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Fare la differenza - Ghigi, Sintesi del corso di Sociologia Della Famiglia

Riassunto esaustivo di tutti i capitoli

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Fare la differenza - Ghigi e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia Della Famiglia solo su Docsity! Libro: Fare la differenza Quando si parla di “genere in educazione” si può far riferimento da una parte alle differenze che esistono tra ragazzi e ragazze nei percorsi formativi (es. nel rendimento scolastico, nel percorso intrapreso,..); dall’altra a un’attività consapevolmente intrapresa per sollecitare competenze, offrire risorse, mediare la conoscenza in un’ottica di genere. La differenza di genere si presta a essere: - oggetto del conoscere - prospettiva del conoscere - riflessione del conoscere L’educazione di genere si occupa di differenza per disfare la disuguaglianza Analizziamo la disuguaglianza tra uomini e donne secondo quattro dimensioni 1. Dimensione della produzione, del consumo e dell'accumulazione 2. Dimensione del potere 3. Dimensione emotiva 4. Dimensione culturale e discorsiva Capitolo 1 Il genere si può insegnare? Maschio o femmina è il primo elemento che utilizziamo per definire noi stessi. La connotazione sessuale è per così dire fondativa della nostra identità: la prima differenza su cui si innestano tutte le altre. Il sesso di una persona è una base biologica: la specie umana si divide in due grandi gruppi, maschi e femmine, con due corpi differenti gli uni dalle altre dal punto di vista cromosomico, anatomico e fisiologico (i geni sono riuniti in catene dette cromosomi: ogni cellula ne contiene 46, divisi in 23 coppie. In tutte le paia essi sono identici, tranne in una coppia: nella femmina anche quello è identico (XX), nel maschio no (XY) ). L’elaborazione culturale del dato biologico è invece il genere: essa prevede la trasmissione di significati, aspettative, comportamenti e gusti che in ogni società vengono coltivati rispettivamente da maschi e da femmine, con un maggiore o minore grado di libertà e tolleranza rispetto alle deviazioni. L’approccio culturale del genere ci fa suddividere la varietà di composizioni anatomiche e cromosomiche possibili dei corpi in due sole categorie → senza tener conto di una quota non trascurabile della popolazione che nasce con caratteristiche sessuali di base sia maschili che femminili; sono le persone intersessuali, un tempo chiamati “ermafroditi”. Inoltre, suddividere i corpi in due soli tipi trascurerebbe la possibilità che c’è oggi di intervenire chirurgicamente e/o con l’assunzione di ormoni per allineare il corpo all’identità di genere o per uscire dal binarismo sessuale - come testimonia l’esperienza delle persone transessuali. Il genere è qualcosa che le persone “fanno” e non qualcosa che “sono” “Socializzazione” → processo che fa di un nuovo arrivato un membro a pieno titolo di una società o di un gruppo. L’esito di questo processo è l’interiorizzazione di norme, valori e patrimonio culturale della società in cui è inserito. Socializzazione primaria: per la prima infanzia e orientata all’apprendimento di competenze di base Socializzazione secondaria: quella successiva A questo percorso contribuiscono varie agenzie come la famiglia, la scuola, la parrocchia, i social network,... e il peso di queste agenzie può variare nel tempo. Critiche: → suggerisce un ruolo passivo ed eminentemente riproduttivo dei soggetti in socializzazione mentre i soggetti elaborano i messaggi e li ricodificano secondo registri diversi → non si tiene conto di possibili conflitti e contraddizioni nei valori e nei ruoli trasmessi anche all’interno della stessa agenzia Differenza con l’educazione: non si tratta di una trasmissione consapevole di valori e norme di comportamento. Prendiamo, ad esempio, le pubblicità televisive di giocattoli. Gli oggetti che vengono venduti (maschi: armi o elementi da costruire che vanno dal rosso al verde, al nero/ femmine: bambole da accudire o accessori da indossare) contribuiscono a veicolare alcuni messaggi su ciò che è “normale” desiderare o fare quando si è un maschio o una femmina. Ma è anche possibile prenderne con consapevolezza le distanze ( → “sono un maschio ma non mi piace l’idea di dover sparare ai miei amici”). La questione è che i significati di genere non si limitano al tipo di oggetto pubblicizzato, ma si sostanziano in molteplici elementi di un messaggio, sia a livello di contenuti (cosa si dice), sia a livello di struttura (come lo si dice) Per “orientamento sessuale” indichiamo la direzione verso cui s’indirizza l’attrazione sessuo-affettiva di un individuo. Il fatto che esso possa indicare la caratteristica stabile di un’identità, definire “il chi è” di una persona è qualcosa di piuttosto recente. Gli orientamenti, se si parla di attrazione/ fantasie sessuali/innamoramento, non sempre sono convergenti (es. persone che si autodefiniscono eterosessuali benché abbiano occasionalmente o frequentemente esperienze sessuali con persone del loro stesso sesso. L’educazione è un processo consapevolmente intrapreso. Educazione formale: data da istituzioni formali quali la scuola Educazione non formale: data dalla famiglia, da un’associazione, dalla parrocchia,... Educazione informale: fornita dai mass media Capitolo 2 Perché serve l’educazione di genere É il 1792. Mary Wollstonecraft si interroga sullo spazio che alle donne si può aprire in una società teoricamente basata sul principio della ragione e della parità. Per Wollstonecraft il ruolo nuovo che esse possono ricoprire non può essere garantito semplicemente dal riconoscimento dei loro diritti politici e civili, ma bisogna agire a monte, sull’educazione delle fanciulle: è qui che fa leva la disparità del potere. È sua ferma convinzione che se le donne si interessano di questioni poco conto (superficiali,vanitose) questo non dipende dalle loro caratteristiche innate ma dall’educazione che hanno ricevuto nell’infanzia. Perciò si dà alla donna un’educazione differente non perché è per natura differente, ma ella è differente perché le si dà un’educazione differente. Pochi giorni prima di morire diede alla luce una figlia, Mary, che confermò molte delle teorie della madre, che potè godere di un’educazione libera e informale da parte del padre e tanto si appassionò quando sentì parlare dell’insondabile nesso che lega la vita alla morte (scrisse poi Frankenstein) Corpo e genere siamo soliti distinguerli tra base biologica e apprendimento culturale. Il modo in cui si è dato maggior peso alla prima piuttosto che al secondo ha condotto a una tradizionale distinzione tra approcci innatisti e costruttivisti. APPROCCI INNATISTI: ● fanno riferimento a differenze determinate alla nascita tra uomini e donne ● generalmente attribuiscono atteggiamenti e comportamenti differenziati a una differenziazione che risponde alle esigenze della specie ● secondo alcuni approcci, la differenza sessuale biologicamente fondata su estende ai diversi modi di elaborare gli stimoli, di ragionare e di rapportarsi con sé stessi e con l’ambiente da parte di maschi e femmine (es. maggiore competenza verbale tra le femmine/maggiori capacità matematiche per i ragazzi). Per altri, la differenza innata di estende al modo di parlare, di gestire le relazioni , di dipendere o meno dagli altri e al senso di autoefficacia. In comune queste osservazioni hanno l’idea di voler essere valide universalmente recuperare il tema del maschile come visione parziale e non universale del mondo, e a indagare i vincoli e le rigidità della socializzazione alla virilità, soprattutto in adolescenza. Un ulteriore contributo è dato anche dall'apertura al tema Lgbtqi: si tratta di fornire strumenti e competenze per stabilire un più aperto rapporto con sé e con gli altri, anche rispetto alla sfera emotiva, intima e relazionale. Un terzo elemento di novità sta nell’approccio intersezionale dell'educazione di genere, che parte dalla consapevolezza che non si può considerare la dimensione di genere senza chiamare in causa gli altri attributi che ci posizionano diversamente nel tessuto sociale (provenienza, classe, cultura, età, religione, orientamento sessuale, ecc.). L'idea è che tutte queste dimensioni sono in relazione le une con le altre e le disuguaglianze che vi si creano si rafforzano a vicenda. Va da sé che le tre linee d'azione, fin qui distinte per motivi analitici, non sono tra loro mutuamente esclusive. Anzi, oggi appare particolarmente importante seguire il filo rosso che lega insieme varie esperienze di educazione di genere realizzate da quasi cinquant'anni a questa parte per rispondere a un contesto che le mette fortemente in discussione. Questo non toglie che un approccio alla differenza abbia finalità e metodi molto diversi da un approccio decostruzionista. Se però è obiettivo comune superare la disuguaglianza e migliorare le relazioni (tra uomini e donne, ma anche tra uomini e tra donne e il rapporto con sé stessi), perché il genere riguarda tutti e tutte e una maggiore simmetria può giovare alla società nel suo insieme. Capitolo 4 L’educazione di genere nella prima infanzia (p. 65) Il nostro sguardo sul mondo attraversa lenti di occhiali di genere: l'aspetto interessante è che gli adulti genuinamente pensano di offrire con più frequenza alcuni giochi e non altri perché vedono che è quel bambino (o quella bambina) di soli pochi mesi a richiederli. In generale, è ben documentato il fatto che il nostro comportamento cambia a seconda che abbiamo a che fare con maschi o femmine sia pure molto piccoli; cambiamo le posture del nostro corpo, il tono della voce, gli oggetti di cui li circondiamo fin dalla nascita. I genitori, d’altra parte, cercano nei bambini conferma della loro chiara appartenenza di genere, dando maggiore salienza e importanza alle informazioni che confermano l’idea stereotipata dei contenuti e dei significati della maschilità o della femminilità. Educare al genere a casa e a scuola Esempio: madre chiese alla figlia di portare un bicchiere d’acqua e al figlio di andare ad aprire il garage quando arrivò l’ospite → la madre attribuì al figlio il compito considerato più “maschile” e alla figlia quello più “femminile” Assegnare in maniera acritica dei compiti sulla base del genere non solo ribadisce i contenuti degli stereotipi e li fissa alle identità, ma può alla lunga contribuire a naturalizzare situazioni di asimmetria. Per aprirsi alla relazione educativa sul genere bisogna partire da sé, compiere una riflessione sulla propria biografia come uomo o come donna. Guardare alla propria esperienza sotto una luce di genere può aiutarci nel valutare le asimmetrie che abbiamo conosciuto, riflettere su ciò che vogliamo trasmettere e sulla relazione educativa che vogliamo tessere. Una delle più importanti acquisizioni dell’educazione improntata agli studi di genere è proprio la crucialità che anche uomini e ragazzi adottino senza timore uno sguardo su di sé che interroga il proprio modo di godere la maschilità. Si tratta di comprendere che esistono molti modi di sentirsi e di “fare” gli uomini, e che alcuni di questi modi sono socialmente più accettati di altri, alcuni sono discriminati, altri sbeffeggiati o derisi. Al pari della femminilità, la maschilità è un insieme di significati e pratiche, ma se non la concepiamo come categoria rigida da accettare in toto o da rifiutare in toto sarà più facile rapportarci alla sua esperienza concreta. Naturalmente, questo non significa che il nostro modo di vivere il ruolo di genere diventi necessariamente un modello che i nostri figli e le nostre figlie imiteranno. Ma è importante la qualità della relazione di genere tra adulti e degli adulti con se stessi. I significati che diamo al genere emergono inevitabilmente nelle nostre relazioni quotidiane. Bisogna creare un contesto che permetta a tutti di provare a misurarsi con qualsiasi attività, se ne hanno piacere, e di aiutarli a sottrarsi a richieste sociali che non assecondano le loro attitudini e le loro domande al mondo. La forza dell’ordine simbolico di genere sta nell’impressione che le cose non potrebbero essere altrimenti e che quello sia il loro corso naturale. Ci sembra “naturale” che il rosa sia associato alla femminilità. Eppure, soltanto dalla seconda metà del Novecento è stato considerato adatto alle femmine, prima era ritenuto al contrario un colore “forte” e dunque maschile! Alcuni studi sostengono che si stia vivendo una fase rigenderizzazione delle merci, specialmente quelle rivolte all’infanzia → la cosapevolezza ch i gusti di bambini e bambine sono determinati dagli stimoli culturali che li circondano può aiutare un genitore nell’inserimento di quanti più stimoli possibile. La questione più complicata non sarà aprire alla bambina l’esplorazione di terre tradizionalmente maschili (poiché il maschile è universale). La difficoltà maggiore maggiore sta nel lasciare un bambino avventurarsi nei terreni del femminile (entrerebbe in gioca la potenziale degradazione di status). Un elemento importante per una consapevolezza di genere è lavorare su cosa si dice e su come lo si dice. L’idea è di stimolare, in noi stessi prima che negli altri, la domanda: “avrei detto la stessa cosa se fosse stato un maschio (o una femmina)? Se no, perché? se sì, perché? Qual è la conseguenza di questa mia scelta?” Es: nel momento in cui chiediamo a un bambino “non piangere come una femminuccia”non stiamo soltanto prescrivendo un comportamento adeguato rispetto al genere(maschile): stiamo anche descrivendo cosa sia il genere (femminile) Nei servizi per l’infanzia: cosa si fa e cosa si può fare Le attività di educazione di genere nei contesti della scuola dell’infanzia hanno tra gli obiettivi: ➔ creare un ambiente favorevole allo sviluppo delle potenzialità e dei talenti di ciascuno, maschi e femmine ➔ permettere di conoscere una maschilità cui piace prendersi cura degli altri, che fa esperienza dell’accudimento solitamente escluso dalla definizione stereotipata di maschilità ➔ aprire l’immaginario alle molteplici possibilità del reale e di rendere le categorizzazioni più inclusive ➔ pluralità di materiali e attività affettivo-sensoriali stimolano la sfera dell’emotività e della cooperazione come strumenti di educazione sentimentale e cognitiva per tutti i bambini, maschi e femmine Particolare attenzione è stata rivolta alla relazione tra donne e bambine (poiché la maggioranza di chi lavora nelle scuole di infanzia è costituita da donne), e può tradursi in un’occasione: quella di creare un legame tra educatrici e bambine in cui le prime possono diventare modello di genere autorevole per le piccole e strumento di empowerment femminile. E gli educatori uomini? La presenza di uomini nelle relazioni di cura è ancora guardata con una certa diffidenza in Italia, nonostante studi abbiano documentato che un ambiente eterogeneo nei servizi per l’infanzia che includa uomini nel personale assunto, promuove creatività, innovazione ed empatia. In generale tra educatori è diffusa la convinzione che il proprio ruolo debba essere neutrale rispetto al genere (trattare tutti allo stesso modo) anche se nelle situazioni portiamo noi stessi inevitabilmente delle etichette → bisogna stare attenti a non fare parti uguali tra disuguali Capitolo 5 Conoscenze di classe: il genere a scuola (p. 85) Legge 107 (2015) → afferma la necessità di assicurare “ l’attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni” Molto importante è la riflessione su di sé anche per le e gli insegnanti (non si insegna quello che si sa, ma anche quello che si è). L’insegnante, attraverso il linguaggio non verbale, il silenzio, lo sguardo, il tono di voce può trasmettere dei messaggi che vanno al di là delle parole. Per quanto le relazioni coi coetanei e con i genitori siano importanti, il rapporto con gli insegnanti è un aspetto cruciale nella formazione dei giovani e uno dei pochi che hanno con adulti significativi al di fuori della propria rete parentale. Può succedere, in particolare nelle scuole secondarie di secondo grado, che la richiesta di affrontare il tema del genere emerge a partire dagli studenti, o per fare fronte a situazioni più o meno complesse che possono essersi verificate nella scuola oppure come desiderio di approfondimento. La risposta può essere: 1. circostanziata a un singolo evento 2. integrata entro le materie stesse Studi condotti dagli anni Settanta in poi hanno mostrato che i libri scolastici tendono a restituire un’immagine del maschile e del femminile stereotipata, proponendo ruoli cristallizzati e gerarchici per uomini e donne ancor più limitanti di quanto non lo siano nella realtà delle cose. Nel 1986 Rossana Pace analizzò con metodi quantitativi e qualitativi di analisi di testi e delle immagini i libri di lettura e i sussidiari della scuola elementare. Risultati: su 100 bambini rappresentati, 72 erano maschi e 28 femmine; su 100 adulti, 65 erano maschi e 35 femmine. Cosa si può fare? Nella scelta dei libri di testo da adottare, considerare il linguaggio e la variabilità di modelli e ruoli che vengono messi implicitamente a disposizione può diventare una buona prassi da seguire in un’ottica di attenzione alla differenza di genere Di solito, il genere viene affrontato come un argomento all’interno di materie o temi transcurricolari come le scienze sociali, l’educazione civica, l’etica, la storia, le lingue, ma l'indicazione generale dell’agenzia europea era che la prospettiva di genere dovesse permeare tutte le materie e le aree. Es. insegnare storia in un’ottica di genere significa dare conti di una pluralità di soggetti storici, a cominciare dalle donne, le cui vicende sono riconducibili a quelle di un soggetto per lungo tempo considerato astratto e universale, ma in realtà maschile/nell’insegnamento della letteratura, portare alla luce il rimosso non significa solo aggiungere donne qua e là in qualche antologia, ma ragionare sulla loro assenza e sugli impliciti nell'organizzazione della memoria. Uno dei campi in cui è più documentata un’asimmetria di genere è quello del rendimento nelle materie scientifiche Temi come la sessualità e il genere, in adolescenza acquistano un ruolo più evidente nella riorganizzazione dell’assetto mentale e affettivo di chi deve attraversare compiti evolutivi specifici: le trasformazioni del corpo in pubertà, l'autonomizzazione dalla famiglia, la sessualità e le relazioni affettive, la formazione di nuovi ideali e valori, la regolazione delle emozioni, l'assunzione di un ruolo nel gruppo e nella società. Gli adolescenti vivono una fase in cui si sentono dotati di un potere quasi illimitato di costruire la propria identità sfuggendo da vincoli sociali e familiari, ma anche culturali, e difficilmente ammettono di essere influenzati dagli stereotipi. Connel negli anni Novanta ha introdotto la definizione di “maschilità egemone” per indicare forme di maschilità: 1) considerate più desiderabili in una società;2) che includano aggressività, competizione, noncuranza per il corpo e eterosessualità. Forme diverse di maschilità sarebbero tuttavia possibili, ma caratterizzate da un prestigio e da una legittimazione sociale inferiori → maschilità omosessuali, ma anche tutti i modi di vivere la maschilità che non esibiscono i caratteri dominanti previsti dalla norma (maschilità subordinate)
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