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Fare Formazione Quaglino, Sintesi del corso di Metodologia Delle Scienze Sociali

Riassunto Fare formazione di Quaglino

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
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giovergna9
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Scarica Fare Formazione Quaglino e più Sintesi del corso in PDF di Metodologia Delle Scienze Sociali solo su Docsity! Capitolo 1: La formazione oggi La situazione attuale della formazione professionale è considerata molto complessa. Periodizzazione: con il passare degli anni si riconosce una linea evolutiva nella direzione semplice  complesso. Complessità e riconoscere in che cosa esso consista sono due operazioni differenti: riconoscere la complessità significa ricorrere a un pensiero complesso rispetto agli schemi più semplici utilizzati nei periodi precedenti. La complessità viene definita come un carattere di una situazione o di un fenomeno inteso nel senso problematico della ricerca di una definizione dell’oggetto (formazione) e della ricerca di nuovi strumenti di definizione. Sembra che gli operatori della formazione abbiano condiviso un’immagine della formazione stessa orientata a non porsi il problema della complessità come “evento o eventualità” e che taluni comportamenti rendono la complessità attuale necessaria, perché la complessità è una realtà multiforme e mutevole. Il carattere della complessità coincide con la configurazione della situazione attuale della formazione e i caratteri più specifici sono riconducibili a: - Espansione della domanda: crescente richiesta di attività e interventi formativi, crescente ricorso alla formazione da un lato e dall’altro aumento delle occasioni, dei motivi e dei “luoghi” di formazione che porta ad un crescente bisogno e progressiva istituzionalizzazione. - Stallo dell’offerta: sono i segnali di ripetitività e routinizzazione di certe attività di formazione e alcune tendenze al mantenimento. Questo termine riprende la concezione di una sfasatura rispetto alla domanda, ovvero una difficoltà a stare dietro alla domanda e quindi una limitatezza nella capacità di risposta. - Animazione della comunità degli operatori: turbolenza di un sistema sociale composto dai professionisti della formazione. In primo luogo, il concetto riporta ad un crescente numero degli operatori. Significa poi crescita di un gruppo professionale ma anche consolidamento di figure professionale grazie ad una accettazione istituzionale e dunque si ottiene un riconoscimento sociale e specialistico connesso al “mestiere”, dentro e fuori l’organizzazione. I mutamenti radicali dei contenuti del lavoro rendono la formazione il luogo e il momento cruciale per l’assunzione e la risoluzione dei problemi che ne conseguono. In questo contesto la formazione assume un ruolo strategico. Carattere dell’espansione della formazione: fare formazione è inevitabile, non fare formazione è indispensabile. Quindi diviene imprescindibile impegnarsi per teorizzare sulla formazione stessa. I motivi che spiegano lo stallo dell’offerta si ricollegano alla necessità di compiere il salto della teoria sullo stato della formazione alla teoria sulla formazione. Essi sono riconducibili ai seguenti: a) Il processo di istruzione non gode di un’immagine positiva né priva di profonde ambivalenze: esiste una stretta e conseguente relazione tra sapere e potere, è evidente che risulta preferibile esplicitare quanto piuttosto la scissione tra imparare e fare. b) L’interesse per il mondo degli adulti nei risvolti educativi trova scarsa teorizzazione e la logica della strumentalità del sapere sembra prevalente: domina una teoria dell’apprendimento come prodotto dell’azione educativa finalizzata ed eterodiretta. c) Pochi accettano l’equivalenza tra processo educativo e fatica. In generale sembra mancare per questa equivalenza il necessario e dovuto riconoscimento sociale. Quindi lo stallo dell’offerta si spiega come esito di un mancato riconoscimento. Infine, l’animazione della comunità degli operatori si spiega come logica e necessaria conseguenza di quanto sopra accennato: si tratta di una legittima richiesta, emergente dai formatori, di una professionalità che si esprima in termini di preparazione, tecnologia, efficacia e soddisfazione. Evidente contraddittorietà di una situazione caratterizzata da domanda crescente e offerta “poco convinta”. L’animazione della comunità degli operatori non può che essere il risultato delle due condizioni precedenti, come del bisogno di definire un nuovo livello di qualificazione professionale e al tempo stesso di qualità del lavoro. La qualità della formazione sembra coniugarsi ormai difficilmente con l’adozione dei “vecchi modelli” delle teorie tradizionali, dei modi abituali di pensare e condurre un progetto educativo. La problematica si nota nel contenuto di informazioni al quale la formazione è stata realizzata: da un lato non basta più, ovvero è insufficiente, dall’altro non si rivela più valido, ovvero è inadeguato. Il vero problema è il cosiddetto “vuoto di teoria” che condiziona l’efficacia dell’azione formativa: a) Negazione: si tende a negare che la teoria abbia in tutto questo un qualche ruolo e dunque una qualche importanza. Vuoto di teoria è determinato da uno svuotamento di significati, dal principio che “la teoria è vuota”. Senza teoria non vi è consapevolezza di azione. Vi è solo la fatica, senza teoria, di ricominciare ogni volta daccapo senza mai apprendere dall’esperienza. b) Disinvestimento: convinzione che teoria non subisca processo evolutivo, di trasformazione e che le teorie non si oppongano in realtà tra loro e quindi si arriva ad un progressivo disinvestimento dal piano della teoria che è una perdita di confidenza e quindi un progressivo allontanamento e, anch’esso, è un contributore del vuoto di teoria. c) Scissione: ricorso costante al “principio della concretezza” come prova della teoria e si giunge ad operare a un livello di parzializzazione, di frammentazione dei componenti, senza che a questa operazione di smontaggio corrisponda un’analoga operazione di montaggio restituisca alla teoria la necessaria unitarietà. In altre parole, la scissione è la rottura del circolo “parti” e “tutto”: condizione per la pienezza della teoria. Dunque, formazione come processo, orientamento strategico, tecnologia ed espressione di valori rappresentano le condizioni vincolanti ogni attività formativa al pieno raggiungimento delle finalità individuate dal legame tra apprendimento individuale e cambiamento organizzativo. Ma “condizioni vincolanti” significa anche ciò di cui la formazione ha bisogno ovvero deve dotarsi in conformità con la configurazione di complessità della situazione attuale: significa certo carico di compito ma anche patrimonio di risorse da ricercare e costruire per uscire dallo stallo dell’offerta, per fronteggiare l’espansione della domanda, per soddisfare i bisogni emergenti degli operatori e si individuano aspetti come l’efficacia del sistema informativo, quello operativo e la compatibilità fra loro, l’efficacia del sistema dell’innovazione che sta nell’attrezzatura e nel funzionamento, la compatibilità tra processo di formazione e sistema di innovazione, la compatibilità tra processo di formazione e sottosistemi organizzativi, la tecnologia sofisticata, il recupero del soggetto e l’espressione dei valori. È possibile definire meglio il concetto di attrezzatura che presiede al funzionamento del processo di formazione come insieme di dispositivi articolati a tre differenti livelli:  Principi generali: come apparato di teoria.  Modelli procedurali: come dotazioni di schemi operativi.  Soluzioni tecniche: come complesso di specifiche modalità operative. Prospettive di una Teoria Generale della Formazione L’esigenza di definire una teoria della formazione manageriale come punto di convergenza di tre differenti campi teorici: una teoria dell’organizzazione, una teoria del management e una teoria dell’apprendimento/cambiamento. Burgoyne e Stuart conducono la loro riflessione a partire da un quesito: a quale ordine di fatti sono riconducibili gli effetti prodotti da un’azione formativa. A un primo livello essi riconoscono tali fatti nelle caratteristiche specifiche dell’azione formativa, ovvero negli elementi che compongono il programma; ma fermandosi al primo livello non si ottengono elementi per una risposta soddisfacente e completa al quesito posto, perché ogni processo articola processi periferici e processi nucleari; in secondo luogo perché ogni processo trasformativo è guidato, orientato, controllato da processi sovraordinati. In questa linea gli elementi del programma ottengono certi risultati più evidenti/manifesti. Occorre però supporre un altro ordine di fatti che intervengono nel determinare tali risultati, connessi proprio con i processi sovraordinati. Questo secondo ordine di fatti va individuato nell’insieme delle ipotesi, dei concetti, degli schemi di riferimento che hanno guidato, orientato e controllato la costruzione prima e la realizzazione poi dell’azione formativa: quest’ultima non sarebbe altro che il luogo e il momento in cui tali ipotesi, concetti e schemi di rifermento sono passati all’atto. Questo secondo ordine di fatti ha a che vedere anche con i temi dell’apprendimento a un livello non manifesto. Quindi ipotesi, concetti e schemi di riferimento sono dunque altrettanti elementi di una teoria dell’apprendimento. Ora si pone il problema del collegamento tra ordine di fatti impliciti, corresponsabili dei risultati ottenuti dall’azione formativa e livello di consapevolezza posseduto dal formatore quanto alla “presenza” di essi: quanto alla sua teoria dell’azione formativa stessa come vera e propria teoria dell’apprendimento. È possibile considerare come l’efficacia dell’azione formativa non possa che risultare fortemente vincolata proprio dalle caratteristiche della “teoria-guida”  completezza/articolazione/congruenza vs. limitatezza/disarticolazione/incongruenza. Teoria è un insieme di conoscenze che consentono la lettura di un certo oggetto; consentendo la lettura di un certo oggetto, fornendocene cioè conoscenza che rappresentano un prezioso strumento per orientare il nostro rapporto con l’oggetto stesso anche nel senso dell’anticipazione di un evento. L’esperienza personale consente accumulo, consolidamento, trasformazione di teorie. Le proposizioni che compaiono in una teoria ufficiale debbono soddisfare alcuni criteri: in particolare un criterio esterno di ordine empirico quanto alla verificabilità delle proposizioni stesse e un criterio interno di ordine logico quanto alla coerenza tra esse. Il vero problema è rappresentato dal fatto che non vi è un campo di conoscenze che oggi si esprima attraverso un’unica teoria perché sono sempre più di una e più o meno divergenti tra loro più o meno forti e deboli nel confronto e con “alti e bassi” nel tempo. Altro problema è rappresentato dal fatto che non solo per ciascun campo di sapere si danno tante o poche teorie ma sempre più di una, bensì che ciascun campo di azioni può richiedere il ricorso contemporaneo a conoscenze di più di una teoria di altrettanti oggetti tra loro più o meno attinenti e pertinenti  il problema dell’elaborazione di un set di teorie. È possibile chiarire come oggetto di analisi successiva sarà la formazione dal punto di vista: - Sua complessità di oggetto e dunque della pluralità degli elementi componenti. - Dei differenti campi di sapere richiamati da ciascuno di tali elementi. - Delle teorie incluse in ciascuno di tali campi di sapere o meglio dei problemi di teoria essi connessi. - Del “set di teorie” della formazione come insieme di più teorie di altrettanti campi di sapere. - Dei criteri che vincolano differenti livelli di congruenza tra i componenti il set di teorie. - Della riformulazione del set di teorie come teorie generale. Il primo quesito si attiene alla complessità dell’oggetto – formazione dal punto di vista della “teoria-guida”. Possono valere le seguenti considerazioni:  La complessità dell’oggetto – formazione è riconducibile alla sua definizione di attività educativa e alla sua finalizzazione nel senso del legame tra apprendimento individuale e cambiamento organizzativo.  I campi di sapere richiamati si posizionano entro un’area di sapere pedagogico e un’area di sapere organizzativo.  La definizione di attività educativa implica un necessario chiarimento tra processo di formazione e attività formativa conseguente alla compresenza delle finalità individuali e organizzative: comporta il richiamo a un’area di sapere pedagogica in riferimento all’azione formativa e a un’area di sapere tecnico in riferimento al processo di formazione. L’azione formativa si identifica infatti nel solo sistema operativo.  Ciascuno dei tre campi di sapere (collegati il primo con la definizione di attività educativa come processo di formazione, il secondo con le finalità individuali e il terzo con le finalità organizzative) articola differenti sottocampi di conoscenze per ciascuno degli elementi che individuano gli oggetti cui si collegano.  Infine, ciascun campo di sapere contiene più di una teoria. Viene rappresentato graficamente l’intreccio dei campi di sapere e degli ambiti di teoria individuati dall’oggetto – formazione. Il riferimento è una Teoria Generale della Formazione (TGF) come sistema di sapere complessivo e sovraordinato che tende a configurarsi nel senso di una pedagogia degli adulti. Il campo di sapere connesso alle finalità del cambiamento organizzativo include così:  Teoria del Sistema Organizzativo come opzione di conoscenze sulla natura e il funzionamento dell’organizzazione. Seppure una TDO non sia dunque assimilata ad una TDA, tuttavia l'una rimanda all'altra instaurando un legame privilegiato giustificato. Per altri versi una TDO rimanda a una Teoria del Soggetto (TDS) come ambito di conoscenze pertinenti al campo di sapere organizzativo: il modello concettuale che esprime natura e caratteri degli obiettivi dell'azione formativa sia nel senso dei traguardi di apprendimento sia nel senso delle finalità dell'insegnamento, contiene inevitabili riferimenti di tali traguardi e finalità. Si può più facilmente riconoscere come una TDO si proponga sempre come tipologia dei contenuti o dei livelli di cambiamento in quanto esiti "sul soggetto" dell'azione formativa. Tali contributi possono essere riconducibili a una classificazione di sintesi che distingue tra: 4. Tipologie semplici: questi hanno a che vedere con quanto di più noto vi è chi si occupa di formazione. Il riferimento alla tipologia di obiettivi che distingue tra: conoscenza, capacità e atteggiamenti. Secondo tale tipologia, gli obiettivi formativi vengono identificati con altrettante aree di sapere considerate tra loro distinte, quanto meno differenziabili: un'area di sviluppo e miglioramento di unità di conoscenza, un'area di sviluppo e mutamento degli elementi d'opinione o di valore o ancora di "mentalità" compresi sotto la voce atteggiamenti. In questa direzione la tipologia di obiettivi predefinisce una tipologia di contenuti di apprendimento che va intesa come una TDA parzialmente o totalmente implicita, ovvero come una tipologia di processi di apprendimento vincolati ad altrettante finalità: (schema tra obiettivi ==> apprendimento) conoscenze ==> cognitivo; capacità ==> operativo (pratico); atteggiamenti ==> emotivo. La pura e semplice enunciazione di differenze di ordine logico e contenutistico tra i tre livelli e la mancata esplicitazione di ipotetici e possibili collegamenti d'ordine concettuale costituiscono un rilevante punto di debolezza della tipologia. Tale tipologia non soddisfa pertanto sufficientemente le condizioni poste da una TDO come si sta tentando di formularla. Si aggiungono altri punti di debolezza riconducibili, in primo luogo all'esistenza di varianti rispetto alla tipologia-base ed emergenti nella frequente sovrapposizione tra i termini di atteggiamento, nel richiamo frequente al concetto di cambiamento. La sovrapposizione tra atteggiamenti e comportamenti è meno discutibile sul piano puramente logico: occorrerebbe ammettere che i comportamenti non hanno a che vedere con conoscenze e capacità, ovvero che "comportamento" è inteso unitamente ad atteggiamento, come indicatore di aspetti soggettivi di contro all'oggettività di conoscenze e capacità. Ogni tipologia di obiettivi che non soddisfi le seguenti condizioni: - individuazione di un oggetto differenziato rispetto a una TDA; - definizione dei collegamenti con una TDS implicata; - articolazione degli elementi rispetto a un quadro unitario e superamento di una logica "per elementi distinti e separati" non si risolve in una TDO forte (quindi capace di guidare in modo consapevole ed efficace l'azione educativa). Si risolve in una tipologia delle azioni formative: "slitta" nel senso di una sovrapposizione e confusione rispetto al programma. Eccezione fortemente rappresentata da Hawrylyshyn laddove ridefinisce la tipologia-base nel senso di articolazione tra: conoscenze, abilità e atteggiamenti che vengono definiti tutti e tre come capacità. Questa versione soddisfa solo la condizione delle articolazioni degli elementi rispetto ad un quadro unitario. Allo stesso tempo rappresenta una significativa apertura in direzione di una TDO per le implicazioni connesse alla condizione di definire dei collegamenti con una TDS implicata: la formula che collega capacità a specifici livelli di obiettivi esprime la ricerca di un articolo zone tra contenuti di apprendimento rispetto a un principio unitario che diviene a sua volta elemento centrale dell'implicita TDS. In secondo luogo, non ci riferiamo più al "soggetto" in generale ma del manager, il che consente di individuare meglio la condizione 2 che lega TDO e TDS attraverso le sue sotto condizioni: olismo ==> principio di totalità; contestualismo. 5. Tassonomie: si tratta di contributi presenti all'attenzione degli operatori di formazione rispetto alle tipologie semplici di cui si è detto: una tassonomia si presenta come una lista più o meno complessa di obiettivi educativi, ovvero traguardi di apprendimento. Una tassonomia rappresenta pur sempre un'opzione del tutto particolare rispetto alla programmazione educativa, perché infatti si parla di programmazione "curricolare". Una tassonomia d riconoscere è la "tassonomia di derivazione psicologica" detta TEO (di Bloom): tale sembra soddisfare adeguatamente criteri di analiticità e completezza. Oltre a ciò l'articolazione tra gli elementi componenti i singoli obiettivi formativi rispetta contemporaneamente le esigenze di contenuto, riproponendo una suddivisione tra obiettivi cognitivi, affettivi e psicomotori; le esigenze di differenziazione sia nel senso della posizione occupazionale da ciascun elemento rispetto allo schema complessivo sia nel senso della sequenza temporale di apprendimento implicata; le esigenze operative in quanto ciascun obiettivo è definito in funzione della possibilità di misurarne il raggiungimento e dunque definisce correttamente il rapporto TDO ==> programma. Non per questo la TEO può essere assimilata a una TDO, anzi l'eccessiva analiticità e articolazione degli obiettivi, se soddisfa la condizione di individuazione dell'oggetto e l'articolazione degli elementi, finisce per divenire al tempo stesso vincolo determinante per il soddisfacimento della condizione della definizione dei collegamenti con una TDS. In altre parole, tanto maggiore il dettaglio di obiettivi tanto maggiore il rischio di riferirsi a un oggetto "suddiviso è frammentato". Inoltre, l'esigenza operativa accentua il riferimento a un soggetto frammentato nel senso di un apprendimento "per blocchi" singolarmente verificabili e misurabili. 6. Liste di capacità: contributi che propongono liste o elenchi di abilità operative: connesse con l'aggressività finalizzato; le liste di capacità costituiscono un importante punto di ancoraggio per la costruzione della TDO. Questa è un'area di contributi comunque ricca: a elevata densità seppure a elevata ridondanza. Viene facile evidenziare in questi contributi l'elemento in comune che ci riporta al campo dei problemi della formazione e che è da ritrovarsi attraverso la sequenza: (schema pag. 44) Ciò che ci interessa in questo schema è rendere esplicito il legame tra: liste di capacità  traguardi educativi. Questi ultimi costituiscono elemento di significativa integrazione soddisfacendo pienamente la condizione del contestualismo posta dalla TDO. Risulta, evidente come il soddisfacimento di tale condizione possa dipendere in larga misura proprio dalla ricchezza, differenziazione e articolazione della lista di capacità. Ogni lista eccessivamente semplificata o piuttosto di dettaglio ma priva di integrazione interna tra gli elementi non può costituire utile riferimento per la costruzione di una TDO. Decisamente più utili si rivelano molti dei contributi in tema di "valutazione del potenziale" basati su elenchi di capacità sufficientemente ricchi e articolati (riferimento Quaranta e Marchetti). Le aree sono: area della competenza manageriale, area delle abilità sociali e interpersonali, area della risoluzione dei problemi, area delle influenze sui risultati. Richiamare l'assoluta importanza, nel percorso di una costruzione di una TDO, conforme al più generale impianto previsto dalla TGF, di un riferimento a un soggetto reale. Sul legame tra TDO e TDS Una TDS è un "modello d'uomo", l'uso del termine soggetto garantisce sufficiente indeterminatezza e neutralità rispetto a una problematica. Sul legame tra TDS e Tè possibile evidenziare meglio i cardini di tale approccio teorico nella convergenza di alcuni fondamentali "elementi di rappresentazione" del soggetto quali: - Passività: ha a che fare con un'immagine di soggetto sostanzialmente eterodiretto, incapace di movimenti autonomi nella direzione del cambiamento. - Molecolarismo: rimanda all'immagine delle parti separate, della possibilità di una attivazione selettiva del soggetto, di un apprendimento per unità distinte e piani differenziati e non articolati e di un soggetto "segmentato e segmentabile". - Stato paziente: rinvia all'immagine dell'apprendimento dello scarto, della mancanza, della misura e dello standard: all'immagine dell'apprendimento come operazione che riduce lo scarto rispetto allo standard e del soggetto che necessita di interventi. La TDS si presenta nella convergenza di questi tre elementi di rappresentazione del soggetto, come fortemente caratterizzata in senso meccanicista. È necessario ipotizzare un completo ribaltamento di prospettiva nel senso di una TDS di tipo organicista: da passivo a  attivo; molecolare  molare; paziente  agente. Del resto, concessioni a un approccio meccanicistico sembrano difficilmente sostenibili. Un approccio di tipo meccanicista, vincolato a un tipo di causalità lineare, periferia lista e restrittivo rispetto a una TDS risolta con il ricorso del "comportamento" sembra decisamente inadeguato. L'approccio organicista si caratterizza, al contrario, per un'operazione teorica tendente a restituire al soggetto caratteri di totalità e articolazione complessa. Approccio organicista in tal senso significa, nella prospettiva di progetto di una TGF, ricorso a contributi che certo si collocano su versanti per molti aspetti differenziati. Si può pensare cioè a un "insieme" di contributi In terzo luogo, si tratta di configurare un sistema di obiettivi corrispondente a un'articolazione di competenza con caratteri di unità e totalità: adottando Burgoyne e Stuart ci si può riferire a: 1. Competenze 1: conoscenze (banche-dati). 2. Competenze 2: abilità (modelli operativi). 3. Competenze 3: metaqualità (dispostivi di controllo ed elaborazione sovraordinati). In quarto luogo occorre individuare i contenuti di tali competenze. Nel nostro caso si può distinguere tra: A. Unità di informazione. B. Sistemi di regole. Essi corrispondono ai due tipi di sapere ==> sapere e sapere-fare. Infatti, si tratta di definire per ciascun livello di competenza l'insieme degli elementi componenti. Ovviamente l'individuazione dei singoli elementi componenti per ciascun livello di competenza dipende da chi è il soggetto dell'azione educativa. Si tratterà di richiamare in modo esplicito la TDS corrispondente: operazione che dovrebbe soddisfare alle condizioni di olismo e di contestualismo. Si evidenzia i legami fra i 3 differenti livelli di competenze e l'articolazione rispetto all'azione. La linea tratteggiata sta ad indicare che non vi è un feedback a livello di abilità o conoscenze. Ogni azione educativa che ignora o nega la totalità del soggetto cui si rivolge in termini di mancato riconoscimento della totalità del sistema di competenze possedute non può che rivelarsi inefficace in quanto "ignora ciò che fa". Schema rappresenta una prima approssimazione alla TDS. Il legame che la unisce alla TDO va esplicitato passando da un piano più generale a uno più specifico in cui il soggetto a cui è rivolta l'azione educativa è considerato rispetto alle sue determinazioni situazionali. Questo passaggio corrisponde al soddisfacimento del contestualismo. Il riferimento "contestuale" dell'azione educativa può ottenersi in base ad una tipologia ristretta che distingue tra: - Area del lavoro - Area del ruolo - Area del sé In base a questa tipologia non vengono individuati soggetti diversi, ma ambiti differenziati di riferimento al soggetto. Più precisamente: l'area del lavoro riguarda il contesto dell'attività professionale del soggetto; l'area del ruolo costituisce un più ampio riferimento alla posizione occupata del soggetto rispetto al contesto lavoro, ovvero alla contemporanea molteplicità di posizioni rispetto a un contesto di ruoli; l'area del sé rappresenta un riferimento ancora più ampio in cui convergono elementi professionali ed elementi personali del soggetto, ovvero della persona-soggetto. Cosa comporta il ricorso a una tale tipologia rispetto alla configurazione del sistema di obiettivi di figura 2.5. Si tratta evidentemente di considerare il riferimento "contestuale" come un elemento di completamento e non "di disturbo" della TDO che si sta tentando di delineare. Completare il modello di figura 2.5, ricostruendo collegamenti e corrispondenze tra singoli livelli di competenza e singole aree a partire da uno schema-base figura. Competenze 1  lavoro; competenze 2  ruolo; competenze 3  sé Pur soddisfacendo la condizione del contestualismo si verrebbero così a creare nuovamente i presupposti per un mancato soddisfacimento alla condizione di olismo. Va precisato che le frecce che collegano i livelli di competenza debbano essere lette nel senso di gerarchia mentre quelle che collegano le aree di riferimento contestuale, nel senso dell'inclusione. Dunque, una tipologia di contesti di riferimento del soggetto sembra poter costituire l'ulteriore elemento di completamento della TDO in quello più adeguato della totalità articolata di sottosistemi di obiettivi. Precisazioni  in primo luogo si tratta di precisare alcuni aspetti attinenti alla tipologia di contesti; in particolare il riferimento al ruolo può essere chiarito con il ricorso a uno schema esemplificativo SCHEMA FIGURA 2.15 (pag. 66.) In questo caso si tratta di evidenziare come il contesto del sé vada inteso nel senso di un riferimento al soggetto nella sua "globalità" rispetto alla totalità e unicità del soggetto-persona. Lo schema riassume un insieme di aspetti convergenti; con ciò risulta possibile ridefinire come traguardo educativo sovraordinato a quello della consapevolezza e dello sviluppo di competenze ovvero dell'autorealizzazione; in secondo luogo di riconoscere competenze di tipo 2 (conoscenze) e altre competenze di tipo 3 (abilità). Resta imprescindibile il contenuto di proposta di una TDO esplicita, dichiarata, consapevole e significativamente adeguata al suo oggetto, che includa la dimensione del sé come spedisco traguardo educativo: si potrebbe dire come "superiore" traguardo educativo. sottocondizioni 2a (olismo) e 2b (contestualismo) in quelle di: - centratura sul soggetto: sta indicare esclusione di ogni determinazione di ruolo e centralità dell’apprendere rispetto a una molteplicità di “forme soggettive” lungo il continuum da acquisizione dall’esterno  a produzione originale e autonomia del sapere. - non-riduzionismo: sta ad indicare esclusione di ogni definizione dell’apprendere in termini di modalità o processo univoco o privilegiato. Tale sottocondizione segnala piuttosto la necessità di una definizione “aperta” di soggetto come attore dell’apprendimento rispetto a una pluralità di possibilità di conseguire apprendimento. In definitiva, ciò richiama il soggetto attivo/molare/agente. III. Condizione 3 definizione di un oggetto “ristretto” all’ambito del progetto educativo: Questa condizione è indispensabile per ricollocare opportunamente la TDA all’interno di una TGF: per ridimensionare i confini. Ma la determinazione della TDA nell’ambito dell’azione formativa ha valore di principio sostanzialmente operativo. Questa terza condizione formula la necessità, per la TDA, di definire il suo oggetto con riferimento privilegiato a quei processi soggettivi di conseguimento di sapere coerenti e conformi a una particolare campo. Esclude la necessità di definire processi di apprendimento congeniali o riconducibili ad altre forme. L’importanza di questa condizione consente anche di rendere esplicito. Il problema sotteso ha a che vedere con la ridefinizione del concetto stesso di azione formativa o progetto educativo. Esiste di fatto un modo tradizionale di pensare alla formazione che tende a risolvere ogni fatto formativo nella configurazione del corso: che stabilisce l’uguaglianza automatica per cui fare formazione è fare i corsi. Per una TGF ogni uguaglianza di questo genere è priva di significato. Il problema è semmai quello di proporre una definizione più ampia di progetto educativo che riconosca nel corso tradizionalmente inteso solo una delle possibili forme di apprendimento. Il problema è quello di decentrare la posizione attualmente occupata dal corso nel panorama della realizzazione di progetti educativi. In sintesi, una TDA vincola profilo e contenuti alle condizioni esaminate. Contemporaneamente pone o ripropone problemi centrali per una TGF: dell’ampliamento del concetto di progetto educativo si dovrà necessariamente parlare più avanti e in particolare trattando di Teoria dei Metodi TDM. Contributi alla Teoria dell’Apprendimento Ricostruire la TDA come elemento di una TGF significa fissare regole e individuare contenuti. Le regole sono riassunte nelle condizioni esaminate precedentemente. I contenuti vanno ritrovati a partire da un’esplorazione del panorama di contributi attualmente disponibili sui temi dell’apprendimento. Tali contributi possono essere classificati in funzione di una tipologia che distingue tra: - Teorie generali: prima area di contributi coincide con il campo di studi e ricerche sull’apprendimento che, a sua volta, tende a identificarsi come un ben preciso “settore” e a caratterizzarsi come “luogo” di opposizione tra orientamenti differenti al di là di ogni possibilità di visione unitaria e integrata. Si tratta di riconoscere che quest’area di contributi si caratterizza per i suoi ampi confini e per la presenza di una più marcata “eterogeneità”: nel senso proprio dell’elevata differenziazione tra convinzioni teoriche, tra proposte modellistiche, tra impianti concettuali. Il significato che si attribuisce al concetto di “apprendimento” si ritrova nella coppia di elementi cambiamento e connessione. Cruciale, infine, è la corretta individuazione della “posizione” del soggetto rispetto al processo dell’apprendere. Se vi è un fattore che influenza l’apprendimento questo è riconducibile alla disposizione (motivazione, desiderio, autonomia, responsabilizzazione, coinvolgimento) del soggetto stesso. Quest’area di contributi costituisce riferimento indispensabile per l’individuazione dei percorsi teorici in base ai quali giungere al soddisfacimento di tali condizioni. a) Modelli sequenziali (cicli): un modello sequenziale designa un percorso in base al quale avviene apprendimento; si propone cioè come una serie di tappe che consentono di conseguire sapere secondo un certo ordine e in funzione di un processo di circolarità. Tragitto tra stato di sapere iniziale e stato terminale. Contemporaneamente, esso si vincola in modo privilegiato nell’ambito del progetto educativo: un modello sequenziale è una serie di passaggi che presiedono alla possibilità di apprendere e al tempo stesso l’articolazione di un progetto educativo. Il modello Kolb prevede la sequenza circolare: prevede che essa prenda avvio dalla concreta esperienza, solleciti un’analisi nel senso puro e semplice osservare ovvero del riflettere, conduca alla formulazione di concetti prima e alla loro verifica empirica poi concludendosi nuovamente nel campo dell’esperienza. Il modello altresì: a. prevede che ciascun momento rimandi a una specifica disposizione o competenza soggettiva in termini di: concretezza, riflessione, astrazione, azione. b. si articola in funzione delle due dimensioni principali concretezza astrazione e azione riflessione mostrando così di privilegiare un orientamento teorico cognitivista. c. postula parallela tipologia di stili di apprendimento individuali in funzione di maggiori capacità soggettive. Quest’ultimo aspetto, connesso con l’individuazione di stili soggettivi di apprendimento è sostenuto e avvalorato da ricerche nel settore del management. Il modello sequenziale di Kolb ha elevata generalità: manca di cogliere più compiutamente la complessità dell’oggetto stesso. In questo senso, che: aa. I 4 momenti rappresentano altrettanto operazioni globali per ciascuna delle quali occorrerebbe ridefinire con maggior precisione i processi soggettivi implicati. bb. Il momento iniziale dell’esperienza è di ordine concettuale tutt’affatto differente dagli altri e individua piuttosto il “campo” dove si svolge il processo. cc. La sequenza è “a direzione univoca” istituisce continuità tra i vari passaggi vincolando la molteplicità dei processi soggettivi dell’apprendere a un’unica formula di base. Dunque il modello Kolb rappresenta un contributo di importanza e di interesse, ma la sua generalità non può soddisfare compiutamente una TDA. in questa stessa direzione si colloca il contributo di Pfeiffer e Jones: come si vede nella FIGURA 3.3 la sequenza prevista è in larga misura quella stessa di Kolb ma con evidenti varianti: I. Il fare cui alludono gli autori è da riferirsi alle condizioni del progetto didattico: nel senso della simulazione, dell’esercitazione, del role-play. Quindi costruiscono una metodologia didattica. II. Dall’atto iniziale il processo di apprendimento prevede passaggi nel senso del ripensamento , della verbalizzazione del confronto e dell’analisi di quanto agito: di Kolb è il passaggio 2 qui è duplicato in quanto le condizioni del progetto educativo prevedono un processo di apprendimento di gruppo. Per il resto vi è una sostanziale equivalenza. un’immagine molto sintetica che ne individua il significato profondo o l’accezione complessiva: ciascuno si sostiene e si differenzia dagli altri in funzione del privilegiamento di alcuni principi generali, ovvero di concetti-chiave. 1. MDA per condizionamento: la possibilità di produrre apprendimento secondo l’altrettanto classico schema dello stimolo risposta. Il processo di apprendimento è inteso come sollecitazione guidata dall’esterno, orientata a produrre le risposte volute, a consolidare tali risposte secondo principi di conferma o disconferma: associazioni ripetute e rinforzo. La metafora dello “scambio telefonico” chiarisce il basso grado di controllo che il soggetto riesce a esercitare su tale processo. 2. MDA per “aggiustamento”: il soggetto è visto in funzione di un’articolazione più o meno complessa di parti componenti. L’apprendimento è finalizzato ad apportare cambiamenti, a modificare, ottimizzare, sostituire, “aggiustare” le singole parti. Evidente l’approccio di tipo meccanicistico. Evidente anche la possibilità di riconoscere, per taluni degli attuali programmi di formazione, ancora l’adesione a un modello di apprendimento di questo tipo: ciò che si ritiene del tutto insoddisfacente. 3. MDA per passaggio di informazioni: approccio dai confini limitati o dalla configurazione semplice. L’apprendere è visto come acquisizione e immagazzinamento di informazioni. L’atto della trasmissione è semplice: l’immagine è quella del soggetto come contenitore da riempire. 4. MDA cibernetico: questo modello fa riferimento a un soggetto considerato come sistema in continua interazione con l’ambiente esterno, tendente a mantenere uno stato di equilibrio permanente (omeostasi) o ad accrescere la sua entropia (ordine e organizzazione). A tali finalità presiedono “fatti” di apprendimento; il soggetto in apprendimento è considerato come soggetto attivo in grado di controllare i propri processi: produrre o sollecitare apprendimento significa consentire verifiche, fornire feed-back, agevolare processi di scoperta, prevedere percorsi programmati e finalizzati. 5. MDA cognitivo: assunto principale riguarda proprio il soggetto come “unità globale” per cui l’atto del conoscere non è riconducibile ad alcun meccanismo. Il processo dell’apprendimento implica sempre e comunque il soggetto nella globalità della sua esperienza soggettiva: per i riferimenti al passato, i “problemi” del presente e le tensioni verso il futuro. Implica altresì acquisizione di elementi “nuovi” e rielaborazioni di ciò che già si sa o produzione originale (scoperta) di nuovi elementi: e ancora possibilità (capacità) di autogoverno dell’apprendimento, di un processo dell’apprendere cioè guidato da “mappe individuali”. Tale modello finisce per coincidere con quell’approccio organicista. 6. MDA esperienziale: richiami d’obbligo ai modelli sequenziali di Kolb e Pfeiffer e Jones. L’approccio condivide l’idea di un soggetto globale e attivo rispetto al quale il processo di apprendimento risulta tanto più efficace quanto più stimola l’autonomia, la ricerca di finalizzazione nel senso dello sviluppo personale, la crescita. Il collegamento è tra apprendere e fare (esperienze): il fare tende a identificarsi con il provare a fare. 7. MDA per “influenzamento”: il soggetto in questione è visto per le sue implicazioni sociali: ruoli, responsabilità, relazioni interpersonali ecc. Il processo di apprendimento tende a finalizzarsi verso un miglioramento di questi aspetti, ovvero una soluzione dei problemi che essi possono rappresentare per i soggetti. Presuppone dunque un coinvolgimento totale della persona, pur se nell’accezione più ristretta di attore sociale: presuppone altresì un’azione di apprendimento con limitati margini di autonomia da parte del soggetto, nel senso dell’attuazione di processi di apprendimento per identificazione o per influenzamento da modelli “esterni”. È evidente che questo tipo lasci trasparire convinzioni teoriche piuttosto solide quanto alla possibilità di influenzare i soggetti., ovvero di intendere il progetto educativo come atto di convincimento. 8. MDA pragmatico: estremo opposto del modello per “influenzamento”; quest’ultimo classificato da Burgoyne e Stuart si caratterizza per una esclusione di principio di ogni riferimento o rimando teorico. Vincola pertanto l’apprendimento alla logica del senso comune e dell’esperienza quotidiana: la relazione stretta tra imparare e fare è nel senso dell’imparare facendo. Dove prevale l’idea di un soggetto che impara anche per conto proprio. Esistono in ogni caso possibilità differenti di concepire tale modello. È necessario riconoscere che quello di Burgoyne e Stuart è un tentativo efficace di ricostruire, attraverso il riconoscimento, un campo complesso di modi dell’apprendere, di processi soggettivi: tutti possibili e dunque tutti legittimi ai fini di un modello teorico integrato. Si tratta di evitare ogni approccio riduzionistico che confonda la teoria dell’apprendimento con l’uno o piuttosto con l’altro dei modelli esaminati; tentativo di ridefinire con precisione le inevitabili implicazioni che ogni modello di apprendimento contiene rispetto a una Teoria del Soggetto nel senso che ogni opzione teorica sui fatti dell’apprendere è sempre anche opzione più generale sull’individuo; tentativo di accettare una pluralità di progetti educativi non solo rispetto alla pluralità dei modelli di apprendimento di riferimento e rispetto alla possibilità stessa di pensare a un progetto educativo che richieda più di un modo di apprendere, che solleciti differenti processi soggettivi. In generale la risoluzione “automatica” della TDA nella proposta di Burgoyne e Stuart non sembra possibile. Alcuni punti deboli della loro proposta si evidenziano: il problema centrale è che gli elementi della tipologia risultano “giustapposti” gli uni agli altri: non c’è criterio di classificazione intrinseco ma solo estrinseco. In tal senso si tratta di rilevare che la condizione 3 ovvero il riferimento al progetto educativo, è vincolante per la TDA: sul piano operativo ovviamente e non teorico. Ma una teoria dai confini troppo ampi troverebbe in questo caso difficile collocazione “all’interno” di una TGF. Dunque, il criterio in base al quale ritrovare articolazione interna alla tipologia di modelli di apprendimento non può che rimandare: a) In un senso, nella direzione della differenziazione tra progetti educativi. b) Nell’altro, nella direzione della differenziazione dei riferimenti contestuali dell’azione formativa. Si tratta di utilizzare un doppio-criterio in funzione: - Il primo, della centratura sul soggetto, distinguendo tra progetti educativi vincolati a processi di apprendimento nel senso dell’acquisizione di sapere o piuttosto nel senso della rielaborazione/scoperta di sapere: distinguendo cioè tra differenti gradi di guida/controllo e finalizzazione dei processi stessi di apprendimento da parte del soggetto. Ciò ipotizza un continuum da un minimo a un massimo di autonomia del soggetto nel dirigere il progetto educativo rispetto a estremi quali ritrovare nell’adozione da un lato di un modello di apprendimento per condizionamento (totale assenza di controllo da parte del soggetto) e dell’altro di un modello di apprendimento riflessivo (completo controllo da parte del soggetto). Per semplicità si distingue tra due grandi aree di progetti educativi: eterodiretti (minor controllo) e autodiretti (maggior controllo). - Il secondo, del riferimento al soggetto, ovvero all’ampiezza dell’area soggettiva coinvolta dal progetto educativo che distingue tra le tre aree: del lavoro, del ruolo, del sé. Il ricorso a questo doppio criterio consente di soddisfare contemporaneamente tutte le condizioni poste per la TDA. Si può constatare che è proprio il criterio connesso con il riferimento al soggetto a costruire il legame, il punto di contatto e di sovrapposizione tra la prima e la seconda, garantendo al tempo stesso differenziazione e integrazione tra gli elementi della TGF: dunque la sua coerenza interna. Veniamo così al secondo dei punti deboli attribuiti al contributo di Burgoyne e Stuart (anzi il primo, secondo l’ordine), inerente alla completezza del campo di modelli di apprendimento compresi nella classificazione. In proposito si può considerare che:  Il vincolo di ogni tipologia è rappresentato dal contemplare comunque un numero contenuto di elementi evitando dispersività e frammentazione: la proposta tra i due autori garantisce certo sufficiente omogeneità e generalità.  È possibile includervi un elemento che sembra mancare, un modello di apprendimento riflessivo. Tale modello si caratterizza con riferimento a un processo di apprendimento in larga misura orientato dal soggetto, vincolato a principi di riflessione e rielaborazione a partire dall’esperienza, che condivide un approccio di tipo cognitivo nel senso dell’apprendimento per scoperta e che fa perno su finalità di crescita globale del soggetto proprio a partire dalla totalità delle sue esperienze.  È possibile riconsiderare i modelli di apprendimento per condizionamento, per “aggiustamento” e per “influenzamento” come unico modello le cui caratteristiche evidenziano principalmente la condivisione di un approccio meccanicista rispetto ai processi di apprendimento, un’idea di soggetto passivo e con basso controllo sul processo stesso. Inoltre, sembra plausibile ritenere che tali modelli restino ai margini di una tipologia quale richiesta dalla TDA. c) Strutturazione vs. destrutturazione: sviluppando le differenze tra i metodi e le modalità didattiche centrate sui contenuti e quelli centrati sui processi, viene a configurarsi una più precisa opposizione di approcci didattici tra una formazione programmata nei dettagli e una come contenitore di eventi, tra una modalità educativa espressa nel far compiere un certo percorso di apprendimento in modo logico e ordinato secondo una sequenza prestabilita  strutturata; e una che è pensata come il percorso stesso, che si tratterà di costruire momento per momento e in quel momento dove ciò che è prestabilito sono i confini spazio-temporali. Il carattere distintivo è la destrutturazione e la conseguente necessità di costruzione dell’apprendimento: tipicità si riassume nel concetto dell’apprendere qui e ora. Tali opposizioni esprimono lo stato dell’arte del problema del metodo: almeno “a monte” della svolta di cui parlano Burgoyne e Stuart. Opposizioni più fittizie, di scarsa rilevanza e validità teorica, non esenti da ideologismi e in ogni caso responsabili: - Di un certo riduzionismo del problema-metodo dal piano di teorizzazione a quello puramente tecnico- strumentale. - Di una certa “obsolescenza” delle implicazioni che legano metodi a processi di apprendimento. - Di presunte crisi di inadeguatezza di cosiddetti approcci “psicosociologici” ovvero di altrettante presunte innovazioni formative in tema del saper fare. Poi le cose si sono messe in movimento. Ciò è avvenuto anzitutto nei paesi di lingua anglosassone. Ma configurando la questione nel nostro paese i motivi sono parecchi. Il punto di partenza risiede in una certa insoddisfazione per l’approccio che si è denominato “attivistico”: se da un lato, con esso sembrano risolti molti problemi di “distanza” tra docente e allievo, dall’altra si pongono problemi nuovi, riassumibili nella distanza tra contenuti di apprendimento e contenuti di lavoro. In altre parole, il punto di partenza è costituito dal duplice problema della concretezza e del trasferimento dell’apprendimento: della distanza tra aula e ambiente di lavoro. Così si è giunti alla teorizzazione di una nuova opposizione tra attivismo e progettualismo: tra simulazione e realtà, tra apprendere e agire. Il nodo teorico coincide proprio con il ristabilimento della condizione di circolarità tra apprendere e agire rispetto alla semplice sequenzialità da sempre postulata da ogni approccio pedagogico. Nella direzione del progettualismo è possibile riconoscere ogni azione formativa che condivida i seguenti principi: o Ricerca di una stretta integrazione tra oggetti di conoscenza e soggetto che conosce. o Ricerca di un’efficace identificazione tra contenuti di apprendimento e contenuti di lavoro (problemi “reali” e non fittizi). o Riferimento al soggetto come unità globale al di là di ogni determinazione di ruolo sia rispetto al progetto educativo (nel ruolo di allievo) sia rispetto al contesto di lavoro (nel ruolo professionale). o L’orientamento delle finalità educative a condizioni di sviluppo, crescita, autonomia e autorealizzazione del soggetto. Questi principi sono stati in precedenza formulati come vincolanti per la costruzione di una TGF. Il termine con cui si indica tale approccio pedagogico è self-development (SD). Pedler e Boydell precisano il significato da attribuire al termine self-development sia come sviluppo del sé (of self) che come sviluppo attraverso il sé (by self) nel senso della diretta e piena responsabilità del soggetto. I concetti che vi si possono collegare in modo diretto sono quella di riferimento al sé e centratura sul soggetto. Questo doppio riferimento origina una possibile classificazione di azioni formative. Una precisa e completa formulazione dei principi SD è proposta da Hodgson in FIGURA 4.2 Ovviamente tale formulazione risulta di fatto legata alla configurazione di nuove soluzioni nel campo dei metodi educativi: il riferimento privilegiato è al metodo Action Learning teorizzato da Revans. In questo più generale orientamento al SD che va ritrovata quell’occasione di innovazione radicale, di svolta. Dunque, sembra di aver configurato nelle sue linee essenziali il problema-metodo. Sembra anche chiaro come ciò significhi: 10. Ridefinizione dei confini e dei caratteri di ciò che si designa come progetto educativo al di là di quanto si riconosce e si riassume nel “corso”. 11. Saldatura esplicita tra problemi connessi con i riferimenti teorici in tema di processi di apprendimento e problemi operativi: di strumenti e tecniche “didattiche”. 12. Un’esigenza di riformulazione di ogni teoria sulla formazione nella direzione del riferimento al soggetto globale. Il campo delle metodologie didattiche. Parlare di metodologie didattiche è inteso istituire un’opposizione di partenza tra metodi tradizionali e metodi emergenti. Per i primi vale l’uso del termine “didattico” come riferimento implicito alla classica configurazione del rapporto pedagogico tra docente e allievo, ma introducendo nel campo delle metodologie i secondi, è tale rapporto a venir profondamente ridefinito e trasformato. Una distinzione fra tradizionali ed emergenti è indispensabile per riconoscere implicazioni e rimandi teorici più generali: riconoscimento che costituisce la base per una rielaborazione della TDM. METODI TRADIZIONALI A. Istruzione programmata: si caratterizza come percorso di apprendimento altamente formalizzato e strutturato, predisposto e che è richiesto al soggetto di compiere in modo vincolato. Meglio, si caratterizza come punto di convergenza tra un modello di apprendimento per passaggio di informazioni e uno per “condizionamento”. Esso si concretizza in una sequenza di unità di conoscenza in forma altrettante domande per ciascuna delle quali è prevista risposta e possibilità di controllo della stessa: la risposta esatte consente la prosecuzione del percorso, la risposta errata esige riapprendimento. Quindi è un apprendimento per rinforzo, progressivo e sequenziale, per microunità di sapere rispetto a un oggetto la cui completa conoscenza è garantita dal compimento dell’intero percorso. B. Lezione / Lettura / Discussione: quest’area di metodi riassume l’approccio accademico classico. Mentre il metodo di IP vede impegnato il soggetto nel fornire risposte a un percorso di quesiti anticipatamente predisposti ed esclude pertanto la relazione diretta tra docente e allievo, queste metodologie configurano di fatto la tradizionale relazione di insegnamento: al soggetto è richiesta attenzione e ascolto. L’apprendimento è vincolato a tali condizioni di base alle informazioni trasmesse dal docente: e tale è il modello di apprendimento di riferimento. Nella logica di questo scambio di unità di conoscenza o di sapere la lezione è vincolata a tempi limitati, istituisce massima dipendenza dell’allievo dal docente, ma consente altresì basso controllo da parte di quest’ultimo sull’apprendimento del primo. A parziale integrazione della lezione, lettura e discussione consentono uno scambio più attivo tra docenti e allievi ma sempre entro confini delimitati e nella conferma della classica relazione di insegnamento. C. Incident / Caso: un caso è una “situazione-problema” che richiede una soluzione. Un caso è altresì il resoconto o la “cronaca” degli eventi che hanno condotto a tale situazione-problema o che stanno “a monte”: una ricostruzione più o meno dettagliata di un certo periodo rispetto al presente rappresentato dal problema stesso. Un caso è infine una decisione da prendere, un cambiamento da adottare come soluzione della situazione-problema. Il metodo didattico che ne consegue, punta sull’attivazione di processi di analisi di fatti e dati di un determinato contesto organizzativo e sulla ricerca di risposta ai classici interrogativi “come è successo?” e “che cosa fare?”. Esso costituisce il punto di passaggio dall’approccio accademico a quello cosiddetto attivo: dove la relazione pedagogica tra docente e allievo privilegia la discussione e soggetti: di sollecitare più elevati livelli di coinvolgimento in funzione della “vicinanza” e dell’interesse per i contenuti di lavoro e di attivare percorsi di apprendimento complessi. Metodi emergenti Tali metodologie costituiscono un campo eterogeneo, differenziato e in pieno movimento. 1. Outdoor development / Outward Bound: si tratta di qualcosa oltre il confine: il confine è rappresentato da condizioni, situazioni, problemi abituali dei soggetti. Con riferimento privilegiato alla logica del modello di apprendimento esperienziale da un lato e dall’altro ai principi dei metodi esercitativi si parla di Outdoor development (OdD) come di una metodologia e di un progetto educativo al tempo stesso caratterizzato da condizioni di apprendimento estranee ai soggetti e del tipo “territori naturali” più o meno hard, inospitali o difficili; da compiti di apprendimento che sono “compiti reali legati a problemi reali per persone reali in campo reale e con vincoli reali”: compiti legati a esercizi di esplorazione o avventura o sopravvivenza nel territorio naturale scelto. Le finalità sono di proporre un percorso di apprendimento dalla realtà, ma in situazioni-limite che esigono un completo coinvolgimento del soggetto e in condizioni inabituali non familiari, tali da richiedere l’utilizzazione di tutte le sue risorse, la ricerca e la sperimentazione attiva in assenza di punti di riferimento stabili e rassicuranti. Outward Bound: pedagogia basata sui principi dell’utilizzazione di tutte le risorse dei soggetti e della sfida intellettuale come tramite del completo sviluppo personale: una scuola di survival training. Più vicino al campo della formazione che ci interessa, OdD tende a proporsi come metodologia per lo sviluppo di specifiche capacità manageriali figura 4.8 Questa metodologia si caratterizza per il tentativo di “rompere” il confine dell’aula e della classe come riferimenti tradizionali del progetto educativo o dell’apprendimento, attendendosi di “sbloccare” al tempo stesso gli schemi in base ai quali i soggetti apprendono: schemi diventati abituali, dunque rigidi e inefficaci a garantire apprendimento del nuovo. 2. Learning Community / Autonomy Laboratory: l’apprendimento non può che essere favorito dalla costituzione spontanea di un gruppo di soggetti che si scelgono, condividono gli stessi obiettivi di apprendimento e l’intenzione di realizzare un progetto finalizzato. I due metodi sono molto simili. - Learning Community: si propone come progetto educativo vincolato al principio che ciascun soggetto è responsabile in prima persona dell’identificazione e realizzazione dei propri obiettivi di apprendimento ovvero della collaborazione con altri per identificare e realizzare i loro obiettivi. Esso punta inoltre sul favorire e agevolare lo sviluppo di apprendimento significativo come guida alla piena autonomia. Il concetto di “comunità di apprendimento” fa riferimento alla “rete” che collega i soggetti. - Autonomy Laboratory: si orienta nella duplice direzione di un apprendimento all’autonomia e alla creatività attraverso il riconoscimento e l’utilizzazione da parte dei soggetti della molteplicità delle loro risorse personali. Si lavora con materiali tradizionali, anche se l’obiettivo primario di “apprendere ad apprendere” può richiedere mezzi e risorse più diversi. Questi metodi tendono a corrispondere la larga misura a quelli del Gruppo di studio e del Lavoro di progetto, ma si caratterizzano per le loro finalità di apprendimento completo e al di fuori dei vincoli posti dal rapporto pedagogico: il docente ha ruolo di coordinatore e al tempo stesso di risorse e “tramite” per l’acquisizione di altre risorse. 3. Action Learning / Joint Development Activities: è la vera innovazione. Action learning formulata da Revans. Principi generali sono i seguenti: - tentativo di saldare il momento dell’apprendimento con quello dell’azione ovvero della quotidiana attività di lavoro del soggetto: meglio, il tentativo di ristabilire la circolarità cruciale tra apprendereagire come identità inscindibile dei due momenti. - ancoraggio del progetto educativo a problemi concreti di lavoro nel senso proprio della trasformazione della modalità connesse con il gestire un problema in quelle di un vero e proprio progetto di apprendimento. - la sollecitazione di processi di apprendimento complessi finalizzati a promuovere sapere per rielaborazione e scoperta originale, sapere che ha per oggetto al tempo stesso i contenuti del problema e le modalità del soggetto di affrontarlo, analizzarlo e risolverlo recuperando l’esperienza passata: dunque entrambi i macro traguardi di sviluppo e consapevolezza. - il conseguente richiamo a modelli di apprendimento di tipo pragmatico ed esperienziale confluenti a realizzare un percorso di apprendimento di tipo cognitivo. Vera finalità del progetto educativo è nell’acquisire la capacità di porsi interrogativi nuovi per affrontare situazioni nuove e nel ricercare e ritrovare le vere domande invece che le risposte giuste. Morgan e Ramirez ritrovano le caratteristiche di Action Learning in 7 condizioni: a. orientamento nella democrazia e alla parità b. pluralismo c. proattività e completo controllo d. saldatura tra cambiamenti individuali e trasformazioni sociali e. integrazioni di differenti tipi e livelli di apprendimento e conoscenza f. campo di apprendimento in continua evoluzione e “aperto” g. verifica di successo in termini di capacità di sviluppare un agire “intelligente” anziché promuovere un sapere “contenutistico”. In sintesi, ciò che definisce Action Learning come metodo è l’assunzione di problemi reali come contenuto del progetto educativo. È del tutto legittimo ritenere che ruoli differenti e organizzazioni diverse possano essere coinvolte in progetti di AL. AL tende a proporsi come metodologia educativa che copre vasto e differenziato di specifici progetti che prevede scambi di esperienze tra soggetti della stessa organizzazione o di organizzazioni differenti, che in definitiva rivela un collegamento molto stretto tra i processi di apprendimento individuale e quelli di cambiamento organizzativo. AL si rivela una strategia formativa particolarmente efficace per quelle organizzazioni che si trovano a dover affrontare e gestire la “turbolenza dell’ambiente esterno” e che condividono necessità di continua innovazione. Joint Development Activities tende a coincidere in larga misura con AL. Identico è l’approccio di base, assai simile il riferimento a problemi concreti e reali come il contenuto del progetto educativo, identica ancora la possibilità di costruire gruppi di soggetti che prevedano scambi tra organizzazioni differenti (joint appunto); unica differenza ha a che vedere con l’orientamento propositivo: orientano piuttosto i soggetti nel senso di ricercare nuove idee finalizzate alla crescita, allo sviluppo e alla realizzazione di nuove opportunità in riferimento al ruolo ricoperto dai soggetti stessi ovvero all’organizzazione coinvolta nel progetto. 4. Metodi riflessivi: caratteristiche principali: - centratura sul soggetto a livello della più generale area del sé. - distacco da più precisi riferimenti sia all’esperienza di lavoro, di ruolo e organizzativa in termini di problemi concreti, sia all’agire. - recupero del più generale campo di esperienza personale come rimando per l’autoriflessione. Si ritrovano 2 tipi di metodologie: la prima riconducibili ai contributi di Boxer in tema di MDA riflessivo; obiettivo educativo perseguito è quello di favorire una riflessione sulle modalità soggettive del conoscere e del costruire la conoscenza. Esplicito riferimento teorico è alla psicologia dei “costrutti personali” di Kelly. La cosiddetta nipper consente di realizzare un progetto educativo con finalità di “riapprendimento” di schemi mentali e unità rappresentazionali dei soggetti con l’ausilio di procedure e mezzi di elaborazione su calcolatore. La seconda comprende tutte le tecniche “riflessive” di meditazione e rilassamento. Riassumendo, tutto ciò costituisce arricchimento indispensabile per la costruzione di una più compiuta TDM nella logica di ipotesi della proposta di TGF. In questa direzione vanno tenuti aspetti: 13. Tutti i metodi emergenti sembrano caratterizzarsi per il principio, comune e condiviso seppure variamente motivato sul piano teorico, di rottura del setting di aula tradizionale. Ciò si compie nel tentativo di ristabilire unità di apprendimento azione sia rispetto ai contenuti che alle condizioni fisiche del progetto educativo (circolare la freccia). 14. Tutti puntano alla sollecitazione di processi di apprendimento complessi nel senso dell’orientamento al problema reale e del recupero della reale esperienza soggettiva. Il tentativo di ristabilire l’unità di apprendimento azione si compie rottura dei confini temporali. L’unica opposizione (non più opposizione) che può costituire utile elemento di riflessione è quella tra chi presidia il processo di formazione e chi conduce l’azione formativa. 20. I rischi del mestiere: il termine rischi equivale, in questo caso, a una sorta di complessità della pratica professionale. Tra i temi in particolare vanno evidenziati come altrettanti motivi di fondo per tali riflessioni, che definiremo come manipolazione, fantasie e triangolarità. Ciascuno di essi corrisponde ad un rischio. La manipolazione ha a che vedere con la preoccupazione che fare formazione significasse “esercitare influenza” e che dunque l’azione educativa potesse tradursi in ciò che potesse essere “praticato” ricorrendo alla persuasione, al convincimento, alla suggestione; che apprendere potesse essere anche esperienza condizionante per i partecipanti al corso. Il tema delle fantasie costituisce più specifico ambito di riflessione e dibattito sui rischi del formatore a un livello di maggior approfondimento teorico. L’autore Enriquez, sostiene che i rischi del formatore sarebbero riconducibili all’incapacità di riconoscere la pluralità di figure che per il tramite del formatore possono essere “evocate” ovvero agite in situazioni di formazione: ciò che costituisce rischio sia come confusività di ruolo sia come pratica mistificante. La triangolarità s’intende il tipo di relazione tra le differenti “parti” che l’attività formativa chiama in causa: 1. Il formatore come colui che gestisce il processo o guida l’azione di formazione. 2. Il committente, coloro che agendo all’interno e per conto dell’organizzazione si trovano a essere estensori e promotori di una richiesta di “intervento formativo”. 3. L’utente, coloro che direttamente saranno coinvolti dalla formazione in quanto “partecipanti al corso”. Il rischio della triangolarità è il rischio di ogni relazione complessa nel senso della possibile confusività, del gioco degli obiettivi implicati, degli equivoci, delle immagini di appartenenza e dell’agire collusivo rispetto alle altre parti coinvolte nella relazione, differentemente o alternativamente. Il rischio è quello della non- chiarezza, dell’insicurezza dei ruoli rispettivi. Ulteriore elemento di complicazione è da ritrovarsi nella reale duplicità di ruolo. 21. Le cd. “expertises”: ha a che vedere con la professionalità del formatore in termini di: competenze o esperienze richieste per un efficace adempimento del ruolo, regole e principi-guida per l’azione “formativa” ed un iter di preparazione e formazione personale. I risultati di una ricerca condotta presso Centri e Istituti di formazione aderenti all’ASFOR evidenziano nella figura del docente il possesso di competenze scientifiche specialistiche, didattiche e aziendali; nella figura del formatore il possesso di competenze gestionali e di relazione. Più precise indicazioni dalla ricerca ISMO su “La professionalità del formatore” dove sono segnalate le conoscenze di metodologie didattiche, organizzazione e management; capacità di tipo diagnostico, di tipo didattico e di tipo manageriale. Per Contessa è in conformità con le “fasi del lavoro” del formatore, dove ritrova le competenze di base nella capacità di: avere un buon rapporto con la committenza diretta e con l’autorità, saper diagnosticare i bisogni reali dei formatori e dell’organizzazione, progettare iniziative formative, programmare le risorse utilizzabili, i tempi e la sequenza dell’attività, realizzare il programma e verificare i risultati. La natura pedagogica del ruolo di formatore La risoluzione di vincoli che pongono alla possibilità di individuare agevolmente il disegno di una TDF conforme e coerente con le altre teorie, va ritrovata, in via preliminare, nella capacità di ridefinire con chiarezza e precisione il collegamento tra formatore e progetto educativo, ciò che sembra costituire il vero “elemento-debole”. Si tratta cioè di “incentrare” la riflessione sulla natura pedagogica del ruolo del formatore, anziché limitarla alle implicazioni istituzionali e organizzative, agli aspetti di rischio, alle expertises. Si può sostenere che nessuna proposta di TDF potrà essere ritenuta soddisfacente ove non sia esplicito il collegamento con i fatti dell’apprendimento. D’altro canto, nel capitolo precedente, le condizioni di profonda trasformazione in atto quanto ai metodi formativi, condizioni che si riassumono così: a. Rottura del tradizionale setting di aula come luogo privilegiato e deputato per lo svolgimento di attività formative. b. Ampliamento dei confini del progetto educativo al di là dell’altrettanto tradizionale rimando all’immagine del “corso”. Sembra evidente ritenere che ciò non possa che coinvolgere direttamente anche la figura del formatore. Ristabilire il collegamento tra formatore e progetto educativo significa individuare una nuova configurazione di possibili, ovvero di ruoli formativi, che sia: 22. Da un lato, in sé sufficientemente articolata e integrata. 23. Dall’altro, coerente con l’analoga nuova configurazione del “campo” dei progetti educativi. In questa prospettiva si collocano i più recenti contributi: I. Un modello: Burgoyne e Cunningham, formalizzano un modello di ruoli formativi che si distingue da altri contributi per la chiarezza dei contenuti e la coerenza dell’impianto. Gli elementi-base intorno ai quali è costruito il modello possono essere individuati come: - esperto - utente - oggetto I termini “esperto” e “utente” corrispondono a etichette convenzionali per identificare al massimo livello di generalità le parti coinvolte nella relazione. È in funzione del tipo di “oggetto” implicato che sarà così possibile ridefinire più precisi ruoli e più concrete figure. La figura-base che rappresenta il “grado zero” di articolazione del modello identifica pertanto: una situazione relazionale classica nel senso del rapporto di consulenza finalizzato alla soluzione di un problema: dove cioè il ruolo dell’esperto-consulente è quello di assumersi “per conto” del cliente il problema e di fornire adeguata soluzione. L’oggetto-problema diviene occasione di tramite per l’acquisizione da parte dell’allievo di quegli strumenti che gli consentiranno di far fronte al problema. Schema di relazione pedagogico per eccellenza, si configura qui il ruolo del docente, che trasmette sapere finalizzato in termini di modalità di problem-solving. Mentre il ruolo dell’esperto si caratterizza per l’inclusione dell’oggetto-problema nella sfera d’azione dell’esperto stesso come diretta responsabilità della sua risoluzione “al posto” del soggetto-utente, il ruolo di docente rinvia piuttosto a responsabilità connesse con il processo di trasmissione di sapere inerente al problema e la sua soluzione dal docente stesso al soggetto-allievo. La trasformazione del ruolo di esperto in quello di docente corrisponde al primo livello di articolazione del modello di Burgoyne e Cunningham. I livelli successivi verranno individuati come ulteriori e progressive trasformazioni di tale ruolo e come altrettante progressive “perdite di contatto diretto” con l’oggetto-problema da parte dell’esperto. La figura 5.4 rimanda così a un secondo livello di articolazione del modello, a una nuova trasformazione del ruolo di esperto: dove la sua azione si identifica nella trasmissione di un tipo di sapere non semplicistico inerente alla relazione tra soggetto e oggetto-problema. In questo senso è anzi la relazione stessa a essere oggetto-problema: con riferimento più ampio ai fatti attinenti ai rapporti di lavoro o ai rapporti interpersonali e sociali. La figura dell’animatore si sostituisce a quella del docente; il ruolo di partecipante a un corso ovvero a un progetto educativo finalizzato all’acquisizione di un sapere per definizione a- specifico quale quello attinente al campo delle relazioni interpersonali di lavoro, organizzativo e sociali, si sostituisce a quello dell’allievo. Il criterio di articolazione sotteso prevede, che ciò che è incluso nella sfera d’azione dell’esperto a un certo livello si ritrovi nel livello successivo “entro” la sfera d’azione dell’utente. Seguendo questa indicazione è allora del tutto conseguente identificare nel processo di apprendimento l’oggetto della relazione tra esperto e utente a un terzo livello di articolazione ovvero ritrovare i contenuti dell’apprendimento stesso incluso nella sfera d’azione dell’utente. L’animatore si trasforma in gestore di un progetto educativo: assume cioè ruolo di presidio delle modalità di svolgimento del progetto nonché di risorsa a disposizione dell’utente. La sua azione si esprime nel controllo delle condizioni di svolgimento del progetto educativo rispetto al quale il soggetto ha un margine più o meno ampio di autonomia quanto agli obiettivi e ai contenuti. Più precisamente il ruolo di “gestore” si risolve nel presidiare l’attivazione di un processo di apprendimento per scoperta, ovvero di ri-apprendimento attraverso il recupero della concreta e Indicazioni e riferimento per una Teoria del Formatore Condizioni generali per una TDF si tratta così di riconoscere che: a. Tali condizioni non potranno che essere del tutto identiche e sovrapponibili a quelle previste per la TDM. Una TDF esige dunque una definizione dell’oggetto, una configurazione articolata di elementi componenti, una congruità rispetto al disegno di TGF, ovvero connessioni e rimandi alla TDM. b. Definizione dell’oggetto si potrà definire la TDF come teoria delle forme della relazione pedagogica. In altre parole, una TDF ha per oggetto la pluralità di forme che può assumere un’azione finalizzata alla sollecitazione/attivazione di processi soggettivi di apprendimento in vista del raggiungimento di specifici traguardi educativi. L’azione dell’educatore rimanda alla necessità di definire le forme della relazione pedagogica in funzione dei tipi di ruolo assunti dai soggetti rispetto a tale relazione. Una TDF sarà anche una teoria dei ruoli di educatore oltreché dei sistemi di azione. c. TDF esige l’individuazione di un criterio in grado di soddisfare il principio dell’integrazione tra le forme previste per la relazione pedagogica. Tale criterio è individuabile nel grado di controllo sull’apprendimento esercitato dai soggetti implicati nella relazione pedagogica. Per essere precisi una TDF esige una configurazione articolata di differenti ruoli di “educatore”, modulata in funzione di differenti forme di controllo esercitabili sull’apprendimento in coerenza con i traguardi educativi prefissati. d. Quanto infine alle coerenze tra TDF e gli altri elementi della TGF in figura 5.12: le connessioni privilegiate vengono indicate con asterisco, dove l’asterisco non è tra parentesi si individua un legame preferenziale o “dominante”. I singoli metodi educativi risultano di fatto compatibili con differenti ruoli di formatore, nel senso che il ricorso a ciascuno di essi come soluzione operativa del progetto educativo esclude ogni rinvio vincolante a un modello esclusivo di conduzione del progetto stesso; piuttosto ciascun metodo si presta a essere “modulato”. Le frecce infine dovrebbero esprimere, il tipo di flessibilità che ciascun metodo offre connettendo tra loro differenti ruoli: dunque identificando un “campo” entro il quale poter operare. Nel 1974, H. Hague prende posizione sul problema-formatore contrapponendo un vecchio a un nuovo modello, ed esprimendo in questo l’esigenza di innovare i contenuti di ruolo e il profilo di capacità attese. Il vecchio modello viene fatto coincidere con l’idea del docente/insegnante ovvero con l’immagine tradizionale, classica e “accademica” dei processi di istruzione. Il nuovo modello viene invece riferito alla figura del docente/guida e coordinatore di un progetto educativo orientato all’apprendimento come momento di reale crescita e sviluppo dei soggetti. Vi è convincimento sulla assoluta necessità di impegnare risorse a stimolare la riflessione e a consolidare sapere. Il tema cruciale sarà quello dei sistemi di azione che esprimono nella condizione di un progetto educativo i concreti modi di essere formatore: le concrete possibilità di fare formazione. La piena consapevolezza della sua azione da parte del formatore è garantita anche da una TDF forte. In definitiva è il formatore il destinatario della proposta stessa di TGF. Distinzione: coloro che operano come esperti del progetto educativo e coloro che operano come responsabili del processo di formazione. È una semplice distinzione di ruolo istituzionale che non muta di nulla la sostanza della questione. Al formatore spetta di riprendere contatto in prima persona con la complessità della natura pedagogica della sua azione.
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