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Fare Formazione (Quaglino) RIASSUNTO DETTAGLIATO, Sintesi del corso di Storia della Formazione

Riassunto completo del libro "Fare Formazione. I fondamenti della formazione e i nuovi traguardi" di Gian Piero Quaglino

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 23/09/2020

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Scarica Fare Formazione (Quaglino) RIASSUNTO DETTAGLIATO e più Sintesi del corso in PDF di Storia della Formazione solo su Docsity! FARE FORMAZIONE – I FONDAMENTI DELLA FORMAZIONE E I NUOVI TRAGUARDI (QUAGLINO) CAPITOLO 1. Per una Teoria Generale della Formazione 1.1 La formazione oggi Ciò che caratterizza la situazione attuale della formazione professionale (in senso ampio, la formazione degli adulti; in senso specifico, la formazione manageriale) nel nostro paese è la sua elevata complessità. Periodizzazione della formazione professionale in Italia (direzione semplice  complesso): - Prima fase “eroica e pionieristica”: fine anni Sessanta – primi anni Settanta. - Seconda fase “di consolidamento e tecnicistica”: metà anni Settanta. - Terza fase “di ripensamento e ripiegamento”: fine anni Settanta. Carattere complesso della formazione: 1) Il richiamo alla complessità implica porsi problemi quali la ricerca di una nuova definizione dell’oggetto (la formazione) e la ricerca di nuovi strumenti di definizione. Non si tratta solamente di un elemento descrittivo. 2) Il carattere di complessità non è stato tanto facilmente riconosciuto negli anni passati. Operatori, addetti e utenti della formazione hanno condiviso un’immagine della formazione “orientata alla semplificazione”. 3) La complessità della formazione non è qualcosa di transitorio, di tendente alla rapida involuzione. La formazione ha un problema di complessità. Complessità = - Differenziazione/specializzazione - Articolazione - Coordinamento - Pluralità - Necessità di integrazione - Realtà multiforme e mutevole, difficilmente conoscibile e difficilmente controllabile Caratteri distintivi della formazione professionale attuale: 1) Espansione della domanda = una sempre più crescente richiesta di attività o interventi formativi all’interno di organizzazioni. Aumento delle occasioni, dei motivi e dei luoghi di formazione, nonostante ci sia chi è convinto del contrario, cioè di una crisi della formazione. 2) Stallo dell’offerta = una perdita di investimento progettuale e creativo, una ripetitività e routinizzazione di certi programmi e attività di formazione e una sfasatura rispetto alla domanda, che limita così la capacità di risposta. 3) Animazione della comunità degli operatori = una pura e semplice crescita numerica degli operatori, addetti alla formazione; crescita di un gruppo professionale, consolidamento di figure professionali, accettazione istituzionale diffusa, emergenza di un ‘valore di esperto’ nuovo; crescente bisogno di riconoscimento sociale dentro e fuori l’organizzazione, crescente necessità di definire il sapere specialistico connesso al mestiere di formatore; bisogni di confronto e dibattito sugli strumenti professionali. Problemi della formazione oggi: - Motivare e spiegare questi caratteri : perché la situazione attuale è questa e non un’altra. - Stabilire possibili sviluppi e linee di un progetto . 1 1) Quanto all’espansione della domanda, si potrebbe semplicemente dire che nel mondo del lavoro oggi - che vede vari mutamenti dei contenuti del lavoro, la comparsa di nuovi lavori, urgenze nei processi che riguardano la qualità della vita di lavoro, una rapida obsolescenza delle conoscenze e quindi un’urgenza dell’aggiornamento e della qualificazione professionale - la formazione assume un ruolo non solo prioritario ma strategico. Dunque, fare formazione è inevitabile. È impossibile non fare formazione, che è parte integrante di un più ampio processo educativo la cui necessità è intimamente connessa con il tipo attuale di società e di organizzazione. 2) I motivi che spiegano lo stallo dell’offerta si ricollegano alla necessità di compiere un salto dalla teoria sullo stato della formazione alla teoria sulla formazione. Lo stallo dell’offerta si spiega come esito del mancato riconoscimento dell’istruzione come valore, del sapere e della promozione del sapere come valore. 3) L’animazione della comunità di operatori si spiega come conseguenza necessaria delle due condizioni precedenti: si tratta di una legittima richiesta da parte dei formatori di una professionalità che si esprima in termini di preparazione, efficacia e soddisfazione. Si tratta di una situazione contraddittoria, caratterizzata da una domanda crescente e da un’offerta ‘poco convinta’. L’animazione della comunità di operatori è anche connessa al bisogno di definire un nuovo livello di qualificazione professionale e di qualità del lavoro, senza più dover attingere ai vecchi modelli, alle teorie tradizionali e ai modi abituali di pensare e di condurre un progetto educativo: essi sono insufficienti e - quantomeno in parte - inadeguati. Esiste un vuoto di teoria, il quale costituisce il primo elemento che condiziona l’efficacia dell’azione formativa. Vuoto di teoria = o Negazione della teoria. Si tratta di un’illusione fallace: la teoria è una guida all’azione, senza teoria non vi è azione. o Disinvestimento nei confronti della teoria (progressivo allontanamento). Si è persa fiducia nei confronti delle teorie a partire dalle convinzioni erronee secondo cui le teorie non subiscano processi evolutivi e che le teorie, pur in apparenza divergenti, non si oppongono in realtà tra loro, e che esse sono distanti, “aliene”. o Scissione tra il tutto e le parti. Si utilizza il ricorso costante al “principio della concretezza” come prova della teoria e si giunge inevitabilmente a operare a un livello di parzializzazione, senza poi restituire la sufficiente e necessaria unitarietà. Occorre innanzitutto riproporre esplicitamente il problema della teoria. Occorre supportare con la teoria le proprie operazioni. Es.: occorre giustificare sul piano della teoria la formazione orientata al saper-fare; in caso contrario, essa risulta una semplice dichiarazione di intenti. Il rischio è quello di entrare nel circolo vizioso: vuoto di teoria  vuoto di formazione. In realtà, questa situazione è abbastanza rara. Più che altro, ci si trova in un vuoto di consapevolezza delle teorie: la teoria – che non manca – non viene riconosciuta come tale. Si rischia quest’altro circolo vizioso: Vuoto di consapevolezza delle teorie  vuoto di consapevolezza della formazione. Occorre dunque ripensare la teoria, ricostruirla. Si tratta di sapere meglio ciò che si fa (facendo formazione) per farlo sempre meglio. “Non vi è nulla di più pratico di una buona teoria”. Kurt Lewin. 2 valori, razionalizzando quel che è l’azione educativa, occupandosi semplicemente della pura trasmissione dei contenuti che servono, perdendo di vista il soggetto del processo educativo; una formazione che dimentica i suoi soggetti, non è ben chiaro come possa ottenere risultati. Quindi il recupero del soggetto del progetto educativo diviene allora per la formazione stessa un atto di valore e, contemporaneamente, il passaggio obbligato per il recupero della capacità di esprimere valori. In tema di condizioni vincolanti, la proposta che emerge, relativa al problema dell’efficacia dell’attività formativa, individua questi aspetti: 1) Efficacia del sistema informativo (attrezzatura/funzionamento) 2) Efficacia del sistema operativo (attrezzatura/funzionamento) 3) Compatibilità tra SI e SO (congruenza/interscambio) 4) Efficacia del sistema di innovazione (attrezzatura/funzionamento) 5) Compatibilità tra processo di formazione e sistema di innovazione (congruenza/interscambio) 6) Compatibilità tra processo di formazione e sottosistemi organizzativi (congruenza/interscambio) 7) Tecnologia sofisticata (attrezzatura/teoria) 8) Recupero del soggetto 9) Espressioni di valori Attrezzatura = dispositivi; funzionamento = azione; congruenza = reciprocità; interazione = interscambio. L’attrezzatura che presiede al funzionamento del processo formativo si articola a 3 differenti livelli: 1. Principi generali: come apparato di teoria 2. Modelli procedurali: schemi operativi 3. Soluzioni tecniche: specifiche modalità operative Principi generali Modelli procedurali Soluzioni tecniche Analisi dei bisogni Valutazione dei risultati Progettazione Azione formativa SI ST EM A I N FO R M A T IV O SI ST EM A O PE R A T IV O 1.3 Prospettive di una Teoria Generale della Formazione 5 Emerge l’esigenza di definire una teoria della formazione manageriale come punto di convergenza (o di sovrapposizione) di tre differenti campi teorici: 1) Una teoria dell’organizzazione 2) Una teoria del management 3) Una teoria dell’apprendimento/cambiamento A quale ordine di fatti sono riconducibili gli effetti prodotti da un’azione formativa? ( Burgoyne e Stuart, 1978) - Ad un primo livello: caratteristiche specifiche dell’azione formativa, cioè elementi che compongono il programma (obiettivi, contenuti, metodi, ecc.); - un secondo livello: processi sovraordinativi (rispetto al programma) in base ai quali è stato pensato quel programma formativo anziché un altro. Si tratta dell’insieme delle ipotesi, dei concetti, degli schemi di riferimento che, tramite il formatore, ha guidato, orientato e controllato la costruzione prima e la realizzazione poi dell’azione formativa. Tutto questo fa capo ad una, o più di una, teoria dell’apprendimento. Andando oltre Burgoyne e Stuart, l’efficacia dell’azione formativa risulta fortemente vincolata proprio dalle caratteristiche della “teoria-guida”: Completezza/articolazione/congruenza vs. limitatezza/disarticolazione/incongruenza. Teoria = insieme di conoscenze che consentono la “lettura” (descrizione/spiegazione) di un certo oggetto x (es., l’apprendimento). Le azioni che compiamo quotidianamente – pensieri compresi – sono guidate dalle più diverse teorie. L’uso del termine teoria tende a essere riferito al livello del sapere scientifico. Ad es., l’attività di formazione costituisce un momento di trasmissione prodotto “ufficialmente” di determinate teorie elaborate altrove. Le teorie devono soddisfare alcuni criteri: - verificabilità delle proposizioni (criterio esterno di ordine empirico) - coerenza tra esse (criterio di ordine logico). Nella vita quotidiana, invece, la maggior parte delle teorie sono unicamente frutto dell’esperienza personale mediate da fonti diverse dall’istruzione, scontando così una certa “ingenuità”. Non vi è un campo di conoscenze che oggi si esprime attraverso un’unica teoria: le scienze sociali attuali, ad es., sono formate da un mosaico frammentato di indirizzi teorici più o meno generali. Problemi: - il ricorso contemporaneo a conoscenze di teorie tra loro differenti può tradursi da un minimo a un massimo di inconciliabilità e incongruenza e può originare una nuova teoria, seppure intrinsecamente debole; - problema dell’elaborazione di un set di teorie, come operazione di accostamento di un certo numero di tessere di conoscenza, con il conseguente problema della possibile incongruenza tra le varie tessere, cioè tra le differenti parti che compongono il set di teorie. Teoria Generale della Formazione (TGF) = sistema di sapere complessivo e sovraordinato che tende a configurarsi nel senso di una pedagogia degli adulti. La TGF è un insieme di principi teorici cui ricondurre la pratica formativa. Il campo di sapere connesso alle finalità del cambiamento organizzativo include così: 1) Una Teoria del Sistema Organizzativo come opzione di conoscenze sulla natura e il funzionamento dell’organizzazione (e in particolare dei sottosistemi organizzativi implicati) 2) Una Teoria del Soggetto (es., il manager) come insieme delle conoscenze sulla “configurazione organizzativa” dei soggetti della formazione e rispetto alla rete di reciprocità tra apprendimento individuale e cambiamento organizzativo 6 3) Una Teoria del Cambiamento sia nel senso dell’azione finalizzata rispetto alla rete di reciprocità (apprendimento individuale, cambiamento organizzativo) sia nel senso più ampio della dinamica del sistema. - Per quanto riguarda il sistema informativo e il sistema di innovazione, il riferimento è il campo di sapere connesso all’attività educativa. - Per quanto concerne il sistema operativo, il campo di sapere pedagogico. - Per quanto riguarda il sistema di gestione del personale e il sistema di pianificazione strategica, il rimando è al campo di sapere organizzativo. Ciascuno dei tre campi (collegati con la definizione di attività educativa come processo di formazione, con le finalità individuali e con quelle organizzative) articola differenti sottocampi di conoscenze. Ogni campo di sapere contiene più di una teoria, e tali teorie non sono sempre conciliabili. Il campo di sapere pedagogico comprende: 1) una Teoria degli Obiettivi (TdO): teoria sulla natura, caratteristiche, articolazione e direzione delle finalità educative e formative; 2) una Teoria dell’Apprendimento (TdA): comprende un insieme di conoscenze sui processi soggettivi sottesi all’imparare; 3) una Teoria dei Metodi (TdM): l’insieme di istruzioni circa le modalità e i mezzi utilizzabili per agevolare l’apprendimento, dunque una teoria per l’insegnamento; 4) una Teoria del Formatore (TdF): teoria su natura, caratteristiche, qualità e direzione dell’azione dell’insegnare. Si tratta, dunque, di un intreccio complesso di teorie che guidano, orientano, o ispirano la progettazione e l’attuazione del programma formativo. Rilettura del circolo vizioso espressione del vuoto di teoria: “Pieno” di consapevolezza della teoria  “Pieno” di concretezza della formazione 7 CAPITOLO 2. Gli obiettivi Questo capitolo descrive una traccia di percorso verso la formazione di una TdO, Teoria degli Obiettivi dell’azione formativa. La TdO possiede una specifica ed elevata problematicità: - si rischia lo slittamento dal piano propriamente teorico a quello procedurale del programma; - la modellistica disponibile contiene essa stessa ostacoli non irrilevanti per un salto di qualità teorico. 2.1 Criteri e condizioni di una Teoria degli Obiettivi Il valore intrinseco di ogni teoria consiste nella: 1. capacità della teoria di risolvere il suo oggetto: garantirne identità e differenziazione; 2. capacità di esprimere concettualmente l’oggetto in modo chiaro e completo; 3. capacità di aderire all’oggetto: mantenersi pertinente e adeguata ad esso. A volte, la definizione usata per obiettivi formativi tende a sconfinare, a presentare zone di ambiguità: - tendenza a far “slittare” gli obiettivi nell’ambito dei contenuti dell’azione formativa, del “programma manifesto” (piano procedurale e non più propriamente teorico); - tendenza opposta: ribaltamento del tema degli obiettivi a quello più generale dell’apprendimento (TdA = Teoria dell’Apprendimento). La TdO si trova in una zona intermedia e la sua specificità coincide con la definizione del suo oggetto: gli oggetti formativi si definiscono infatti nella duplice accezione di traguardi dell’insegnamento e campi dell’apprendimento, ma vanno differenziati: - sia rispetto ai contenuti dell’azione formativa, nel senso di una tipologia di programmi; 10 - sia rispetto ai processi di apprendimento (oggetto della TdA). Tuttavia, la TdO e TdA sono legate: l’una rimanda all’altra instaurando un legame privilegiato giustificato dalla condivisione di uno stesso ordine logico e del medesimo “livello di concettualizzazione”. Per altri versi, una TdO rimanda a una Teoria del Soggetto (TdS): una TdO si propone sempre come tipologia dei contenuti o dei livelli di cambiamento in quanto esiti “sul soggetto” dell’azione formativa. Esiste una letteratura disponibile sui temi connessi alla problematica di definire gli obiettivi formativi, non molto vasta né “flessibile”. Tali contributi possono essere classificati nella maniera seguente: a) Tipologie semplici b) Tassonomie c) Liste di capacità a) Tipologie semplici: Il riferimento di questi contributi hanno a che vedere con obiettivi noti a chi si occupa di formazione. La tipologia di obiettivi predefinisce una tipologia di contenuti di apprendimento che va intesa come una vera e propria TdA parzialmente o totalmente implicita (inconsapevole): Obiettivi Apprendimento Conoscenze Cognitivo Capacità Operativo / pratico Atteggiamenti Emotivo Gli obiettivi formativi vengono identificati in aree di sapere tra loro distinte: un’area di sviluppo e miglioramento di unità di conoscenze (nozioni, dati, elementi concettuali, ecc..), un’area di sviluppo e potenziamento di determinate abilità a fare (di ordine mentale o comportamentale), un’area di sviluppo e mutamento di elementi d’opinione o di valore o ancora di “mentalità” compresi sotto la voce atteggiamenti. Punti di debolezza: - l’inclusione di un piano di riferimenti attinente l’apprendimento in forma analogicamente tripartita e in funzione di determinati obiettivi; - la pura e semplice enunciazione di differenze di ordine logico e contenutistico tra i 3 livelli; - la mancata esplicitazione di possibili collegamenti concettuali tra i 3 livelli; - esistenza di alcune varianti rispetto alla tipologia-base ed emergenti , ad es., nella frequente sovrapposizione tra i termini atteggiamento e comportamento, nell’uso stesso del concetto di atteggiamento, nel richiamo frequente al concetto di cambiamento. Quindi, tale tipologia non soddisfa sufficientemente le condizioni proposte da una TdO: - non soddisfa né la capacità di risolvere compiutamente il suo oggetto; - né la capacità di mantenervisi aderente. Per questi motivi sembra più opportuno sostituire la tipologia di obiettivi, conoscenze, capacità, atteggiamenti con quella che comprende: - Sapere - Saper-fare - Saper-essere Ma anche in questo caso, non tutte le ambiguità e i problemi concettuali posti dalla tipologia-base si risolvono, anzi: ne emergono di nuovi. 11 Ogni tipologia di obiettivi che non soddisfi le seguenti condizioni: 1. Individuazione di un oggetto differenziato rispetto a una TdA; 2. Definizione dei collegamenti con una TdS necessariamente implicata; 3. Articolazione dei singoli obiettivi rispetto a un quadro unitario e superamento di una logica “per elementi distinti e separati” Non si risolve in una TdO FORTE, capace di guidare in modo consapevole ed efficace l’azione educativa. Al contrario, porta a una sovrapposizione e confusione rispetto al programma. La condizione 2 lega la TdO e la TdS attraverso delle sottocondizioni: 2a. Olismo: cioè il superamento di un modello del soggetto per parti distinte e separate, ma che prenda in considerazione il soggetto nella sua totalità. 2b. Contestualismo: principio di determinazione situazionale - quindi il superamento di un modello di soggetto indifferenziato. b) Tassonomie: rappresentano un secondo tipo di contributi che agevolano il tentativo di costruzione di una TdO che soddisfi condizioni e criteri detti sopra. Una tassonomia si presenta come una lista più o meno complessa e articolata di obiettivi educativi, di traguardi d’apprendimento. Le tassonomie si collocano all’estremo opposto di un ipotetico continuum rispetto alle tipologie semplici. Peculiarità di una tassonomia sono infatti: - l’esplicita differenziazione di suoi contenuti rispetto a una TdA implicata o comunque richiamata; - la posizione sovraordinata occupata rispetto al programma; la tassonomia funge da modello concettuale di riferimento; - l’articolazione degli elementi componenti (gerarchica e/o sequenziale) rispetto a un principio di totalità o sintesi. Ma il campo delle tassonomie, oltre ad essere riconducibile a un’opzione teorica di orientamento curricolare (pag. 39), è piuttosto vasto: - tassonomie più propriamente psicologiche: ad esempio la “gerarchia degli apprendimenti” di Gagnè, o la “tassonomia strutturale” di Guilford; - tassonomie di derivazione psicologica: come la “Tassonomia degli obiettivi educativi” (TEO) di Bloom; - tassonomie contenutistiche: come la “Tassonomia zetetica” di Tykociner. Il riferimento d’obbligo è alla TEO di Bloom (1956; es. a pag. 40) che, per le sue caratteristiche intrinseche (tassonomia di derivazione psicologica), sembra soddisfare adeguatamente: - criteri di analiticità e completezza - esigenze di contenuto: riproponendo una suddivisione tra obiettivi cognitivi, affettivi e psicomotori (questi ultimi non esplicitati da Bloom), che non può non condividere le debolezze di una tipologia semplice; - esigenze di differenziazione: sia nel senso della posizione occupata da ogni elemento rispetto allo schema complessivo, sia nel senso della sequenza temporale di apprendimento implicata: o semplice  complesso per TEO-1 o interno  esterno per TEO-2 12 - Della ricerca di unità - Del riconoscimento di complessità Dati i suoi legati con la TdS, alla TdO si richiede analogo soddisfacimento dei criteri di unità e complessità. Una lista di obiettivi formativi, come una tipologia o una tassonomia, non soddisfa questi criteri. Occorre un sistema di obiettivi come unità differenziate di traguardi educativi, ovvero di campi di apprendimento. L’autore propone il ricorso al concetto di competenza derivandolo dall’impianto teorico del generativismo linguistico chomskiano. - Competenza = conoscenza che il parlante-ascoltatore ha della sua lingua. Si riferisce a un sistema di regole e rimanda alla “grammatica” di una lingua. o Competenza grammaticale = caratterizzata dalla grammatica. o Competenza pragmatica = relativa alle informazioni extralinguistiche come la conoscenza delle circostanze e le credenze personali, allo scopo di usare la lingua per raggiungere certi fini. - Esecuzione = uso effettivo della lingua in situazioni concrete. Si riferisce all’esecuzione. Per Chomsky, chiunque parli una lingua possiede specifiche capacità, ha interiorizzato una grammatica generativa che testimonia la sua conoscenza della lingua stessa. Ma ciò non significa che il parlante sia consapevole delle regole della grammatica, o che lo possa diventare, e neppure che le affermazioni sulla sua conoscenza intuitiva della lingua siano necessariamente esatte. Una TdO si può caratterizzare come: 1) configurazione articolata di traguardi educativi (condizione 1) 2) in rapporto a un sistema di competenze del soggetto (nucleo della TdS collegata, condizioni 2a e 2b), 3) traguardi definiti al duplice livello dello sviluppo di consapevolezza e dello sviluppo dei contenuti dei singoli sottosistemi di competenza, 4) sottosistemi articolati per unità di informazioni e unità di regole a loro volta riferiti a campi di istruzioni e campi di abilità 5) e che soddisfi criteri di unità, totalità, complessità (condizione 3). Esempio: modello teorico delle capacità manageriali di Burgoyne e Stuart (1978), pag. 52. Conclusioni (pag. 56): il contributo di Burgoyne e Sturt costituisce un significativo punto di riferimento nella direzione di una TdO come si vuole poi configurarla e proporla. Esso soddisfa adeguatamente (seppure non completamente) le 3 condizioni che vincolano una tale teoria quanto alla differenziazione del suo oggetto da quello della TdA, all’esplicitazione del legame con la corrispondente TdS, all’articolazione dei singoli obiettivi rispetto al quadro unitario. Hanno formulato un modello che, seppur riferito al soggetto-manager, può essere efficacemente generalizzato a una ben più ampia classe di soggetti. 2.3 Linee di proposta per una Teoria degli Obiettivi L’esigenza prioritaria che una TdO deve soddisfare è connessa con la definizione dell’oggetto: tale definizione non può coincidere né con un elenco di finalità educative come livelli generali di apprendimento (con una tipologia semplice) né con una lista di obiettivi analitica ma priva di articolazione unitaria (una tassonomia), ma è necessaria, piuttosto, l’individuazione di un referente unico e differenziato, di una unità obiettivo, che nel nostro caso coincide con la competenza. In secondo luogo, la TdO richiede la definizione di un piano generale di traguardi educativi. Nel nostro caso si può parlare di: 1) consapevolezza = sviluppo della capacità del soggetto di riconoscere le competenze possedute 15 2) sviluppo = miglioramento di tali competenze In terzo luogo, è necessario configurare un sistema di obiettivi corrispondente a un’articolazione di competenza con caratteri di unità e totalità. Nel nostro caso ci si può riferire, adottando la terminologia di Burgoyne e Stuart, a: - competenze 1: conoscenze (banche-dati) - competenze 2: abilità (modelli operativi) - competenze 3: metaqualità (dispositivi di controllo ed elaborazione sovraordinati). In quarto luogo, occorre individuare i contenuti di tali competenze. Nel nostro caso si può distinguere tra: - unità di informazione - sistemi di regole Infine, bisogna definire per ciascun livello di competenza l’insieme degli elementi componenti: singole e specifiche competenze. Ecco la TdO così concepita. Skip da pag. 57 a 63. Oltre allo schema della pagina precedente, si potrebbe aggiungere alla TdO il riferimento contestuale dell’azione educativa, che può riguardare: 1) Area del lavoro = contesto dell’attività professionale del soggetto (insieme di compiti, contenuti del lavoro). 2) Area del ruolo = ampio riferimento alla posizione occupata dal soggetto nel contesto di lavoro 3) Area del sé = riferimento ancora più ampio in cui convergono elementi professionali ed elementi personali del soggetto. 16 ECONOMIA Su AUFRI | AURI | i RUOLI RUOLI ‘GULTURA ORG. "ug W- CONTENUTI DILAVORO \ - RE \ \ SISTEMA DI SUPERI! \ \ RICOMPENSE DIRETTO \ |\ (retribuzione \ \ Sicurezza carriera) SOGGETTO 1. Capacità 2. Valori 3. Bisogni uonvi COLLEGHI COLLABORATORI ALTRI SOGGETTI E/O GRUPPI pr ALTRI PROCESSI ORG. s n RUOLI TECNOLOGIA z° Figura 2.14 (Adattata da McGivering, 1980) Fiducia in sé Autonomia, indipendenza, interdipendenza (Rogers, 1961) (Argyris, 1957; Maslow, 1954} Apertura verso l’esperienza (Combs, 1962; Rogers, 1961: Wexler, 1974) Positiva immagine di sé (Combs, 1962; Kelley, 1962; Maslow, 1954) Realismo (Masiow, 1954) Consapevolezza di sé (allor, 1955) Tolleranza dell'ambiguità AZAITTT 1954) Ricchezza del campo mete A (Gombs, 1962) Tolleranza della critica 0 della contusione '—-& — (Combs, 1962) iena 7 4 Flessibilità cresiià, oentamento successo Serene gaaon ‘aenttieazione (Allport, 1955; Combs, 1962; Kelley, 1962; (nio Roger, 1ORt) | (Combs, 1962; Kelley, 1962; Maslow, 1954) ‘Orientamento attivo alla soluzione di problemi (Masiow, 1954) Capacità di elaborare nuove regole dall'esperienza (Wexler, 1974) Padronanza di obiettivi a lungo termine {Allport, 1955; Argyris, 1957) Flessibilità dell'appiicazione delle regole (Wexler, 1974) 17 conseguire un sapere secondo un certo ordine (sequenza) e in funzione di un processo di circolarità (ciclicità). I modelli sequenziali indicano al tempo stesso l’articolazione (struttura) di un progetto educativo. Tra questi modelli, ricordiamo il modello di Kolb (1973), il ciclo dell’apprendimento esperienziale, di matrice cognitivista: Il modello di Kolb prevede 4 momenti, ciascuno dei quali è abbinato a una specifica disposizione o competenza (capacità) soggettiva: 1. Esperienza concreta  concretezza 2. Osservazione riflessiva  riflessione 3. Concettualizzazione astratta  astrazione 4. Sperimentazione attiva  azione 2 sono quindi le dimensioni principali: o Concretezza  astrazione (in verticale) o Azione  riflessione (in orizzontale) Questo modello postula una parallela tipologia di stili di apprendimento individuali in funzione di possibili “propensioni” soggettive per l’uno o l’altro dei 4 momenti. Quest’ultimo aspetto è sostenuto da ricerche in particolare nel settore del management. Il modello di Kolb rappresenta indubbiamente un contributo di importanza e interesse, ma la sua generalità non può soddisfare compiutamente una TdA. Tende a definire un modello di apprendimento di tipo esperienziale = una sequenza che presiede al conseguimento di sapere puntando anzitutto su un processo che fa perno sull’esperienza concreta del soggetto, con riferimento privilegiato alla situazione di lavoro. In questa stessa direzione si colloca anche il contributo di Pfeiffer e Jones (anni ’70-’80), vedi pag. 79-80. Skip da pag. 79 a 82.  Tipologie di approcci = confluiscono in quest’area alcuni (pochi) contributi di tono decisamente più specialistico rispetto a quelli sin qui esaminati, accomunati dal proposito di individuare e classificare differenti modelli impliciti in base ai quali può essere pensata e realizzata l’attività formativa. I modelli impliciti riprendono il tema delle teorie dell’apprendimento ricercando tuttavia più 20 specifici agganci a livello operativo, dove ulteriore rimando è al più circoscritto campo della formazione manageriale. Esempi di contributi in termini di tipologie di approcci: o Hawrlylyshyn (1977) propone una tipologia di approcci che distingue tra:  Modello pragmatico = approccio pedagogico finalizzato a orientare efficacemente l’azione verso i risultati.  Modello comportamentista = obiettivi di apprendimento rivolti alla crescita personale dei soggetti.  Modello matematico = sviluppo della razionalità individuale, di capacità analitiche di base, di un tipo di pensiero “logico e quantitativo”. o Jones (1979) ritiene più utile distinguere tra:  Approccio umanistico  Approccio comportamentistico  Approccio cognitivo o Brostrom (1979) sintetizza i primi 2 contributi nella tipologia che comprende: o Modello comportamentista o Modello strutturalista: ridefinisce l’approccio cognitivo di Jones o Modello funzionalista: ridefinisce il modello pragmatico di Hawrlylyshyn o Modello umanista In conclusione:  Le teorie generali definiscono il “campo” rispetto al quale vincolare condizioni e contenuti di una TdA.  I modelli sequenziali forniscono gli elementi.  Le tipologie di approcci suggeriscono una linea di ragionamento. 3.3 Linee di proposta per una Teoria dell’Apprendimento (TdA) Scopo: costruire una TdA conforme e coerente con il “piano” di una TGF. Burgoyne e Stuart (1978) hanno preso in esame un campione di corsi e di programmi di formazione manageriale e hanno costruito la seguente classificazione o tipologia di base: Scuole di pensiero o modelli di apprendimento (MdA) Teoria del Soggetto (modello di uomo) Metafora Principi generali 1. Per condizionamento Sistema di abitudini Scambio telefonico Associazione, rinforzo 2. Per “aggiustamento” Insieme di parti Scatola di montaggio Elementi fissi di apprendimento 3. Per passaggio di informazione Contenitore di informazione Magazzino Ordinamento, organizzazione 4. Cibernetico Elaborazione di informazione Computer Programmazione, feed- back, scoperta 5. Cognitivo Soggetto globale Mappa di navigazione Riflessione, rielaborazione, intuizione 6. Esperienziale Soggetto-persona “Noi” Autonomia, autorealizzazione, superamento delle difese 7. Per “influenzamento” Soggetto sociale Attore con ruoli e responsabilità Identificazione, modellamento, convincimento 21 8. Pragmatico Riferimento al senso comune: esclusione di teoria Soggetto che impara per conto proprio 1. MdA per condizionamento o Richiamo a teorie classiche in psicologia: pavloviane e skinneriane. o È possibile produrre apprendimento attraverso lo schema stimolo  risposta. o In larga misura, il processo di apprendimento è inteso come sollecitazione guidata dall’esterno. o Il soggetto esercita un basso grado di controllo su tale processo. 2. MdA per "aggiustamento" o Il soggetto è formato da un’articolazione di conoscenze, capacità, atteggiamenti. o L’apprendimento è finalizzato ad apportare cambiamenti, “aggiustando” le singole parti. o Approccio meccanicistico con soggetto passivo/molecolare “paziente”. 3. MdA per passaggio di informazione o Apprendimento come acquisizione e immagazzinamento di informazioni. o Altrettanto semplice è l’atto di trasmissione di apprendimento. o Soggetto come contenitore da riempire. 4. MdA cibernetico o Soggetto in continua interazione con l’ambiente esterno, tendente all’omeostasi. o Soggetto attivo in grado di controllare i propri processi (feed-back). 5. MdA cognitivo o Secondo Burgoyne e Stuart, siamo di fronte a un salto di complessità. o Soggetto come “unità globale”. o L’apprendimento implica sempre e comunque il soggetto nella globalità della sua esperienza soggettiva. Implica inoltre rielaborazioni di ciò che già si sa o la scoperta di nuovi elementi. o Il soggetto è capace di autogovernare l’apprendimento. o Tale modello coincide in larga misura con l’approccio organicista: soggetto attivo/molare/agente. 6. MdA esperienziale o Modelli sequenziali di Kolb e di Pfeiffer e Jones. o Soggetto globale e attivo. o Si privilegia il collegamento tra apprendimento e fare (esperienze). 7. MdA per "influenzamento" o Modello dai rimandi teorici piuttosto ampi. o Logica simile al MdA per “aggiustamento”, ma diversa TdS. o Il soggetto è visto per le sue implicazioni sociali: ruoli, responsabilità, relazioni interpersonali … o L’apprendimento ha come principale finalità un miglioramento di questi aspetti. o Presuppone un coinvolgimento totale della persona, seppur concepita come attore sociale. o Presuppone altresì un’azione di apprendimento con limitati margini di autonomia o Il progetto educativo è visto come atto di convincimento o (nel peggiore dei casi) di suggestione e manipolazione. 8. MdA pragmatico o È all’estremo opposto del MdA per “influenzamento”. 22 nascosta costituita dai temi, dagli obiettivi e dai metodi dell’apprendimento. I contributi in tema di metodologie didattiche costituiscono un campo assai ristretto, più omogeneo e a elevata “densità”. Lo scopo di questo capitolo è formulare una Teoria dei Metodi (TdM) coerente con l’impianto più generale di una Teoria Generale della Formazione (TGF). 4.1 Il problema dei metodi Secondo Burgoyne e Stuart (1978), stiamo assistendo a un processo di profonda e radicale innovazione dei metodi formativi, una “nuova era”. Ma in cosa consiste tale cambiamento e come è stato determinato? Negli Anni Settanta, emerge un dibattito sui metodi che può essere sintetizzato nelle tre antinomie (opposizioni e contraddizioni al tempo stesso) seguenti: 1. Accademismo vs. attivismo Tra le spinte che hanno contribuito a determinare la diffusione di attività formative rivolte agli adulti nel nostro paese troviamo sicuramente la possibilità di utilizzare metodologie di insegnamento cosiddette attive, contrapposte ai metodi più tradizionali identificabili nello schema della classica lezione ex cathedra. Accademismo Attivismo - Distanza tra docente e allievo - Rigidità della relazione pedagogica - Difficoltà a realizzare progetti educativi intensive - “Comunicazione a una via” - Impossibilità di ottimizzare su tempi dilatati l’apprendimento - Freddezza - Impersonalità - Astrattezza  Modalità di conseguimento del sapere vincolata all’ascolto e all’attenzione  Sapere per trasmissione - Coinvolgimento diretto dell’allievo - Riferimento al gruppo - Imparare facendo esercizi, sperimentando, risolvendo problemi (o quasi-problemi: simulati) - “Comunicazione e due vie” - Discussione e confronto - Vivacità - Responsabilizzazione - Concretezza  Modalità di conseguimento del sapere basata sul coinvolgimento (attivo)  Sapere per elaborazione, analisi, discussione e risoluzione dei problemi (quasi-problemi) Il punto di passaggio tra accademismo e attivismo ha come riferimento il metodo dei casi. 2. Contenuti vs. processi Altra opposizione storica, contenuta comunque nella prima, e che presuppone l’adesione di fondo all’approccio attivistico. Contenuti Processi Si punta su finalità di apprendimento e traguardi educativi espressi dal conoscere contenuti (know- how)  Aree specialistiche tecnico-produttive, economico-finanziare, di marketing.  Modalità di apprendimento basata prevalentemente sulla trasmissione (pur sempre Fondamentali sono i traguardi educativi connessi a un sapere aspecialistico e “universale”: quello dei comportamenti di lavoro e delle relazioni interpersonali.  Aree “trasversali” psicosociologiche o di teoria dell’organizzazione.  Modalità di apprendimento centrata sull’elaborazione più personale. 25 attiva) di sapere.  Modalità di apprendimento tendenzialmente formalizzata in modo preciso, “chiusa”.  Modalità di apprendimento tendenzialmente problematica, “aperta”. 3. Strutturazione vs. destrutturazione La terza opposizione è contenuta a sua volta nella precedente. Strutturazione Destrutturazione Approcci didattici con una formazione programmata nei dettagli. Approcci didattici con una formazione come contenitore di eventi (non previsti, ma prevedibili). Ciò che è prestabilito non sono i temi, ma solo ed esclusivamente i confini spazio-temporali. La tipicità si riassume nel concetto lewiniano dell’apprendere dal qui ed ora. In Inghilterra (ma sembra anche in Italia) è emersa una certa insoddisfazione per l’approccio “attivistico”: o Da un lato, con esso sembrano risolti molti problemi di “distanza” tra docente e allievo. o Dall’altro, si pongono problemi di distanza tra contenuti di apprendimento e contenuti di lavoro. Il punto di partenza è costituito dal duplice problema della concretezza e del trasferimento dell’apprendimento: della distanza tra aula (dove si svolge il progetto educativo) e ambiente di lavoro (dove si realizza l’”applicazione” di quanto appreso). Alcuni sono giunti alla teorizzazione di una nuova – e cruciale – opposizione tra attivismo e progettualismo: tra simulazione e realtà, tra apprendere e agire. Il nodo teorico affrontato coincide con il ristabilimento della condizione di circolarità tra apprendere e agire rispetto alla semplice sequenzialità da sempre postulata (e da sempre punto debole) da ogni approccio pedagogico. Secondo il progettualismo, ogni azione formativa condivide i principi che sono stati in precedenza formulati come vincolanti per la costruzione di una TGF. Il termine con cui si indica tale approccio pedagogico (di metodo e teoria al tempo stesso) è self-development (SD), di cui ricordiamo i seguenti autori nel campo della formazione manageriale: Borgoyne, Pedler, Boydell, Hague, Hogson, Morris, Revans. Secondo Pedler e Boydell (1981), self-development significa: - Sviluppo del sé (of self)  per Quaglino, riferimento al sé (aree di lavoro/ruolo/sé). - Sviluppo attraverso il sé (by self) = diretta e piena responsabilità del soggetto  per Quaglino, centratura sul soggetto (rispetto al continuum tra eterodirezione e autodirezione). Questo doppio riferimento origina una possibile classificazione di azioni formative, dove l’orientamento SD è comune, pur con variazioni, a tutti i tipi considerati escluso D: 26 OF SELF NOT OF SELF BY SELF A B NOT BY SELF C D Revans (1971) ha teorizzato il metodo di Action Learning, che è un esempio di azione formativa che prevede lo sviluppo di sé e il progetto di self-development attivato dal soggetto stesso (pag. 106). Ma in ogni caso, è in questo più generale orientamento al SD che va ritrovata quell’occasione di innovazione radicale, di svolta, di nuova era nel campo dei metodi educativi a cui alludevano Burgoyne e Stuart. 4.2 Il campo delle metodologie didattiche Quando si parla di metodologie didattiche, sarebbe più corretta la dizione di metodi formativi.  Metodi tradizionali: in questo caso, vale l’uso del termine “didattico” come riferimento implicito alla classica configurazione del rapporto pedagogico tra docente e allievo.  Metodi emergenti: questi ridefiniscono e trasformano il rapporto pedagogico tra docente e allievo. 4.2.1 Metodi tradizionali 1) Istruzione programmata o Si caratterizza come percorso di apprendimento formalizzato e strutturato, come punto di convergenza tra un modello di apprendimento per passaggio di informazioni e uno per “condizionamento”. o Si concretizza in una sequenza di unità di apprendimento in forma di altrettante domande per ciascuna delle quali è prevista risposta e possibilità di controllo della stessa: o Risposta esatta  prosecuzione del percorso. o Risposta errata  riapprendimento. o La logica di fondo è l’apprendimento per rinforzo, progressivo e sequenziale, per microunità di sapere rispetto a un oggetto la cui complessa conoscenza è garantita dal compimento dell’intero percorso. o Viene esclusa la relazione diretta tra docente e allievo. o Rimando all’approccio di tipo meccanicista: soggetto passivo/molecolare/”paziente” o Le principali versioni del metodo di IP sono 2: o Percorso “semplice e lineare” (behaviorismo skinneriano) . o Percorso “ramificato” proposto da Crowder (1959) . 2) Lezione, lettura, discussione o Quest’area riassume ciò che è l’approccio accademico classico. Queste metodologie configurano di fatto la tradizionale relazione di insegnamento: al soggetto sono richiesti attenzione e ascolto. Differenza tra docente (“chi sa”) e allievo (“chi non sa”). o La lezione è vincolata a tempi limitati, istituisce massima dipendenza dell’allievo dal docente, ma consente anche un basso controllo da parte di quest’ultimo sull’apprendimento del primo (che può evadere mentalmente). o A parziale integrazione della lezione , lettura e discussione consentono uno scambio più attivo tra docenti e allievi, ma pur sempre entro confini assai limitati e nella conferma della classica relazione di insegnamento. 3) Incident, caso o Un caso è una “situazione-problema” che richiede una soluzione. 27  Autocaso = caso reale di uno dei partecipanti al progetto educativo ricostruito interamente “in aula” secondo modalità di lavoro che richiedono l’acquisizione di strumenti concettuali di analisi e classificazione dei dati e la loro applicazione ai casi in oggetto. Schema finale con riclassificazione (vedi prossima pagina):  Continuum da una posizione di esclusivo ascolto a forme di progressivo coinvolgimento del soggetto, confermando l’opposizione tra accademismo e attivismo. Non include il metodo di Istruzione programmata se non come “caso limite”.  Progressivo aumento di complessità dei processi di apprendimento implicati .  Passaggio da condizioni di apprendimento vincolate al materiale predisposto dal docente (massima nell’IP) a condizioni vincolate al materiale prodotto dai soggetti (massima nel gruppo esperienziale). 4.2.2 Metodi emergenti La dizione “emergente” è adottata per più di un motivo: - Metodologie recenti. - Metodologie poco conosciute in Italia. - Metodologie che tentano di operare trasformazioni profonde “stressando” certe caratteristiche o proponendosi di “andare oltre”. Tali metodologie costituiscono un campo eterogeneo, differenziato e in pieno movimento. 1. Outdoor development, Outward Bound Si tratta di andare oltre il confine rappresentato da condizioni, situazioni, problemi abituali di lavoro dei soggetti.  Outdoor development: fa riferimento, da un lato, al modello di apprendimento esperienziale di Kolb e, dall’altro, ai principi dei metodi esercitativi di Pfeiffer e Jones. Si tratta di una metodologia e di un progetto educativo al tempo stesso, caratterizzato da: 30 o Condizioni di apprendimento estranee ai soggetti in territori naturali : rapide, montagne, foreste, deserti, mari. o Compiti legati per lo più a esercizi di esplorazione o avventura o sopravvivenza : discendere le rapide, scalare una montagna, attraversare una foresta … Le finalità del metodo sono di proporre un percorso di apprendimento dalla realtà (apprendimento del nuovo) in situazioni-limite che esigono un totale coinvolgimento del soggetto (anche fisico). L’OdD tende a proporsi come metodologia per lo sviluppo di specifiche caratteristiche manageriali, in particolare le capacità intuitive (lavorare in gruppo, gestire l’incertezza e il cambiamento, costruire la fiducia, negoziare), capacità non- specifiche che possono essere sviluppate in “tempi brevi”. Grande importanza viene attribuita al gruppo: “solo di fronte a problemi concreti, un gruppo può scoprire effettivamente che cosa è un gruppo”, è l’emergenza della situazione a provocare l’emergenza del gruppo. Questa metodologia ha origine da un lato dalle scuole di addestramento militare o spaziale, dall’altro nella filosofia dell’Outward Bound di K. Hahn.  Outward Bound: K.Hahn, a partire dagli Anni Trenta, ha elaborato una propria pedagogia basata sull’utilizzo di tutte le risorse dei soggetti e della sfida intellettuale, una scuola di survival training. 2. Learning Community, Autonomy Laboratory Filosofia di entrambi: l’apprendimento è favorito dalla costituzione spontanea di un gruppo di soggetti che reciprocamente si scelgono , condividono gli stessi obiettivi di apprendimento e l’intenzione di realizzare un progetto finalizzato. I due metodi comunque sono assai simili:  Learning Community: progetto educativo vincolato dal principio che ciascun soggetto è responsabile in prima persona dell’identificazione e realizzazione dei propri obiettivi di apprendimento nonché della collaborazione con altri per identificare e realizzare i loro obiettivi. Esso punta, inoltre, a favorire lo sviluppo di un apprendimento significativo per il soggetto nel senso della guida alla piena autonomia. Anche qui il confine dell’aula tradizionale è superato, il concetto di “comunità di apprendimento” fa riferimento alla “rete” che collega i soggetti, non alla loro collocazione fisica nella stessa stanza.  Autonomy Laboratory: si orienta soprattutto nella duplice direzione di un apprendimento all’autonomia e alla creatività attraverso il riconoscimento e l’utilizzazione da parte dei soggetti della molteplicità delle loro risorse personali. Questi metodi tendono a corrispondere ai metodi tradizionali del Gruppo di studio e del Lavoro di progetto, ma hanno finalità di apprendimento completo e al di fuori dei vincoli posti dal rapporto pedagogico. In questi metodi si può notare che il docente ha un ruolo più da coordinatore e al tempo stesso di risorsa e “tramite” per l’acquisizione di altre risorse. 3. Action Learning, Joint Development Activities  Action Learning: la “svolta” cui alludevano Burgoyne e Staurt può essere riconducibile alla proposta di Action Learning (AL) formulata da Revans (dal 1971). Principi generali dell’AL: o Vi è il tentativo di ristabilire la circolarità cruciale tra l’apprendere e l’agire. In questo senso l’AL ha delle corrispondenze molto evidenti con l’Action Research di Lewin. o L’assunzione di problemi concreti (problemi di lavoro e organizzativi) come contenuto del progetto educativo. o Sollecitare processi di apprendimento complessi finalizzati a promuovere un sapere per rielaborazione e scoperta originale, un sapere che ha per oggetto i contenuti 31 del problema e le modalità del soggetto di affrontarlo, analizzarlo e risolverlo recuperando l’esperienza passata. o Il conseguente richiamo a modelli di apprendimento pragmatico ed esperienziale confluenti a realizzare un percorso di apprendimento di tipo cognitivo. o Apprendimento Q = apprendimento “per ricerca” (Q = questioning) delle vere domande anziché delle risposte giuste. o Revans propone uno schema-base dei 4 tipi di progetti AL: Unità di apprendimento familiare (conosciuta) Unità di apprendimento non familiare (nuova) Contesto organizzativo familiare (conosciuto) Lo stesso lavoro nella stessa organizzazione. Obiettivo: sviluppo del ruolo attuale. Un nuovo lavoro nella stessa organizzazione. Obiettivo: sviluppo dell’interfunzionalità di ruolo. Contesto organizzativo non- familiare (nuovo) Lo stesso lavoro in una nuova organizzazione. Obiettivo: miglioramento di capacità legate al ruolo. Un nuovo lavoro in una nuova organizzazione. Obiettivo: sviluppo di carriera.  Joint Development Activities: Il JDA è molto simile all’AL, identico è l’approccio teorico di base rivolto a promuovere attraverso l’apprendimento uno sviluppo dei soggetti nel ruolo ricoperto, assai simile il riferimento a problemi concreti e reali come il contenuto del progetto educativo, e ancora identica la possibilità di costruire gruppi di soggetti che prevedano scambi tra organizzazioni differenti (Joint, appunto). L’unica differenza riguarda i differenti orientamenti: Active Learning Joint Development Activities Orientamento tendenzialmente “risolutivo”: AL vincola il modello di apprendimento e la struttura del progetto educativo a problemi per i quali ricercare soluzioni. Orientamento “propositivo” dei progetti JDA: i soggetti sono orientati alla ricerca di nuove idee finalizzate alla crescita, allo sviluppo e alla realizzazione di nuove opportunità in riferimento al ruolo ricoperto o all’organizzazione coinvolta. 4. Metodi riflessivi: si tratta di un’ampia area di tecniche formative che privilegiano modelli di apprendimento di tipo riflessivo. Le caratteristiche principali sono: o La centratura del soggetto sull’area del sé; o Il distacco dai riferimenti sia all’esperienza di lavoro (di ruolo e organizzativa in termini di problemi concreti), sia all’agire o Il recupero del campo dell’esperienza personale come rimando per l’autoriflessione. Si ritrovano in quest’area 2 tipi di metodologie:  Metodologia (più razionale) derivante dai contributi Boxer che favorisce una riflessione sulle modalità soggettive del conoscere e del costruire la conoscenza.  Trascedental meditation (più intuitiva): tecniche riflessive di meditazione e rilassamento. Sono assai meno recenti, mentre più attuali sono le proposte in tema di seminari antistress. Unità di apprendimento OF SELF (SE’) Unità di apprendimento NOT OF SELF (NON SE’) Livello di responsabilizzazione BY SELF (SE’) (Metodi riflessivi) Action learning Joint Development Activities Learning Community Autonomy Laboratory Livello di responsabilizzazione Outdoor Development 32 formazione. La rottura del classico setting di aula impone una revisione profonda del ruolo e del profilo professionale di formatore. - D’altro canto, il formatore deve trovare identità di ruolo rispetto a compiti, obiettivi e responsabilità inerenti al progetto educativo . Differenze di ruolo saranno riconducibili ad altrettante differenze di tipi di progetto e di modalità di realizzazione. Le opposizioni presentate sono allora del tutto fittizie: è invece necessario ricomporre un quadro. L’unica opposizione (non opposizione) è quella tra:  Chi presidia il processo di formazione vs. chi conduce l’azione formativa 2) I rischi del mestiere 2.1. La manipolazione: è connessa alla preoccupazione, per un certo periodo piuttosto diffusa e alimentata, che fare formazione significasse “esercitare influenza”. L’azione educativa veniva praticata, quindi, ricorrendo alla persuasione, al convincimento e alla suggestione, esercitando pressione sui partecipanti al corso. Tuttavia, secondo Quaglino:  il problema fondamentale del formatore non è tanto quello di poter “incidere troppo”, bensì quello di non incidere affatto;  pensare in termini di manipolazione significa presumere interlocutori potenzialmente manipolabili: la sua esperienza concreta non gli ha mai confermato ciò! 2.2. Le fantasie: secondo Enriquez (1980), i rischi del formatore sarebbero sostanzialmente riconducibili ai fantasmi che i formatori portano con loro stessi: • il formatore, che vuol imprimere una forma buona, ordinata; • il terapeuta, che vuol guarire ferite e restaurare risorse rovinate; • il maieuta, che vuoi far venire alla luce, far emergere; • l’analista, che vuoi spiegare, far prendere coscienza e conoscenza; • il militante, che vuoi far agire, far cambiare, far muovere; • il riparatore, che vuoi farsi carico dei problemi, sacrificandosi per qualcosa-qualcuno; • il trasgressore, che vuoi liberare dalle istituzioni, dai divieti, dalle repressioni; • il distruttore, che vuoi rendere consapevole l’altro a costo di addirittura distruggerlo, che vuole produrgli sofferenza, renderlo dipendente, mentre si dice di volerlo rendere autonomo. Ciò costituisce un rischio sia come confusività di ruolo, sia come pratica mistificante (che distorce la realtà). Tuttavia, secondo Quaglino, questa tematica, seppur valido, lascia ormai un’inevitabile impressione di déjà-vu e di fragile ancoraggio al reale. Ben altra solidità di ancoraggio va invece riconosciuta al tema della … 2.3. La triangolarità: va riferita al tipo di relazioni tra: o Il formatore = colui che gestisce il processo o guida l’azione di formazione; o il committente = colui che, agendo all’interno e per conto dell’organizzazione, si trova ad essere promotore di una richiesta di “intervento formativo”; o l’utente = colui che direttamente sarà coinvolto dalla formazione, il “partecipante al corso”. Un contributo importante riguardo questo tema è quello di Senise e Varchetta (1975). 35 Il rischio della triangolarità è quello dell’incertezza, della non-chiarezza e dell’insicurezza dei rispettivi ruoli. Il formatore stesso deve saperlo riconoscere, esplicitare e risolvere. Inoltre, ulteriore elemento di complicazione è dato dalla reale duplicità di ruolo che interessa ciascuna delle parti in relazione: o Formatore come consulente / docente o Committente come cliente / membro dell’organizzazione o Utente come allievo / membro dell’organizzazione 3) Le cosiddette expertises Questo terzo tipo di elementi di riflessione e di dibattito ha a che vedere con la professionalità del formatore in termini di:  Competenze / esperienze richieste per un efficace adempimento del ruolo;  Regole e principi-guida per l’azione “formativa” ;  Iter di preparazione e formazione personale . In sintesi, l’assenza di un articolato e integrato modello concettuale sulle expetises è indubitabile. Di conseguenza, è necessario considerare “precario” e carente il campo di dibattito e di riflessione sui temi del formatore. 5.2 La natura pedagogica del ruolo di formatore Il nodo cruciale da affrontare per assicurarsi di poter procedere nella direzione di un più completo disegno (condizioni e contenuti) di TdF è quello di ridefinire con chiarezza e precisione il collegamento tra formatore e progetto educativo, incentrando la riflessione sulla natura pedagogica del ruolo del formatore, anziché limitarla alle implicazioni istituzionali/organizzative, agli aspetti di rischio, alle expertises. Ristabilire il collegamento tra formatore e progetto educativo significa individuare una nuova configurazione di possibili ruoli formativi. in questa prospettiva di ragionamento e riflessioni, si collocano 3 contribuiti in termini di un: 1) Un modello di ruoli formativi Burgoyne e Cunningham (1980) hanno formalizzato un modello di ruoli formativi, orientato nella logica self-development, che è costituito da 3 elementi-base, le parti coinvolte della relazione: o L’esperto o L’utente o L’oggetto: è in funzione del tipo di “oggetto” implicato che sarà possibile ridefinire più recisi ruoli e più concrete figure. La figura-base è la seguente: una situazione relazionale classica nel senso del rapporto di consulenza finalizzato alla soluzione di un problema: dove il ruolo dell’esperto-consulente è sostanzialmente quello di assumersi “per conto” del cliente il problema e di fornire adeguata soluzione. A partire dalla figura-base è possibile costruire progressivamente differenti ipotesi di relazioni, conformi non allo schema consulenziale, ma al campo operativo della formazione, ad es. l’altrettanto classico 36 schema relazionale docente-allievo. Qui, il docente trasmette un sapere finalizzato in termini di problem- solving, ad es. in un tradizionale corso di formazione con uso privilegiato del “metodo dei casi”. Confrontiamo ora le 2 figure corrispondenti ai 2 ruoli (quella di consulente e quella di docente, quest’ultima considerabile già come forma della relazione pedagogica):  Consulente: include l’oggetto-problema nella sua sfera d’azione. Egli risolve il problema “al posto” del soggetto-utente.  Docente: il suo ruolo rinvia a responsabilità connesse: o al processo di trasmissione di sapere inerente al problema e o alla sua soluzione dal docente al soggetto-allievo. I livelli successivi di questo modello (che prevedono questi ruoli o forme della relazione pedagogica: Animatore, Gestore e Agevolatore) di ruoli formativi consistono:  in ulteriori progressive trasformazioni del ruolo dell’esperto e  di conseguenza, come altrettante progressive “perdite di contatto diretto” con l’oggetto-problema da parte dell’esperto. (Skip da pag. 150 a 153) Fino ad arrivare all’ultimo livello di articolazione del modello che postula un rapporto esperto-utente finalizzato all’acquisizione, da parte di quest’ultimo, del ruolo di esperto. 2) Un criterio Il modello di Burgoyne e Cunningham permette:  Di individuare nuovi elementi di articolazione della figura del formatore, di nuovi ruoli connessi con l’ampliamento dei confini del progetto educativo nella direzione self-development .  Il passaggio da una logica di ruoli “per opposizioni” a una per continuum . Occorre precisare il criterio in funzione del quale il modello è articolato, ovvero il criterio dell’ampiezza dell’area di controllo sull’apprendimento rispettivamente attribuito al formatore e al soggetto, secondo questo continuum: 37 Condizioni generali per una Teoria del Formatore. Tali condizioni non possono che essere identiche a quelle previste per la TdM; ciò è già implicito nel riferimento condiviso a una sovraordinata Teoria dell’Insegnamento. Dunque, una TdF esige: 1. Definizione dell’oggetto: TdM TdF “Teoria delle forme del progetto educativo” Metodi educativi “Teoria delle forme della relazione pedagogica” Pluralità di forme che può assumere l’zione dell’educatore 2. Configurazione articolata di elementi componenti La TdF esclude qualunque criterio di tipo oppositivo. Il criterio che permette di soddisfare il principio dell’integrazione è individuabile nel grado di controllo sull’apprendimento esercitato rispettivamente dai soggetti implicati nella relazione pedagogica, “ modulato” per le singole operazioni che cadono nell’ambito delle attività del formatore nel corso delle diverse fasi del processo (vedi figura-matrice 5.9). 3. Coerenza tra TdF e gli altri elementi componenti la TGF (in particolare connessioni e rimandi alla TdM) È possibile riclassificare i differenti metodi educativi (esaminati nel capitolo 4) in funzione dei 4 ruoli o forme della relazione pedagogica previsti dal modello di Burgoyne e Cunningham (n.b.: il Consulente non è una forma della relazione pedagogica; n.b.2: l’asterisco non tra parentesi indica un legame preferenziale): Già nel 1974, Hague con “Exectutive Self-Development. Real Learning in Real Situations” esprimeva l’esigenza di innovare profondamente i contenuti di ruolo e il profilo di capacità attese dal docente. Al formatore spetta di riprendere contatto in prima persona con la complessità della natura pedagogica della sua azione: solo così la formazione potrà meglio misurare la sua efficacia e il formatore potrà meglio misurare le sue soddisfazioni. 40 CAPITOLO 6. Sintesi e conclusioni La Teoria Generale della Formazione (TGF) deriva dalla necessità di “procedere oltre” verso la formulazione di un modello teorico di riferimento attinente l’oggetto-formazione più articolato, consolidato e integrato, implicando un livello di maggiore complessificazione. “Generale” = esigenza di ristabilire connessioni, tentando di superare lo stato attuale della riflessione teorica che sembra caratterizzato da frammentazione e disarticolazione. Nella transizione da un vecchio a un nuovo modello teorico (confronto figure 6.1 e 6.2, da pag. 166), i temi da affrontare, più volte segnalati in queste pagine, sono: 1) Recupero del soggetto. 2) Centratura sull’apprendimento. 3) Rottura del tradizionale setting d’aula come luogo privilegiato e deputato allo svolgimento di attività formative. 4) Ritrovamento del legame tra formatore e azione educativa. Il traguardo finale è rappresentato dalla possibilità di ricomporre la circolarità tra teoria e prassi: ciò che sin dal primo capitolo si è inteso esprimere come circolarità tra: “Pieno” di consapevolezza della teoria  “Pieno” di concretezza della formazione La solidità della teoria non può in alcun modo essere disgiunta dalla qualità dei risultati della pratica. La formazione vivrà cambiamenti profondi: 1. Le nuove tecnologie informatiche lasciano già compiutamente intravedere quali molteplici opportunità si offrono al ribaltamento dei più tradizionali modelli di trasmissione del sapere nonché quali possibilità ne conseguono per l’autogestione dell’apprendimento da parte dell’utente. 2. La nuova filosofia dei progetti educativi centrati sull’apprendere dall’esperienza sta rapidamente acquistando spesso teorico e lascia intuire trasformazioni anche radicali del ruolo stesso dell’attività formativa rispetto ai processi di crescita e sviluppo dei soggetti nell’organizzazione. La formazione dovrà affrontare sfide che vanno al di là dell’ambito entro il quale essa si colloca: in particolare, laddove si incontrano gli esiti della rivoluzione tecnologica in atto con la progressiva caduta della razionalità perfetta. Le organizzazioni necessitano così di un profondo mutamento culturale e di prospettiva, che si realizzerà reinventando una cultura all’interno dell’organizzazione in cui vivono i soggetti. La formazione dovrà fornire un contributo decisivo ed è dunque indispensabile che la formazione punti in tempi brevi a:  consolidare sapere ;  conseguire innovazione ;  attrezzarsi di teoria . La proposta di TGF qui sviluppata è un’ipotesi di lavoro in questa direzione. 41 Postfazione - Una nuova formazione La prima edizione di questo testo risale al 1985, mentre la successiva (questa) è del 2005. Il fondamento capace di ancorare la pratica del “fare formazione” e di rinnovarla è ancora oggi da conquistare. Transizioni di scenario In questo paragrafo si tenta di ridisegnare il quadro teorico. Quando “Fare formazione” fu pubblicato, nel 1985, i contributi sul tema di formazione nel nostro paese non erano moltissimi, ma si disponeva già di un testo fondativo del 1971 a cura di Aldo Canonici, scritto da vari autori. In questo manuale, si incontravano passaggi che testimoniavano piena consapevolezza dei rischi per la formazione di ciò che potremmo definire il “riduzionismo organizzativo”: “Una formazione solo professionale presenta evidenti limiti in quanto equivale a ribadire comportamenti stereotipati e strutture ormai superate. Gli obiettivi di formazione nelle organizzazioni vanno individuati nella comunicazione di un saper essere […]”. In altre parole: ogni riduzione della formazione all’organizzazione è una rinuncia alla sua più nobile vocazione di promozione del cambiamento personale. “Fare formazione” (1985) nasceva:  da un lato, dalla piena condivisione della tensione verso una formazione come esperienza soggettiva profonda;  dall’altro, dall’esigenza di muovere oltre una dimensione manualistica o modellistica. “La formazione: concezioni a confronto” (1991) di Bruno Maggi consiste nel tentativo di ricostruire il ventaglio di posizioni che si erano consolidate negli anni. Tuttavia, la dimensione organizzativa risulta determinante, in quanto in tentativo era definire in modo forzato modelli di formazione per differenti approcci organizzativi. Questa riflessione “categorica” percorre così tutti gli Anni Novanta. “Cronaca della formazione manageriale in Italia: 1946-1996” (1998) di Morelli e Varchetta consiste nella ricostruzione storica delle vicissitudini della formazione, come esse rappresentino un’esplorazione, talvolta anche contraddittoria e disordinata, delle reali possibilità e delle sfide sostenibili. Ancora una volta, l’ancoraggio al mondo organizzativo è esplicito, anche se viene problematizzata la capacità di questa formazione di corrispondere appieno alle istanze individuali. “Logiche di azione formativa nelle organizzazioni” (2002) di Domenico Lipari : testo capace di riflettere istanze evolutive e confronto tra modelli in una prospettiva di sintesi atta al tempo stesso a riproporre la questione centrale di una teoria della formazione. Egli propone un approccio postmodernista che pone al centro l’azione formativa capace di dare senso a contesti frammentati e incoerenti, di sostenere gli individui verso un apprendimento flessibile e critico. Tuttavia, il quadro di riferimento resta ancorato al tema del rapporto tra organizzazione e formazione, confermando una sostanziale difficoltà a ripensare la formazione entro un orizzonte più ampio. 42  Le pratiche formative sono accostabili a qualità di tipo organizzativo (nel senso del “conferire struttura”): affinità che trova una prima concreta espressione nella scrittura dei testi.  La formazione richiama l’idea di squadra, schieramento e unità. Queste molteplici declinazioni della parola formazione dimostrano una pluralità non semplificabile, una complessità non riducibile. Da queste prime aree di significati emerge un’immagine di formazione che si distingue principalmente per 3 aspetti: 1) Per la sua valenza pragmatica, concreta: il “fare formazione”. 2) Per il suo inaugurare nuovi inizi: la formazione presenta un principio d’origine. 3) Per il suo essere capace di organizzare: la formazione presenta un principio d’ordine. Distinguiamo ora le possibili declinazioni delle variegate pratiche formative:  Addestrare = richiama la finalità del rendere destro (abile), dell’acquisire una certa competenza desunta da schemi di comportamento che diventano oggetto di trasferimento da un soggetto all’altro. In base all’etimologia, indica anche rendere propizio, favorevole: dimensione dell’auspicio.  Ammaestrare = dal significato etimologico, implica una bravura in misura maggiore rispetto ad altri, che si misura nel confronto con l’altro.  Istruire = per la sua etimologia (instruere = costruire del materiale in pile, impilare) si usa per indicare l’accumulazione di sapere e pratiche poco interessata ad approfondire.  Educare = implica una logica di processo (e non solo di prodotto) e va oltre la semplice sovrapposizione di sapere ed esperienze. Il suo significato etimologico è “portare fuori”: estrarre qualcosa che non può essere deterministicamente controllato. Istruire Educare Si dà secondo una modalità superiore-inferiore, sopra-sotto. Essendo ispirata ai criteri di aggiornamento e perfezionamento propri di qualunque percorso continuo, la modalità è sempre più orizzontale, a tratti inclinata, sino a discendere in profondità. Opera in superficie. Si inoltra spesso nei territori dell’interiorità. Parole straniere che indicano pratiche formative:  Training : questa parola inglese è legata all’attraversamento e al trascinamento, derivando infatti da trahere (tirare, trarre). La formazione consiste dunque in un andare attraverso, in un guidare ed essere guidati, in un’esperienza di trascinamento che può essere interpretata in modo duplice: dimensione di resistenza alla fatica e dimensione di attrazione e coinvolgimento.  Bildung : il termine tedesco enfatizza il richiamo all’immagine di un edificio che risulta continuamente in corso d’opera, in formazione. Formazione come architettura.  Jiao yu : ideogrammi cinesi che indicano l’equivalenza di un’idea di educazione che si esprime nella coltivazione degli insegnamenti. Formazione come “coltura” di sapere (e non solo acquisizione).  Formazione deriva dal latino forma che origina dal greco morphe , i cui significati letterali sono “forma, figura”, ma anche “persona, bellezza, apparenza, sorte”. La formazione è una rincorsa di forma: si tratta perciò di un’esperienza estetica che si confronta anche con le alternative della sembianza, dell’apparenza e della finzione, dunque con una cera ambiguità. L’esperienza formativa è occasione entro cui anche la fortuna esige di esercitare la sua parte, e con essa il destino. 45  Figura mitologica di Morfeo : uno dei tanti figli di Sonno, Morfeo condivide con i suoi fratelli l’abilità di apparire ai mortali nei sogni; in particolare, Morfeo si palesa sotto spoglie umane. Formazione come esperienza che si caratterizza, similmente al sogno, per la sua inafferrabilità. Formazione come luogo attraversabile per mezzo di una fervida immaginazione, che è anche nel procedere per immagini dei sogni. Tutti questi esempi mostrano che la formazione viene identificata per una molteplicità di aspetti che:  da un lato, richiamano il puntuale disegno costruttivo e progressivo dell’edificio del sapere e del suo progetto;  dall’altro, richiamano l’esplorare anche senza una meta precisa, ma pur sempre capace di trarre da ogni incontro occasioni di conoscenza e dunque di avanzamento educativo. Considerando la letteratura specialistica, possiamo constatare come la formazione venga collocata in posizione mediana rispetto alle polarità dell’istruzione, da un lato, e dell’educazione, dall’altro. Da questo suo mediano disporsi derivano elementi di forza e di debolezza:  La plasmabilità = adattabilità alle variabilissime esigenze dei contesti della formazione  La fragilità = inafferrabilità (che l’ha resa oggetto di un ampio e spesso inconcluso dibattere) Conclusioni: 1) Il destinatario di ogni evento formativo che intenda porsi interprete della medianità, e che dunque si renda aperto all’approfondimento delle questioni del Sé e non solo all’accumulazione di saperi, è l’adulto. 2) La formazione è un percorso di lungo periodo rivolto ad adulti che hanno accettato la fatica e gli intralci di un’esplorazione che insegue la coesistenza di traguardi di conoscenza e mete di sviluppo personali. 3) La formazione opera in opposizione alla conservazione. 4) La formazione istituisce nella relazione tra docente e allievo il contesto generativo che le è peculiare: contesto di comunicazione, ascolto, collaborazione e scambio. L'adulto cui ci si rivolge: PROFILO DEL SOGGETTO Cerchiamo di sciogliere un nodo sempre presente quando si parla di adulto:  Adulto come stato oggettivo (quindi si tratta di un’età)?  Adulto come condizione e disposizione soggettiva? Nonostante adulto abbia etimologicamente a che fare con “cresciuto, sviluppato”, “maturo, compiuto” (ecc.), Quaglino sostiene la tesi di un’adultità aperta alla sfida di sempre nuove trasformazioni di fronte a una riconosciuta provvisorietà dei propri approdi. Adulto significa completezza come armonica espressione nel saper realizzare il giusto equilibrio tra:  I propri incarichi di accudimento (genitoriali, professionali …)  La propria intrapresa del percorso individuativo. 46 Queste 2 istanze si alimentano reciprocamente. Demetrio (1997): “L’adulto è l’approdo di un processo complesso e contraddittorio. Nell’adulto c’è il suo contrario, c’è la maturità e l’immaturità, c’è il risultato e il fallimento, c’è il potere e la fragilità”. Erikson (1959) fa notare che il bisogno di realizzare qualche cosa di durevole è una manifestazione tipicamente adulta. È infatti l’adulto colui che ha il senso della generatività, della procreatività, della produttività, della creatività, della cura. Jung (1934): “Nell’adulto si cela una parte interna in continuo divenire, mai compiuta, che richiedere costante cura, attenzione ed educazione”. L’adultità è prova che sollecita la capacità negativa che il poeta Keats (1817) definiva come la capacità “di trovarsi fra incertezze, misteri, dubbi, senza angosciarsi per raggiungere certezze e spiegazioni” . La capacità negativa ci mostra come il tema della polarità e dell’equilibrio divenga sfida nucleare: si tratta, per il divenire adulto, di vincere la seduzione dell’azione che tanto più si accentua quanto più i momenti si fanno critici e i progetti ambizioni, e di sostituirla forse con l’immaginazione. La saggezza si rende visibile in forma di un interesse distaccato eppure attivo per la vita in sé stessa di fronte alla morte. Secondo Jung, l’ascolto e l’interrogazione, accompagnate alla possibilità che la ricerca sia vana e il domandare mai placato da alcuna risposta, risultano gli unici sentieri lungo i quali la “maturità cronologica” può accompagnarsi a una corrispondente “maturità psicologica”. Conclusione:  L’adultità equivale alla condizione di equilibrio (polarità) che si stabilisce in coloro che non si mortificano di fronte al sopraggiunto rovesciamento di prospettive che connoterebbe la seconda metà della vita.  L’adultità è un transito necessario di quell’imprescindibile legame tra l’immagine del puer che non si è più e l’immagine del senex che non si è ancora (archetipi junghiani). Occorre collocarsi alla medianità della propria esistenza tra il ricordo di ciò che si era e ciò che si diverrà.  Amore di cura e amore di legame costituiscono il più autentico e profondo valore che il divenire adulto possa far proprio. 1. A partire dall'esperienza: PRIMATO DELLA DIMENSIONE DELL’ESPERIENZA Esperienza come prova: quando l’esperienza evoca apertura e possibilità, si assimila un provare che è disponibile alla messa in gioco di sé, occasione di “sperimentazione” aperta e permanente . La prova richiamo un ambito d’azione segnato da incertezza e insidie. Ciò che viene appreso dall’esperienza (sia professionale che del vivere quotidiano) è provvisorio, affinabile, MAI acquisito in modo definitivo. Come sostiene Dewey (1925), ogni unità di esperienza contiene “la possibilità della verità quanto la possibilità dell’errore”: l’esperienza è esposta all’errore. L’esperienza dell’errore trova collocazione all’interno della metafora del viaggio, occasione d’esperienza per eccellenza, in quanto espressione di un errare dal doppio significato: andare e sbagliare. È proprio l’assenza di mete prestabilite a esporre l’esperienza all’eventualità dell’errore. Appare sempre più chiaro come l’esperienza, specialmente quella formativa nel senso di promotrice di cambiamento, perda confidenza con ciò che è determinato, per preferire legami più saldi con l’accidentalità degli eventi. 47 4. L'approdo alla narrazione: L’APPRODO NARRATIVO RAPPRESENTA IL COMPIMENTO TRASFORMATIVO DELLA FORMAZIONE Il circolo dell’apprendimento trasformativo si compie nella narrazione = conversione in romanzo di ciò che è stato esperito, “assoggettato” alla riflessione e afferrato con l’interpretazione. Narrazione come:  Sforzo di riordino e conferimento di forma al disordine delle esperienze.  Ricostruzione di una possibile trama di significati o di connessioni significative. Il fare esperienza, il riflettere e l’interpretare non potrebbero condurre a un apprendere autentico se non fosse per il potere e la competenza trasformativa che risiede nella narrazione di quanto è stato esperito, riflettuto, inseguito e afferrato: ossia la restituzione al soggetto del ruolo di protagonista. Se manca una di queste tre tappe che precedono la narrazione, quest’ultima fallirà il traguardo trasformativo, o lo realizzerà solo in parte. Questo perché la narrazione: - Rende visibile ciò che altrimenti sarebbe rimasto in ombra. - Accresce in dettaglio, ci arricchisce di nuovi particolari di cui non saremmo stati consapevoli. - Racchiude un principio che non solo invita alla riappropriazione, ma anche alla riscoperta di sé. Sono infatti le storie a comunicare e a connettere i frammenti dell’individualità che ci corrisponde. Il narrare si pone quale occasione per la salvaguardia della continuità: opera in direzione antitetica all’oblio e risponde alla possibilità di uno sviluppo, dunque di un procedere oltre, saldamente ancorato a “ciò che è stato” e che, come tale, ha urgenza di trasformarsi in racconto. Qualità delle buone storie = narrazioni capaci di incrementare la loro valenza formativa:  Principio di essenzialità e linearità: le “buone storie” rispondono a pochi e semplici criteri, e non tanti a una complessità dell’intreccio ricercata a tutti i costi.  Le narrazioni non richiedono di essere spiegate in ogni loro parte. Ogni storia contiene infatti delle zone d’ombra: punti oscuri che devono restare tali, poiché:  Costituiscono l’apertura e la visuale verso scenari alternativi;  la loro soluzione impedirebbe alla storia di procedere.  Le narrazioni contengono sempre una soluzione strettamente personale, che vale per il suo autore e non per altri. La soluzione consiste in ciò che la storia può dire, senza per questo dover violare le sue zone d’ombra, dunque anche in ciò che l’autore le consente. Le nostre trame accompagnano ed educano l’insoddisfazione nei confronti dell’esistente. In conclusione 50 Il progetto di Quaglino si orienta verso una formazione pienamente “psicologica”, capace di sollecitare il principio della soggettività. Ecco il ciclo di apprendimento trasformativo: 1. Aprirsi all’esperienza 2. Immergersi nella riflessione 3. Perdersi nell’interpretazione 4. Ritrovarsi nella narrazione  Prospettiva critica/clinica con cui guardare a un percorso di apprendimento che sia autentico cammino di sviluppo personale Polarità critica-clinica: o Critica = considerabile come l’ha pensata Foucault “L’arte di non essere eccessivamente governati. L’arte della disobbedienza volontaria, dell’indocilità ragionata”. Si tratta di considerare la formazione come processo di avanzamento verso un Sé “non più assoggettato”, quanto piuttosto “soggettivato”. o Clinica = considerabile non solo per le sue valenze di attenzione, premura, trattamento e terapia, ma anche come disposizione alla clemenza che deve accompagnare il transito dall’esperienza alla riflessione, all’interpretazione e alla narrazione.  Legame tra apprendimento e cambiamento 51 Polarità apprendimento-cambiamento o Apprendimento: si configura come esperienza di cattura e contagio, assumendo i connotati di un inseguimento da un lato e, dall’altro, di un’influenza. Così come non c’è apprendimento senza impulso positivo ovvero motivazione e passione, non c’è nemmeno apprendimento senza preoccupazione e senza disagio, ovvero resistenza e opposizione. Apprendimento condivide la stessa radice dell’apprendistato da un lato, e dell’apprensione, dall’altro: occorre accettare il carico di incertezza, inquietudine e irragionevolezza che porta con sé l’apprendere. o Cambiamento: questa configurazione dell’apprendimento permette un “passo oltre” che conduce al Sé. Vediamo ora i puntuali caratteri che sono propri del cambiamento: - Il cambiamento è un procedere tra alternanze di ordine e disordine. È un passaggio sofferto perché pericoloso. - Il cambiamento impone abbandono e distacco, ovvero il lutto, poiché nessun cambiamento è possibile senza elaborazione della perdita. - Il cambiamento è rinnovamento profondo: metamorfosi e rigenerazione. Il vero cambiamento non “galleggia” in superficie. La formazione è allora processo di cambiamento che porta a conseguire l’adultità che corrisponde alla pienezza del Sé. Il tema del cambiamento, quando congiunto a quello della formazione e dunque posto in tensione con l’apprendere, corrisponde evidentemente a ciò che configura il divenire adulto, l’individuazione. Individuazione = processo che genera in quanto separa; implica la separazione di Sé dalle condizioni dell’Io, la relativizzazione dell’Io, il decentramento. In questo senso, l’individuazione è percorso formativo e trasformativo che attiene anzitutto alla rifondazione della propria geografia interiore e procede di pari passo con l’acquisizione della verità della propria storia soggettiva. Il legame tra apprendimento e cambiamento va dunque inteso nella molteplicità dei rimandi tra formazione e trasformazione. 52
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