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Figure della relazione: LIBRO GUARDINI - LIBRO HEIDEGGER, Appunti di Filosofia morale

Figure della relazione: LIBRO GUARDINI - LIBRO HEIDEGGER (manca ultima parte).

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 22/06/2022

Martichris
Martichris 🇮🇹

3.7

(4)

16 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Figure della relazione: LIBRO GUARDINI - LIBRO HEIDEGGER e più Appunti in PDF di Filosofia morale solo su Docsity! Figure della relazione LIBRO 1: GUARDINI IL MONDO Esamina il problema dell’essenza dell’uomo CAPITOLO 1: NATURA E CREAZIONE Nel Medioevo e nel Rinascimento, la natura indicava la totalità delle cose, tutto ciò che esiste prima che l’uomo ne faccia qualcosa, ma forse anche il mondo in cui dovremmo sentire la vita e rapportarci con il mondo. Natura è anche un termine con una forza non indifferente: quando si dice che una cosa è secondo natura e non vi si può obiettare nulla. In quel periodo vi si intrecciano il concetto classico ed il concetto di natura e la cultura classica viene vista come la cultura naturale, cioè un’esperienza di cultura di altissima qualità. In ambito filosofico la natura diventa la realtà religiosa primordiale. Ciò che è naturale è sacro e ciò che è sacro è Dio. L’uomo, in quanto realtà. Appartiene anche lui alla natura in quanto la osserva, la esplora. Da questo stare di fronte si genera una seconda forma dell’interpretazione. IL MEDIOEVO PER GUARDINI NON ERA ALTRO CHE UN MEZZO PER INTERPRETARE LA CREAZIONE DELLE COSE OPERATA DA DIO. Il concetto di natura si trasforma lungo le trame del tempo e coinvolge l’individuo come soggetto. L’uomo vive al suo interno, la esplora, la trasforma, interagisce con essa. L’uomo comincia a percepire la propria natura come custode di qualcosa di grande, di prezioso. L’uomo diventa uomo nuovo e nuovo diventa il giudizio su se stesso e sull’autenticità della persona e della personalità. Tutto ciò che proviene dalla personalità ha valore e l’uomo per condurre un’esistenza giusta deve attingere dal fondo della propria personalità. Natura e soggetto, quindi. Ciò che nasce nel mezzo è l’esistenza, il mondo dell’azione umana e dell’opera umana. L’attività umana si definisce per mezzo di un terzo concetto: LA CULTURA. Cosa accade? L’uomo, essere in grado di compiere opere grandiose, acquista importanza dinanzi alla sua opera, non è più importante soltanto l’opera ma anche chi la compie. L’uomo diventa protagonista della propria realtà forgiando consapevolmente la propria esistenza. Si sgancia da essere servitore di Dio e diventa creatore del proprio mondo, si fa signore della propria esistenza. L’uomo si accinge a costruire un mondo come Con il medioevo, nasce la concezione della personalità, che diviene la nuova misura dei valori e incide sull’intera sfera della vita. La grande personalità esige di essere compresa per se stessa e giustifica il suo operato, con la forza creativa sua propria. Alla domanda posta inizialmente, in che modo esistono gli enti che esistono, risponde come natura, come soggetto e come cultura. L’uomo medievale adorava Dio e obbiettava all’autorità religiosa. Tutto il suo quotidiano era filtrato dal giudizio religioso e con esso egli soddisfaceva e moderava ogni aspetto della propria vita. Dopo il Medioevo, la forza della religione comincia a diventare più blanda. L’atmosfera e il fluido religioso che permeavano ogni cosa cominciavano a sparire, così come anche il desiderio di trascendenza. Cominciò l’attenzione a rivolgersi verso la realtà finita e darle importanza. L’età moderna ha preso coscienza che il mondo è stato nostro, nel bene e nel male, nelle mani dell’uomo e ha vissuto questa responsabilità come se fosse un compito religioso. Probabilmente questo passaggio da una religiosità profonda ad un periodo in cui era la scienza e la tecnica ad essere vista come nuova religione era inevitabile e forse anche necessario. C’è insomma quel passaggio anche di significato della parola CREAZIONE (prima: azione di Dio nella sua accezione biblica / dopo: nuovo significato riferito all’attività della natura e al creare di nuove personalità). La creazione del mondo è creazione in senso puro. Il mondo è un’opera creata consapevolmente, nasce da una libertà perfettamente padrona di sé stessa. Non è un atto necessario ma voluto; è un atto riservato solo a Dio e il motivo di tale atto è l’AMORE. Questa linea di concetti da noi descritta di natura-soggetto-cultura è il più profondo contrasto con il Cristianesimo soprattutto perché ciò che era giusto era dominato da un orientamento dell’esistenza che si opponeva al significato di rivelazione. Questo esprime una volontà chiara, il consapevole intento di un Dio libero. Quindi il mondo non è autonomo, nasce da un atto di Dio, ha le caratteristiche di una storia che Dio va attuando. L’esistenza in quanto totalità, cose, persone, fatti, procede dalla grazia di Dio  lo stesso creare dell’uomo è un atto compiuto per ordine di Dio allo scopo di condurre i mondo, là dove può arrivare soltanto mediante l’incontro con la libertà dell’uomo. La fede nella creazione non ha carattere fiabesco come nella concezione indiana ma è un atto serio. Il creare di Dio è un creare reale perché Dio può rendere reale ciò che pensa. Se il mondo fosse l’opera di un essere imperfetto ciò sarebbe immediatamente percepito dappertutto. CAPITOLO 2: I POLI DELLO SPAZIO ESISTENZIALE Com’è ordinato lo spazio dell’esistenza? Vale il principio della non contraddizione, quello della spazialità, del corpo che si trova in un determinato luogo, non può essere in un altro contemporaneamente. Dove sono orientati i movimenti dello spazio dell’esistenza? N.B. il concetto ‘spazio dell’esistenza deve designare non solo la giusta opposizione delle cose fisiche, il complesso di tutte quelle forme e quei rapporti in cui si svolge la nostra vita: chi pensa e parla. La domanda che si pone è: come è ordinato questo spazio? 1. PERSONA E FORMA: persona significa forma, l’uomo in senso fisico e biologico, cioè inteso con tutto ciò di cui è composto e non è strutturato in tal modo in maniera caotica e casuale, ma è inteso come un intero. Sono forme tutte le realtà nominabili ed osservabili. L’uomo è una forma tra le forme, un’unità tra le unità. 2. PERSONA E INDIVIDUALITA’: l’individuo riconosce la propria identità, vive e si sente parte di un contesto materiale. L’affermazione di sé da parte di un individuo avviene in due modi:  Egli si crea un ambiente, una porzione di spazio personale dove egli coglie ciò che è importante per lui.  La consapevolezza di dover tessere relazioni con altri individui, con coloro di cui ha bisogno per la propria esistenza distinguendosi da essi, però è proprio per essere individualità. L’individuo vive in un ambiente e in uno spazio. L’interazione tra l’interiorità dell’individuo ed il mondo esterno è determinata dalla percezione sensibile e dalla spontaneità d’azione. Quando c’è uno stimolo esterno che produce un’impressione sensoriale, l’individuo è spinto ad agire così come quando c’è uno stimolo interno. L’uomo interagisce con mondo attraverso l’azione sia che il movimento parta dall’interno verso l’esterno, sia dall’esterno all’interno. 3. PERSONA E PERSONALITA’: la personalità è la forma dello spirito dell’individuo che si crea sulla base della coscienza che viene elaborata attraverso la percezione e la comprensione nel senso delle cose. La coscienza vera si ha solo quando la percezione è determinata dalla verità: la personalità è quell’interiorità il cui atto è determinato dallo spirito. Una tale interiorità ha 3 caratteristiche: coscienza, volontà, creatività. La coscienza personale è diversa da quella animale: mentre quest’ultima è l’effetto di un impulso percettivo, nell’uomo c’è una vera e propria consapevolezza del proprio atto percettivo, razionale e valutativo. La coscienza umana ha la possibilità di comprendere i significati e di emettere un giudizio di verità e di valore. L’interiorità della personalità si realizza anche nella volontà. Volontà significa la capacità di procedere da sé in autonomia e in libertà, di valutare personalmente una situazione e di prendere posizione. Ciò che nell’animale è meccanico o istintivo nell’uomo è volontario. L’interiorità dell’uomo si esprime maggiormente nell’arte creativa che lo distingue nettamente dall’animale che produce un’opera per la propria sopravvivenza ma non crea un’opera d’arte dandole un significato. 4. PERSONA IN SENSO PROPRIO: persona significa appartenere a sé stessi. La persona è l’IO, ovvero quell’essere che sussiste in sé e dispone di sé stesso. Persona significa che non posso essere abitato da nessuno perché sono unico e autentico. Qualcun altro può avere potere sul mio essere psico-fisico, ma non sul mio io, su ciò che io sono. Il senso dell’io si perderebbe se lo fosse due volte (incubo del sosia o del cione) o quando la totale identità personale cade sotto il potere di un altro come accade nelle fiabe quando un uomo vende la sua anima. Attualmente la nazione di persone è fraintesa e acquisisce significato solo nel suo aspetto figurale e individuale. Sta perdendo il suo legame più importante, quello con lo spirito. La vita dello spirito si avvale anche di ciò che si nutre verità e bene. Lo spirito si ammala quando l’uomo rinuncia alla verità, quando non si sente più legato ad essa, anzi quando orienta la sua vita per la distribuzione della verità. Si ammala quando rinnega e perde il senso della giustizia, quando smarrisce il senso dell’amore, cioè quello di staccarsi da sé stessi e accettare l’altro, ciò che è diverso da noi e sentire come importante anche il fatto che l’altro fiorisca. Se sparisce il senso di tutto ciò, l’essere stesso non fiorisce più. *in quanto precede si è cercato di costruire il sistema interno della persona e ora si deve indagare se e come questa persona sia condizionata, dall’esterno.* [Persona è quel dato di fatto che suscita lo stupore esistenziale. Essa è il dato di fatto + ovvio di tutti, io sono io, il senso più semplice e puro.] 5. IO – TU: Cosa significa? In che modo l’IO si trova a scontrarsi e incontrarsi con ‘tu’? Si scontra con il ‘tu’ quando vede questo ‘tu’ come oggetto. Quando non considera l’altro come un essere e lo vede soltanto come un oggetto da utilizzare per i propri scopi. Ne ignora totalmente l’essenza. L’altro diventa realmente ‘tu’ quando termina il rapporto soggetto/oggetto e si lascia all’altro lo spazio di esprimersi. Guardini dice ‘ è un ritirare le mani’ come per dire ‘ecco, non ci sono solo io ma ci sei anche tu ed io faccio da parte me stesso per permettere anche a te di essere, di esistere, di manifestarti. Allora lo si imbatte nell’altro ed entra con lui in quel rapporto che si chiama amore, amicizia, fedeltà, responsabilità. Dare all’altro il proprio spazio è il primo manifestarsi della giustizia e la base di ogni amore. Nel momento in cui l’altro non è per me più un oggetto ma è un tu, allora anch’io cambio e non sono più quel soggetto che usa l’altro ma divento quell’io pronto per una relazione con quel ‘tu’. Perché si compia quest’azione occorre reciprocità, anch’io debbo essere quel ‘tu’ per l’altro. Solo essendo ognuno per l’altro, questo ‘tu’, la relazione può essere reale e spiccare. La relazione io-tu ha il suo momento iniziale nella serietà, prendere l’altro sul serio, prosegue poi nell’attenzione e confluisce nella simpatia per cui l’io si muove verso l’altro, gli si fa incontro e si apre. A questo punto io-tu possono incontrarsi nell’amore e nell’amicizia. CAPITOLO 2: IL RAPPORTO PERSONALE Ma l’uomo ha bisogno dell’altro per attuarsi? L’uomo si trova per essenza nel dialogo. La sua vita spirituale è orientata ad essere partecipativa e si attua nella condivisione. Priva di linguaggio e relazione verbale, la vita dell’uomo arriva ad essere chiusura negativa (a meno che il suo silenzio sia mutismo, ma atto consapevole). La vita spirituale dell’uomo si attua nel linguaggio che non è solo un mezzo, uno strumento di sistema di segni di intesa, ma è lo spazio di senso nel quale vive ogni uomo. L’uomo vive nel linguaggio e da esso trae la vita, ma questo va vissuto in maniera bidirezionale. Solo l’altro, il tu che mi parla risveglia in me quello spazio di senso linguistico che già possiedo, una lingua può insegnare ma il linguaggio si risveglia. Anche Dio si rivela attraverso il linguaggio, egli è colui che sa e che parla. Il verbo è il cuore dell’esistenza divina e ciò che crea la realtà attraverso cui il mistero si rivela, Dio non è muto, vive parlando attraverso la parola (fonda la persona), Dio è colui che parla, che si rivolge o colui che è parlato, cioè il figlio, Cristo. L’essenza della persona sta nel rapporto con Dio. Se questo rapporto IO-TU con Dio cessasse, l’uomo stesso cesserebbe di essere persona e diventerebbe di nuovo oggetto. Ciò però non è possibile perché Dio creando l’uomo lo ha direttamente posto come suo Tu e l’uomo con il suo esistere. L’uomo con il suo esistere risponde a questa regola io-tu, a questo gioco dell’essere il tramite, il ponte che crea questo collegamento tra Dio e l’uomo è il Cristo, come ricorda Kierkegaard. La presenza di Dio compare nell’uomo e viene trasmessa come se fosse un tratto caratteriale o fisico di tipo parentale che riappare e riappare di generazione in generazione. Questa presenza di Dio è vista come l’abitazione del Cristo nell’IO cristiano, un legame che porta all’uomo, un’esistenza personale di perfetta chiarezza. Per comprendere questo basti pensare all’esperienza vissuta da Paolo: l’evento di Darmasco.  Paolo che procedeva da solo lungo il cammino religioso ha compreso che da soli non si può fare nulla e sperimenta ciò nell’incontro con Cristo, Cristo entra in lui. Paolo si accorge di essere un uomo nuovo, di vivere una nuova condizione, che gli appartiene di più rispetto a quella precedente. Una condizione che gli provoca prima grande turbamento e poi gli dona una nuova energia. Sembrano una morte ed una rinascita, una rinascita determinata dalla potenza dello spirito santo che ha la possibilità di afferrare e ricreare l’uomo dandogli un nuovo destino. L’esistenza redenta è fondata su questo: il ‘tu’ di Dio incontra l’io dell’uomo attraverso l’attenzione che il Cristo esercita sull’io dell’uomo stesso. Il divenire cristiano significa entrare nel modo di esistere del Cristo. IL CRISTIANO IN QUANTO PERSONA E L’AMORE Qual è l’essenza dell’uomo cristiano? Il cristianesimo è la religione dell’amore. Questo è dimostrato dalle sue caratteristiche anche se la storia ci tramanda di innumerevoli violenze compiute in nome del cristianesimo. Ma non bisogna confondere le caratteristiche di una religione con quelle del singolo individuo, che magari usa la religione in maniera opposta ai suoi dettami. Un cristiano può avere strutture caratteriali differenti: c’è chi è portato al servizio del prossimo ed è benevola e c’è chi si serve della violenza in nome di una causa, anche se è una causa cristiana. Probabilmente il cristianesimo non è identificabile con un atteggiamento definito anche se possiamo definire cristiano quell’atteggiamento che privilegia la persona alla cosa di qualunque persona si tratti, che sia cristiana o no. In che cosa consiste l’amore cristiano? Se iniziamo l’analisi partendo dall’atteggiamento di Gesù, potremmo rimanere spiazzati e forse giudicarlo incoerente e vedere vari controsensi nel suo messaggio, perché il suo amore non rientra in nessuna categoria, appare a volte dolce, a volte tremendo, a volte protettivo, a volte distaccato come quando dice: non sono venuto dalla terra a portare la pace ma la spada. Il grande cambiamento che Gesù chiede con queste parole è la crescita dell’uomo. La spada simboleggia la rottura tra il bambino e l’uomo (l’individuo deve diventare uomo). Il distacco dai genitori e la presenza di un padre più grande. Gesù vuole avvertire l’uomo che è arrivato il momento di crescere e prendere coscienza di qualcosa di nuovo. Anche se la religione cattolica è stata criticata per il suo passato violento e, messa a confronto con le altre religioni orientali può apparire meno raffinata ha sempre, a livelli ed intensità diverse, stimolato l’uomo al pensiero cristiano d’amore. LA PROVVIDENZA LA COSA: Nel saggio sulla cosa Heidegger parte da questa osservazione sull’esperienza della distanza nel tempo e nello spazio. Egli evidenzia come è proprio dei nostri tempi il ridursi delle distanze sia nello spostarsi da un luogo all’altro, sia nell’acquisire delle notizie e sia nel far riconoscere antiche civiltà utilizzando film e la televisione. Heidegger poi evidenzia come la televisione coprirà e dominerà tutta la complessa rete delle comunicazione degli scambi tra gli uomini. Nello stesso tempo egli rileva che questa fretta moderna e postmoderna di sopprimere ogni distanza non realizza una vicinanza. A questo punto egli si chiede che cos’è la vicinanza? Se essa rimane assente anche quando le distanze più grandi si sono ridotte a più piccoli intervalli. Per Heidegger questa situazione del nostro tempo ha qualcosa di più inquietante. Un inquietudine non inferiore a quella che ci prende pensando alle conseguenze dell’esplosione di una bomba atomica. Questo inquietante dunque ha qualcosa di terrificante. Per Heidegger questa paura dell’annientamento in realtà è già operante quando noi ci relazioniamo alle cose e pensiamo ed immaginiamo le cose come presenze. Quando noi concepiamo le cose come presenze, noi sperimentiamo solo un’apparente vicinanza alle cose ma in realtà ne siamo distanti cioè non ne comprendiamo la loro autentica essenza. Allora la domanda che Heidegger si pone è la seguente ‘CHE COS’E UNA COSA? Nel rispondere a questa domanda Heidegger fa un esempio di quella cosa che è la brocca, ed allora che cos’è una brocca? Noi diciamo un recipiente ossia una cosa che contiene in sé altro. Quindi pensiamo al fondo e alla parete della bocca e pensiamo al braccio della brocca che chiamiamo ansa. Però dobbiamo guardare meglio questa cosa e allora scopriremo che la brocca è qualcosa che sussiste in sé e perciò la brocca è qualcosa che non deve essere confusa con la brocca in quanto oggetto infatti diciamo che la brocca è un oggetto quando noi lo rappresentiamo e questo avviene sia nella percezione immediata dell’oggetto sia nel ricordo che lo presenta. Heidegger quindi precisa che dobbiamo distinguere tra la cosa in quanto oggetto e la cosa vista nella sua cosalità’ che egli chiama DAS DINGHAFTE DES DINGES. Ed allora che significa che quel recipiente che è la brocca sussiste in sé? Tornando all’esempio della brocca, Heidegger fa questa considerazione per cogliere l’essenza della brocca non possiamo fermarci al suo aspetto, certo la forma interessa al produttore che deve produrre la brocca ma questa forma che è proprio del modo di vedere di Platone e Aristotele e di tutti i pensatori successivi non ci fa cogliere la bocca nella sua autonomia di cosa. Infatti appartiene alla sua essenza non solo il fondo e le pareti e il manico della brocca ma anche e soprattutto il vuoto, il vuoto senza questo suo vuoto, la brocca non potrebbe essere un recipiente. Quindi il vuoto della brocca determina ogni movimento della sua produzione e pertanto la cosalità del recipiente. Heidegger a questo punto riconosce che il suo modo di riflettere sulla cosa brocca è di tipo poetico, infatti da un punto di vista della scienza fisica e chimica il vuoto non è altro che aria e quindi un oggetto che può essere sostituito da un altro oggetto che in questo caso è il liquido che riempie la brocca. Così facendo il punto di vista della fisica e quindi quello della scienza in generale così concependo il vuoto annulla ciò che è proprio della brocca. Per Heidegger questo annullare l’essenza delle cose è un processo distruttivo che appartiene allo stesso genere di quel processo distruttivo proprio della bomba atomica. Per Heidegger la bomba atomica è un’esplosione (che è solo la più grossolana) di tutte le grossolane conferme di un annichilazione già avvenuta, che è proprio implicita nel modo di considerare scientifico che per sua natura ignora l’essenza della cosa. Quindi per Heidegger bisogna eliminare un equivoco: tale è quello di credere che la scienza fisica colga prima e meglio di ogni altra esperienza il reale nella sua realtà. Per Heidegger questo però non significa che l’essenza della cosa può essere colta tenendosi fermi all’esperienza quotidiana e in un certo senso prescientifica delle cose, infatti in questa incapacità dell’uomo di rappresentare la cosa come cosa c’è qualcosa di molto più importante, per spiegare questa cosa più importante Heidegger riprende il discorso sul vuoto della brocca e fa questa descrizione: la brocca è fatta per contenere ciò che in essa è versato, quindi la brocca contiene in quanto tiene ciò che ha preso. Dunque il vuoto contiene in due sensi: PRENDENDO e TENENDO. La parola contenere ha perciò due significati: -prendere ciò che ha versato -tenerlo Questi due significati sono uniti, ciò che li unisce è la sua funzione del versare. Versare nel caso della brocca è OFFRIRE. Dunque nell’offerta del versare si dispiega il contenere del recipiente, quindi il contenere ha bisogno del vuoto come del contenente. Quindi l’essenza del vuoto è raccolto nell’offrire. L’essere brocca della brocca si dispiega allora nell’offerta del versato. L’offerta del versato può essere qualcosa da bere. C’è acqua, c’è vino da bere, nell’acqua che viene offerta permane la sorgente, nella sorgente permane la roccia e in questa il pesante sonnecchiare della terra, che riceva la pioggia e la rugiada del cielo. Nell’acqua della sorgente permangono le nozze di cielo e terra. Questo sposalizio permane nel vino, che ci viene dato dal frutto della vite nel quale la forza nutritiva della terra è il sole del cielo si alleano e si congiungono. Nell’offerta dell’acqua e nell’offerta del vino permangono terra e cielo. L’offerta del versare da bere ai mortali, essa colma la loro sete, anima il loro riposo. Rallegra le loro riunioni ma l’offerta della brocca viene talvolta offerta anche in consacrazione. Se il versare ha questo senso di consacrazione, esso non calma una sete. Esso quieta la festosità della festa solennizzandola in questo caso, l’offerta del versare non avviene in un’osteria né l’offerta è una bevanda per i mortali ciò che è versato è la bevanda offerta agli dei immortali. L’offerta del versare come bevanda sacrificale è l’autentica offerta. La bevanda consacrata è detta GUSS da GISSEN corrispondente al greco CHEIN e all’indogermanico GHU che significa SACRIFICARE. Quindi nell’offerta sacra si ritrova terra e cielo, i mortali e i divini. Heidegger chiama terra e cielo, i mortali e i divini, i QUATTRO e chiama la loro unione QUADRATURA. Dunque all’essenza della brocca appartiene una quadratura che appunto significa il riunire. Il riunirsi detto anche nell’antico tedesco thing da cui deriva DHINGE che significa cosa. La cosa in quanto riunione dei quattro diciamo che è veramente cosa cioè coseggia. Heidegger procede ad approfondire il concetto di cosa richiamando il termine latino RES ed esaminando queste espressioni: o RES PUBLICA o RES ADVERSAE o RES SECUNDAE Egli mette in rilievo come già nella lingua latina il termine res non significa tanto qualcosa di neutrale o di generico. Infatti RES PUBLICA nel suo significato originario non significa ‘NON STATO’ ma ciò che chiaramente riguarda ciascun membro di un popolo ciò che preoccupa questo membro e che perciò viene discusso pubblicamente. Quindi la parola res mette in gioco un rapporto originario con l’uomo e pertanto RES ADVERSAE significa sfortuna e RES SECUNDAE significa fortuna. In conclusione la parola romana RES indica ciò che concerne l’uomo, in questo senso res è sinonimo di causa, cioè il caso che qualcosa si verifica e si compia. Heidegger precisa che la parola romana trova la sua adeguata corrispondenza nelle parole della lingua alto tedesca e quindi si collega il termine in lingua romana ‘la cosa’ che nel francese diventa ‘la chose’, in inglese ‘thing’ e in tedesco moderno ‘des dink’. Heidegger precisa che non si tratta di discutere tanto di filologia ed etimologia di portare in primo piano la visione romana, greca e medievale e quindi poi kantiana della cosa cioè della res. Questa visione della RES è caratterizzata da un rappresentarsi della RES come ciò che è presente nel senso pro-veniente. Proveniente significa che ciò che è prodotto è rappresentato. In questo modo il significato del REALITAS della res che i romani avevano colto con il concetto di res come ciò che concerne, viene però perso di vista; nel medioevo la perdita di questo significato originario si può vedere nell’espressione ‘ente di ragione’ cioè in questa espressione come evidente si perde di vista l’effettiva concreta dell’Ens cioè dell’ente e perciò viene considerato ente anche un prodotto semplicemente intellettuale. Heidegger continua dicendo che questa trasformazione del significato della parola RES avviene anche per la parola tedesca DINK che viene ad indicare ogni cosa che in qualche modo è, così Meister Eckhart usa la parola DINK riferita a Dio e l’anima. Finalmente si giunge a Kant che nell’espressione cosa in sé intende riferirsi alla cosa non messa in relazione all’attività rappresentativa dell’uomo. In questo senso possiamo dire che in Kant la cosa, in sé non è un oggetto. Heidegger ritornando all’esempio della brocca osserva: la brocca non è una cosa né nel senso della romana RES né nel senso dell’ENS rappresentato nella maniera medievale, né nel senso del pensiero moderno kantiano. Se invece seguiamo l’uso antico della parola tedesca ‘thing’ allora possiamo avere qualche indicazione più illuminante del significato di cosa. E in questa parola ‘thing’ infatti c’è anche il significato di riunire. Se applichiamo questo significato all’esperienza della percezione della brocca allora possiamo dire che appartiene all’essenza della cosa della brocca la funzione del riunire e infatti abbiamo detto che nella sua dimensione sacrificale la brocca fa riunire terra e cielo, i divini e i mortali. Dunque essa riunisce in sé e rende dunque vicino questi quattro che sono di per sé lontani. L’esperienza della brocca ci permette così di portare alla luce qualcosa di essenziale negli enti, in tutti gli enti anche quelli più modesti. Questo qualcosa di essenziale è il nostro sentire l’essere come ciò che ci appella cioè ci chiama ed esige da noi una risposta. Per Heidegger pensare non si riduce a produrre un concetto o una rappresentazione, infatti esso d’essere inteso come risposta ad un appello che ci viene da una realtà che è sempre stata. Questo essere stato della realtà fa sì che il pensare si configuri anche pensiero rammemorante cioè attività che sa fare un passo Riassumendo, la tecnica è dunque pericolo e minaccia destinale cioè la sua potenza ci trascina al di là della nostra stessa volontà di individui e di uomini. Citando un verso di Holderlin, Heidegger dice “che lì dove c’è il pericolo cresce anche ciò che salva”. Ma che cosa ci salva o ci rende degni di poter essere salvati? Heidegger a questo punto richiama il concetto greco di TECHNE. Secondo questo concetto TECHNE era anche la produzione del vero nel bello, nel vero-bello i greci vedevano rispondere la presenza degli dei, cioè il dialogo del destino divino e del destino umano in questa prospettiva l’arte era qualcosa di più di un semplice settore della produzione culturale. Il vero nel bello accade nella poesia. La poesia penetra ogni arte e la stessa condizione umana. Perciò Heidegger ripete il verso di Holderlin che recita poeticamente “abita l’uomo su questa terra”. Ma il poetare è solo un cammino da percorrere e non la soluzione definitiva del problema del rapporto profondo tra tecnica e verità, tra il pericolo e la salvezza. Infatti la disposizione fondamentale da cui dobbiamo essere costantemente presi nel nostro cammino verso la verità è il domandare perché il domandare e la pietà del pensiero. SCIENZA E MEDITAZIONE La SECONDA QUESTIONE riguarda la scienza e la meditazione  che cosa si intende per scienza? La scienza è un ambito della cultura cioè di ciò che è riconducibile dell’attività spirituale creativa dell’uomo. Posta questa definizione, Heidegger rileva che essa è insufficiente per farci capire l’essenza della scienza. Così come è insufficiente definire l’arte come aspetto dell’attività culturale. Infatti l’arte è una consacrazione è tesoro. Nell’esperienza artistica, splende per l’uomo ciò che fino ad allora gli era nascosta è così nell’esperienza dell’arte c’è qualcosa che parla all’essenza dell’uomo. Analogamente è la scienza un modo ed un modo decisivo in cui si presenta a noi tutto ciò che è. Perciò la realtà entro cui l’uomo moderno si muove è co-determinata in maniera sempre più crescente da ciò che chiamiamo scienza occidentale o scienza europea. La prima caratteristica di questa scienza è la seguente: essa ha sviluppato una potenza mai prima conosciuta sulla Terra ed è sul punto di estendere in maniera definitiva questa potenza su tutto il globo terrestre. La seconda caratteristica della scienza moderna è che essa non può essere più fermata da un atto di volontà dell’uomo. Questo aspetto della realtà scientifica sfugge nel suo significato più profondo a quelli che si occupano di scienze quini dobbiamo tornare a domandarci che cos’è la scienza? Heidegger propone di partire da questo enunciato “la scienza è la teoria del reale”. Questa definizione però non vale né per la scienza del medioevo né per quella dell’antichità, infatti la dottrina dei medievali resta essenzialmente distinta da una teoria del reale e resta nettamente distinta dell’amica ‘episteme’ che significa scienza. Tuttavia l’essenza della scienza moderna resta fondata sul pensiero dei greci quel pensiero che a partire da Platone si chiama filosofia: ciò non esclude che la scienza moderna è profondamente rivoluzionaria perché mette in luce un tratto che restava ancora nascosto nel profondo greco di esperire. Fatta questa precisazione Heidegger ribadisce che proprio per capire questo carattere rivoluzionario della scienza moderna è necessario attivare un dialogo con il pensiero dei greci e con il loro linguaggio. Heidegger osserva che questo dialogo aspetta ancora ad essere iniziato. Esso è a malapena in via di preparazione e rimane una condizione per l’indispensabile dialogo con il mondo dell’Oriente asiatico. Tuttavia iniziare un dialogo con i pensatori greci e con i loro poeti non significa affatto voler produrre una moderna nascita dell’antichità né utilizzare il passato per illuminare l’origine storica di tratti del mondo moderno. Infatti Heidegger afferma ‘ciò che è stato pensato e poetato agli albori dell’antichità greca è ancora oggi presente’, è così presente che la sua essenza rimasta chiusa ad esso stesso cioè al presente, ci sta davanti e ci viene incontro da ogni parte, soprattutto e proprio là dove meno ce lo aspettiamo cioè nel dominio dispiegato della tecnica moderna che è completamente estranea all’antichità ma che tuttavia ha la propria origine essenziale proprio in quest’ultimo. Per sperimentare questo presente della storia dobbiamo liberare dalla rappresentazione storiografica che ancora domina il nostro modo di vedere la storia. La storiografia concepisce la storia come un oggetto in cui si verifica accadere che nello stesso tempo la sua mutabilità trascorre e passa. A questo punto Heidegger riprende la definizione di scienza come teoria del reale e si domanda ‘che cosa significa il reale?’, ‘che cosa significa scienza?’, ‘che cosa significa teoria?’… risponde così: Il reale che riempie l’ambito dell’operante di ciò che opera. Che significa operare?  fare e allora cosa significa fare?  si collega alla parola indogermanica che significa porre, mettere. Heidegger poi precisa che il fare non è solo quello dell’uomo ma anche quello della natura, dunque in origine non si contrapponevano. Fare dunque era un pro-porre a sé una cosa, pro-durla, apportarla e condurla nella presenza. Fare è dunque rendere pre-sente. Heidegger a questo punto prende in esame una parola tedesca del linguaggio medievale, questa parola significa produrre case, utensili e opere figurative. Per questa relazione etimologica definisce il reale come operante l’operato, di ciò che è stato condotto alla presenza. Egli quindi precisa che questo significato di reale si trova già nei termini aristotelici. [..?..]PAG.23 Possiamo dire allora che il significato di reale è quello di una cosa presente che se da se stessa si evidenzia. Il reale allora si mostra come oggetto. Heidegger nota che la parola ‘gege-stand’ nasce solo nel XVIII secolo come traduzione tedesca del latino. Egli osserva che questa parola ha un peso particolare per Goethe. Heidegger precisa che questa concezione della presenza come oggetto è estranea sia al pensiero medievale sia a quello greco perciò egli propone di nominare questo tipo di presenza della cosa presente caratteristica del moderno come oggettività. Riassumendo Heidegger alla domanda che cos’è il reale nell’epoca moderna dà questa risposta. Il reale è concepito come oggettività. Rimane a questo punto rispondere la domanda che significa per la modernità, teoria? Il termine teoria viene dal termine greco, il sostantivo che gli corrisponde è teoria. Queste parole posseggono un elevato e misterioso significato. Il verbo theore deriva da THE e ORAO. Thea è l’aspetto, l’apparire in cui qualcosa si mostra a veduta con la quale si offre quindi richiama l’esperienza del teatro. Platone chiama questo apparire in cui una cosa presente mostra ciò che essa è EIDOS. Aver visto si dice EIDANA, questo apparire è sapere. La seconda radice che compare nel verbo THEOREIN è come abbiamo detto ORAO e significa guardare qualcosa, osservare, considerare. Da qui risulta che THEOREN significa THEAN ORAO che significa guardare l’aspetto sotto cui la cosa presente appare. Pertanto questo guardare è un sostare, vedendo presso la cosa. Il modo di vita dedicato al theoren i greci lo chiamano BIOS THEORETICOS che si distingue da ‘bios praktikos’ cioè il modo di vita che si dedica all’agire e a produrre. Heidegger quindi mette in rilievo un’idea molto importante, egli dice che il Bios Theoreticos cioè la vita contemplativa, specialmente nella sua forma più pura, è il supremo agire. In questo senso la teoria è la forma perfetta dell’esistenza umana. Infatti la teoria è una relazione pura con gli aspetti di ciò che è presente; e ciò che è presente risplende e tocca l’uomo perché fa risplendere la presenza degli dei. Heidegger poi rileva che per intendere il rapporto tra teoria e bios nella cultura greca bisogna penetrare la loro lingua. Se facciamo questo scopriamo altri significati del termine ‘teoria’, per esempio scopriamo che il termine thea significa anche dea e infatti a Parmenide la verità appare come una dea. Allo stesso modo seguendo la lingua greca scopriamo che ORA significa anche il riguardo e l’attenzione, l’onore che noi tributiamo. Se noi adesso uniamo questi due ulteriori significati di teoria e di ora che si collegano rispettiva a theoria e orao allora la teoria significa attenzione rispettosa a theoria e orao allora teoria significa  attenzione rispettosa che si porta alla disvelatezza di ciò che è presente. Dunque teoria è il guardare, custodendola, la verità. Perciò all’idea di verità è coessenziale l’idea di custodire. Heidegger trova questa connessione tra verità e custodire nella stessa parola tedesca di verità che è WAHREIT (custodire). Questa nozione antica di teoria è stata persa di vista dai moderni quando parlano della teoria della relatività nella fisica, di una teoria di una discendenza in teologia, di una teoria del diritto naturale nella scienza giuridica Tuttavia bisogna riprendere questo concetto di antico, di teoria per capire la frase che guida queste riflessioni cioè ‘la scienza moderna è la teoria del reale’. Heidegger poi propone di approfondire questo concetto di teoria continuando a seguire il linguaggio e così richiama in causa il latino. I romani traducono THEOREIN con ‘contemplari’ e TEORIA con ‘contemplatio’. Questa traduzione latina fa perdere di vista il significato originario greco di teoria, infatti contemplari significa separare qualcosa collocandolo in una sezione e racchiuderlo in essa. Il termine ‘tempium’ che noi scorgiamo nel termine ‘contemplari’ significa originariamente la sezione del cielo e della terra che viene separata e delimitata. Questa regione del cielo è definita dal corso del sole e all’interno di questo spazio che gli auspici cioè i sacerdoti che fanno gli auspici guardano per stabilire quale sarà il futuro fonandosi sul volo degli uccelli, sul loro modo di gridare e di mangiare. --- Heidegger insiste a chiarire questo punto nel concetto di teoria come contemplari e quindi con riferimento a templum si mette in evidenza un’attività di sezionamento e di separazione. Su questa base la vita contemplativa viene pensata distinta dalla vita activa. Per Heidegger inoltre, nel linguaggio della religiosità e della teologia cristiano medievale, a distinzione tra vita contemplativa
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