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Il Dopoguerra in Italia e il Biennio Rosso (1919-20): Mutamenti sociali e politici, Appunti di Storia

Il dopoguerra in italia e il cosiddetto biennio rosso (1919-20), un periodo di agitazioni operaie e conflitti difficili da gestire che fecero temere alle classi dirigenti che anche in italia potesse arrivare una rivoluzione come quella russa. Vengono analizzati i problemi creati dai trattati di pace, l'ascesa del partito popolare italiano, i fasci di combattimento e il nazionalismo fiumano, la propaganda del regime fascista, la nascita del partito comunista d'italia, la crisi economica della germania e l'ascesa di hitler al potere.

Tipologia: Appunti

2022/2023

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Scarica Il Dopoguerra in Italia e il Biennio Rosso (1919-20): Mutamenti sociali e politici e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! IL DOPOGUERRA IN ITALIA E IL “BIENNIO ROSSO” (1919-20) LE ASPETTATIVE DI MUTAMENTO SOCIALE E POLITICO IN ITALIA A differenza della Germania, l'Italia era tra i paesi vincitori, ma la guerra aveva creato numerosi problemi… -...soprattutto per via di quanto stabilito nei Trattati di Pace: l'Italia aveva dovuto rinunciare sia alla Dalmazia (perché di maggioranza slava, quindi fu affidata al territorio jugoslavo) sia a Fiume ( nonostante fosse di maggioranza italiana, era destinata a rimanere all'austria). (Per questo fatto dei Trattati di pace, i liberali erano considerati la rovina dell’Italia). - Intanto il governo italiano era preoccupato anche per la situazione interna perché la smobilitazione dell'esercito era un problema per gli ex combattenti, che avevano difficoltà a reinserirsi nella vita civile, ed erano sensibili alla propaganda nazionalista di Gabriele D'Annunzio, il quale sosteneva che i paesi vincitori avessero offerto all’Italia una “vittoria mutilata”, e decise di denunciare la mancanza di tutti i compensi territoriali che spettavano all'Italia dopo la prima guerra mondiale. D'Annunzio si mise allora a capo di un esercito composto da 9000 uomini che, disobbedendo agli ordini del governo italiano, occuparono la città di Fiume nel 1919. Giolitti risolse la questione di Fiume nel 1920: l'Italia firmò con la jugoslavia il trattato di Rapallo, nel quale Fiume veniva dichiarata "città libera", mentre D'Annunzio e il suo esercito vennero allontanati dalla città. - Inoltre l'industria bellica doveva essere riconvertita e si era accumulato un enorme debito pubblico a causa delle grandi spese di guerra. L'Italia era in miseria, ed erano cresciute le aspettative di un rinnovamento sociale e politico. Durante la guerra erano state fatte grandi promesse mai mantenute: ad esempio ai contadini era stata promessa una ridistribuzione della terra (Orlando, battaglia di Vittorio Veneto), invece la classe operaia (in crescita soprattutto al centro nord) chiedeva un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. in queste circostanze l'esempio della Russia alimentava speranze rivoluzionarie. Contro l’opinione degli operai (socialisti), gli industriali (liberali) non volevano cedere all’aumento dei salari e alla riduzione delle ore lavorative (proprio per questo come vedremo si arriverà al biennio rosso, scioperi ecc). IL “BIENNIO ROSSO” 1919-20 Tra i lavoratori industriali del Nord prevalevano organizzazioni di ispirazione Socialista. in Italia le lotte operaie erano portate avanti soprattutto dalle camere del lavoro: strutture sindacali e luoghi di incontro e di Cooperazione tra operai, che avevano lo scopo di difendere gli interessi dei lavoratori. Le camere del Lavoro erano dirette dalla confederazione generale del lavoro (Cgl) e dal Partito Socialista. Subito dopo la guerra i sindacati e le camere di lavoro diedero il via a un imponente ondata di scioperi: nel 1919-20 ci fu il cosiddetto Biennio rosso, cioè un periodo di agitazioni operaie, occupazioni di terre incolte da parte dei braccianti, saccheggi di mercati e negozi, scontri e conflitti difficili da gestire, e che fecero temere alle classi dirigenti che anche in Italia potesse arrivare una rivoluzione come quella russa. Gli operai del settore metallurgico furono i più attivi ed organizzati, e lottavano soprattutto per le otto ore lavorative, per la difesa del salario e del posto di lavoro, e in generale per il miglioramento delle condizioni di lavoro. Spesso misero in atto l'ostruzionismo, cioè il rallentamento della produzione, al quale spesso i padroni rispondevano con le serrate (chiusura dei reparti e licenziamento degli operai in lotta). La protesta operaia finì a settembre con un accordo che prevedeva l'accettazione di alcune delle richieste degli operai, ma non furono accettate le più importanti, come ad esempio il controllo operaio sulla produzione. LA SINISTRA SOCIALISTA E LA NASCITA DEL PARTITO COMUNISTA IN ITALIA I socialisti, dominati dalla corrente massimalista di Serrati, erano in attesa di una rivoluzione che pensavano prossima, ma ancora non riuscivano ad utilizzare la loro forza parlamentare. Nel frattempo, in attesa della rivoluzione, decisero di boicottare la camera dei deputati (il Senato era di nomina regia). I massimalisti controllavano gli organi direttivi del partito (erano la maggioranza), ma c'era anche una consistente presenza di riformisti come Turati che controllavano anche il sindacato e che non pensavano che la rivoluzione fosse fattibile. I dirigenti massimalisti erano criticati anche dall’estrema ala del partito (futuro comunismo), guidata da Antonio Gramsci. Dal 1919 nacquero nuovi settimanali: “il Soviet” fondato da un gruppo di socialisti napoletani guidato da Amedeo Bordiga, e “l'ordine nuovo” fondato da Gramsci, (insieme a Terracini, Togliatti e Tasca, definiti appunto “ordinovisti”), nel quale Gramsci accusava i massimalisti di essere bravi solo a parole e di non essere capaci di preparare davvero il partito e le masse a una rivoluzione. La polemica tra gli “ordinovisti” e la maggioranza massimalista divenne sempre più radicale e nel gennaio del 1921 portò alla scissione del Partito Socialista, e, col Congresso di Livorno, alla nascita del Partito Comunista d'Italia: sezione italiana della terza internazionale comunista fondata due anni prima a Mosca. IL MODELLO BOLSCEVICO E I CONSIGLI DI FABBRICA Bordiga (ordinovista, comunista, antiriformista) era un sostenitore del modello bolscevico e secondo lui ci sarebbe stata un’imminente presa del potere da parte della classe operaia (appunto come i bolscevichi, mentre i menscevichi erano borghesi, moderati). Invece secondo Gramsci bisognava seguire l'esempio dei Soviet russi, infatti per lui la rivoluzione non poteva essere mandata avanti solo da rivoluzionari di professione ma soprattutto da organismi di massa. Infatti per lui e Togliatti bisognava essere capaci di rappresentare gli interessi di tutto il popolo, e non bastava prendere il potere dello stato e imporre la dittatura del proletariato. In generale, i consigli di fabbrica erano formati da rappresentanti dei lavoratori delle fabbriche, eletti democraticamente da tutti gli operai; si trattava soprattutto di operai metallurgici (a partire dalla Fiat di Torino), dove “l'ordine nuovo” organizzò riunioni ed entrava in contrasto con la Cgl che invece era di orientamento riformista. Però l'esperienza dei consigli non riuscì a diffondersi fuori Torino, e fu segnata dalla sconfitta di scioperi e occupazioni delle fabbriche. IL PARTITO POPOLARE ITALIANO Un'importante novità politica in Italia era stata la nascita del Partito Popolare italiano (1919): era un partito cattolico guidato dal sacerdote siciliano Don Luigi Sturzo, che sosteneva una politica sociale, incentrata sulla piccola proprietà contadina, e volta al decentramento amministrativo e alla diffusione della scuola Cattolica. Questo Partito Popolare era diffuso in ampi strati sociali e, rispetto ai socialisti, riuscì ad ottenere maggiore consenso delle classi più umili, contrastando la spinta rivoluzionaria. I popolari puntavano al corporativismo solidale e interclassista: si tratta di una dottrina sociale che tende ad evitare contrasti di classe, preferendo invece la collaborazione tra le varie parti sociali. LA “MARCIA SU ROMA” La violenza fascista divenne così insopportabile che tutte le forze politiche tranne comunisti e la maggioranza dei socialisti si auguravano che il partito di Mussolini salisse al potere. Giolitti si dichiarò disponibile a presiedere un governo che includesse Mussolini e altri ministri fascisti e anche il re era favorevole a questa soluzione. Però Mussolini non voleva entrare in una posizione subordinata in un governo di coalizione, così organizzò la marcia su Roma: il 27 e 28 ottobre 1922, 50.000 uomini che facevano parte delle camicie nere provenienti da tutto il paese, si diressero verso Roma per occupare la città e far dimettere il governo. Le camicie nere occuparono le stazioni ferroviarie, le strade che portano a Roma,, molte centrali elettriche, telegrafiche e telefoniche. In realtà dal punto di vista militare la marcia su Roma poteva essere fermata, ma soltanto coinvolgendo l'esercito, però molti ufficiali erano a favore dell'avvento di un governo fascista e quindi non fecero niente. Per fermare questa marcia, il capo del governo Facta proclamò lo stato di assedio ( caso eccezionale in cui il potere va in mano alle autorità militare) affinché i carabinieri potessero intervenire; però Vittorio Emanuele III si rifiutò di firmare il decreto di Stato di assedio e chiamò Mussolini a presiedere il nuovo governo. IL GRAN CONSIGLIO DEL FASCISMO Mussolini decise di offendere gravemente il Parlamento con il cosiddetto “ discorso Bivacco” tenuto alla Camera dei Deputati il 16 novembre 1922, e nel quale definiva la camera come un'aula sorda e grigia, che lui avrebbe trasformato in un Bivacco di manipoli cioè in un accampamento di camicie nere. Mussolini assicurò che le libertà sancite dallo statuto sarebbero state rispettate e che le violenze nelle piazze sarebbero cessate, precisò che il suo non sarebbe stato un governo di soli fascisti e assicurò interventi drastici in campo economico, invitando minacciosamente la camera a non ostacolarlo. Nel dicembre del 1922 fu istituito il Gran Consiglio del Fascismo, che aveva il compito di preparare i principali provvedimenti legislativi e gestire la pubblica amministrazione. Le squadre di camicia nera furono trasformate nel 1923 in milizia volontaria per la sicurezza nazionale (Mvsn): la milizia fascista divenne così un corpo militare ufficialmente riconosciuto. Nel novembre del 1923 fu varata una nuova legge elettorale maggioritaria, presentata dal deputato Giacomo Acerbo, secondo la quale la lista che avrebbe ottenuto la maggioranza dei voti, arrivando almeno al 25%, avrebbe occupato due terzi dei seggi in Parlamento. Alle elezioni successive il fascismo si presentò con un “listone” unitario, e la campagna elettorale era fortemente controllata dai fascisti, attraverso gravi atti intimidatori e violenti contro gli oppositori, soprattutto contro socialisti e comunisti. in questo modo il “ listone” vinse le elezioni e da quel momento il partito fascista di Mussolini ebbe il controllo totale del Parlamento. IL DELITTO MATTEOTTI Un deputato socialista riformista, chiamato Giacomo Matteotti, denunciò in Parlamento i brogli elettorali e le violenze fasciste, così fu sequestrato per strada in pieno giorno, portato via in un'auto e assassinato. Il 3 gennaio del 1925, in un discorso parlamentare Mussolini si assunse in piena persona la responsabilità politica e morale del delitto, coprendo gli esecutori materiali che così non furono perseguiti penalmente; la maggior parte delle opposizioni abbandonarono la Camera dei Deputati dichiarando di non voler far parte di un governo così sanguinario e violento; la loro assenza in Parlamento fu chiamata “Aventino” (riferimento a quando i plebei dell'antica Roma si ritirarono sul colle Aventino per protestare contro i Patrizi nel V secolo a.C.). Così in Parlamento rimasero soltanto deputati fascisti: il fascismo si avviava sempre di più a costruire un vero e proprio regime. IL FASCISMO ITALIANO: L’IDEOLOGIA E LA CULTURA IL BELLICISMO E L’ANTIPARLAMENTARISMO FASCISTI Il fascismo era fortemente bellicista e anti parlamentare; infatti i fascisti non credevano nelle virtù della pace, anzi nonostante fosse appena finita una tragica guerra, continuavano ad esaltarla: secondo loro la pace duratura fra le nazioni, oltre che impossibile, era tra l'altro negativa poiché porta ad atteggiamenti vili e all'appiattimento di Popoli e razze. Per lo stesso motivo i fascisti non credevano neanche nelle istituzioni parlamentari, poiché davano potere alle maggioranze, ed erano rappresentati in prevalenza da individui mediocri e corrotti. Il fascismo si collocava in una posizione politica e culturale di estrema destra, infatti secondo i fascisti il potere doveva essere in mano a pochi, destinati a guidare tutto il resto della nazione. Era la paura del bolscevismo a portare molte persone ad appoggiare il fascismo, ma per poter dirigere la politica moderna, i fascisti avevano bisogno di una forte base di massa. Mussolini riuscì a mantenere l'equilibrio fra le varie componenti del Fascismo e rafforzò il proprio prestigio. In politica economica fu ambiguo, e si collocò fra un atteggiamento liberista (favorevole agli agrari esportatori) e il protezionismo (voluto dalla grande industria). LO STATO TOTALITARIO Il fascismo non credeva nelle libertà individuali, anzi pensava che tutto si basasse sulla legge del trionfo del più forte, quindi sulla continua lotta per la vita fra individui e popoli. Presero importanza l'estetica del gesto eroico e della “bella morte”, e soprattutto l'ottica razzista giustificava il ricorso sistematico alla violenza (indicato anche dai gagliardetti delle squadre d'azione, costituiti da un drappo nero con un teschio d'argento). Si sviluppò un vero e proprio culto dell'illegalità violenta, in questo modo il fascismo poteva prevalere sia sulle classi dirigenti sia sul rivoluzionarismo Popolare. Si tratta di una cultura che non pone lo stato al servizio dell'individuo, ma l'individuo al servizio dello Stato, esaltando il concetto di nazione e patria (gesta eroiche e “bella morte”). All'inizio Mussolini parlava di Stato etico (cioè dotato di diritti morali sull'individuo), ma nei quattro anni seguenti all'assassino di Matteotti fu costruito il regime totalitario, dotato di istituzioni politiche fortemente autoritarie, ma anche capaci di coinvolgere le masse popolari. LE “LEGGI FASCISTISSIME” Tra il 1925-28 furono emanate una serie di leggi dette “ leggi fascistissime” che modificarono effettivamente lo Statuto Albertino del 1848. - il potere esecutivo venne nettamente innalzato al di sopra degli altri - Mussolini, ormai chiamato Duce (dal latino Dux, guida, nome che prima veniva utilizzato per i condottieri e generali romani) con una legge del 1925 rafforzò i propri poteri diventando capo del governo invece di Presidente del Consiglio (come voleva lo statuto); in questo modo aveva la facoltà di scegliere i ministri e non dipendeva più dalle maggioranze parlamentari, ma soltanto dal Re. - il governo ottenne anche il potere di prendere provvedimenti con forza - il Parlamento fu esautorato, cioè perse il suo potere per eccellenza, ossia quello legislativo. furono soppresse anche le autonomie locali, e al posto del sindaco fu istituito un podestà di nomina governativa, affiancato da un consiglio comunale anch'esso nominato dal governo. - a partire dal novembre 1926 furono abolite la libertà di stampa, di associazione e di insegnamento. furono autorizzati solo giornali rigidamente controllati dal regime. - furono sciolti tutti i partiti tranne quello fascista. - tutti gli impiegati dello Stato furono obbligati a iscriversi al partito L’OVRA E IL TRIBUNALE SPECIALE La milizia divenne una seconda polizia, specializzata nella repressione delle opposizioni, e fu affiancata da un apposito servizio segreto chiamato “organizzazione per la vigilanza e la repressione dell'antifascismo” (Ovra). Fu creato tribunale speciale per la sicurezza dello Stato, cioè una sorta di tribunale militare formato dagli ufficiali della milizia, e che aveva il compito di giudicare qualsiasi reato concorso a “sminuire il sentimento nazionale”. Di fronte a questo tribunale gli imputati non avevano alcuna possibilità di salvarsi dalla sentenza, e gli poteva essere assegnata addirittura la pena di morte, ma si utilizzava soprattutto il confino (l'obbligo di residenza sotto rigida sorveglianza in un luogo poco accessibile come una piccola isola). LE ELEZIONI PLEBISCITARIE DEL 1928 E IL CONTROLLO SOCIALE L'orientamento liberale, legato per definizione a elezioni democratiche, fu tolto definitivamente di mezzo con la nuova legge elettorale del 1928: il Parlamento non era più eletto democraticamente ma nominato con le elezioni plebiscitarie, con le quali non si poteva più scegliere tra liste o candidati ma solo accettare o respingere in blocco una lista unica di deputati proposta dal Gran Consiglio del Fascismo. Inoltre il regime rimodellò le relazioni industriali. Ad eccezione della Confindustria (l'organizzazione di categoria degli industriali) e dei sindacati fascisti, tutti gli altri sindacati furono aboliti e al loro posto furono istituite delle corporazioni: associazioni di padroni e operai di ciascun settore produttivo, che avevano il compito di garantire l'armonia sociale e produttiva; padroni e operai decidevano insieme riguardo i livelli salariali e le politiche aziendali (anche se in caso di opinioni diverse sceglieva comunque il proprietario). In questo modo fu realizzato un controllo sociale molto efficiente e la conflittualità risultò abolita, a discapito degli operai soprattutto delle grandi industrie, che non potevano più fare appoggio sulle loro forti organizzazioni sindacali e non potevano più servirsi degli scioperi. Per legge fu imposto il contratto collettivo di lavoro, a scapito soprattutto dei padroni delle piccole aziende, che in precedenza avevano potuto sfruttare i lavoratori senza controllo (nonostante ciò i controlli di questo nuovo contratto erano abbastanza scarsi). Le corporazioni non avevano solo il ruolo di armonizzare le relazioni industriali, ma addirittura assunsero una funzione costituzionale paragonabile a quella del Gran Consiglio del Fascismo. Nel 1939 la Camera dei Deputati fu sostituita da una camera dei fasci e delle corporazioni, nominata per metà dal sistema corporativo e per l'altra metà dal Gran Consiglio. Con questa novità il totalitarismo raggiunse il suo pieno sviluppo; una volta completata la rivoluzione istituzionale totalitaria, lo Stato disponeva degli strumenti necessari a controllare i cittadini (le loro opinioni, azioni, la dinamica dei loro interessi economici). LA PROPAGANDA DEL MINCULPOP finanziario alla chiesa da parte dello stato, come risarcimento per l'occupazione del 1870 (quando un plebiscito sancì l'annessione degli ex domini papali, a Roma, a tutto il Regno d'Italia, e in questo modo dal 1871 la capitale italiana si spostò da Firenze a Roma). Con il concordato fra Stato e chiesa, la religione cattolica divenne religione dello Stato, e anche materia di insegnamento nelle scuole pubbliche. I vescovi dovevano giurare fedeltà allo Stato, mentre chi si tirava indietro veniva escluso dagli impieghi pubblici. Fu legalmente riconosciuta l'azione Cattolica, che rappresenta l'unica associazione di massa non fascista riconosciuta dalla legge. Per il fascismo I Patti Lateranensi furono un grande successo propagandistico. Da parte della chiesa la soddisfazione per questi patti fu manifestata dal Papa Pio XI che definì Mussolini uomo della Provvidenza. In realtà questo era quanto affermato da Benedetto Croce, che da subito aveva manifestato la sua avversione al concordato, poiché (oltre che essere un antifascista) vedeva nella chiesa un’istituzione mossa soltanto dai propri interessi (come ad esempio ottenere la sovranità su un territorio cioè la Città del Vaticano). è stato proprio Benedetto Croce ad accusare Papa Pio XI di aver inneggiato Mussolini come l'uomo della Provvidenza, quasi per denotare una sorta di patto mistico-politico tra la chiesa e il fascismo. In realtà, come fa notare Messori (giornalista e scrittore italiano), c’è differenza tra “uomo della Provvidenza” e “uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare” (vera citazione del papa). Inoltre Messori spiegò che con quelle parole Pio XI voleva semplicemente dire che Mussolini non aveva quei pregiudizi che avevano portato tutti i precedenti i negoziatori a rifiutare qualsiasi accordo che prevedesse una sovranità territoriale per la Santa Sede. LA GUERRA DI ETIOPIA E LE LEGGI RAZZIALI L’ITALIA FASCISTA E LA REVISIONE DEI TRATTATI DI PACE Con i Patti Lateranensi il fascismo ottenne il grande prestigio anche all'estero, ad esempio era apprezzato dagli inglesi, ma soprattutto perché è riuscito a sconfiggere il bolscevismo e il disordine. L'Italia fascista continuava ad essere accettata nel club dei vincitori, però ancora voleva la revisione dei Trattati di Pace. Essa già in passato aveva cercato di estendere la sua influenza all’intera area balcanica a discapito della Jugoslavia, con la quale nel 1920 Giolitti aveva risolto la questione di fiume e della Dalmazia con il Trattato di Rapallo. Invece nel 1924 il Trattato di Roma stabilì il passaggio di Fiume all'Italia. Due anni dopo l'Italia strinse un patto con l'Albania, con il quale essa entrò sotto l'influenza italiana. Inoltre Firmò Trattati di amicizia con Romania e Ungheria. Però la partecipazione dell'Italia alla Società delle Nazioni era abbastanza problematica poiché essa era contraria alla revisione dei Trattati di Pace. UNA POLITICA ESTERA AGGRESSIVA Una grande frustrazione del nazionalismo italiano fu dovuta alla mancata concessione delle colonie previste nel Patto di Londra del 1915. Per questo negli anni trenta maturò un carattere aggressivo indirizzato contro l'unico stato africano che era riuscito a mantenere sotto il suo controllo, l'Etiopia. Negli ultimi 40 anni l'Etiopia aveva avuto importanti progressi: aveva costruito una ferrovia, una rete stradale, scuole, ospedali, si era dotata di un armamento più moderno (ma non molto forte), aveva abolito la schiavitù (in questo modo fu anche accettata nella Società delle Nazioni) e aveva adottato una Costituzione autoritaria che modernizzò il paese. Nel 1934 un incidente di frontiera fra l'Eritrea italiana e l'Etiopia diede a Mussolini la scusa per attaccare il paese africano: furono chiamati alle armi un milione di uomini, e l'industria bellica iniziò a lavorare a pieno ritmo, però si arrivò a un alto tasso di disoccupazione e miseria (spese di guerra). La Gran Bretagna e la Francia non vollero schierarsi a favore delle Etiopia, gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica protestavano in modo moderato cercando di non farsi coinvolgere nel conflitto, e la Germania appoggiava l'Italia per ottenere in cambio l'occupazione dell'Austria. Neanche la Chiesa Cattolica si oppose all'aggressione, nonostante l'Etiopia fosse un paese che per un millennio aveva difeso il cristianesimo contro l'Islam. LA CONQUISTA DELL’ETIOPIA Nell'ottobre del 1935, senza dichiarare guerra, l'esercito italiano attaccò l'Etiopia. Per questo l'Italia fu colpita da sanzioni internazionali da parte della Società delle Nazioni, che vietavano il commercio con l'Italia e la concessione di crediti, ma si trattava comunque di sanzioni leggere poiché non riguardavano carbone, acciaio e petrolio, ma anche perché la Germania (già guidata da Hitler) era disposta a rifornire l'Italia di tutto ciò di cui avesse bisogno. L'Etiopia non aveva artiglieria pesante né aviazione, mentre l'Italia usò gli aerei per bombardamenti e anche gas tossici ( iprite). In pochi mesi l'esercito italiano arrivò ad Addis Abeba e l'imperatore etiope (il “negus” Hailé Selassié) si rifugiò in Inghilterra, mentre Etiopia, Somalia ed Eritrea formarono l'Africa orientale italiana. In soli 7 mesi l'Etiopia fu conquistata, ma l'Italia ne trasse una percezione esagerata della propria potenza, e si macchiò di atrocità gravissime. Nel maggio del 1936 Mussolini proclamò la rinascita dell'impero, nel 1937 uscì dalla Società delle Nazioni, e promise all’Italia una grande espansione coloniale. Intorno al 1935-36 il regime fascista arrivò all'apice del consenso popolare. LA CULTURA RAZZISTA E ANTISEMISTA DEL FASCISMO In Italia si diffuse una cultura razzista basata sulla convinzione della superiorità dei bianchi (ed erano vietati i matrimoni misti, e la convivenza fra etnie diverse). Queste idee furono rafforzate anche dal fatto che l'Italia viveva in un isolazionismo internazionale, e l'unica nazione con cui aveva rapporti, e che l'aveva appoggiata nella guerra di Etiopia, era la Germania nazista. Tra i principali manifesti di queste ideologie abbiamo il “manifesto della razza” e il “Manifesto degli scienziati Razzisti” entrambi pubblicati nel 1938. Nell'estate di quell'anno fu promulgata anche una serie di leggi contro gli ebrei italiani ( i quali, negli ultimi secoli profondamente integrati nel paese, erano circa 40.000). Il primo decreto legge espulse docenti e studenti ebrei dalle scuole di ogni ordine e grado. Il secondo stabilì l'espulsione dal territorio nazionale di tutti gli ebrei stranieri, con grave danno delle relazioni economiche. Poi agli Ebrei fu limitato per legge il diritto di proprietà. Sempre nel 1938 nacque una rivista, “la difesa della razza” in cui un gruppo di Scienziati definì i caratteri biologici e psicologici della razza italica, che doveva essere preservata. Qualche anno più tardi le misure contro gli ebrei italiani confluirono nella politica antisemitista della Germania nazista; l’Italia stava per dare il suo contributo al genocidio. LA REPUBBLICA DI WEIMAR E IL NAZIONALISMO TEDESCO LA CRISI ECONOMICO-SOCIALE DELLA GERMANIA In Germania c'era una grave situazione sociale dovuta alla sua incapacità di risollevarsi dalla sconfitta della Prima Guerra Mondiale, e tutto ciò porterà alla forma più aggressiva ed estrema del totalitarismo, quella nazista. La responsabilità storica è da attribuire alle potenze vincitrici che hanno imposto condizioni troppo dure alla Germania. A differenza del Fascismo italiano, che si costruì culturalmente e politicamente soprattutto dopo la presa del potere, il nazionalsocialismo tedesco fu molto esplicito sin dall'inizio riguardo il suo contenuto ideologico. Già dal 1921-23, i ritardi nel pagamento delle riparazioni di guerra imposte dai Trattati di Versailles portarono il governo francese ad occupare la regione industriale della Ruhr. i tedeschi risposero con la resistenza passiva e con lo sciopero generale, e le truppe francesi aprirono il fuoco uccidendo 13 scioperanti. Attraverso l'occupazione del maggior polo industriale e minerario della Germania, ci fu un crollo totale del Marco, dunque una forte inflazione che portò a una grave crisi e miseria. Alla fine Germania e Francia arrivarono ad un accordo e la Francia annunciò il proprio ritiro. Nonostante ciò la miseria e le umiliazioni avevano alimentato l'estremismo politico e il rifiuto di istituzioni democratiche, incapaci di far fronte alla situazione. I lavoratori sopportavano terribili sofferenze e questo portò a un'ondata di scioperi e un tentativo rivoluzionario comunista. Per questo i nazionalisti accusarono i lavoratori di aver pugnalato alle spalle il resto della Germania, in particolare l'esercito impegnato al fronte, facendogli mancare i rifornimenti. L’ELITE TEDESCA E LA REPUBBLICA DI WEIMAR Nella Germania imperiale l'élite dirigente era una casta chiusa e caratterizzata da militari, industriali, banchieri, politici e grandi proprietari terrieri che rappresentavano un blocco estremamente saldo, radicalmente antidemocratico e molto impenetrabile. Questa élite era apertamente nostalgica della monarchia prussiana e lavorò fino in fondo per contrastare le regole costituzionali democratiche. Nel 1919 fu fondata la Repubblica di Weimar, che però aveva diversi punti deboli: Era contraddittoriamente parlamentare e presidenziale poiché il governo aveva bisogno della fiducia del Parlamento, ma stando all'articolo 48 della Costituzione, il presidente in via eccezionale aveva la facoltà di scavalcare il Parlamento e assumere la dittatura. Professori universitari, intellettuali e scrittori elaborarono un contesto culturale capace di dare un senso all'autoritarismo e al vittimismo del centro-destra tedesco. In Germania ottennero sempre più spazio idee decisamente razziste e soprattutto antisemite; si cominciò a sostenere che a pugnalare alle spalle il popolo tedesco, oltre ai comunisti, erano stati anche gli ebrei, popolo di cosmopoliti senza patria. Nel 1923 uscì un libello razzista chiamato “i protocolli dei Savi di Sion e la politica mondiale degli ebrei” che raccontava di una presunta congiura internazionale ebraica finalizzata alla conquista del potere mondiale. Secondo le teorie razziali, la razza superiore era quella Ariana, di provenienza Nord Europea, l'unica capace di incarnare i canoni di bellezza, forza, creatività e coraggio, contro la quale si accanivano gli ebrei e le altre popolazioni inferiori. I tedeschi erano considerati Ariani puri, e secondo l'ideologia nazista, erano relegati entro confini troppo stretti, e destinati a conquistare il loro spazio vitale espandendosi il più possibile. Lo Stato fu epurato da tutti gli elementi considerati infidi a cominciare dagli ebrei, e tutti i tedeschi che erano emigrati per sfuggire alla persecuzione furono privati del diritto di cittadinanza. Quando nell'autunno dello stesso 1933 si ripeterono le elezioni, questa volta fu presentata una lista unica, infatti Hitler ottenne la stragrande maggioranza dei voti. LA NOTTE DEI LUNGHI COLTELLI Intanto le SA, guidate da Ernst Rohm, volevano una seconda rivoluzione volta a eliminare del tutto le vecchie gerarchie. Ma Hitler era contro questa linea rivoluzionaria, poiché consapevole che il suo regime non poteva fare a meno dell'appoggio dei Ceti dirigenti tradizionali e dell'esercito. Per questo il 30 giugno 1934 organizzò un agguato conosciuto come la notte dei lunghi coltelli: Rohm e una settantina di ufficiali delle SA furono trucidati dalle SS (squadre di protezione di Hitler, istituite a partire dalla metà degli anni Venti, addestrate appositamente per controbilanciare la forza eccessiva delle SA, per poi diventare il corpo principale del sistema poliziesco e militare in Germania). I membri delle SS dovevano provare la loro purezza Ariana da molte generazioni ed erano sottoposti a controlli personali totali da parte dei loro capi (non potevano nemmeno sposarsi senza il consenso dei superiori). Alla morte di hindenburg Hitler assunse anche la carica di presidente, quindi anche di Capo delle Forze Armate oltre che cancelliere. IL TERZO REICH COME SISTEMA TOTALITARIO COMPIUTO LA “NAZIFICAZIONE” DELLA GERMANIA All'inizio il Ministero degli Interni era controllato da Hermann Goering, che utilizzava gli uomini delle SA come corpo di Polizia. Ma dopo l'eccidio delle SA, tutte le forze di polizia passarono nelle mani di Heinrich Himmler, capo delle SS, che nel 1935 organizzò la polizia segreta di Stato, la Gestapo. Le SS e la Gestapo erano i due bracci dell'apparato repressivo totalitario e finirono per formare, con delle Forze Armate proprie, uno stato nello Stato, di cui Himmler aveva l'assoluto controllo. Ci fu una totale integrazione fra Stato e partito, senza alcun tipo di opposizione. La società tedesca venne radicalmente militarizzata. Il processo di nazificazione era basato sull'educazione di bambini e giovani di entrambi i sessi, ad esempio la principale organizzazione educativa era chiamata La gioventù hitleriana (Hitler jugend). Prima del servizio militare obbligatorio, i ragazzi dovevano anche svolgere numerose attività manuali, poiché il lavoro stesso era concepito come un servizio volto alla disciplina e alla vera e propria formazione (sia militare che non). L’OPERA DI PROPAGANDA Il progetto di nazificazione del Paese comportava un'enorme opera di propaganda (sullo stesso modello dell'Italia fascista, o anche della Russia sovietica). Il protagonista di tale opera fu Joseph Paul Göbbels, ministro della Propaganda e dell'Informazione per tutta la durata del regime. Gli intellettuali furono inquadrati in un'organizzazione nazionale, il Senato della cultura, di cui Göbbels assunse la presidenza. I libri degli autori democratici o ebrei furono bruciati dopo le manifestazioni di piazza (che si tennero fin dal maggio del 1933). Tutti i mezzi di comunicazione di massa (in particolare la radio e il cinema) vennero utilizzati dalla propaganda per imporre al popolo tedesco un modo di pensare comune. L'arte moderna, giudicata «degenerata», fu bandita dai musei e molti pittori, musicisti, scrittori, professori universitari presero la via dell'esilio (danno incolmabile per la vita intellettuale del Paese). Sotto la direzione di Göbbels la «cultura» divenne un susseguirsi di grandiose manifestazioni, con scenografie sull'antichità e la gloria del popolo germanico. La ginnastica collettiva veniva usata in queste manifestazioni per sottoporre il popolo a disciplina militare, per imporre l'armonia con la forza. La città prescelta per le maggiori parate del regime fu Norimberga, che ne divenne il simbolo. A Berlino furono invece organizzate le Olimpiadi del 1936 con grande successo propagandistico nonché un significativo riconoscimento internazionale del regime. In Germania, come in Italia, lo Stato totalitario assunse il controllo della produzione cinematografica finalizzandola alla propaganda ufficiale (ad es. attraverso campagne sull'eugenetica e sulla necessità di una politica antisemita, furono condotte con decisione attraverso la cinematografia. LA PIANIFICAZIONE DELL’ECONOMIA L'economia tedesca venne rigidamente pianificata. Un primo piano quadriennale aveva come scopo di risanare la miseria delle masse rurali. Un secondo piano quadriennale invece voleva eliminare la disoccupazione e in effetti ci riuscì, concentrandosi sull'industria bellica: raddoppiarono i profitti, soprattutto nel settore minerario, siderurgico e chimico (cioè quelli classici della grande industria). Tra il 1932 e lo scoppio della guerra ( 1939) l'indice generale della produzione raddoppiò e gli investimenti quadruplicarono. Tuttavia l'industria bellica non fu l'unico oggetto degli sforzi del regime. Fu messa a punto anche una rete autostradale di oltre 3000 km ( la più estesa d'Europa) e fu introdotta un'automobile utilitaria detta macchina del Popolo ( volkswagen), per tutti i tedeschi. Il Ministro dell'economia, Hjalmar Schacht, lanciò quello che lui stesso definì “New Deal tedesco”: esso consisteva in un controllo rigido delle importazioni e in un regime sostanzialmente autarchico. Esso era ben diverso da quello americano, il quale mirava ad aumentare il benessere della popolazione oltre che ampliare i diritti dei lavoratori. in Germania ogni forma di organizzazione autonoma dei lavoratori venne soppressa, e nonostante il populismo della propaganda nazista, le condizioni di vita dei lavoratori peggiorarono, i salari diminuirono, e l'orario di lavoro aumentò. (il populismo consiste nell'adozione di misure e provvedimenti politici che mirano ad ottenere il consenso dell'opinione pubblica, ad esempio riduzione di tasse e controllo sui prezzi di generi di largo consumo ecc). IL TERZO REICH Da quando il partito nazista fu dichiarato partito unico, partito e stato si identificarono. il regime nazista assunse il titolo di Terzo Reich ( Reich vuol dire impero). ( Il primo era stato il Sacro Romano Impero medievale, mentre il secondo era quello dopo la riunificazione della Germania nel 1870). Hitler definì Il Terzo Reich come millenario, convinto che sarebbe durato tempi lunghissimi. il nazismo aveva come principale obiettivo quello di distruggere definitivamente sia il capitalismo liberale sia la democrazia, era volto quindi a creare un regime dispotico destinato a trasformare radicalmente l'umanità e a ristabilire valori gerarchici basati sulla superiorità del Popolo tedesco rispetto agli altri ( soprattutto per quanto riguarda gli ebrei). LE LEGGI RAZZIALI E IL CULTO DELLA RAZZA ARIANA Fin dall'inizio fu noto non solo il generico razzismo dei nazionalsocialisti, in particolare contro gli ebrei, ma anche la loro intenzione di affermare il dominio assoluto della razza ariana nel mondo. Hitler lo aveva scritto a chiare lettere nel suo Mein Kampf e anche Himmler lo aveva asserito come principio sul quale fondare il reclutamento delle SS (in cui voleva «soltanto i tedeschi migliori dal punto di vista del sangue», che avrebbero dovuto unirsi soltanto con donne del loro «tipo»). Era prevista anche una forma di poligamia che favorisse la selezione della razza pura. La statura, per esempio, rappresentava di per sé un segno di purezza razziale (anche se per entrare nelle SS ci si accontentasse di 1,70 m). Vennero anche costituiti dei veri e propri centri di «riproduzione della razza», nei quali uomini e donne volontari, con un albero genealogico di provata stirpe ariana, dovevano generare figli «perfetti». Per i nazisti, la principale minaccia per l'egemonia e l'esistenza stessa della razza ariana era costituita dagli ebrei. Nei primi anni Trenta gli ebrei in Germania non erano molti, ma il loro numero era cresciuto dopo la Prima guerra mondiale con l'arrivo di profughi dalle grandi comunità chiuse e povere dell'Europa orientale. Questi ultimi erano immigrati difficili da integrare, giungevano in Germania in un momento terribile di miseria e di tensioni sociali e andavano ad aggiungersi a una minoranza invece perfettamente integrata, spesso colta, ricca e potente. Ebrei erano ad es. dirigenti del movimento operaio, artisti e intellettuali, banchieri, commercianti e liberi professionisti. Tutti loro erano odiati dai settori più incolti e più fragili della popolazione, cui si unirono le masse popolari, vittime della propaganda di regime. (Gli ebrei erano sempre stati un popolo abile nei commerci, e diffuso un po' in tutto il mondo, infatti in ogni posto gli ebrei tendono a creare delle loro vere e proprie comunità. Inoltre in tutto il mondo, gli ebrei si sono sempre dimostrati abili commercianti e usurai, si sono sempre arricchiti ovunque si trovassero, anche perché come dice Guarracino la pratica dell'usuraio non era possibile per molte culture, rivediti bene questa cosa) L'ANTISEMITISMO E LE «LEGGI DI NORIMBERGA» I nazisti sostenevano che la sopravvivenza dei più deboli fosse deleteria perché i loro discendenti avrebbero inquinato la «razza», in contrasto con la selezione naturale che permette solo la sopravvivenza dei più forti. Proponevano di ripristinare artificialmente la selezione, arrogandosi il diritto di stabilire chi dovesse vivere e procreare. I nazisti individuarono i peggiori pericoli per la purezza razziale nella comunità ebraica, e la prova di tali pericoli era il fatto che l'Internazionale comunista contava parecchi dirigenti ebrei. Fin dal 1933 agli ebrei furono preclusi gli impieghi statali. Nel 1935 furono emanate le prime leggi antisemite, approvate all'unanimità dal parlamento, riunito a Norimberga in occasione di un congresso del Partito (le cosiddette «leggi di Norimberga»), e successivamente precisate e aggravate da ulteriori disposizioni. Gli ebrei erano privati della cittadinanza politica; erano vietati i matrimoni misti, mentre quelli già esistenti venivano sciolti, e vietati anche i rapporti sessuali fra tedeschi ed ebrei; le donne tedesche di età inferiore ai 45 anni non potevano più lavorare alle dipendenze di ebrei. Più tardi agli ebrei vennero vietate tutte le professioni liberali. A partire dal 1935 molti ebrei abbandonarono la Germania, non ostacolati e anzi favoriti dai nazisti, che ancora non pensavano allo sterminio di massa. LA “NOTTE DEI CRISTALLI” Ma la vera svolta avvenne nel novembre del 1938, quando l'assassinio a Parigi del diplomatico tedesco Ernst von Rath da parte di un giovane ebreo forni l'occasione per veri e propri pogrom (sommosse sanguinose contro gli Ebrei), organizzati in tutta la Germania dai militanti nazisti. Decine furono gli ebrei assassinati o gravemente feriti, migliaia gli arrestati, centinaia le sinagoghe distrutte e innumerevoli i saccheggi di negozi appartenenti a ebrei.
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