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Filologia della letteratura italiana- Pasquale Stoppelli, Sintesi del corso di Filologia italiana

Riassunti precisi e discorsivi inerenti al manuale di P. Stoppelli; contente foto prese dal libro ed esempi.

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019
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Scarica Filologia della letteratura italiana- Pasquale Stoppelli e più Sintesi del corso in PDF di Filologia italiana solo su Docsity! Filologia della letteratura italiana- P. Stoppelli Riassunto 1. Concetti generali La scrittura L’attività filologica si esercita su testi scritti, anche se la fonte è orale. La scrittura è un codice in grado di trasporre l’espressione linguistica nei segni di un alfabeto, che a differenza della lingua, tende a mantenersi stabile; i rapporti tra suoni e segni possono però cambiare. Ad esempio, nella poesia di Giacomo da Lentini “Meravigliosamente” abbiamo tre incipit diversi, uno per ognuno dei tre manoscritti che tramandano: - Marauilgliosa mente; - Merauiglozamente; - Meravilliosa mente; Le grafie -lglio -glo -llio rappresentano però un identico contenuto fonetico, che nel XIII secolo non poteva esistere in quanto non esisteva un modo riconosciuto per scrivere la laterale palatale; quindi ognuno dei copisti fa come è suo uso. Da Petrarca in poi, sono inserite delle grafie modellate su latino che non hanno valore fonetico, ma solo culturale (aspecto, nel Canzoniere, va letto come aspetto). L’uomo ha sempre cambiato i supporti su cui scrivere: la stele di Rosetta, II secolo a.C., è una pietra di granito su cui sono incise tre versioni dello stesso testo in geroglifico, egizio demotico, greco; nel mondo antico, si usavano anche superfici metalliche, cocci, tavolette di argilla o di legno, foglie di palma, strato interno della corteccia degli alberi (liber- libro). I materiali utilizzati più largamente erano: - papiro: coltivato nelle zone paludose del Nilo e si creavano fogli che venivano poi avvolti in rotoli (volumen, da arrotolare, volvere); - pergamena: pelle di pecora, capra o vitello conciata, già utilizzata ampiamente prima del 1000; - carta: nel VIII secolo gli arabi importarono dalla Cina la tecnica per fabbricarla, si trattava di un materiale economico e meno deperibile degli altri. Si riproduceva dalla macerazione degli stracci di fibre vegetali; con l’introduzione della stampa si iniziò ad usare solo la carta. Oggi vediamo una trasformazione radicale: il trasferimento del testo dalla carta al supporto digitale, grazie alla memoria elettronica. Se scriviamo al computer vediamo molte funzioni: - font: il disegno del testo; - stile: tondo, corsivo, grassetto, ecc… . Entrambe le opzioni hanno un valore comunicativo e permettono di scegliere le forme più idonee per un testo. Per lo studio filologico dei testi è fondamentale avere una cognizione di questi elementi (materiali, stile, impaginazione) e la disciplina che studia i testi in relazione alle forme della loro scrittura è la paleografia, indispensabile per la filologia dei manoscritti. È con la stampa che le forme della scrittura si sono standardizzate, prima esistevano stili diversi. - Carolina: con la dissoluzione dell’impero romano, gli stili grafici divennero sempre più diversi tra loro, fino a che non si costituì l’impero carolingio; con la ricostruzione di un sistema culturale europeo, si affermò in tutto l’impero uno stile di scrittura tendenzialmente unitario, che prende nome da Carlo Magno. Questo tipo di scrittura è chiara ed elegante, ha un andamento tondeggiante e le lettere e le parole sono tracciate separatamente. È grazie a Carlo Magno che si preservarono molte opere della tradizione letteraria classica. !1 - Gotica: si passa ad un nuovo stile nella seconda metà dell’XI secolo e si afferma nel XII; inizialmente il suo nome era “littera moderna”, ma in età rinascimentale prese il nome di gotica come dispregiativo, perché attribuita al Medioevo barbarico. Si inizia ad usare questo stile perché si inizia ad usare un nuovo mezzo scrittorio: una penna dal taglio obliquo (a punta mozza), che cambiava il tratteggio. Con la gotica si ha una compattezza di scrittura, l’avvicinamento delle righe tra loro e lo scarso sviluppo delle linee ascendenti/discendenti. Era la scrittura tipica del libro universitario medievale perché più funzionale (abbreviature). La gotica italiana è anche detta “gotica rotunda” per le sue forme più morbide. - Semigotica: è la scrittura usata da Petrarca ed è una gotica dal tratto addolcito. Con la riscoperta dei manoscritti classici, scritti in grafia carolina, si cerca di riprodurre uno stile chiaro come il gotico ed elegante come la grafia dei manoscritti. Si pensava però che quella fosse la grafia degli antichi e che dovesse essere imitata; non pensavano appartenesse anche quella ad un’epoca medievale. Le figure più importanti dell’Umanesimo italiano contribuirono quindi ad innovare la grafia gotica, fino a cancellarne i tratti spezzati. - Cancelleresca: versione corsiva della gotica e semigotica librarie; le lettere hanno continuità di trattoed è ricca di legature. Le aste ascendenti creano occhielli e svolazzi ed è usata nelle minute delle corrispondenze private, anche se verrà usata nell’uso delle cancellerie e della pratica notarile in genere. - Mercantesca: tra il ‘200/‘300 nasce la necessità tra banchieri, mercanti, artigiani, di uno stile do scrittura rapido, per motivi pratici. Questo stile ha un tratteggio largo, delle forme tondeggianti ed è destinato solo al volgare ed ai manoscritti cartacei; può anche essere usato per corrispondenze e memorie private, ma è anche usata per trascrivere opere di grande fortuna in ambienti medio-bassi. !2 La nota al testo si definiscono le linee programmatiche che ha usato l’editore per ricostruire il testo, in modo generale, mentre nell’apparato critico ci si sofferma sui singoli luoghi del testo. Con le tecnologie digitali ed Internet è possibile parlare di edizioni fotografiche/meccaniche; molte biblioteche hanno avviato programmi di digitalizzazione dei loro libri antichi al fine di mettere in rete le riproduzioni. Con l’avvento di questa tecnica si può anche ricreare un libro già impaginato e di nessun pregio: queste copie sono dette facsimile. L’edizione diplomatica è una via di mezzo tra la rappresentazione fotografica del documento ed il testo ricostruito in forme moderne, secondo l’edizione fotografica e critica. Il nome deriva dalla modalità caratteristica con cui si pubblicano documenti storico-giuridici delle antiche cancellerie degli Stati (diplomi). Si ha quindi una riproduzione fedele con i caratteri di stampa moderni del contenuto di un esemplare manoscritto. Ha per questo determinati simboli per rendere alcuni aspetti particolari della fonte manoscritta. L’edizione diplomatico-interpretativa rispetta invece le particolarità grafiche del documento ponendo alcuni accorgimenti e modernizzazioni (distinzione u/v, segni paragrafematici, ecc…). La scrittura volgare è molto diversa dalla nostra: - le parole non sono rappresentate nella loro individualità (univerbazione); in grafia viene rappresentato tutto ciò che cade sotto lo stesso accento tonico (addue, nellaprimavera, ecc…). Nel parlare non si mette una pausa alla fine di ogni parola e vediamo quindi che c’era l’idea di una scrittura come rappresentazione di un contenuto sonoro, non riconosce autonomia al testo scritto. Si tratta di una scrittura da sentire. La scrittura inizierà ad acquisire sempre più autonomia (Petrarca, sonetto 96 Vat. Lat. 3195). 2. La filologia del manoscritto Il manoscritto Con il termine manoscritto si intende, in filologia, un libro cartaceo o pergamenaceo scritto a mano, realizzato a penna. Inizialmente si usufruivano dei rotoli, detti codex, che giungeranno all’italiano codice, usato come sinonimo per libro manoscritto. È la codicologia che studia i manoscritti nel loro aspetto materiale. Il manoscritto è una legatura di più fascicoli di carta o di pergamena, raggruppati da una coperta/fogli di guardia all’inizio ed alla fine; i fascicoli sono costituiti da fogli piegati in due e tenuti insieme da una cucitura. Un fascicolo formato da due fogli si chiama duerno, da tre fogli terno, da quattro quaterno, ecc… . Le pagine dei manoscritti sono chiamate carte. La numerazione delle carte avviene numerando ciascuna carta con i termini recto per il lato A e verso per il lato B. Ogni manoscritto è un unicum ed ha un nome, questo nome è detto segnatura, che ha due parti: - nome di dove è posto; - numero di ordine interno; - etichetta con il tipo di alfabeto; La segnatura associa sempre il nome della biblioteca o archivio assieme alla città in cui il manoscritto si trova. Le descrizioni dei manoscritti iniziano già nel ‘400, quando gli umanisti sentirono il bisogno di descriverne il contenuto, e si andò specializzando nel ‘500; tutto ciò ha dato vita a molti cataloghi che descrivono e registrano i manoscritti di biblioteche e archivi. L’edizione critica di un testo deve avere una descrizione preliminare dei manoscritti e delle stampe su cui l’editore si è basato. Descrizione esterna: - Segnatura: il nome del manoscritto; - Materia scrittoria: se membranaceo o cartaceo; - Età: in che anno è stato scritto; - Dimensioni; - Legatura: il materiale di cui è fatto e se è antico o moderno; !5 - Numero carte; - Costituzione dei fascicoli: se duerni, ecc… ; - Disposizione della scrittura per carta: come è impaginato; - Tipo di scrittura: lo stile e se scritta da una o più mani; - Ornamentazione; - Storia del manoscritto; Descrizione interna: - Autore; - Titolo dell’opera; - Contenuto; Notizie bibliografiche. Fino al XII secolo la produzione manoscritta si svolgeva principalmente nei centri scrittori dei conventi- scriptoria. Ma con la rinascita delle città, queste divennero i luoghi più avanzati della vita culturale europea; vediamo quindi la nascita delle università, che rispondono al bisogno di acculturarsi della borghesia in ascesa economica e sociale. Per questo, attorno agli studia si svilupparono corporazioni di copisti professionisti. La lingua del sapere rimane il latino, ma il libro universitario ha delle precise caratteristiche: - formato grande; - disposto su due colonne+ ampi margini; - rubriche in rosso; - scrittura gotica; - molte abbreviazioni. Petrucci parla di libro scolastico; lo allestivano copisti di mestiere e questa tipologia sarà adottata anche per il libro in volgare e quando sarà inventata la stampa. Con la riscoperta degli autori latini (XIV secolo) si ha un’altra tipologia di libro, più piccolo di dimensioni e prodotto solitamente per singoli intellettuali: si tratta del libro umanistico, o da bisaccia, per la sua portabilità che può essere creato sia da scribi professionisti che dallo studioso. Con la diffusione della cultura anche tra i ceti popolari, nasce l’esigenza di un libro a basso costo e detto per questo libro popolare, di piccole dimensioni e detto “da mano”. La realizzazione di questi libretti non era svolta da copisti professionali. La concezione di stampa come nuova ed importante tecnologia, giungerà solo nel XVI secolo. I manoscritti sono classificabili in: - Autografo: quando è scritto dall’autore; - Idiografo: se è stato scritto da un altro, ma supervisionato dall’autore; - Adespoto: senza l’indicazione dell’autore; - Anepigrafo: non si sa il titolo; - Apocrifo: attribuito a chi non è autore; - Miscellaneo: riunisce testi eterogenei; Per quanto riguarda la scrittura: - Acefalo: cadute una o più carte dall’inizio; - Mutilo: lacunoso, mancano carte all’interno; - Composito: rilegati più codici inizialmente indipendenti; - Misto: riunisce materiali pergamenacei e cartacei; L’originale Per originale si intende il testo autografo o idiografo da cui deriva tutta la tradizione, ma può essere originale anche il testo controllato e basta dall’autore. Se manca l’originale, interviene l’edizione critica, che cercherà di riportarlo il più vicino possibile alla sua forma originaria. La relazione che intercorre è tale: Tc > O Il testo critico esiste grazie all’originale, ma non può essere/coincidere con l’originale, in quanto l’originale ha uno statuto incerto e nessuna copia può essere mai fedele del tutto all’originale: ogni copia può contenere errori. !6 Inoltre, la volontà dell’autore è un riferimento dinamico, quasi mai statico: la creazione letteraria è un processo a cui è difficile porre dei limiti, in quanto il rapporto tra scrittore e testo non si chiude quasi mai in modo definitivo: “A Silvia”: il testo autografo di Leopardi si trova nella Biblioteca Nazionale di Napoli ed ha la data 18-20 aprile 1828; il testo della poesia non appare ancora in forma definitiva, in quanto sono presenti molte varianti, per questo possiamo dire che non è un originale, dato che il testo ha altre fasi di elaborazione. Possiamo invece chiamare originale il testo nell’edizione dei Canti pubblicato nel 1831 dall’editore fiorentino Piatti. Nel 1835 però Leopardi pubblica una nuova versione della poesia, dove vediamo ritocchi di stile e cambia “rammenti” in “rimembri”. Antonio Ranieri, amico e custode delle sue carte, pubblica un edizione postuma dei suoi Canti nel 1845; questa versione non ha un’originale dietro di sé, ma solo quello che l’amico del poeta dice fosse la volontà di Leopardi. Non sempre i testi hanno continue rielaborazioni: - “I promessi sposi” del Manzoni sono stati pubblicati definitivamente nel 1840-2 e lui muore oltre 30 anni dopo; questo ci indica che non ha più fatto modifiche. - Nel “Canzoniere” di Petrarca vediamo un testo concluso, anche se la sua definizione è molto vicina alla morte del poeta e quindi non possiamo sapere se voleva modificarlo. Un testo originale indica quindi quando l’autore ritiene concluso il processo creativo e decide di rendere pubblico un testo. Se invece questa volontà non venisse mai espressa? Ad esempio, Virgilio non avrebbe voluto che l’Eneide fosse divulgato e lo chiese espressamente ad un suo amico, Rufo. Alla morte dell’autore, Augusto ordinò il completamento e la divulgazione dell’opera. Possiamo quindi dire che l’originale dell’Eneide non è mai esistito. Lo stesso possiamo dire dei testi privati, ovvero quelli che non erano indirizzati alla pubblicazione, come lettere, appunti, note, ecc… . Un esempio può essere lo Zibaldone. La Gerusalemme liberata di Tasso è un altro esempio: fu messa a stampa senza l’autorizzazione dell’autore da due stampatori ferraresi tra il giugno ed il luglio del 1581; queste stampe e le successive ebbero molto successo. Per quanto riguarda la volontà dell’autore, è la Gerusalemme conquistata, stampata nel 1593 che rispecchierà ciò che Tasso approvava. È di fondamentale importanza nella filologia l’originalità del testo, come lo voleva l’autore. Però è successo che i testi fossero letti secondo la tradizione; in questo caso, si parla di vulgata, che è determinata da ragioni storiche. Per Vulgata si intende la tradizione latina della Bibbia realizzata da san Girolamo nel V secolo, che è stata usata come testo ufficiale per la chiesa cattolica fino al Concilio ecumenico Vaticano. Lo stesso vale anche per i testi volgari, come è capitato per la Commedia di Dante, che per secoli si è fondata sulla vulgata di Boccaccio, anche se molto lontana dall’originale. La copia Fare il copista era una vera e propria professione e non serviva solo saper leggere e scrivere, ma anche abilità tecniche specifiche. Nel ‘300/‘400 esistevano scrittori legati a istituzioni, ma anche privati (storia di ser Nando da Barberino, che solo trascrisse oltre 100 copie della Commedia). Quando nel XV secolo la stampa stava diventando sempre più usata, molti signori si rifiutavano di tenere nelle proprie librerie testi stampati, che erano ritenuti rozzi. Ricordiamo Vespasiano da Bisticci, che ebbe una bottega a Firenze dal 1440 al 1480, che forniva manoscritti di grande qualità ai signori di tutta Italia. Era praticata anche la tecnica del “fai da te”: i testi volgari venivano copiati da chi li volesse tenere e trasmessi. Il lavoro dei copisti comprendeva un aspetto mentale ed uno materiale, sommati alle condizioni del momento in cui si copiava (illuminazione, vista, stanchezza, ma anche provenienza e motivazioni personali). Ecco i passaggi principali del lavoro del copista: !7 Esempio: Ludovico Ariosto pubblica la prima edizione dell’Orlando Furioso a Ferrara nel 1516 presso lo stampatore Giovanni Mazzocco (poi ripubblicherà nel 1521 e 1532). Il testo che leggiamo è dell’ultima edizione del 1532, corrispondente all’ultima volontà dell’autore. Nel 2006, Dorigatti ha pubblicato un’ottima edizione critica della prima stampa del 1516: ha creato un’edizione conservativa, ma non è intervenuto nelle grafie etimologiche ed ha conservato l’uso delle maiuscole. 4. Il metodo di Lachmann La recensio Se i testimoni sono numerosi, si va nella filologia di tradizione, un’operazione di maggiore complessità che si appoggia molto ad una metodica sviluppata nell’Ottocento da Karl Lachmann. I principi del suo metodo furono esposti in una sua edizione di Lucrezio pubblicata a Berlino nel 1850. Per prima cosa bisogna ricercare tutti i testimoni per farne un esame approfondito: solo con la comparazione delle differenze tra i testi è possibile la ricostruzione di un testo originale. Bisogna confrontare i testi parola per parola: collazione (lat. collatio, da conferre: riscontrare, confrontare). Per collazionare i testi A e B si può trascrivere diplomaticamente il testo A ed apporvi le differenze di B rispetto ad A. In caso si possedesse una copia stampata del testo, si può utilizzare quella per trascrivere tutte le differenze tra A e B. La collazione serve al filologo per stabilire un contatto microanalitico col testo e farsi una prima idea di quali siano i rapporti di parentela tra i testimoni. Più i testi sono eterogenei, più la collazione avrà come risultato una lista con molte divergenze testuali, che possono essere di natura grafica, grafico-culturale, fono-morfologica, sostanziale. C’è una netta differenza tra variante ed errore: - variante: possibilità alternativa del testo, che non ne turba il senso; - errore: lezione che si giudica estranea all’autore, perché inaccettabile o incompatibile con quanto l’autore poteva sapere; È difficile stabilire quando una lezione debba essere considerata variante o errore. Nel metodo Lachmann per stabilire i rapporti tra testimoni si punta tutto sugli errori considerati significativi e per questo detti errori-guida, che possono essere classificati in: - errore congiuntivo: errore comune a più testimoni, che possono essere ereditati da un precedente comune; - errore separativo/disgiuntivo: è un errore presente in un testimone ed indica estraneità; Sono quindi gli errori-guida che ci aiutano a ricostruire i rapporti genetici dei testimoni; quest’operazione si fonda su due postulati: - l’originale è per definizione privo di errori; - non esiste passaggio di copia che non inserisce almeno un errore significativo; Le lettere dell’alfabeto latino maiuscolo indicano gli esemplari esistenti, quelle dell’alfabeto greco o latino minuscolo quelle che si suppongono essere esistiti in base al riscontro di quelle disponibili. A = B; B ≠ A !10 A non è l’originale, quindi ha degli errori, che passano in B (copia di A). B introdurrà a sua volta degli errori, per questo A non avrà nessun errore separativo rispetto a B. A = B; A ≠ B I ruoli sono invertiti. A ≠ B; B ≠ A Sia A che B discendono dall’originale, se questo non ha errori, allora non possono avere errori-guida comuni. A = B; A ≠ B; B ≠ A Se A e B discendono dallo stesso antecedente comune, x: archetipo (che discende a sua volta dall’originale), entrambi avranno almeno un errore-guida derivato da x, però, essendo copie, avranno errori specifici che sono separatori. Lo stemma dei codici è l’albero genealogico della tradizione attestata (da lat. stemma codicum). Si parte dal rilevamento degli errori per poter definire lo stemma: 1: A ≠ B,C; B ≠ A,C; C ≠ A,B Non esistono testi congiunti tra i tre testimoni perché c’è dipendenza diretta dall’originale. 2: A = B = C; A ≠ B,C; B ≠ A,C; C ≠ A,B Derivano tutti da un archetipo, che deriva direttamente dall’originale; c’è almeno un errore congiuntivo tra i tre manoscritti. 3: A = B = C; A = B; A ≠ B,C; B ≠ A,C; C ≠ A,B Tutti e tre i manoscritti derivano da un antecedente comune, ma solo A e B hanno degli errori comuni che rimandano quindi ad un intermediario tra questi e x, ovvero y. 4: A = B; A ≠ C; B ≠ A,C; C ≠ A,B Non esistono errori in comune, quindi non ganno un antecedente in comune tra loro e l’originale; B però ha degli errori separativi rispetto ad A, quindi tutti gli errori di A si trovano anche in B. C è estraneo ad entrambi. B deriva quindi da A. - Archetipo: l’esemplare da cui si pensa derivi tutta la tradizione conosciuta (tutti i testimoni hanno almeno un errore significativo in comune); - Subarchetipo: manoscritto capostipite di una famiglia di manoscritti; - Apografo: può essere o una copia dell’originale o un manoscritto che è copia di un altro; - Antigrafo: manoscritto da cui è stato preso un altro manoscritto; - Codice descritto (codex descriptus): è la copia di un altro manoscritto posseduto; Lo stemma rappresenta il rapporto genetico tra i manoscritti/stampe esistenti e conservate. Per prima cosa, dopo aver definito il rapporto genetico tra i testimoni, si eliminano i testimoni descritti (eliminatio codicum descriptorum); nel caso sia possibile attuare una scelta, si parlerà di recensio chiusa. In caso sia necessario prendere a studio tutte le varianti, allora saremo di fronte ad una recensio aperta. !11 In caso la recensio sia aperta, la scelta della variante va fatta in base ad un criterio stilistico, che può suddividersi in una lectio facilior o lectio difficilior. Bisogna partire dalle fenomenologie dell’atto di copia: si suppone che le innovazioni verificatesi sono sempre banalizzazioni della lezione originaria, quindi la lezione meno ovvia e più significativa deve essere riconosciuta come d’autore. Se l’uso delle due lectio non sono utili, allora si utilizza il criterio dell’usus scribendi: si valuta quali delle due lezioni siano più vicine agli usi stilistici dell’autore/genere a cui appartiene l’opera. In caso nemmeno questo criterio serva, si utilizza l’adiaforia (indifferenza): tutte le lezioni attestate sono equivalenti. L’examinatio e l’emendatio Dopo la recensio segue la costituzione del testo (constitutio textus), che prevede il suo esame (examinatio) parola per parola; da questa pratica si capisce quale lezione è originale e quale è un errore o una variante di tradizione. Se tutte le lezioni sono valutate come erronee, si procede nei limiti del possibile a correggere il testo (emendatio) secondo l’ope ingenii. L’emendamento è una proposta integrativa: - il testo aggiunto va tra parentesi uncinate <…>; - il testo espunto va tra parentesi quadre […]; In caso la valutazione delle lezioni divergenti porti a ipotizzare che tutte le lezioni partono da una forma non attestata si parla di diffrazione. L’apparato critico consiste in una serie di note che si trovano parallelamente al testo con il fine di documentare e giustificare luogo per luogo le scelte dell’editore. L’apparato può essere: - apparato critico negativo: sono indicate le lezioni non accolte, con riferimenti al testimone cui appartengono; - apparato critico positivo: nel caso ci siano più testimoni, si mette in apparato il testimone o la famiglia del testimone che portano la lezione messa a testo. Non sempre la lezione in apparato è quella corrispondente all’ultima volontà dell’autore, si basa tutto su un criterio di probabilità. Un esempio di edizione critica (pag. 74-86) Meravigliosamente di Giacomo da Lentini è un testo del XIII secolo scritto originariamente in volgare siciliano, anche se noi lo conosciamo nella sua versione toscana. I manoscritti fondamentali in cui viene attestata la poesia sono tre: - Vaticano latino 3793, Bibl. Apostolica Vaticana, città del Vaticano; - Laurenziano Redi 9, Bibl. Medicea Laurenziana, Firenze; - Banco Raru 217, Bibl. Nazionale Centrale, Firenze; 5. Limiti del metodo di Lachmann Oggettività vs soggettività Il metodo Lachmann inizialmente permise di superare metodi obsoleti per l’edizione dei testi: - codices plurimi: si sceglie la lezione attestata dal maggior numero di manoscritti, senza contare la loro classificazione; - codex vetustissimus: dare fiducia al manoscritto più antico tra tutti quelli presenti, secondo il criterio cui un manoscritto è valido in base a quanti passaggi di copia ha avuto (recentiores non deteriores: i manoscritti più recenti non sono per forza peggiori di quelli più antichi); - codex optimus: la scelta viene fatta in base alla soggettività del critico, che sceglie il manoscritto più affidabile; - textus receptus: si basa sulla vulgata, quindi da ragioni storiche e da una casualità che ha fatto che quel manoscritto prevalesse nel tempo; non sempre però è fedele all’originale. Il metodo di Lachmann diventa famoso nel periodo del Positivismo, secondo cui si pensava di costruire il passato in base a dati oggettivi, più possibile svincolati dal dato soggettivo. In questo campo però le scelte devono essere soggettive: il giudizio del filologo è di basilare importanza. Per impiegare il metodo di Lachmann è necessario che la tradizione abbia certe caratteristiche: !12 della composizione tipografica ed anche la composizione, parola per parola, è meno veloce della memorizzazione dell’amanuense. Questo ritornare più volte sulla parola porta anche a degli errori come il saut du même au même. Nella stampa quindi vediamo degli errori specifici. Nelle tipografie del ‘400-‘500 la disponibilità di caratteri era scarsa: per questo si avviava la tiratura anche prima di aver corretto le bozze; quando si vedeva un errore, si fermava la tiratura e si correggeva, per poi proseguire. I fogli ormai stampati però venivano comunque utilizzati. Questo fa sì che dalla tipografia uscivano fogli di stampa con delle varianti (varianti di stato): non tutte le copie erano identiche tra loro. È dall’analisi delle varianti di stato che si dovrebbe arrivare al testo che doveva essere stampato inizialmente (esemplare ideale) ed al suo interno troviamo lezioni non autentiche o errori non intercettati. Si prende coscienza, verso la fine del ‘400, che con la stampa si stavano cambiando anche i mezzi di comunicazione: nasce l’esigenza/principio dell’uniformità e della regolarità, dato che il libro era divenuto un’esigenza diffusa. Allo stesso modo, nasce il bisogno di una lingua il più possibile standardizzata, che porta all’abbandono progressivo delle koiné regionali ed il formarsi di una tendenza unitaria. Per questo nasce la figura professionale del correttore editoriale, che si divide in: - correttore filologo: le scelte editoriali rispettano le posizioni retorico-grammaticali; - mestierante: pratica priva di coerenza teorica e tendente a soluzioni semplicistiche; Entrambe le figure hanno degli obiettivi comuni: l’abbandono delle forme linguistiche troppo marcate regionalmente, semplificazione della sintassi, chiarificazione di passi non compresi. Dopo la pubblicazione delle Prose della volgar lingua di Bembo si presero a modello i grandi trecentisti toscani. Figure di correttori importanti possono essere: Giuseppe Betussi, Francesco Sansovino, ecc… . Alcuni autori lavorarono sulla normalizzazione del testo per la stampa, come l’attività di Giunti a Firenze, che tentava di dare alle opere il loro aspetto originale e quindi scrisse la Giuntina delle rime antiche nel 1527 con i testi dei poeti toscani antichi. Riflessi filologici Le trasmissioni di testi a stampa sono tendenzialmente lineari: infatti, se il testo era già stato stampato, il tipografo non usava come base un altro manoscritto, bensì un testo già stampato. Questo criterio è valido anche se un l’autore intende revisionare il testo già pubblicato. Se sono apportate modifiche dall’originale manoscritto alla princeps però difficilmente ce ne rendiamo conto; nel caso si abbiano delle stampe indipendenti, senza avere nessuna informazione interna o esterna, il lavoro filologico è più difficile. Quando nelle stampe avviene una correzione, si tratterà quasi sempre di una banalizzazione; ad esempio, se l’amanuense non capiva quello che era scritto sul manoscritto, poteva ricopiare il testo così com’era, ma questo non poteva essere fatto con la stampa. La Trappolaria di Giovan Battista della Porta è una commedia che ha tre stampe significative: - 1596: bergamasca B; - 1597: veneziana V; - 1615: ferrarese F; Il testo V per quanto riguarda lingua e stile appartiene di più agli usi dellaportiani, sono attuati però dei tagli di censura; anche F condivide la censura, anche in altre parti. Il testo B è integro dove F e V sono censurati, ma sembra rimaneggiato sul piano linguistico. Anche F ha dei maneggiamenti su piano linguistico. L’editore della Trappolaria da maggiore autorità a V, che è compensata attraverso le parti di B. Per quanto riguarda le tradizioni miste: la Mandragola di Machiavelli giunge a noi attraverso un manoscritto fiorentino (Redi 129 Bibl. Medicea Laurenziana di Firenze= R) del 1519, assieme a delle stampe cinquecentine, la più antica ha sul frontespizio un centauro che suona la lira ed il commento Commedia di Callimaco e di Lucrezia. Questa stampa è detta del Centauro (=C) ed ha delle caratteristiche di un’edizione di bassa qualità. Tutte le altre stampe hanno una filiazione estranea rispetto al manoscritto, ma R e C hanno errori comuni e quindi possono essere collegate ad un archetipo. Il testo C è quindi una ripulitura conseguente del passaggio in tipografia. Penultima battuta della seconda scena del primo atto, Nicia chiede a Ligurio di chiedere a dei medici: - R, babuassi: babbuini, sciocchi, scemi; - C, babuassi: sostituita con maestri; C’è un appiattimento di senso. L’Orlando furioso del 1532 !15 - Prima edizione: 1516, stampata a Ferrara in 40 canti presso Giovanni Mazzocco; - Seconda edizione: 1521, sempre a Ferrara, dopo una revisione linguistica attuata da Giovanni Battista della Pigna; Dal 1524 inizia a circolare l’opera senza autorizzazione (non esisteva una legislazione sul diritto d’autore); nel 1525 Bembo pubblica le Prose della volgare lingua, che indicava come modelli letterari il Canzoniere del Petrarca e il Decameron di Boccaccio: Ariosto si vede diviso tra una lingua toscana e la lingua padana di koiné. L’insoddisfazione perenne e questi avvenimenti portarono Ariosto a tornare sulla sua opera: - Terza edizione: 1528, chiede al doge di Venezia il permesso di riscrivere la sua opera, che porta a compimento del 1532 presso lo stampatore ferrarese Francesco de’ Rossi. Il testo aveva sei canti in più; Dell’ultima edizione del Furioso ne conosciamo 24 esemplari (5 stampati su pergamena, 16 su carta, 3 su carta grande). I fogli utilizzati sono 62 e le forme 124. Ogni fascicolo ha 8 carte. La filigrana è il marchio di fabbrica della cartiera da cui è uscito il foglio e consiste nel disegno di una figura araldica o di un altro soggetto ed è sempre collocata al centro della metà del foglio, mentre dalla parte opposta si trova una contromarca; il disegno che ritrae la filigrana può dare informazioni sul luogo e data di produzione della carta/libro. È grazie alla filigrana che si può intuire il formato del libro. Conor Fahy ha riscontrato la presenza di più di 250 varianti di stato distribuite su più di due terzi dell’opera, ciò ci dice che le correzioni continuarono anche a tiratura avviata. Nella costituzione di ogni esemplare, i fogli non venivano assemblati secondo l’ordine con cui erano usciti dal torchio, quindi le varianti si distribuiscono in maniera del tutto casuale. L’unità filologica da prendere a esame è invece data dalle pagine stampate da ciascuna forma. L’edizione del 1532 giunse inizialmente alla tipografia di Francesco de’ Rossi come correzione a penna su un’edizione del 1521; le correzioni erano molte, sia stilistiche che linguistiche e c’era un’alta possibilità di fraintendere il testo. Dopo aver creato la bozza, si sottoponeva all’esame dell’autore, che continuava a correggere ed intervenire. Dopodiché si avviava la tiratura e se l’autore interveniva ulteriormente, si fermava la tiratura, si correggeva e si riprendeva. Per questo si hanno molte varianti di stato dell’edizione del Furioso del ’32. Del fascicolo A abbiamo però due versioni, una successiva all’altra: - cancellans: foglio sostituito; - cancellandum: foglio da sostituire; La versione dell’Orlando Furioso che noi leggiamo oggi è quella stabilita da Debenetti e poi aggiornata da Segre ed hanno tutte le varianti di stato che corrispondono alla volontà ultima dell’autore. Debenetti lavora su una versione in carta grande; l’impressione dei fogli su carta grande veniva fatta alla fine della tiratura di ogni forma, quando l’assetto del testo era definitivo, quindi nella forma corretta. Le edizioni d’autore della Locandiera Le edizioni settecentesche delle commedie di Goldoni sono molte e articolate; quelle supervisionate dall’autore sono: - Bettinelli; - Pitteri; - fiorentina Paperini (1753-1754); - veneziana Pasquali (1761-1780); Troviamo il testo della Locandiera (prima rappresentazione 1753) nel secondo tomo dell’edizione Paperini e successivamente nel Pasquali, anche se risulta modificato. Seguendo quindi l’ultima volontà dell’autore, dovremmo dire che è rappresentata dall’edizione Pasquali, però, se prendiamo in esame un’edizione intermedia di Fantino e Olzati (1756) si vedono delle varianti di sostanza e di forma, le stesse che si vedono anche nella Pasquali. È probabile che quest’ultima edizione sia stata usata come base per la Pasquali e che Goldoni, lavorando su questa, non si sia accorto degli errori e delle manchevolezze. Nonostante questo non possiamo reputare la Paperini come ultima volontà dell’autore, perché non sappiamo se Goldoni abbia voluto in realtà mantenere queste lezioni. In questo caso, possiamo citare il metodo proposto da Walter W. Geg per i testi di Shakespeare, delle quali non abbiamo manoscritti; nel 1632 viene realizzata un’edizione complessiva in-folio (First Folio) e fu fatta !16 sulla base degli in-quarto precedenti. È probabile che questo lavoro abbia interessato solo le lezioni sostanziali (le “parole” del testo) e non quelle accidentali (tessuto grafico, maiuscole, minuscole, ecc…). Greg proponeva: - in-quarto per gli accidentali, perché più vicini alla volontà d’autore, prenderli come testo base, copy-text; - in-folio per i sostanziali, che si dovevano trasferire sul copy text; La quarantana dei Promessi Sposi Nei primi mesi del 1821 Manzoni era indeciso tra: - romanzo che narrasse una storia milanese del ‘600; - terza tragedia Spartaco dopo Il conte di Carmagnola e Adelchi; Già nell’autunno del 1823 la stesura del romanzo era completa. L’autografo, senza titolo e diviso in quattro parti, aveva il testo solo nella parte destra, mentre nella sinistra c’era lo spazio per correzioni e revisioni. Questa redazione fu intitolata Fermo e Lucia. Alla fine dello stesso anno avvia una riscrittura nella quale attua molte modifiche strutturali, tra cui attuerà il tentativo di scrivere in toscano vivo ottocentesco. Questo lavoro durò tre anni e finì a luglio 1827; il romanzo fu pubblicato dall’editore milanese Vincenzo Ferrario e fu intitolata “I promessi sposi”, che costituiscono la ventisettana. Tra il 1838 ed il 1840 però riprende in mano la lingua del romanzo, per renderla ancora più toscana e lavorò a penna su un’edizione della ventisettana. Quest’ultima edizione fu stampata a Milano da Guglielmini e Redaelli, come dispende quindicinali dal 1840 al 1842; l’edizione prenderà il nome di quarantana. Nel 1840 per stampare si usava già un nuovo metodo: torchio in ghisa, Stanhope, che era capace di imprimere aree di stampa più grandi e quindi velocizzare i ritmi di produzione. Per evitare che il libro venisse contraffatto, aveva ordinato che vi fossero illustrazioni xilografiche, incise da Luigi Sacchi e disegnate da Francesco Gonin: si tratta di un’edizione illustrata. Questa nuova edizione è fatta con il metodo della sottoscrizione e a dispense, per invogliare i lettori a finanziare quella stampa che si realizzava passo per passo. Si decise di stamparne 10.000 contro i soli 4.600 e così almeno 5.000 copie restarono invendute. Il formato era in-quarto ed i fascicoli 108. Manzoni firmò un contratto che gli permettesse di avere un’ampia facoltà nella correzione delle bozze ed infatti abbiamo molti materiali (bozze, prove di stampa per disegni, ecc…) che si trovano nel “Tesoro manzoniano” della Biblioteca Nazionale Braidense di Milano. Per la continua correzione del testo, abbiamo oggi molte varianti di stato. Nel 1934 Michele Barbi vi dedicò un saggio, nel quale indica delle linee guida, secondo cui è necessario paragonare foglio per foglio, fino a giungere a quello tirato per ultimo e quindi corrispondente all’ultima volontà dell’autore. Barbi ipotizza il concetto di “esemplare ideale”. Oggi leggiamo il romanzo del 1954 di Alberto Chiari e Fausto Ghisalberti, allestito sul fondamento di Barbi; infatti i due editori lavorano molto sui materiali delle bozze. 7. Filologia d’autore L’autore e le sue carte Il lavoro del critico sta nella ricerca della volontà d’autore. Se la volontà d’autore è nota perché scritta in documenti autografi di questo, allora il compito del critico è un altro: mettere in ordine e documentare quelle carte, per mostrare il processo evolutivo attraverso cui il testo giunge alla sua forma definitiva. Si tratta sempre di un’edizione critica, ma la parte fondamentale sarà l’apparato, che documenta le varie fasi, e non il testo. La filologia d’autore è comune nelle filologie moderne, in quanto il materiale autografo aumenta quanto più gli autori sono vicini alle epoche moderne. Lo stesso apparato critico cambia in base alla natura dei materiali di cui si dispone, anche se il fine sempre quello di rappresentare i dati con il massimo di chiarezza e leggibilità. La critica degli scartafacci: questo termine è stato creato da Gianfranco Contini ed esprime le finalità della filologia d’autore; ovvero riordinare le carte, ricostruire il percorso genetico di un’opera, che ci permette di entrare nella “mente” dello scrittore ed avere un contatto stretto con l’opera. Da qui ne deriva un esercizio critico detto critica delle varianti. Il libro del Cortegiano di Baldassarre Castiglione: !17 Nel 1833 Leopardi si trasferisce a Napoli, dove matura l’idea di un’edizione complessiva delle sue opere in sei volumi (prima Canti, seconda e terza Operette morali). Nel 1835 firma un contratto con l’editore Saverio Starita, dal quale uscirà il progetto editoriale dei Canti (N) e il primo delle Operette. Questo fallimento spinge Leopardi a creare un’edizione complessiva delle sue opere a Parigi; Leopardi continua a lavorare sui una copia dei Canti (N), che diventa la Starita corretta (Nc). Quando il poeta muore nel 1837, affida Nc, lo Zibaldone e le carte leopardiano all’amico napoletano Antonio Ranieri, che utilizzerà per l’edizione Le Monnier dei Canti del 1845 e che rispecchierebbe l’estrema volontà dell’autore. Prima sezione: canzoni, con strutture argomentativi complesse e di argomento pubblico. Ultimo canto di Saffo: l’ultima canzone della raccolta, che serve a introdurre la seconda sezione della composizione, quella del momento privato e sentimentale degli Idilli. Seconda sezione: è suddivisibile in tre parti - Il risorgimento: ricordanza (pessimismo cosmico); - Ars amandi: (amore e morte); - Sepolcrali: meditazione sulla morte e sulla natura, poesia pubblica; Questioni 1. La tradizione della Commedia Di Dante non abbiamo nessuno scritto originale e questo rende difficile la ricostruzione di tempi di composizione della Commedia. La stesura, secondi alcuni, è iniziata nel 1304, ma secondo altri è intorno al 1306-1307, in quanto nell’Inferno non si citano fatti accaduti dopo il 1309 e nel Purgatorio, fatti accaduti dopo il 1313; per quanto riguarda il Paradiso, fu iniziato intorno al 1316 e finito poco prima la morte dell’autore. Non abbiamo notizie certe sulla modalità di diffusione delle cantiche, anche se un’ipotesi probabile è quella che i canti siano stati messi in circolazione per blocchi. L’attestazione più antica è quella dei versi dell’Inferno e risale al 1317: sono riportati tra i Memoriali bolognesi, registri del comune di Bologna su cui si trascrivevano atti pubblici o privati e sui quali venivano copiati versi negli spazi bianchi. Nel Trattatello in laude di Dante, composto da Boccaccio nel 1351-1355, viene raccontato un episodio successivo alla morte di Dante e va a formare la leggenda dantesca (pag. 142). I più antichi manoscritti sono posteriori di minimo un decennio dalla morte di Dante e vi vediamo le caratteristiche che saranno proprie dell’opera: - moltissimi esemplari; - compattezza strutturale del testo (terzina); - diffusione in tutti gli strati sociali e culturali; Il testo viene diffuso inizialmente in area emiliano-romagnola, anche se il numero di copie è molto alto a Firenze già dalla prima metà del secolo. Questi fattori favoriscono un contatto orizzontale tra codici, ma rendono anche possibile la contaminazione del testo. Iacopo, figlio di Dante, già nel 1322 un’attività di commento sull’opera, seguito poi da Graziolo Bambagliuoli, il commento di Iacopo della Lana e quello sulla prima cantica di Guido da Pisa. Questi commenti però riportano testi che non corrispondono e creano altra confusione. I manoscritti più antichi formeranno l’antica vulgata e quelli a noi pervenuti sono: • Area toscana: - Triv = Trivulziano 1080; - Gv = ms. C 5 - Ash = Ashburnhamiano 828; - Ga = Gaddiano 90; - Ham = Hamilton 203; - Co = ms. 88; - Cha = ms. 597; - Pr = Italiano 539; - Parm = Parmense 3285; - Vat = Vaticano latino 3199; !20 • Area settentrionale: - La = ms. 190; - Rb = ms. 1005; - Urb = Urbinate lat. 366; - Mad = ms. 10186; • Testimonianze più tarde: - Marr = edizione aldina; - LauSC = Laurenziano Sante Croce XXVI; Il Vaticano latino 3199 è molto importante per la tradizione della Commedia, in quanto è il manoscritto copia di una serie di codici danteschi che Boccaccio allestirà dopo il 1350; oggi se ne conservano tre: - To = Toledano 104 6; - Ri = Riccardiano 1035; - Chig = Chigiano L VI 216; Boccaccio quindi scriveva sulla base di una copia di servizio da cui era già derivato il Vaticano lat. 3199; il suo comportamento non fu passivo, ma interveniva ampiamente sul testo per cercare di recuperare la lezione che secondo lui era migliore. Padoan scrive infatti che come editore, Boccaccio non fu all’altezza dell’amico Petrarca. Le sue edizioni, anche se sbagliate, sono importanti per la storia della tradizione della Commedia ed i testi da lui creati formeranno la vulgata che rimarrà per più di cinque secoli. Fu Giovanni Numeister a stampare nel 1472 la Commedia per la prima volta, a Foligno; poi la seguirono un’edizione veneziana ed una mantovana. Il testo di queste edizioni non è fondato su manoscritti autorevoli. A porsi il problema per la prima volta sarà Pietro Bembo: nella biblioteca del padre si trovava anche il ms. Vaticano lat. 3199, dal quale Pietro trascrisse la copia (Vat. lat. 3197) e attuò revisioni e congetture. Fu questa lezione, dal Cinquecento in poi, ad avere più autorevolezza. Il titolo nasce nell’edizione del 1555 con Ludovico Dolce, che pone sul frontespizio del poema Divina Commedia. La moderna filologia dantesca Inizialmente, i tentativi di ricostruire il testo della Commedia si affidavano solo sul gusto e senso dello stile dei curatori. - erudito veronese Bartolomeo Perazzini: mette insieme un gruppo di studiosi danteschi che si proponevano di studiare il testo della Commedia con l’ausilio delle testimonianze manoscritte classificate per famiglie e aree di provenienza. Privilegiano la lectio difficilor e nel 1775 esce Correctiones et adnotationes in Dantis Comediam. Anche Ugo Foscolo utilizzò quest’edizione per lavorare sulla Commedia. - una vera svolta si ha con Karl Witte: che per primo notò l’impossibilità di definire un albero genealogico della tradizione dantesca per la copiosità di contaminazioni; - Edward Moore: collaziona in base ai loci critici: collazione, descrizione, localizzazione, riconoscimento dell’impossibilita di giungere ad uno stemma, scelta della lectio difficilor; Criterio dei loci critici: va applicato a tradizioni estese e che sarebbe impossibile collazionare integralmente, in quanto i risultati sarebbero difficilmente gestibili. Quindi si limita la collazione ad un numero più ristretto di luoghi del testo dove gli esiti sono più diversi, lavorando per poter stabilire le relazioni di parentela. Nel 1888 viene fondata a Firenze la Società Dantesca Italiana, che fece tra le sue prime operazioni quella di avviare una nuova edizione critica della Commedia. La SDI ha creato: un’edizione del De vulgari eloquentia del 1896 di Pio Rajna ed una della Vita Nuova di Michele Barbi nel 1907. Entrambe le edizioni presentano le prime applicazioni del metodo di Lachmann per testi di un autore italiano. Barbi, per quanto riguarda la Commedia, ha formulato un canone di 396 loci critici sui quali tenta di stabilire la relazione tra i codici; il suo lavoro uscì nel 1921, pubblicato dalla Società Dantesca, che ne affidò una sintesi a Giuseppe Vandelli. Si accorse che non poteva giungere ad una soluzione, quindi utilizzò Triv per toscanizzare il testo e risolvere i dubbi critici singolarmente. Mario Casella cerca una maggiore oggettività e cerca di applicare parzialmente il metodo di Lachmann; il suo saggio critico uscì nel 1923. !21 Carlo Negroni, in un saggio Sul testo della Commedia, aveva ideato l’opportunità di ricostruire il testo del poema basandosi solo su manoscritti anteriori al 1350, che rappresentano la loro prima circolazione. Questo criterio sarà adottato da Petrocchi nella sua edizione critica della Commedia nel 1965: LaDivina Commedia secondo l’antica vulgata. Quindi Petrocchi poneva come linea di confine il 1355, ovvero l’anno in cui nasce l’antica vulgata sulla base degli scritti di Boccaccio. I manoscritti danteschi a questo modo diventavano solo 27 e quindi era possibile proseguire tramite Lachmann dai quali si dividevano due famiglie: alfa e beta (toscana e settentrionale). 2. L’edizione dei testi non-finiti Problemi generali Il fine ultimo della ricostruzione testuale è quello di rappresentare nella maniera più fedele l’ultima volontà dell’autore. È possibile che questa non venga mai definita dall’autore. Vittorio Alfieri pensa che il manoscritto non è un libro e quindi non si può raggiungere l’ultima volontà dell’autore tramite un lavoro che non sia stampato. Un testo può essere incompiuto su due piani: - piano sintagmatico: il testo anche se incompiuto ha una sua organicità e continuità; - piano paradigmatico: non si riesce a scorgere una precisa volontà d’autore; È comunque impossibile pubblicare dei testi letterari che non presentano uno stato di elaborazione vicino alla volontà di autore; l’unico modo in cui si possono stampare è sotto forma documentaria o tramite uno studio di questa (farsi co-autori). - esempio non finito su piano sintagmatico: pubblicazione a stampa a Venezia de L’innamoramento di Orlando di Matteo Maria Boiardo, nel 1495; le Stanze della giostra di Angelo Poliziano, pubblicato per la sua importanza come autore; - esempio non finito su piano paradigmatico: non si riesce a vedere nemmeno il disegno generale dell’opera; Le Grazie di Foscolo Le Grazie di Foscolo sono insiemi di testi stilisticamente unitari, che hanno una loro continuità; il progetto dell’autore muta continuamente nella stesura del testo, ma non giunge mai ad un disegno compiuto. Il nucleo più definito è quello delle Grazie fiorentine (1812-1814); le varianti non sempre sono migliorative, ma recupera anche a distanza lezioni rifiutate in precedenza; per questo non è possibile rimettere in ordine tutte le sue carte per via stilistica. Le scelte editoriali vedono due esigenze: - ragioni della filologia: rispettano i documenti e tendono a lasciarli invariati; - esigenza del lettore: vuole leggere i testi secondo modalità a lui consuete; Francesco Saverio Orlandini pubblica nel 1848 il testo delle Grazie, ricomponendo i testi che aveva a disposizione ed attraverso le sue intuizioni, anche compilando versi nuovi dove mancavano. Questo era il modo di operare che descrisse: - leggere tutti gli scritti di Foscolo; - imparare a memoria i versi degli Inni e le loro varianti; - distaccarsi dalle edizioni dei precedenti editori; - non farsi tentare dalle altre varianti; Nonostante la passione che Orlandini mise per costituire il testo delle Grazie, non si può valutare come un’edizione filologica consona ai nostri tempi. Giuseppe Chiarini farà tre edizioni delle Grazie, dal 1882 al 1904. Utilizza solo versi che ha e non ne altera la loro posizione o struttura, esibendo una linea di sviluppo e mantenendo i caratteri dell’incompiutezza. Mario Scotti, nel 1985, crea il volume Poesie e carmi: non vuole dare un’idea unitaria dell’opera, ma cerca di porre sotto gli occhi del lettore le fasi del lavoro manoscritto di Foscolo. Ci da l’idea di una raccolta di testi che fanno parte di un progetto incompiuto per un’opera che doveva intitolarsi Le Grazie. Non cerca più l’idea dell’opera unitaria e cambia tipologia di edizione: ogni brano è considerato un testo a sé in quanto i testi sono trattati come documenti; non c’è infatti continuità strutturale che sembra darci una lettura di un testo letterario. !22
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