, l'altra il cliente. Le società stratificate uniti da vincoli di clientela possono essere molto stabili, i clienti con uno status basso credono che la loro sicurezza dipenda dal trovare un individuo con uno status elevato che possa proteggerli. Antropologi di formazione statunitense al contrario definirono le classi sociali in termini di reddito sostennero che queste fossero aperte e permeabili e che la mobilità sociale sia accessibile a chiunque. Vi era tuttavia un'eccezione costituita dalla barriera di colore che impediva una mobilità sociale ascendente ai cittadini di origine africana. Warner sostenne che la barriera del colore assomigliava più alla rigida barriera che si riteneva esistesse fra le caste indiane che non al supposto confine permeabile fra le classi sociali americane. L'appartenenza a una casta è ascritta alla nascita, è chiusa per cui gli individui non è consentito passare dalla casta all’altra. Pagina 39 di 53 Warner dice che anche l'appartenenza alla classe sociale era scritta fin dalla nascita però non sono chiuse per cui la mobilità sociale individuale da una classe all'altra è possibile. Warner fu colpito dalla rigidità della barriera rilevata tra le caste appariva assai simile a quella che separava bianchi neri negli Stati Uniti. Cox osserva che in India sostenevano che le caste indù plasmato dalle credenze religiose indù concernenti la purezza e la contaminazione. I membri della casta impura di basso rango non mettevano in discussione sistema anche se li opprimeva. La casta Origine portoghese, lo applicarono alle gerarchie ordinate di sottogruppi dell’Asia Meridionale. Ha il significato di “casto” erano proibiti i legami sessuali o maritali fra diversi gruppi. In termini antropologici le caste erano endogamiche e dicono che sia una forma di parentela. Le caste in india Nel termine casta ci sono due concetti provenienti dall’Asia meridionale, il primo espresso dal termine varna che è la nozione diffusa secondo cui la società indiana è suddivisa in sacerdoti, guerrieri, agricoltori, mercanti; il secondo concetto è espresso dal termi jati si riferisce a gruppi localizzati, dotati di un nome ed endogamici. Sebbene i nomi degli jati corrispondano spesso a mestieri non esiste alcun modo accettato di raggruppare i molti jati locali all’interno dell’uno o dell’altro dei quattro varna motivo per cui i membri degli jati posso non concordare fra loro rispetto al varna a cui dovrebbe appartenere il loro jati. Gli antropologi biologici contrappongono l’eredità genetica di un organismo o genotipo al suo aspetto esteriore osservabile, o fenotipo determinato dalle influenze ambientali quanto dai fattori genetici. La razza come categoria sociale Nella seconda metà del 19º secolo molti tra i primi antropologi inventarono schemi per classificare gerarchicamente le razze dell’umanità. In cima troviamo i bianchi nordeuropei, nel livello intermedio troviamo i popoli dalla pelle più scura come gli abitanti indigeni delle Americhe e dell'Asia, al livello più basso di tutti proviamo gli africani. In questo modo l'identificazione delle razze si trasformò in razzismo ovvero la sistematica oppressione di uno o più “razze” definite da un’altra “razza” giustificata in base alla pretesa superiorità biologica intrinseca dei dominatori e altrettanto pretesa inferiorità biologica intrinseca dei dominati. Le cosiddette razze sono comunità immaginate, il tradizionale concetto di razza della società occidentale è privo di significato sia sul piano biologico che genetico. Le categorie razziali hanno origine non nella biologia ma nella società. Gli antropologi sostengono che la razza è una categoria sociale costruita culturalmente i cui membri vengono identificati sulla base di particolari caratteristiche fenotipiche che vengono condivise da tutti coloro che fanno parte. Il risultato è un insieme di criteri distorti ma coerenti che i membri di una società possono usare per assegnare le persone all'una o all'altra categoria razziale culturalmente definita, quando ciò accade i membri di una data società possono trattare le categorie razziali come se riflettessero la realtà biologica usandole per stabilire istituzioni che includono o escludono particolari razze culturalmente definite. La razza nella Oaxaca coloniale L’antropologo Chance studiò lo sviluppo delle idee di razza e classe nella città di Oaxaca, era abitata da un popolo indigeno, esaminò il modo in cui la stratificazione sociale si modificò dal periodo della conquista spagnola ai primi anni della guerra di Pagina 42 di 53 indipendenza messicana, mostrando che avvennero cambiamenti sia nelle categorie usate per descrivere i gruppi sociali sia nei significati attribuiti a queste categorie e che accompagnarono alle trasformazioni avvenute nelle dinamiche di stratificazione sociale. La mobilità sociale nel sistema di casta Durante il periodo coloniale, i confini dei sistemi di stratificazione di Oaxaca erano rigidi in particolare per i discendenti “non misti” di indigeni, africani, europei. La crescita della popolazione casuale coincise con la trasformazione dell’economia coloniale che cominciò a fondarsi sul capitalismo commerciale, questa evoluzione portò Oaxaca il centro di un’importante industria manifatturiera per la produzione di tessuti e tinture. Chance sostiene che il modo migliore per capire il sistema delle caste è pensarlo come un “sistema legale e cognitivo di status sociorazziali gerarchizzati”. Gli antropologi hanno adoperato l’espressione razza sociale per descrivere il sistema di classificazione a cui diede origine. Il sistema di stratificazione di Oaxaca cominciò con categorie razziali chiuse simili a caste dove non fu possibile conservare la purezza e sfociò in categorie aperte assimilabili alla classi con un marchio razziale. Il colorismo in Nicaragua Lancaster sostiene che in Nicaragua il razzismo esiste ma che non è assoluto come negli Stati Uniti. Una dimensione del razzismo nicaraguense contrappone la maggioranza dei mestizo agli indigeni Miskito e ai caraibici di ascendenza africana. I mestizo consideravano i gruppi costieri arretrati, inferiori e pericolosi. Lancaster interpretò il razzismo nei confronti della popolazione costiera come un’estensione del modello delle relazioni razziali interno alla cultura dei mestizo che chiamò colorismo ovvero un sistema di identità fondate sul colore negoziate in base alla situazione contingente. Nel colorismo non esistono confini razziali fissi, gli individui negoziano la propria identità basata sul colore in modo nuovo con il risultato che il colore che possono rivendicare oche può essere loro attribuito cambia da una situazione all’altra. Gli informatori di Lancaster classificavano tre diversi sistemi basati sul colore, il primo “fenotipico” comprendeva tre categorie (blanco, Moreno, negro). Il secondo sistema utilizzato viene definito “cortese”, gli europei venivano chiamati chele ( chi ha gli occhi blu), chi è moreno è detto blanco invece chi è negro è chiamato moreno. Il terzo sistema viene definito “peggiorativo e/o affettuoso” dove esistono solo due termini: chele (pelle e capelli più chiari) e negro (pelle e capelli più scuri). Lancaster constatò che essere bianchi è una qualità desiderata e il discorso cortese esagera le descrizioni delle persone. Lancaster sottolinea che tutti e tre i sistemi di colori usati in Nicaragua presuppongono la superiorità dei bianchi e l’inferiorità dei neri. Africani, Indio e meticci sono stati riuniti sotto il termine “negro” segno di sconfitta. L’etnicità Per gli antropologi i gruppi etnici sono gruppi sociali i cui membri distinguono se stessi in termini di etnicità cioè riferendosi a caratteristiche culturali distintive come la lingua, la religione o il modo di vestire. Pagina 43 di 53 L’etnicità è un concetto culturalmente costruito. L’etnicità si sviluppa nel momento in cui membri di gruppi differenti tentano di dare un senso agli ostacoli materiali che incontrano all'interno della specifica struttura politica in cui sono confinati. Questo fenomeno è descritto come una lotta fra l'autoastrazione (sforzi degli interni per definire la propria identità) e l’eteroascrizione (sforzi esterni per definire le identità di altri gruppi. Dal punto di vista dei Comaroff il gruppo dominante trasforma se stesso e i gruppi subordinati in classi perché tutti i raggruppamenti sociali subordinati perdono indipendenza nel controllo dei mezzi di produzione e/o riproduzione. Un risultato di questo lotta è la comparsa di nuovi gruppi etnici e di nuove identità etniche che non sono in continuità con alcun singolo gruppo culturale persistente. I Comaroff sostengono che in tutte le colonie europee in africa era molto comune una particolare struttura fatta di identità accorpate e contrapposte. La meno inclusiva era costituita da gruppi detti “tribù” che combattevano per dominarsi a vicenda all’interno di stati coloniali. I livelli intermedi erano rappresentati da entità che travalicavano i confini locali dette sovratribù o nazioni. L’etnicità nell’Africa urbana Gli studi antropologici che si sono concentrati sui tentativi di ottenere una mobilità etnica costituiscono secondo i Comaroff il punto focale dell’etnografia sull’Africa urbana. Gli attributi chiave che spesso si associano all’eticità è fluida e malleabile ovvero che si può abbracciare volontariamente o che si può disinvoltamente ignorare seconda delle situazioni. In una società stratificata su base etnica individui e gruppi ambiziosi possono manipolare l’etnicità come una risorsa che consenta loro di perseguire i propri interessi. Laddove sono compresenti diverse identità le persone possono in contesti diversi spostarsi dall'una all’altra. Etnicità e razza I membri del gruppo etnico dominante possono mettere in evidenza la propria superiorità culturale e mettere in dubbio l'adeguatezza dei gruppi subordinati che li sfidano. Secondo l’antropologo Harrison l'etnicità viene a essere razzializzata. Dal suo punto di vista la razza differisce dall’etnicità proprio perché viene usata per marcare e stigmatizzare certe persone come diverse in modo sostanziale e irreconciliabile, mentre i privilegi che gli altri sono trattati come normativi. Harrison sostiene che nel 19º secolo i bianchi nord europei cominciarono a razzializzare gli stereotipi etnici e religiosi o di classe associati ad altri europei giudicandoli meno umani, alcuni gruppi etnici razzializzati come gli irlandesi rovesciarono questo processo una volta emigrati negli Stati Unit, etnicizzandosi divenendo così uno dei tanti gruppi etnici americani. Harrison sostiene che i tentativi di interpretare le relazioni razziali negli Stati Uniti come relazioni etniche hanno trattato il concetto di razza in modo eufemistico perché non hanno tenuto conto dei fattori politici ed economici che mantengono esclusi e stigmatizzati al livello più basso della società gruppi come quello degli afroamericani. Pagina 44 di 53 Harrison riconosce che gli afroamericani si impegnano in pratiche etnicizzanti che mettono l’accento sull’eredità culturale. L’etnicità dovrebbe probabilmente essere integrata dalla nozione di razza per distinguere il sconfinamento di certi gruppi sociali negli strati più bassi della società. L’antropologa Werbner dice che per compiere progressi nell’analisi della violenza etnica come forza sociale bisogna distinguere le pratiche di “quotidiana” identificazione etnica dal razzismo. Werbner distingue due diversi processi sociali, l’oggettivazione e la reificazione. Impiego della violenza contro I cittadini che contrastano le pretese di omogeneità nazionale può fornire ai governi nazionali un mezzo moderno per cercare di garantire solidarietà e stabilità. La pulizia etnica o etnocidio e il genocidio possono costituire una serie di pratiche correlate che diventano premonitrici di eventi futuri. CAPITOLO 14: CHE COSA PUO’ DIRCI L’ANTROPOLOGIA SULLA GLOBALIZZAZIONE? Gli antropologi definiscono globalizzazione, il rimodellamento delle condizioni di vita locali a opera di potenti forze globali che agiscono su scala sempre più vasta e con intensità crescente e che molti dei tentativi di comprendere la globalizzazione sono stati favoriti dall’identificazione di cinque flussi globali di rilevanza cruciale: flussi di ricchezza, di tecnologia, di persone, di immagini e di ideologia. Questi flussi si sono scatenati in modo imprevedibile, le condizioni globalizzata te sono una caratteristica scontata dei contesti in cui gli antropologi svolgono le proprie ricerche e tutti i processi globalizzanti esistono nel contesto delle realtà di particolari società e devono venire a patti con esse. Il risultato Michele etnografia contemporanea continuano a investigare i complessi modi in cui processi globali si articolano con le particolari caratteristiche delle comunità locali. Imperialismo culturale o ibridazione culturale? L'imperialismo culturale L'Imperialismo culturale è basato su due nazioni, questa visione afferma che alcune culture ne dominano altre, in secondo luogo si dice che il dominio culturale da parte di una sola cultura porti alla distruzione delle culture subordinate e alla loro sostituzione con quella di chi detiene il potere. L'imperialismo culturale si da la responsabilità di aver distrutto la musica, la tecnologia, l'abbigliamento e le tradizioni alimentari locali sostituendoli con il rock and roll, le radio, le torce elettriche, i telefoni cellulari, le t-shirt, gli hamburger del Mc Donald’s e la coca cola. Il risultato dell'imperialismo culturale occidentale È l'omogeneizzazione culturale del mondo con la conseguenza di condannare il mondo all’uniformità. L'Imperialismo culturale non è in grado di spiegare la sua diffusione per tre ragioni: -nega l’agency dei popoli non occidentali che utilizzano le forme culturali occidentali, li presuppone passivi e privi delle risorse necessarie per opporre resistenza a qualunque cosa di origine accidentale che arrivi a loro tramite il mercato. -da per scontato che le forme culturali nonna occidentali non passano mai muoversi dal resto del mondo verso l’Occidente. -ignora che forme pratiche culturali si spostano da una parte all'altra del mondo non occidentale saltando completamente l’occidente. L’ibridazione culturale Gli antropologi hanno messo in evidenza che l'assunzione di forme e pratiche culturali da qualsiasi luogo arrivino comporta sempre un prestito con modifica ovvero accettano raramente idee, pratiche o oggetti che vengono da fuori essenza addomesticare o indigenizzarli. Pagina 47 di 53 Il prestito con modifica comporta sempre una personalizzazione ciò che si è preso in prestito per far si che soddisfi i propri scopi quali possono essere anche molto lontani da quelli di coloro che hanno dato origine a una certa usanza o pratica. Non sarà mai possibile controllare del tutto le conseguenze del prestito con modifica. Il prestito culturale ha una doppia valenza, le pratiche culturali che vengono presi in prestito sono suscettibili di addomesticazione ma possono anche sottrarvisi. Le difficoltà sono marcate nelle situazioni in cui le idee e le pratiche prese in prestito rimangono impigliati nelle relazioni con i dominatori. L’ibridazione culturale aveva l'intento di mettere in luce le forme di prestito culturale che producevano qualcosa di nuovo, che non potesse essere appiattito o incluso all'interno della cultura del donatore o in quella del ricevente. L’ibridazione richiama l'attenzione sui vantaggiosi processi di creatività culturale. La decisione di rivisitare, scartare, inventare in base alle proprie scelte vuole anche dire che si possiede l’agenti ovvero la capacità di esercitare una qualche forma di controllo sulla propria vita. I limiti dell’ibridazione culturale Il tre aspetti problematici dell'ibridazione culturale in primo luogo è che non è chiaro se questo concetto liberi effettivamente gli antropologi dalla visione modernista all'idea che esistano culture dotate di confini, omogenee e immutabili ovvero che si basa Sulla mescolanza culturale. Friedman dice che le culture sono sempre state ibride dall'esistenza dei confini non del prestito culturale ciò che gli antropologi devono spiegare, inoltre le mescolanze culturali ibride spesso si trasformano in nuove identità culturali unitarie. Friedman osserva anche che le identità ibride non sono liberatorie quando vengono imposte anziché essere adottate liberamente. La seconda difficoltà è che coloro che celebrano l'ibridazione culturale ignorano che i suoi effetti vengono percepiti in modo diverso da chi detiene il potere e da chi ne è privo. L'ibridazione culturale non è oggetto di critica quando gli attori sociali hanno la sensazione che sia sotto il loro controllo mentre diventa qualcosa contro cui ci si oppone quando gli attori la percepiscono come minacciosa rispetto al loro senso di integrità morale. L'ibridazione culturale quando diventa moda trasforma facilmente le esperienze delle èlite ibridate suggerendo che lo sfruttamento di classe o l'oppressione razziale siano facilmente superabili o non esistono più. Negare o ignorare le difficoltà manifestate da coloro che non fanno parte dell’élite nei confronti dell’ibridazione culturale può portare a scontri pericolosi. In che modo la globalizzazione influisce sullo stato nazionale? Una delle principali conseguenze sono stati i flussi incontrollati di persone che si spostano in tutto il mondo. I flussi di persone hanno seguito le nuove opportunità economiche però questi movimenti sono stati positivi per gli affari ma hanno generato seri problemi per gli Stati nazionali perché sembrano ridurre il diritto sovrano degli Stati a determinare quello che avviene all'interno dei loro confini. I flussi globali stanno erodendo gli Stati nazionali? Nella seconda metà del 20º secolo una delle idee principali sull'organizzazione sociale globale era che essa consistesse in un ordine internazionale di Stati nazionali indipendenti. Pagina 48 di 53 l’ONU presupponeva l'esistenza di un mondo costituito da Stati nazionali anche i teorici e gli attivisti sociali ritenevano che il mondo fosse composto da nazioni e avevano diritto all'autodeterminazione e a un proprio stato. I flussi di capitali, immagini, persone, cose e ideologia innescati dalla globalizzazione hanno minato la capacità degli stati nazionali di presidiare efficacemente I propri confini E hanno suggerito la necessità di rivedere le idee sugli Stati nazionali. I governi non hanno alcun potere di controllo su giochi propri cittadini leggono guardano alla televisione. Gli stati nazionali permettono ai migranti, agli studenti E ai turisti di attraversare i loro confini perché hanno bisogno del loro lavoro, tasse universitarie, spese vacanziere ma devono fare i conti con i valori politici, con le convinzioni religiose o con le famiglie che gli stranieri portano con sé. Oggi le situazioni economiche e politiche disperate presenti nei territori di provenienza dei migranti hanno aumentato il volume e la velocità della migrazione, nel contempo le crisi di mercato nei paesi di reinsediamento dei migranti hanno ridotto nettamente le opportunità economiche per i nuovi arrivati. I migranti si trovano spesso in trappola, nei paesi in cui si sono stabiliti scorgono opportunità di sopravvivenza sul piano economico e di sicurezza a livello politico che li fanno rimanere ma quando c'è una flessione dell'economia locale si trovano esposti alla sterilità e alla violenza. Migrazione, identità di transconfine e nazionalismo a distanza Il termine diaspora indica una forma d'identità transnazionale che non si focalizza sulla costruzione di uno Stato nazionale. Quando i membri di una diaspora cominciano a organizzarsi a sostegno delle battaglie nazionaliste in patria o a mobilitarsi per ottenere un proprio stato divengono nazionalisti a lunga distanza Anderson descrive gli sforzi compiuti dagli espatriati per offrire sostegno morale, economico e politico alle battaglie nazionaliste condotte nei paesi di origine. Shiller e Fouron sottolineano l'emergere dello Stato di transconfine ovvero una forma di stato che rivendica per i suoi emigranti e per i loro discendenti il titolo a rimanere parte integrante della patria d’origine pur essendo cittadini di un’altro stato. I periodi di emigrazione di massa nel 19º secolo e 20º secolo incoraggiavano i migranti a considerare la propria condizione come temporanea e aspettandosi che alla fine tornavano in patria con ricchezza e competenze per costruire la nazione invece in quello odierno i leader politici di molti paesi accettano che gli emigrati si stabiliscono in modo permanente nei paesi di arrivo e questa forma di nazionalismo a lunga distanza genera la cittadinanza di transconfine. Stati e cittadinanza di transconfine sono leggi, scaturiscono dalle esperienze di vita di migranti di classi diverse e sono radicati negli sforzi che le persone rimaste in patria esseri umani, i loro bisogni è la loro capacità di esercitare agency e i tipi di legami sociali fra essere umani legittimi o illegittimi. Discorso sui diritti umani la questione “legittimità” punta sulla legge intesa come mezzo per articolare diritti umani e strumento per difenderli. Una fonte importante fu l'approccio legge e cultura, qui la legge è concepita come una visione del mondo ho un discorso strutturante e i fatti sono socialmente costruiti con regole dell'evidenza, convenzioni legali e la retorica degli attori giuridici. In che modo la cultura può essere d'aiuto nella riflessione sui diritti? Usare il concetto di cultura come strumento per analizzare i diritti umani vuol dire ricercare modelli e relazioni di significato e di pratica tra domini diversi della vita sociale. Il modello più importante nella cultura dei diritti umani è il modo in cui tali diritti si conciliano con la legge. Considerando la legge sui diritti umani come una cultura ci si rende conto che sono ammissibili soltanto certi tipi di rivendicazioni. Pagina 51 di 53 La rivendicazione di diritti umani comporta che si istruiscano casi compatibili con le leggi. L’essenzialismo strategico la costruzione dell'unità e dell'immodificabile omogeneità di una particolare cultura al fine di stabilire una solidarietà di gruppo e di sfidare lo stato in un modo mirato e disciplinato. Il cosmopolitismo Il cosmopolitismo di Kant significava che si aveva dimestichezza con i modi occidentali e che la visione di “un’unica cultura mondiale” era un eufemismo, inconscio, spregiudicato per riferirsi ad una cultura del primo mondo. Attrito L’attrito sono gli aspetti difficili, iniqui e instabili dell’interconnessione fra le diversità. Il pensiero di confine Il pensiero di confine comporta che il concetto di democrazia e giustizia vengano distaccati dai significati e dalle pratiche egemoniche occidentali che significa utilizzarli come connettori, strumenti per immaginare il mazziere nuove forme cosmopolite di democrazia o di giustizia informate dai giudizi etici e politici di coloro che non fanno parte delle élite. La speranza è che il pensiero di confine possa produrre un cosmopolitismo critico capace di negoziare nuove concezioni dei diritti umani e della cittadinanza globale in modo da smantellare le barriere di genere e di razza che costituiscono le eredità storiche del colonialismo. Il cosmopolitismo indica il pensiero di confine anche gli ideali e le pratiche avvalorate dell’illuminismo possono risultare contrappesi utili nei confronti dell’estremismo e della violenza. Il capitalismo e la moderna tecnologia occidentali sono esplosi in un vortice di forze globali che resistono al controllo. Un cosmopolitismo critico è l’unico elemento in grado di impedire alle forze di distruggerci implica un’azione pratica per attenuare la violenza e lo sfruttamento. Perché studiare l’antropologia? L’antropologia rende consapevoli di quanto siano arbitrarie le loro concezioni del mondo e li rende consapevoli di quanto la loro tradizione debba rispondere di tutto questo nei confronti del mondo moderno. Mettiamo in dubbio gli assunti relativi al giusto modo di vivere che prima davamo per scontati perché quando acquisiamo famigliarità con altri modi di vivere cogliamo la correttezza di qualsiasi azione o il significato di qualsiasi oggetto. Gli esseri umani si sono dovuto confrontare con essa attraverso gli strumenti offerti dalla cultura che contestualizza gli oggetti e le azioni e rende comprensibili i loro significati. L’obiettivo dell’antropologia e di coloro che la praticano è stato avventurarsi nel mondo per raccogliere testimonianze e registrare la vasta diversità creativa con cui il mondo è stato costruito che ha caratterizzato la storia della nostra specie. Il più grande risultato come esseri umani è la creazione dei mondi. Gli antropologi hanno condiviso la stessa condizione, si tratta di mondi umani che hanno permesso a coloro che vi hanno vissuto di dare un senso alla propria esperienza, inoltre credono che siamo una specie vincolata dalla nostra cultura e liberi di cambiarla. Pagina 52 di 53 Pagina 53 di 53
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