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FILOLOGIA ROMANZA [47155], prof. G. Mascherpa, 2022-2023, Appunti di Filologia romanza

Appunti completi di tutte le lezioni di Filologia Romanza [47155] del professore G. Mascherpa, 2022-2023. Contengono anche i testi analizzati con la parafrasi e il commento linguistico.

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 23/06/2023

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Scarica FILOLOGIA ROMANZA [47155], prof. G. Mascherpa, 2022-2023 e più Appunti in PDF di Filologia romanza solo su Docsity! Filologia Romanza 1 LEZIONE 1 Il corso sarà diviso in tre sezioni, indipendenti ma intercomunicanti: a) Fondamenti di linguistica romanza b) Testi delle origini c) Profilo per generi delle letterature romanze medievali Il concetto di filologia romanza Il sostantivo filologia e l’aggettivo / sostantivo filologo derivano dalle parole del greco classico. Il sostantivo φιλολογία [philologĭa]: ➢ “Amore per la discussione o il ragionamento” = non ha ancora a che fare con la letteratura ma più che altro con la discussione filosofica. ➢ “Amore per la conoscenza e la letteratura” = questo concetto solo in un secondo momento, inizialmente i greci non la pensavano così. Aggettivo/sostantivo φιλόλογος [filologo]: ➢ “Appassionato di parole, loquace” = ama discutere. ➢ “Appassionato di conoscenze e letteratura, letterato”. ➢ “Studente, studioso”. ➢ “Studioso delle parole” = si avvicina davvero all’attività del filologo per come la intendiamo oggi. Il verbo φιλολογέω → “amare il sapere, perseguire il sapere, studiare” = perseguire la verità, il filologo è sempre alla ricerca di essa. La radice etimologica = [< φιλος “amico” + λόγος “discorso, parola”] = “amico delle parole, amico del discorso”. Dal greco la parola transita, come prestito dotto, nel latino. Già in età repubblicana ci fu l’innamoramento degli intellettuali latini per la cultura greca (= considerata “superiore”) – si cominciarono a leggere le opere greche, a studiare la filosofia greca… Questo contatto di culture produce il transito di parole → la lingua latina, molto presto (II-III a.C.), si riempie di vocaboli provenienti dal greco. ➢ Sostantivo philologia = in latino significa “passione per la letteratura; sapere, erudizione” (utilizzata in particolar modo da Cicerone e da Seneca). ➢ Aggettivo e sostantivo philologus = in latino significa “letterato, erudito”. Il collegamento tra filologia e letteratura qui è potente e anche tra filologia ed erudizione. Chi è un erudito? È uno studioso con molte conoscenze di diverso genere, anche precise e minute, che gli servono tutte quante nel momento in cui presta la sua opera a interpretare, per esempio, un testo. La parola “filologia” viene recuperata, come cultismo, tra Umanesimo e Rinascimento. Cos’è una forma dotta? Le parole dotte sono parole che nel momento in cui il latino è morto – e dal latino sono nate le lingue romanze – non hanno avuto una continuazione nel parlato. La parola “filologia”, nel momento in cui il latino (fine età romana inizio Medioevo) si è trasformato nelle lingue romanze, questa parola non era in bocca a nessuno = era soltanto nei libri e ci rimase per anni fino a quando qualcuno decise di recuperarla e di “italianizzarla”, “francesizzarla”… perché aveva scoperto che gli Filologia Romanza 2 serviva per un determinato scopo. Le parole dotte – o i cultismi – sono forme delle lingue classiche (greco, latino) che vengono recuperate direttamente dai libri, dopo secoli di oblio, per essere riutilizzate nel contesto di nuove lingue (italiano, francese, inglese). Il contrario di “forma dotta” è “forma popolare” = la maggior parte del nostro lessico è di derivazione popolare = è passato direttamente dal latino parlato alle varietà romanze. Le forme dotte o cultismi sono forme che non sono passate direttamente dal la tino parlato alle lingue romanze ma che sono entrate nelle lingue romanze in un momento successivo per recupero dotto. “Filologia” è un cultismo che viene recuperato tra Umanesimo e Rinascimento → periodo della “riscoperta” dei classici e necessità di stud iarli in modo critico = vogliono tornare a leggere i classici nella loro forma originaria. Viene recuperato il termine “filologia” e matura un’accezione più precisa di esso = disciplina che mira ad interpretare i testi calandoli nel loro contesto storico-culturale e linguistico. Un esempio = il caso di Lorenzo Valla, De falso credita et ementita Constantini donatione (1440) = documento creduto autentico che autorizzava l’esistenza del potere temporale del Papa, secondo questo documento l’imperatore Costantino avrebbe concesso dei terreni al Papa nel IV d.C. e questa concessione imperiale autorizzava l’esistenza e l’incremento del potere temporale del Papa. Lorenzo Valla, umanista, dimostra con un’analisi di tipo filologico che il documento latino è un falso = è stato redatto molto più tardi dell’epoca di Costantino. Lorenzo Valla dimostra la falsità, l’inautenticità facendo ricorso a strumenti interpretativi; come la conoscenza della storia o delle lingue antiche – strumenti che ogni filologo dovrebbe utilizzare quando si approccia alla lettura e allo studio di un testo antico. Sempre nell’Umanesimo si sviluppa il significato di “filologia” come disciplina che riavvicina i testi antichi alla loro forma originaria, attraverso il confronto di diverse copie = per vedere dove ci sono errori, dove un copista è innovato... Filologia testuale o critica del testo o ecdotica → l’arte di pubblicare un testo sulla base di criteri scientifici. Delle opere della letteratura classica – greca o latina – non abbiamo gli autografi originali = quando li leggiamo, il testo è stato ricostruito dai filologi. Questo discorso vale anche per la letteratura medievale. Abbiamo l’autografo del Canzoniere di Petrarca, due manoscritti autografi. Idiografo = scrittura di un suo scrivano sotto lo stretto controllo dell’autore ≠ autografo = scritto direttamente dall’autore. Non abbiamo autografi di Dante. Esiste, al contrario, una copia parzialmente autografa del De Decameron – Boccaccio era un cattivo copista di sé stesso. Secondo Immanuel Kant (citato nel Deutsches Wörterbuch di Jacob e Wilhelm Grimm = grandi indagatori del folklore germanico) – “la filologia è quella disciplina che comprende in sé una conoscenza dei libri e delle lingue”. Conoscenza critica = si basa sulla capacità di saper giudicare, discriminare direttamente proporzionale alla quantità di conoscenze che il filologo può mettere nella sua operazione di interpretazione del testo. Kant ci dice già come la filologia non si possa fare senza linguistica e senza una conoscenza delle lingue antiche. Erich Auerbach → scrisse un volume pensato per i suoi studenti = “Introduzione alla filologia romanza” = “la filologia è l’insieme delle attività che si occupano metodicamente del linguaggio dell’uomo, e delle opere d’arte composte in questo linguaggio”. È una definizione più “larga” rispetto a quella di Kant. Per Auerbach la filologia si applica soltanto a opere di carattere letterario. Filologia Romanza 5 sostantivo con cui i parlanti antico francese identificavano la propria lingua materna ancora all’inizio del Basso Medioevo (dopo il Mille). Poi, per metonimia, romanz passa a indicare un “componimento narrativo in lingua volgare francese; romanzo” (XII secolo). Dall’antico francese romanz deriva il sostantivo italiano romanzo in entrambi i significati = “testo narrativo, perlopiù di provenienza francese” (significato attestato dal XIII secolo) e “lingua neolatina” (dal XVII secolo) = è un prestito dal francese che entra nell’italiano molto presto – questa parola NON è un cultismo. Per come è concepita in Italia, la filologia romanza è dunque la disciplina che studia le origini delle lingue neolatine e che ricostruisce e interpreta i testi, letterari e non, scritti in queste lingue nel Medioevo. Le filologie italiani e francesi hanno come ambito di applicazione e di studio il Medioevo = si occupano soprattutto di testi medievali. Altrove, l’ambito di applicazione della disciplina ha sfumature diverse = nel mondo anglosassone, la Romance Philology (o più largamente Romance Studies) tratta le lingue e le letterature neolatine senza precisazioni cronologiche (medievali e moderne). O ancora, nella sua Introduzione alla filologia romanza, Erich Auerbach tratta l’origine delle lingue neolatine e poi offre un profilo delle loro letterature dalle origini all’Ottocento = la trattazione di Auerbach arriva fino alle soglie del XX secolo. Alle origini della filologia romanza La filologia romanza come disciplina scientifica nasce con il Romanticismo (XIX secolo, prima metà). Ne sono pionieri François Raynouard (1761-1836), francese, e Friederich Diez (1794-1876), tedesco. La filologia romanza come disciplina scientifica nasce con una caratterizzazione spicciamente linguistica = ciò che interessa è l’origine delle lingue romanze. Sia Raynouard sia Diez sono interessati al problema delle origini delle lingue neolatine (va però precisato che il loro interesse linguistico muove dalla necessità di comprendere meglio le liriche dei trovatori, delle quali erano studiosi = legame linguistica-filologia). Sono entrambi esperti di lirica trobadorica e di letteratura provenzale. La nascita della filologia romanza si inserisce in un contesto particolare = Romanticismo Europeo e in particolare nel dibattito intorno alla questione delle origini delle lingue, non solo quelle neolatine. Il Classicismo considerava il cambiamento in chiave negativa = un deterioramento rispetto al canone. Il Romanticismo valorizza invece il mutamento, l’aspetto evolutivo della realtà (idealismo hegeliano) come manifestazione di progresso (Hegel, la dialettica storica). Vale anche per le lingue → si comincia a studiare il processo evolutivo delle lingue nella storia (= considerarle nella loro diacronia = cambiamento di una lingua nel corso del tempo). Grande interesse per il mito filosofico delle origini (dei popoli, delle nazioni…) come fase aurorale e quindi pura delle manifestazioni dello Spirito → il mito delle origini si riflette nell’interesse per l’origine delle lingue – lo “spirito” che si manifesta per la prima volta. In questo contesto ideologico e culturale, si sviluppa la linguistica storico-comparativa: ➢ Linguistica storica = studio della grammatica di una lingua in senso diacronico → lingua analizzata nel suo sviluppo storico = mutamento. ➢ Linguistica comparativa = confronto tra lingue diverse ma affine. A partire dal confronto delle loro caratteristiche fonetiche (suoni: vocali, consonanti) e morfologiche (struttura, forma delle parole: prefissi, suffissi, infissi, desinenze…) si può tracciare un albero genealogico delle lingue, evidenziandone le parentale, e ricostruire le caratteristiche fonetiche e morfologiche della lingua comune da cui le lingue affini derivano. Filologia Romanza 6 Il metodo storico-comparativo delle lingue viene applicato – inizialmente – al sistema della coniugazione verbale del sanscrito (= lingua letteraria del periodo classico della letteratura indiana) a confronto con greco, latino, persiano e germanico dal linguista Franz Bopp → la sua opera più importante è “Sul sistema di coniugazione della lingua sanscrita, a confronto con quello greco, latino, persiano e delle lingue germaniche”. Bopp dimostra che all’origine del gruppo di lingue sorelle da lui considerato esiste un’antica e grande famiglia linguistica, o protolingua , della quale non restano tracce scritte = il cosiddetto indoeuropeo (o indogermanico) = lingua della quale non esistono tracce scritte, ma la cui esistenza storica si può ipotizzare sulla base del confronto tra le affinità fonetiche e morfologiche di molte lingue dell’Europa e dell’Asia. Bopp lavora sugli aspetti morfologici delle lingue considerate, in particolare sulle desinenze verbali = nota regolarmente delle affinità e quindi ipotizza l’esistenza matrice comune. La morfologia è il cuore pulsante della grammatica di ogni lingua = è questo che dà scientificità al lavoro di Bopp = affinità lessicali tra lingue diverse sono sempre possibili (esistono i prestiti), ma affinità morfologiche indicano parentela sicura. L’importante lavoro storico-comparativo di Bopp fa di lui il padre dell’indoeuropeistica [in realtà il linguista danese Rasmus Rask lo aveva anticipato redigendo nel 1814 uno studio in cui comparava danese e islandese, ma l’opera fu pubblicata solo nel 1818]. L’INDOEUROPEO: ➢ Famiglia di lingue affini, parlate da tribù stanziate nell’area del Caucaso, tra Europa e Asia, prima del III-II millennio a.C. ➢ Con le migrazioni verso ovest e sud-est, queste lingue si sarebbero diffuse da un lato in Europa, dall’altro in Persia e nel subcontinente indiano. ➢ Non esistono tracce scritte dell’indoeuropeo → lingua ricostruita tramite le tecniche della linguistica storico-comparativa = riusciamo a ipotizzare. Filologia Romanza 7 ↑I nomi sottolineati sono le popolazioni appartenenti al ceppo etnico-linguistico indoeuropeo. Le popolazioni non sottolineate = ad esempio, di origine mediterranea, di ceppo non indoeuropeo ma ancora oggi è tema di dibattito da dove provengano (= etruschi, baschi…). Nell’ambito della linguistica germanica, Jakob Grimm redige una grammatica comparativa delle lingue germaniche (Deutsche Grammatik, 1819-1837 = confronta tutte le lingue germaniche – dal tedesco all’inglese, al danese… e le confronta anche in prospettiva storica). Secondo Grimm tutte le lingue germaniche (tedesco, inglese, danese, lingue scandinave) derivano da un non documentato germanico primitivo/comune = una delle tante declinazioni possibili dell’indoeuropeo. Sia Bopp sia Grimm valorizzano le potenzialità ricostruttive del metodo storico- comparativo, perché le lingue matrici non sono attestate e vanno quindi ricostruite . La linguistica romanza è l’unica per la quale la lingua matrice da cui originano italiano, francese, spagnolo, provenzale… è ben nota e ben documentata = il latino. Se prendiamo il caso, ad esempio, dell’indoeuropeo: ➢ antico indiano pitár – greco πατήρ – latino pater – gotico fadar - inglese antico fæder – antico alto tedesco fater (mod. Vater) < *ph2tér [* = radice ricostruita, forma non attestata – non sappiamo se effettivamente fosse così, possiamo solo ipotizzare]. Invece per le lingue romanze: ➢ Italiano figlio – spagnolo hijo – francese fils – portoghese filho – rumeno fiu < latino FILIU(M). Il latino FILIUS è ampiamente documentato, la lingua matrice è presente. Quindi si attiverà una dinamica inversa rispetto a indoeuropeo e germanico comune (o primitivo). Il metodo storico-comparativo applicato alle lingue romanze, da Friedrich Diez in poi, non sarà ricostruttivo (o meglio, lo sarà solo in parte), ma studierà quali esiti hanno prodotto nelle varie lingue neolatine i suoni e le forme del latino → ci aiuta a capire in che modo il latino si è trasformato nelle diverse lingue romanze = in che modo i suoni o le desinenze del latino sono cambiati nel processo di mutamento che ha portato dal latino parlato all’italiano, al francese, allo spagnolo… Il pioniere dello studio comparativo delle lingue romanze è François Raynouard, il quale scrive nel 1821 = “Grammaire comparée des langues de l'Europe latine dans leurs rapports avec la langue des troubadours” → è il sesto volume dello Choix des poésies originales de troubadours (1816-1821). Per lui, all’origine delle lingue romanze non c’è il latino ma una protolingua derivata dal latino che lui definisce romana e che identifica con il provenzale → Raynouard mette il provenzale all’origine delle lingue romanze. Lo schema derivativo proposto è latino popolare (= parlato) > lingua romana (= provenzale) > italiano, francese, spagnolo… Un confronto sistematico tra tutte le lingue romanze gli avrebbe mostrato che alla base di esse non può esserci il provenzale, ma che alla base di tutte (provenzale compreso) c’è il latino. Friederich Diez (1794-1876) è il vero fondatore della linguistica romanza. Come Raynouard, parte da studi filologici sulla poesia trobadorica. Scrive la Grammatik der romanischen Sprachen (1836- 1843) = Grammatica [storico-comparativa] delle lingue romanze. Scrive anche l’Etymologisches Wörterbuch der romanischen Sprachen (1854) = Dizionario etimologico delle lingue romanze. Filologia Romanza 10 I comparativisti scoprono che il transito da una lingua a un’altra (dal latino alle lingue romanze o dal germanico primitivo alle lingue germaniche) non avviene in modo casuale, ma si svolge in modo regolato = quando una lingua X muta e si trasforma in una o più lingue Y, sul piano dei suoni (fonetica) agiscono due principi → legge fonetica e analogia = questi regolano il transito da una lingua A ad una lingua B. LE LEGGI FONETICHE (1) → nell’evoluzione da una lingua A ad una lingua B, un suono X della lingua A si trasforma ineluttabilmente in un suono Y della lingua B. Questo concetto di “legge fonetica”, già presente in filigrana nelle opere di Diez e Grimm, viene formalizzato dalla scuola linguistica dei neogrammatici → ispirati dal principio del Positivismo. Secondo i neogrammatici, se la linguistica è una scienza al pari delle scienze naturali, le leggi linguistiche devono essere ineluttabili come le leggi di natura. Esempio, se in italiano (toscano), la “legge fonetica” fa sì che il nesso consonantico latino CL produca inevitabilmente chi = CLAUSTRUM > chiostro / CLAVIS > chiave / ECCLESIA > chiesa. In francese, la vocale tonica A del latino collocata in sillaba libera (finisce per vocale), se non è preceduta da C- o seguita da M/N, produce sempre e (legge 1) = CLA-VIS > clé / A-MA-RE > amer / AES-TA-TE(M) > eté. Se è preceduta da C- produce il dittongo ascendente je (legge 2): CANEM > chien “cane”. Se è seguita da M/N produce il dittongo discendente ai (legge 3): MANUM > main “mano”. [Evoluzione condizionata da che cosa? Da altri suoni vicini che condizionano (= influiscono su) lo sviluppo fonetico di A] Le leggi fonetiche hanno, nelle lingue, diverse accezioni = non sempre una parola mostra l’evoluzione che ci si aspetterebbe (ogni lingua è piena di eccezioni). Una legge non può avere accezioni. Si preferisce parlare di “norme” o “tendenze” fonetiche. Una marcata regolarità esiste senza dubbio → l’idea dei comparativisti (= Diez) o dei neogrammatici (= Meyer-Lübke) non è sbagliata. Alcune delle eccezioni alle leggi fonetiche si possono spiegare con: L’ANALOGIA (2) → ci sono parole che, invece di mostrare lo sviluppo fonetico che ci si aspetterebbe, si uniformano (per ragioni di semplificazione linguistica) ad altre parole della loro stessa classe morfologica, o che sono loro vicine per suono o per significato. Le lingue sono sistemi intelligenti = vanno sempre nella direzione del “semplificarsi”. Esempio = verbo latino MOVERE (“muovere, muoversi”); il perfetto (= passato remoto) in latino è MOVI – che in italiano dovrebbe dare movi “io mossi” (perché il latino -V- > italiano -v-) invece abbiamo mossi → PERCHÉ? Si uniforma per analogia alla nutrita serie di passati remoti scrissi, dissi, condussi, ressi, trassi… (derivati regolarmente dai perfetti latini scripsi, dixi, conduxi, rexi, traxi). C’è una schiera di perfetti in “-ssi” e dunque il perfetto di MOVERE è stato attratto da questa schiera = mossi. Anche quello dell’analogia è un principio che tuttora è valido nell’indagine linguistica, sia in ambito fonetico, sia in ambito morfologico. Esempio = il verbo essere < infinito latino ESSE presenta la desinenza -re? Anche l’infinito si fa attrarre da questi – si uniforma per analogia agli infiniti regolari in -re. Forme meno comuni, si attaccano a forme più comuni cercando di assomigliare a loro. Altre accezioni alle leggi fonetiche si spiegano con il fatto che le parole coinvolte sono prestiti = parole che entrano in una lingua provenendo da un’altra lingua o da un dialetto – esempio: italiano giardino < francese jardin < francone (= lingua di Carlo Magno) GARD. Uno sviluppo di GARD direttamente dal francone all’ italiano avrebbe dato *gardo, *gardino [GA > italiano ga] gi- iniziale Filologia Romanza 11 dimostra che la parola è passata attraverso il francese, dove GA > ja [come l’antico francese jau < latino GALLUM “gallo, galletto”]. Cultismi o voci dotte = parole “ripescate” direttamente dal patrimonio lessicale delle lingue classiche (= greco o latino). Ad esempio: l’italiano clausura < latino CLAUSURA: se fosse entrata per via popolare, le leggi/tendenze fonetiche avrebbero imposto *chiosura (ma i cultismi entrano nella lingua quando ormai le leggi/tendenze fonetiche non funzionano più da secoli). Sia i prestiti sia i cultismi mantengono la forma della lingua di partenza. L’etimologia, cioè lo studio dell’origine delle parole, ha tratto giovamento dal metodo storico- comparativo (basti pensare ai grandi lavori etimologici di Diez e del neogrammatico Meyer-Lübke). Con il trionfare del metodo storico-comparativo nell’Ottocento, la ricerca etimologica ha potuto fondarsi su presupposti scientifici e non più su “impressioni” o “collegamento indebiti tra lingue”. Esempi: se è appurato che il latino CL > italiano chi, francese cl, spagnolo ll, lombardo č… che il latino A [tonica in sillaba libera] > francese e, italiano, spagnolo, lombardo a che le vocali e sillabe atone finali del latino in italiano e spagnolo si conservano, in lombardo e francese cadono → posso affermare scientificamente che italiano chiave, francese clé, spagnolo llave, lombardo ciav < latino CLAVE(M) → attraverso l’indagine comparativa posso anche provare a ricostruire etimi non attestati. La dialettologia → Graziadio Isaia Ascoli è considerato il padre della dialettologia romanza, fondatore della rivista “Archivio glottologico italiano”, professore di storia comparata delle lingue classiche e neolatine a Milano. Ascoli applica il metodo storico-comparativo allo studio dei dialetti → individua le famiglie linguistiche ladina (Saggi ladini) e francoprovenzale (Schizzi francoprovenzali). Dobbiamo molto al metodo storico-comparativo, i cui principi sono tuttora validi e sono utilissimi nella ricerca linguistica specificamente nello studio delle caratteristiche fono-morfologiche delle lingue, antiche e moderne, considerate in prospettiva storica (origine ed evoluzione). Nel Novecento ha preso piede lo studio sincronico delle lingue ≠ dallo studio diacronico. Dunque, lingue viste non in rapporto alle loro origini e al loro mutamento nel tempo, ma analizzate nel loro funzionamento in un determinato momento della loro esistenza (ci si inizia a chiedere come funziona una lingua) – contemporaneità. Il paradigma moderno (strutturalista) inaugura lo studio della lingua come struttura complessa = si indagano i meccanismi che le fanno funzionare, la costruzione della frase (sintassi), i registri linguistici, l’uso della lingua nella società… Si scopre che certi principi di funzionamento delle lingue sono universali (validi per ogni lingua in ogni tempo) = ad esempio, la dicotomia langue / parole. Il precursore dello strutturalismo fu Ferdinand de Saussure (scrisse nel 1916 Cours de linguistique générale). FILOLOGIA TESTUALE → si dota di un metodo scientifico negli stessi anni in cui lo fa la linguistica con il metodo storico-comparativo. Abbiamo presentato i due studiosi cui si devono le due principali correnti metodologiche della disciplina ecdotica → il tedesco Lachmann e il francese Bédier. Lachmann, filologo classico, stabilì un metodo scientifico per la ricostruzione di un testo antico a partire dalle sue copie = il metodo di Lachmann. Lachmann collauda il metodo nella prima metà dell’Ottocento, i suoi continuatori lo perfezionano nella seconda metà – formalizzazione definitiva = Paul Maas, Textkritik, Lipsia, 1927. Filologia Romanza 12 Ebbe modo di applicarlo all’edizione del De rerum natura di Lucrezio (1850). Lachmann si distanzia dalla prassi editoriale degli Umanisti → correggevano i testi antichi sulla base di congetture, o attingendo alle varie copie di quei testi senza fondare le loro scelte su precisi criteri metodologici. Per provare a ricostruire l’originale di un testo antico, Lachmann invita a partire dalla recensio [latino = recensere “fare il censimento”, “esaminare”], che consiste nel: 1. Prendere in considerazione tutta la tradizione manoscritta del testo da pubblicare 2. Mettere a confronto tra loro i manoscritti (collatio) per stabilirne le parentele I rapporti genealogici tra i manoscritti si stabiliscono tramite gli errori comuni = in particolare, tramite quegli errori che non possono essere poligenetici (= errori che sono stati compiuti da tanti copisti indipendentemente, errori banali/facili), cioè non possono essere stati commessi indipendentemente da più copisti – questi errori si chiamano errori guida (e sono monogenetici = errori che è impossibile che tanti copisti abbiano commesso indipendentemente ed è impossibile che l’abbiano corretto). Non bisogna mai confondere il testo (entità astratta, contenuto) con l’oggetto che lo riporta (manoscritto, contenitore) → il testo è UNO, i suoi manoscritti possono essere MOLTI – testo e manoscritto non coincidono. Principi del metodo lachmanniano = l’individuazione dei rapporti genealogici tra i manoscritti si basa sugli errori comuni. Per sancire una parentela tra manoscritti, tali errori comuni devono essere errori significativi, o errori guida, e soprattutto devono essere monogenetici (non possono essere stati commessi più copisti indipendentemente e un copista non può correggerli). LEZIONE 4 Non sempre gli errori guida sono evidenti → spesso, se la copia A di un testo presenta la parola X, e la copia B la parola Y, e nessuna delle due (X/Y) è palesemente erronea (ma è certo che una delle due è un errore), siamo in presenza di varianti adiafore/sostanziali = una vale l’altra. Esistono anche le varianti formali = varianti linguistiche (esempio: forma della parola cammin / camin). Se due manoscritti A e B di un testo condividono almeno un errore monogenetico, allora significa che questi due manoscritti sono imparentati. Questo errore monogenetico che le congiunge si definisce, appunto, errore congiuntivo (congiunge due manoscritti di uno stesso testo). La parentela tra A e B può allora essere di tre tipi: Dal momento che trovo l’errore congiuntivo, so solo che sono strettamente collegati e i rapporti possibili sono 3, in questo caso. Può essere che: (1) il manoscritto B sia copia del manoscritto A oppure (2) il manoscritto A sia copia del manoscritto B oppure (3) sia il manoscritto A sia il manoscritto B dipendono separatamente da un capostipite comune che li ha generati entrambi in modo indipendente = sono “figli” di X che a sua volta è un manoscritto perduto. Filologia Romanza 15 L’apparato critico → è un complemento irrinunciabile dell’edizione critica, chiunque faccia una edizione critica, deve fornire l’apparato oltre al testo. Con il testo ci fa vedere come ha ricostruito la lezione originaria. L’apparato è quel luogo dell’edizione critica in cui lo studioso ci dice chiaramente tutte le forme attestate nella tradizione manoscritta che lui ha deciso di scartare. Dandoci il testo, ma anche l’apparato, l’editore ci fa vedere come si muove la tradizione manoscritta del testo. I peggiori editori critici sono quelli che nascondono le informazioni. I migliori editori critici sono quelli che ci esplicitano le regole del gioco e il percorso seguito per arrivare al risultato finale, passo per passo. Le edizioni critiche di un testo sono molte e nessuna ci restituisce l’originale. Ogni tentativo di ricostruzione dell’originale rappresenta un’approssimazione, “un’ipotesi di lavoro” (Gianfranco Contini). La filologia testuale non è una scienza esatta = l’originale di un testo è e rimane irrecuperabile (tranne che nei fortunati casi in cui esso è conservato) e poterlo ricostruire meccanicamente per intero è un’illusione. Infatti, il metodo di Lachmann, che mira alla ricostruzione meccanica del testo, in alcune situazioni non è applicabile. In particolare, i successori di Lachmann individuano “falle” nel metodo in presenza di: 1. Stemmi bipartiti (molto frequenti) – ai piani alti gli stemmi sono bipartiti. 2. Contaminazione (= trasmissione orizzontale) tra manoscritti diversi dello stesso testo. 1 = stemma bipartito Cane e lupo “resistono” come varianti adiafore fino ai “piani alti” dello stemma. Qual è allora la lezione dell’archetipo (< originale)? Non è ricostruibile, abbiamo un 50 e 50 (cane e lupo). Qui, la ricostruzione meccanica di Lachmann NON funziona. Dove non sono possibili scelte meccaniche si parla di recensio aperta (vs recensio chiusa, quella in cui invece sono possibili scelte meccaniche). Deve intervenire il cosiddetto iudicium del filologo. Lo iudicium del filologo (scelta “non meccanica”) si applica di norma secondo due principi: 1. USUS SCRIBENDI (“modo di scrivere”) dell’autore → il filologo sceglie la variante che a suo modo di vedere si adatta meglio allo stile dell’autore e quindi ha più probabilità dell’altra di essere originaria. 2. LECTIO DIFFICILIOR (“lezione più difficile”) → il filologo sceglie la variante che pare la meno banale delle due: un copista, trovandosi a copiare una parola “difficile”, potrebbe averla semplificata, banalizzata. Filologia Romanza 16 2 = contaminazione (trasmissione orizzontale) Il copista che realizza il manoscritto B prende un po’ da x e un po’ da z, che appartiene a un altro ramo della tradizione. Il copista che realizza il manoscritto D prende un po’ da z e un po’ da x. Se uno non riconosce la contaminazione, rischia di costruire stemmi sbagliati. Come si capisce che una tradizione è contaminata? = studio il testo tramandato da B, noto una stretta parentela con A (comunanza di errori congiuntivi), a un certo punto noto che ci sono errori significativi in comune con Z – il copista ha cambiato modello, ha smesso di copiare da un antigrafo tipo X e ha iniziato a copiare da un antigrafo tipo Z. Non sempre è facile individuare una contaminazione. LEZIONE 5 Errore congiuntivo = è un errore monogenetico → se due o più manoscritti lo contengono, allora vi è una parentela. Errore separativo = errore guida → due manoscritti non possono derivare l’uno dall’altro, magari sono imparentati ma non vi è una derivazione diretta [ms / mss = manoscritto / manoscritti]. Varianti = sono quelle forme che si trovano in un punto del testo all’interno della tradizione manoscritta. Legge della maggioranza = stabilire quale variante è corretta e quali sono erronee. Volgarizzamenti = sono testi, le più antiche traduzioni in volgare di testi latini – possono essere più o meno fedeli al testo originale. LIMITI ALL’APPLICAZIONE DEL METODO DI LACHMANN: 1. Presenza di stemmi bipartiti, lezione dell’archetipo non ricostruibile meccanicamente (50% vs 50%) necessità per lo studioso di attivare il iudicium, scegliendo in base = all’usus scribendi dell’autore, alla lectio difficilior ma anche affidandosi al principio dei loci paralleli = partiamo dal fatto che ho due varianti, una nel ramo A (cane) e una nel ramo B (lupo), adiafore – non ha funzionato il principio dell’usus scribendi e non posso usare il principio lectio difficilior poiché sono equivalenti. Noto che ci sono, ad esempio, cinque luoghi dello stesso testo in altri punti del testo dove il mio autore, in contesti più o meno simili a quelli che sto trattando in questo testo, parla di lupi → allora scelgo lupo, non è detto che abbia ragione ma siccome in altri punti del testo e in contesti simili a questo, lui usa lupo io mi sento “autorizzato” ad usarlo. Oppure, due autori coevi al mio, in altri testi, descrivendo situazioni simili a quelle del mio testo, parlano di lupi e allora è possibile che la lezione da scegliere sia lupo = perché c’è un’intertestualità, corrispondenza di usi tra il mio autore e altri autori. L’ultima spiaggia che si utilizza → ramo della tradizione che lo stemma ha dimostrato essere più affidabile = vado dove so, per altri motivi, che il testo tramandato è più affidabile. 2. Presenza di contaminazione (= trasmissione orizzontale). Un copista copia un po’ da X, un po’ da Y, un po’ da Z (che appartengono a tre diversi rami della tradizione). Anzitutto, fondamentale rendersi conto dell’esistenza della contaminazione. Poi: se una tradizione è troppo contaminata (= troppe linee di trasmissione orizzontale), gli errori passano da una famiglia all’altra di mss. → la possibilità di costruire lo stemma è compromessa. Se invece la contaminazione è riconoscibile, ridotta e governabile, si può ugualmente costruire lo Filologia Romanza 17 stemma. Se ci sono troppe linee di trasmissione orizzontale → è difficile ricostruire lo stemma. La discussione intorno all’applicazione del metodo di Lachmann = l’approccio al metodo di Lachmann nella filologia novecentesca e specialmente italiana (G. Pasquali, filologo classico, M. Barbi, filologo dantesco, G. Contini, filologo romanzo) comporta revisioni e aggiornamenti del metodo ricostruttivo. Oltre alle questioni non meccaniche degli stemmi bipartiti e della contaminazione, emergono altri aspetti che il filologo ricostruttivo, lachmanniano non può ignorare → il processo di trasmissione di un testo antico non è né può essere rigidamente regolato, è sottoposto a diverse influenze (vicenda umana, non legge matematica). Interpolazione = un copista trascrive un testo, e a un certo punto prende l’iniziativa di migliorarlo attingendo ad altri testi che ha a disposizione – diverso dalla contaminazione, l’interpolazione avviene tra esemplari di testi differenti. La trasmissione di un testo sfugge al meccanicismo. Si presta grande attenzione alla storia della tradizione, non solo alla pura e meccanica critica del testo → come, quanto e dove un testo ha circolato dopo essere uscito dalle mani dell’autore. L’esame della storia della tradizione può aiutare nel processo ecdotico [opera fondamentale di Giorgio Pasquali, Storia della tradizione e critica del testo, 1934]. Il metodo ricostruttivo rimane valido, ma non vanno ignorate alcune questioni importanti legate alla tradizione dei testi, quali ad esempio: ➢ Il principio dei manoscritti recentiores non deteriores (“manoscritti più recenti non recano necessariamente un testo più corrotto”) → un ms. copiato nel Tardo Medioevo può dipendere da un antigrafo vicino all’archetipo [i filologi ritenevano che i manoscritti tardi fossero inaffidabili perché spesso interpolati e quindi sbagliati]. ➢ La possibilità dell’esistenza di varianti d’autore disseminate nella tradizione → l’autore ha messo in circolazione redazioni diverse di un suo stesso testo (quindi possono esistere due originali ed eventualmente due archetipi). Se un autore scrive un’opera e la mette in circolazione, torna sul suo testo e lo corregge – ci saranno due redazioni in circolazione = due varianti d’autore. ➢ La difficoltà o impossibilità di costruire uno stemma: ad esempio, capita con i testi di fruizione popolare, destinati a recitazione e canto → tradizione caratterizzata da marcati rifacimenti, esistenza di versioni non confrontabili di uno stesso testo, diversissime nella forma e nella sostanza. ➢ L’impossibilità di ricostruire un archetipo, o il fatto che un archetipo possa non esistere, perché magari la tradizione nota rimonta direttamente all’originale: ad esempio, un autore fa copiare la sua opera autografa o idiografa a due copisti in contemporanea, o la consegna a uno scriptorium (officina di produzione libraria) = esistono tante copie. Filologia Romanza 20 nella sostanza sulla base dell’altro ramo dello stemma ed espungendone i tratti linguistici settentrionali – l’ha “ri-toscanizzato”. L’edizione della Commedia che si studia a scuola, Petrocchi, non è fondata sull’Urbinate. Più lineare è ad esempio il caso di Restoro d’Arezzo (autore del Duecento), autore del testo enciclopedico La composizione del mondo colle sue cascioni (XIII secolo, s.m.) → è linguisticamente aretino (= coerente con la lingua dell’autore) → pertanto può essere senza problemi il manoscritto base dell’edizione critica. Sempre a proposito dell’interesse, di tipo “bédieriano”, per “l’oggetto manoscritto”. Negli ultimi decenni ha preso piede la cosiddetta filologia materiale = filologia del manoscritto. Chi fa filologia materiale deve essere esperto non solo di metodi filologico-ricostruttivi, ma anche di competenze codicologiche, paleografiche, linguistiche, storiche → attraverso la storia del manoscritto, dei manoscritti si fa storia della tradizione del testo e quindi storia della cultura . Ogni volta che si studia un’edizione di un testo antico, non si può fare a meno di tenere in conto la storia della sua ricezione. LEZIONE 6 Giorgio Pasquali, Storia della tradizione e critica del testo (1934) → pubblicare un testo antico non può prescindere dal conoscere bene le vicende della sua tradizione (= dove, come, quando, quanto un testo ha circolato nei manoscritti che lo hanno tramandato, dopo che il suo autore l’ha “fatto uscire”): …non può ricostruire, per mezzo del confronto e della valutazione delle testimonianze della tradizione, dunque di recensio, il testo originale di un’opera letteraria tramandata a noi dall’antichità classica, se non chi conosce le vicende che quell’opera subì successivamente alla sua pubblicazione, per secoli e secoli, fino ai testimoni conservati. Chi mira a trasformare un complesso di norme logiche e quindi astratte in un metodo di lavoro storico, non deve avere paura del particolare = significativa è la distinzione che fa tra il complesso di norme logiche e quindi astratte che sembrerebbero identificare il metodo dei lachmanniani “puri” – questo complesso di norme logiche va sempre accompagnato con un metodo di lavoro storico. Soprattutto Pasquali richiama l’attenzione su alcuni principi dei quali l’editore di testi deve tenere conto: ➢ Manoscritti recentiores non deteriores = i codici “recenti” NON sono peggiori. ➢ Presenza di varianti d’autore, circolazione di più redazioni “d’autore” di un determinato testo = caso del Milione di Marco Polo. ➢ Testi dalla tradizione mobile: riscritture, rimaneggiamenti, traduzioni (spec. testi destinati all’oralità, di fruizione popolare) → difficoltà a costruire lo stemma, o impossibilità = esempio le laude, le preghiere – ogni volta che vengono eseguite o che cambiano ambiente, vengono modificate. ➢ È sempre esistito un archetipo? Oppure alcune tradizioni derivano, in tutto o in parte, direttamente dall’originale? No, non è sempre esistito, in alcuni casi sì, in altri ne sono esistiti due e in altri la tradizione di un testo dipende direttamente dall’originale. I principi metodologici fissati da Lachmann, non vanno applicati matematicamente, bisogna sempre tenere conto delle infinite variabili che si presentano nel momento in cui ci mettiamo a studiare la tradizione di un testo. Filologia Romanza 21 Nella filologia dei testi romanzi, solo di rado si può applicare il metodo della ricostruzione meccanica (metodo di Lachmann) fino all’archetipo → lo iudicium del filologo è sempre decisivo – il fatto che ogni edizione possa essere diversa dall’altra ha spinto Bédier a fare delle scelte diverse e osserva nelle tradizioni dei testi romanzi: 1. Grande quantità di stemmi bipartiti (no scelte meccaniche) – analizzò 110 tradizioni testuali e in 105 casi gli stemmi sono bipartiti = non si può ricostruire il testo meccanicamente = deve intervenire lo iudicium soggettivo del filologo. 2. Possibilità di tracciare più stemmi per una stessa opera (messa in discussione dell’oggettività del concetto di errore). Bédier mette in discussione per primo questo concetto. Bédier pensa che i filologi romanzi ricostruiscano testi mai esistiti nella realtà (perché non meccanici ma condizionati dallo iudicium dei singoli studiosi, e spesso fondati su stemmi opinabili – l’oggettività non può esistere nella ricostruzione). Tanto vale allora fare l’edizione del testo secondo la lezione di un solo manoscritto (= bon manuscrit), come si sceglie il bon manuscrit: 1. Si traccia lo stemma. 2. Si individua nello stemma il ms. che non ha bisogno di troppe correzioni, uno “buono”. 3. Si pubblica quello, correggendolo il meno possibile e dove non se ne può fare a meno. → Se si offre il testo contenuto in un bon manuscrit, si è sicuri di offrire al lettore un testo che è esistito, che ha avuto una sua concretezza storica, che è stato effettivamente letto da qualcuno in un certo momento del passato (no falso storico). Il metodo lachmanniano resiste, ma l’eredità di Bédier è grande. → Nella filologia romanza c’è ormai sempre attenzione per la fisionomia del testo per come si presenta in un determinato manoscritto, e per le caratteristiche materiali dei manoscritti (filologia materiale). Le edizioni critiche di testi romanzi hanno il problema della lingua originale del testo (tradizioni manoscritte linguisticamente variegate ≠ filologia classica, tradizioni linguisticamente stabili) → si usa, se possibile, fondare la propria edizione critica (anche condotta con metodi lachmanniani) su un ms. che sia buono per lezione, magari antico e linguisticamente vicino all’autore (manoscritto- base o manoscritto di superficie) → la lingua sarà abbastanza vicina a quella originaria – questo, ovviamente, non è sempre possibile = caso della Scuola Siciliana. Esempio di procedura = se pubblico un testo romanzo tramandato da più mss. (pluritestimoniale): ➢ Costruisco, se possibile, lo stemma sulla base degli errori guida = metodo di Lachmann. ➢ Individuo, se possibile, tra i mss. più “alti” nello stemma quello che per caratteristiche linguistiche e per data si avvicina di più alla lingua e al periodo dell’autore. ➢ Faccio funzionare, se possibile, lo stemma su quel ms. → eventualmente lo correggo dove lo stemma me lo suggerisce; e se restano lezioni insoddisfacenti, le correggo con lo iudicium. La filologia romanza stempera il metodo lachmanniano con le indicazioni d i Bédier che ha insistito sulla necessità di considerare l’importanza dei manoscritti. È l’applicazione del metodo di Lachmann su un manoscritto scelto come base che ritengo possa offrire una veste linguistica vicina a quella dell’originale. Filologia Romanza 22 TIPOLOGIE DI EDIZIONI DI CARATTERE SCIENTIFICO EDIZIONE DIPLOMATICA → tipologia “base”, riproduce esattamente il testo per come si presenta in un determinato manoscritto, senza nessun tipo di intervento dell’editore. Edizioni di questo genere erano molto utili in epoca pre-fotografica. Oggi si offrono edizioni diplomatiche: ➢ Se il ms. è difficilmente leggibile (grafia ostica, inchiostro evanito [“scomparso”]). ➢ In accompagnamento all'edizione interpretativa o critica di testi di grande valore storico - linguistico, storico-letterario, storico-culturale (ad es. le più antiche manifestazioni scritte di un volgare, i testi delle Origini). Nello Bertoletti Una lauda-orazione bresciana del Duecento “Lingua e stile”, LV/1, pp. 3-28. Brescia, Biblioteca Queriniana, ms. B.II.8 (XII secolo m.), f. 298v. È un’antichissima preghiera, una proto- lauda, in volgare per la Madonna ed è il più antico esempio di lauda + la più antica attestazione del volgare bresciano. È rimasta solo una strofa, scritta nel margine inferiore della carta di un manoscritto che contiene tutt’altro. Bertoletti rispetta esattamente la disposizione che il testo ha sulla pagina = edizione diplomatica. L’unico intervento è la numerazione delle righe. Dove il copista scrive attaccato, lo fa anche lui. I segmenti di parole tra parentesi sono scioglimenti di abbreviazioni. Sca con sopra un tratto = sancta. P con il taglio a metà del tratto basso = per. Am con il tratto sopra = amen. Una vocale con un tratto sopra sottintende una consonante nasale o labiale (M o N). Gli scioglimenti sono presentati da Bertoletti tra parentesi. Non distingue le U dalle V. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, ms. Redi 9 (XIII secolo ex.), f. 75ra. Giacomo da Lentini, Madonna, dir vo voglio: · Notar iacomo dallentino . Madonna dir uouoglo · como lam or maprizo · inuer logra(n)de org oglo · cheuoi bella mostrate eno maita · Olasso lomeo core · chenta(n)te pene emizo · cheuiue quando more · p(er) bene amare eteneselo auita · Du(n)q(ue) moruuiueo · no malocore meo · ass ai piu spesso eforte · che no(n) faria dim orte naturale · Peruoi mado(n)na cama · / Mater gloriosa madona s(an)c(t)a maria. auo p(re)ciosa recoma(n)t lanima miia. cheuolamenet p(er) si s(an)c(t)a uia. chela possa uegnir allauostra compagnia. am(en). Filologia Romanza 25 Giacomo da Lentini – Madonna, dir vo voglio in I poeti della Scuola siciliana, 2 volume, Milano, Mondadori (i Meridiani), 2008. Volume 1: Giacomo da Lentini, a cura di Roberto Antonelli – stemma codicum. Non è attestata solo dal Laurenziano, ma anche da altri manoscritto Canzoniere Palatino, Giunti, Vaticano Latino, Memoriale Bolognese 74. I testimoni sono 5 = stemma bipartito = La (Laurenziano) e dall’altro y. Antonelli appoggia la lezione di L – dove sbaglia, lui corregge. Antonelli normalizza la grafia = offre il testo e un ricco apparato delle varianti. I Memoriali Bolognesi = nel XIII secolo, il comune di Bologna decide che tutti gli atti notarili di carattere pubblico-privato, vergati sul territorio soggetto alla giurisdizione del comune di Bologna debbano essere trascritti in copia anche in libroni che si trovano nella cancelleria del comune. Questi libroni sono i Memoriali Bolognesi, contengono atti in latino. Questi notai che li compilano utilizzano le parti bianche per scrivere versi che a loro piacciono o per lasciare una traccia dei loro interessi culturali – vediamo un ceto borghese di una città con una precisa identità culturale. Queste carte dei Memoriali sono piene di poesie = alcune sono popolareggianti, canzoni per bambini o poesie dei poeti siciliani, liriche dantesche… Sono una testimonianza importantissima → circolazione in ambito notarile. Pagina dell’edizione critica de La Chanson de Roland curata da Cesare Segre – la prima edizione curata è quella di Bédier che la fondò su un solo manoscritto (il più antico e il più autorevole = testo in forma assonanzata) = il manoscritto di Oxford (XII secolo). Segre, prende come base il manoscritto di Oxford ma lo corregge sulla base dell’accordo degli altri testimoni dell’altro ramo dello stemma – sono segnati in grassetto le lezioni del manoscritto di Oxford che ha corretto poiché sbagliate. LEZIONE 7 Fondamenti di linguistica romanza La continuazione del latino parlato non sono le lingue nazionali ma i DIALETTI (continuazione diretta). I dialetti romanzi nel loro insieme configurano un continuum (parola latina) = il cosiddetto continuum dialettale romanzo. Da Lisbona a Trieste i dialetti sfumano gradualmente l’uno nell’altro senza soluzione di continuità. L’area di transizione da una varietà dialettale a un’altra è determinata da un “fascio di isoglosse”. ISOGLOSSA (concetto introdotto da G. I. Ascoli, letteralmente “lingua uguale”) = linea immaginaria che segna il confine geografico di un certo fenomeno linguistico (fonetico, morfologico, sintattico, lessicale). Esempio = se unisco tutti i punti di determinate località nelle quali si trova per l’ultima il Filologia Romanza 26 fenomeno della caduta delle vocali finali (sal – sale) – li unisco, questa è l’isoglossa che segna il limite della diffusione della caduta della vocale finale. In questo esempio, i fasci di isoglosse che segnano: il confine meridionale dei dialetti italiani settentrionali / il confine settentrionale dei dialetti italiani centro- meridionali / L’area dei dialetti di tipo toscano. Il fascio di isoglosse 1-7 = determina l’area di passaggio dai dialetti di tipo italiano-settentrionale ai dialetti di tipo toscano (occidente) e centro-meridionale (oriente), segnano, inoltre, il passaggio dai dialetti di tipo romagnolo a quelli di tipo marchigiano. A sud, si può dire di essere entrati nel dominio dei dialetti centro-meridionale. L’isoglossa 1 segna il limite meridionale del tipo ortiga – dov’è che si finisce di dirla così e si inizia a dire ortica? A Est, sopra a Pesaro / a Ovest, Lunigiana – a Nord di questa linea si dice ortiga e a Sud si dice ortica. L’isoglossa 2 = sal (con caduta di e), a oriente arriva a Sud di Pesaro / a occidente arriva fino all’altezza La Spezia = a nord si dice “sal” / a sud si dice “sale”. 1-7 → tratti caratterizzanti delle varietà dialettali di tipo italiano -settentrionale. 8-18 → caratteristiche dei dialetti centro-meridionale. I due fasci di isoglosse isolano l’area che comprende la Toscana, Lazio settentrionale, Umbria = dialetti di tipo toscano. Per identificare tutti questi passaggi non basta una isoglossa singola ma serve un fascio di isoglosse. “Linea La Spezia-Rimini” anche detta “Linea Massa-Senigallia” → a Nord troviamo il dominio dei dialetti settentrionali, a Sud troviamo a Occidente i dialetti toscani e a Oriente i dialetti centro-meridionale. Linea Roma-Ancona → a Nord troviamo a Occidente i dialetti di tipo toscano e a Oriente i dialetti di tipo settentrionale / a Sud troviamo i dialetti di tipo centro-meridionale. GEOGRAFIA LINGUISTICA → è quella branca della linguistica che indaga come una lingua si modifica nello spazio. Mentre la linguistica diacronica studia il mutamento di una lingua nel tempo. La LINGUISTICA DIATOPICA (o GEOLINGUISTICA) studia i mutamenti delle lingue nello spazio. Strumenti preziosissimi per indagini di tipo diatopico sulla lingua sono gli atlanti linguistici che mirano a rappresentare sulla mappa la variazione della lingua nello spazio. I due principali atlanti linguistici → AIS (Karl Jaberg e Jakob Jud = Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz) e ALF (Jules Gillieron ed Edmond Edmont = Atlas linguistique de la France). Come funzionano? Si selezionavano una serie di località (indicate con numeri) e si selezionavano una serie di campi semantici (esempio = agricoltura, famiglia, gestione della casa, alimentazione, sentimenti…) e si inviava una serie di studiosi presso queste località a interrogare le persone del posto per sapere come si diceva una determinata parola/espressione nel loro dialetto. Sono divisi in “carte” e ogni “carta” indica il nome di un oggetto → esempio, la carta che indica come si dice “sedia” in tutta Italia. Filologia Romanza 27 TEORIA DELLE AREE LATERALI = secondo la quale, una determinata forma (parola o fenomeno fonetico) che nel Medioevo era diffuso, ad esempio a Milano, oggi non si trova più se non nelle zone periferiche. Stesso principio per il quale, il sardo, tra le lingue romanze è quella più conservativa a livello fonetico – esempio, in sardo “pace” si dice ancora “bake” = si dice ancora con la velare esattamente come la /c/ si pronunciava nel latino del I-II d.C. In Sardegna, per via del suo “isolamento” marittimo, l’innovazione della palatizzazione di /c/ davanti /e/ non è arrivata . La Sardegna è anche una delle poche regione in cui “casa” si dice ancora “dòmo”. Che cosa differenzia una lingua e un dialetto (< greco διάλεκτος “lingua”, “lingua comune”, “lingua di una regione”)? Tra lingue e dialetti non ci sono differenze di sostanza (= differenze di carattere glottologico) → sia i dialetti sia le lingue sono varietà linguistiche (con una loro fonetica, con una loro morfologia, con una loro sintassi, con un loro lessico – e funzionano allo stesso modo). Una lingua non è in sé e per sé superiore a un dialetto = la distinzione tra lingue e dialetti si opera sulla base di criteri storici, culturali, politici, sociali, NON LINGUISTICI. All’origine e alla base di una lingua c’è sempre una varietà dialettale = ad esempio il fiorentino del Trecento per l’italiano, il castigliano per lo spagnolo, la varietà dell’Ile-de-France (editto di Villers-Cotterêts) per il francese… Nel Medioevo, a parte il provenzale, nel dominio d’oil il dialetto francese che ha avuto la massima espansione di tipo culturale e letteraria è stato di tipo “piccardo”. DIALETTO = “parlata propria di un ambiente geografico e culturale ristretto (come la regione, la provincia, la città o anche il paese); contrapposta a un sistema linguistico affine per origine e sviluppo, ma che, per diverse ragioni (politiche, letterarie, geografiche...) si è imposto come lingua letteraria e ufficiale” [GDLI Grande dizionario della lingua italiana, fondato da Salvatore Battaglia, Torino, UTET, 1961-2002, s.v.] → Definizione corretta che mette subito in contraddizione il dialetto con la lingua – non si può definire “dialetto” se non in opposizione a “lingua”. Nella lingua italiana, parola dialetto comincia a essere impiegata in seguito alla scelta del fiorentino trecentesco “delle Tre Corone” [Dante, Petrarca e Boccaccio] come lingua letteraria → che si ha con Pietro Bembo, Prose della volgar lingua, 1525 = fissa il canone della lingua italiana = bisogna utilizzare la lingua che Petrarca ha usato nelle sue poesie e quella che Boccaccio ha usato nelle sue prose). Prima, si parlava di volgari (milanese, fiorentino, siciliano… fuori d’Italia, limosino, piccardo, castigliano…), la maggior parte dei quali era arrivata nel Medioevo all’elaborazione scritta, a volte anche illustre (basti pensare alla lingua dei poeti siciliani = siciliano illustre) → scripta = parola latina che significa proprio “scrittura”, “forma scritta” – non è uniforme, anche all’interno delle singole famiglie dialettali esistevano escursioni di registro (stilistico) = on è che Bonvesin dalla Riva scrivesse esattamente come parlava = esistevano le escursioni stilistiche finché non venne stabilito il fiorentino “delle Tre Corone” come lingua di riferimento. Con l’instaurarsi di una lingua standardizzata e ufficialmente riconosciuta come strumento comunicativo (instaurarsi per ragioni culturali-letterarie, come in Italia; per ragioni politiche, come in Francia e Spagna) le altre varietà assumono una connotazione diastratica più bassa → dialetti, patois [francese]. Filologia Romanza 30 La lingua cambia nello spazio (diatopia) = gli atlanti linguistici rappresentano questo cambiamento sulla carta geografica. La linguistica areale (o geografia linguistica, o geolinguistica) rende evidente il fenomeno della teoria delle onde (Wellentheorie) descritto da Johannes Schmidt (1843-1901). Un’innovazione linguistica parte da un centro propulsore (di solito un centro di prestigio) e si irradia più o meno rapidamente verso la periferia → le periferie conservano dunque stadi di lingua più arcaici, perché le innovazioni partite dal centro propulsore non sono ancora arrivate e forse non arriveranno mai = il caso delle consonanti velari C, G del latino conservate dal sardo davanti ad -e-, -i- (sardo bake, italiano pace, francese paix, spagnolo paz < latino PACEM). LINGUE E DIALETTI = cosa li accomuna, cosa li differenzia. Non esistono differenze strutturali tra lingue e dialetti. La differenza è di tipo funzionale, cioè riguarda i differenti ambiti di impiego nella società. Dialetto = uso privato, familiare; geograficamente limitato; non istituzionalizzato; varietà non riconosciuta come lingua di comunicazione a tutti i livelli da una comunità di parlanti (no grammatica codificata, no standard). Circostanze storiche, culturali, politiche hanno fatto sì che determinati dialetti venissero “promossi” a lingue e che viceversa delle lingue fossero “degradate” a dialetti o patois. La scelta del parlante tra lingua e dialetto (se usare l’uno o l’altro) pertiene all’ambito della diglossia. DIGLOSSIA → prevede che ci sia un parlante che conosce due varietà (ad es. lingua e dialetto) che però non sono intercambiabili in tutti i contesti (altrimenti = bilinguismo), ma va scelta una o l’altra a seconda del contesto (diafasia): ➢ In contesti ufficiali, formali, si impiega la lingua (registro più alto). ➢ In contesti privati, informali, si impiega il dialetto (registro più basso). Esiste un rapporto gerarchico tra lingua e dialetto → e quindi una differenziazione funzionale tra le due varietà = una è riconosciuta come “superiore” e l’altra come “inferiore”. Diglossia = una lingua va usata in un determinato contesto e l’altra lingua in un altro ≠ bilinguismo = posso usarle entrambe in qualsiasi momento. Gli strumenti per interpretare e classificare le variazioni linguistiche si chiamano assi di variazione della lingua. Ogni lingua è soggetta a diversi tipi di variazione, che possono anche interagire tra loro; si parla assi di variazione della lingua (primo teorizzatore = Saussure 1916 / Coseriu 1973): 1. DIACRONICA → variazione nel tempo = esempio, dialetto milanese del 200/del 600/2023. 2. DIATOPICA → variazione nello spazio = da Ferrara a Cento il dialetto è diverso. 3. DIASTRATICA → variazione determinata dal contesto sociale = (classi sociali) un giovane si esprime in maniera diversa rispetto a un anziano. Una persona che ha compiuto tutti gli studi parlerà in maniera diversa rispetto a una persona che non ha mai finito gli studi. Ciò si vede anche da persone che abitano in campagna e da persone che abitano in città. 4. DIAFASICA → variazione determinata dalle situazioni comunicative = se parlo con mio fratello utilizzo un registro differente rispetto a quello utilizzato durante un esame universitario. 5. DIAMESICA → variazione determinata dal mezzo dell’espressione linguistica (scritto o parlato) = nessuno di noi scrive come parla o parla come scrive. Quando si scrive si tende ad essere “più attenti” – ciò vale per qualsiasi persona, istruita o no. Filologia Romanza 31 Lo studio sincronico di una lingua = è lo studio strutturale di essa presa in un determinato momento della sua esistenza → la lingua si sviluppa nel tempo e io prendo un punto esatto sulla linea del tempo e indago lo stato di lingua che si manifestava, ad esempio, nell’italiano del 1492 [lo studio sincronico studia la lingua in un determinato momento della sua storia]. L’indagine diacronica studia la variazione di una qualsiasi lingua nel tempo. Il concetto di ROMÀNIA In senso lato e sincronico, la Romània oggi è quella vasta parte del mondo in cui si parlano lingue romanze (cioè “derivate dal latino”) come lingue madri = buona parte dell’Europa, tutta l’America Latina (centro-meridionale), il Québec in Canada, parte degli USA (soprattutto per via della nutrita minoranza ispanofona), le ex colonie francesi, belga, spagnole, portoghesi in Asia, Africa e Oceania (dove però raramente le lingue romanze sono lingue madri della popolazione locale) . Le lingue romanze contano oggi circa 750 milioni di parlanti nativi nel mondo = dal momento in cui nasce una persona, gli viene insegnata una lingua romanza. In senso più ristretto e diacronico (storico), possiamo distinguere tra Romània continua, perduta e nuova. La Romània continua è quella vasta porzione dell’Europa appartenuta all’Impero Romano nella quale “non si è mai smesso di parlare latino” dalla fine dell’Impero a oggi → non c’è stata soluzione di continuità linguistica da allora a oggi (semmai si parla di “trasformazione” del latino in lingue romanze). Nella Romània continua si parlano oggi dialetti che sono la diretta continuazione del latino che in quegli stessi territori si parlava sotto l’Impero. Da alcuni di quei dialetti hanno avuto origine le lingue nazionali. Nella Romània continua, le seguenti varietà godono dello statuto di lingue ufficiali = hanno una codificazione grammaticale e uno standard impiegato ufficialmente nell’amministrazione, nella scuola, nelle istituzioni in genere, nei media… → sono largamente impiegate a tutti i livelli come strumento di comunicazione dalla comunità dei parlanti e degli scriventi: ➢ Portoghese – area iberoromanza (Portogallo) ➢ Spagnolo (castigliano) – area iberoromanza (Spagna) ➢ Catalano – area iberoromanza (Catalogna, Baleari, Andorra, Roussillon, Alghero) ➢ Galego – area iberoromanza (Galizia) ➢ Francese – area galloromanza (Francia, Belgio, Lussemburgo, Svizzera romanda, Principato di Monaco, Valle d’Aosta) ➢ Italiano – area italoromanza (Italia, San Marino, Canton Ticino) ➢ Romancio – area italoromanza (Canton Grigioni, Alto-Adige) ➢ Romeno – area balcanoromanza (ultimo residuo della latinità balcanica, Romania, Moldova, + dialetti romeni in Istria [istroromeno], Albania, Macedonia e Grecia [aromeno, meglenoromeno]) Ci sono anche varietà linguistiche romanze riconosciute e tutelate dagli stati di appartenenza, per motivate ragioni di carattere storico-culturale e quindi identitario (= forma di riconoscimento dagli stati; dipende da ragioni di carattere storico e culturale: se sono state prestigiose nel passato e tuttora siano rappresentative dell’identità di una comunità). Queste varietà non sempre hanno una codificazione grammaticale non sempre si sono dotate di uno standard (una forma valida per tutti, una KOINÉ) ma rappresentano un forte strumento di identificazione per i loro parlanti: Filologia Romanza 32 Occitanico (provenzale) – area galloromanza (Francia meridionale (1/3 del territorio nazionale), valli piemontesi centro-meridionali) Franco-provenzale – area galloromanza (da Besançon a Lione, Savoia, Svizzera romanda, Valle d’Aosta, valli piemontesi settentrionali) Corso – area italoromanza, anche se amministrativamente la Corsica è francese; divisi tra cismontani/trasmontani = entrambi di tipo toscano-arcaico), fenomeno del “separatismo corso”. Sardo – area italoromanza (Sardegna) Ladino centrale – area italoromanza (Dolomiti dell’Alto Adige, con propaggini fino al Friuli) Friulano – area italoromanza (Friuli-Venezia Giulia) ↑ Carta della Romània continua ↑ = in azzurro notiamo le varietà linguistiche “ufficiali” (nazionali) = galego (Comunità Autonomia della Galizia), catalano (Catalogna + isole Baleari + aldilà dei Pirenei dell’area francese del Rossiglione). Tra l’area iberoromanza e galloromanza c’è ancora un residuo – nella parte Nord della penisola Iberica/sud-occidentale della Francia – di lingua Basca (né romanza né indoeuropea). Altra lingua non romanza si trova in area francese (nord-occidentale) e si parla tuttora = il Bretone (lingua celtica). L’occitanico o provenzale si estende oggi per circa un 1/3 del territorio francese – il fascio di isoglosse che separava le varietà di tipo occitanico dalle varietà francesi nel Medioevo era molto più a Nord di quanto non sia oggi. Franco-provenzale = insieme di dialetti parlati tra Lione, Savoia, Valle d’Aosta e nelle valli nord -occidentali del Piemonte. La repubblica francese non ha riconosciuto lo statuto di lingua regionale il franco-provenzale = l’ha riconosciuto all’occitanico e al corso ≠ la Repubblica Italiana ha riconosciuto lo statuto di minoranza linguistica al franco-provenzale. Il sardo si divide in tre famiglie → campidanese, logudorese, nuorese / la parte settentrionale fino ad Olbia ha un dialetto più di tipo corso. La Repubblica Italiana riconosce al friulano, al ladino centrale e al sardo lo statuto di minoranze linguistiche. Lungo le coste della ex Jugoslavia (Croazia) esisteva il “dalmatico” = diretta continuazione del latino, oggi non esiste più poiché il suo ultimo parlante è morto nel 1898 e con lui si è estinto il dalmatico (= anello di congiunzione tra le lingue romanze italoromanze e balcanoromanze). In Salento e in Calabria esistono isole linguistiche di tipo greco = lungo dibattito, le fecero risalire alle colonie della Magna Grecia – l’ipotesi più quotata, ad oggi, è che dipendano da una grecità più tarda = bizantina. Sicilia Occidentale = “piana degli albanesi”, tuttora resiste. Puglia = serbo-croato. Veneto nord/occidentale = “sette comuni Cimbri” = tedeschi = bavaresi. ISOLA LINGUISTICA = una località o un gruppo in cui si parla una determinata varietà dialettale (minoritaria) circondate da territori vasti in cui si parlano altri dialetti (Calabria meridionale si parla il calabrese e al suo interno isole linguistiche greche). Filologia Romanza 35 La conquista romana – periodizzazione e mappe Fine VI-inizio IV secolo a.C. In cent’anni, dalla fine della monarchia (509 a.C.?) alla distruzione della città etrusca di Veio (396 a.C.), Roma consolida il suo dominio sul Latium vetus (“Lazio antico”) – prima espansione romana. IV sec. a.C. – metà III sec. a.C. (scoppio prima guerra punica: 264 a.C.). Roma estende la sua influenza su tutta l’Italia centrale e su buona parte di quella meridionale, sconfiggendo a sud i Sanniti (popolazione appartenente al gruppo etnico osco-umbro), e domando a nord gli Etruschi e le ondate dei Galli (= nemici di Roma). 264 a.C. – 241 a.C. (prima guerra punica). Conquista della Sardegna, della Corsica e di quasi tutta la Sicilia (conservarono una temporanea indipendenza alcune città greche = Siracusa, Messina, Agrigento). La Sardegna (unita alla Corsica) e la Sicilia divengono le prime province romane, governate da un pretore di Roma con incarichi militari e civili (governatore e prefetto insieme). 222-221 a.C. Sottomissione dell’Italia settentrionale (222 a.C.: Roma sconfigge i Galli nella battaglia di Clastidium [Casteggio]). Negli stessi anni Roma estende la propria influenza all'Illirico (costa ex-jugoslava fino all’Albania). 201 a.C. = fine della seconda guerra punica (Scipione sbaraglia Annibale). Roma si impadronisce della Spagna (Penisola Iberica), sottraendola all’influenza cartaginese. Dominio di Roma alla fine del II sec. a.C. (sconfitta definitiva di Cartagine, conquista della Macedonia e della Grecia, dell’Asia Minore e della Gallia Narbonense = porzione meridionale coincidente con i futuri territori in cui si svilupperà l’occitanico). Filologia Romanza 36 Territori di Roma alla morte di Giulio Cesare (44 a.C.) – La conquista più importante è senz’altro quella della Gallia (raccontata da Cesare nei Commentarii de bello Gallico). Il dominio di Roma sotto l’impero di Augusto (27 a.C. – 14 d.C.). Cent’anni dopo (117 d.C.), sotto l’imperatore Traiano, l’impero di Roma raggiunge la sua massima espansione = Traiano aggiunge la Dacia (nucleo dell’attuale Romania), alcuni territori in Medio Oriente (Assiria e Mesopotamia [attuale Iraq], Armenia) e una fetta di penisola arabica. La diffusione della lingua e della cultura romana Prima dell’espansione militare = Roma entra in relazione con i territori circostanti tramite i traffici commerciali → i mercanti romani diffondono, insieme alle merci, la lingua e i costumi latini. Dopo l’espansione militare → colonizzazione, con conquista e romanizzazione di città preesistenti (Mediolanum) e fondazione di nuove città per il controllo del territorio (tra queste, Rimini, Cremona, Piacenza; Narbona, Lione in Francia; Saragozza, Cordova in Spagna…) o per la soluzione di problemi demografici → centuriazione del territorio, bonificato e razionalmente diviso (a reticolo) per essere assegnato ai cittadini romani; costruzione di strade che facilitano le comunicazioni. Concessione della cittadinanza (latina o pienamente romana) ai vinti = nel 49 a.C. la cittadinanza romana è concessa a tutti gli abitanti dell’Italia; nel 212 d.C., con l’editto di Caracalla, a tutti i cittadini dell’Impero. Nei territori conquistati, i cittadini romani (amministratori, funzionari, ma anche mercanti, soldati, coloni) affiancano gli indigeni → romanizzazione dei locali = le classi dirigenti autoctone acquisiscono lingua e costumi latini, non per costrizione ma per prestigio, per il desiderio di assimilarsi ai dominatori. Alcuni reperti archeologici evidenziano lo svolgersi del processo di romanizzazione all’interno di alcune famiglie delle classi dirigenti dei territori conquistati da Roma. Il caso del prefetto Caius Iulius Rufus, l’iscrizione dell’arco trionfale di Saintes (vicino a Bordeaux), detto “arco di Germanico” (circa 20 d.C.): A Germanico Cesare […] Gaio Giulio Rufo [prefetto], figlio di Gaio Giulio Catuaneunius, nipote di Gaio Giulio Agedomopatis, → il nonno di Caius diviene cittadino romano pronipote di Epotsoviridis, della tribù Voltinia, → il bisnonno è gallo sacerdote di Roma e di Augusto, […] ha fatto [quest’arco] a sue spese. Filologia Romanza 37 ↑ Questa genealogia del prefetto fino al nonno, ci dice molte cose = Caius Iulius Rufus ha un praenomen, nomen e un cognomen completamente romano – sia il padre (Gaio Giulio Catuaneunius) sia il nonno (Gaio Giulio Agedomopatis) conservano un cognomen di tipo non romano ma gallico, mentre praenomen e nomen sono romani = molto probabilmente, il nonno divenne cittadino romano assumendo così il praenomen e nomen romani ma mantenendo il cognomen gallico. Il bisnonno (Epotsoviridis) era completamente gallico. Vediamo la romanizzazione di una famiglia nel corso di cent’anni [sono quattro generazioni]. ➢ La romanizzazione dei popoli conquistati non è improvvisa, ma graduale. ➢ Condizioni di bilinguismo (lingua locale / latino) devono essere durate a lungo. ➢ La romanizzazione è più lenta nelle campagne che nelle città e nei luoghi densamente insediati → specialmente nei villaggi più lontani dalle vie di comunicazione, dai traffici commerciali, dai grandi centri urbani. ➢ Qui, le lingue preromane devono avere resistito più a lungo alla penetrazione del latino (e qualcosa sopravvive ancora oggi: il basco, l’albanese, il bretone; il punico era ancora vivo nel V sec. d.C., il gallico nel VI sec. d.C.). Il colpo di grazia alle lingue preromane è stato dato dalla diffusione del cristianesimo, che a partire dal IV sec. d.C. viene predicato in lingua latina fino ai confini dell’Impero → grazie alla predicazione dei missionari il latino attecchisce definitivamente anche laddove, fino a quel momento, non aveva avuto la meglio sulle lingue locali (contesti lontani dalla civiltà, luoghi difficilmente raggiungibili…). Il latino era lingua ufficiale dell’Impero romano: la lingua dell’amministrazione, della scuola, della letteratura. Era naturalmente anche la lingua parlata dai sudditi della parte occidentale dell’Impero mentre nella parte orientale dell’Impero la lingua di cultura e di intercomunicazione continuava a essere il greco → dalla Grecia all’Anatolia, dal Vicino Oriente all’Egitto il latino non era diffuso nel parlato, ma era solo la lingua dell’amministrazione. Che latino si parlava, dove si parlava latino? Anche il latino, come tutte le lingue del mondo in ogni tempo, muta: 1. Nel tempo (asse diacronico) = il latino parlato ai tempi delle guerre puniche non è quello parlato nel 476 d.C., anno della caduta dell’Impero. 2. Nello spazio (asse diatopico) = il latino parlato a Milano ha caratteristiche diverse da quello parlato a Napoli o a Marsiglia o a Valencia o nei Balcani. 3. A seconda del contesto sociale (asse diastratico) = un cittadino di Roma parla con urbanitas, uno che viene da fuori Roma con rusticitas; un cittadino scolarizzato si esprime diversamente da un operaio o da uno schiavo. 4. A seconda della situazione comunicativa (asse diafasico) = il registro linguistico utilizzato da Cicerone nelle grandi orazioni è diverso da quello delle lettere all’amico Attico o ai familiari. Filologia Romanza 40 La teoria degli influssi del sostrato prelatino sul latino fu perfezionata da Graziadio Isaia Ascoli. Secondo Ascoli, un determinato fenomeno linguistico (ad esempio, un certo esito fonetico) presente in determinate varietà romanze (ad esempio, il francese, i dialetti galloitalici) può essere interpretato come reazione etnica della lingua di sostrato (ad esempio, il celtico). Devono però manifestarsi contemporaneamente tre prove/circostanze: 1. PROVA COROGRAFICA → L’area geografica oggi occupata dal francese e dai dialetti galloitalici prima dell’arrivo dei Romani era occupata dai Celti . 2. PROVA INTRINSECA → Esistono lingue celtiche antiche e moderne (ad esempio, il bretone, il gaelico, il cimrico) che testimoniano lo stesso esito fonetico del francese e dei dialetti galloitalici – se in lingue celtiche vive o morte, c’è quello stesso fenomeno del mio dialetto allora dipende da esso. 3. PROVA ESTRINSECA → Altre lingue a sostrato celtico presentano lo stesso esito fonetico del francese e dei dialetti galloitalici – esempio, l’olandese (lingua germanica, prima di loro c’erano i celti però). Esempio 1 (G.I. Ascoli) = il passaggio del latino Ū > ü in francese e nei dialetti galloitalici (e nel provenzale) è stato spiegato con l’influsso del sostrato celtico → esempio, latino MŪRUM “muro” > francese, dialetti galloitalici mür – la Ū del latino si realizza come ü: 1. Prova corografica – I Galli insediavano l’area galloromanza e l’Italia nord-occidentale prima dei Romani = i galli sono una tribù celtica. 2. Prova intrinseca – Molte lingue celtiche medievali e moderne trasformano Ū > i (ad esempio, i prestiti latini nel celtico, CUPA “coppa” > *cüb > cimrico cib, DURUS “duro” > *dür > bretone dir “acciaio”…). Per passare Ū > i serve un passaggio fonetico intermedio che è la ü. 3. Prova estrinseca – In neerlandese (olandese), lingua di ceppo germanico ma con sostrato celtico, Ū > ü [stesso esito che troviamo nel francese e nel provenzale]. Esempio 2 (G.I. Ascoli) = il passaggio del latino CT > it in francese, provenzale, spagnolo, portoghese, dialetti gallo-italici è stato spiegato con l’influsso del sostrato celtico → esempio, latino NOCTEM “notte” > francese nuit, provenzale nuech, spagnolo noche, portoghese noite, dialetti galloitalici noit, noch… 1. Prova corografica – Popolazioni celtiche insediavano l’Italia padana, l’area galloromanza e anche parte della penisola iberica (cfr. i Celtiberi). 2. Prova intrinseca – Nelle lingue celtiche medievali e moderne CT > χt > it, et (cfr. ancora i prestiti dal latino in celtico: ad esempio, LACTEM “latte” > irlandese laχt, cimr. llaeth, antica corn. lait...). 3. Prova estrinseca – manca. Esempio 3 (C. Merlo) = il passaggio del latino ND > nn nei dialetti dell’Italia centro-meridionale è stato spiegato con l’influsso del sostrato osco-umbro → esempio, latino MUNDUM “mondo” > dialetti centro-meridionale monno, munno…: 1. Prova corografica – Popolazioni di ceppo osco-umbro insediavano l’Italia centro-meridionale (tranne Calabria, Puglia e Sicilia) prima dei Romani. 2. Prova intrinseca – In antico osco al latino OPERANDAM “che deve essere fatta” corrisponde la parola úpsannam. Filologia Romanza 41 3. Prova estrinseca – manca. Esempio 4 (R. Menendez Pidal) = il passaggio del latino F- > h- nello spagnolo (castigliano) è stato spiegato con l’influsso delle lingue di sostrato dell’area iberica → esempio, latino FILIUM “figlio” > spagnolo hijo, latino FERRUM > spagnolo hierro: 1. Prova corografica – Popolazioni non indoeuropee, provenienti forse dal Caucaso (progenitrici dei baschi) e dall’Africa (Iberi), insediavano la penisola prima dell’arrivo dei Romani 2. Prova intrinseca – Il basco manca della f-: cfr. i prestiti in basco dal latino come latino FICUM “fico” > basco iko, piko, biko, latino FURCILLAM > basco urkila… 3. Prova estrinseca – Il guascone, dialetto romanzo di tipo occitanico (provenzale) la cui lingua di sostrato era simile all’attuale basco, presenta ad esempio, he (< latino FIDEM “fede”), houelho (< latino FOLIA “foglia”). La spiegazione sostratista di alcuni tratti linguistici (spec. fonetici) dei dialetti romanzi ha avuto molta fortuna lungo tutto il Novecento. Oggi viene messa in discussione per varie ragioni: ➢ Non conosciamo bene le caratteristiche delle lingue prelatine (il celtico sì, ma, ad esempio, dell’iberico no). ➢ Le iscrizioni romane diastraticamente basse (epigrafi, graffiti…) non riportano in modo sistematico fenomeni fonetici che vengono tradizionalmente attribuit i a questo o a quel sostrato. ➢ Alcuni fenomeni possono essere poligenetici e quindi manifestarsi in molte aree della Romània indipendentemente dal sostrato. ➢ Alcuni fenomeni sono attestati nei dialetti solo molto tardi, e in territori che coincidono solo in parte con quelli dove erano parlate le lingue di sostrato alle quali li si riconduce oppure non compaiono in dialetti che invece dovrebbero conservarli . Oggi si ritiene che i soli elementi sicuramente riconducibili ai sostrati prelatini siano di carattere lessicale = onomastico e toponomastico ad esempio, i toponimi del Veneto Padova, Asolo, Abano derivano dal venetico (in particolare, è caratteristica paleoveneta l’accentuazione proparossitona). I toponimi Volterra, Cortona, Modena, Ravenna, i sostantivi già latini CISTERNA, LANTERNA sono etruschi (caratteristica l’uscita in -na). I sostantivi già latini CARRUS “carro”, BRACAE “calzoni” sono di origine celtica, così come il toponimo Mediolanum (mid-lan “in mezzo al piano”). L’aggettivo spagnolo izquierdo, portoghese esquerdo, antico provenzale esquer “sinistro” deriva dal sostrato prelatino (aquitanico?) dell’area iberica e pirenaica → infatti il basco ha esquerre. Scarafaggio e bufalo → forme tipicamente osco-umbre che entrano nel latino e da esso nelle lingue romanze. LEZIONE 11 Il latino e le lingue “barbare” – il concetto di SUPERSTRATO Si definisce lingua di superstrato una varietà linguistica che viene importata in un determinato territorio da popolazioni che lo invadono militarmente, lo conquistano e lo insediano [LINGUA DEI DOMINATORI – può imporsi oppure no]. Tenendo come punto di riferimento il latino, sono lingue di superstrato le lingue arrivate con le cosiddette “invasioni barbariche” (in realtà non sempre violente) da parte di popolazioni di ceppo germanico (V-VI sec. d.C.) ad esempio, l’ostrogoto (Goti Filologia Romanza 42 dell’Est) e poi il longobardo in Italia, il fràncone e il burgundo in Gallia, il visigoto (Goti dell’Ovest) e lo svevo nella Penisola Iberica, il vandalo nella Penisola Iberica e nel Nord Africa… (varietà germaniche che sono entrate nell’impero) → romanizzazione delle popolazioni germaniche: dopo una prima fase di bilinguismo/diglossia, acquisiscono lingua, cultura, costumi romani (anche a livello religioso; i longobardi inizialmente erano cristiani-ariani, dopo un periodo di adattamento abbracciano la religione cristiana-cattolica). I romani, inizialmente, cercarono di integrarsi con queste popolazioni – le invasioni barbariche non furono sempre un evento violento e traumatico. Nello sviluppo delle varietà romanze della Galia – i Franchi, i Burgundi e i Visigoti, si sono divisi l’antica Gallia Romana in questo modo = i Franchi (centro nord), i Burgundi (ridosso arco alpino), i Visigoti (sud) → alcuni lo hanno interpretato come una delle ragioni della forte differenziazione linguistica della area galloromanza in tre aree → d’oil (francese), provenzale d’oc, franco provenzale. Le divisioni territoriali che hanno caratterizzato l’ultima fase convulsa dell’impero romano e la prima dei regni romano-barbarici possa aver influenzato lo sviluppo linguistico delle diverse aree romanze. Il lascito delle lingue di superstrato nelle lingue romanze è soprattutto lessicale (vari aspetti della vita materiale, armi, organizzazione territoriale = i longobardi e i franchi porteranno nuove forme di organizzazione territoriale = feudo/feudalesimo), onomastico e toponomastico. Ad esempio, gotico WARDJAN > italiano guardare, francese garder, provenzale guardar, ecc. franc. *WERRA > fr. guerre, it. sp. port. guerra long. TREUUA > tregua long. gastald > it. gastaldo franc. WANTO > it. guanto, fr. gant, sp. guante, ecc. got. *BLAUTHS > lomb. piem. biot “nudo”… topon. it. Gudo, Goito dall’etnonimo Goto topon. topon. it. Fara < long. fara “accampamento” coron. spagnolo Andalucia dall’etnonimo Vandali… nomi propri Guido (< Wido), italiano Bernardo, francese Bernard (< franc. Bernhart) e in generale i nomi composti con -hart… Nel francese l’eredità del fràncone (lingua dei Franchi di Carlo Magno) è andata oltre i semplici prestiti lessicali, toponimi e nomi di persona. Eredità fonologica del fràncone → presenza della consonante laringale /h/ cfr. franc. *HARDJAN > hardi “ardito”, *HAUNITHA > honte “vergogna”, *HATJAN > hair [/h/ non è muta e quindi impedisce la liaison consonante-vocale in sintassi]. Eredità morfologica del fràncone → suffissi denominali produttivi come -art / -ard (< germ. -hart), -aud / - aut (< germ. -alt): a.fr. bastard, coart, ribaud / ribalt (> it.)… Una S finale non fa liaison con le parole che iniziano con H. Altrove, le lingue delle popolazioni che hanno occupato i territori dell’Impero romano d’Occidente (germaniche, slave, ungare, arabe) hanno cancellato la latinità linguistica → Romània perduta. Lo slavo è superstrato rispetto all’embrione di romeno in area balcanica , che ne è fortemente condizionato. L’arabo può considerarsi superstrato rispetto alle nascenti varietà romanze nella Penisola Iberica (invasa nel 711) → dialetti mozarabici (< ar. musta‘rib “arabizzato”) nella Spagna arabizzata: varietà romanze autoctone a tutti gli effetti, ma corposamente influenzate dall’arabo. ← Anno 1000 ca. La frammentazione linguistica della Penisola Iberica sotto il califfato di Al-Ándalus. Filologia Romanza 45 ➢ ESEMPIO 1 = latino classico CE, CI/GE, GI (velari) > sardo [ke] [ki], [ge] [gi] = pronuncia restituta; resto della Romània: sviluppo palatale [palatalizzazione: innovazione]. Latino classico DOMUS “casa” > sardo domo, resto della Romània CASA, MANSIONEM [CASA, MANSIONEM: innovazioni]. La parola tedesca Kaiser deriva direttamente dal latino = prestito che le lingue germaniche hanno ricevuto dal latino e il fatto che si pronunci così ci certifica che nel momento in cui la parola latina è entrata nel tedesco la palatalizzazione ancora NON c’era e il dittongo AE si pronunciava ancora AE. Nella quinta satira di Orazio, si prende in giro un personaggio chiamato CICIRRUS, dicendo che il suo nome sembra il verso del galletto = ciò vuol dire che si leggeva CHICHIRRUS. Nel sardo l’innovazione della palatalizzazione NON è mai arrivata poiché la Sardegna è un’area isolata [il sardo è CONSERVATIVO]. ➢ ESEMPIO 2 = latino CIRCUS “cerchio” > romeno Cerc, spagnolo Cerco; latino CIRCULUS (diminutivo – spesso le parole romanze derivano dai diminutivi e non dalla forma base) > italiano cerchio, francese provenzale Cercle [derivano da CIRCULUS: innovazione che ha coinvolto per la legge della propagazione l’area italo-romanza e galloromanza ma NON le aree estreme = Dacia e Penisola Iberica → infatti lì abbiamo continuatori di CIRCUS]. Latino EQUA “cavalla” > portoghese égua, spagnolo catalano yegua, sardo ebba, rumeno iapa (afr. ive, aprov. ega). Latino CABALLA > italiano cavalla. Latino IUMENTA > francese jumente [CABALLA, IUMENTA: innovazioni = solo l’area centrale della Romània]. Le aree laterali hanno conservato la forma più ANTICA = CIRCUS ed EQUA. ➢ ESEMPIO 3 = latino FRATREM, FRATELLUM > francese frère, provenzale fraire, italiano frate, fratello, sardo frade, romeno frate. Latino GERMANUM “figlio della stessa madre” > spagnolo hermano, portoghese irmao, catalano germà [GERMANUM: innovazione]. Se tutta la Romània, salvo un’area o due, conserva una forma allora questa forma è quella antica. La piccola area in cui si conserva una forma diversa, è un’area che ha innovato. ➢ ESEMPIO 4 = latino PLORARE “piangere” > spagnolo llorar, portoghese chorar, francese plorer, provenzale e catalano plorar. Latino PLANGERE “battersi il petto” (“lamentarsi, piangere”) > italiano piangere [PLANGERE: innovazione]. Per Bartoli, l’area italiana è stata la prima a veder diffondersi il latino = PLANGERE. Invece, l’area che è stata romanizzata più tardi/recentemente conserva la forma più antica [Gallia – Penisola Iberica = PLORARE]. Frammentazioni territoriali tra il Tardo Antico (III-VI sec. d.C.) e l’Alto Medioevo fino a Carlo Magno (fine VIII sec.). Ad esempio, a livello macroterritoriale, la divisione del territorio dell’Impero in diocesi (Diocleziano, fine III-inizio IV sec.), o la nascita dei regni romano barbarici; a livello microterritoriale, le circoscrizioni ecclesiastiche (città vescovili e loro territorio). → divisione costantiniana dell’Italia in due diocesi (IV secolo d.C., prima metà): Italia annonaria e Italia suburbicaria. Il confine tra le due diocesi è più o meno coincidente con il fascio di isoglosse Massa-Senigallia. ← divisione dell’Impero in diocesi (Diocleziano, fine III sec. d.C.) Cfr. le osservazioni di G. Folena a proposito delle diocesi Galliarum e Viennensis e le possibili ricadute linguistiche su tale partizione (sostanziale coincidenza con domini d’oc e d’oïl). Diocesi = nel senso amministrativo. Filologia Romanza 46 La dominazione bizantina (= superstrato greco-bizantino) nell’Italia Meridionale estrema = Puglia, Calabria, Sicilia → metà VI secolo – anni Settanta dell’XI sec. (inizio X sec. per la Sicilia). Il contatto duraturo del neolatino locale con il superstrato greco bizantino può avere prodotto il tipico vocalismo siciliano a 5 vocali toniche e 3 atone? [ipotesi del linguista Franco Fanciullo]: Nel latino parlato in piena età Imperiale, quest’opposizione di lunghezza tra le vocali latine viene meno = i parlanti non riescono più a distinguere una vocale lunga da una breve. Questa distinzione quantitativa viene sostituita da una distinzione di timbro = E ed O possono essere sia chiuse che aperte [A I U sono sempre quelle]. Nella maggior parte delle lingue romanze il vocalismo atono è pentavocalico. In Calabrese, Siciliano e Salentino è trivocalico = solo tre vocali atone = A I U. Il sistema a 10 vocali del latino si semplifica: LEZIONE 13 Latino scritto, latino parlato (o volgare [< VULGUS “popolo”]) Il latino era dunque la lingua ufficiale di tutto l’Impero romano, dal centro alla periferia (quasi tutta l’Europa odierna, Africa settentrionale, Asia minore) → lingua dell’amministrazione, dell’esercito, della religione, della scuola (la scuola romana aveva diffusione capillare), della letteratura… IL LATINO PARLATO è il latino parlato e non coincide necessariamente con il latino popolare – il latino parlato è quello parlato da chiunque. È evidente che Cicerone fosse in grado di esprimersi nel parlato a diversi livelli (alto, medio, basso). Il prof preferisce “latino parlato” e NON “latino volgare”. L’aggettivo “volgare” fa pensare alla lingua parlata da persone di ceti sociali bassi e inferiori → ecco perché meglio parlare di “latino parlato tout court”. Era naturalmente anche la lingua parlata dalla maggior parte dei sudditi della parte occidentale dell’Impero; quella orientale conservava invece, nel parlato, il greco di koinè (lingua veicolare) e le lingue locali (corrispondente alla linea sud-ovest della linea Jireček = si parlavano le lingue locali e Filologia Romanza 47 usavano il greco ellenistico come lingua veicolare). Il fatto che non si parlasse latino nella parte orientale è stato dibattuto a lungo. Ai tempi di Gesù, nella provincia della Giudea, vi erano situazioni di bilinguismo che hanno portato all’ingresso di latinismi nell’ebraico → non per via dotta. Nella parte occidentale dell’Impero è esistito, a un certo punto, un “latino vivo e unico” della comunicazione (definizione del linguista e filologo romanzo Paolo Savj-Lopez) variegato geograficamente e socialmente, ma relativamente uniforme = era sempre e ovunque latino → in piena età imperiale (II secolo d.C.), due latinofoni (anche non alfabetizzati) provenienti dalla Gallia e dalla Sicilia si potevano capire reciprocamente = al netto delle differenze sociali e regionali, parlavano la stessa lingua. Anche ora, un messicano e un argentino (non particolarmente istruiti) si capiscono. Questo latino parlato era naturalmente differenziato a vari livelli → riprendiamo quanto già detto a proposito degli assi di variazione. Anche il latino, come tutte le lingue del mondo in ogni epoca, muta: 1. Nel tempo (asse diacronico) = il latino parlato ai tempi delle guerre puniche (III-II sec. a.C.) non è quello parlato nel 476 d.C., anno della caduta dell’Impero = poiché in mezzo vi sono 700 anni. Questo aspetto del tempo, vale soprattutto per il francese → differenze tra l’antico francese e il francese moderno sono molto più significative – un lettore colto della Francia moderna non è capace di capire un testo in francese antico senza una traduzione a fronte. 2. Nello spazio (asse diatopico) = il latino parlato a Milano (Mediolanum) ha caratteristiche diverse da quello parlato a Napoli o a Marsiglia o a Valencia o nei Balcani (per le varie ragioni che abbiamo visto). Napoli (“città nuova”) e Marsiglia = toponimi di origine greca. [NOTA BIBLIOGRAFICA: il più importante studio esistente sulla variazione regionale del latino, dalle sue prime manifestazioni scritte fino all’inizio dell’Alto Medioevo (asse diacronico), si deve a James Noel Adams The Regional Diversification of Latin. 200 BC-AD 600 Cambridge, Cambridge University Press, 2007]. La domanda che si pose Adams → studiando le testimonianze diastraticamente più basse del latino scritto, riusciamo a trovare elementi di diversificazione regionale? La risposta fu ovviamente positiva. Non riuscì però a dimostrare che queste differenziazioni regionali del latino corrispondessero alle differenziazioni che oggi troviamo tra una lingua romanza e l’altra. 3. A seconda del contesto sociale (asse diastratico): un cittadino di Roma parla con urbanitas (in modo urbano), uno che viene da fuori Roma con rusticitas (in modo rustico); un cittadino scolarizzato si esprime diversamente da un operaio o da uno schiavo. In piena età classica, Tito Livio, che aveva tratti tipici del parlato di Padova = veniva chiamato “patavinitas”. Così come Adriano con i tratti tipici spagnoli. 4. A seconda della situazione comunicativa (asse diafasico): il registro linguistico utilizzato ad esempio, da Cicerone nelle grandi orazioni è diverso da quello delle lettere all’amico Attico o ai familiari = circostanze comunicative diverse. 5. A seconda del mezzo espressivo (asse diamesico): anche nel caso del latino, la scrittura determinava un livello di controllo maggiore rispetto al parlato. Il latino, come ogni altra lingua, è soggetto all’azione dei 5 assi di variazione. Filologia Romanza 50 (c) Gli epistolari, in particolare quelle di Cicerone, caratterizzate da uno stile studiatamente non elevato lessico e costrutti più bassi e quotidiani → sermo cotidianus “parlare di tutti i giorni”: ➢ abbondanza di diminutivi: librariolis, membranulam. aggettivazione colloquiale: bellus “bello” (anche l’avverbio perbelle “davvero bene”) ➢ periodi brevi e prevalenza della paratassi. ➢ costrutti sintattici come video te + infinito (iocari, deridere). Latino classico = video te + participio presente (iocantem, ridentem). Lingue romanze = italiano ti vedo giocare, francese je te vois jouer, spagnolo te veo jugar… (1d) Alcuni carmina del Liber di Catullo: nel racconto in versi dell’amore per Lesbia non mancano concessioni al “lessico famigliare” ad esempio, nella ricchezza dei diminutivi = Carmen 67: «nec linguam esse nec auriculam». Latino AURICULA lett. “orecchietta” > it. orecchia, fr. oreille, sp. oreja... (forma base: AURIS) o nell’uso di aggettivi come bellus (latino classico pulcher). Catullo utilizza un lessico più colloquiale, più “basso” – non necessariamente “classico”. LEZIONE 14 L’obiettivo del Cristianesimo era raggiungere con il messaggio evangelico il maggior numero di persone → necessità di comunicare con le masse e per far ciò = sermo humilis. (1e) Opere di autori cristiani, necessità per gli adepti della nuova religione di avvicinare le masse impiegando il sermo humilis (detto anche sermo piscatorius) → nei testi scritti da autori cristiani compaiono tratti del latino parlato. Traduzioni in latino (< greco) della Bibbia – prima la Vetus latina (II-IV sec.), dovuta a traduttori di livello culturale modesto poi la Vulgata di San Girolamo (fine IV sec.-inizio V sec.). San Girolamo lavora su alcune vecchie traduzioni latine dell’Antico e Nuovo Testamento , che risalivano al II-III d.C., e che tutte insieme costituiscono la Vetus Latina. Le prime traduzioni della Bibbia che costituiscono la Vetus Latina contengono molti volgarismi. Alcune opere di padri della Chiesa: ad es. Agostino e Ambrogio (autore di hymni di fruizione anche popolare = poesie sacre da cantare, caratterizzate da un latino “basso” – in modo da farli comprendere al popolo). Agostino, Enarrationes in Psalmos, 138, 20: «Melius est reprehendant nos gramatici quam non intelligant populi» = “Meglio essere sgridati dai grammatici, che non essere compresi dalla gente” = registro del latino vicino alla lingua parlata dalle persone come scelta politica. Genesi 4:8 [Vetus Latina] Et dixit Cain ad Abel fratrem suum: «Eamus in campum». Et factum est. Cum essent ipsi in campo, insurrexit Cain super Abel fratrem suum, et occidit eum. [Episodio in cui Caino uccide Abele – Disse Caino ad Abele suo fratello: “andiamo nel campo”. E così avvenne. E trovandosi essi nel campo, si elevò Caino sopra Abele suo fratello, e lo uccise”]. Genesi 4:8 [Vulgata di Girolamo] Dixitque Cain ad Abel fratrem suum: «Egrediamur foras». Cumque essent in agro, consurrexit Cain adversus fratrem suum Abel et interfecit eum. [Girolamo sostituisce il sostantivo campum con l’avverbio foras e con agro. Anche l’esordio cambia e il complemento di termine AD + Accusativo. Eamus (prima persona plurale al congiuntivo presente) diventa Egrediamur ]. [In rosso: forme e costrutti di registro non elevato nella Vetus latina. In blu: interventi di Girolamo per innalzare lo stile. In verde: costrutto di registro non elevato comune a Vetus e Vulgata] Filologia Romanza 51 (1e bis) L’Itinerarium (o Peregrinatio) Aegerie (o Aetherie), fine del IV sec. d.C. (tardoantico) – Testo cristiano di carattere diaristico (= racconto di viaggio). Uno dei più antichi itineraria ad loca sancta (“itinerari ai luoghi santi”) conosciuti. Esempio raro di scrittura femminile in età antica. Egeria o Eteria è una pellegrina iberica (una monaca?) di elevata condizione sociale. Recatasi a Gerusalemme, redige un itinerarium che ci è giunto in manoscritto unico (mono testimoniale). Il suo latino è connotato da tratti della lingua parlata nella sintassi e nel lessico = non è uno stile elevato, è lo stile di una “discreta” scrittrice che per ragione della tipologia testuale (“diario”) non può usare uno stile elevatissimo. Non si può considerare come un documento del latino parlato tout court. È un latino che fa entrare caratteristiche della lingua parlata di Egeria. Grafia beneventana. Esempi di tratti del parlato nel lessico e nella sintassi di Egeria [un testo può essere più antico del manoscritto – in questo caso il manoscritto è più tardo di 600-700 anni rispetto a Egeria stessa e al suo viaggio]: II, 4: …iter sic fuit, ut per medium transversaremus caput ipsius vallis et sic plecaremus nos ad montem Dei. […il percorso fu tale che attraversammo per il mezzo l’estremità di quella valle e così arrivammo al monte di Dio]. III, 1: Qui montes cum infinito labore ascenduntur, quoniam non eos subis lente et lente per girum, ut dicimus in cocleas, sed totum ad directum subis ac si per parietem et ad directum descendi necesse est singulos ipsos montes, donec pervenias ad radicem propriam illius mediani, qui est specialis Sina . [Quei monti (nella zona del Sinai) si scalano con fatica immensa, perché non vi si sale piano piano girandovi attorno, come si dice “a chiocciola”, ma vi si sale in linea retta, come su di una parete, e in linea retta si deve poi scendere un monte per volta, fino a che non si giunge alle pendici vere e proprie del monte che sta in mezzo, che è il famoso Sinai]. 1. LESSICO: Il lat. plicare, plecare nel significato di “arrivare” e subire nel significato di “salire” sono iberismi lessicali, cioè forme tipiche del latino parlato nella Penisola Iberica (> spagnolo llegar, portoghese chegar / spagnolo e portoghese subir). Sono forme che appartenevano al latino che si usavano nella Penisola Iberica. Plicare veniva usato nel linguaggio marinaresco “piegare le vele” [plicare velas > piegare la vela > arrivare] = ha avuto vitalità solo in aree iberiche. 2. SINTASSI: ordine Verbo-Oggetto o Verbo-Complemento indiretto (vs lat. class. OV – CiV = verbo alla fine e i vari complementi prima) = transversaremus caput ipsius vallis et sic plecaremus nos ad montem Dei / ad directum descendi necesse est singulos ipsos montes / donec pervenias ad radicem. (2) Opere di carattere tecnico e scientifico: Artes “discipline tecniche”: discipline concrete, spendibilità pratica medicina, veterinaria (Mulomedicina Chironis, IV sec.), agricoltura, architettura, cucina (Apicio, De re coquinaria, I sec. d.C.)… Sono perlopiù trattati. Le artes non hanno la dignità letteraria delle discipline maggiori come la retorica, la grammatica, la filosofia. La lingua che tratta di argomenti tecnici non necessita di elaborazione stilistica. Il registro è meno sorvegliato, quindi ci sono concessioni alla lingua dell’uso. Vitruvio, De architectura (I sec. a.C.): «Non enim debet nec potest esse architectus grammaticus, […] sed non agrammatus» “Infatti l’architetto non deve né può essere un grammatico, […] ma del resto nemmeno digiuno di Filologia Romanza 52 grammatica” (dobbiamo saper scrivere ma non è necessario che scriviamo come la grammatica prescrive). Nelle opere letterarie/paraletterarie quello che porta verso il registro non standard o più basso è o il genere letterario o la destinazione d’uso dell’opera. (3) Opere di grammatici e lessicografi: Grammatici come custodi dello standard linguistico → segnalano gli errori specialmente fonetici e morfologici da evitare nel parlato e soprattutto nello scritto (informazioni sul parlato grazie a osservazioni metalinguistiche). Ad esempio, Consenzio, Ars de barbarismis et metaplasmis (V sec.) Consenzio è un romano di Gallia che segnala gli errori più comuni che i romani di Gallia e d’Africa commettono nel parlare latino. I lessicografi segnalano spesso lo status di volgarismo di una parola (si occupano del lessico di una lingua). Pompeo Festo, De verborum significatu (II sec.) + Sergii explanationes in artes Donati (metà V sec.) = Spiega che Ē e Ō vengono ormai pronunciate chiuse, Ĕ e Ŏ pronunciate aperte . Nonio Marcello, De compendiosa doctrina (IV sec.) + Isidoro di Siviglia, Etymologiae (VI-VII sec.) XVII, 7, 9: «Mella, quam Graeci loton appellant, quae vulgo propter formam et colorem faba syrica dicitur» (> sardo suriaca “bagolaro” calabrese suraca “fagiolo”). CELEBRE È IL CASO DELL’APPENDIX PROBI (“appendice di/a Probo”): Appendice di prescrizioni lessicali agli Instituta artium (testo grammaticale) dello pseudo-Probo (non è certo che gli Instituta artium siano suoi) contenuti nel ms. Napoli, Biblioteca Nazionale Centrale, lat. 1 (Bobbio [?], VI-VII sec.). Elenco di 227 forme caratteristiche della lingua latina parlata, segnalate come scorrette e affiancate dalla variante corretta (cioè classica) → formula “x non y”, forse un prontuario per scolari. Secondo gli editori più recenti, la lista di parole è stata prodotta «entro un contesto culturale e linguistico tardo antico, da circoscrivere approssimativamente intorno alla metà del V secolo d.C.», ma forse anche più antica. È probabile che sia stata redatta da un maestro o più che insegnavano la grammatica ai propri alunni dicendo: “non si dice così ma così”. (4) Scritture non letterarie di carattere popolare – chi le redige, in circostanze e per scopi occasionali, di solito non cura lo stile, anche perché spesso non padroneggia il codice linguistico elevato. Il registro di queste scritture è dunque basso → lingua dell’uso: ➢ (4a) Tabellae defixionum ➢ (4b) Corrispondenza familiare (lettere) ➢ (4c) Scritture esposte di carattere non ufficiale = le “scritture esposte” sono scritture che “stanno fuori/all’aperto” e tutti le possono vedere. Filologia Romanza 55 Tratti del latino parlato da graffiti di Ercolano: Spoglio di alcuni tratti del latino parlato dai testi esaminati , Primi appunti di grammatica storica: Caduta delle desinenze nominali e verbali: -m, desinenza verbale della 1° persona singolare imperfetto: iacuisse, speraba (scomparsa nelle lingue romanze). -t, desinenza verbale della 3° persona singolare e plurale: ama, nosci, peria, valia, viban, vota. Le lingue romanze orientali (italiano, romeno e il dalmatico) ne sono prive fin dalle origini; le lingue romanze occidentali (francese, provenzale, lingue della Penisola Iberica, portoghese): 1. O le hanno conservate in antico, e oggi in qualche caso le mantengono solo graficamente (non si pronuncia più) antico francese aimet (< AMAT, oggi aime), antico spagnolo sientet (< SENTIT, oggi siente); solo grafica: francese (ils) aiment (la -t- non si pronuncia più). 2. O le conservano tutt’oggi: sardo issu cantat “egli canta”, issos cantant “essi cantano”. 3. (+ area Lausberg [al confine tra Lucania e Calabria]: vyeniti “egli viene” = quella -t- è la sopravvivenza della -t- della desinenza della terza persona del latino). -s, desinenza del caso nominativo (soggetto = tutti i nomi maschili della seconda declinazione finiscono in -s- così come nella terza e nella quarta) del latino: cinedu, emtu: ➢ Scomparsa fin dalle origini nelle lingue romanze orientali (italiano, dalmatico, romeno). ➢ Conservatasi nel Medioevo solo in area galloromanza: antico francese, antico provenzale murs (< lat. MURUS nominativo singolare). I casi sono scomparsi in tutte le lingue romanze tranne nel rumeno (ancora oggi ci sono) e nel provenzale e francese durante l’età medievale. Il fatto di fare il plurale con la -s- o con le vocali -i- -e- è un tratto distintivo della divisione tra lingue romanze orientali e occidentali. -m, desinenza del caso accusativo (complemento oggetto) del latino: Amplianda, bellissimu, coliclo, gallinaria, liniu, miliu, Mula, unu, Veneria: ➢ Scomparsa nelle lingue romanze, ma non nei monosillabi (es. lat. REM > fr. rien, QUEM > sp. quien, CUM > it. con). Sviluppo di -ea-, -eu- (bisillabi) > -ja-, -ju- (monosillabi, con -e- > jod semivocale): casium, habias, liniu, peria, solia, valia / balia. /j/ produce palatalizzazione del suono che lo precede (ad es. LJ > gli, ill, lh; SJ > sci; NJ > gn). Filologia Romanza 56 Sviluppo precoce nel latino volgare: cfr. infatti gli esiti romanzi : ➢ antico italiano vaglia “egli valga, sia in forze”, francese vaille, portoghese valha… < VALJAT < VALEAT. ➢ Italiano abbia, francese aie, italiano meridionale aggia < HABJAS < HABEAS. ➢ antico italiano cascio, romeno caş, spagnolo queso, portoghese queijo… < CASJUM < CASEUM. ➢ LJ > gli, ill, lh SJ > sci, ş → palatalizzazioni dei nessi con jod . Monottongazione di AE > ę, AU > ǫ; sviluppo in sede tonica Ŭ > ọ, atona Ĭ > e, Ŭ > o: cinedus, coliclo, colomna, scribet, torma. Il monottongo AE > ę si sviluppa presto nel latino parlato: non ne resta traccia nelle lingue romanze. Il dittongo AU ha invece diversi sviluppi romanzi: 1. > o: in italiano spagnolo oro, francese catalano or < AURUM. Italiano spagnolo cosa, francese. chose < CAUSA. 2. > au: provenzale e romeno aur < AURUM, taur < TAURUM. 3. > ou: portoghese ouro < AURUM. Il passaggio Ĭ > e, Ŭ > o rientra nel normale sviluppo del vocalismo panromanzo (o maggioritario) = sistema panromanzo o romanzo comune (a 7 vocali toniche, 5 atone) = più diffuso nell’area romanza: colomna, torma (< COLŬMNA, TŬRMA: Appendix probi), scribet, coliclo (< SCRIBĬT, CAULICULŬM: Pompei). Il latino aveva un sistema a 10 vocali toniche e 10 vocali atone – ogni vocale aveva la possibilità di essere realizzata in due modi = lunga o breve. In latino, il fatto che una vocale fosse lunga o breve (durata del suono vocalico) aveva valore distintivo → se una parola CŎPA ha la Ǒ breve significa una cosa, se ha la Ō lunga significa un’altra cosa. Oltre ad essere distinte per lunghezza e brevità, erano distinte anche per intensità (= su alcune cadeva l’accento, su altre no). Cosa succede? Nei primi secoli d.C., nel latino parlato, l’opposizione di durata delle vocali NON si percepisce più (non si riesce più a distinguere una Ă da una Ā) → si perde la consapevolezza della quantità vocalica – se non fosse successo, le lingue romanze avrebbero conservato il sistema quantitativo del vocalismo latino. L’orecchio dei parlanti latini non distingue più le lunghe dalla brevi MA distingue solo le accentate dalle non accentate e i gradi di aperture (aperte – chiuse). Sistema panromanzo o romanzo comune (a 7 vocali toniche, 5 atone): Filologia Romanza 57 ↑ Questo sistema, nato nel latino parlato (I-II sec. d.C.), è suscettibile nelle lingue romanze di ulteriori modifiche: ad es. ę (< Ĕ) in sillaba libera produce dittongo ascendente (iè) in fiorentino, veneziano e trevigiano (dal Duecento), francese: lat. PĔ-DEM > it. piede, venez. piè, fr. pied, sp. piè (ma dial. italiani pede, pè, retorom. pè, prov. pèu, cat. port. pè). In spagnolo ę (< Ĕ) dittonga anche in sillaba impedita: tierra (< lat. TĔR-RAM). Sillaba impedita = finisce per consonante. Sistema siciliano (a 5 vocali toniche e a 3 atone) – Sicilia, Calabria sud e Salento: È un sistema a 5 vocali toniche e 3 atone = si trova in quei territori che per vari secoli furono dominati dai bizantini che portarono il loro greco (“bizantino”) come lingua di superstrato (= lingua a 5 vocali toniche che ha condizionato lo sviluppo del vocalismo tonico in Sicilia, Calabria e Salento). Il siciliano per la -e- ed -o- non ha le varianti chiuse (ha soltanto le aperte → in siciliano si dice aviri e non avere). Da qui l’istituto metrico della rima siciliana = rima imperfetta di ẹ con i (avere : sentire) e ọ con u (voi : fui) introdotto dalla trascrizione toscana delle poesie dei poeti siciliani, nelle quali queste rime erano perfette (aviri : sintiri, vui : fui). lat. AMŌREM > sic. calabr. salent. amuri ma it. amore, fr. amour, retorom. prov. cat. sp. port. amor / lat. HABĒRE > sic. calabr. salent. aviri ma it. avere, fr. avoir, prov. cat. aver, sp. haber, rom. avea. Agli occhi di Dante, la poesia siciliana-toscanizzata quella rima imperfetta sembrava legittima. Da Dante a Manzoni la usano come una rima vera e propria. LEZIONE 16 Sistema sardo (a 5 vocali toniche e 5 atone) – Sardegna, Corsica Meridionale, Area Lausberg (Potenza – Cosenza/Catanzaro): Vocalismo caratteristico di aree molto conservative (isolate), dove le innovazioni del sistema panromanzo non arrivano. Ha un sistema tutto suo per via della sua isolazione. Il sardo è una lingua molto simile al latino – tra le lingue romanze è quella più vicina alla matrice latina. lat. PĬRAM > sard. cors. area L. pira ma it. pera, fr. poire, sp. pera, port. pera, rom. pară lat. TĒLA > sard. cors. area L. tela lat. FŬRCAM > sard. cors. area L. furca ma it. forca, fr. fourche, prov. cat. port. forca, sp. horca lat. AMŌREM > sard. cors. area L. amore Filologia Romanza 60 ➢ Distruzione dell’unità politico-amministrativa dell’Impero → allo spazio aperto e coeso in cui circolavano uomini, merci, idee, e con essi la lingua di Roma, si sostituiscono gli orizzonti più ristretti dei regni romano-barbarici. Non sono più le province dell’impero ma sono realtà politico-amministrative più ristrette e non necessariamente in comunicazione. ➢ Continua la crisi delle città, che si spopolano e si “sgretolano”, non ci sono più controlli. ➢ Crisi del sistema scolastico → degrado dell’istruzione anche presso i ceti sociali più elevati: ormai sono quasi solo gli ecclesiastici ad avere un’istruzione decente (ma condizioni varie da zona a zona: no uniformità). Era un’istituzione ben funzionante e “famosa”. Dal momento che non funziona più, anche la lingua ne risente. Vi è un livello di al fabetizzazione non sufficiente a garantire la continuità linguistica. ➢ Degrado delle infrastrutture, meno cura del territorio = ad esempio, le strade vengono rovinate e sommerse dalla vegetazione. Tornano le paludi e le aree boschive = aree impercorribili, malsane (popolate di briganti o infestate dalle malattie). ➢ Le comunità sono ora più isolate, chiuse su sé stesse → singole città sede di diocesi divengono il centro del mondo e il punto di riferimento per il loro contado. Ristringimento di orizzonti = con la caduta di Roma, il centro del mondo diventano le città sede di diocesi e non più Roma. Nel titolo di un suo saggio lo storico francese Ferdinand Lot chiede provocatoriamente: À quelle époque a-t-on cessé de parler latin? [«Archivum Latinitatis Medii Aevi», 6 (1931), pp. 97-159] = A che epoca si è smesso di parlare latino? – Laura Minervini = non c’è un’epoca in cui si è smesso di parlare latino ma il passaggio alle lingue romanze è stato graduale. I llustra come l’evoluzione latino parlato → lingue romanze si sia articolata in due fasi: ➢ PRIMA FASE II-V SEC. D.C. ➢ SECONDA FASE VI-VIII SEC. D.C. PRIMA FASE (II SEC. – V SEC. D.C.): Dalla piena età imperiale alla crisi dell’Impero, il latino parlato si diffonde in un territorio vasto e variegato geograficamente e socialmente. Una serie di tratti tipici del latino parlato (alcuni innovazioni recenti, altri nati già in età repubblicana) di carattere fonetico e morfosintattico raggiunge i confini dell’Impero d’Occidente → infatti ne osserviamo le conseguenze in tutte le lingue romanze o quasi. Ad esempio: ➢ Perdita della quantità vocalica ➢ Monottongazione di AE > ę [e aperta] ➢ Sincope della vocale o della sillaba post-tonica ➢ Caduta di -m e di h ➢ Palatalizzazioni indotte da /j/ ➢ Ordine dei costituenti della frase S V O / S V CInd invece di S O V / S CInd V ➢ Ristrutturazione del sistema dei casi latini: da 6 casi 3 → 2 casi (caso soggetto / caso obliquo) SECONDA FASE (VI SEC. – VIII SEC.) – accelerazione della frammentazione linguistica Dalla caduta dell’Impero d’Occidente alla rinascita carolingia. L’ecumene romanus (il grande organismo politico, amministrativo, culturale) si frammenta politicamente e socialmente → linguisticamente. Le forme di latino parlato impiegate da un capo all’altro dell’Impero d’Occidente Filologia Romanza 61 hanno una solida base comune. Però sussistono da sempre differenze sociali e geografiche che ora si intensificano per via di crisi sociale, culturale e politica – frammentazione politica – isolamento delle comunità. Da zona a zona il latino parlato è soggetto tra VI e VIII sec. a innovazioni profonde che lo caratterizzano radicalmente e definitivamente in senso locale → nascita delle varietà neolatine o romanze. Armando Petrucci - Il problema delle Origini e i più antichi testi italiani in Storia della lingua italiana, a cura di Luca Serianni e Pietro Trifone, 3 voll., Torino, Einaudi, 1993-1994 vol. 3 (Le altre lingue), pp. 5-73, a p. 9: Dissoltasi l’unità dell'Impero d’Occidente, la definitiva scomparsa dell’amministrazione centrale e il crescente declino dei commerci, con il correlato svuotarsi delle città a favore delle campagne, indussero un poderoso restringimento nel raggio degli interessi, e con esso il deperimento sociale: cioè un deciso conguaglio verso il basso della maggioranza della popolazione e un drastico immiserimento delle residue funzioni amministrative. L’insieme di questi fatti rese nettamente più onerosa la “manutenzione” dell’unità dello spazio linguistico , che in una realtà vasta e complessa come quella delle province latinofone dell'Impero non poteva non far conto su due fattori unificanti, del resto strettamente correlati: la circolazione degli uomini (funzionari, mercanti, soldati) e il prestigio della norma scritta, abbastanza nota da potersi riverberare, attraverso il comportamento linguistico degli alfabeti, su gran parte della comunità (o almeno delle comunità urbane) . LINGUA SCRITTA E LINGUA PARLATA TRA VI E VIII SECOLO: Il divario tra la lingua scritta (latino) e la lingua parlata (romanice loqui) è ormai incolmabile. Molti di coloro che usano il latino per mestiere (notai e giudici, prelati, cancellieri) spesso non lo padroneggiano, e lo infarciscono di errori e di parole prese dal parlato (appunto ormai diverso dal latino). Chi è istruito ha gli strumenti per capire che ormai la lingua parlata quotidianamente non è più latino → graduale acquisizione di consapevolezza dell’esistenza di due sistemi linguistici → latino e romanzo, in rapporto di diglossia tra di loro. Il latino lo usa chi lo sa usare in determinati contesti, in altri invece usa la lingua materna ovvero la lingua romanza. La lingua dei libri e della Messa, ovvero il latino, è molto diversa da quelli con cui si parla [è un’acquisizione che matura lungo questi secoli, non è un’acquisizione immediata ma graduale]. Secondo Varvaro, in questi secoli (VI-VIII) nei quali le lingue romanze già esistono, il latino conservava spazi di oralità (soprattutto in contesto ecclesiastico = per dire, se si incontravano dei monaci provenienti dalla Spagna, Francia e Italia settentrionale – in quale lingua comunicavano? Naturalmente il latino = lingua grammaticale ma in qualche caso doveva essere pur parlata, come lingua veicolare = latino differenziato in base al livello di istruzione del monaco). Il latino continua dunque anche a essere parlato, sebbene dalle pochissime persone che lo hanno studiato a vari livelli a seconda della cultura di chi lo parla (ad esempio: un vescovo in un concilio avrà usato un latino diverso da quello di un monaco semi-alfabetizzato). Filologia Romanza 62 Gli alfabetizzati/semi-alfabetizzati scrivono ancora in latino poiché non c’è ancora la consapevolezza che esiste un’altra varietà ben diversa dal latino – parlano la lingua romanza nel quotidiano ed eventualmente il latino. Gli analfabeti naturalmente non scrivono nulla – parlano soltanto la lingua romanza, in qualsiasi occasione. I primi capiscono il latino in base alla loro cultura e le lingue romanze. I secondi capiscono la lingua romanza e in qualche caso il latino (ad esempio il latino delle prediche o delle liturgie a condizione di che sia un latino “bassissimo”, infarcito di termini volgari e con una sintassi semplice. Varvaro ci spiega che chi sa il latino è sostanzialmente un bilingue e le situazioni di bilinguismo favoriscono lo scambio linguistico (dal volgare verso il latino) e anche la prima codificazione scritta del volgare (quando ci sono più lingue in use, capita che ci sia da transcodificare da una lingua all’altra = capita che anche la varietà più bassa, il volgare, affiori alla scrittura). In contesti bilingue (latino – volgare romanzo) capita sempre a un certo punto si debba tradurre da una all’altra varietà – ad esempio, in questi secoli c’è la necessità che chi conosce il latino sia obbligato a tradurlo in volgare. In ragione a questa necessità, i volgari romanzi vengono messi per iscritto (prima non lo erano mai stati). Ad esempio, un sacerdote fa la predica, inizialmente in latino e successivamente si rende conto che chi ha difronte non è in grado di comprendere = il sacerdote inizierà così a farla il lingua romanza (= prima fissazione scritta della varietà romanza che non è altro che una traduzione dal latino alla lingua romanza). Consapevolezza espressa per la prima volta a chiare lettere nel dispositivo del Concilio di Tours (813) → concilio convocato per volontà di Carlo Magno e venne stabilito che il prete deve fare la predica del Vangelo in volgare – la maggior parte delle persone ormai non parla o non conosce più il latino. La Chiesa dunque ha bisogno che il suo “messaggio” venga capito da tutti – la Chiesa è stata una delle prime a capire questa cosa della necessità di un cambio. La diciassettesima disposizione del Concilio di Tours recita: Visum est unanimitati nostrae, ut quilibet episcopus habeat omilias continentes necessarias ammonitiones, quibus subiecti erudiantur. […] Et ut easdem omelias quisque aperte transferre studeat in rusticam Romanam linguam aut Thiotiscam, quo facilius cuncti possint intelligere quae dicuntur. TRADUZIONE → Sembra opportuno a tutti noi che ogni vescovo pronunci omelie contenenti gli insegnamenti necessari all’educazione dei sudditi. […] E che ciascuno si sforzi di Filologia Romanza 65 2. Raccolte di leggi – scritte in un latino semplificato, più vicino alla lingua parlata, in modo che anche chi fosse ignaro di latino (= illitterati) potesse conoscerle e rispettarle → un testo prescrittivo necessita di vicinanza al volgare. Esempi: 3. Testi giuridici di vario genere (atti notarili, carte giudiziarie…) – Nelle cosiddette parti libere (elenchi di beni, indicazioni topografiche, interventi di testimoni) questi documenti possono contenere tracce della lingua parlata, dovute al contatto diretto del documento con la realtà effettiva, quotidiana di cui si occupa (e che si esprime in volgare) → in queste parti dei testi, è forte la pressione dell’oralità (Sabatini). Esempi: Breve de inquisitione (Siena, 715), “breve documento d’inchiesta” = disputa giudiziaria tra i vescovi di Arezzo e Siena; indagine disposta dal re longobardo Liutprando. La registrazione delle deposizioni orali richiede che la scrittura si avvicini alla voce del testimone (che parla in volgare), per ragioni di autenticità documentaria → la parte formulare del documento è in latino sostanzialmente corretto, la parte libera (= deposizione) ricalca il tono linguistico della testimonianza orale: «Item Ursus presbiter senex de Sancto Felice fines Clusinas dixit: “(...) Iste Adeodatus episcopus isto anno fecit ibi fontis, et sagravit eas a lumen per nocte, et fecit ibi presbitero uno infantulo abente annos non plus duodecem, qui nec vespero sapit, nec madodinos facere, nec missa cantare. Nam consubrino eius coetaneo ecce mecum abeo: videte si potit, et cognoscite presbiterum esse”». Filologia Romanza 66 4. Testi religiosi e didattici – inni, vite di santi (agiografie), testi di carattere morale, edificante → da cantare / recitare nelle funzioni da utilizzare per la predicazione e per l’indottrinamento della popolazione presentano un latino adeguato alla situazione comunicativa bassa (= al target popolare). Se la Chiesa si deve rivolgere alle masse, non può usare un latino “elevato” ma un latino “compromesso” con la lingua della gente → per questo presentano un latino adeguato al target popolare = latino che trae dalla lingua parlata tantissimi elementi. 5. Registrazioni “informali” di varia natura, libere da vincoli di tipo grammaticale – dove il copista, il notaio, il chierico si “riposano” dal loro mestiere e registrano per iscritto proverbi, motti, giochi di parole… → abbassano il registro e quindi accolgono forme del parlato, ma senza mai rinunciare al latino. Quando i copisti fanno delle “pause”, spesso trascrivono motti o giochi di parole e lì il latino si abbassa = abbassamento del registro che accoglie forme basse – senza MAI rinunciare al latino che rimane il codice linguistico con cui questi copisti si muovono. LEZIONE 19 Un caso di latino circa romanzo della parola di tipo (5): l’INDOVINELLO VERONESE (fine VIII sec.): ➢ Sono due versetti in una lingua di compromesso (struttura latina + elementi volgari = la struttura grammaticale è latina ma la superficie linguistica è popolata di elementi volgari). ➢ Scritti probabilmente da un copista della scuola capitolare di Verona a fine VIII secolo = a Verona c’è la Cattedrale e affianco il capitolo che ospitava i chierici che si occupavano dei riti = questi chierici avevano un’importantissima biblioteca e scriptorium. ➢ Sul margine del foglio di guardia (= sono quei fogli bianchi che si trovano a inizio e a fine dei libri, “proteggono” le pagine effettivamente scritte) anteriore di un orazionale mozarabico (ms. liturgico) dell’VII-VIII secolo proveniente dalla Spagna arabizzata. Rito cristiano con cui si celebravano le liturgie nella Spana arabizzata. È stato portato in Italia da Cristiani iberici che scappavano dalla loro patria > arriva in Toscana e poi raggiunge Verona. † Se pareba boves, alba pratalia araba et albo versorio teneba et negro semen seminaba. [“Si spingeva avanti i buoi, arava bianchi prati e un bianco aratro reggeva e nero seme seminava” (soluzione: chi scrive)]. I buoi sono le dita che tengono la penna / i bianchi prati da arare sono le pagine bianche della pergamena ancora prive di scritte / l’aratro bianco è la penna d’oca / nero seme è l’inchiostro. † Gratias tibi agimus omnipotens sempiterne Deus = lo stesso copista dopo l’indovinello, redige sulla riga sotto una formula scritta in latino perfetto. [“Ti rendiamo grazie, Dio onnipotente ed eterno”]. Notiamo la differenza di livello tra i due latini. È una scrittura corsiva altomedievale precarolina di non facile interpretazione → forma elegante usata prima della riforma promossa da Carlo Magno (= appunta da qui si chiamerà carolina). L’Indovinello veronese è stato spesso interpretato come il più antico testo scritto in una lingua romanza (nello specifico, un volgare veneto antico). Elementi superficiali volgari: ➢ Caduta di -T della 3° pers. sing.: pareba, araba, teneba, seminaba (lat. -ABAT, -EBAT) ➢ Caduta di -M dell’accusativo e -Ŭ > -o: albo versorio, negro (ALBŬM, *VERSORIŬM, NĬGRŬM) Filologia Romanza 67 ➢ Ĭ > ẹ: negro (lat. NĬGRUM) ➢ pareba ‘spingeva avanti’ (< lat. PARARE ‘preparare’): in questa accezione è parola diffusa in area veneta ➢ versorio ‘aratro’ (< *VERSORIUM): parola diffusa in area veneta [cfr. le mappe AIS ‘spingere le bestie’ e ‘aratro’] ➢ pratalia ‘i prati’ (< lat. *PRATALIA; cfr. toponimi sett. Predaia [TN] Pradaglia [PC], ecc.) Il fatto che il chierico lo abbiamo scritto nel Capitolo di Verona ciò non si significa che il chierico sia di origini veronesi. Sembra che in questi secoli non ci sia più nessuno in grado di scrivere “bene” poiché si ha a che fare anche con il parlato nella scrittura. Struttura grammaticale ancora latina: ➢ La terminazione dell’imperfetto rimane in forma latina: -aba-, -eba- < -ABAT, -EBAT (senza b > v come in it.: -ava, -eva) ➢ Il sostantivo neutro semen conserva la desinenza -n latina ➢ L’aggettivo albus “bianco” appartiene al lessico latino ➢ L’ordine sintattico OV è tipicamente latino (alba pratalia [O] araba [V], albo versorio [O] teneba [V], negro semen [O] seminaba [V]) ➢ L’acc. plur. alba pratalia è di genere neutro, quindi pienamente organico al latino (le lingue romanze non hanno il neutro) → L’indovinello è stato scritto da un chierico abituato a copiare libri, che quindi conosceva molto bene il latino. I volgarismi non sono errori, ma sono intenzionali, adatti al contesto di un breve divertissement. La tipologia testuale “giocosa” suggerisce l’uso di un latino meno controllato, quindi contaminato con il parlato. Non si può parlare di testo scritto volgare, ma di latino della parola con elementi volgari inseriti per scelta stilistica. Tra la fine dell’Impero (V sec.) e l’avvento dei Carolingi (VIII sec.) La qualità del latino scritto era precipitata → pochi autori scrivono ormai al livello dei classici antichi. Nell’enorme mole dei documenti, ma anche nei testi letterari e para -letterari, si attesta «latino linguisticamente modesto» (Renzi-Andreose) dalla forte compromissione con il parlato, più o meno intenzionale → sembra che non ci sia più nessuno in grado di scrivere “bene”. Il programma carolingio di rinascita culturale (renovatio) promosso soprattutto dall’entourage di Carlo Magno (re dei Franchi dal 774, imperatore dall’800) investe gli studi umanistici: ➢ Nuova attenzione alla scuola e all’istruzione soprattutto del clero e dei funzionari = non si può affidare l’amministrazione del culto a persone che conoscono poco e male il latino. Stesso discorso vale per la scuola. ➢ Recupero “filologico” degli auctores classici, allestimento di grandi biblioteche. ➢ Importante impegno letterario con attenzione alla lingua e allo stile (lotta alla scripta latina rustica) = si producono testi molto importanti i quali autori badano alla lingua e allo stile. Non è che in seguito alla renovatio le cose cambiano immediatamente – ci sono aree più arretrate dove si continuava a fare come prima. ➢ Riforma della scrittura per risolvere “l’anarchia grafica” (minuscola carolina) = la scrittura carolina è leggibile da chiunque. Filologia Romanza 70 LEZIONE 20 Carlo fa la stessa cosa in tedesco: «In Godes minna ind in thes christianes folches ind unser bedhero gehaltnissi, fon thesemo dage frammordes […]» – È lo stesso testo ma in antico alto tedesco, si può riconoscere → Godes = Dio / christianes folches = popolo cristiano. Gli studiosi hanno notato che questo codice proviene da un ambiente molto vicino a quello di Nitardo (= molto a ridosso dell’archetipo). Poi giurano i comandanti dei due eserciti, ciascuno nella propria lingua: «Sacramentum autem quod utrorumque populus, quique propria lingua. Romana lingua sic se habet: Si Lodhuvigs sagrament, que son fradre Karlo iurat, conservat, et Karlus, meos sendra, de suo part non los tanit, si io returnar non l’int pois, ne io ne neuls cui eo returnar int pois, in nulla aiudha contra Lodhuwig nun li iu er». «Se Ludovico rispetta il giuramento che ha prestato a suo fratello Carlo, e Carlo, mio signore, da parte sua, non lo mantiene, se io non riesco a farlo desistere da ciò [cioè “dal tradimento”], né io, né altri che io possa far desistere da ciò [cioè “dal tradimento”], non gli saremo di aiuto alcuno contro Ludovico”». Queste formule di giuramento volgari non sono registrazione del parlato, ma scrittura volgare elaborata in contesto cancelleresco (= alto, colto) da funzionari che conoscevano il latino. Sono ricalcate su analoghe formule latine impiegate in documenti carolingi coevi (capitolari, giuramenti). pro Deo amur pro amore Dei, pro Dei amore, pro Dei omnipotentis amore pro christian poblo cum consilio servorum Dei et populi christiani et nostro commun salvament secundum Dei voluntatem et commune salvamentum d’ist di en avant de isto die in antea in quant Deus savir et podir me dunat quantum mihi Dominus scire et posse donaverit (dederit) si salvarai eo…et in aiudha et in cadhuna cosa invicem nos salvemus et adiuvemus si cum om per dreit son fradra saluar dift sicut frater fratri per rectum facere debet si Lodhuvigs sagrament, que son fradre Karlo iurat, conservat, et Karlus, meos sendra, de suo part non los tanit si Hludowicus frater noster illud sacramentum, quod contra nos iuratum habet, infregerit vel infringit Localizzazione dei Giuramenti di Strasburgo su base linguistica → è stata osservata nei Giuramenti la compresenza di tratti della lingua d’oil (francesi) e di tratti d’oc (occitanici): Sembrerebbero interpretabili come tratti dialettali di tipo occitanico: 1. -A- tonica in sillaba libera del latino > -a-: fradre/fradra/christian/salvar/returnar (< latino FRATREM, CHRISTIANUM, SALVARE, TORNARE ma antico francese frere, chrestien, salver, retorner) 2. Latino -P- > -b-: poblo, “popolo” (< latino POPULUM ma antico francese peuple) Filologia Romanza 71 3. Mancata palatalizzazione di C + A > ca: Karle / -o, cadhuma, cosa (< latino CAROLUS, *CATAUNUM, CAUSA ma antico francese Charles, chaum, chose) – quest’ultimo tratto è però anche dei dialetti d’oil piccardo e normanno (nord della Francia) Ipotesi 1 → che l’estensore delle formule provenisse da una zona di confine linguistico = secondo Arrigo Castellani dal Poitou o dall’Aquitania del nord / secondo D’Arco Silvio Avalle dal Poitou (la corte di Carlo il Calvo rimase stanziata in quell’area per molto tempo) / secondo Henri Suchier dall’area franco-provenzale (area centro-orientale del dominio galloromanzo). Ipotesi 2 → Altri, tra i quali Ferdinand Lot, sostengono che la compresenza di tratti del Nord e del Sud sia dovuta al consapevole intento di creare una koiné linguistica (secondo loro l’antico francese nascerebbe già come una koiné francese) → la mescolanza di tratti linguistici sarebbe servita a farsi capire da soldati di diversa provenienza. Secondo altri ancora, tra i quali anche Lorenzo Renzi e Alvise Andreose, la lingua dei Giuramenti non è localizzabile perché è troppo forte l’impronta del latino, la sola lingua che il redattore dei Giuramenti padroneggiava nello scritto. L’aderenza delle formule alle matrici latine è anche linguistica, non solo di contenuto → massiccia adozione delle consuetudini scrittorie del latino, specificamente del latino merovingico (modo di scrivere in latino nei primissimi secoli in seguito alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente con particolari grafie, forme). La patina linguistica latina annulla, annacqua gli elementi dialettali → difficoltà a localizzare la lingua dei Giuramenti (= comprendere la varietà dialettale in cui sono redatti). In questa fase si scrive in volgare appoggiandosi alla scrittura del latino, perché una tradizione scritta del volgare non esiste ancora. Il grado di “sincerità fonetica” della scripta volgare dei Giuramenti è parziale, perché incidono le consuetudini della scrittura latina. L’incertezza nella scrittura del volgare è evidente → ad esempio: nella resa oscillante delle vocali finali ormai evanescenti (/ə/). Dunque, poblo < POPULUM, fradre/fradra < FRATEM, Karlo/Karle, nostro < NOSTRUM, sendra < SENIOR. Antico francese: peuple/frere, Charles/Carles, nostre, sire. Dal latino SENIOR abbiamo un’evoluzione di questo tipo → SENIOR > *SENR (la O postonica viene meno) o SENHR (con la palatalizzazione dello jod) > SENDRE/A o SENHDRE/A. Successivamente abbiamo SEIRE > SIRE. MELIOR > *MELR (velarizzazione di L) > MEUDRE. Nella lingua dei Giuramenti, rinviano alla scrittura latina in particolare: ➢ Le forme pro Deo, in o quid, nunquam, in damno sit, iurat, conservat, contra, Karlus… ➢ I grafemi ‹i› e ‹u› per /e/ e /o/, tipici del latino merovingico = savir, podir, prindrai, dunat. ➢ L’assenza dell’articolo determinativo, sicuramente già esistente nel volgare del IX secolo. ➢ La frequente sintassi OV [Oggetto-Verbo] = savir et podir [O] me dunat [V] / si cum om per dreit son fradra [O] salvar dift [V] / nul plaid [O] nunquam prindrai [V]. Filologia Romanza 72 Adesione linguistica che secondo alcuni “maschera” l’aspetto reale di questa lingua. Potrebbe dunque darsi che anche alcuni dei tratti linguistici dei Giuramenti che sembrano riconducibili a varietà dialettali di tipo occitanico – siano invece da interpretare non in chiave dialettologica (= occitanismi) ma come conservazioni della forma latina delle parole. Ad esempio: la conservazione di -A- tonica → salvar (latino SALVARE), christian (latino CHRISTIANUS), fradre (latino FRATEM), returnar (latino TORNARE). Oppure la mancata palatalizzazione di C + A: Karle (< CAROLUS), cosa (< CAUSA), cadhuna (< *CATAUNA). Non c’è l’abitudine di scrivere in volgare, ci si adatta con quello che si ha → ovvero il latino. LEZIONE 21 Il più antico testo romanzo di carattere letterario → la SEQUENZA DI SANT’EULALIA (ultimo quarto del IX secolo = 875-900 d.C.). È un testo di carattere agiografico (= racconto della vita e del martirio di un santo) → produzione di testi volgari a contenuto sacro, in modo che i contenuti edificanti fossero compresi dagli illitterati. Testo di carattere esemplare = offre un modello di vita da seguire per poter andare in Paradiso – i migliori modelli di vita sono le vite dei Santi (specchi di Cristo). Sono testi utili per diffondere la parola del Signore → uso del volgare per farsi capire da più persone (ragione comunicativa = deve arrivare a tutti). I più antichi testi in versi in lingua d’oil → sono testi di carattere religioso-didattico: 1. Sequenza di Sant’Eulalia (IX secolo) – area piccarda-vallone (estremo nord-est a confine con il Belgio) 2. Sermoni di Valenciennes (prima metà X secolo) – area vallone 3. Passione (X secolo) – area francoprovenzale (in octosyllabes = verso che in Italia è il novenario. Successivamente octosyllabes diventerà il verso tipico dei primi romance francesi) 4. Vie de Saint Lethgier (X secolo) – area vallone (in octosyllabes) = area in cui c’erano monasteri che promovevano l’uso del volgare in queste tipologie di testi 5. Vie de Saint Alexis (XI secolo) – area normanna, cantato dai giullari, stesso metro della Chanson de Roland = erano testi accompagnati da una cantilena/melodia La Sequenza di Sant’Eulalia racconta il martirio di questa martire spagnola, avvenuto sotto l’imperatore Diocleziano (III secolo d.C.). La tipologia testuale è quella della passio “passione” (di Cristo, santi…). È una sequenza di 14 coppie di versi anisosillabici assonanzati (assonanzati = corrispondono dalla vocale tonica in poi ma non le consonanti) + versicolo finale. La lingua è l’antico francese, nella variante dialettale vallone (attuale confine Francia-Belgio – all’epoca anche linguisticamente tra la theothisca e la romana lingua) = siamo in grado di capire la provenienza del suo autore. [Stefano Asperti, Origini romanze, p. 178, non li definisce versi ma «periodi ritmici»]. Valenciennes, Bibliothèque Municipale, manoscritto 150 (IX secolo). La provenienza = biblioteca del monastero benedettino di Saint-Amand (nel Medioevo fu molto importante come luogo di produzione di testi ed era anche una scuola musicale), dove era giunto nella seconda metà del IX secolo da territorio tedesco. Contenuto = Sermoni teologici di Gregorio Nazianzeno. All’inizio del IX venne composto in territorio tedesco, arriva a Saint-Amand dove qualcuno trascrive alcuni testi tra cui, in francese, la Sequenza di Sant’Eulalia. Filologia Romanza 75 LEZIONE 22 Nella MORFOLOGIA: ➢ Desinenza verbale di prima persona plurale -am: oram “preghiamo” (invece di oron, orons, come negli altri dialetti d’oïl) ➢ Passato remoto derivante dal piuccheperfetto latino invece che dal perfetto latino: auret “ebbe” (< HABUERAT, non da HABUIT), pouret “poté” (< POTUERAT, non da POTUIT) Spoglio linguistico congiunto di Giuramenti (= G) e Sant’Eulalia (= S) → evidenziamo alcuni tratti caratteristici dell’antico francese, FONETICA – VOCALISMO 1. Evoluzione di A tonica in sillaba libera > e (spontanea) / ie (condizionata – dagli altri suoni). G Ø (mancano esempi), S: maent “sta, rimane”, pronuncia /’mεŋt/ (< MANET), honestet (< HONESTATEM), presentede “presentata” (< PRAESENTATAM). CONDIZIONATE = chielt “importa” (< CALET), chief (< CAPUT), pleier (< PLICARE), regiel “del re, regale” (< REGALEM) – [in chielt, chief, pleier, regiel A diventa ie e non semplice e per condizionamento del vicino suono palatale → CALET > *čale(t) > chielt, CAPUT > čapu > chief, PLICARE > *pleğare > plegier > pleier, REGALEM > *reğale > regiel] 2. Dittonghi delle vocali toniche in sillaba libera: S: ciel (< CAELUM), buona (< BŎNA), ruovet (< RŎGAT) / veintre (< VĬNCERE) / bellezour (< BELLATIŌREM)… G: forse le grafie merovinge ‹i› e ‹u› mascherano ei (savir = saveir) e ou (amur = amour)? Non vi è risposta, per il resto in G nessuna traccia di dittongo. 3. Evoluzione del dittongo latino AU > o. G: cosa (< CAUSA). S: cosa / kose, or “oro” (< AURUM) 4. Caduta delle vocali in sillaba finale tranne -A (che di norma passa a -e- evanescente = ə): G: christian, commun, salvament, ist, avant, sagrament, returnar… cosa, cadhuna, nulla, MA fazet “faccia” (< FACIAT) e forse Ludher. S: bellezour, voldrent, servir, paramenz, virginitet, honestet… -A = buona pulcella, anima, MA niule cose, polle, presentede, morte… questo tratto tipicamente francese nella Sant’Eulalia è molto ben rappresentato. È anche un tratto tipico nei dialetti piemontese, lombardo e in parte emiliano- romagnolo. [Importante: l’antico francese sviluppa vocali d’appoggio dopo nessi consonantici altrimenti di difficile pronuncia: G: poblo, Karle, fradre /-a, sendra, nostro. S: veintre, faire (< *FACR-), diaule (-bl-), sempre, seule “secolo” (< SECL-)…]. In antico francese tutte le vocali atone finali cadono (tranne la A), esistono casi di reintegro nel caso in cui la parola finale ha casi consonantici di difficile realizzazione fonica. Filologia Romanza 76 FONETICA – CONSONANTISMO 1. Palatalizzazione di C / G davanti ad A: G ø, S: chielt (< CALET), chief, (< CAPUT), pleier (< *pleğare < PLICARE), pagiens, regiel (< *pağans, *reğal < PAGANOS, REGALEM)… In ladino o in friulano, così come in antico francese, parole come cavallo si pronunciano čhaval o gallo si pronuncia gjal. 2. Lenizione (indebolimento articolatorio) delle consonanti sorde intervocaliche (-C- > -g-, -P- > -b- > -v-, -T- > -d-) e in molti casi dileguo (cioè scomparsa: ad es. amie < *amiga < AMICA, vie < vida < VITA – in francese è comune / in provenzale no): G: podir (< POTERE, a. fr. poeir), aiudha (< ADIUTARE; a. fr. aiue), cadhuna (< CATA-, a. fr. chaum), Ludher (< LOTHAR-) plaid (< PLACITUM). [la grafia ‹dh› rappresenta la consonante interdentale sonora ð, come nell’inglese father]. S: presentede (< -ATA; fr. mod. présentée), spede (< SPATHA; fr. mod. épée) 3. Sviluppo CT > it = S ø, G: dreit (< DIRECTUM), plaid (< *plactu < PLACITUM). Ad oggi l’unica lingua romanza nella quale si conservi un residuo di sistema casuale è il rumeno. MORFOLOGIA Per sostantivi e aggettivi è documentata sia in G sia in S la declinazione bicasuale (nel latino parlato, soprattutto negli ultimi secoli dell’impero, il sistema dei casi è collassato da 6 casi a 2, a volte 3) → l’antico francese e l’antico occitanico conservavano un sistema a due casi: ➢ Caso SOGGETTO [deriva dal nominativo latino] – per il soggetto della frase e per tutti gli elementi in relazione con il soggetto (sostantivo, aggettivo). ➢ Caso OBLIQUO [deriva dall’accusativo latino]: A. Per il complemento oggetto (accusativo) B. Per tutte le preposizioni C. Per usi che in latino erano propri di genitivo (complemento di specificazione) e dativo (termine) Filologia Romanza 77 mur è senza la S nel caso obliquo poiché deriva dall’accusativo latino MURUM. Al plurale abbiamo mur nel caso soggetto e al caso obliquo murs dove la S si conserva. È un sistema che a un certo punto è stato abbandonato poiché rendeva il tutto troppo difficile. SOSTANTIVO IMPARISILLABO = sono quei sostantivi della terza declinazione con un numero di sillabe al nominato e un altro all’accusativo (SENIOR – SENIOREM / BARO – BARONEM). Due sillabe al nominato e tre sillabe all’accusativo. A seconda della base latina, nomi e aggettivo realizzano in modo diverso il caso soggetto o il caso obliquo. Esempi dai testi che abbiamo letto: G: ➢ Soggetto: Karlus, meos sendra, non lo·s tanit < CAROLUS, MEUS SENIOR ➢ Obliquo: salvarai cist meon fradre Karlo (c. oggetto) < CAROLUM, MEUM / son fradre Karlo iurat (c. termine/vantaggio senza preposizione) S: ➢ Soggetto : auuisset de nos Christus merci < CHRISTUS – calco dell’etimo latino ➢ Obliquo: [Eulalia] si ruovet Krist (c. oggetto) < CHRISTUM Situazioni di completa confusione tra il caso soggetto e il caso obliquo nei testi di 200/300 anni più tardi rispetto a questi. Altri impieghi del caso obliquo senza preposizione con valore di genitivo o dativo latino: G: pro Deo amur “per l’amore di Dio” [caso soggetto: Deus] S: li Deo inimi “i nemici di Dio” / lo Deo menestier “il servizio di Dio” / fut presentede Maximiien “fu presentata a Massimiano” [caso soggetto: Maximiiens] Abbiamo utilizzato G e S per tracciare un breve profilo grammaticale dell’antico francese . Usiamo ora il testo di G e S per occuparci di tre innovazioni morfologiche panromanze (quindi non solo antico-francesi, ma di tutta la Romània) che distanziano la morfologia delle lingue romanze da quella del latino (cose che in latino non c’erano ma nelle lingue romanze sì): 1. Il futuro di origine analitica o perifrastica (= formato da più parole) (la forma di futuro sintetico del latino classico è quasi del tutto scomparsa nel romanzo) 2. Il condizionale (modo verbale che in latino non esisteva) 3. L’articolo determinativo (parte del discorso che in latino non esisteva) 1- Il futuro romanzo di origine analitica o perifrastica. In latino il futuro aveva una forma sintetica (= con terminazioni sue proprie da unire al tema verbale): amabo “io amerò”, monebo “io avvertirò”, leges “tu leggerai”, audiet “egli ascolterà”. Alla base del futuro dei composti di esse: possum (potero “potrò”), prosum (prodero “gioverò”). Filologia Romanza 80 Aree isolate / laterali: ➢ In sardo, il condizionale è espresso dalla perifrasi “imperfetto di DEBĒRE + infinito”: dia cantare (< DEBEBAM CANTARE) ➢ In romeno, dalla perifrasi HABĒRE + infinito: am cînta “canteremmo”. LEZIONE 23 3- La formazione dell’articolo determinativo Il latino non aveva l’articolo determinativo. Nelle lingue romanze, che invece ce l’hanno tutte, l’articolo determinativo ha essenzialmente due funzioni: 1. Quella di individuare categorie generali di cose, persone, animali, concetti… Ad esempio: le parole sono importanti, gli animali domestici sono carini, la matematica non è per tutti, l’uomo è andato sulla luna. 2. Quella di richiamare un elemento già citato, noto all’interno di un testo (funzione anaforica): un operaio è caduto dal tetto di una casa; l’uomo ora sta bene (l’articolo mi serve a citare un elemento giù nominato) / Roberto Baggio ha segnato due gol; il fantasista è ora capocannoniere del campionato. In alcuni testi del latino tardo aumenta moltissimo la frequenza dei pronomi e aggettivi già del latino classico ĬLLE “quello” (dimostrativo) e ĬPSE “proprio lui, lui stesso” (determinativo) usati proprio in funzione anaforica (quella del punto 2 della slide precedente): Peregrinatio Aegerie: Sancti monachi […] sancti illi […] illi sancti […] illi sancti (III, 6-8) Montes faciebant vallem infinitam [I, 1] …ipsa valle tota […] ipsa valle […] de valle illa (V, 4-10) → queste occorrenze (articoloidi – poiché ancora non si può parlare di articoli determinativi) ci dicono che probabilmente, nel latino parlato di età imperiale, si era diffuso un uso di ĬLLE e di ĬPSE molto più ampio di quello del latino classico (pron. / agg. dimostrativi). Nuove funzioni di ĬLLE e ĬPSE nel latino parlato: ➢ Utilizzati per le riprese anaforiche (come ne Peregrinatio Aegerie) ➢ Loro generalizzazione come determinativi (senza più necessariamente valore dimostrativo, ma semplice valore referenziale → certificano l’esistenza e l’essenza di un oggetto) Dalle varie forme di ĬLLE = sia dall’accusativo singolare (ĬLLUM, ĬLLAM, plur. -OS, -AS) sia dal nominativo plur. ĬLLI, ĬLLAE. Derivano quasi tutti gli articoli determinativi romanzi: Filologia Romanza 81 In Sardegna, e a cavallo tra area galloromanza e ibero- romanza era invece più usato, con le medesime funzioni, ĬPSE (acc. ĬPSUM, ĬPSAM) da cui l’articolo sardo su, sa / sos, sas, catalano (Baleari) es, sa, antico provenzale, ant. guasc. so / se, sa… ← aree in cui sopravvivono esiti di ĬPSE come articoli determinativi (su, so, sa…). L’area della Sardegna, Baleari e Catalogna è ben compatta. Prima attestazione sicura dell’articolo determinativo romanzo: Parodia della Lex Salica (area galloromanza, metà VIII secolo) – testo in cui il latino è contaminato volontariamente da forme volgari: tollant lis potionis «tolgano le bevande» (lis, con grafia merovingica, potrebbe anche mascherare una pronuncia les, come nell’a.fr. e nel fr. moderno). Nei Giuramenti di Strasburgo l’articolo determinativo manca: non perché nell’842 non esistesse ancora, ma per l’impronta linguistica e stilistica dei modelli formulari latini . Ne Sant’Eulalia l’articolo determinativo abbonda: lo Deo menestier, lo nom christiien, lo suon element, li rex pagiens, lo chief, lo seule (m. sing.), la polle, la mort (f. sing.) li Deo inimi, les mals conselliers, les empedementz (m. plur.). I PIÙ ANTICHI TESTI SCRITTI IN LINGUA D’OC (provenzale, occitanico) 1- Le benedizioni di Clermont-Ferrand [Clermont-Ferrand, Bibliothèque communautaire et interuniversitaire, ms. 201 (IX-X sec.)]. È la zona del Massiccio Centrale, Francia. Contiene il Breviarium Alarici decurtatum (testo giuridico = raccolta di leggi) – codice di leggi visigote, Alarico. I margini di queste carte possono ospitare altre piccole note di penna, scritture/annotazione del lettore o del copista stesso. A c. 89v, una mano di metà X secolo trascrive, in forma di traccia (= testi copiati casualmente in margini di testi che contengono tutt’altro), in minuscola carolina, due scongiuri (nel nostro caso, in particolare, “formule di magia terapeutica” [Lucia Lazzerini]). SCONGIURI → formule rituali di uso pratico (non letterario) utili a risolvere problemi di salute allontanare eventi atmosferici avversi difendere i propri beni fare innamorare attraverso l’evocazione del soprannaturale. Molto spesso fanno riferimento a entità non religiose. Testo Traduzione 1. Cum pisce in aqua fregit sua ala et resoldè, si resold in ista mans qui deslogè (serve a far passare le slogare delle mani) 1. Come il pesce in acqua ruppe la sua pinna e si risaldò, così si saldi in questa [acqua] la mano che si slogò. Filologia Romanza 82 2. Tomida femina in tomida via sedea; tomid infant in falda sua tenea; tomides mans et tomidas pes, tomidas carnes, que est colbe recebrunt; tomide fust et tomides fer que istæ colbe donerunt. [segmento testuale eraso – è stato cancellato] Exsunt en dolores d’os en polpa ‹de polpa en curi› de curi in pel de pel en erpa. Tærra madre susipiant dolores (serviva a far guarire da gonfiori ma non si sa di quale natura) 2. Una donna gonfia sedeva in gonfia via, teneva in grembo un bambino gonfio, gonfie mani e gonfi piedi, gonfie carni che riceveranno (o ricevettero?) questo colpo, gonfio legno e gonfio ferro che daranno (o diedero?) questo colpo*. [segmento testuale eraso] Ne escono dolori, d’osso in muscolo, di muscolo in pelle, di pelle in pelo, di pelo in erba. La terra madre riceva i dolori. *(= non è altro che la toccatura con un coltello per far uscire l’ascesso / oppure il legno e il ferro sono quelli che hanno causato il gonfiore). È uno scongiuro profano, arcaico con un riferimento alla Terra. “tærra madre susipiant dolores” → è una “Catena” di eliminazione del dolore: già documentata in testi tardo -latini: Nella Physica Plinii sangallensis (VI-VII sec.?): a medullis ab ossa, ab ossibus a pulpa, a pulpa a nervos, a nervo a cutes, a cute a pilos, a pilo in centesimo [scaricano il dolore su un sasso] Nel ms. XC della Biblioteca Capitolare di Verona (IX-X sec.): exi de osso in pulpa, de pulpa in pelle, de pelle in pilo, de pilo in terra. Terra matre, suscipe, quia te ille sufferre non potest Tipologia di scongiuro arcaica e di grande diffusione nell’Europa Occidentale altomedievale (anche esempi in area germanica). 2- Passione di Augsburg Breve testo in versi occitanici [4 octosyllabes, 1 exasyllabe, 1 octosyllabe assonanzati in -a- (= è sempre l’ultima vocale tonica), di area limosina = Francia centro-occidentale] sulla Passione di Gesù. Tramandato in forma di traccia, in littera minuta cursiva (corsiva piccola), nel margine superiore della prima carta di un ms. perduto (contenente, pare, la trascrizione atti notarili relativi a un’istituzione ecclesiastica). La carta è ora conservata come frammento ad Augsburg, Stadtarchiv, Urkundensammlung 5 [2]. Lo scriba che ha trascritto la Passione può essere assegnato al X sec. (ultimo terzo). La copia è avvenuta a Strasburgo (Francia orientale). Scoperto da Rolf Schmidt, che ne è anche il primo editore (1981). Filologia Romanza 85 Gli ultimi due testi sono probabilmente anche del repertorio giullaresco → escono dal contesto della (para)liturgia della messa, entrano nel repertorio dei professionisti della performance. Tratti grammaticali dell’occitanico ricavabili da B (= Benedizioni di Clermont-Ferrand) e da P (= Passione di Augsburg) Testi linguisticamente complessi: ➢ Influenze di tipo verticale – dal latino al romanzo – soprattutto B ➢ Influenze di tipo orizzontale (dovute al contatto varietà d’oc – varietà d’oil) → presenza in B e P di elementi linguistici settentrionali, dovuti o a zona di confine o a diasistema linguistico (legato alla provenienza dei copisti). FONETICA – VOCALISMO 1. Conservazione di A tonica in sillaba libera > a. In B abbiamo mans (< MANUS, a.fr. main), ala (< ALAM, a.fr. ele). In P: caus (< CAPUT, a.fr. chief). 2. Assenza di dittonghi spontanei delle vocali toniche in sillaba libera. In B abbiamo pes “piedi” (< PĔDES, a.fr. piès), pel (< PĬLUM, a.fr. peil, poil). In P abbiamo greu (< *GRĔVEM, a.fr. grief). 3. Caduta delle vocali atone in sillaba finale tranne -A (> -a, a.fr. -e). In B abbiamo resold (< RESOLIDET) os (< OSSUM) mans (< MANUS), tomid (< TUMIDUM), infant (< INFANTEM), ecc. - A: tomida, femina, via, aqua. In P abbiamo acid (< ACETUM), pærlær (< *PARAULARE), espins (< SPINOS), crux (< CRUCEM). 4. Mantenimento del dittongo latino AU. In B non abbiamo niente. In P abbiamo caus (< cau < CA(P)UT, dittongo secondario; cfr. a. lomb. cò). FONETICA – CONSONANTISMO 1. Assenza di palatalizzazione di C / G davanti ad A. B: carnes (< CARNES, a.fr. chars). P: caus (< CAPUT, a.fr. chief) 2. Lenizione delle consonanti sorde intervocaliche al grado sonoro (-C- > -g-, -P- > -b-, -T- > -d-) mantenimento di -d- primario (< -D- latino) raro il dileguo (frequentissimo invece in a.fr.) Esempi dalla serie dentale B: tomida, -e passim (< TUMIDA, -AE), sedea (< SEDEBAT, a.fr. seeit, seoit) P: acid (< ACETUM, a.fr. aisil) Filologia Romanza 86 LEZIONE 24 Il più antico testo scritto in un volgare iberoromanzo: LA NODICIA DE KESOS “nota dei formaggi” (terzo-ultimo quarto del X sec.). Conservato a León, Archivo de la Catedral, n. 852. È un testo di carattere pratico (spendibilità immediata) → tiene nota di alcune uscite dalla dispensa del convento di San Justo y Pastor. È un elenco dei formaggi consumati in diverse occasioni presso l’abbazia di San Justo y Pastor, presso Rozuela, nel León (nord-ovest della Penisola Iberica, non lontano dal territorio galiziano). La nota redatta sul verso di una pergamena contenente un atto di donazione all’abbazia, datato 959 (termine post quem). La nota è di poco successiva a questa data; redatta in una minuscola precarolina (zona laterale, territorio che non fa parte dell’impero carolingio e dunque molte riforme tardarono ad arrivare). Potrebbe essere databile poco dopo il 974: nella Nodicia si nomina un re in visita al monastero → Ramiro III di Leon visitò effettivamente il monastero nel 974. Testo: Nodicia de kesos que espisit frater Semeno in labore de fratres: inilo bacelare de cirka Sancte Juste, kesos .v.; inilo alio de apate, .ii. kesos; en que puseron ogano, kesos .iiii.; inilo de Kastrelo, .i.; inila vinia majore .ii.; que lebaron en fosado, .ii. adila tore; que lebaron a Cegia, .ii. quando la taliaron; ila mesa, .ii.; que lebaron a Lejone .i.; […]alio ke leba de soprino de Gomi de do[...] a[...]; .iiii. qu’espiseron quando ilo rege venit ad Rocola; .i. qua‹ndo› Salbatore ibi venit. Notizia dei formaggi che spese frate Semeno per ricompensare il lavoro dei fratelli: nella vigna nuova che si trova vicino al monastero 5 formaggi, nell’altra vigna dell’abate 2, nella vigna di quest’anno 4, nella vigna di castello 1 […] 4 formaggi sono stati spesi quando il re venne a Rocola. Profilo dell’antico castigliano a partire dalla Nodicia Fonetica: ➢ Conservazione di -J- latino: majore (< latino MAIOREM, spagnolo mayor). ➢ Betacismo: leba, lebaron, Salbatore (< -V-, spagnolo llevar), con ‹b› per /β/; forse la grafia ‹p› sta per /β/ in apate (< latino ABATEM), soprino “cugino” (< SOBRINUM). ➢ Sonorizzazione consonanti occlusive: nodicia (< latino NOTITIA), fosado (< FOSSATUM), ogano (< HOC ANNO, portoghese ogano). Morfologia: ➢ Plurale sigmatico: kesos (mentre fratres è latinismo) ➢ Articolo determinativo: ilo rege “il re” (< ĬLLUM), ila mesa “la tavola” (< ĬLLAM) ➢ Preposizioni articolate: inilo “nel”, inila “nella”, adila “alla” ➢ Passato remoto 3° persona plurale in -ron (< latino -RUNT): puseron, lebaron, taliaron… Lessico: ➢ bacelare “vigneto nuovo” (cfr. REW S.V. baccillum “asta”, “bastoncino” → portoghese bacelo “alberello di vite”, spagnolo bacillar, portoghese abacelar “piantare viti”. Filologia Romanza 87 ➢ cirka “vicino” nel sintagma preposizionale de cirka “vicino a” (< latino CĬRCA; spagnolo cerca). ➢ kesos “formaggi” (< latino CASEUM, spagnolo queso, portoghese queijo, italiano cacio, italiano meridionale caso). ➢ mesa “tavola” (< latino MENSAM, spagnolo mesa). Il più antico testo scritto in un volgare italiano: L’ISCRIZIONE DELLA CATACOMBA DI COMMODILLA (metà del IX secolo) ➢ L’iscrizione si trova a Roma, nella cripta dedicata ai santi Felice e Adàutto, all’interno di una catacomba, detta di Commodilla. L’affresco si trova sull’altare della cripta. È un testo pratico. ➢ Il muro retrostante l’altare ospita un affresco del VI-VII sec. d.C.: Vergine in trono con ai lati i due santi dedicatari della cripta, e la committente Turtura (nobildonna romana). ➢ Lungo la cornice del dipinto qualcuno ha inciso una scritta: lo ha fatto entro la prima metà del IX secolo, cioè prima delle incursioni arabe (saraceni) che dall’846 (termine ante quem) avevano devastato i dintorni di Roma e spinto le comunità cristiane ad abbandonare i luoghi di culto. ➢ Siamo negli stessi anni dei Giuramenti di Strasburgo, forse anche prima. Trascrizione diplomatica → NON / DICE/RE IL/LE SE/CRITA / ABBOCE Interpretativa → Non dicere ille secrita a bboce = “Non dire le secrete ad alta voce” Le secrete (orationes secretae) sono orazioni che il sacerdote era tenuto a pronunciare sottovoce appena dopo l’offertorio: uso liturgico arrivato dall’area galloromanza a inizio IX secolo (molti celebranti italiani, non si fossero ancora abituati all’uso di dire le secrete a voce bassa). Quest’iscrizione serve a ricordare di dire queste secrete a voce bassa – come un promemoria. → La messa si celebrava spalle all’assemblea (rito preconciliare): quindi guardando l’affresco . Il testo è redatto nel volgare romanesco di allora perché era importante che il celebrante capisse: spesso il piccolo clero conosceva poco e male il latino. Siamo dunque in presenza di un (micro)testo dalla funzione schiettamente pratica: un’istruzione. La lingua dell’iscrizione È un testo breve ma molto eloquente sul piano linguistico – si ricavano molte informazioni. Ad esempio, ci mostra come l’antico romanesco fosse una varietà pienamente meridionale , di tipo campano = assomigliava molto al napoletano. Oggigiorno il romanesco è simile al toscano. Imperativo non dicere costruito con non + infinito, come in italiano e in generale nelle lingue romanze (in latino classico, imperfetto con NE + congiuntivo presente / imperfetto [ne dicas, ne diceres], o NOLI / NOLITE + infinito [noli, nolite dicere]). L’infinito non sincopato dicere (italiano dire < DIC[E]RE) è tipico dei dialetti italiani centro- meridionali (e anche del latino). Nel sintagma ille secrita → ille (femminile plurale) funziona già da articolo determinativo (la grafia è latina) = LE SEGRETE. In secrita, ‹i› è grafia merovingica per /e/ (come savir, podir, prindrai nei Giuramenti di Strasburgo). Filologia Romanza 90 Sono invece retaggi dei modelli formulari latini: 1. Costrutto “pars + genitivo” parte Sancti Benedicti “patrimonio di San Benedetto” 2. Costrutto “verbo essere + genitivo” Pergoaldi foro “furono di Pergoaldo” 3. Sancte Marie è “è di Santa Maria” (foro < FUERUNT ed è < EST sono volgari, Pergoaldi e Sancte Marie sono genitivi latini) 4. tebe “a te” e bobe “a voi” (< tibi, vobis) sono forti latinismi ma intaccati dal betacismo Cfr. anche l’assenza dell’art. determinativo (come nei Giuramenti di Strasburgo) NOTA LINGUISTICA INTORNO A SAO “IO SO” – VERBO: Dal latino SAPIO > *SA(P)IO > sao > italiano so [Toscana, Italia centro-settentrionale] ma latino SAPIO > italiano meridionale saccio, con passaggio -PJ- > čč. Il gruppo PJ, la P è l’occlusiva bilabiale sorda, quindi palatalizzandosi produce una palatale sorda = č. La forma sao “io so” dei Placiti non sembra campana e nemmeno meridionale (non è mai attestata nelle scriptae volgari antiche). Probabilmente va pronunciata /sɔ/, cioè con ‹ao› = o aperta [cfr. le osservazioni del linguista Michele Loporcaro sul raddoppiamento fonosintattico in sao cco]. LEZIONE 25 → [ipotesi] Forse i notai cassinesi inseriscono nelle formule testimoniali volgari un elemento non locale (proveniente da aree più settentrionali del territorio longobardo) per “sprovincializzare” la lingua (= eliminare un tratto troppo dialettale)? Se fosse così sarebbe in atto un tentativo aurorale di koinè volgare giuridico-cancelleresca di tipo centro-meridionale. Importanza dell’abbazia di Montecassino come motore, in Italia, di una politica culturale e linguistica che porta alla valorizzazione (tra X e XII secolo) del volgare in ambito giuridico ma anche e soprattutto in ambito letterario → volgare come strumento di avvicinamento agli illitterati attraverso la fioritura di letteratura sacra in versi (ritmi, drammi liturgici). In tale contesto, i giullari (= esecutori) sono tramite tra cultura clericale e popolazione. Caso simile a quello dell’abbazia limosina di San Marziale di Limoges = grande luogo di testi in volgare e in cui il volgare letterario ha avuto un enorme successo. Sull’antichissima postilla del monaco di Bobbio = Valtrebbia (prima metà del X sec.): [vergata nel margine superiore di una carta del ms. Milano, Biblioteca Ambrosiana, C 138 inferiore]. Si tratta di un testo rinvenuto recentemente, questa postilla scritta nel margine di questo codice, è un commento ironico a un passo della Regula pastoralis in cui Gregorio Magno se la prende con chi pecca di ingordigia – la gola è il peccato peggiore tra tutti. Commento ironico (motto di spirito) a un passo di Gregorio Magno, Regula pastoralis, sulla gravità del peccato dell’ingordigia. La forma è quella della postilla ritmica: cioè modellata sulla misura e sul ritmo dei versi degli inni monastici (che il monaco naturalmente aveva nell’orecchio). Scelta del volgare indotta dall’abbassamento di registro (cfr. Indovinello veronese) . Sono parole che lui trascrive dando loro un ritmo, come se trascrivesse un verso. La scelta del volgare è dovuta all’abbassamento di registro – se il latino è la lingua delle cose “serie”, se si vuole “scherzare” lo si può fare con la lingua di tutti i giorni → volgare. Filologia Romanza 91 Tale avisi, Bivirello, bivir’e manducare = “Magari tu, Beverello, avessi una tale disponibilità di cose da bere e da mangiare!”. Gregorio Magno, sotto a questa postilla, scrive e ribadisce quanto sia grave il peccato di gola. Il monaco gli risponde e si dà del “tu” da solo. Linguisticamente si colloca nella stessa area in cui è stato scritto = testimonianza del piacentino del X secolo. Il tratto più volgare in senso settentrionale è “avisi” per “tu avessi” → questo fenomeno è chiamato METAFONESI = fenomeno di armonizzazione vocalica, è come se all’interno della parola, le vocali tra toniche e atone cercassero un equilibrio. Congiuntivo piucchepperfetto latino HABUISSES > produce due esiti in antico italiano “AVESE” (più arcaico) o “AVESI” – la /i/ finale condiziona per metafonesi il timbro della vocale tonica = la vocale tonica di AVESE è una /e/ chiusa. La metafonesi è quel fenomeno per cui le vocali finali condizionano il timbro delle vocali toniche (in questo caso /i/ che passa ad /e/) . In alcune aree la metafonesi funziona solo da /i/ finale. In meridione anche da /u/ finale – ci sono parole nel dialetto napoletano che hanno dei dittonghi condizionati da una vocale finale /u/ = dittonghi metafonetici. La carta del manoscritto è stata fotografata grazie alla luce ultravioletta = la si usa nei manoscritti per vedere se vi sono tracce di inchiostrato “sbiadito” e per esaltarlo – alla luce normale queste scritte non si vedrebbero. La più antica traccia di poesia lirica romanza a tema amoroso Fino a poco tempo fa, la più antica traccia lirica romanza conosciuta erano le due Liebestrophen (“strofette d’amore”) pittavine (= volgare della regione centro-occidentale della Francia, al confine con il dominio d’oc) scoperte dal grande paleografo Bernhard Bischoff. Lo troviamo a Londra, British Library, ms. Harley 2750. Sono versi trascritti nei margini a mo’ di traccia. Poesie in francese d’oil. Liriche forse redatte nel Poitou (Francia centro-occidentale) ma copiate nel ms. Harley 2750 da un copista tedesco nell’ultimo terzo dell’XI sec. e corredate di notazione neumatica (= musicale, come nei Canzonieri di oggi). Sono state composte in Francia e sono arrivate dalla parte opposta, al confine con l’area germanofona dove un copista le ha trascritte (1065-1100) – precedono il “primo trovatore” (Guglielmo IX), precedenti alla poesia trobadorica che ne anticipano le tematiche: 1. Las, qui non sun sparvir astur, qui podis a li vorer, la sintil imbracher, se buchschi duls baser, dussirie repasar tu (= tutto) dulur. 1. Ahimè, che non sono sparviero astore (falco), che potesse a lei volare, la gentile abbracciare, la sua dolce bocca baciare, addolcire e quietare ogni dolore 2. Sacramente non valent, tu spiure current, multe vel […]edent per amor inclusi schevaler iuch tradur 2. I giuramenti non valgono, ogni genere di spergiuro circola, molte monache accolgono per amore un cavaliere [iuch?] traditore Il primo inizia con una metafora topica delle poesie trobadoriche = sparviero astore = tipo di falco (rapace molto nobile). Si sottintende che la donna è lontana = che lui, sotto forma di falco, potesse volare da lei per colmare il dolore della sua anima – lirica che parla di un amore lontano (tema tipico). Filologia Romanza 92 Il secondo ha le caratteristiche della poesia “polemica”, non romantico come il primo. Si capisce che il poeta si lamenta che i giuramenti non valgono più, ci sono in giro spergiuri e (le monache sono designate come “incluse”) viene stigmatizzato l’amore tra i cavalieri laici e le monache = non c’è più religione. È un testo polemico a sfondo amoroso. Secondo M.L. Meneghetti: «se vale la datazione proposta in base allo stile della scrittura […] costituirebbero la più antica attestazione concreta dell’esistenza di una lirica volgare romanza»: ➢ Una lirica galloromanza precedente l’esperienza trobadorica inaugurata da Guglielmo IX d’Aquitania, e che ne anticipa temi e forme. ➢ Una lirica solo di poco posteriore alle più antiche harğat mozarabiche (versi finali romanzi, amorosi, delle muwaššah arabe ed ebraiche) circolanti in Al-Ándalus (Spagna arabizzata). Il primato lirico delle Liebestrophen in area romanza è stato recentemente scalzato. Vittorio Formentin ha pubblicato (2020) un verso di lirica amorosa ancora più antico (già noto a B. Bischoff, ma mai valorizzato). Lo si trova trascritto nel margine inferiore di una carta di un ms. dell’VIII sec. (contenente un testo latino: le Omeliae in libro Numerorum di Origene). Questo verso, nel margine inferiore, era già stato letto da diversi studiosi e tra questi c’era Bischoff – non si sa perché non lo abbia valorizzato: ➢ Il verso è trascritto in una scrittura di tipo documentario (= tipica dei documenti, non dei libri). Scrittura usata nei documenti. ➢ La datazione della mano che lo trascrive (chierico o notaio) si colloca tra IX e X secolo = quasi duecento anni prima delle Liebestrophen. ➢ Il verso è in un volgare italoromanzo → la più antica traccia lirica romanza è dunque italiana: Fui eo, madre, in civitate, vidi onesti iovene ca[ . . ]e[ . ]u[ . ] = “Sono stata, madre, in città, ho visto dei bei giovani” = è una ragazza che si rivolge alla propria madre. È un verso lungo → possiamo semplificare parlando di ottonario piano (otto sillabe con l’accento sulla settima) + senario sdrucciolo (sette sillabe con l’accento sulla quinta) = applicazione volgare del tetrametro trocaico catalettico latino (non doveva avere un livello infimo di cultura – aveva il ritmo di questa poesia latina): Parla una giovane ragazza → chanson de femme “canzone di donna” con topoi come parlare con la madre, lamentare la lontananza dell’amato (parla una giovane ragazza innamorata). L’incipit rinvia a un tipo lirico di diffusione popolare, qualcosa di simile si ritrova nelle harğat mozarabiche (XI sec.), e più avanti nelle cantigas de amigo galego-portoghesi (XIII sec.). non siamo davanti a una poesia colta o stilisticamente elaborata, è un tipo di poesia con una vastissima circolazione – soprattutto orale – di grande fortuna popolare. Ad esempio: Fui eu, madr’, a San Momed’, u me cuidei / que veess’ o meu amigu’, e non foi i (Johan de Cangas, Fui eu, madr’, a San Momed’, vv. 1-2) = “Sono stata, madre, a San Mamete, dove pensavo di incontrare il mio innamorato, però non era lì”. Filologia Romanza 95 LEZIONE 26 Le chansons de geste “canzoni di gesta (imprese principalmente militari)” in antico francese contano complessivamente un centinaio di testi tra XI secolo e XIV secolo. Testi divisi in cicli (→ ciclizzazione: nel XII sec. fioritura di testi a partire dalle “chansons-archetipo”; Frappier: «i figli hanno generato i padri») – fenomeno della ciclizzazione = ancora oggi è molto diffuso: 1. Il ciclo carolingio: capostipite la Chanson de Roland (terzo quarto dell’XI secolo) poema in lasse assonanzate di décasyllabes. → imprese di Carlo Magno e dei suoi paladini contro i saraceni, in difesa della cristianità (afflato religioso, similarità con le agiografie): «paien unt tort et chrestiens unt dreit». Il re e i suoi paladini sono graniticamente uniti contro i pagani. 2. Il ciclo narbonese: capostipite la Chanson de Guillaume (prima metà XII secolo) poema in lasse assonanzate di décasyllabes – regione meridionale della Francia, in Occitanica. → imprese di Guillaume d’Orange (trasfigurazione mitica di Guglielmo conte di Tolosa): affronta eroicamente i saraceni che nell’VIII secolo hanno invaso la Francia meridionale (incidenza del modello rolandiano: Guillaume e il nipote Vivien come Carlo e Roland) ma al contempo introduce il tema della crisi dei valori feudali (lealtà del vassallo al suo signore, coraggio, mutua assistenza) e del difficile rapporto con la corona di Francia = percepita come un’entità lontana. Le geste riflettono il sentire di un determinato periodo storico = in questo caso, in cui si sta creando una spaccatura con Francia e la feudalità = aumento della corona e del suo potere. 3. Il ciclo dei “vassalli ribelli”: capostipite Gormont et Isembart (inizio XII secolo) poema in lasse assonanzate di octosyllabes (= diventerà il verso caratteristico del romanzo). → il tema dello “scontro di civiltà” (pagani vs cristiani) va in secondo piano. Prende il sopravvento il tema della ribellione dei vassalli al re di Francia. Ad esempio: Isembart, in rotta con re Louis, passa a servire Gormont, re dei saraceni. Qui l’eroe è il vassallo. Queste geste finiscono sempre tragicamente. Il ciclo riflette una fase storica in cui aumenta il potere della corona la nobiltà feudale va in crisi. Sovrani altrove eroici (ad es. lo stesso Carlo Magno) qui diventano i “nemici”. 4. Ciclo delle “canzoni di crociata”: capostipite Chanson de Antioche (XII secolo) poema in lasse assonanzate di alessandrini, composto da Richard le Pèlerin (abbiamo un autore), che aveva partecipato alla prima crociata. Ambientato tra la Turchia e la Siria. → tra XII e XIII secolo fioriscono testi che celebrano in chiave epica la riconquista del Santo Sepolcro (avvenuta con la prima crociata: 1096-1099). Il tema identitario della lotta contro i pagani è svolto non più attraverso il filtro di gesta lontane nel tempo (cfr. Chanson de Roland) ma con riferimento a gesta contemporanee (le crociate) struttura classica dell’epica rolandiana (con spunti agiografici) + accenni di storiografia (favoriti dalla prossimità cronologica degli eventi). Filologia Romanza 96 LA CHANSON DE ROLAND Poema epico che narra le gestes contro i saraceni in Spagna di Carlo Magno e dei suoi 12 paladini (= dall’aggettivo latino PALATINUS = conti del Palazzo = la più alta nobilita insieme al sovrano) ; il “campione” cristiano è il conte palatino Roland, nipote di Carlo (la sua caratteristica è la dismisura in tutto). In una qualche forma, la Chanson de Roland doveva esistere già intorno al terzo quarto dell’XI secolo (circa 1070) ma il codice più antico e autorevole che la contiene è il manoscritto Oxford, Bodleian Library, Digby 23 (O) (secondo quarto del XII sec.), in antico francese nella varietà anglonormanna. Nel manoscritto Digby la chanson conta circa 4000 décasyllabes suddivisi in lasse assonanzate [lassa = strofa dal numero variabile di versi, unità metrica ma anche narrativa → ogni lassa, pure collegata narrativamente alla precedente e alla successiva, ha un suo senso compiuto]. Verso finale della Chanson de Roland nel manoscritto di Oxford: “Ci falt la geste que Turoldus declinet” = “Qui si arresta il racconto delle imprese che Turoldo racconta/trascrive/porta a termine/rimaneggia (declina)/esegue cantando”. Chi è Turoldo, il cui nome compare SOLTANTO nel manoscritto di Oxford? 1. L’autore della Chanson de Roland, nella forma in cui la leggiamo nel manoscritto di Oxford. 2. Il copista del manoscritto di Oxford. 3. Il copista dell’antigrafo (= del modello da cui è stato copiato) il manoscritto di Oxford. 4. Un giullare che ha eseguito il testo. 5. [Aurelio Roncaglia individuò un Turoldo abate di Peterborough (morto nel 1098), prelato- guerriero vicino alla corte dei sovrani normanni d’Inghilterra]. Oxford, Bodleian Library, manoscritto Digby 23. Codice factice (composto da più libri distinti che a un certo punto sono stati uniti insieme) appartenuto dal III secolo all’Abbazia di Osney, Oxfordshire, Inghilterra. Prima unità codicologica (XII secolo) = raccolta di testi latini. Seconda unità codicologica (XII secolo p.m.) = Chanson de Roland. LA VICENDA: ➢ Carlo Magno e il suo esercito sono a combattere in Spagna, contro i saraceni, da sette anni; resiste solo la città di Saragozza, sotto assedio da tempo – la Spagna, all’epoca, era sotto gli arabi. ➢ Marsilio, re dei saraceni, consapevole dell’inferiorità del proprio esercito , propone di consegnare ricchi doni ai Franchi in cambio della loro ritirata. ➢ Carlo e i dodici pari (i conti palatini) sono propensi ad accettare, tutti tranne Roland, conte palatino e nipote di Carlo, che si ribella: la guerra va portata fino in fondo, perché «paien unt tort et chrestien unt dreit» = Roland è dismisurato. ➢ Il patrigno di Roland, Gano di Mayence, che appartiene “all’ala moderata”, lo accusa di follia. ➢ Lite tra Gano e Roland: quest’ultimo propone infine che sia proprio Gano a recarsi in ambasceria presso Marsilio, a ricevere i doni, e la proposta viene accettata. ➢ Gano è terrorizzato all’idea di andare a prendere i doni da Marsilio e giura vendetta contro Roland. Filologia Romanza 97 ➢ Preso contatto con i saraceni, si accorda con loro perché venga teso un agguato all’esercito franco in ritirata, presso Roncisvalle, sui Pirenei – Roncisvalle era un passo famoso nel Medioevo poiché portava a Santiago de Compostela. ➢ A Roncisvalle i saraceni attaccano, la retroguardia franca è impreparata e accusa il colpo. ➢ Rolando, Olivieri, l’arcivescovo Turpino e gli altri prodi cavalieri cristiani combattono valorosamente contro i pagani ma alla fine Rolando è costretto a richiamare rinforzi . ➢ Rolando richiama l’avanguardia dell’esercito guidata da Carlo, suonando il suo corno (l’Olifante); lo suona con tale intensità (tipica sua è la desmesure in tutto) che gli esplodono le tempie. ➢ Ormai morente, Rolando assiste al massacro di alcuni dei suoi compagni più valorosi; cerca di distruggere la sua leggendaria spada (Durindarda) menando fendenti a una roccia, ma non ci riesce; muore da martire, su un poggio, steso sotto un pino; dal cielo scendono gli angeli per accompagnarlo in Paradiso. ➢ Carlo, udito il suono del corno, giunge in soccorso e alla fine sbaraglia i saraceni; re Marsilio muore. ➢ Ad Aquisgrana, Carlo processa Gano per alto tradimento, lo condanna a morte e lo fa squartare da quattro cavalli. I fatti hanno un fondamento storico in un episodio minore delle campagne militari di Carlo. Nel 778, di ritorno da una breve compagna militare in Spagna, la retroguardia dell’esercito franco è attaccata a Roncisvalle da gruppi armati di Wascones (Baschi), impegnati in un’azione di guerriglia. In quell’occasione trovano la morte alcuni illustri cavalieri franchi. Einhardus [Eginardo] (770 ca. – 840), allievo di Alcuino e storiografo di corte, Vita Karoli Magni (edizione critica di G. H. Pertz e G. Waitz). Segmento di questa cronaca è il seguente: Imprese in Spagna, e sconfitta inflitta dai Baschi al suo [di Carlo] esercito : Mentre combatteva, quasi senza interruzione, questa lunga guerra contro i Sassoni, aveva disposto vari presidi nei posti adatti dei confini, ed aveva attaccato la Spagna con il maggior spiegamento di forze possibile. Passò la catena dei Pirenei, ricevette la sottomissione di tutti i castelli e le piazzeforti che incontrò sul suo cammino, rientrò, alla fine, in patria, con un esercito incolume. Però, nel viaggio di ritorno, ripassando il giogo dei Pirenei, fu provato dalla perfidia dei Baschi; profittando del fatto che l’esercito, data la strettezza del passaggio, era obbligato a muoversi in lunghe file, apparecchiarono essi un’imboscata sulla cima di un monte, aiutati dalla circostanza che il luogo pareva creato per le insidie, ricco com’era di oscure selve. Si precipitarono dall’alto; gettarono nella sottostante valle gli ultimi carri e quei soldati che coprivano la retroguardia e li massacrarono, infine, fino all’ultimo. Poi saccheggiarono i carriaggi e, protetti dalla sopravveniente notte, si dispersero con ogni celerità. I Baschi si trovavano in netto vantaggio, sia perché provvisti di armi leggere, sia per la configurazione del terreno, mentre i Franchi erano loro nettamente inferiori per la pesantezza del loro armamento e le posizioni che occupavano. Caddero in questa battaglia, con molti altri, il siniscalco Eggiardo, il conte palatino Anselmo e Orlando, conte della Bretagna. E non fu nemmeno possibile vendicarli subito, perché i nemici, dopo aver perpetrato questo colpo di mano, si dispersero in modo da non lasciare alcuna traccia. L’evento storico è raccontato da Eginardo.
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