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Filologia dei testi a stampa-appunti, Appunti di Filologia

Appunti del corso di filologia dei testi a stampa del prof. Cadioli 2022/2023

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 23/06/2023

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noemi-96g 🇮🇹

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Scarica Filologia dei testi a stampa-appunti e più Appunti in PDF di Filologia solo su Docsity! FILOLOGIA DEI TESTI A STAMPA LEZIONE 1 La filologia è quella disciplina che dovrebbe insegnarci a osservare la verità. Bisogna sapere se quel testo corrisponde alla verità dell’autore o se è stato modificato nel tempo. La filologia va a cercare la verità del testo nel senso che va a cercare la correttezza del testo, l’originalità del testo in rapporto a colui che l’ha scritta. La filologia è anche come un abitus che ciascuno deve indossare nel momento in cui si guarda intorno alla ricerca di una verità che magari viene contraffatta. A fondamento di queste direzioni che riescono a trasmettere gli strumenti della filologia dei testi a stampa. Necessità di interrogarsi per cercare di conoscere più profondamente possibile la verità. In filologia nella maggior parte delle ipotesi riusciamo solo a formulare delle ipotesi che si avvicinano alla verità del testo. Non agire in modo superficiale, spavaldo, cioè senza interrogarsi sulla fonte, cioè interrogarsi su una possibile alterazione del testo. Il testo è un pretesto per una bella riflessione, anche questa linea critica va benissimo. La cosa fondamentale quando si parla della stampa è che il testo viene trasmesso tramite un’edizione. Nel momento in cui il testo arriva in una casa editrice viene predisposta un’edizione. Edizione vuol dire che il testo viene affidato ad un supporto cartaceo. Il testo che viene affidato alle varie stampe, alle varie edizioni, è uguale? (Riferimento slide Divina Commedia). Un testo uscito a stampa non è mai uguale. Nel momento in cui un testo esce in un’edizione non è mai uguale all’edizione precedente. Il testo a stampa trasmette il testo voluto dall’autore. Nel momento in cui si tratta di comporre, anche con caratteri mobili o una tastiera, quindi trascrivendo il testo, gli errori inseriti sono gli stessi del copista che lo ha trascritto a mano. Lectio facilior-> lezione inserita dai copisti che non comprendono quella più difficile inserita dall’autore Il copista realizza un unico manufatto. Nell’ambito della stampa, la composizione dello stampatore moltiplica il prodotto finale. Cosa succedeva nel corso della stampa? Dal momento che le tecniche di stampa erano lente, si poteva fermare la stampa e introdurre correzioni. Il risultato è che alla fine i fogli stampati portavano lezioni differenti. “Specchio delle mie brame” (cit. nelle slide) “Il Gattopardo”-> tra la prima e la seconda edizione ci sono almeno 5 mila differenze. Bassani corregge il testo Garibbaldi-> Garibaldi. La correzione è stata un errore perché il contadino siciliano sui muri scriveva ‘viva Garibbaldi’. Ogni lettura si fonda su un testo trasmesso su un’edizione. Il testo potrebbe essere differente perché l’autore, un redattore o uno stampatore è intervenuto sul testo o per errori in corso di stampa o per interventi o per editing. Il testo si è allontanato da quello che l’autore aveva scritto. Bisogna cercare nei testi stampati che sembrano tutti uguali. Esistono delle tecniche per individuare quelle che sono le trasformazioni di un testo per capire quella che è stata la scrittura dell’autore. L’obbiettivo principale non è l’individuazione del messaggio ma ciò che l’autore ha scritto. L’interpretazione richiede infatti che il testo sia corretto. La domanda è: che cosa ha scritto l’autore? È la stessa domanda della filologia romanza, la quale lavora cercando i legami tra i codici e quindi le possibili famiglie. I volumi stampati anche se apparentemente uguali possono portare lezioni diverse. Durante la dittatura fascista vi era l’obbligo di modificare quei personaggi italiani negativi (es. Assassinio sull’Orient Express ‘Antonio’ diventato brasiliano). La storia delle edizioni si porta dietro tante storie. Che cosa vogliamo raggiungere dell’autore? La volontà ultima dell’autore, ovvero quello che ha scritto come fase finale. Siamo in presenza di stadi diversi di scrittura e dobbiamo riconoscerli. Nel momento in cui riconosciamo una lezione modificata dalla censura, abbiamo due strade: 1- Lasciarla con una nota 2- Sostituirla con la parola originale Di fronte a diverse varianti devo capire qual è l’ultima. Area filologica chiamata Filologia d’autore, che studia la scrittura dell’autore verso la redazione finale. La filologia dei testi a stampa è la traduzione di Textual Bibliography, sezione di un’altra disciplina, Bibliografia Analitica, che ha come centro lo studio della stampa sul piano della produzione in tipografia dei diversi libri. La bibliografia ha come interesse primario le modalità con cui si stampa e le varie modifiche rientrano in quest’area. Se anche in tipografie avvenivano le trasformazioni allora rientra nella filologia d’autore. Producendo materiale relativo alle modalità di stampa studio anche la filologia d’autore. Come il testo si allontana dalla scrittura dell’autore perché è intervenuto uno stampatore o la censura. Ulteriore aspetto: Prassi Ecdotiche Sono le modalità con le quali un testo viene trasmesso, le modalità con le quali viene allestita un’edizione. Scelgo le caratteristiche dell’edizione in relazione ai lettori o agli studiosi che andranno a leggerla. A seconda delle prassi ecdotiche un testo ha un’edizione o un’altra. Manzoni si fa editore di se stesso per la seconda edizione del suo romanzo, pubblicato in fascicoli e dove vengono inserite le immagini. Uno degli errori delle nostre edizioni è l’eliminazione delle immagini. Al centro di tutti questi discorsi rientra la parola edizione. Editore-> colui che cura il testo per la pubblicazione LEZIONE 2 LA TRASMISSIONE DEL TESTO Parini pubblica in modo anonimo Il Mattino. Parini non ha mai pubblicato Il Giorno ma solo due poemetti in forma anonima. Visione slide ‘Alla Moda’ (occhi-occhj). Prendendo esemplari dello stesso testo, usciti dalla stessa stamperia, probabilmente nello stesso giorno, l’autore ha modificato probabilmente la sua scelta iniziale. Ci basta sapere che è intervenuto? No. Noi dobbiamo sapere quale lezione ha scelto come lezione finale. Una parola o un’altra all’interno di un libro sacro può modificare la lettura di un libro, il messaggio. La filologia diventa fondamentale in certi casi. Gli storici della lingua attraverso queste indagini capiscono anche quando si è modificata una certa grafia. Esemplare di pagina andata in tipografia, pagina del Decameron di Boccaccio. Lo stampatore ha usato un’edizione precedente per la propria stampa. Lo stampatore per pubblicare la propria edizione utilizza un’edizione precedente interviene parecchie volte. Se prendiamo l’edizione del 1522 di Manuzio avremo un testo differente rispetto a edizioni precedenti. È ovvio che nel 1522 non è intervenuto l’autore. Princeps-> la prima stampa di un testo STUDIO DELLE PRASSI ECDOTICHE Può rivolgersi: - Alla princeps, alla prima stampa con l’autore che sorveglia o no la stampa del testo. Studio di come il testo è stato pubblicato per i suoi primi lettori - A edizioni successive alla prima, condotte con l’autore presente - A edizione successive alla prima, condotte in assenza dell’autore (a distanza ravvicinata alla princeps o dopo molto tempo). caso dell’Orlando Furioso, escono edizioni che si allontanano sempre di più - Edizioni moderne, per ragioni di studio (edizioni critiche o scientifiche) - Edizioni moderne per ragioni di lettura o scolastiche L’Orlando Furioso ad un certo punto cominciò ad essere censurato nelle sue parti erotiche in due modi: o vennero eliminate alcune parti e quindi ci sono edizioni di un Orlando Furioso ridotto oppure ci furono curatori di edizione che riscrissero loro le ottave erotiche censurandole. Questo ha a che vedere con la trasmissione di un testo che viene trasmesso, censurato, riscritto in alcune parti per ragioni morali in questo caso. Altre volte è capitato per ragioni di tipo politico. Ogni edizione è collocata dentro un contesto storico. Gianfranco Contini scriveva che l’edizione è “nel tempo”. ogni edizione di un testo è in rapporto alle condizioni culturali e letterarie del suo tempo. Ogni edizione che ripropone un testo è legata all’ipotesi di testo formulata dal suo editore, che è a sua volta strettamente correlata alle conoscenze del suo tempo, allo stato degli studi filologici, degli archivi, delle carte. Ogni edizione ha una storia. Ogni edizione di un testo, sia la princeps, sia le successive alla prima, sia quelle che sono sorvegliate dall’autore sia quelle che sono promosse da un editore (curatore) è il risultato di una serie di scelte che possono modificarne le caratteristiche. La ricostruzione dei passaggi che portano a un’edizione, qualunque essa sia, è la ricostruzione di eventi nati da scelte (dell’autore, dello stampatore, della casa editrice, dell’editore che cura il testo da un punto di vista filologico) o che determinano scelte successive: è la ricostruzione di una storia. LEZIONE 3 L’EDIZIONE DEI CLASSICI La trasmissione di un testo è importante, soprattutto per quanto riguarda quelli che sono i classici. Nel momento in cui il testo supera il proprio tempo e anche l’orizzonte dei lettori a cui si rivolgeva l’autore, è necessario predisporre edizioni che si rivolgano a lettori nuovi che a volte sono distanti nel tempo rispetto a quelli a cui era destinata l’opera. Questo diventa più impegnativo nel momento in cui vengono dati a stampa testi che provengono da codici manoscritti. Di Dante esistono circa 700 codici, di lui però non abbiamo nemmeno una parola scritta, nemmeno la sua grafia. Dobbiamo cercare di costruire il testo sulla base di un lavoro filologico, l’ambito di riferimento è quello della filologia della copia. Quando prendiamo una qualsiasi edizione della Divina Commedia, è chiaro che l’editore ha dovuto compiere scelte all’interno del vasto numero di codici a disposizione, selezionando in base a criteri propri le lezioni da inserire. Slide-> edizione di riferimento del testo dantesco. Nel 1555 gli accademici della Crusca hanno deciso di allestire un’edizione della Divina Commedia che porta nel frontespizio ‘ridotta a miglior lezione’. Il problema di dare un testo che fosse vicino a quello scritto dall’autore era un problema sentito. L’idea di ridurre a miglior lezione era più che di tipo commerciale, quella di dare un testo che fosse più corretto. questo testo in realtà già in una successiva edizione dei primi del ‘600 venne ampiamente corretta, riconoscendo che c’erano stati errori di trascrizione. L’edizione di Lombardi contesta ampiamente le scelte dell’Accademia della Crusca, sceglie un codice completamente diverso. L’edizione che esce a Milano nel 1804 prende un incunabolo (un libro stampato nei libri anni della stampa) che è stato stampato a Milano e dice che quest’incunabolo si rifà a codici antichi e che quindi è più importante di quelli usati dall’Accademia della Crusca. Non c’era una visione scientifica, non c’era nessuna idea del perché un codice fosse migliore di un altro. La Crusca utilizza numerosi codici diversi mescolati tra loro. Dante nei secoli XVI-XVII e per buona parte del XVIII era considerato un minore. Chi aveva un ruolo centrale nella letteratura dei primi secoli era Petrarca. Dante viene riscoperto con l’edizione del 1791. Veniva dato maggiore risalto al lavoro di Petrarca. Proprio perché Petrarca è al centro dell’attenzione, le edizioni di Petrarca sono molto numerose. Nel 1470 esce la princeps di Vinderino da Spira. La prima stampa è del 1470 di uno stampatore tedesco, seguita da una stampa di Bartolomeo Valdezocco, solo due anni dopo. Valdezocco cerca di riprodurre una punteggiatura che sia più vicina a quella dei codici che utilizzava. Sulla punteggiatura gli editori intervengono copiosamente. La punteggiatura viene considerata una possibilità di commento al testo. I codici che ci hanno trasmesso il testo dantesco non hanno punteggiatura. Uno dei problemi del testo di Dante è dove mettere la punteggiatura. Petrarca aveva un suo sistema di punteggiatura, aveva dei segni che noi non abbiamo più come i punti in alto. La punteggiatura come la conosciamo noi, con i segni nostri nasce dalla stampa cinquecentesca. Il ruolo che la stampa ha avuto è stato anche quello di introdurre i segni della punteggiatura. Escono numerose edizioni, una delle più note è quella della stamperia di Aldo Manuzio, Venezia 1501. Da notare il titolo ‘Le cose volgari di messer Francesco Petrarcha’. Che testo usano? I codici disponibili erano numerosi, quale scegliere? Come scegliere? Mentre per noi non potrebbe essere diversamente il percorso da prendere se non quello di fare un’indagine filologica. Uno dei criteri era quello di rivolgersi a codici antichi oppure a codici che sembravano compilati meglio, quindi più belli. Una possibile svolta ma che rimare isolata è del 1642 di Federico Ubaldini perché Le Rime vengono estratte da un suo originale. È la prima volte che per dare un’edizione si prende il testo autografo di uno scrittore e lo si riproduce fedelmente. Si pone qui un altro problema, Ubaldini ha riconosciuto in un codice (Codice degli abbozzi, oggi nella biblioteca vaticana con il codice latino 3196) con il quale trascrive quello che potrebbe essere il testo petrarchesco, il testo non è ancora nella sua forma definitiva ma porta in primo piano che si cerca di vedere direttamente quello che ha scritto l’autore. Il codice 3195, cioè il vero codice era stato usato nel ‘500 da Manuzio e quindi circolava ma non c’era ancora l’idea di trascrivere fedelmente da un codice. Questa è la prima riflessione quasi negata dal suo stesso compilatore che non mette il suo nome nel frontespizio. Riflessione da un punto di vista metodologico di rilievo. Queste informazioni erano note ma avere delle informazioni non basta, bisogna saperle usare. Dopo l’uso che ne fece Bembo il codice 3195 scompare nel nulla, nessuno lo vede più, viene ritrovato nella seconda metà dell’800. Il Codice degli Abbozzi era riconosciuto come un codice importante ma era comunque incompleto. Si dice apertamente che non esistendo alcun codice di Petrarca o vicino a Petrarca bisogna usare altre cose. come fanno a scegliere? Edizione importante curata da Lodovico Antonio Muratori nel 1711 a Modena. I testi a penna sono i codici manoscritti. Muratori dice che queste sono state controllate su diversi codici, sono già due secoli e mezzo che c’è la stampa. Ha preso i codici e ha fatto una collazione tra i diversi testi e ha utilizzato frammenti del Codice degli Abbozzi. Diverso il caso dello stampatore del 1747 che dice ‘Le Rime di Francesco Petrarca riscontrate con ottimi esemplari stampati’, il criterio era confrontare codici diversi e tra le diverse lezioni scegliere quella che sembrava essere più vicina all’autore. Dura a lungo questo criterio. I criteri sono non scientifici ma che pongono dei problemi. A questo proposito Muratori fa una riflessione sulla possibilità di mostrare come una lezione possa essere diversa in codici diversi, viene compiuta una riflessione sull’introduzione in alcune edizioni di quella che gli editori dell’epoca chiamano la varia lectio, cioè mettevano in fondo al volume lezioni diverse rispetto a quelle messe a testo. Non si sapeva da dove venissero queste lezioni perché non veniva indicata la fonte; tuttavia, accorgendosi che c’erano differenze tra diversi codici e stampe, le differenze più rilevanti venivano messe in una sorta di apparato. Portare tutte queste lezioni differenti forse non serve a niente se non ad aumentare la dimensione del volume. È più utile agli autori conoscere le varianti o è più utile al lettore? Ecco che si introduce un criterio che dominerà a lungo e cioè vedere le lezioni diverse come istruzione, come modello per chi scrive perché se un grande maestro come Petrarca ha corretto i testi, anche il giovane che scrive deve imparare a correggere i testi, ha quindi una funzione pedagogica. Quello che oggi chiamiamo varianti, prima si chiamavano pentimenti. Dunque, se Petrarca è un eccellente maestro, sapere quali sono le varianti dei suoi testi può essere pedagogico. L’ortografia di un testo antico è incostante. Come trascrivere? È un problema ecdotico, è un problema di dare un’edizione che aggiorni la grafia agli usi e alle conoscenze del lettore o che rispetti la grafia antica. Nessuno utilizza la grafia antica adesso perché non ha senso. Muratori dice anche che introduce lezioni differenti perché in questo modo può entrare nella mente del poeta. Noi non usiamo più questa espressione, usiamo l’espressione ‘entrare nel laboratorio dello scrittore’. La filologia d’autore nasce negli anni ’80 del ‘900 e apre una serie di studi che sono recenti. Quest’idea che attraverso lezioni diverse si possa cogliere una differente scrittura del poeta o del narratore è interessante ma perché è limitata questa osservazione? Perché noi possiamo riconoscere le lezioni diverse dell’autore cercando quelle che sono le lezioni dell’autore. Se noi ci serviamo solo di codici o opere a stampa che hanno lezioni diverse e non sappiamo se vengono dal poeta, dobbiamo fare un passo successivo, capire quali sono veramente le lezioni dello scrittore e quindi sapere qual è il pentimento. La regola è arrivare alle lezioni primitive, anche se sono state cambiate. Muratori dice che dobbiamo cercare di raggiungere il testo corretto, utilizzando anche i codici più antichi. Poniamo le varianti così il lettore può capire quanto anche un grande autore corregga se stesso. Il punto in più di porre le lezioni varianti in un’edizione dell’800 è quella di offrire al lettore la possibilità di scegliere la lezione a lui più gradevole, per questo non vengono offerte le fonti. Queste edizioni di cui abbiamo parlato tornano nel frontespizio. Cercare le edizioni migliori e i testi a penna. Uno dei grandi problemi della filologia e delle edizioni era la recensio, cioè sapere ritrovare i codici che trasmettevano un testo. Quando si trova un codice a penna nuovo viene considerata questa novità come una novità capace di portare nuove informazioni. ‘Le Rime di M. Francesco Petrarca riscontrate con ottimi esemplari stampati, e con uno antichissimo testo a penna’-> i fratelli Volpi si erano messi in società con Giuseppe Comino, stampatore. Siamo nel 1721. Questi fratelli Volpi, professori dell’università di Padova, hanno creato la più importante collezione di classici del ‘700. Sono le edizioni più curate dal punto di vista testuale rispetto a quelle che circolano. Altra grande collana di classici, La Società Tipografica de’ Classici Italiani, fondata nel 1802 a Milano e che pubblicherà fino al 1814. Il nome sta a dire che la loro attività era rivolta alla pubblicazione di opere del passato, in particolare delle opere della letteratura italiana uscite tra la fine del 1200/inizio 1300 e la fine del 1600. Ci sarà una seconda serie, negli anni ’20 che pubblicherà le opere degli scrittori del XVIII secolo. Era un gruppo di giovani letterati, tra cui Giulio Ferraglio, che si unisce ad altri che non c’entrano niente con la letteratura, un ragioniere e altri finanziatori e coinvolge altri letterati milanesi con l’idea che sia importante pubblicare i classici che possano portare all’attenzione dei lettori la lingua italiana. Siamo in pieno periodo napoleonico, nel 1802 dopo il Congresso di Lione nasce la Repubblica Italiana dominata da Napoleone o dai suoi funzionari, nel 1806 si trasformerà nel Regno d’Italia. La presenza così forte della cultura francese spinge questi giovani, che non sono antinapoleonici, alla decisione di fondare una collezione che aveva come scopo la presentazione dei migliori autori e delle migliori opere della lingua italiana, il problema era selezionare autori e opere e offrire fin dall’inizio un programma capace di soddisfare l’esigenza di presentare i migliori autori della lingua italiana e riflessioni specifiche. Il primo grande compito fu quello di selezionare gli autori, anche i minori che avessero la funzione di proporre la lingua italiana nella sua migliore forma o un lessico specifico come trattati sulla pittura o dell’esercito. ricerca il codice ottimo. Ma non lo individuano tramite uno schema ma in base all’antichità o zona vicina a quella dell’autore. Il codice Mannelli aveva una serie di note e commenti e Ferrario riporta anche le note segnalandole con la sigla M. Lettura passo tratto dal libro-> Abbiamo utilizzato una stampa ma dal momento che non erano stati introdotti nel 1755 i passi che la censura aveva chiesto di eliminare, vengono ripristinati. Vengono presi e inseriti, non c’è una ricostruzione particolare. Citazione di Gironi-> non è un discorso filologico. Ha aggiunto una punteggiatura che non c’era nell’originale, ha corretto gli errori dell’edizione londinese. Citazione di Carpani-> cura la Vita di Benvenuto Cellini, pubblicata a stampa in modo molto maldestro e quindi Carpani annota, dopo aver rilevato le storpiature dei vocaboli a volte originali e che quindi bisognava tenere. Carpani sottolinea l’infedeltà della prima stampa rifiutata anche dai curatori dell’Accademia della Crusca. Fatta la recensio, dato che la princeps era prima di valori, bisognava cercare i manoscritti. Ma non si trovano. Cercato il manoscritto a cui aveva fatto riferimento la Crusca, Carpani utilizza un altro manoscritto della Biblioteca di Firenze. Utilizza un solo manoscritto quindi. Metodo di prendere le lezioni di un manoscritto e sostituire quelle che presumibilmente sono scorrette. LA SCELTA DELLA STAMPA DI NIDOBEATO E FEDELTA’ ALLE LEZIONI DELL’INCUNABOLO La scelta è la scelta di una stampa del 1477-78 (La Divina Commedia), una stampa avvenuta a Milano per le cure di un editore dell’epoca noto come Nidobeato, che pubblica un incunabolo che viene considerato tratto da un codice molto antico. Non prendono gli stampatori dei classici, non prendono un’edizione tra quelle esistente, per esempio, l’edizione del 1791 considerata il nuovo punto di riferimento, ma prendono la stampa del 1477-78 e la vogliono trascrivere il più fedelmente possibile. Codice della stampa. Cosa succede quando si prende un testo e si trascrive? Idea di prendere il codice ottimo e di trascriverlo. Esempi di collazione-> lezione della stampa del 1477-78. Verso nell’edizione del 1791 che ha sostituito la Crusca, edizione Lombardi e poi verso della Società Tipografica che riprende fedelmente la stampa di Nidobeato e anche come quel verso è letto oggi dall’edizione critica di Dante per vedere come è stato letto in passato e come viene letto oggi. Come la scelta di un editore può portare un testo come un altro. la scelta coerente è per certi versi corretta. L’EDIZIONE REINA DELL’ORLANDO FURIOSO Incominciò a pubblicare nel 1812 e andò avanti per due anni. Reina riconosce l’importanza e la necessità di riprodurre l’edizione dell’Orlando Furioso del 1532, sebbene utilizzando alcune lezioni innovative di un editore cinquecentesco, Girolamo Ruscelli, che aveva detto di aver trovato un esemplare con varianti introdotto da Ariosto. Degli studi hanno dimostrato che quelle varianti le aveva introdotto Ruscelli. Da quali annotazioni vengono correlate le edizioni fino all’800. qui abbiamo un apparato innovatore rispetto al passato. Ariosto pubblica nel 1516 la prima edizione, la princeps. Nel 1521 torna a pubblicarla con lezioni differenti rispetto al testo precedente. Nel 1532 dà l’ultima e definitiva edizione arricchita e ampiamente cambiata, aveva fatto proprie una serie di osservazioni sulla lingua di Bembo. Tuttavia, nessuno aveva mai pensato di far vedere le lezioni precedenti, ecco la novità dell’edizione di Reina. Sceglie di mostrare l’evoluzione del testo e a differenza di quelle che riportano le varianti senza mettere la fonte, cerca di dare indicazioni anche sulla fonte 1521 o 1516. Problema delle rappresentazioni delle varianti, come indicare le lezioni. La rappresentazione di lezioni diverse deve essere data con un criterio che faccia capire qual è la fonte. Inventa questo criterio, quelle dell’anno 1521 sono segnate dall’asterisco, quelle tratte dal 1532 sono segnate da due asterischi. Quando la lezione non ha niente è del 1516, quando ha un asterisco 1521, quando ha due asterischi è una delle edizioni suggerite da Ruscelli. Reina ha inventato gli asterischi. Reina ha già capito che lavorare sugli autori permette di riconoscere cambiamenti e idee. I pentimenti dei poeti ci indicano un labor rimae. Reina aveva questa sensibilità perché aveva curato nel 1801-1804 le opere di Giuseppe Parini, di un contemporaneo e aveva quindi avuto in mano i suoi autografi. Reina compra tutti gli autografi di Parini quando muore dai suoi parenti. Oggi sono nella Biblioteca Ambrosiana. Lavorando sugli autografi di Parini aveva lavorato sui pentimenti di Parini. Lavorando sull’Ariosto butta lì quella frase ovvero chi studia sulla poesia sa quanto siano utili i pentimenti dei sommi poeti. LEZIONE 5 FILOLOGIA CLASSICA E FILOLOGIA ITALIANA Reina decide di farne un’edizione e si tratta della prima edizione dell’opera completa di Parini che viene condotta da Reina che allora era solo un allievo di Parini. Era semplicemente un allievo che aveva maturato una sorta di devozione nei confronti del maestro ed essendo un avvocato benestante aveva deciso di acquistare gli autografi. Si è ritrovato ad affrontare i problemi della stampa perché qui ci troviamo di fronte ad un autore contemporaneo. Incomincia a pubblicare nel 1801, a distanza di pochissimo. Ha avuto un anno per lavorare, un anno e mezzo. La cosa interessante è che Reina acquistando gli autografi si rende conto che ci sono numerosi rifacimenti, numerosi interventi correttori, ci sono quaderni che non concludono il testo e quindi i problemi che si pongono sono di rilievo. È la prima volta che viene affrontata un’impresa di rilievo con un criterio che vuole tenere conto delle questioni filologiche che in genere occupano gli editori che si occupano di classici. Reina decide di porre un apparato di varianti. Decide di porre nei suoi volumi una fascia di varianti che suscita l’ironia di altri letterati, anche milanesi. È strano anche per i letterati dell’epoca trovare in un’edizione di autore contemporaneo le varianti che l’editore Reina ha trovato nei diversi quaderni da lui acquistati. È chiaro che Reina rivela per l’amore per Parini una sensibilità nei confronti di quella che è la scrittura dell’autore perché ponendo le varie lezioni che ha trovato nei diversi quaderni vuole testimoniare come Parini abbia lavorato sui versi del Giorno anche se non aveva nessuno strumento per affrontare da un punto di vista filologico corretto i testi. Non cita le fonti ma si limita a portare le varie lezioni e interviene pesantemente sulla costruzione dei quattro poemetti ma si trova davanti una situazione testuale complicata. Il Giorno non compare come titolo ma i quattro poemetti distinti. Nei quaderni che Reina trova i primi 30 versi del mattino non ci sono più. Sono 7 i quaderni con tentativi di rifacimento del Mattino. Il Mezzogiorno si intitola Meriggio, manca tutta una parte che secondo Reina sarebbe dovuta essere spostata nel Vespro. Reina prende i versi del Meriggio e li mette lui nel Vespro. La notte non è completa e Reina utilizzando un quaderno sul quale Parini prendeva appunti, prende frammenti diversi e completa lui i versi della Notte. Questa ricostruzione che Reina fa dei versi di Parini viene ripetuta dagli editori fino al 1969, fino a quel momento sotto il titolo Il Giorno viene pubblicato un testo ricostruito da Reina e che non era di Parini. Nel 1969 vengono pubblicati i frammenti autonomi. Reina si trovava di fronte ad una situazione difficile da gestire. Il troppo amore per Parini lo porta a pubblicare versi che non erano pariniani. Rimaneva il problema di come pubblicare i contemporanei. Ha incominciato a farsi strada l’idea che questi materiali, questi testimoni, che portavano lezioni differenti dovevano essere considerati come uno spaccato del laboratorio dell’autore, capire come l’autore avesse lavorato. Reina questo ce lo ha in mente a questo punto. Si affaccia l’idea che si può lavorare sugli autografi per capire come l’autore avesse lavorato e quale fosse il testo finale raggiunto o non raggiunto, come nel caso di Parini. Possiamo pubblicare autonomamente quello che ha scritto dimostrando come per 30 anni ha continuato a riscrivere il testo del Mattino, del Meriggio e poi ha tentato di avviare due nuovi poemetti, il Vespro e la Notte che non ha mai finito. Testimone è il termine tecnico per indicare un supporto che trasmette un testo. Noi abbiamo due quaderni particolari che riportano tutto il Mattino che si caratterizzano per la loro copertina viola e sono stati datati da alcuni filologi fine anni ’60 e altri fine anni ’90. Siamo nello stesso periodo in cui nasce la Società Tipografica. Idea che ci sia uno stretto legame tra filologia classica e filologia italiana. La Biblioteca Braidense diventa nei primi anni dell’800 un centro di studi di produzione editoriale. Quelli che lavoravano a Brera erano Luigi Lamberti, direttore; Giulio Ferrario, fondatore Società Tipografica; Robustiano Gironi, caposaldo della Società Tipografica; Ottavio Morali, grecista e insegnante di greco; Giovanni Palamede Carpani, curatore di edizione della Società Tipografica. Luigi Lamberti e Ottavio Morali sono noti già al loro tempo in quanto studiosi di letteratura greca, Morali era professore di greco a Brera; Lamberti aveva già alle spalle traduzioni dal greco, era noto per avere lavorato con uno dei più grandi studiosi di antiquaria. Luigi Lamberti avviato inizialmente agli studi giuridici, abbandona gli studi che il padre voleva facesse per dedicarsi allo studio delle lingue e in particolare della letteratura greca. Scrive anche autonomamente, fa il poeta, pubblica versi. Frequenta Ennio Querino Visconti e un altro studioso di letterature antiche, Raimondo Unich, che spingono ancor più Lamberti verso studi classici approfondendo lo studio della lingua greca, traduce l’Edipo re. Si forma una cultura del mondo greco-latino notevole. Essendosi schierato con i francesi quando arrivano a Roma e cacciano il Papa, quando nel 1799 torna il Pontefice scappa a Parigi, dove ritrova Monti, Visconti, tutti i romani che sono stati costretti a scappare e anche a Parigi dà alle stampe traduzioni. Da lì a poco nel 1801 viene chiamato a Milano, che ormai è la capitale di una regione legata alla Francia a occupare la cattedra di eloquenza che era stata di Parini e nel 1803 viene nominato direttore della Biblioteca per il suo legame con il regime napoleonico, per i suoi trascorsi a Roma con la Repubblica Romana ma soprattutto per la sua profonda conoscenza delle letterature antiche e moderne. È proprio da Lamberti che viene data una nuova spinta agli studi di filologia classica a Milano. Non c’erano molti studiosi di letteratura classica dal punto di vista filologico. A Milano non c’era l’università. L’università della Lombardia era a Pavia. Nel momento in cui diventa direttore a Brera entrano edizioni di testi classici di rilievo. Con Morali si consolida una scuola, un centro di studi di rilievo. Non è che mancassero a Milano le pubblicazioni di classici latini e greci. Nel 1804 Foscolo pubblica La chioma di Berenice, volgarizzato e illustrato da Ugo Foscolo. LUIGI LAMBERTI (1759-1813) “Osservazioni della lingua italiana raccolti dal Cinonio”. Cinonio indicava uno studioso di lingua che aveva pubblicato queste osservazioni della lingua italiana. È indicativo per sottolineare l’interesse per gli studi linguistici. È un libro interessante, una sorta di dizionario. Qualsiasi parola o particella della lingua italiana viene analizzata nel suo uso e con esempi. Questo volume così tecnico, così legato agli aspetti strettamente linguistici viene curato da Lamberti. Questo gli fa assumere la fisionomia di un linguista che elabora anche una serie di riflessioni e osservazioni di tipo linguistico. Non ha avuto fortuna nella storia della filologia classica per ragioni legate alla scelta di filologi del secondo ‘800 di considerarsi primi, migliori. GLI STUDI SUL TESTO DI OMERO Nello stesso periodo dà alle stampe nel 1807-1808 questa grande edizione dell’Iliade di Omero con uno stampatore il cui nome è Bodoni. Lo dà alle stampe a Parma. Si trattava appunto di Giambattista Bodoni considerato il principe degli stampatori dell’età neoclassica. Era considerato lo stampatore con i libri più eleganti, caratteri più nitidi, i fogli che mostravano equilibrio tra spazi bianchi e scrittura. Non erano edizioni sempre curate da un punto di vista testuale ma sempre edizioni di grande valore tipografico. Questo volume è considerato uno dei grandi capolavori di Bodoni. Lamberti cura questa edizione del testo dell’Iliade, pubblicata in greco. Il testo viene offerto agli studiosi di Omero come una nuova non solo edizione ma come una nuova possibilità di studi testuali perché cerca di mettere a punto un testo il più corretto possibile. Pochi mesi prima della morte Lamberti dà alle stampe insieme a Morali “Osservazione sopra alcune lezione della Iliade di Omero” che spiega perché sono state scelte alcune lezioni rispetto ad altre. IL CONFRONTO CON GLI STUDIOSI STRANIERI stampa? Se la stampa è stata sorvegliata dall’autore, tra l’autografo e la stampa c’è stata una fase di lavorazione durante la quale l’autore può aver modificato il testo. Bisogna però avere la certezza che la stampa sia stata sorvegliata dall’autore altrimenti le modifiche sono da attribuire al tipografo. La differenza è tra lo studio di tipo genetico e le edizioni. Se si vuole scegliere di stampare un testo senza pretese di tipo specifico in genere viene presa l’ultima stampa di un’edizione. Questa è una cosa diversa rispetto all’area di prima, cioè autori i cui testi sono stati trasmessi tramite codici, non conosciamo le fasi di scrittura, dobbiamo avvicinarsi secondo ricostruzione di tipo stemmatico. La volontà dell’autore è raggiunta per vie ipotetiche. Nonostante le differenze tra un esemplare e l’altro di stampa, una volta che si sono collocati temporalmente i fogli a disposizioni noi abbiamo idealmente il testo che l’autore avrebbe voluto. Quando ci accostiamo a un autore come Ariosto e in particolare l’Orlando Furioso sappiamo che dobbiamo cercare nell’edizione del 1532 che Ariosto ha curato direttamente nella stamperia di Francesco Rosso di Ferrara. Oggi ci interroghiamo su un’edizione specifica dell’Orlando Furioso. Ottavio Morali era un sacerdote di origine bergamasca che studiò in vari collegi e durante la prima repubblica cisalpina fece parte della commissione che valutava le edizioni che erano state confiscate nelle biblioteche dei conventi. Siamo alla fine del ‘700, periodo in cui vennero soppressi molti conventi e le biblioteche vennero confiscate e questo favorì anche ampiamente il collezionismo librario, c’erano libri antichi sottratti ai conventi. Nelle librerie di Milano, per esempio, erano molto presenti libri provenienti dai conventi, i collezionisti acquistavano molte di queste opere. Soprattutto Morali si dedicò alla lingua e alla letteratura greca e divenne insegnante al ginnasio di Brera. Era insegnante, bibliotecario, curatore di edizioni, studioso di lingua e letteratura greca. Collaborava con Lamberti con il quale curò la grande edizione dell’Iliade citata la volta scorsa. Lo stesso Lamberti dichiara che fu d’aiuto il dottissimo Ottavio Morali. Una figura con un profilo di studioso alto che stupisce. In varie lettere degli anni ’20 si viene a sapere che Morali divenne censore. C’è una lettera di Monti che lo definisce pedante, noioso. L’ATTIVITA’ EDITORIALE DI MORALI Cura testi del ‘500 per la Società Tipografica. Curò le opere di Annibal Caro anche se non da un punto di vista filologico. Curò le lettere di Annibal Caro che mise in ordine di argomento perché pensavano che servissero a coloro che dovevano scrivere lettere. Non grande filologo per quanto riguarda questi testi. E allora perché nel 1818 esce l’edizione dell’Orlando Furioso di Ottavio Morali? L’Orando Furioso può rientrare negli interessi di Morali perché Morali è molto legato, sodale di Lamberti. Lamberti aveva cominciato a curare l’Orlando Furioso. Reina ereditò l’impegno di Lamberti che aveva abbandonato la cura dell’Orlando Curioso per seguire quella delle Osservazione sulla lingua italiana. Apparato innovativo di varianti presente. Probabilmente una serie di riflessioni condotte da Lamberti, discusse con Morali nelle loro giornate a Brera, lo spinsero a realizzare una nuova edizione già avviata nel 1814-15, a ridosso dell’uscita della stampa di Reina, Morali inizia a curarne un’altra. Edizione in grande formato, stampata in non molte copie, non aveva nessuna pretesa di sostituire le edizioni circolanti. Perché una nuova edizione? Non ci sono testimonianze sul perché Morali abbia deciso di proporre una nuova edizione. Morali che era così vicino a Lamberti ne raccoglie l’eredità per quanto riguarda l’edizione che Lamberti aveva in mente. ma perché? Non bastava quella di Reina che aveva accolto l’apparato delle varianti? La ragione per cui Morali si rimetta a lavorare sull’Orlando sta nella volontà di riportare in primo piano la totale volontà dell’autore. Ecco la differenza tra testi trasmessi da codici e da stampe sorvegliate dall’autore. Solo 40 anni fa si è applicata la filologia dei testi a stampa all’Ariosto. Morali vuole per ragioni filologiche lavorare su quella che deve essere considerata l’ultima volontà dell’autore. Si pone in primo piano una questione filologica che era già ampiamente presente ma qui diventa il centro del lavoro, cioè riprodurre esattamente ciò che l’autore ha scritto. In una prefazione lunghissima, Ottavio Morali sottolinea molte cose relative a questa idea della ricostruzione dell’originale dell’autore. Sottolinea che Ariosto ha corretto e rivisto egli stesso i fogli in mano che uscivano da torchio. Dunque, il genuino testo di un’edizione cotanto rispettabile perché curata direttamente in tipografia dall’autore, avrebbe senza dubbio dovuto essere scrupolosamente seguita ma incominciarono a produrre alterazioni le prime ristampe. Già dopo poco tempo, nel momento in cui si incominciarono a pubblicare nuove stampe dell’Orlando Furioso non più seguite dall’autore, ma curate da singoli tipografi o collaboratori, il testo riproposto aveva subito alterazioni. Tuttavia, man mano che il tempo si allontanava dalla princeps le alterazioni divennero sempre più frequenti. ALTERAZIONI DEL TESTO ARIOSTESCO Morali ha operato quello che fa un editore critico. Prima edizione critica quella di Morali. Morali prese le edizioni dell’Orlando Furioso uscite dopo il ’32, fece una collazione e segnò tutte le alterazioni introdotte. Fece una tabella con alcune edizioni del ‘500, prese 300 casi diversi a campione e confrontò quelli dell’edizione del 1532 con le successive e in questa tabella registrò gli errori che in molti casi sono volute dall’editore. Nessuna delle edizioni successive al ’32 ha seguito il testo. Ruscelli tutte le volte che Ariosto scrive ‘a ciò che’ lo sostituisce con ‘perché’. GLI INTERVENTI ARBITRARI DI RUSCELLI NELL’EDIZIONE DEL 1556 (VENEZIA, VALGRISI) Morali scrive che Ruscelli considera errori di grammatica tutte quelle forme che non corrispondono al suo e quindi le corregge. Esempio della denuncia di Morali di interventi di editori che addirittura considerano il testo di Ariosto ricco di errori grammaticali e quindi lo correggono. E allora cosa bisogna fare? Se è vero che si arriva al ’56 con l’edizione di Ruscelli che interviene ampiamente modificando il testo, tutte le edizioni successive ebbero come modello questa edizione curata da Ruscelli. Di fronte a questa situazione che nessuno aveva denunciato tranne Reina senza la forza di Morali nelle sue parole. Dopo la stampa del ’32 non si è avuto il genuino furioso in nessuna stampa. Riflessioni che ci portano dentro un periodo in cui si comincia a riflettere, portare in primo piano le scritture degli autori, non le scritture trasformate. “Era tempo che una volta finalmente si avesse il furioso attinto unicamente all’unico fonte delle sincere lezioni; il Furioso restituito interamente alle native forme dell’autentica dettatura; il Furioso non del tale, o tal altro editore, o tipografo; ma il Furioso del suo stesso autore, il Furioso dell’Ariosto”. Le indicazioni ecdotiche date da Morali sono a questo punto evidenti, occorre scegliere come solo e unico testo di riferimento l’edizione del 1532, proprio perché sorvegliata dallo stesso Ariosto per lo stampatore Rosso di Ferrara. Ariosto aveva lavorato molto sul testo del suo poema, anche mentre stavano stampando i fogli finali, non solo le bozze quindi. Noi sappiamo che non esistono solo esemplari con uniche lezioni, ma anche esemplari con lezioni diverse. Morali prese un esemplare del ’32 e cercò di riprodurlo. Problema ecdotico da risolvere per Morali con una scelta pratica, prende un esemplare del ’32 e la scrisse. Morali fa sempre riferimento alle alterazioni del testo delle edizioni successive e presenta 300 casi sui quali controlla le lezioni di 12 diverse edizioni costruendo la tabella che dicevamo prima. Queste informazioni che Morali ricava vengono affidate a una fascia ai piedi della pagina nella quale riporta lezioni differenti negli esemplari delle diverse edizioni. abbiamo a che fare con un’edizione critica, nel senso che è possibile seguire come le diverse edizioni hanno trattato singole lezioni. Morali è consapevole anche delle conseguenze che una lezione sbagliata può provocare. Se sto compilando, per esempio, il vocabolario della Crusca e voglio prendere una parola da porre come esempio e scelgo di prenderla dall’Orlando Furioso se attingo a un’edizione successiva al ’32 rischio di prendere una parola sbagliata o non dell’Ariosto. La Crusca ha utilizzato per lo spoglio dei testi ariosteschi e in particolare dell’Orlando Furioso l’edizione del Ruscelli, al punto che viene chiamata edizion di Crusca. Si deve ripristinare il testo originale per condurre studi e indagini in modo corretto attribuendo ad Ariosto non parole non sue. La Crusca non fa la scelta delle edizioni più vicine. Perché si è arrivati a questa situazione? Una delle cause per le quali questo poema non poté andare esente da storpiature furono le cosiddette migliori edizioni dalle quali pare derivassero non pochi Furiosi. Furono tanti gli stampatori che misero nel frontespizio “questa è l’edizione migliore”. Solo che un’edizione doveva essere diversa dalla precedente. Tutte le edizioni fino a quel momento pubblicate sono un mostruoso mosaico di lezioni prese da edizioni diverse. Innovativa l’edizione di Morali anche per queste riflessioni. Si introducono interessanti riflessioni che distinguono le vie da seguire, le vie che il filologo editore deve seguire, in rapporto ai singoli testi pubblicati. Per ogni edizione occorre fare riferimento alla specificità di quell’edizione di quel testo. La stampa se seguita dall’autore assume il ruolo di autografo anche se abbiamo tanti manoscritti. Nella lunga introduzione Morali prende in esame le edizioni del ‘600-‘700 e dice che l’edizione di Reina è fra le migliori, sottolineando che anche quella aveva accolto lezioni di Ruscelli che non erano accettabili. Si chiude così la premessa di Morali e della sua lunga disamina delle diverse edizioni. l’Orlando Furioso diventa un modello. Da questo momento non si possono fare edizioni di letteratura italiana che abbiamo caratteristiche analoghe. Cambiarono le modalità ecdotiche e questa edizione divenne non solo modello per le successive stampe ma anche per come trattare i testi di altri autori. Il volume si conclude con varie tavole, appendici nelle quali prende Morali in esami aspetti specifici dell’opera e li mette a confronto con le diverse edizioni. LEZIONE 7 IL RESTAURO DEL TESTO ORIGINARIO L’EDIZIONE DI ANTONIO MARSAND DELLE RIME DI PETRARCA La successione non è sulla cronologia degli autori ma la serie di lezioni è sulla base della cronologia delle edizioni perché evidentemente l’edizione successiva si avvale degli strumenti messi a punto dall’editore precedente. L’edizione di cui parliamo oggi esce tra il 1819 e il 1820, subito dopo la pubblicazione dell’Orlando Furioso. ANTONIO MARSAND Marsand è di origine francese, entra anche lui sacerdote. Egli è però un predicatore soprattutto nel periodo quaresimale e questo lo porta più volte a predicare a Milano a Sant’Ambrogio. L’incontro con la cultura milanese lo porterà presto a diventare amico di illustri letterati di Milano come Monti ma soprattutto lo porterà a contatto con la città più importante dal punto di vista della pubblicazione e del collezionismo. Importante per Milano la presenza di molti collezionisti anche molto ricchi. Marsand diventa un grande collezionista di opere di Petrarca e di opere su Petrarca. Diventerà il grande collezionista di testi stampati o manoscritti di Petrarca e pubblicherà nel 1825 un volume con tutti i codici della sua biblioteca. Intorno agli anni cinque-sei del 1800 dovette rinunciare alla predicazione per problemi di salute e trovò come nuovo lavoro l’insegnamento e grazie a un saggio che pubblica viene chiamato come professore di economia politica e statistica all’Università di Padova. Del 1815 è il suo Memoria bibliografica…. Quest’edizione di Petrarca è molto pregiata dal punto di vista tipografico, su carta giallina, con illustrazioni. Quest’edizione perché è così importante? Petrarca era diffuso ampiamente nelle librerie italiane ed era praticamente in tutte le grandi biblioteche di collezionisti con esemplari che provenivano dal passato. Che bisogno c’è che nel ’19 Marsand allestisca una nuova edizione non commentata? Le edizioni che uscivano in quel periodo portavano molte note. Marsand si impone da un punto di vista filologico nuovo. Come Morali sosteneva che si fosse allontanato dall’originale ogni editore successivo al 1532, anche Marsand si pone il problema quale testo di Petrarca si stia leggendo con la differenza che Petrarca a differenza di Ariosto non ha seguito la stampa. Ha trascritto le Rime, abbiamo parte degli Abbozzi. Stiamo parlando di un codice che all’altezza del 1819 era scomparso. All’altezza del 1819 esisteva solo un numero alto di codici e le stampe che a partire dalla fine del ‘400 sono state proposte anche con molta frequenza nel corso dei secoli successivi. Solo nella seconda metà dell’800 venne riconosciuto come di Petrarca un codice che era in LEZIONE 8 ALTRI ESEMPI DI SCELTE ECDOTICHE: LE VARIANTI E LA VOLONTA’ DELL’AUTORE Altro caso che porta una serie di nuove riflessioni: il caso di Torquato Tasso e della Gerusalemme Liberata. È il caso di un testo che è stato pubblicato senza il consenso dell’autore. A cavallo degli anni ’10-’20 viene riproposta la gloriosa collana dei classici italiani, che nella prima serie proponeva autori fino a tutto il ‘600. La nuova serie che viene inaugurata con una nuova società nel 1818 si propone di pubblicare gli autori del ‘700 che erano stati esclusi dalle serie precedente in quanto contemporanei. Portare in primo piano autori così vicini nel tempo significa interrogarsi su come utilizzare quei materiali che gli autori possono avere lasciato o che si sono conservati mentre quelli passati si sono perduti nel corso del tempo. è chiaro che più si è vicini nel tempo, più c’è la possibilità di avere una documentazione che può essere una carta autografa. La figura dell’autore in quanto tale non esisteva, l’autore in quanto ruolo affibbiato a una persona si afferma a fine ‘700. La considerazione sociale dell’autore è una conquista del XVIII secolo a seconda dei vari paesi. Non esistendo il ruolo dell’autore non esisteva l’impulso a una conservazione delle sue carte. Il problema degli archivi è un problema di rilievo, nel ’900 si sono conservate anche più carte di quelle di cui abbiamo bisogno. Occorre sapere anche come muoversi sulle carte. Un conto è lavorare su autori fino alla fine del ‘600, un conto è lavorare su autori che sono morti da pochi anni. Lavorare sugli autori contemporanei porta in primo piano quei problemi toccati con le edizioni di Parini. C’erano critiche che criticavano il lavoro di Reina che aveva considerato Parini come un autore del ‘300. La stessa critica viene mossa a Reina da un critico francese, studioso di letteratura italiana, Guinguené, il quale ringrazia in una lettera di avere ricevuto da Reina le opere di Parini. Il critico dice che ci sono troppe varianti per un autore morto da poco. I poeti che perseguono la perfezione correggono incessantemente. Perché mai far conoscere quelle lezioni che gli stessi poeti o narratori hanno considerato superate e che hanno cancellato sostituendole. Se entriamo nel cantiere dell’autore per cercare di capire come è arrivato in quello stadio finale diventano a questo punto fondamentali. Reina risponde in modo interessante dicendo che le varie lezioni non si potevano omettere per non offendere la verità. L’autore ha continuato a lavorare ma non ha mai pubblicato una seconda edizione, sono rimasti i testimoni con i diversi rifacimenti. Dal momento che abbiamo il rifacimento del Mattino con cinque rifacimenti perché devo scegliere un’edizione piuttosto che un’altra. Sono lezioni alternative, indicate dall’autore ma che non ha scelto, non sappiamo quale avrebbe scelto se avesse dato alle stampe una seconda edizione. Dal momento che non è possibile scegliere senza andare in una direzione personale, Reina dice di ristampare l’antico testo mettendo in nota le variazioni. A partire da questo dibattito, Reina riflette e quando viene nominato direttore della seconda serie della collana dei classici della Società Tipografica, in prima persona cura le edizioni e queste riflessioni riemergono. Nuove osservazioni sulle varianti a proposito dell’edizione dei Drammi di Metastasio, 1820. Per dare conto del talento di Metastasio avremmo pubblicato le sue poche varianti ma si convinsero che si potevano tralasciare. Se sono utili le varianti quando non sappiamo quale l’autore avrebbe scelto allora sono un vizioso sovraccarico dell’edizione. È chiaro che a seconda del punto di vista critico si possono usare tutte le varianti o scegliere l’ultima lezione posta dall’autore a testo. È chiaro che nel momento in cui si vuole sapere come ha lavorato l’autore, per capire i passaggi, le idee di poetica, allora le varianti servono perché ci permettono di capire tramite le correzioni quale cambiamento c’è stato. Se si lavora sulle tematiche dell’opera probabilmente non serve sapere la genesi dell’opera. nell’accostarsi a un testo se le varianti sono state lasciate così com’erano allora bisogna conoscerle tutte, se invece è stata scelta si prende quella. Dentro la nuova Società Tipografica dei Classici Italiani non vengono solo stampate le opere degli autori del XVIII secolo ma vengono create anche delle serie autonome che ripropongono le opere della tradizione dei secoli precedenti. Opere della tradizione precedente già pubblicate dalla prima serie. Quando vengono riproposte dalla Società Tipografica negli anni ’20 le opere vengono proposte in edizioni nuove con nuovi criteri. Spostamento del punto di vista da una filologia incerta a una maggiore consapevolezza e quindi vengono riproposti i testi già a suo tempo pubblicati ma con edizioni nuove. LE OPERE DI TORQUATO TASSO STAMPATE DALA NUOVA SOCIETA’ TIPOGRAFICA DE’ CLASSICI ITALIANI Le opere di Tasso vengono curate da Giovanni Gherardini. Era uno dei letterati di punta della Milano dell’epoca, un letterato che aveva già pubblicato sia opere sue sia traduzioni, collaborava con Monti per il grande cantiere della proposta di correzioni al Vocabolario della Crusca, attento a questioni lessicografiche ma anche ad aspetti grammaticali. Sarà Gherardini a pensare a una riforma della lingua italiana, che non andrà a buon fine. Era un letterato che poneva in primo piano tutta una serie di proprie posizioni sul piano linguistico e letterario. Era laureato in medicina ma abbandonò per la letteratura. Pubblicò vari testi di lessicografia. Gli viene affidata l’edizione delle opere di Tasso, non facile perché la Gerusalemme Liberata viene trasmessa da numerose stampe, alcune sono considerate migliori perché vicine alla stesura dell’autore, altre considerate poco attendibili. In particolare, circola nella cultura dei primi anni dell’800 un’edizione pubblicata nel 1794 da Bodoni, con il testo predisposto da Pierantonio Serassi, considerato all’epoca il testo migliore. Non sappiamo se quella stampa di Bodoni possa essere seguita fedelmente perché non sappiamo se sono stati introdotti errori. Quindi prendere sì la stampa di Bodoni ma vedere se ci sono errori. È interessante che l’obbiettivo posto sta Gherardini non sia la lezione originale. ERRORE O LEZIONE D’AUTORE? Meglio lasciare una lezione tramandata da tutte le stampe, anche se errata, piuttosto che intervenire sul testo: ad esempio di gli per le. Gherardini dice che se correggesse sarebbe come Ruscelli, il quale seguiva una propria grammatica. Se l’autore introduce un errore glielo correggiamo o no? La letteratura è piena di errori che si sono tramandati nel tempo. emendarlo può voler dire assumere l’arroganza di Ruscelli, la cosa più corretta è lasciare e dire in una nota che è la lezione scritta dall’autore. IL RUOLO DELLA GERUSALEMME CONQUISTATA Gherardini pone un’altra questione: mentre Tasso è stato poco attendo alla Gerusalemme Liberata a punto da non seguire la stampa, è stato più puntuale nella cura di Gerusalemme Conquistata. Anche Gherardini la considera di minor valora ma sa che potrebbe diventare un enorme serbatoio per correggere le edizioni della Gerusalemme Liberata. Può dare indicazioni precise per capire quello che voleva scrivere l’autore. La Conquistata diventa un possibile testo di confronto e quindi può confermare lezioni discusse o discutibili ma può anche suggerire come cambiare certe lezioni che sono sbagliate. Non è che tutte le volte che c’è una discrepanza tra la Conquistata e la Liberata viene sostituita la lezione. Viene usata la Conquistata per dare una certezza a lezioni che sembravano dubbie. Non si contaminano due testi che provengono da due intenzioni differenti. Non siamo ancora alla filologia moderna ma si pongono ina serie di questioni. L’insegnamento che potremmo trovare è quello dell’intertestualità. Una delle pratiche per riconoscere l’autore di un testo anonimo è quello della stilometria, controllare tutte le parole di un’opera nota dell’autore, se il tasso di frequenza delle stesse parole è uguale allora l’autore è lo stesso. Il ricorso a altre opere dello stesso autore può dare un suggerimento. L’APPARATO DELLE VARIANTI DELLA GERUSALEMME Le lezioni differenti trasmesse dalle stampe della Gerusalemme sono tante. Portare tutte le varianti mostra un lavoro di correzione di Tasso o interventi degli stessi editori. Gherardini dice di porre le varianti per far vedere quanti interventi sono stati compiuti da Tasso per raggiungere la perfezione che egli aveva in testa. L’autore continua a correggere in rapporto al modello ideale che ha in mente e tutte le varianti servono a capire il percorso di trasformazione. Mettendo tutte le varianti si dà la possibilità ai lettori di eleggere le lezioni che più si conformano al loro genere. Alcune di queste potrebbero essere errori portati dai copisti e stampatori. Se il lettore può scegliere come vuole secondo il proprio gusto, l’editore che cura la pubblicazione deve scegliere variando la documentazione in chiave filologica, deve cercare di mettere a testo la volontà dell’autore. Proposta di intervento fondata su ragioni oggettive. La contraddizione ci porta a considerare due livelli di uso per le varianti: la variante per lo studio e la variante per la lettura personale. Tuttavia, se non è possibile emendare con certezza è meglio lasciare tutto com’è. È un invito alla cautela molto serio e preciso e che va contro quelle che sono le pratiche di altri editori soprattutto settecenteschi. Dal momento che deve pubblicare tutte le opere di Tasso, Gherardini affronta anche il problema delle opere di prosa. Anche nel momento in cui si sta preoccupando delle opere in prosa, il criterio è cercare di arrivare alla lezione originale. Ad un certo punto, parlando di un testo pubblicato con molte vicissitudini I discorsi del poema eroico, scrive che una di queste stampe è molto scorretta ma vicina all’autore. Ricorre a questa stampa per controllare certi dubbi che emergono nelle stampe successive. A PROPOSITO DELLE LETTERE POETICHE Il monsignor Bottari non aveva prestato attenzione alla volontà dell’autore, modificava il testo a suo piacimento. Gli importava più la comunicazione che quello che aveva scritto. Anche per quanto riguarda i testi in prosa non si può intervenire secondo il proprio gusto o secondo quello che sembra essere più corretto secondo una norma che potrebbe non essere quella dell’autore. Gherardini fa parte di un gruppo di letterati milanesi che gravitano intorno a Vincenzo Monti e che collaborano con lui nella compilazione di quella grande opera, Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al Vocabolario della Crusca. Monti si oppone al purismo che voleva riportare la lingua al ‘300. Opponendosi a questa idea di una lingua morta, suggeriva l’idea di una lingua in modo equilibrato aperta a voci nuove o a raccogliere anche nuovi lemmi da scrittori che la Crusca non aveva tenuto in considerazione. Opposizione milanese all’idea fiorentina di un italiano esclusivamente fiorentino. Intorno al cantiere della Proposta ruotano giovani e meno giovani letterati milanesi, Gherardini è uno di questi. All’interno del cantiere della Proposta si delinea anche un’idea di importanza della filologia nella pubblicazione delle nuove edizioni. la filologia è chiamata da monti “la sana critica”. Non si può prendere una lezione a occhi chiusi ma occorre con l’occhio della filologia verificare se quella lezione è corretta o meno perché la cieca trascrizione di un codice porta anche la trascrizione di errori dei copisti. Giovanni Antonio Maggi è uno dei letterati vicino a Monti. Maggi scrive se è errore dell’autore bisogna correggere lo stesso. Rispetto alla trascrizione fedele di codici antichi, qui si pone il problema di verificare i codici antichi con la sana critica. LEZIONE 9 DALLA BIBLIOGRAFIA ALLA FILOLOGIA Altro tassello che ci porta direttamente dentro quella che sarà la specificità del secondo gruppo di lezioni. Diffusione in particolare a partire dalla seconda metà del ‘700 della circolazione di cataloghi bibliografici. Cosa si trova in questi cataloghi e chi se ne serve? Questi cataloghi propongono liste di edizioni degli autori maggiori, sono ordinati in ordine alfabetico. In rapporto a ciascun autore troviamo le diverse edizioni delle singole opere. Quadro di riferimento delle stampe per autori che hanno numerose stampe, vengono ricordate quelle che hanno un valore particolare che è dato da alcuni elementi: il primo è il pregio dell’edizione, aspetto tipografico; il secondo è la particolarità di quell’edizione in un campo specifico come le illustrazioni di particolare precisione; un altro elemento è la correttezza testuale, per esempio il catalogo dice che quell’edizione è tratta da quel codice antico e quindi presumibilmente è corretta o l’edizione non ha errori di stampa. Questi cataloghi dedicati a produzioni generali e specifiche vuol dire che sono settoriali. Se noi partiamo dal presupposto che ciò che conta è la stampa indagata in tutte le sue modalità, allora viene a perdere di rilievo la congettura, che era una delle pratiche più frequenti, laddove non si poteva avere nessun tipo di indicazione, il filologo per congettura suggeriva una lezione piuttosto che un’altra. Colombo mette in risalto la debolezza delle congetture. Non dare fiducia alla congettura è una cosa saggia. Un documento vale più di mille ragionamenti, è un dato di fatto. Un altro studioso di bibliografia, Valentino Romani scriveva che la trasmissione del testo è data non solo dal supporto materiale ma anche costruita grazie al supporto materiale. Occorre fondarsi su dati oggettivi e non sull’ipotesi, congettura o sul gusto personale. Siamo alla ricerca di un’oggettività che fa superare la soggettività legata al gusto del filologo. LEZIONE 11 COMPOSIZIONE, FORME E FORMATI Possiamo partire dalla dimensione del volume, il formato. Inizialmente c’è la scelta del formato, poi vengono date al compositore una serie di indicazioni sulla giustezza. Gli aspetti tecnici legati alla composizione dipendono dal formato che si è scelto. Iniziamo dall’aspetto della composizione. Centro di ogni attività è la stamperia dove ci sono sostanzialmente tre grandi momenti: 1- Composizione 2- stampa 3- conservazione dei codici prima della stampa il problema è come pubblicare il testo da dare alle stampe. È chiaro che se il testo è di autore contemporaneo quello che arriva è un testo da stampare. Se il testo è di un autore morto e circolano diversi codici, il problema è quale codice scegliere. Ecco che lo stampatore viene affiancato da un letterato che deve individuare quali sono le lezioni che vuole siano date alle stampe. Questa fase preliminare è fondamentale per quanto riguarda gli studi filologici perché se prendiamo qualsiasi testo latino o greco che viene stampato per la prima volta avremo un numero di codici alto. La situazione viene stabilizzata dal proto filologo, il letterato, e a lungo è diventata di riferimento per le edizioni successive, è quelle che si chiama la vulgata. Da cosa era stato tratto? Dall’incrocio di quali codici? Spesso i filologi classici hanno saltato questo momento del riconoscimento della stampa come di un’importante tappa nella trasmissione dei testi antichi. Lo stesso vale per quanto riguarda autori della letteratura italiana dei primi secoli. È un momento preliminare rispetto a quello della composizione, che porta al compositore un testo fissato con criteri discutibili dato che non hanno a che fare con le norme della filologia moderna. Il correttore, letterato che interviene sul testo per fissare il testo che viene dato alle stampe, il proto filologo. C’era un lavoro di redazione che cercava di sistemare il testo perché fosse ben fatto per la stampa, magari introducendo quei segni tipografici che l’autore non aveva introdotto. Il capo della stamperia a un certo punto venne indicato nel corso dei secoli con il termine di proto (dal greco protos, il primo, il primo operaio). Lo stampatore considerava il manoscritto già sistemato dal correttore, lo analizzava in funzione della composizione e veniva dato in composizione. La composizione tendeva a realizzare pagine da porre sul carro del torchio. Ci sono delle tacchette sul blocco di metallo che servivano a capire il verso della lettera da porre. A volte c’erano più lettere insieme. Davanti alla cassa il compositore pesca dalla cassa, ci sono le maiuscole, il maiuscoletto, le minuscole, le accentate, le doppie. Pescava in modo meccanico dalla cassa, non stava a vedere dove era la letterina e soprattutto quando prendeva il blocchetto di metallo non guardava la lettera. Avevano una certa capacità di composizione in rapporto alla correttezza della collocazione delle lettere nella cassa non facevano errori. Come faceva ad allineare le lettere? Usava una barretta, compositoio, che può contenere al massimo due-tre righe. Prendeva il blocchetto di metallo, lo poneva rivolto da destra verso sinistra, lo poneva su questo compositoio. Una volta che ha composto due- tre righe, prende le righe e le pone in una particolare struttura che si chiama vantaggio, è una sorta di vassoio dove vengono poste le righe. Il numero di righe da porre su questo vantaggio è in rapporto alla dimensione e a come è stato stabilito che debba essere il formato del libro, la dimensione della pagina o il numero di righe che la pagina deve contenere. È importante il lavoro di composizione perché con questo il compositore interviene sul testo e può anche modificarlo in rapporto a quegli errori che sono comuni a tutti quelli che trascrivono. Ci sono anche errori inconsapevoli ma dettati dall’usus scribendi del compositore. È lo stesso meccanismo della trascrizione a mano, viene letta una porzione di testo, tenuta a mente e a memoria viene poi composta. Una volta che è composta la pagina sul vantaggio, la pagina legata con spago viene trasferita sul carro del torchio. Viene trasferita la pagina, possono succedere tante cose nel trasferimento. Lo spago era molle, cadeva un pezzo di composizione, veniva rimesso insieme come capitava. La pagina veniva inserita insieme alle altre pagine che dovevano essere stampate sullo stesso lato del foglio perché il foglio è grande. Non si stampa una pagina per volta. Viene dunque posta sul carro del torchio una serie di pagine corrispondente alle pagine che vanno stampate su un lato del foglio. L’insieme di pagine che vengono stampate su un lato del foglio costituisce la forma. Questa serie di pagine viene impressa tutta sullo stesso foglio, si dice imporre la forma, imposizione della forma, cioè mettere il numero di pagine che devono essere stampate su un lato del foglio. Ben presto per velocizzare la produzione che sarebbe altrimenti stata molto lenta, gli stampatori cominciarono a introdurre più compositori che i torchi e quindi lo stesso testo veniva affidato a due compositori differenti che non trascrivevano le stesse porzioni di testo ma porzioni di testo differenti che una volta trasferite sulla pagina avrebbero dovuto essere contigue. In termini tecnici si chiama casting off, ovvero lo stampatore suddivideva le parti di testo suddividendole ai vari compositori, in genere due ma nelle grandi officine di stampa potevano essere di più. se nella pagina ci sono due righe bianche, ad esempio, una delle possibilità era allargare le righe, vuol dire che allo stampatore mancava materiale da comporre. Differenza di compositore significa che i due compositore potrebbero avere abitudini diverse. Ci sono compositori che usano grafie difformi tra loro e dunque possiamo riconoscere la diversità dei compositori. Prendiamo il caso che il compositore si ritrova un testo più lungo rispetto a quello che ci sta e quindi a questo punto fa dei tagli o delle modifiche. Se ci sono delle righe strettissime vuol dire che il compositore aveva troppo materiale. Intervenivano i compositori sul testo non solo per ragioni di conoscenza ma anche per ragioni meccaniche, il fatto che ci stesse sulla pagina da comporre il testo assegnato. Non sempre le porzioni di testo stanno correttamente nello spazio che i compositori hanno a disposizione. Come devono essere collocate le pagine sul foglio? Occorre stabilire quali pagine devono essere messe sul torchio. Se ho quattro pagine da mettere sul torchio dovrò collocare la pagina in modo che composto il libro la successione delle pagine sia regolare. Dovrò mettere la pagina 1-4-5-8 e l’altro compositore 2-3-6-7. Una volta che la forma è posta sul carro del torchio viene inchiostrata, dopo di che vengono chiuse le pagine da telai in modo da potere porre sopra la pagina senza che l’inchiostro sbavi sui margini bianchi. Se non ci fosse un telaio con un feltro che salva i margini bianchi li avremmo sporchi di inchiostro. Il torcoliere fa scendere il foglio e stampa la pagina. Il formato è in rapporto alla dimensione del libro che lo stampatore vuole stampare. Il nome dei formati è dato da un numero salvo i primi due formati detti ieri, l’atlantico e il foglio, gli altri formati sono caratterizzati da un numero. Come agisce lo stampatore per realizzare il formato dal momento che ha a disposizione un foglio che ha le misure standard. La carta era in tre misure. Per ridurre il formato e arrivare al formato in foglio devo avere il foglio piegato una volta ma non posso stampare il foglio piegato, devo stamparlo intero. Quante pagine dovrò mettere per stampare il foglio da un lato e dall’altro? due pagine da una parte e due pagine dall’altra. Le due pagine che vanno stampate su un lato e le due pagine che vanno stampate dall’altro vengono poste sul carro e creano la forma. Il formato in foglio ha quattro pagine perché piego una volta e quindi la stampa per ogni lato del foglio avrà due pagine. Il formato in foglio ha due carte che prendono il nome di carta 1 retto, carta 2 verso. se voglio ridurre ulteriormente farò due pieghe, le due pieghe del foglio mi portano ad avere 4 carte, ecco perché si chiama in quarto. Traduciamolo in pagine, quante ce ne vorranno su un lato del foglio? 4 pagine. Nell’imposizione della forma metterò 4 pagine per un lato, poi tolgo le pagine stampate metto le altre quattro pagine e stampo l’altro verso. devo impostare le pagine che mi permettono, una volta piegato il foglio, di avere la successione. Questo è un modello di formati e forme. Si chiama forma esterna quella che ha la prima e l’ultima pagina (1-4-5-8) e forma interna quella che ha le pagine 2-3-6-7. Il formato in quarti ha quattro carte e 8 pagine. Fino a quando si è imposta la stampa digitale il problema è quello che viene qui presentato. La forma è esattamente la stessa. Prendiamo il formato ottavo, il problema è sempre quello delle pieghe. Questo formato avrà 3 pieghe per avere 8 carte. Il foglio che deve portare il numero di x su un lato e y sull’altro. sedici pagine, otto pagine su ogni lato del foglio. Lo stampatore dovrà mettere otto pagine sul carro del torchio. Che numeri devono avere? La forma esterna porta la prima e l’ultima pagina e la forma interna le altre. le pagine complessive sono sedici. La forma esterna porta i numeri 1-4-5-8-9-12-13-16. nella forma interna c’è il 2-3-7-10-11-14- 15. Le pagine nella forma vanno contrapposte l’una all’altra. L’errore dell’imposizione, ovvero il fatto che non sia stata contrapposta la pagina, fa sì che una volta piegato il foglio la scrittura sia rovesciata. Si contrappongono così che la scrittura sia nella stessa direzione. Parliamo della forma e quindi delle pagine che sono stampate su un lato del foglio. L’unità base della filologia non è la pagina ma la forma. Dobbiamo considerare come unità le pagine che erano collocate nella stessa forma. Dopo aver stampato i fogli e sciolto la forma ci si accorge di un grave errore per esempio sulla pagina 4, come faccio a correggerlo? Bisogna ristampare l’intera forma, bisogna ricomporre la forma. Noi dobbiamo ragionare in rapporto alle pagine che sono collocate, imposte nella stessa forma. Dovrò cercare di ricostruire da un punto di vista cronologico quale stampa è stata stampata prima e quale dopo. Proprio perché occorre correggere errori a volte rilevanti e che non si voleva circolassero, se è già stampato un lato e l’altro del foglio, veniva rifatta la forma di un lato e la forma dell’altro, sostituito l’intero foglio e il termine preciso del foglio da sostituire si chiama cancellandum e il foglio nuovo si chiama cancellans. Cosa se ne faceva dei fogli sostituiti, i cancellanda? Venivano venduti. Se c’è già il fascicolo piegato con l’errore bisogna ricomporre le due forme. La filigrana è una lettera, un disegno, che si può vedere ponendo il foglio di carta contro luce. I cartari erano soliti mettere un filo di ferro nella pasta della carta che disegnava un animale, una corona o altri simboli o le lettere della cartiera. La filigrana può essere rappresentata dal giglio, ogni cartiera aveva le sue filigrane. Secondo studi recenti la filigrana aveva una durata limitata. Lo studio delle filigrane permette di dire che tipo di carta è quella utilizzata per le stampe. Se tutta la stampa della Ventisettana avevano il giglio e altri la corona, questi sono sostitutivi perché portano una carta diversa. LEZIONE 12 Quando parliamo della minima base per la filologia dei testi a stampa dobbiamo fare riferimento alla tecnica di cui abbiamo parlato la volta passata. Esempio-> Forma esterna del foglio quinto esterno nell’esemplare veronese. Sono contrapposte le pagine. Piegando il foglio poteva essere sia la paginazione doveva essere successivo, sia la collocazione del testo doveva essere regolare. Nel momento in cui avevamo il foglio stampato per poterlo utilizzare nella realizzazione del volume e cioè rilegare insieme le pagine, occorreva prendere i singoli fogli, piegarli e realizzare un fascicolo. Viene piegato il foglio un numero x di volte in rapporto alla dimensione che il volume deve avere. Con il numero di piega diminuisce la dimensione e aumenta il numero con il quale viene indicato il formato. il foglio piegato una LEZIONE 13 EDIZIONE, IMPRESSIONE, EMISSIONE, STATO Quattro concetti fondamentali che ci permettono di studiare il volume. Si definisce ESEMPLARE ogni volume che esce stampato da una stamperia. Una delle questioni aperte nell’ambito della filologia è la questione della terminologia con la quale si indicano atti, procedure, oggetti. Difficoltà di definire qualcosa in modo univoco. Quando parlo di esemplare in questo contesto parlo di un volume uscito dalla stamperia. Vediamo il primo dei concetti: EDIZIONE. Anche qui edizione è un altro termine comune. noi diciamo edizione per indicare le caratteristiche della casa editrice o della collana a cui appartiene un volume. In filologia dei testi a stampa edizione è un’altra cosa perché viene definita edizione un’entità collettiva che riguarda l’insieme degli esemplari che escono sostanzialmente dalla stessa composizione tipografica. Tutti le stampe che escono dalla stessa composizione tipografica. Ciò che indica l’appartenenza alla stessa edizione è il fatto che la composizione tipografica da cui viene la stampa è la stessa, ovvero le stesse forme composte in quel momento. Quindi abbiamo il compositore che compone e realizza forme. Tutte le stampe che escono da quelle forme appartengono alla stessa edizione. Questo vuol dire che se tre giorni dopo aver smontato le forme, lo stampatore decide di fare una stampa e ricomporre tutto, il fatto che si ricompone tutto fa sì che ci si trovi davanti ad una nuova edizione. Con termini recenti potremmo dire che appartiene ad una stessa matrice, in termini contemporanei allo stesso file. Questo ci permette di indicare che tutti i volumi che riconosciamo stampati dalla stessa edizione hanno caratteristiche analoghe. C’è però quel sostanzialmente. Qual è quel qualcosa che non è così nell’edizione? Il fatto che la forma può subire dei cambiamenti sia perché viene corretta sia perché si rende necessario un suo rifacimento. Ricomporre una forma o ricomporre più forme non cambia l’edizione. La correzione di alcune forme non cambia l’appartenenza del volume alla stessa composizione. Mentre in Italia la filologia è nata sulle opere di Dante, in Inghilterra la filologia trova un impulso misurandosi con le opere di Shakespeare. Lo studio presente nel first folio ha messo in risalto che i compositori erano numerosi, 5 o 7. I compositori erano differenti e ciascuno di questi portava delle proprie caratteristiche linguistiche. Le caratteristiche particolari della grafia di ciascun compositore sono rintracciabili nelle diverse sezioni di cui si compone il first folio. Tutti i volumi seppur con cambiamenti provengono dalle stesse mani, dagli stessi compositori. Quando ci sono altre caratteristiche scopriamo che c’è stata un’altra edizione simile ma non identica. Alcuni studiosi hanno quantificato che si può parlare di stessa edizione se il 70% delle forme non viene modificato. Nel momento in cui viene rifatta una porzione molto più ampia di composizione o viene rifatto tutto il testo si parlerà di nuova edizione che può essere la seconda, la terza, la quarta, ecc. La nuova edizione che nasce da una ricomposizione totale va studiata perché può portare a rifacimenti significativi. Un esempio è la seconda edizione de Il Mattino di Parini, ad un certo punto il testo slitta in avanti perché è stata aggiunta una nota. Se una composizione viene realizzata in Inghilterra e la stampa avviene negli Stati Uniti presso un altro editore come consideriamo l’edizione? Ci sono studiosi che lo indicato con lastrazione. Cambia tutta la questione di tipo bibliografico, amministrativa, legale a una sigla editoriale. Da un punto di vista testuale i due volumi appartengono alla stessa edizione anche se appartengono a editori differenti. I libri fallati vengono presi e cambiati. I libri fallati sono quelli in cui ad esempio si ripete un fascicolo. Un esempio è Se una notte d’inverno un viaggiatore. IMPRESSIONE Impressione è il termine tecnico per indicare la stampa. Tutti gli insiemi degli esemplari che escono dalla stessa impressione appartengono appunto a un’entità. Se ho la mia composizione, la metto in stampa, finisco la tiratura però non smonto le forme, le tengo. Fra sei mesi il libro che ho stampato è andato esaurito e vado a prendere le forme che ho tenuto via e faccio una seconda impressione. Abbiamo due impressioni della stessa composizione. Quello che gli editori moderni chiamano edizioni in realtà sono nuove impressione che hanno anche un termine nel nostro linguaggio corrente, RISTAMPA. I FLANI erano pellicole usate per successive impressioni. Nel corso dell’impressione il torchio poteva essere fermato e potevano essere introdotte correzioni, non è detto che gli esemplari appartenenti alla stessa impressione sia tutti uguali. Appartengono alla stessa impressione perché la stampa è avvenuta nello stesso momento. Appartenenza a uno stesso atto tipografico, l’atto della composizione e l’atto dell’impressione. EMISSIONE Questo concetto ci porta a considerare ancora una volta un insieme degli esemplari. Questa volta si tratta di esemplari che sono accomunati da un aspetto di tipo commerciale. Sono quegli esemplari messi in vendita nello stesso momento. L’emissione non ha nulla a che vedere con la stampa, è una questione commerciale, di vendita. Se quei volumi che hanno la stessa composizione, quindi la stessa edizione, ma hanno due impressioni diverse perché una in America e una in Inghilterra hanno anche due emissioni diverse. È facile capire se è un’altra emissione perché in genere cambia il frontespizio e cambiano i dati editoriali di vendita. STATO È il più importante perché è quello che ci dà le indicazioni sulle modifiche avvenute nella forma. Definiamo come stato la condizione in cui si trova la forma in un determinato momento. Ma se il compositore cambia una lettera la forma non è cambiata, è cambiato il suo stato. Ad esempio, ‘casa’ sostituito con ‘cara’ o una virgola che mancava o qualsiasi intervento richiesto per una maggiore precisione di stampa. Ogni modifica introdotta sulla forma, non importa la natura di quella modifica, genera un nuovo stato della forma. Le modifiche che vengono apportate sulla forma prendono il nome di VARIANTI DI STATO. La variante di stato è un criterio bibliografico, non filologico. Il filologo è interessato alle varianti d’autore. Le varianti di stato sono relative a qualsiasi intervento sulla forma. A noi interessa quando la variante di stato coincide con una variante d’autore. Se la virgola l’ha aggiunta l’autore è sì una variante di stato ma anche una variante d’autore. Quando questa modifica è introdotta dall’autore coincide con la variante d’autore. Esempio-> Che molto mi nacciando ai gigli d’oro-> Che molto minacciando ai gigli d’oro (Orlando Furioso) È stato introdotto uno spazio che non ci vuole, lo stampatore ha fermato la stampa e ha unito le due sezioni. Altro esempio-> Ne le battaglie e ne spessi conflitti-> Ne le battaglie e ne fieri conflitti Anche questa era una variante di stato perché è stata modificata la forma ma è anche una variante d’autore perché l’autore è intervenuto. Se noi conosciamo il procedimento con il quale si lavorava in tipografia, sappiamo che dobbiamo riconoscere le varianti di stato e riconoscere in queste le varianti d’autore perché sono queste che interessano al filologo. ‘Mi nacciando’ e ‘spessi’ sono solo in due esemplari cartacei mentre le altre due lezioni sono in tutti gli altri esemplari. Essendo dentro la stessa forma, nel momento in cui ha cambiato ‘mi nacciando’ ha cambiato anche l’altra parola. Viene prima quella con l’errore e viene dopo quella che è nella forma corretta. Una delle regole della filologia è l’economia, quella più economica solitamente è la scelta più corretta. C’era un errore e mentre si correggeva è stata cambiata la parola. La scelta tra due possibili soluzioni in genere va nella direzione della scelta più economica. È stato risolto anche il problema temporale perché se ci troviamo davanti a lezioni modificate dall’autore è chiaro che gli stati della forma modificate successivamente portano le ultime volontà dell’autore. Quando sappiamo che ci sono possibilità che l’autore sia intervenuto bisogna andare a vedere con la collazione degli esemplari. Nella filologia dei testi a stampa se incrociamo i dati di tutta la forma, considerando come unità non la pagina ma la forma, quindi tutte le pagine comprese nella forma, forse si riesce ad arrivare a dare una scansione cronologica anche ad interventi correttori. Come intervenivano in stamperia sulla forma? Quando ci si accorgeva di un errore o quando l’autore voleva modificare qualcosa si interveniva sulla forma togliendo i caratteri da cambiare e inserire i nuovi. Il compositore doveva calcolare se le lettere nuove stavano nello spazio oppure se era necessario modificare lo spazio. la forma poteva essere ricomposta quando era stato tutto stampato e l’autore voleva cambiamenti rilevanti e quindi era necessario sostituire il foglio e questo voleva dire ricomporre le forme. Ricomporre perché la forma era già stata sciolta. Le pagine sulla forma erano fermate dai cunei. Quando era richiesto di rifare la forma veniva ricomposta perché l’autore interviene in modo molto rilevante. Esiste una macchina per collazionare. Si mette un volume su un piatto a destra e un volume su un piatto a sinistra e guardando dentro il visore e attraverso giochi ottici si ha la sovrapposizione totale della pagina. si nota subito se le lettere non coincidono. LEZIONE 14 INTERVENTI D’AUTORE IN TIPOGRAFIA L’autore che segue l’impressione del proprio testo appartiene ormai all’epoca della stampa consolidata: è il caso dell’Ariosto. L’autore che pubblica a stampa è ormai fuori dal contesto della trasmissione attraverso codici manoscritti (anche se continueranno a essere prodotti e a circolare copie su codici manoscritti). L’autore in tipografia ha la possibilità di continuare a correggere il proprio testo fino all’ultima fase dell’impressione, correggendo sulla forma (e a volte anche oltre, con rifacimento di fogli). Se l’Ariosto va a stampare in tipografia ha accettato che il suo libro sia portato ai lettori attraverso la stampa, siamo nel ‘500, sono passati pochi decenni da quando la stampa è stata introdotta. Questi decenni sono sufficienti affinché la stampa sia accolta da molti autori. Non finisce l’epoca della trascrizione manoscritta, si continua a trascrivere codici manoscritti, sono situazioni di passaggio che durano anche numerosi decenni. La stampa non ha chiuso la circolazione manoscritti, ci sono manoscritti che vengono copiati dalla stampa. In una situazione di passaggio fluida, situazione che non viene determinata in modo netto. Sono diverse le ragioni per cui trascrivono. Per esempio, un lettore desideroso di avere i testi non acquistando il volume ma facendoselo prestare lo copiava. Ci sono diverse lettere che lo attestano. Questo vale per il ‘500, continueranno ad essere copiati manoscritti per ragioni di censura. È chiaro che nel corso del ‘500 e nei secoli successivi la stampa è già affermata. Non necessariamente la stampa in questi secoli è sorvegliata dall’autore. è necessario compiere delle indagini per capire se l’autore ha sorvegliato o no la stampa del suo testo. Possiamo cercare negli epistolari. C’è una lettera di Foscolo a Bodoni del 24 ottobre 1802 a proposito della princeps delle Ultime lettere di Jacopo Ortis. L’autore ha dovuto fare da compositore, torcoliere, proto, legatore. Questa affermazione vuol dire che tutta la produzione del romanzo è stata sorvegliata dallo stesso scrittore. Ci interessa sapere questa presenza perché l’autore in tipografia ha la possibilità di correggere il proprio testo. C’è la possibilità fino al momento in cui è stato stampato l’ultimo foglio di una forma di intervenire. Abbiamo dei libri dei quali non sappiamo quando sia stato introdotto il cambiamento. Ariosto fece stampare gli ultimi fogli volutamente utilizzando una carta con una filigrana differente e qualche millimetro più grande. I fogli venivano impilati, se è presente un foglio un po' più largo si individua subito e si individua realizzare un ideale volume. La realtà del foglio stampato e l’ideale dell’autore che avrebbe voluto stampare. Noi non lavoriamo su un esemplare ideale ma reale. L’esemplare ideale non esiste perché le edizioni che conosciamo portano errori, correzioni, interventi che cambiano da forma a forma. non c’è un esemplare che porti tutte le correzioni. Partendo dal presupposto che abbiamo esemplari che portano lezioni differenti si tratta di fare uno studio sull’ultimo stato della forma. dati un numero x di esemplari, studiando i singoli fascicoli, ci si può accorgere attraverso la collazione di quali fascicoli portano le ultime lezioni. A questo punto si tratta nella costruzione del nostro esemplare ideale di prendere i fascicoli che portano le ultime lezioni e metterle insieme. Questo dovrebbe essere il percorso che segue anche l’editore se vuole pubblicare il testo più corretto dell’autore. In filologia contrapposizione tra chi vuole ricostruire il testo e chi si affida al migliore dei codici già esistenti. L’opposizione tra la ricostruzione e la pubblicazione di un codice che viene considerato ottimo potremmo farla arrivare al discorso di oggi. Ricostruiamo il testo o prendiamo un’edizione già esistente? Questo lavoro è necessario se oggi pubblichiamo il testo di un autore del passato. In passato non avveniva così. La filologia ricostruttiva è recente. I testi vengono trasmessi da secoli. Dobbiamo anche vedere come sono stati trasmessi. Analizziamo oggi gli aspetti delle edizioni successive alla prima. Nella princeps abbiamo il risultato della prima stampa che può essere o meno sorvegliata dall’autore. in che modo lavoriamo ponendoci il problema della prima stampa e delle successive? intanto diciamo che per la maggior parte dei titoli che ci sono stati trasmessi dal passato noi abbiamo solo una stampa. Certi volumi non sono mai stati pubblicati in una seconda edizioni. le stampe successive alla prima possono essere separate in due grandi categorie: 1- le edizioni successive alla prima che sono comunque sorvegliate dall’autore che può introdurre modifiche 2- le edizioni successive alla prima che sono indipendenti dalla volontà dell’autore perché è morto, perché è indifferente oppure non sono più riconducibili all’autore perché c’è un redattore che interviene. L’autore potrebbe essere vivo e l’edizione potrebbe non avere rapporti con l’autore perché illegale, non autorizzata. Circolavano in passato numerosissime edizioni che vengono chiamate edizioni tigrate (?), senza l’autorizzazione dell’autore. I Promessi Sposi del ’42 è un’edizione successiva sorvegliata dall’autore, lo stesso vale per l’Orlando Furioso. A noi interessano le edizioni pubblicate con l’intervento dell’autore. Si tratta di capire chi è intervenuto e come. Contini scriveva che “la corruzione è per definizione progressiva nel tempo”. Nella prima edizione del Don Chisciotte che esce alla fine del 1604 anche se compare con la data 1605, nel capitolo XXV Sancho ricorda che gli è stato rubato l’asino e ringrazia chi glielo ha rubato, nel XXIX è dispiaciuto. Nel XLII l’asino è presente, dimenticandosi del fatto che l’asino era stato rubato. Numerosi lettori e critici si accorgono dell’incongruenza e nella seconda edizione Cervantes interviene introducendo due episodi che raccontano come l’asino fosse stato rubato e come ad un certo punto fosse stato ritrovato. Solo che non si accorge di un altro luogo nel quale dice l’asino è presente quando ancora non era stato ritrovato. Tra il capitolo in cui lo rubano e quello in cui lo ritrovano c’è una frase in cui si dice che l’asino continua ad essere cavalcato. Alcune edizioni non autorizzate si erano accorte e avevano provveduto a cambiare il testo. Questi interventi sono necessari per stabilire un equilibrio alla storia. Il testo verrà pubblicato poi ufficialmente in una nuova edizione con le nuove correzioni. Ci possono essere edizioni successive alla prima mancate, cioè l’autore ha corretto il testo in previsione di una nuova edizione ma questa non c’è stata. Ci sono tanti esempi. Cosa facciamo delle postille se dobbiamo ristampare il testo? Queste sono varianti alternative. L’autore avrebbe anche potuto cambiare idea se avesse dato alle stampe una nuova edizione. Tendenzialmente in questi casi si dà conto di quelle che sono le alternative che l’autore aveva pensato. L’editore è libero, non esiste una regola. Leopardi corregge su fogli sciolti l’ultima stampa dei suoi Canti, corregge anche ampiamente i suoi versi perché ha in mente di pubblicare una nuova edizione a Parigi. In teoria noi dovremmo pubblicare l’edizione Starita, del 1835, con le postille dell’autore. è molto importante avere la correzione anche se non sarebbe stata la definitiva. I Canti vengono stampati secondo quella che è la Starita corretta. Esistendo un volume totalmente corretto, cosa pubblicare? È possibile mettere le correzioni in nota. Il fatto che l’autore abbia corretto ma che non sia arrivato alla stampa crea un problema filologico. Quando l’autore corregge il proprio testo in vista di una nuova edizione, la domanda che sembra inutile è ‘su quale testo porta le sue correzioni?’. Quando nel ’16 Foscolo manda alle stampe Ortis con le correzioni non sappiamo quale esemplare usi. Ci sono anche edizioni che paradossalmente provengono da stampa illegali, non autorizzate. Vengono promosse da illegali a stampe d’autore. Vediamo le lezioni differenti che rovinano il testo dell’Orlando Furioso. Sono esempi puntuali di come edizioni successive all’edizione curata dall’autore allontani il testo con errori e modifiche. LEZIONE 16 Per decenni è stata indicata come prima stesura, come fonte, come antigrafo, un manoscritto che oggi gli studiosi più avvertiti indicano come copia. In che modo secondo Stoppelli che sostiene di essere il manoscritto originale quello di Macchiavelli? È stato riconosciuto come originale in base all’analisi interna del testo, in base allo stile, alla lingua, a quegli elementi che sono propri dell’autore. esiste uno studio che si chiama stilometria in base al quale vengono messi in un database tutte le parole di un testo e in base alla frequenza delle occorrenze si riesce a stabilire l’autore di un testo anche se anonimo. Le edizioni successive alla prima come vengono costruite e come si fondano? Il caso di Vittorini Uomini e no è interessante perché esce nel 1945, a ridosso della fine della guerra, il libro viene dato a Bompiani ed esce in poco tempo. un libro molto caratteristico che aveva come struttura l’alternanza di capitoli in tondo e in corsivo. Nei capitoli in corsivo venivano posti i pensieri dell’io narrante ma anche le sue fantasie, come i pensieri che attribuiva alla donna amata. Era un libro troppo difficile per quell’epoca probabilmente soprattutto nell’ambito della cultura comunista che voleva portare tutto a tutti. Nella seconda edizione Vittorini cancella tutti i corsivi, alcuni vengono ricondotti alla narrazione in tondo, l’altra parte dei capitoli in corsivo viene tolta, il libro cambia. Nel 1960 esce una terza edizione, ecco il problema dell’antigrafo. Vittorini per pubblicare la terza edizione prende un volume della seconda e inserisce un capitolo che in precedenza nel ’45 era in corsivo e lo inserisce in tondo. Rispetto all’edizione del ’49 c’è un capitolo in più che è sempre in tondo. Sulle carte d’autore non c’erano le virgolette di apertura e chiusura dei dialoghi di questo capitolo perché era tutta una fantasia del narratore che pensava questo dialogo. Il redattore pensando fosse un errore ha inserito i segni del dialogo. Il redattore ha cambiato il testo perché le virgolette introducono un dialogo reale quando invece era nella mente dell’autore. nel ’65 siamo alla quarta edizione, Vittorini prende un volume della seconda edizione, lo spagina e ripristina molti dei capitoli in corsivo dell’edizione del ’45, reintroduce i capitoli in corsivo, non tutti, a volte li cambia ma li introduce una struttura che propone i capitoli in tondo per la vicenda e quelli in corsivo per le riflessioni. Nel ’65 ritorna l’alternanza tondi e corsivi caratteristici della prima edizione ma non è lo stesso libro. Quel capitolo che aveva tutte le virgolette viene proposto senza virgolette perché erano un errore introdotto in sede di stampa. Le trasformazioni da un’edizione all’altra mutano la natura di questo testo. Visione delle famose note di Foscolo sui Sepolcri. Le note portano le tracce di una versione precedente. Foscolo aveva dato a Monti i Sepolcri e questo verso ( ‘Con la mesta armonia’ modificato in ‘E la mesta armonia’) era identico ad un verso scritto da Monti. Se prendiamo la seconda edizione vediamo che la nota è stata modificata, la stessa nota porta un testo diverso. se ci concentriamo solo sulla seconda edizione e successive ci perdiamo la precedente redazione che è stata superata. Le Ultime lettere di Jacopo Ortis della prima edizione non porta lo stesso testo della seconda perché vi era un altro clima politico. Nel ’16 può dichiarare tutto il suo antinapoleonismo. È cambiato anche il gruppo di lettori a cui si rivolge. Quando inizia a scrivere le lettere il romanzo era un romanzo d’amore. Il romanzo viene pubblicato senza che Foscolo lo sappia con il titolo ‘Storia di due amanti infelici’. Dopo 15 anni, non era più lo stesso sia per l’atteggiamento politico, sia per la sua scrittura. Viene quasi sempre pubblicata quella del 1816 che porta la sua ultima volontà. Se vogliamo pubblicare il romanzo più vicino ai lettori che voleva raggiungere bisogna pubblicare quello del 1802, che è quello più vicino alla scrittura avvenuta tra il ’98 e il 1802. Del 1802 ci sono ancora le lettere. Ad un certo punto nel ’16 introduce una dichiarazione nel suo romanzo dicendo che era uscita un’edizione nel 1801 quasi a voler dire che c’era stata una censura. Ricordiamo che Foscolo era un imbroglione. Nel 1813 esce un’edizione di un testo che contiene alla fine Odi e Sonetti. Aveva scritto ‘La sete d’oro’, nell’edizione del 1813 è sostituita da ‘L’umana strage’. Questa edizione non è particolarmente considerata, è un’edizione che raccoglie in modo composito i Sepolcri di Foscolo, i Sepolcri di Pindemonte, i Sepolcri di Torti, ha una dissertazione sulla poesia lirica che è la traduzione italiana di una dissertazione in latino. Questo libro è ricchissimo di cose. in fondo ci sono le Odi e i Sonetti. Il cambiamento citato prima non è stato introdotto per errore. Lo stampatore non può cambiare un verso così, allora è lui, Foscolo. Allora ecco un’edizione che segue altre che ci sono state ma che ci porta in primo piano l’intervento dell’autore. necessità di controllare, collazionare le edizioni successive alla prima perché finché l’autore è vivo o consapevole potrebbero esserci degli interventi. Ci sono nuove edizioni che vengono realizzate dallo stesso autore su testi che pubblicati senza autorizzazione portano errori. La nuova edizione della Bassviliana del 1821 è stata condotta dallo stesso autore monti su una stampa non autorizzata. CARDUCCI E IL TIPOGRAFO DI NUOVE POESIE Quando Carducci scrive La Tomba del Busento, una poesia che racconta la morte di un re barbaro che deve essere sepolto dentro il letto del fiume. Non è una poesia di Carducci ma una poesia tradotta da Carducci da un autore tedesco. Quando pubblica questa poesia nel volume Nuove Poesie, una raccolta del 1873, scrive in una nota “avrei voluto che la strofe della traduzione apparisse stampata in forma di distico composito, come apparve la prima volta che la pubblicai; ma il tipografo, che ha anch’egli le sue ragioni estetiche, non ha voluto”. La prima volta è stata pubblicata con il verso lungo come l’originale tedesco, pubblicandola in volume il tipografo non ha voluto rispettare il verso lungo. È diventato una quartina, erano due versi lunghi. Questa poesia che è stata scritta in distici compositi per ragioni tipografici è diventata una poesia in quartine. La prima volta che questa poesia compare è con il verso lungo, quando esce in volume è trasformata in quartine. In tutte le successive edizioni della poesia Carducci ha sempre riproposto solo la quartina. Se oggi noi dovessimo ripubblicarla la riproporremmo in quartine. Non basta dire torniamo alla prima. Quando non è stato più costretto non è comunque tornato indietro. Dobbiamo indagare e poi decidere. Carducci non era un poeta sprovveduto ha sempre curato in maniera minuziosa i suoi testi. Non esiste in filologia uno standard in base al quale possiamo dedurre criteri di comportamento fissi. Dobbiamo interrogarci sulla specificità di quel testo e capire quali strumenti usare. Non esiste un prontuario in base al quale si adotta un criterio uguale per tutti. Nel ‘900 si moltiplicano le edizioni anche per la facilità con la quale si moltiplicano essendo tutto meccanico. Gli autori del ‘900 continuano ad intervenire sui testi che hanno già pubblicato anche per la facilità con cui è possibile allestire nuove stampe, cambia il rapporto tra lo scrittore e la casa editrice. Si hanno rapporti con l’editore che ha in mente i lettori che vuole raggiungere. Non ci sono autori del ‘900 che ripubblicando i loro testi non abbiano compiuto interventi. potrebbe a sua volta avere delle varianti di stato. Se noi prendiamo quella del ’53 di Agostino potremmo considerarla un’innovazione introdotta nell’edizione B. anche la seconda edizione può avere delle innovazioni d’autore che generano esemplari diversi all’interno della stessa edizione. Ci saranno esemplari della seconda edizione che hanno una stessa lezione e altri che hanno un’altra lezione. Uno stampatore che voleva riprendere quel testo e lo prende da una seconda edizione può avere come antigrafo un volume che porta una lezione o un volume che porta un’altra lezione. Esistendo due stati diversi C e D pur provenendo da B siano diverse tra loro. Non stiamo parlando di errori ma lezioni differenti. Abbiamo la possibilità che A e B siano molto diversi perché provengono da O (originale) e ne possiamo avere due diversi O1. Dei Sepolcri non abbiamo l’originale, abbiamo solo la stampa. Dall’originale dei Sepolcri è nata la princeps A. immaginiamo che dopo avere scritto e dato alle stampe il testo lo scrittore lo abbia corretto e modificato e abbia creato un altro originale O1 dal quale deriva B. Come ragioniamo in termini di stemma quando abbiamo una traduzione di codici copiati nella quale si inserisce la trasmissione a stampa? Esempio di Iacopone. Da un possibile archetipo, originale perduto abbiamo due subarchetipi dai quali provengono tutta una serie di ulteriori codici, in particolare la distinzione è stata fatta tra le raccolte sillogi. Da questi possibili due rami che discendono abbiamo poi alcuni codici che possediamo. C’è un’ampia tradizione di codici manoscritti realizzate in aree geografiche e quindi linguistiche differenti. Dentro questo stemma di codici, dove si colloca la stampa? La prima stampa avviene nel 1490 per ser Francesco Bonaccorsi in Firenze. Quali codici utilizza Bonaccorsi? Dallo stemma possiamo vedere che la stampa si colloca sulle sillogi umbre e contamina diversi codici. Colui che ha allestito la stampa per Bonaccorsi utilizza un codice e lo confronta con altri per creare il testo che viene dato alle stampe. Dentro lo stemma codicum si inserisce la stampa bon. Nel momento in cui viene stampato un testo, il testo stampato viene diffuso trascurando tutto quello che c’era prima e dal testo stampato si crea una vulgata. Bisogna vedere se le stampe vengono tutte dalla princeps di Bonaccorsi o se derivano da altro. lo schema sta a dire che dentro lo stemma dei codici manoscritti a un certo punto si può collocare la prima stampa. Alcune stampe possono provenire da codici diversi, bisogna studiarle. Prendiamo lo stemma dell’Orlando Furioso. Nella considerazione tradizionale noi potremmo dire che è tutto molto semplice. Dalla stampa del 1516 deriva la stampa del 1521, da cui deriva quella del 1532. In realtà non è così. In realtà dovremmo dire che la stampa del 1516 è stata corretta su un esemplare che non possediamo A1 sul quale erano state portate le correzioni dell’Ariosto, quindi era l’esemplare corretto. l’antigrafo è l’esemplare corretto che noi non abbiamo e che viene chiamato A1. Ne deriva da questo esemplare corretto B, l’esemplare del 1521. Noi sappiamo che Ariosto ha corretto un esemplare del 1521 quindi in tipografia non è andato un esemplare della seconda edizione ma un esemplare della seconda edizione ampiamente corretto. sappiamo anche che la terza edizione C porta 6 canti nuovi e ci sono dunque anche delle aggiunte, sarà dunque B1 l’esemplare corretto + le carte nuove, i canti nuovi. Dobbiamo individuare l’antigrafo che non abbiamo. Però sicuramente c’era l’esemplare corretto che aveva in più l’aggiunta di carte autografe. Honoré d’Urfé (1568-1625). L’Astréè è il suo romanzo senza fine. Nel 1607 viene stampato a Parigi una prima redazione. Nel 1610 dopo che ha dato un secondo stato testuale al suo romanzo viene pubblicata la nuova redazione nel 1610 sempre a Parigi in cui l’autore è intervenuto sul testo. Una nuova revisione ha dato origine a due stampe, una di Micar in ottave, la seconda in quarto sempre di Micar. Una serie di edizioni che proseguono con stampatori diversi che a distanza di qualche anno continuano a proporre la stessa opera. ci sono stampatori di Lione che prendono l’edizione di Parigi e la ripropongono. Da questa edizione del 1612 deriva anche un altro ramo che porta all’edizione del 1618. Questa edizione del 1618 non deriva dall’edizione del 1614 ma lo stampatore è andato a prendere l’edizione del 1612. Dall’edizione del 1614 deriva anche l’edizione del 1630-31. Questo stampatore crea un ramo che prosegue fino al ‘900. LEZIONE 18 Le nuove condizioni tecniche, non magari immediatamente, ma affermandosi consolidandosi negli anni cambiano anche le modalità di pubblicazione quindi le modalità ecdotiche, quindi, cambiano anche quelle che sono le indagini, quello che riguarda il nostro lavoro ideologico perché non possiamo più fondarci sulle conoscenze che avevamo della tipografia cinquecentesca. Le indicazioni dal punto di vista tecnico relative alla stampa in una condizione di composizione manuale e di stampa manuale non valgono più nel momento in cui la composizione meccanica e la stampa assume altre forme. Nuove tecnologie di composizioni di stampa. Ancora Manzoni nel 1840 si serviva delle macchine tradizionali e questo ha permesso di intervenire ampiamente nel corso della stampa della Quarantana. C’erano macchine nuove, Manzoni nel contratto aveva richiesto che venisse utilizzata una macchina di particolare grandezza, il torchio stanhope creato alla fine del ‘700, un torchio che poteva utilizzare fogli molto più grandi, poteva stampare su una superficie più grande. Questo portò a cambiare le tecniche di stampa. Una forma viene stampata su un lato del foglio ma con questo torchio che aveva una superficie molto più ampia, il torchio poteva stampare due forme sullo stesso foglio. Se abbiamo due forme sullo stesso foglio e tagliamo il foglio a metà abbiamo raddoppiato la produzione. Questo era successo con i Promessi Sposi della Quarantana. Era ancora una composizione manuale, viene accelerata la parte di impressione, vantaggio dello stampatore ma non modificava le modalità con le quali veniva impostata la forma o le possibilità di intervento dello scrittore in corso di stampa. Verso gli anni ’80 dell’800 venne introdotta una macchina che permetteva una radicale modifica nella composizione perché non richiedeva più che il compositore scegliesse nei singoli comparti della cassettiera le lettere da unire una all’altra per formare le parole, le frasi, i periodi. Non serviva tutto ciò perché questa nuova macchina fondeva direttamente il carattere nel momento in cui una nuova figura di compositore batteva sulla tastiera. Non c’è bisogno più del compositore che sceglie i singoli blocchetti di metallo e li allinea. Il compositore siede ora davanti ad una tastiera e quando preme un tasto mette in funzione un meccanismo in base al quale viene creato direttamente il carattere. La tastiera mette in funzione una fusione di metallo che viene fatto colare su una matrice in modo da creare il carattere. La monotipe, singolo carattere, venivano creati singoli caratteri che la macchina allineava uno per uno in una riga la cui lunghezza era determinata dal compositore. Dal punto di vista della composizione meccanica è molto diverso il nuovo procedimento. Questa nuova composizione che sarà anche approfondita dal punto di vista del modo in cui viene realizzata. Dal punto di vista della memorizzazione della frase non cambia il procedimento che spinge il compositore ad acquisire una porzione di testo e a trascriverla e quindi ci sono gli stessi errori che poteva fare prima. Non ci saranno più errori determinati dalla cattiva collocazione di un carattere posto su uno scomparto e non in un altro. Non sarà più l’errore di pescare il carattere sbagliato ma di battere il carattere sbagliato. Gli errori sono comunque presenti. Quando andiamo a vedere la composizione che sia composta in un modo o in un altro potrebbe essere secondario. A noi interessa se il testo è stato trascritto correttamente o no. Di nuovo c’è l’usus scribendi del compositore. Fino ad una certa data tutto ciò che arrivava al compositore era scritto a mano. Di nuovo c’era il problema di capire la grafia del manoscritto ricevuto. Le nuove condizioni tecniche non magari immediatamente ma affermandosi negli anni cambiano anche modalità di pubblicazioni, modalità ecdotiche, cambiano quelle che sono le indagini. Non possiamo più fondarci sulle conoscenze che avevamo della tipografia cinquecentesca. Condizione nuova dettata da nuove trasformazioni per quanto riguarda la composizione della stampa. Fino a qualche anno fa la monotype si trovava nelle tipografie per i manifesti e le partecipazioni di nozze. Presto sostituita da una nuova macchina chiamata linotype. In una sola macchina tastiera e compositrice. Apparato produttivo che ripropone in una sola macchina il meccanismo spiegato prima. Nel momento in cui il compositore si trova davanti ad una tastiera battendo sui tasti avvia un meccanismo sul quale si fonde il metallo, viene fatto colare in una matrice ma ecco la grande novità, viene fatto colare in una matrice che non crea più un singolo carattere ma un’intera riga. Deve sapere la lunghezza della riga, deve calcolare quante parole ci stanno ma una volta completata la riga quella riga diventa la matrice per un’intera riga in piombo. Cosa cambia? Dal punto di vista dello stampatore cambia la velocità. Dal punto di vista della composizione l’errore da correggere richiedeva il rifacimento dell’intera riga e quindi dal punto di vista dei costi poteva essere più costoso se il rifacimento di righe era numeroso. Veniva fatto pagare allo scrittore il rifacimento delle righe. cosa comporta questo sul piano testuale? Comporta che quando lo scrittore introduceva sulle bozze correzioni che riguardavano numerose righe, quelle correzioni venivano o ignorate o ridotte per far sì che non venissero rifatte tutte. A volte quello che possiamo trovare nel testo delle bozze dell’autore non lo troviamo nel testo stampato perché lo stampatore per non spendere l’ha tolto e quindi si crea un qualcosa di diverso. La linotype accelerò il lavoro, introdusse una nuova modalità perché non occorreva avere a disposizione tutti i caratteri necessari. Agli inizi del ‘900 quando Benedetto Croce nel 1909 avvia la produzione degli Scrittori d’Italia, Giuseppe La Terza, un piccolo stampatore di Bari, dice a Croce che si procurerà i caratteri necessari. La linotype fa sì che non è necessario avere i caratteri disponibili in stamperia perché il carattere veniva fuso nel momento in cui il compositore batteva sulla tastiera. Il problema era avere il metallo per fondere, i piombi. Le nuove condizioni tecniche non immediatamente ma consolidandosi negli anni, è un cambiamento che permette paradossalmente la nuova tecnica di composizione facilita l’intervento del compositore. Se abbiamo davanti un testo e lo leggiamo e ci pare che ci stia bene una virgola in un punto, basta schiacciare un tasto. È più facile intervenire perché basta scrivere come scriviamo sulla tastiera. Oppure se il compositore sbaglia preme il tasto di annullo e rifà la riga oppure fa uscire la riga sbagliata e la butta. Sono diverse le modalità. Anche il compositore che lavorava con i caratteri singoli, con la composizione manuale, introduceva un proprio usus scribendi. Usciva una barretta di metallo che rappresentava un’intera riga. In un punto di questa macchina cadevano le barrette che venivano prese ed erano le linee, tutte le varie linee di metallo venivano poste in successione e una volta composta la pagina venivano messe a stampare. Emerge un altro elemento, che la riga non venisse collocata al posto giusto. Bisognava guardare l’incipit di ogni riga e veniva composta la pagina in base al testo ma capitava che la riga venisse posta sopra o sotto per errore. La correzione delle bocce era fondamentale. Una volta composta la pagina il procedimento di stampa poteva essere lo stesso ma in realtà anche il procedimento di stampa stava subendo modifiche perché stava incominciando a circolare una macchina rotativa. La rotativa cambia la modalità di stampa non richiedendo singoli fogli che vanno adagiati sulla forma ma pone le forme in una posizione tale che una bobina di carta passa attraverso dei rulli che poi portano la carta sulla forma e la carta viene impressa. Non ci vuole più l’operario che mette il foglio e che stia attento che ci siano tutti gli spazi in modo che si inchiostri ciò che deve rimanere bianco. La carta viene solo tagliata. Il passo successivo è che la forma viene non più singola ma in più forme collocata a sua volta in un cilindro che ruotando questo cilindro vengono stampate più velocemente le pagine. Ogni giro di cilindro si stampano più forme. Facendo così si velocizza la stampa e diventa sempre più difficile intervenire con correzioni nel corso della stampa perché se nella stampa del ‘500 la lentezza permetteva all’autore di correggere e al compositore di intervenire, qui una volta che la stampa è avviata non si può intervenire. Le bozze spesso venivano rilegate come se fossero stampe, ogni foglio che usciva dal torchio veniva utilizzato ed era talmente lenta l’operazione di impressione che si poteva fermare la macchina anche dopo cinque fogli e correggere. In una macchina rotativa non possiamo fermarla dopo cinque fogli. Dove avvengono le eventuali correzioni dell’autore? non avvengono nel corso della stampa che porta al libro finale ma solo nel momento in cui può leggere le prove di stampa che vengono realizzate con altri criteri. C’è una sorta di sganciamento fra la realizzazione delle prove di stampa e la stampa definitiva. Queste tecniche di stampa non sono state introdotte velocemente. Troviamo una data, 1883, ma Mondadori che fu l’editore d’avanguardia introdusse nelle sue stamperie le rotative agli inizi degli anni ’30 e grazie all’introduzione di queste macchine veloci riuscì ad abbattere i costi dei libri e a vincere la concorrenza e a vincere l’appalto del libro unico delle scuole durante il fascismo. Non è che questa tecnica sia entrata immediatamente e tutti l’abbiano usata. L’introduzione di queste macchine sempre più veloci portò dal punto di vista editoriale un abbattimento dei prezzi e una necessità di cambiare il punto di vista, dobbiamo cercare altrove quelle varianti d’autore che fino ad una certa epoca abbiamo compreso quello di Contigia ma con riassunto del testo con nomi personaggi diversi. indica dei due testi anche cambia. lavoro in casa editrice- è sempre ultimo che decide editore, che esprime il suo parere di pubblicabilità e intervento su più livelli il redattore che cura la pubblicazione del testo. interventi grafici e tipografici sul testo, preparava testo per la stampa- preparare testo per stampa vuol dire dare uniformità al testo e coerenza interna per specifiche norme editoriali della casa editrice- ogni casa editrice ha un normario> serie di criteri grafico e tipografico che riguardano aspetti che possono variare e che andrebbero proposti sempre nello stesso modo con coerenza e uniformità. si seguono precise norme tipografiche. criteri fissate per stampe- ogni casa editrice ha sua norma, sue regole per la punteggiatura per il criterio di uniformazione. compito del redattore rendere omogeneo il testo in base alle sue esigenze. lavoro redattore nel corso del 900è quella di uniformare quelle che sono le norme e il testo secondo usi della casa editrice- sono cose che c’erano anche con proto in stamperia: edizione Gambaletti dei Sepolcri a Verona- maiuscole che prima mancavano, seconda edizione anche con testi che presentano opera di Pindemonte- Pindemonte cura opera e mette maiuscole. nascono tanti problemi accostandosi a testo con sguardo diverso da quello utilizzato fino ad adesso. volontà autore quindi solo per grandi questioni testuali o anche su piccole attenzioni macrotestuali come punteggiatura. caso particolare D EUFONICA- ad esempio> a esempio> regole precise per l’utilizzo della D eufonica. ma badare che vengano rispettate, per testi italiani è sempre corretto prendere in considerazione il pensiero autore. stampatori e correttori istituiscono una loro norme soprattutto nella punteggiatura. per editoria moderna e filologia situazioni che erano già presenti nella stampa di antico regime con casa editrice si uniforma molto più secondo norme editoriali della casa editrice. Contini> dopo invenzione della stampa anche autografi sono stati soliti passare per intermediazione tipografica (redazione) forte possibilità di livellamento formale- interventi che sono da condannare meno del previsto, letterati per secoli depositari della correttezza grafica e in epoca recente fini letterati non disdegnarono di limare scritture di autori provvisti di forte personalità poetica ma non di robusta cultura alfabetica (bel racconto ma scritto male- occorrono controlli sulla tenuta linguistica, distinguere le correzioni). LEZIONE 20 Spesso nel ‘900 il redattore nella preparazione degli aspetti grafici e tipografici di coerenza e uniformità. Nel diario di Jacopo Ortis i mesi sono in maiuscolo, tendenzialmente i nomi della settimana e dei mesi nell’800 erano maiuscoli. Dentro questo grande lavoro di uniformazione a volte il redattore interviene sul testo anche nei suoi aspetti prettamente autoriali. Interviene segnalando all’autore una serie di possibili mutamenti e correzioni. Niccolò Gallo è stato un grande letterato, ad un certo punto ha lasciato l’attività critico-accademica e ha iniziato a collaborare con la casa editrice Mondatori, dirigeva la collana di Autori Italiani. Aveva anche in quanto direttore di collana la possibilità di esprimere osservazioni su testi accettati per la pubblicazione. Il piatto piange è stato il primo successo di Chiara, noi lo leggiamo nella stampa pubblicata da Mondadori, se andiamo a vedere quanto aveva suggerito di correzioni a Gallo ci accorgiamo della quantità di interventi e a volte anche un trattamento non dichiarato. Il direttore di collana in questo caso interloquisce con l’autore dando suggerimenti che possano migliorare la qualità del testo in rapporto a ciò che il direttore di collana pensa sia meglio per il testo. Il redattore, direttore di collana interviene in rapporto ad un proprio modello. La caduta stilistica bisogna saperla riconoscere con un’acuta sensibilità. Il redattore che la coglie, in base alla propria idea di stile, la segnala all’autore. l’interazione tra il redattore e il testo passa attraverso ciò che il redattore pensa del registro linguistico, pensa del contesto narrativo dentro il quale si colloca. Qui si apre una serie di questioni. C’era un direttore di casa editrice tedesca che diceva che i direttori di collana sono gli alleati dell’autore per rendere il testo migliore. A volte il dialogo può migliorare il testo, non nel momento in cui il redattore si sostituisce all’autore e vuole scrivere lui. Il redattore consapevole dialoga con l’autore cercando di capire se funziona meglio un’espressione o un’altra. Tutto ciò quando l’autore è presente e il testo è contemporaneo. Quali sono stati i diversi stati di scrittura che hanno portato al testo pubblicato? Ci interessa capire quali sono stati i suggerimenti di Gallo. Ragazzi di vita di Pasolini è stato riscritto per volontà dell’editore. La copertina di I ventitre giorni della città di Alba di Fenoglio. Vittorini con questa collana cerca una narrativa che potesse rivolgersi ai giovani, diversa da una narrativa fiacca uscita dalla stagione chiamata del Neorealismo. Rispetto alla descrizione riconducibile ai modelli Ottocenteschi, la collana de I Gettoni portava una realtà diversa, meno fondata su cliché. Viene dato a Vittorini perché lo possa valutare un romanzo di Fenoglio, questo viene bocciato nonostante fosse stato proposto da Calvino. trovando in queste pagine qualcosa di interessante legge i racconti e decide che i racconti possono essere pubblicati invece del romanzo. Essendo Vittorini il direttore de I Gettoni può scegliere autonomamente cosa pubblicare. Dice a Fenoglio che nel romanzo ci sono due capitoli che possono diventare racconti, suggerisce di prendere delle parti del romanzo e di trasformarli in racconti autonomi, suggerisce anche il montaggio. È Vittorini, direttore di collana, che costruisce il volume che non era stato pensato così da Fenoglio. Vittorini decide anche il titolo, cioè Racconti Barbari e scrive un risvolto di copertina per spiegare perché pubblica questi racconti, sceglie Vittorini di pubblicare questi racconti perché sono di violenza quasi barbara contro una realtà già nota. Alla fine, mentre va in stampa il libro, Einaudi dice che il titolo non vende niente e quindi decidono di prendere il titolo del primo racconto partigiano, I ventitre giorni della città di Alba. Qualcuno ha ipotizzato interventi diretti di Vittorini che ha riscritto intere pagine, altri dicono che aveva dato solo dei consigli. La costruzione del libro novecentesco, a differenza di quello che accadeva nei libri del passato, e quando si impone l’editoria e il genere del romanzo diventa il genere di maggiore diffusione gli interventi editoriali diventano anche più rilevanti sia in rapporto al mercato sia perché quei letterati che lavorano con gli editori intervengono cercando di migliorare i propri parametri. Ventitre nel titolo è senza accento, sembra una minuzia ma non lo è. Allora nell’editoria novecentesca l’attenzione per il testo passa a volte dalla riscrittura del testo. A volte il testo in casa editrice viene totalmente riscritto o rivisitato da quella pratica che si chiama editing. Fino a qualche anno fa l’editing era la riscrittura del testo. L’editing di maggiore notorietà è quello che coinvolge i racconti di Carver, scrittore americano che viene considerato il fondatore del minimalismo per la particolare scrittura dei suoi racconti e per il particolare tipo dei suoi finali che troncavano senza spiegare nulla, scrittore particolare, minimalista. È successo che qualcuno con intenzioni filologiche è andato a prendere i racconti di Carver prima che arrivassero in casa editrice e si accorge che è stato il suo editor a trasformare i suoi racconti. Carver aveva messo tutti i finali, aveva usato espressioni molto meno minimaliste. C’è una bella lettera di Carver in cui dice di voler pubblicare racconti con il suo stile e non con quello con cui viene solitamente riconosciuto. Due modelli di scrittura diversi sotto lo stesso nome. Dal punto di vista commerciale l’autore continua ad esistere, sotto la volontà dell’autore, la volontà dell’autore può essere definita la penultima volontà e l’ultima quella dell’editore. La questione dell’autorità dell’autore è un argomento sul quale porre attenzione. Abbiamo citato l’altro giorno Contini che diceva che la filologia culmina nella critica testuale. La critica testuale potremmo dire secondo il dizionario della terminologia filologica viene messo studio comparativo della tradizione manoscritta o a stampa di un dato testo al fine di fornire un’edizione quanto più possibile vicina all’originale. Qui spostiamo l’attenzione sull’obbiettivo di un’edizione, cioè dare un testo che anche se non raggiunge pienamente la coincidenza con quello che ha scritto l’autore, gli si avvicina molto. Ci sono molte edizioni. Edizione diplomatica: ovvero l’edizione fedele del testimone di riferimento. Era difficile realizzare un’edizione diplomatica con la stampa. Con la stampa digitale è molto semplice. Possiamo anche offrire un’edizione diplomatica ma il compito del filologo è anche una responsabilità delle scelte compiute. Edizione interpretativa: la riproduzione di un testimone con interventi che lo rendano più leggibile come accenti, divisioni parole, ecc. Nella maggior parte dei casi non è un’edizione critica ma lo scioglimento di alcuni elementi che restano contratti o assenti. Edizione critica: l’edizione che deriva da uno studio condotto con gli strumenti della critica testuale, e che dà conto della storia del testo con un apparato. Pone in primo piano, per esempio, tutte le varianti registrate da una stampa all’altra. Gli apparati di un’edizione critica che riguarda le stampe pongono in risalto le varianti che ci sono nelle diverse stampe o nelle diverse impressioni. Esistenza di un filologo che accerti com’era il testo nelle diverse edizioni o nei diversi codici e scelga in rapporto allo studio della critica testuale quale lezione viene posta nel testo che sta pubblicando. L’edizione critica si rivolge agli studiosi. sis Edizione scientifica: l’edizione che deriva da uno studio condotto per arrivare a un testo corretto scientificamente (con gli strumenti della filologia), ma senza arrivare alla complessità di rappresentazione dell’edizione critica che dà conto della storia del testo. In molte collane del ‘900, come I Meridiani, viene proposta un’edizione che è corretta dal punto di vista testuale, che ha anche le note al testo precise che non mette l’apparato critico come nell’edizione critica ma che magari segnala le varianti significative. L’edizione scientifica nel nostro contesto è un’edizione che può portare anche varianti, informazioni filologiche ma è destinata ad una lettura corredata da un’edizione corretta. Questo vale solo per edizioni contemporanee di autori moderni o contemporanei. Nell’ambito della filologia novecentesca è stata introdotta la distinzione tra edizione critica ed edizione scientifica. L’editore critico è interprete di una volontà d’autore che nei limiti del possibile va ricostruita, arrivare quindi a una possibile scrittura dell’originale che si tende a raggiungere e va illustrata. Qui non esiste il libro storicamente ricostruito in quel modo, lo fa l’edizione critica. Troviamo questo nel libro di Villari. Queste operazioni a volte sono inopportune ed errate. Io posso cambiare la grafia o correggere un errore ma devo essere certo che sia un errore che devo correggere e anche segnalare. È inopportuno adottare criteri che sono incoerenti. Se il sistema antico mette la virgola prima della ‘e’ io non posso toglierne alcune e altre no. O le tolgo tutte e lo segnalo o le lascio. È anche sbagliato seguire il testimone di riferimento rispettando anche errori evidenti, questi errori si possono correggere. Si mettono in apparato quegli elementi che servono perché portano informazioni funzionali. Immaginiamo di avere un’unica edizione originale, sappiamo che quella è la stampa seguita dall’autore. se ho un’unica edizione che so seguita dall’autore faccio la collazione con le altre edizioni e costruisco un esemplare ideale e metto in quell’edizione l’esemplare ideale. Ma se ho più edizioni originali come mi comporto? Scelgo una di queste edizioni e riproduco l’esemplare ideale dell’edizione che ho scelto. Se ho un’unica edizione non originale ovvero l’autore non era presente? Cerco di ricostruire l’esemplare ideale che non porterà l’ultima volontà dell’autore ma il testo più corretto, l’ultimo uscito dalla stampa. Non sempre è possibile. Se ci sono più edizioni non originali cerco l’edizione più autorevole, dovrò fare uno studio che mi porta a dire qual è quella più autorevole, la raccolta dei fascicoli più corretti. Io posso avere materiali d’autore e delle stampe non d’autore, cerco di costruire il testo mettendo in campo tutti gli strumenti che ho a disposizione per costruire un testo dell’edizione critica. Se ho davanti a me varie edizioni con materiali non d’autore cerco di ricostruire il testo base con le copie che sono state trasmesse. Nel momento in cui l’editore allestisce un’edizione critica deve tenere presente varie possibilità. Ecco perché l’edizione nasce dall’interpretazione dell’editore, c’è una responsabilità nella scelta. L’editore critico compie delle scelte. L’edizione critica è un’ipotesi che nasce dagli studi e dalle scelte dell’editore. Gli apparati cosa crociani di stretta osservanza che definiscono questa critica di Contini la critica degli ‘scartafaci’, come se il compito del filologo fosse quello di andare a frugare nei cestini della carta per recuperare le diverse redazioni di un testo che l’autore ha gettato. Negli anni ’70 in Francia grazie a una strana combinazione di eventi lo Stato ha comprato un intero archivio di un poeta che ha posto nella biblioteca nazionale di Francia. Avendo tutti questi materiali a disposizioni è nato un gruppo di studio per indagare su questi materiali. Nasce in questo modo quella che viene chiamata la critica genetica. La critica genetica si pone come obbiettivo di studiare tutte le fasi che portano alla stesura definitiva di un’opera. a differenza di quanto detto prima relativo a Contini per quanto riguarda la correzione di quanto è già poetico, la critica genetica incomincia il proprio studio da quelli che si possono chiamare gli avantesti, cioè i materiali anche precedenti all’avvio della stesura di un testo. Secondo i critici genetici francesi occorre seguire la nascita di un testo dalla prima idea fino alla redazione finale e mettere in un dossier genetico tutti materiali che possono essere stati utilizzati dallo scrittore per comporre il suo lavoro. La filologia italiana non fa questo, studia le varianti per capire in che modo è cambiato il rapporto tra l’autore e il suo testo. La critica genetica si è diffusa in Italia meno che in altri paesi. L’intento del critico genetico non è filologico, è filosofico, vuole sapere qual è la condizione dello stadio di scrittura nei diversi passaggi che il testo subisce nel corso della sua elaborazione e considera quello stadio di scrittura in modo autonomo, quello che pensava l’autore in quel momento. Considera la nuova redazione un altro stadio da considerare come autonomo. Guardano l’autore in quel momento come si comportava. Esempio di una pagina di Madame Bovary con tutte le correzioni, i critici genetici trascrivono la carta così com’è. L’edizione genetica è una trascrizione fedele di ciò che la carta presenta, non è un’edizione critica. Come rappresentare le correzioni di una carta? Come rappresentare con la stampa qualcosa che in realtà è difficile trasferire in una stampa? È un problema aperto. Ci sono alcuni grandi filologi che di fronte alle carte di Leopardi che dicono che l’unica possibilità è la fotografia. Questo nasce negli anni ’70, in Italia non arriva, e si procede con le riflessioni relative ai suggerimenti, alle osservazioni di Contini. Un punto importante è la presentazione da parte di Silvio D’Arzo Avalli dei suoi Principi di critica testuale e scrive che esistono due possibili indagini fenomenologiche: 1- la fenomenologia dell’originale: è lo studio del testo così come esce dalle carte dell’autore però scrive che il concetto dell’originale nel senso di testo autentico è uno dei più sfuggenti ed ambigui della critica del testo. Questo spiega perché il testo critico presenti sempre un aspetto problematico. A questa condizione problematica non sfuggono gli autografi soprattutto quelli contenenti varianti d’autore. tutte le volte che si cerca di fissarli in una forma meno provvisoria non si riesce a fissarli. È difficile individuare l’originale. Il concetto di originale deriva da una visione statica mentre le singole opere di uno scrittore costituiscono una sezione a volte casuale e provvisoria di quel flusso continuo di adattamenti e spostamenti. La fenomenologia dell’originale è lo studio di questa serie di adattamenti 2- la fenomenologia della copia: è data da quella trasmissione dei testi da un copista o da uno stampatore la fenomenologia dell’originale non ha avuto successo, è stata sostituita da una nuova espressione ‘filologia d’autore’. l’espressione filologia d’autore viene proposta da Dante Isella in un volume pubblicato nel 1987 che portava come titolo ‘Carte mescolate. Esperienze di filologia d’autore’. Isella si interroga su come lavorare con le carte d’autore, le esperienze lo portano ad elaborare quest’idea di una filologia d’autore, quella area in cui si lavora con le carte. LEZIONE 22 LE CARTE DEGLI SCRITTORE E ARCHIVI Lavorare su archivi e biblioteche può essere utile non tanto per sapere cosa c’è in un archivio ma per capire come dentro gli studi di filologia sia possibile trovare negli archivi materiali che spesso non sappiamo cercare o trovare. Una delle regole di chi lavora in questi ambiti è che per quanto sia possibile la scoperta casuale di materiali, carte, è altrettanto fondamentale sapere quello che si cerca. Poi può anche saltare fuori per caso. È importante sapere quello che si cerca perché dentro un’idea, un progetto. Anche le carte che balzano all’occhio possono essere lette in funzione di quel progetto che si ha in mente. il progetto non deve essere una dettagliata presentazione di una ricerca, è un’idea. La scoperta può essere casuale ma se non abbiamo le conseguenze non serve a niente. C’è il caso di una recensione di Leopardi che introduce la descrizione di ottave di un inno. Probabilmente spinto dal padre a parlare di questo poema, scrive questa recensione, dopo otto righe brevi in cui presenta le ottave decide di non pubblicarla. Questa carta resta nell’archivio di Leopardi per secoli. Uno studioso l’ha trovata e ha scritto un volume di 80 pagine su di essa. Chissà quante altre persone si sono imbattute in essa ma nessuno si è accorto dell’importanza di questa carta. Ragionare sugli archivi può essere utile per capire cosa si cerca e cosa si trova e si trova a partire da ciò che si cerca. Partiamo da Stussi, il quale dice che se un documento è su pergamena piuttosto che un altro supporto non importa la materia, il formato o che sia scritto a mano. Non è scontato che le carte intese come Stussi come il supporto sul quale si è scritto, non è scontato che queste carte vengano conservate e diventino accessibili. A lungo tutto ciò che riguardava la scrittura dell’autore non aveva il significato che ha oggi perché non esisteva l’idea dell’autore che abbiamo oggi. L’idea dell’autore di oggi nasce nel corso del ‘700. Questo vuol dire che non c’era un riconoscimento sociale della scrittura dell’autore e quindi le carte autografe non avevano lo stesso valore degli autori di oggi. Le carte diventano ancora più rilevanti quando viene stabilizzata l’idea di una filologia d’autore. Abbiamo visto la volta scorsa come la filologia d’autore nasca sulle carte dell’autore. Se non abbiamo documentazione non possiamo fare filologia d’autore. Non è un caso che anche Contini nel momento in cui elabora la critica del testo parta su un lavoro di carte inedite di Ariosto. Se abbiamo solo un’edizione a stampa non possiamo fare filologia d’autore. Le carte conservate permettono questo anche se c’è chi mette in guardia dal fatto che la sovrabbondanza di carte può portare il ricercatore a perdere di vista l’obbiettivo che deve porsi, cioè come si è svolto il processo di scrittura. Differenza tra lo studioso che si occupa di carte d’autore e il collezionista che raccoglie tutto quello che viene scritto da uno scrittore. Ricordiamo le migliaia di euro con cui sono stati venduti all’asta dei biglietti di Leopardi. La sovrabbondanza delle carte non deve fare perdere di vista il fine del lavoro filologico. Se invece il biglietto del tram sul quale Montale scrive un verso, allora è l’inizio di una riflessione poetica, l’indicazione di una prima idea di verso, rilevante per il filologo. Isella parlava di filologia d’autore, forse noi potremmo parlare di filologia delle carte d’autore. Non è così scontata la conservazione delle carte. Dove le possiamo trovare? Teniamo conto che spesso queste carte vengono tenute in luoghi del tutto impropri. Ha suscitato un certo interesse Piero Chiara. L’archivio di Chiara era conservato nella stanza del sindaco di Varese. Quando gli studiosi dovevano andare a vedere le carte di Chiara dovevano recarsi lì. Ecco come si disperdono le carte. Chissà quanti sindaci hanno nel loro cassetto carte di autori locali. Non sempre le carte degli scrittori soprattutto dell’Otto- Novecento sono posti in luoghi scelti per le consultazioni. Quando nasce la fondazione dedicata a uno scrittore, una delle prime iniziative è quella di raccogliere le carte di quello scrittore e di censirle, organizzarle, metterle a disposizione. Le carte arrivano alla fondazione e vengono censite, significa condizionate, registrate per sapere quali sono. Ma è sulla parola organizzate che bisogna ragionare perché non vuol dire che vengono sistemate in sede d’archivio, si dà loro una collocazione scientificamente efficace. Vengono non solo censite ma anche viene assegnata una segnatura. Ci sono alcuni archivi che si fermano ai primi livelli di approfondimento e altre che approfondiscono molto di più. Noi possiamo già sapere dal diverso livello di approfondimento cosa contengono le carte. Una delle conquiste giusta o sbagliata che sia raggiunta in questi anni è che l’archivio viene lasciato così come è arrivato in fondazione. Questo perché molte volte l’archivio risponde a un criterio che era stato messo a punto dallo stesso scrittore. Carducci ha costruito un archivio in funzione a quella che era la sua idea di poetica. Ci sono scrittori che organizzano il proprio archivio facendo sì che certe cose vengano in risalto e altre eliminate. Le carte passano da un luogo in cui erano conservati dagli scrittori nelle fondazioni che hanno come scopo quello di conservarle, darle allo studio e promuovere lo studio di uno scrittore. La stessa funzione hanno certe biblioteche in cui si stanno aprendo numerosi archivi. Una delle maggiori è la Biblioteca Nazionale di Roma, la quale conserva tutte le carte di Calvino. A Brera è stato ricostruito lo studio di Umberto Eco con tutti i suoi libri e le sue carte. Anche il fondo di Elsa Morante è nella Biblioteca di Roma. Poi ci sono gli archivi che hanno un carattere più generale, ovvero gli archivi di Stato. L’archivio di Stato ha cartelle che conservano carte preziose per chi studia la letteratura. Quando nel 1920-21 ci sono stati i processi ai carbonai e le perquisizioni le carte sono finite in polizia e oggi si trovano negli archivi di Stato. L’archivio di Stato conserva per esempio carte commerciali relative a delle imprese. Nel ‘900 le case editrici sono luoghi privilegiati per gli epistolari e le carte degli scrittori. Archivio della casa editrice che permette di ricostruire il percorso di pubblicazione come le richieste dell’editore di cambiamento, di modificare i titoli e intervenire sul testo. L’archivio della casa editrice Treves si dice che sia stato distrutto da una bomba. L’archivio Garzanti è scomparso. Adelphi non ha mai concesso di vedere l’archivio a nessuno. La fondazione Mondadori mette a disposizione tutte le carte della casa editrice Mondadori e Il Saggiatore. Un altro luogo di archivio in cui è possibile trovare carte d’autore sono gli archivi di famiglia. Vuol dire che sono carte rimaste presso la famiglia di uno scrittore. Qui stiamo allargando la temporalità, qui andiamo a secoli precedenti l’Otto-Novecento. Anche qui a volte sono casuali, si cerca di capire dove possano esserci materiali, si cerca di costruire dove può essere stato l’autore. gli archivi di famiglia sono preziosi ma sfuggenti. Le carte di Gadda sono conservate in un archivio di famiglia che non è più della famiglia Gadda, egli non avendo eredi ha lasciato il suo archivio alla sua governante. Esistono archivi di collezionisti. Erano numerosi i collezionisti di autografi, i quali scambiavano anche tra di loro autografi che venivano comprati, venduti, ed esistono numerose testimonianze di grandi collezionisti che hanno raccolto le più diverse carte, non dello stesso autore, ma di numerosi autori per arricchire la propria collezione. Anche l’archivio del collezionista è un archivio sconosciuto in fondo. A volte la carta finita nell’archivio del collezionista è perduta per lo studio perché non censita e quindi impossibile da trovare. Non ci si può fidare di un solo archivio e non ci si può considerare solo gli archivi più palesemente votati alla conservazione di certe carte. Bisogna interrogarsi ogni volta su quello che potrebbe essere il luogo di conservazione. Non sempre le carte si trovano in un unico archivio. Se la fondazione ha come obbiettivo quello di conservare nella fondazione tutte le carte. Ma senza fondazione le carte sono sparse, come nel caso di Ungaretti, le cui carte sono sparse per l’Italia. Ci sono anche gli archivi digitali. L’archivio digitale risolve il problema del censimento delle carte, nel senso che ci permette di sapere dove sono le carte e anche di leggerle quando vengono trascritte o riprodotte fotograficamente. Può bastare questo allo studioso? Quella possibilità di archivio digitale è funzionale a una prima conoscenza e non ad una conoscenza approfondita. La materialità della carta dice molto di più di quanto possa dire una riproduzione anche fedele all’originale. La materialità perché le filigrane non compaiono nell’archivio digitale, così come l’inchiostro. L’inchiostro a seconda della sua composizione chimica, dopo un certo numero di decenni, assume colori differenti. La temporalità viene anche data dalla colorazione dell’inchiostro. La materialità vista direttamente offre molte più informazioni. Cosa si trova negli archivi? Cosa si cerca? Per esempio, i materiali delle fasi preparatorie di un testo. Poi abbiamo le redazioni differenti, quindi il testo scritto ma in redazioni diverse. O il testo mandato in stampa strumenti particolari della Biblioteca Nazionale di Firenze. Anni fa è stata ripresa l’idea dell’importanza delle tracce di lettura e per esempio è stato richiesto di porre sia sulle schede delle biblioteche sia sui cataloghi dei librai antiquari di aggiungere notazioni sugli esemplari postillati. Anche le biblioteche d’autore o quei volumi che sono appartenuti a biblioteche d’autore possono dare informazioni sulla storia della ricostruzione di un testo. LE FASI DI SCRITTURA Esempio di Calvino dell’incipit de La Speculazione Edilizia. Lo riproponiamo perché abbiamo l’esempio di una prima stesura che viene subito interrotta e trascritta. Dopo avere scritto quelle quattro righe e averle corrette, le trascrive in una sorta di bella copia che in effetti va oltre le quattro righe e diventa appunto l’incipit del romanzo. Cosa ci dice questa carta? Ci dice che questa carta è stata datata 25 aprile presumibilmente del ’57 inizia a scrivere. La scrittura è tormentata e trascrive. È molto facile capire qual è la prima e la seconda stesura. Immaginiamo di avere solo un foglio con le prime quattro righe e poi il foglio con il seguito, come facciamo a capire se un testo è successivo a un altro. Ad esempio, quando raccoglie le correzioni del testo precedente. Qui abbiamo un’incertezza su ‘ritrovare’, che è stato cancellato e poi ripristinato. Nel momento in cui abbiamo la carta che reca la correzione precedente vuol dire che è successiva. Se poi invece corregge ‘pezzo per pezzo il paesaggio’ quando trascrive per fare una stesura più pulita e trascrive la correzione questo è un segno che ci permette di capire che il testo che accoglie la correzione è successivo a quello in cui la correzione era solo stata indicata. Le carte ci permettono di entrare nel laboratorio dello scrittore. Se noi guardiamo solo le prime righe capiamo quante correzioni e in che direzioni vanno. Nella fase di scrittura si stabilizza un testo, viene trascritto in una copia che si chiama ‘in pulito’. Una volta che dopo tutte le revisioni si arriva a una trascrizione in pulito, la trascrizione in pulito diventa l’antigrafo. In questo caso per una battitura a macchina più che per la stampa. Calvino li faceva battere a macchina e quindi in redazione arrivava un dattiloscritto. Si arriva al dattiloscritto attraverso una serie di correzioni sulle copie manoscritte. La prima riga è stata stabilizzata in questa trascrizione. Esiste una tipologia di varianti d’autore. Incominciamo a dire che sarebbe utile ma non è sempre possibile avere una maggiore conoscenza del tempo della scrittura e della correzione. Cioè sapere quando sono state apportate le varianti sul testo. Possono esserci varianti immediate e varianti tardive. Varianti immediate è quando la correzione avviene nel momento stesso della scrittura, varianti tardive è quando la correzione portata sul testo è successiva. Nella maggior parte dei casi noi non riusciamo a capire quando è stata operata la correzione tardiva, ecco perché interessa la materialità della carta perché si possono vedere inchiostri differenti. Le varianti immediate sono riconoscibili perché agiscono nel corso della scrittura. Le correzioni a destra sul rigo sono correzioni immediate nella maggior parte dei casi. Se la frase resta in sospeso ed è seguito da un’altra frase di senso compiuto è chiaro che la frase sospesa viene cancellata. Le varianti hanno una loro tipologia, si parla di: - Varianti alternative: indicate dallo scrittore ma per le quali non viene presa una decisione definitiva, restano le lezioni precedenti e viene aggiunta la nuova lezione. È evidente che a un certo punto devono essere considerate dall’autore per la scelta finale. Le varianti alternative sono quelle lezioni che vengono indicate come possibili sostituti di lezioni precedenti che tuttavia non vengono cancellate. Se poi l’autore ha curato la stampa è chiaro che la scelta è avvenuta. Se il componimento è rimasto inedito noi non sappiamo cosa avrebbe scelto. Si pone il problema il filologo che sta pubblicando il testo quale lezione apporre al testo. - Varianti per aggiunta: viene aggiunto qualcosa - Varianti per soppressione: viene eliminato qualcosa - Varianti per sostituzione: una lezione viene sostituita da un’altra - Varianti per permutazione: scambio di posto delle parole Vediamo un testo di Leopardi, La ricordanza. Il passaggio da una minuta (brutta copia) a una copia in pulito non vuole dire il passaggio da una redazione provvisoria a una che è sempre definitiva. La copia in pulito può diventare di nuovo una carta di lavoro e diventa di nuovo una minuta. Incominciamo a capire i tempi della scrittura. Il titolo poteva essere ‘La luna o la ricordanza’, ‘la luna o’ viene tagliato. Il cambiamento è stato fatto in un secondo momento perché è stato fatto con un’altra penna, l’intensità del tratto è diverso. sulla prima riga ha scritto il titolo, ‘Idillio’ è stato aggiunto in un secondo momento altrimenti sarebbe sulla prima riga, quella del titolo. La collocazione del titolo centrale ci permette di capire che il titolo iniziale fosse ‘La luna’ e poi modificato in ‘La luna o la rimembranza’. In poesia è difficile capire se la modifica è avvenuta in un secondo momento e non subito perché c’è a fine verso lo spazio bianco. Nel corso del testo abbiamo ‘la rimembranza’ che viene modificata in ‘la ricordanza’ e probabilmente questo è il momento in cui viene modificato il titolo. Poi riscrive su un’altra carta lo stesso componimento che viene dopo dato che le correzioni trovano posto direttamente nel testo. Incomincia a trascrivere, sbaglia subito perché ‘oh graziosa luna’ mette ‘h’ e la cancella subito. Vediamo la stampa del ’35 che non si chiama più ‘La ricordanza’ ma ‘Alla luna’. Nel 1835 esce a Napoli, non è l’edizione definitiva anche se è l’ultima data alle stampe da Leopardi, su questa interviene con nuove correzioni in vista di una nuova edizione che sarebbe dovuta uscire a Parigi. Noi abbiamo comunque i fogli della Starita slegata sui quali Leopardi ha apportato correzioni. Ci sono almeno due edizioni precedenti a questa. Il valore che cerca Leopardi è il suono di questi versi. Questa poesia ha avuto due tempi in quanto i versi finali sono stati aggiunti addirittura dopo l’ultima stampa. Abbiamo visto come una carta trascritta in pulito diventi una carta di lavoro sulla quale vengono apportate tutta una serie di correzioni e dunque richiede un’ulteriore trascrizione. Vediamo adesso l’incipit del Fermo e Lucia del 1821. Vediamo come lavora Manzoni attraverso questa carta. Le prime righe sono state cancellate e poi riprende a scrivere. L’incipit non è quello che è arrivato a noi. Scrive qualcosa che è abbastanza vicino a quello che noi conosciamo. Divideva il foglio in due metà per poter portare sulla metà di sinistra le correzioni del testo scritto a destra. Questa è la tipica modalità di scrittura di Manzoni. La carta dell’autore, la prima stesura porta il tormento dell’elaborazione. Qui non stiamo vedendo le varianti, stiamo vedendo come si presentano le carte che dobbiamo esaminare per stabilire il percorso della scrittura e partendo da questo lo studioso deve indagare. Da queste carte, isolando i singoli frammenti definitivi, abbiamo la stesura del Fermo e Lucia. LEZIONE 24 Isella fonda la sua idea di filologia d’autore a partire dai testi inediti di Gadda. Noi abbiamo due quaderni che testimoniano la mania di Gadda di razionalizzare tutto, magari era una forma per dominare tutto. In ogni suo quaderno lui comincia a dire ‘quaderno comprato nella cartoleria tale, a giorno tale, avviata la scrittura giorno tale, ora tale’. Questo quaderno è particolare perché si tratta di un possibile romanzo che decide di scrivere per partecipare ad un premio letterario. Siamo nei primi anni ’20, sta facendo il lavoro di ingegnere. Si era iscritto alla Statale di Milano al corso di filosofia. Nel momento in cui decide di partecipare a questo premio per vedere se fosse possibile smettere con il lavoro di ingegnere e intraprendere la strada letteraria. quindi prende questo quaderno e decide di porre su questo quaderno tre momenti diversi di elaborazione: quello legato alla storia, quello legato a possibili commenti della propria storia e un terzo di carattere generale, teorico. utilizza il quaderno dalla pagina 1 in poi per la narrazione e da una pagina x in poi per altri aspetti. Questo crea una confusione totale. Le carte degli autori non sono sempre così facilmente descrivibili e riconoscibili. Ad un certo punto inizia a segnare anche i numeri di pagina sul retto e sul verso. lo stesso numero viene posto sul retto e sul verso e sul verso viene aggiunto ‘contropagina’. Poi ci sarà un secondo quaderno in cui continua a scrivere la storia che abbandonerà. Questo quaderno diventa importante per gli studiosi di Gadda perché è una sorta di incunabolo di storie che verranno raccontate in altri romanzi. questo è un esempio di come bisognerebbe guardare direttamente la carta e non il digitale per uso di penne diverse e matita. Proprio l’esame autoptico delle carte permette di riconoscere se esistono quelle che vengono chiamate campagne correttorie. Tutte le innovazioni introdotte non dalla penna ma dalla matita corrispondono ad un unico momento di intervento. Quando le correzioni appartengono tutte ad un unico momento di correzione parliamo di campagne correttorie. Elsa Morante dopo avere scritto i suoi testi li correggeva in momenti diversi con penne di colore diverso. Gadda cambiando atteggiamento introduce un nuovo punto di vista tramite una penna diversa. Ci sono indicate in esponente, nella parte stampata, delle lettere di alfabeto. Se andiamo a prendere quello che c’è nell’apparato della nota a piè di pagina troviamo che la frase è indicata in altra maniera, come mai? Se guardiamo il manoscritto è successo che ha provato a scrivere un’altra frase che avrebbe potuto sostituire quella precedente ma quella precedente non è stata soppressa. Abbiamo l’esempio di quella che ieri chiamavamo variante alternativa. Abbiamo l’ipotesi di un passo differente ma senza che l’autore abbia poi scelto tra una o l’altra delle due frasi. Problema interessante anche dal punto di vista teorico. vale di più la lezione scritta in un primo momento o successivamente? È vero che l’autore l’ha scritta dopo e quindi porta in primo piano l’ultima volontà dell’autore ma è anche vero che la precedente non è stata cancellata quindi non era sicuro. Quale mettere a testo? Isella ha detto che i due segmenti differenti hanno lo statuto di testo entrambi e quindi a differenza delle altre varianti che sostituiscono porzioni di testo e che sono messe in un apparato in fondo al volume, nel caso di varianti alternative sono messe a piè di pagina dove ci sono solo queste, non ci sono altro tipo di varianti. Tutto il resto delle varianti si trova nell’apparato a fine testo. Questo pone in primo piano l’uguaglianza delle due lezioni. Isella ha scelto di lasciare come testo la prima che aveva scritto l’autore e di indicare a piè di pagina la variante alternativa. Il criterio deve essere unico. Se si decide di mettere a piè di pagina le varianti alternative si metterà nel testo quelle in istanza. Dunque, di varianti alternative ce ne sono parecchie. Prendiamo un altro caso. Ieri parlavamo di copie in pulito che diventano materiali di lavoro. Qui abbiamo una carta dattilografata di una poesia di Ungaretti, Silenzio in Liguria. Una poesia che è stata battuta a macchina dopo una stesura manoscritta quindi siamo già in una fase successiva alla scrittura. La parte dattiloscritta non ha nulla di cancellato, l’ha trascritta quindi sicuramente da una precedente redazione o da un testimone diverso che potrebbe essere dattiloscritto o manoscritto. Una volta arrivato a quella che noi chiamiamo copia in pulito, rileggendola ha cominciato ad avere dei dubbi. Intanto il titolo. Vediamo le varie fasi del titolo. Il primo titolo era ‘Liguria’, poi ‘Silenzio di Liguria’, poi ha cancellato ‘di’ e ha messo ‘in’. Ungaretti alla fine degli anni ’10 rompe il verso in tanti versicoli molto brevi che non hanno alcun segno di punteggiatura. Possiamo a volte ricostruire il verso se mettiamo i versi brevi uno di fianco all’altro. anche il passaggio a una nuova strofa viene indicato con la maiuscola e lo spazio bianco. Cancella e scrive ‘un bianco carnato’, cancella, cancella ancora, arriva al sesto verso di questa strofa e qui cominciano i problemi. Possiamo vedere quante volte tenta di lavorare su questi versi. Vediamo il laboratorio del poeta. Se vogliamo conoscere i vari passaggi di questa poesia, capire il tentativo di un autore di portare a livello più alto il suo testo allora abbiamo davanti questa lettura di carte. Quando la pubblica ha superato la fase della frantumazione del verso. non basta il fatto che ci serva tutto questo per entrare nel laboratorio ma proviamo a guardare questa poesia e cosa ci può colpire. È un’altra poesia. Guardiamo la data, è stata scritta ne ’22 così? Già nel ’22 aveva ricomposto il metro ma questo non è vero. C’è servito andare a prendere quella carta con quelle lezioni. Nel ’22 è stata pensata questa poesia, aveva lo stesso titolo ma non era questa la poesia. Quella data ha avuto un ruolo nella genesi iniziale ma non basta. Andiamo a fare una storia dei testimoni, cosa abbiamo noi di questa poesia? Una serie di carte, una carta inviata a un amico che portava il titolo ‘Liguria’, una carta inviata ad un altro amico Ettore Serra, anche in questo caso ‘Liguria’, poi abbiamo una seconda carta indirizzata a Soffici nella quale ci sono i veri 19-22, poi abbiamo una carta nell’archivio di Serra con la correzione ‘Silenzio in Liguria’. Aveva quindi già diffuso la poesia, era già stata trascritta varie volte. Il secondo gruppo di sigle riguarda le stampe. Vediamo che la poesia comincia ad uscire già in un volume del ’23 con il titolo Silenzio in Liguria e probabilmente era la poesia corretta nella carta che abbiamo visto. Esce nel ’31 su un giornale, La gazzetta del popolo, e la poesia ha cambiato titolo Silenzio sul litorale. Vediamo il tormento che c’è dietro questa serie di versi. Torna Silenzio in Liguria e da questo ritorno poi non si allontanerà più. In che modo viene segnata la storia dei diversi passaggi? La prima personaggio. Cosa rivelano le carte: un andamento a singhiozzo della stesura dei testi, con un avvio improvviso e stop. Nel corso della scrittura vengono introdotte nuove soluzioni che portano la stesura su nuovi piani, da qui abbiamo la revisione delle parti già scritte o l’abbandono di un testo per iniziarne un altro. Quando inizia qualcosa e poi lascia perdere e riscrive dall’inizio su un altro manoscritto, che ne è del manoscritto abbandonato? Diventano fogli di prove per vedere se stanno insieme alcune storie: magari una storia viene scritta, poi abbandonata e di fianco a questa abbiamo altre storie, usava i fogli come fogli di prova. Parti che scrive per prova e che poi redigerà in modo più corretto sul manoscritto che sta facendo nuovo: quindi lavoro su due manoscritti, uno dove scrive quello che poi terrà per buono e uno dove fa prove di scrittura. Non basta dire di avere manoscritti di successione cronologica: a volte manoscritti divisi in una parte che è stata scritta prima e parti scritte dopo. Dato che usa manoscritti abbandonati sui quali tenta o mette appunto certe frasi, difficile stabilire gerarchicamente le varianti. Difficile capire se manoscritto porta scritte dello stesso periodo o periodi differenti. Importanza di sapere come lavora e di saper riconoscere quel era l’originale e quale la prova: corregge quanto scritto su manoscritti diversi. Scrittura affidata a vari manoscritti, campagne correttorie senza soluzione di continuità. Dal Fermo e Lucia alla Ventisettana: 1821 inizia a scrivere il Fermo e Lucia, fino al 23. Incomincia poi a lavorare su una minuta che viene intitolata Gli sposi promessi, fase intermedia. Si ha poi una copia realizzata dal copista per la stampa e per la censura. Poi bozze di stampa. In ultimo, uscita del romanzo in tre tomi pubblicata tra il 25 e il 26 (Ventisettana). Vediamo passaggio dei manoscritti, ma se andiamo a vedere l’introduzione nel 1821, scritta immediatamente dopo il primo capitolo, scrive una introduzione che, rivedendo il romanzo nel 23, seconda minuta, viene modificata: seconda stesura. Quando il romanzo viene dato al copista perché predisponga la stampa viene messa a posto l’introduzione e il copista copia questa terza stesura, chiamata C. Ma nel frattempo, dopo che il copista aveva già copiato introduzione, Manzoni la modifica e la invia modificata (edizione D) al censore, è diversa da quella del copista, lo si capisce perché le pagine saltano. Se noi andiamo a vedere tutte queste redazioni, vediamo che nella terza ci sono passi che sono stati eliminati, in particolare un passo che era ricco di lombardismi o richiamava lombardismi che nelle prime edizioni del romanzo erano stati eliminati. Attraverso confronto tra diverse redazioni possiamo seguire la scrittura dell’introduzione al romanzo e vedere in opera Manzoni che corregge la lingua e toglie i riferimenti alla lingua lombarda nel testo che aveva già tolto nell’introduzione. Si entra dentro la scrittura e la riflessione poetica di lingua di uno scrittore. Possiamo riconoscere dentro i diversi autografi o le diverse copie date al copista-censista (chi si occupa della censura), riconoscere le diverse fasi di scrittura di Manzoni e capire bene il rapporto con la lingua, il rapporto con i lettori, ecc. Se prendiamo la seconda stesura, quella del 23, grazie alla collazione tra stampa e minuta, è possibile correggere errori che si trovano sulla stampa introdotti dal copista, errori di cui neppure lo stesso Manzoni si era accorto. Noi possiamo riconoscere cosa aveva scritto grazie alla collazione del testo manoscritto, seconda minuta, e la stampa ventisettana. Prediamo un altro esempio, Carlo Emilio Gadda e vediamo come lavorava. Gadda diceva di se stesso che era un “archiviomane”, tutto viene registrato come se dovesse essere conservare in archivio. Archivio di materiale scrittorio notevole (ora disperso e rovinato dall’alluvione di Firenze), conservava e catalogava tutto. Gadda è un autore con carte disperse in vari archivi e biblioteche. Una parte di archivio è presso biblioteca trivulziana di Milano, all’interno del castello Sforzesco, conserva tre fondi (dentro un archivio ci possono essere raggruppamenti diversi, per Gadda abbiamo tre raggruppamenti chiamati fondi): materiali che vengono da Garzanti; da un amico di Gadda, in particolare redazioni di opere pubblicate da Einaudi; e (vedi slide). Abbiamo poi Archivio Contemporaneo Alessandro Bonsanti, dove c’è il fondo Gadda che è interessante perché ci sono molte lettere e carte private, di famiglia. Lo stesso Gadda aveva predisposto tutto e lasciato le carte a questo fondo. Sono queste le carte finite nell’acqua dell’Arno. Terzo archivio è archivio Liberati, il più ricco, ora a Villa Franca veronese. Il fondo è privato, si è rischiato che fosse venduto a un compratore che lo avrebbe portato in Russia: archivi privati problematici perché si possono perdere. Magari alcune carte di autori ci sono ma non è possibile vederle perché in archivi privati a cui non è possibile accedere. Altro archivio a Parma. Altro ancora raccoglie tutti i volumi della biblioteca di Gadda, importanti per postille e annotazioni, tracce delle idee di Gadda. Biblioteca consegnata per volontà di Gadda a Biblioteca museo teatrale a Roma. Le carte vanno cercate, nei diversi anni, nei diversi archivi e una volta trovate le carte possiamo vedere e riconoscere i cambiamenti di penna, i cambiamenti di grafia, l’uso della grammatica (se o sé) e vedere le correzioni delle carte. Gadda, ad esempio, parte sempre da schemi, recinta il testo, idea di testo circoscritto della narrazione. Dentro lo schema c’è quello che sarà il testo del racconto, del romanzo. Quando inizia a scrivere parte dallo schema che aveva predisposto. Trovare schemi vuol dire trovare modalità di scrittura. Egli scrive senza incertezze, senza correzioni immediate, correzioni poste successivamente. Avendo già predisposto schema, incomincia a scrivere senza incertezze. Effetto caotico di certe pagine è dovuto al fatto che sul primo getto scrittore interviene poi a più riprese, a volte subito dopo la prima scrittura, a volte a distanza di tempo. Comunque, Gadda scrive subito tutta la prima stesura. Utilizza anche il metodo di cartigli incollati sopra il foglio già scritto. Interessante vedere qual era la prima stesura staccando il foglio incollato (il cartiglio) e leggere cosa c’era sotto. Si può fare solo se cartiglio di piccole dimensioni, se grande non si può fare perché si rovina troppo il foglio. Procedimento di scrittura di Gadda: non per sostituzione ma per inserimenti di singoli riferimenti testuali che crescono su un nucleo originario e digressioni più ampie; prima stesura sulla base degli schemi chiara, pulita, poi aggiunte parti che sviluppano e aumentano la narrazione iniziale. Un esempio è L’incendio di via Keplero: frase iniziale di due righe viene arricchita da digressioni e aggiunte e diventa molto più ampia, aumento sviluppo narrazione. Lavorava per continue aggiunte. Scrittura barocca di Gadda cresce dalla crescita ed espansione di un nucleo schematico iniziale. Come rappresentare tutto questo? Se vogliamo seguire le fasi di scrittura dobbiamo creare un apparato che ci faccia comprendere la complessità della scrittura. LEZIONE 26 LA RAPPRESENTAZIONE DEL TESTO E DELLE SUE FASI DI SCRITTURA. EDIZIONE COMUNE, EDIZIONE SCIENTIFICA, EDIZIONE CRITICA Noi dobbiamo trasferire in una dimensione di parola di scrittura quello che vediamo a volte collocato in una dimensione spaziale. La rappresentazione del testo delle fasi di scrittura non riguarda solo il passaggio da una lezione ad un’altra ma anche la temporalità delle lezioni corrette, per esempio il fatto che se la lezione è posta a destra della correzione può essere considerata una correzione immediata. Nel momento in cui ci troviamo a dovere riprodurre e operare una scelta ecdotica su testi che hanno avuto una stampa in passato basta riprodurlo così come è stato stampato o dobbiamo porci i problemi sulle modalità con le quali è stato dato alle stampe in precedenza? Come rappresentare il testo d’autore? La tradizione del testo ci può dire in che modo gli stampatori si sono allontanati dalla princeps. Se io so che esiste un autografo e ho una princeps devo capire se l’autografo è stato rispettato nella stampa o se lo stesso autore è intervenuto nel corso della stampa. I problemi diventano ancora più rilevanti dal punto di vista della rappresentazione se ho a che fare con testi inediti. La carta di Gadda era inedita e ci pone il problema di come rappresentare le diverse fasi di intervento. L’autore può avere in un determinato momento rivisto tutto il testo correggendolo. Come segnalare questa campagna correttoria? Nel momento in cui riconosco i diversi strati come rappresentare le singole lezioni dei diversi strati? Per dare conto delle differenze tra una fase e l’altra della scrittura posso ricorrere all’apparato, cioè a una sorta di spazio fuori dal testo che permette di registrare tutto ciò che riguarda il testo, ad esempio a piè di pagina e può portare anche i commenti del filologo-editore e non solo le varianti. VARIE TIPOLOGIE DI EDIZIONI Esistono tipologie diverse di edizioni e dobbiamo tenere presente anche a chi si vuole rivolgere la casa editrice e dunque che tipo di lavoro filologico deve essere portato all’attenzione dei lettori. Io ho già raggiunto una serie di risultati scientifici, posso comunicarli tutti o una parte. Nelle tre grandi aree a cui posso far riferimento nella scelta di un’edizione, l’edizione per il lettore non specialista non richiede una dovizia di dati ma la correttezza del risultato finale. Tuttavia, nella maggior parte dei casi anche quando si fa riferimento a testi per i quali esistono studi filologici già consolidati, la maggior parte delle edizioni per lettori non specialisti offrono testi che hanno avuto uno scarso controllo testuale perché non vengono indicate le edizioni di riferimento, oppure viene considerato dal punto di vista della redazione e della stampa solo il buon andamento della stampa, che non ci siano errori di stampa, refusi. Tutta l’attenzione è rivolta all’eliminazione degli errori di stampa. Per testi che riprendono anche solo stampe già edite nel corso del ‘900 bisogna scegliere quale edizione riprodurre ma se prendo la prima che capita e mi concentro solo sul fatto che non ci sono errori ho fatto una bella operazione tipografica ma una cattiva operazione filologica. Proposta di testi corretti sul piano tipografico ma non sul piano filologico. Viene preso il volume più facilmente raggiungibile, non ci sono note al testo che richiamino la storia di un testo. Le prime edizioni sono più semplici perché derivano dal dattiloscritto dell’autore stesso. Più complessa è l’edizione scientifica. È un modo di dire che cambia molto nella percezione in rapporto ai testi che vengono proposti e ai lettori che si accostano a questi testi. Per quanto riguarda i testi della letteratura moderna e contemporanea, l’edizione scientifica propone una modalità di edizione che non si rivolge direttamente al lettore comune ma a quei lettori colti che hanno il piacere di approfondire la storia del testo senza avere tutti i dati del lavoro filologico. Come dicevamo prima non tutti i dati devono essere comunicati, una parte di questi possono essere comunicati ai lettori colti che hanno il piacere di sapere qualcosa di più. In fondo ai Meridiani c’è una parte di note molto ricca, come dove è stato pubblicato la prima volta, quando è stato scritto, se è stato ripreso in edizione successive o se c’è una variante di grande rilievo. È un’edizione che ha un suo carattere di scientificità anche se non è destinata allo studio filologico. Una definizione condivisa di edizione scientifica non c’è ancora, nemmeno fra quelli che si occupano di filologia moderna. Non è una terminologia corrente, tuttavia si sta introducendo questa terminologia per quelle collane che non sono destinate solo alla lettura o solo allo studio, come I Meridiani, i quali permettono un primo approfondimento. I Meridiani hanno due nastrini per questo motivo. I Meridiani hanno un approfondimento di un testo che può essere letto anche senza le note. L’edizione scientifica ha un testo corretto dal punto di vista filologico, propone un testo che ha tutti i caratteri del testo controllato dal punto di vista filologico. Il testo dei Meridiani in assenza di studi filologici diventa il testo di riferimento perché questa collana ha come obbiettivo di portare un testo che sia corretto e scelto consapevolmente tra diverse possibilità. È un’edizione che porta un testo filologicamente corretto se ci sono studi filologici, se questi non ci sono diventa l’edizione di riferimento. Quando poniamo il problema della rappresentazione del testo in tutte le sue fasi e in tutte le questioni aperte abbiamo l’edizione critica. I manuali di filologia definiscono l’edizione critica l’edizione scientifica (che non c’entra con quella prima spiegata) di un testo, frutto di una ricerca ampia e approfondita sui documenti che lo trasmettono, siano essi autoriali o tradizionali così da fornire teoricamente quanto meno il miglior testo possibile. Per questo si rivolge ad un pubblico di studiosi che hanno a disposizione un testo affidabile dell’opera oggetto di studio. Interessante come quest’idea di lavorare sui testi dal punto di vista scientifico sia qualcosa che vada difeso perché altrimenti si diffondono testi che non hanno alcun controllo. L’edizione critica è quell’edizione che ci dà il miglior testo possibile in rapporto alla conoscenza che abbiamo di quel testo fino a quel momento. L’edizione critica è l’edizione che offre in un determinato momento e secondo criteri scientifici il miglior testo e sarà testo di riferimento per le successive edizioni non critiche, come testi scolastici. Il testo portato dall’edizione critica dovrebbe essere il testo utilizzato per edizioni successive anche quello destinato alla semplice lettura. Il compito dell’edizione critica è quindi Si chiama apparato genetico quell’apparato che segue la genesi del testo da quando l’autore inizia a scriverlo fino al momento in cui decide di darlo alle stampe e di non modificarlo più. l’apparato genetico dà conto di tutte le fasi di scrittura dall’avvio delle fasi di scrittura fino al momento in cui l’autore lo considera completo, definitivo. Questo non vuol dire che poi non torni sopra il suo testo. L’apparato genetico è una rappresentazione della critica genetica? C’è una differenza tra la critica genetica e la filologia italiana. La critica genetica riproduce fotograficamente lo stato dell’autografo, a volte sconfina in una sorta di filosofia. Non c’è l’idea di seguire il lavoro dello scrittore quanto piuttosto di cogliere l’autonomia dei diversi stadi di lavoro. La filologia anche quando segue la genesi di un testo, l’editore applica un proprio studio, si prende la responsabilità di quello che sceglie e dice. Seguendo le diverse fasi di scrittura e dandone conto attraverso la rappresentazione delle fasi di scrittura dà conto della cronologia delle fasi di scrittura. Abbiamo l’apparato evolutivo presenta gli interventi che l’autore ha effettuato sul testo successivamente allo stadio e allo stato del testo che si è deciso di pubblicare. Se si pubblicala prima redazione l’apparato evolutivo registra le lezioni varianti introdotte successivamente fino alle ultime correzioni individuabili. In molti casi è necessario introdurre contemporaneamente sia quanto è stato modificato dall’autore nei vari stadi di scrittura fino al testo di riferimento ma anche è necessario riportare tutte le correzioni introdotte dopo quello stadio da noi scelto come testo di riferimento. se metto a testo uno stadio della scrittura avrò un apparato prima genetico e poi evolutivo. COME SCEGLIERE L’APPARATO La scelta dell’apparato è in funzione della scelta ecdotica. Per ragioni non casuali scelgo un testo come testo base di riferimento. se quel testo base da me scelto è la prima stesura pubblicata e io non ho nessuna documentazione precedente sceglierò l’apparato evolutivo. Se invece metto l’ultima stampa tutto quello che viene prima scelgo l’apparato genetico comunque. Ma come faccio a scegliere il testo base? Ci sono criteri differenti. MODALITA’ DI UN APPARATO DI VARIANTI D’AUTORE Apparato in colonna o verticale può essere utilizzato solo in poesia perché rappresenta verticalmente tutte le correzioni in ordine cronologico una sotto l’altra. Dopo avere posto in cima alla pagina i versi per i quali devo documentare la genesi o l’evoluzione pongo in verticale sotto le singole parole le differenze dei diversi testimoni. Abbiamo anche l’apparato orizzontale, tutte le correzioni sono collocate in una successione temporale che può essere dalla prima all’ultima o dall’ultima alla prima, in genere dalla prima all’ultima, in orizzontale indicando con le sigle i testimoni differenti. Apparato parlato-> con abbreviazioni. Vi è il passaggio da una lezione ad un’altra in modo esplicito. Occorre che sia dichiarata in una tavola dei testimoni la varia presenza di manoscritti e delle stampe; quindi, occorre una tavola nella quale venga spiegato cosa significa il simbolo posto di fianco alle carte utilizzate. Non esistono dei criteri standard. Abbiamo la tavola dei manoscritti e la tavola delle stampe. Ogni edizione critica ha i propri criteri e i propri riferimenti, sono necessarie le abbreviazioni, le sigle ma non esiste uno standard. L’apparato di tipo simbolico propone dei simboli. LEZIONE 28 ESEMPI DI APPARATI Ulteriore modello, poco usato. Modello di difficile lettura, anche di difficile realizzazione, apparato orizzontale simbolico. Quelli che abbiamo fino ad ora considerato sono parlati, ci sono espressioni che ci dicono esplicitamente dove era la correzione, come era e via dicendo. L’apparato simbolico richiede che venga messo a punto un sistema di simboli che poi data la difficoltà devono accompagnare la lettura con una tavola aggiunta a parte. Spesso ci sono tabelle mobili ma non è più molto usato questo apparato. Ad esempio, chiuso tra due barre, gli slash, la porzione sta indicare nella tavola che stiamo guardando che è stata aggiunta in interlinea. Per le parole incomprensibili le parentesi quadre. L’editore cerca di dare attraverso i simboli una spiegazione di come si presenta il manoscritto, ad esempio la parola era stata scritta, cancellata e poi aggiunta un’altra parola. L’editore critico dà intanto i testimoni, nell’esempio che stiamo vedendo sono numerosi. Non esiste uno standard, questi simboli non sono stabiliti da un’associazione di filologia. Ciascun editore crea una propria tabella di segni. Esempio, canzone ad Angelo Mai di Leopardi. Abbiamo l’autografo, anche questo autografo è un autografo che trascrive carte precedenti, è un autografo in pulito, nonostante la bella copia abbiamo alcune correzioni che possiamo vedere. La prima correzione è il punto dopo il titolo che è stato tolto. È molto incerto sulla punteggiatura, continua ad intervenire sulle virgole. Ad un primo sguardo ci sono delle incertezze, la punteggiatura è molto complicata soprattutto per un poeta perché cambia l’andamento del verso. questo autografo ha dato origine alla prima stampa, 1818. La prima stampa è stata ampiamente corretta una volta uscita. La prima stampa, la princeps, rispondeva tutto sommato alla scrittura. Qui si apre la seconda fase, una volta che è stata stampata incomincia a lavorare sul testo stampato ed è sicuramente una correzione abbastanza profonda in alcuni punti. Scrive sulla carta al margine ma anche girando il foglio e scrivendo in verticale ma anche ponendo il titolo sopra la canzone però con un’aggiunta modificata più volte. Non sono tante le correzioni sul verso. mentre sono tormentati gli ultimi due versi. Abbiamo con chiarezza un manoscritto autografo che passa a una stampa, la stampa diventa luogo di un lavoro nuovo, non ci sono solo correzione ma anche tutta una serie di indicazioni. Sta ad indicare anche il tempo di composizione. Sta indicando quale può essere stata la fonte del suo stesso verso, allora richiama il testo dell’Eneide, canto II. Come fare di nuovo a tenere conto di tutto ciò che viene indicato in una carta di questo tipo? C’è una citazione di Macchiavelli, che viene segnata a margine. Segna questa citazione perché sta facendo una riflessione sulle annotazioni che deve fare sul testo. Prende appunta sulla composizione da lui compiuta. Stiamo facendo una riflessione su come dare conto di queste riflessioni. In che modo dare conto in una struttura di pagina tipografica di tutte queste situazioni che presentano correzioni, annotazioni, commenti. Cosa dare in un’edizione? Vediamo come hanno risolto i vari editori. Prima cosa è andare a vedere quali sono i testimoni che trasmettono questa canzone, abbiamo da costruire intanto una tavola dei testimoni. Abbiamo un testimone autografo con correzioni interlineari, abbiamo un esemplare slegato della stampa R18, la stampa del 1818, a Napoli c’è un esemplare slegato AN con varianti e note autografe, ecc. viene indicato perlopiù con la lettera iniziale della città dove viene stampata la stampa, mentre per le carte autografe si cita A più l’iniziale della città. La prima vera edizione critica dei Canti di Leopardi è del 1927 di Francesco Moroncini. Sta presentando le diverse varianti. Quando Moroncini chiude con parentesi quadre vuol dire che quel pezzo è stato cancellato. La lezione alternativa viene chiusa all’interno di un riquadro, un box. Prendiamo l’edizione di Peruzzi, 1981, che segue in modo scientificamente più corretto quella del ’27. Peruzzi utilizza l’apparato in colonna con le possibili varianti poste sotto la parola. Secondo Peruzzi è utile dare anche nell’edizione critica la possibile descrizione della carta secondo il punto di vista dell’editore che introduce anche elementi di commento. In cima alla pagina vengono messi i versi che troveranno le spiegazioni, il commento o le varianti subito sotto. Si mettono versi in numero tale che sotto entri il commento. Cosa possiamo dire degli apparati in colonna? Hanno utilità nel far vedere la storia del verso. sono limitanti nel momento in cui desideriamo allargare lo sguardo dal singolo verso all’intera frase. Per porzioni di testo più lunghe di quella che è la riga del verso non ci dà possibilità di intervento perché va a proporre cambiamenti delle singole parole, dei singoli versi. Utile per vedere la storia del singolo verso, delle singole parole. Guardiamo le sigle, vediamo come possiamo vedere le differenze che vengono introdotte nel tempo. se andiamo a cercare tutte le volte in cui c’è la preposizione articolata notiamo che ci sarà la scritta N. ammoderna la lingua sulla stampa napoletana. Nascono tutta una serie di riflessioni. Vediamo un’altra edizione critica, l’apparato dell’edizione De Robertis, 1984. De Robertis non crede nella possibilità di dare una descrizione verbale delle tante annotazioni che sono presenti sui singoli autografi, decide di mettere a disposizione agli utenti dell’edizione critica un apparato fotografico. Mette a testo della sua edizione dei Canti il testo della princeps di ogni componimento. Disgrega i volumi che Leopardi aveva allestito perché pone come testo base la princeps di ogni poesia, non importa gli anni di differenza. Prende i Canti nella loro singola vita e viene presentato nella prima stampa. Che tipo di apparato sarà quello che pone l’ultima redazione e mette in fila tutti i passaggi? Un apparato genetico. Nel momento in cui viene posto a stampa la princeps e quindi si seguono tutte le successive stampe e non si mette nulla prima sarà un apparato evolutivo. Si metta la prima e l’ultima parola del segmento da commentare. Quello di De Robertis è un apparato orizzontale evolutivo, che rende conto di come si passi dalla prima stampa alle successive fino alla definitiva. quindi questa è la prima stampa che via via viene modificata. Prendiamo l’edizione di Gavazzeni, edizione critica ultima dei Canti di Leopardi, che esce negli anni 2000. Qui possiamo vedere come Gavazzeni ponga sulla prima riga i testimoni ma solo i testimoni manoscritti perché Gavazzeni distingue l’edizione dei manoscritti dall’edizione delle stampe; quindi, divide in due parti l’edizione critica. In questo caso i tre testimoni che abbiamo qui sono manoscritti e anche quello che troviamo nell’apparato riguarda i manoscritti. Il meccanismo è quello di dare conto con un apparato orizzontale parlato dei passaggi. Vediamo il metodo usato. Nelle note filologiche che sono a parte rispetto alla descrizione dell’apparato, viene spiegato che tipo di penna usava, che tipo di inchiostro, che tipo di tratto, come sono state modificate le parole quindi si introduce un’ulteriore sezione, note filologiche, in cui vengono indicati i commenti dell’editore rispetto a penne, tratti, modalità di scrittura. Come fare a dar conto di tutta la parte verticale in cui cita Macchiavelli e in cui cita l’Eneide. La scelta di Gavazzeni è quella di creare dei box dentro i quali dare conto della varia lectio e cioè di indicare a parte ma pur sempre dentro l’apparato dell’edizione quelle che sono le note leopardiane e di aggiungere questo fondo grigio per mettere in risalto alcune di queste varia lectio. Riprende arricchendola la stampa di Moroncini che metteva le varianti alternative in un riquadro. Nel grigio ci sono alcuni commenti, alcune annotazioni. Gavazzeni li mette dentro un box insieme alle varianti alternative ma i commenti vengono messi in risalto tramite un fondo grigio. LEZIONE 29 Una delle caratteristiche di queste edizioni critiche nate dalla scuola di Dante Isella e che hanno prodotto numerose edizioni in particolare all’interno dei più recenti volumi delle opere di Manzoni, i risultati di questa scuola sono quelli di mettere in rilievo non solo la singola variante ma di comprendere attraverso un esame più approfondito del testo anche le strutture sintattiche. Uno dei limiti dell’apparato in colonna era quello di mostrare le differenze di lezioni all’interno di un singolo verso e non ci mostrava il contesto, i versi successivi. Una delle osservazioni nuove nell’ambito degli apparati relative all’edizione critica è un apparato che possa accogliere una più grande porzione di testo. Un tentativo di questa operazione è quella dell’edizione del Fermo e Lucia che comunque pur partendo da una più tradizionale edizione, da un apparato genetico di tipo orizzontale cerca di portare qualcosa di più ampio che non la singola porzione lessicale. Come è costruita la pagina dell’edizione critica? Abbiamo il testo base, che si ricava dalla trascrizione in pulito. Uno dei principali metodi per sapere individuare la grafia di un autore è riconoscere tratti specifici di alcune lettere, ci sono dei tratti caratteristici della scrittura di quell’autore, la S è una di queste per Manzoni, così come la T maiuscola o la Q maiuscola che somiglia quasi ad un 2. Se in un’altra carta troviamo la Q scritta in un altro modo probabilmente non è sua. Come viene presentata questa prima parte in un’edizione critica? Si mettono le prime due lettere e l’ultima della porzione di testo che ci interessa tra parentesi quadra, che è ormai una costante. La prima frase è stata corretta più volte, ‘Quel ramo del lago di Como che’ il ‘che’ è stato cancellato e poi inserito ‘donde’. Vengono introdotti altri segni
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