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filosofia 5 anno liceo scientifico, Sintesi del corso di Filosofia

sintesi dei filosofi: kant, shelling, fitche, hegel, feuerbach, marx, shopenhauer, kierkegaard, freud

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

Caricato il 15/05/2023

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Scarica filosofia 5 anno liceo scientifico e più Sintesi del corso in PDF di Filosofia solo su Docsity! Kant PERIODO: (1724-1804) tra illuminismo e romanticismo VITA: Kant nacque a Konisberg, capitale della Prussia Orientale, nel 1724 e qui visse fino alla morte dedicandosi allo studio e all’insegnamento. Kant era una persona molto metodica, ripeteva le stesse cose tutti giorni. Trascorreva quindi una vita tranquilla in contrasto al clima in cui ha vissuto (settecento). CORRENTI: Kant è inspirato maggiormente dal razionalismo di Cartesio e dall’empirismo o scetticismo di Hume. Dall’Illuminismo riprende la fiducia nella ragione, portandola all’estremo, criticando la ragione stessa (in quanto solo la ragione può criticare tutto, persino se stessa). FILOSOFIA: Kant non presentò mai un sistema di filosofia, la sua filosofia non ha un carattere sistematico a causa del suo continuo rielaborare e riesaminare. La sua filosofia non è coerente. La filosofia ha il compito di formare un cittadino del mondo (cosmopolitismo) consapevole dei propri diritti e dei propri doveri. FRASE: “ il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me” ( crede nel libero arbitrio) A dettare la legge del nostro agire è la ragione (non c’è una legge esterna a me a controllarmi) anche la morale deriva dalla ragione. OPERE Tre grandi opere di Kant: 1. Critica ragion pura 1781 (elabora la teoria della conoscenza) 2. Critica ragion pratica (espone la morale) 3. Critica del giudizio (tratta l’arte, il bello, il gusto e l’estetica -> si avvicina al romanticismo) SAGGIO: Che cos’è L’ILLUMINISMO? (1784) L’Illuminismo è “l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare solo a se stesso”: - Minorità: incapacità dell’uomo di servirsi della propria ragione senza la guida di un altro (INFANZIA) - Che egli deve imputare sola sé stesso: È colpa dell’uomo, si affida agli altri per pigrizia, per paura, perché non ha il coraggio di prendere decisioni da solo. Il motto dell’Illuminismo è “sapere Ande” = “Pensa con la tua testa”, abbi il coraggio di servirti del tuo intelletto, della tua intelligenza senza la guida di un altro. È comodo essere minorenni, altri pensano per me. Ma così facendo smetto di pensare. (Lo anticipò Luterò nel 1500: tutti erano capaci di leggere le sacre scritture, non serviva un sacerdote a interpretarle) “Apri e leggi” Kant però dice che non solo bisogna pensare con la propria testa, ma anche sapersi mettere nella testa degli altri, essere capaci di capire gli altri, non essere dogmatici. Devo essere sempre pronto a discutere la mia verità con gli altri. Essere disposti a divenire empatici, chiedendomi “vorrei che questa cosa fosse fatta a me?”. Gli illuministi ritengono di agire solo e unicamente sulla base della propria ragione, senza farci guidare dalle tradizioni. Secondo Kant bisognava imparare a filosofare sviluppando un atteggiamento critico sia nei confronti delle conoscenze teoretiche/tradizionali (le tipiche questioni della filosofia del tempo: es fin dove può arrivare la ragione?…) sia nell’ambito della vita quotidiana, la pratica, il nostro modo di agire. CRITICISMO KANTIANO Il criticismo è il pensiero proprio di Kant che fa della critica lo strumento per eccellenza della filosofia. Per Kant criticare significa interrogarsi sul fondamento di determinate conoscenze o esperienze al fine di chiarirne la possibilità, la validità e il limite. L’aspetto del limite per Kant è centrale. Quella di Kant è detta anche filosofia del limite perché volta a stabilire i limiti dell’uomo, cioè il carattere finito e condizionato delle nostre conoscenze/esperienze (limite che Kant individua nei fenomeni). Stabilire limiti di una conoscenza o esperienza significa garantirne la validità. IDEALISMO CRITICO Ragion “pura” = indagata nelle sue strutture a priori, a prescindere dall’esperienza. Per Kant nella nostra mente ci sono strutture da sempre, da quando nasciamo, uguali per tutti gli individui, senza le quali nessuna conoscenza è possibile: lo spazio e il tempo - Spazio: permette di collocare le cose una accanto all’altra - Tempo: permette di collocare le cose una dopo l’altra Newton: spazio e tempo sono caratteristiche relative soltanto agli oggetti. Le proprietà degli oggetti sono legate agli oggetti. Hume: spazio e tempo sono strutture mentali a priori che danno la legge, collocano gli oggetti in ordine, non sono proprietà dell’oggetto ma del soggetto, è l’oggetto che si abitua al soggetto, è l’uomo che ordina il materiale sensibile. Ciò dà il carattere particolare e contingente (possibile) delle nostre conoscenze, che non sono per questo oggettive. Kant concorda con Hume (le leggi della fisica sono fondate sul soggetto), ma per Kant proprio perché sono strutture mentali a priori, uguali per tutti e per sempre, si garantisce l’oggettività (carattere universale e necessario) del sapere. Kant elabora una nuova teoria della conoscenza che darà vita a quella che viene chiamata rivoluzione copernicana. Sostituiamo a sole e terra, oggetto e soggetto  il sole / soggetto è al centro. GERMANIA: filosofia predominanti All’epoca la Germania cercava dei principi che andavano alla base delle nostre conoscenze. Le filosofie predominanti erano: - Il razionalismo: che individua i principi della conoscenza nei principi di non contraddizione e nel principio di ragion sufficiente (filosofia Leibriziano-wolfiana derivante dal razionalismo di Cartesio) - L’empirismo di Lock e lo sperimentalismo di Newton: fondono tutte le nostre conoscenze nell’esperienza METAFISICA Kant si interessa sia di scienza e di fisica, che metafisica. La metafisica è quella parte di filosofia che si interroga su tutti i problemi della filosofia, studia i principi ultimi/primi della realtà e quindi si interroga sull’essenza delle cose. Proverà a dare un fondamento scientifico alla metafisica, che scientifica non è. La metafisica non è una scienza. I metodi sono diversi (metodo scientifico/fisico ≠ metodo metafisico) RAGIONE La ragione valuta le possibilità della ragione stessa di fare fisica, matematica ed eventualmente metafisica. Lo scopo primario è l’esame delle domande fondamentali della metafisica, che la ragione per sua natura è portata a porsi. Le nostre conoscenze non si possono spingere alle conoscenze metafisiche, ma Kant afferma che l’uomo comunque tende alla metafisica, è inevitabile per l’uomo non interrogarsi su ciò che va oltre l’esperienza nonostante non sia scienza, non siano conoscenze certe. Queste domande riguardano: l’esistenza di Dio, la libertà del volere e l’immortalità dell’anima. La ragione si chiede: “Come è possibile la fisica come scienza?” “Come possibile la matematica come scienza?” “È possibile la metafisica come scienza?” Tutte le indagini del passato per accertare una conoscenza erano state condotte secondo due prospettive 1. Dogmatismo: (dogma = verità assoluta, assioma) elabora teorie partendo da dogmi senza però criticare la ragione 2. Scetticismo: con Hume, che non possiamo stabilire nulla senza basarci sull’esperienza. HUME Hume porta l’empirismo nella sua forma scettica, si parla di empirismo scettico / scetticismo. Hume parte da Locke: la mia conoscenza per accertarla deve essere ricavata dall’esperienza. Ma Hume continua affermando che deve essere un’esperienza attuale, fatta qui ed ora. Hume critica la metafisica, dice che non è una scienza, perché va oltre l’esperienza. Ma Hume critica anche la scienza, in particolare la legge causa-effetto (base della scienza). Esempio: oggi vedo il sole sorgere, ma non posso stabilire con certezza che il sole sorgerà anche domani. Posso dire di oggi perché è un’esperienza che faccio ora, ma domani non so. È l’abitudine nella mia testa che mi fa pensare che il sole sorgerà anche domani. Per Hume per stabilire se una conoscenza è certa devo ricavarla solo e unicamente dall’esperienza attuale. Sostiene quindi che la legge causa effetto è fondata sull’abitudine (insieme di esperienze attuali) del soggetto a credere che esista una regolarità nella natura. La tesi di Hume mette in crisi il dogmatismo. Tanto che Kant affermerà “Hume mi ha svegliato dal mio sogno dogmatico”. Kant mostra però i limiti sia del dogmatismo (in quanto è fondamentale la critica della ragione, l’esame preliminare dei limiti e delle possibilità della ragione) sia dello scetticismo empirico. TEORIA DELLA CONOSCENZA KANTIANA Per Kant ogni conoscenza comincia con l’esperienza, ma non è ricavata tutta dall’esperienza: Alle sensazioni (la materia che colpisce i nostri sensi) si aggiunge sempre una forma, ossia il contributo a priori delle facoltà conoscitive umane (che deriva dal soggetto e non dall’esperienza). La forma è la LEGGE che ordina il materiale sensibile. Quindi c’è sempre una materia e una forma:  Materia (sensibile) = materiale intorno a me che colpisce i miei sensi (blu della penna)  Forma = struttura a priori nella mia mente che fa da legge cioè ordina la materia sensibile. Conoscenza = l’unità, la sintesi di materia + forma Tale indagine critica è definita trascendentale (=materia+forma). Indagine critica trascendentale (≠trascendente), qualcosa aldilà dell’esperienza ma che si applica all’esperienza. Trascendentale perché riguarda il modo con cui è possibile conoscere a priori gli oggetti (basandosi su principi universali e necessari, ossia le verità della scienza, fondati non più nell’oggetto bensì nel soggetto conoscente: i giudizi sintetici a priori). IDEALISMO corrente filosofica post-kantiana, nata in Germania nel periodo Romantico (1800) e poi diffusasi in tutta Europa. L’idealismo porta alle estreme conseguenze il criticismo Kantiano: Nell’idealismo si nega la cosa in sé e si nega la tesi Kantiana dell’inconoscibilità della cosa in sé L’idealismo oltrepassa il concetto kantiano di cosa in sé (una realtà esterna al soggetto e inconoscibile). L’essenza dell’idealismo è dire che il concetto di cosa in sé è contraddittorio. Infatti, dire che la cosa in sé è indipendente dal conoscere significa concepire la cosa in sé. Nel concetto di “cosa in sé” la cosa in sé è concepita da un lato come “cosa in sé” ma dall’altro, proprio perché essa è concepita, essa non è cosa in sé ma, appunto, qualcosa di concepito, pensato, conosciuto. Per questi filosofi se anche solo si concepisce una cosa, significa che esiste. Se una realtà esiste, deve essere per forza conoscibile (oltrepassando il concetto di cosa in se). Quindi al di là del pensiero non può esistere alcuna cosa in sé esterna e indipendente da esso. Il tentativo di stabilire dei limiti al conoscere, quindi, non può che fallire. L’idealismo inoltre afferma che la realtà che appare alla coscienza è la stessa realtà in se stessa e non una semplice realtà soggettiva e/o fenomenica. FENOMENO=NOUMENO. Supero così la dicotonomia kantiana (frattura tra fenomeno e le cose in se). Tutto ciò che è pensabile è realtà. Non esiste una realtà al di là della ragione. Il contenuto del pensiero per i filosofi idealisti coincide con l’essere (=la realtà nel suo insieme, nella sua totalità) Il pensiero/soggetto pensante è il Tutto, è tutta la realtà, (è l’Assoluto), poiché non esiste nulla al di fuori di esso. L’idealismo si oppone al realismo in quanto assume come punto di partenza il soggetto conoscente e non l’oggetto conosciuto. L’idealismo è l’ io , il soggetto. I tre principali esponenti dell’idealismo sono:  Fichte (Idealismo etico: il tema centrale e la libertà è quindi l’agire)  Schelling (Idealismo estetico: considera l’arte superiore)  Hegel (Idealismo Assoluto: pone al centro l’Assoluto). carattere tipico che richiama il romanticismo è l’attenzione nei confronti dello spirito, verso l universale SHELLING Critica a Fichte Fichte riduce tutto al soggetto, all’Io puro: non dà la giusta importanza alla NATURA (il non Io), che è visto come pura negatività, “non-Io” (privo di consistenza autonoma, essendo un prodotto dell’io). Per schelling il non Io ha una sua vita autonoma, non dipende dall’Io. L’assoluto e la natura Il primo principio non è un Io puro, ma un Assoluto che è unità indifferenziata di soggetto (Spirito, Io) e oggetto (Natura). Soggetto e oggetto (io e non-io) non sono differenti, ma identici Tale «Assoluto indifferente» si differenzia prima nella Natura (inconscia) e solo dopo assume coscienza di sé nello spirito. L’io cosciente viene alla fine, non è all’inizio del percorso (diverso da Fichte). Assoluto  natura inconscia (non Io)  io cosciente (Io puro) Se l’Assoluto è sia Spirito che Natura, può essere indagato da due punti di vista: 1. la Filosofia della Natura ha il compito di mostrare come la Natura si risolva nello Spirito (dall’oggetto al soggetto) 2. la Filosofia Trascendentale quello di mostrare come lo Spirito sia Natura ancora incosciente ma in moto verso la piena coscienza di sé (dal soggetto all’oggetto) Idealismo estetico La nostra conoscenza, come già in Fichte, non è in grado di cogliere l’Assoluto. È come se la nostra attività teoretica (conoscenza) non riuscisse a concepire un principio che è insieme due cose opposte. Per Schelling esso è invece attingibile nell’attività artistica che, infatti, riunisce l’inconscio dell’ispirazione con l’agire consapevole dell’artista. L’arte, quindi, diventa il culmine della filosofia, un’attività ancora più alta alla filosofia stessa (che invece prende in considerazione solo il momento conscio), arriva dove la filosofia non riesce ad arrivare. FICHTE Io di Kant vs Io di Fitche Io di Kant: • principio formale del conoscere, nell’Io c’è la forma, ad esso si deve la possibilità di pensare una realtà già di per sé esistente (che esiste a prescindere dal soggetto) e di dare a essa un ordine, una forma/legge. • è finito, limitato dal noumeno, dalla cosa in sé il problema del noumeno: La soluzione di Fichte consisterà nell’eliminare il concetto problematico di noumeno, facendo del soggetto la causa della forma e della materia del fenomeno. Io di Fichte: • principio formale e materiale del conoscere, cioè ad esso si deve la possibilità di pensare/ordinare una realtà che però non esiste indipendentemente dal soggetto, ma è il soggetto che lo crea. L’io di Fitche è sia formale (dà la legge) che materiale (crea la materia). • è infinito Idealismo: Con ciò si passa dal criticismo kantiano all’idealismo: da un Io limitato, a un Io puro, infinito, universale: • Non esiste un oggetto al di là della conoscenza: esso è totalmente posto dal soggetto. • La realtà è soggetto, un Io assoluto che si dà un oggetto (e non ne dipende, non è limitato da esso). L’Io coincide con tutta la realtà perché è lui che la pone. • Essere e pensiero coincidono Kant per Fitche L’obbiettivo di Fichte è rifondare la dottrina kantiana perché ritiene di aver trovato un errore: Kant conosce la verità ma non la sa fondare, non sa indicare da quali principi dedurre le sue conclusioni; Fichte trova il principio da cui ricavare l’intera filosofia ma anche l’intera vita pratica: l’Autocoscienza. Wissenschaftshehre = opera “Dottrina della scienza” = scienza della scienza, sapere del sapere. Evidenzia il principio su cui si fonda la validità di ogni sapere. Tale principio è l’autocoscienza o Io puro (= a priori). Deduzione della realtà A partire da questo Io o Autocoscenza vuole individuare l’intera vita teoretica e pratica dell’uomo. Individua 3 momenti di tale deduzione della realtà dall’Io: 1. L’Io pone se stesso Prima si pensava che il fondamento della scienza fosse il principio di identità (A = A): il punto di partenza era l’oggetto. Per Fichte se c’è un oggetto ci deve essere un soggetto che lo pone, che lo pensi. Ma l’Io non può porre nulla se prima non pone se stesso. L’Io infatti non è posto da altro (altrimenti si andrebbe in una catena all’infinito) ma si autopone.  L’Io puro non coincide con l’io empirico, individuale, che nasce solo in seguito, ma è un Io assoluto, originario. 2. L’Io pone il non Io L’io quindi si autopone. Ma Per Fichte non c’è posizione senza opposizione; il porsi implica il contrapporsi a qualcosa d’altro, entrare in relazione a qualcosa altro da me. L’io pone a sé stesso il Non io (l’oggetto, il mondo, la natura) per ESSERE LIBERO, per poter agire. L’azione morale è per Fichte il continuo superamento di un ostacolo. E il non Io rappresenta l’ostacolo. ! L’opposizione tra Io e non Io non è qualcosa che sta all’esterno all’Io: non c’è nulla al di fuori dell’Io. Ciò di cui ho coscienza è comunque interno a me (è una mia rappresentazione). Se fosse esterna al soggetto lo limiterebbe. L’io però lo percepisce come esterna, in quanto lo pone inconsciamente. (teoria dell’immaginazione produttiva) 3. L’Io oppone nell’io a un io divisibile (determinato, finito) un non io anche esso divisibile L’opposizione non è annullamento: l’uno non toglie l’altro ma lo determina, lo divide, lo rende molteplice e finito. Opposizione nel senso di rendere limitato: rendo entrambi i poli finiti, limitati, molteplici. Però l’io puro come fa a diventare finito, limitato… se è puro? Non può. Crea dentro di se una nuova opposizione: l’io puro oppone al non-io una serie di io empirici (i soggetti, finiti e molteplici). Obbiettivo è riportare all’unità del soggetto tutta la realtà. L’io infinito è per i soggetti empirici come una metà ideale, una missione, un dover essere. Quei soggetti empirici tendono all’universale (la libertà), si sforzano di raggiungerlo, ma senza raggiungerlo mai. Streben: c’è uno sforzo dei soggetti empirici verso l’io puro. L’autocoscienza pura è infatti solo un limite ideale: raggiungerla significherebbe togliere la coscienza stessa Considerazioni: Ciò che conosciamo non esiste al di fuori dell’Io. Gli oggetti però ci appaiono come esterni, in quanto prodotti di un’attività inconscia. Attività conoscitiva: Conoscere per Fitche significa capire che tutto deriva dall’Io. Attività morale: Agire significa superare l’ostacolo, vincere un’opposizione, affermare sé e realizzare la propria libertà. Libertà = continua conquista, che non si realizza mai pienamente, per la quale però vale la pena lottare. HEGEL Vita: Hegel studia filosofia e teologia all’università di Tubinga. Nel 1801 si trasferisce a Jena dove insegna all’università e collabora con Schelling. Continua il suo insegnamento universitario fino alla morte. Napoleone: Hegel visse nell’età napoleonica. Si dice che una volta Hegel vide Napoleone e affermò “Ho visto lo spirito del mondo a cavallo”, sottolineando che Napoleone è l’eroe della sua epoca, domina il suo tempo. Hegel, infatti, collocava Napoleone tra i cosiddetti individui cosmico-storico = coloro che hanno contribuito a cambiare la storia. Napoleone ha un peso universale nella storia, ha rinnovato il mondo: introduce il Codice civile, il divorzio, la proprietà privata… Ha compiuto un passo decisivo verso la libertà dello spirito. Opere: • Fenomenologia dello spirito • Scienza della logica • Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio • Lineamenti di filosofia del diritto Tema di fondo dei suoi scritti: la priorità della conciliazione, della sintesi, della totalità rispetto a ciò che è separato. Obbiettivo = ristabilire il legame tra realtà (sensibilità) e ragione. Hegel intende dimostrare che tutto ciò che esiste è esattamente come deve essere, è razionale. Hegel è anche definito il filosofo della conciliazione, della di sintesi: vuole risolvere ogni opposizione che interessano la coscienza del suo tempo: Soggetto/oggetto; Spirito/natura; Finito/infinito (Fitche); fenomeno/noumeno (Kant); individuo/Stato; uomo/mondo… Eraclito: Hegel è un grandissimo estimatore di Eraclito. Già Eraclito tentò di ricondurre i conflitti all’unità: “tutto è uno” = ogni scissione si riconduce a uno. Uno = ragione, legge razionale dell’universo, l’armonia Critiche alle altre filosofie: Kant: La prima scissione che intende superare è quella Kantiana del fenomeno/noumeno. Quella di Kant è per lui una filosofia del finito in cui la realtà non si adegua mai alla razionalità: c’è una realtà, la cosa in se, non conoscibile, che non può essere ricondotta alla ragione. Hegel riprende la distinzione tra intelletto e ragione ma ne capovolge la gerarchia: pone la ragione al primo posto . Mentre in Kant l’intelletto è al primo posto e la ragione è al secondo, in quanto si spinge oltre i fenomeni. Fichte: La seconda scissione che Hegel intende superare è quella di Fichte tra finito e infinito. In Fichte l’unità di soggetto infinito e oggetto finito è data solo come tendenza e mai come realtà. L’infinito è ridotto a meta ideale del finito che non riuscirà mai a raggiungerlo («cattiva infinità», perché non si raggiunge mai, è sempre oltre). Il finito non riuscirà mai a raggiungere l’infinito. Rimane la scissione. Shelling: Hegel riconosce in Shelling la conciliazione tra finito e infinito. Tuttavia, in Shelling l’assoluto è un’unità indifferenziata di soggetto e oggetto nella quale si perdono tutte le caratteristiche specifiche tra soggetto e oggetto, si perdono tutte le differenze. Immagine che Hegel usa per criticare Shelling: notte in cui tutte le vacche sono nere. Per Hegel unità non significa fusione. Ma è sintesi armonica, hanno le loro caratteristiche specifiche ma uno non può stare senza l’altro. Es: giorno e notte L’assoluto di Shelling è un’unità astratta e adialettica (=statica), che si dà immediatamente, e non è soggetto. In Hegel l’assoluto è soggetto dinamico, dialettico in divenire (= in movimento). Capisaldi del sistema = i principi alla base della sua filosofia • La risoluzione del finito nell’infinito La realtà per Hegel è Unità, non c’è nulla al di fuori della realtà, quindi coincide con l’assoluto, il tutto, l’infinito. Il finito è una manifestazione parziale dell’infinito. Ma al di fuori della realtà non esiste, non è più nulla. • Identità tra ragione e realtà “Cio che è razionale è reale e cio che è reale è razionale” La razionalità non è qualcosa di astratto ma la forma (la struttura, impalcatura, ossatura) della realtà. Alla base della realtà per Hegel c’è un soggetto infinito che lui chiama idea o Ragione. Quindi la realtà è una manifestazione della ragione, ha un ordine intrinseco. Si rende conto che nel corso del suo cammino sarà sempre in relazione a un altro. L’unico modo per non entrare in crisi è non considerare questo altro come qualcosa di diverso, ma riconoscerlo come qualcosa simile a me. Così la coscienza capisce che l’infinito è lei stessa. Ragione = consapevolezza della razionalità del reale, consapevolezza di essere essa stessa l’intera realtà. L’ENCICLOPEDIA DELLE SCIENZE STORICHE si articola in logica, filosofia della natura e filosofia dello spirito: LA FILOSOFIA DELLA NATURA La negazione dell’idea e la sua esteriorizzazione si ha nella natura. Il soggetto si fa oggetto. Il passaggio dall’idea alla Natura è il punto più problematico del suo pensiero. Per alcuni interpreti questo passaggio dall’idea alla natura, viene vista come “caduta” mentre per altri come “rafforzamento dell’idea” (un passaggio obbligato grazie al quale l’idea può tornare in sé arricchita). Si tratta sicuramente di un passaggio necessario, perché l’idea acquisti consapevolezza di sé. Oggettivandosi l’idea porta nella natura la razionalità, rendendo possibile lo studio della natura. Questa filosofia della natura è diversa da quella degli altri romantici, in quanto Hegel considera la natura come estremamente inferiore all’oggetto. In Hegel natura e idea non sono sullo stesso piano, ma l’idea, il soggetto è superiore. La natura è Inferiore nel senso che è negazione, l’idea nella forma di essere altro. Tuttavia, ha una funzione chiave nel sistema: è la pattumiera (=cestino) del sistema. Tutto ciò che Hegel aveva respinto nella realtà (il finito, l’irrazionale, il contingente) trovano giustificazione nella natura, per questo definita pattumiera. LA FILOSOFIA DELLO SPIRITO Spirito= sempre qualcosa di universale Terzo momento: sintesi Nel momento dello Spirito l’idea ritorna in sé (dopo essersi fatta natura) e acquista coscienza di sé. Tale acquisizione passa attraverso ulteriori tre tappe: 1. Lo spirito soggettivo è la consapevolezza che lo spirito ha di sé come singolo individuo. 2. Lo spirito oggettivo è la consapevolezza che lo spirito ha di sé come membro di una comunità. 3. Lo spirito assoluto è la consapevolezza che lo spirito ha di sé in quanto spirito cioè in quanto universale. Ciò avviene attraverso attività spirituali quali arte, religione e filosofia. LO SPIRITO SOGGETTIVO La filosofia dello spirito soggettivo si divide in Antropologia: studio dell’anima Fenomenologia: studia il cammino della coscienza per superare la contraddizione tra sé e la realtà Psicologia: studia l’uomo in quanto pensa e in quanto agisce LO SPIRITO OGGETTIVO Lo spirito oggettivo è lo spirito soggettivo che si fa oggetto, si cala nella realtà concreta, nella realtà storica. Si sviluppa dialetticamente in diritto astratto, moralità ed eticità. Il diritto ha per oggetto le leggi che regolano i rapporti esteriori tra gli individui. Esso si fonda su tre momenti: proprietà, contratto e pena: la proprietà fonda il contratto, la cui violazione implica la pena. La proprietà è l’atto con il quale un individuo definisce come proprio un bene. Perché ci sia una proprietà ci deve essere una concordanza sul possesso della cosa. Si stipula quindi un contratto. L’esistenza di un contratto implica anche l’esistenza di un torto (io posso infrangere il contratto) e di conseguenza implica la presenza della pena. La pena è la riaffermazione potenziata del diritto iniziale che è stato violato. La pena però per essere veramente efficace è necessario che venga accettata interiormente dall’ individuo che la subisce (si passa dalla sfera esteriore del diritto, alla sfera interiore della moralità, diviene una legge interiore che mi regola dall’interno). La moralità si riferisce alla legge interiore (innata) che resta però confinata nella coscienza individuale. Un azione è morale quando ha per fine il bene. Nella sfera della moralità il bene è solo un idea astratta, un dover essere. La moralità è caratterizzata dalla scissione il soggetto che vuole realizzare il bene e il bene che deve essere realizzato. Questa scissione si ricompone solo nella sfera dell’eticità. Nella sfera dell’eticità il bene diventa concreto, esistente. Il momento dell’eticità si articola ulteriormente in famiglia (tesi), società civile (antitesi) e stato (sintesi). 1. La famiglia non è né un Unione economica giuridica basata sull’interesse né una semplice società naturale basata sull’istinto (come gli animali), ma è un’istituzione volontaria dotata di valore spirituale, basata sull’amore e sulla fiducia. La famiglia si articola in tre momenti: matrimonio, patrimonio e educazione dei figli. Quando i figli crescono danno vita ad altre famiglie, ciascuna con i propri interessi. Con la crescita dei figli, la famiglia originaria è destinata a smembrarsi. Le nuove famiglie entrano in relazione tra loro e nascono nuovi rapporti basati sulla conflittualità. 2. La società civile è la vita associata in cui coesistono interessi particolari e indipendenti che si scontrano e confrontano tra loro. Si articola in tre momenti: il sistema dei bisogni (economia), l’amministrazione della giustizia e la tutela dell’ordine pubblico (polizia e corporazioni). 1. Il sistema dei bisogni è l’organizzazione razionale di tutte le attività tese al soddisfacimento dei bisogni umani all’interno della comunità. Il sistema dei bisogni nasce dal fatto che ogni individuo all’interno della comunità deve soddisfare dei bisogni, e per fare ciò deve produrre ricchezza. Quindi la società deve articolarsi in classi sociali. Per Hegel le classi sociali sono tre: la classe degli agricoltori (proprietari e lavoratori della terra), classe formale degli artigiani (formale perché danno forma al prodotto naturale) e classe dei funzionari pubblici (tutti coloro che lavorano al servizio della comunità). 2. L’amministrazione della giustizia riguarda la sfera delle leggi e del diritto pubblico. 3. Infine, la polizia e le corporazioni provvedono alla sicurezza sociale. Le corporazioni per Hegel sono la cerniera dialettica (l’unione) tra la società civile e lo stato. Perché all’interno della corporazione c’è anche sé in modo imperfetto, la sintesi tra l’interesse individuale del singolo lavoratore e l’interesse di tutti i membri della corporazione. 3. Gli interessi individuali e quelli particolari si conciliano nello stato poiché solo in esso l’individuo realizza la sua libertà. Lo stato è il momento culminante dell’eticità. È il momento della sintesi: si ha l’unione tra L’Unità originaria che si aveva nella famiglia e la conflittualità che si aveva nella società civile, che non viene soppressa ma lo stato si sforza di indirizzare quei conflitti/particolarismi verso il bene comune. È un superare conservando: non si perde niente ma vengono indirizzati verso il bene collettivo. Hegel rifiuta il modello liberale democratico dello stato per cui lo stato è solo uno strumento che serve a garantire la sicurezza e i diritti degli individui: pone al primo posto l’individuo. Hegel sostiene la priorità dello stato sull’individuo. Rifiuta anche il modello contrattualistico. Per Hegel lo stato non si fonda sugli individui ma sono gli individui che si fondano sullo stato. Hegel definisce lo stato come “l’ingresso di Dio nel mondo”. Cioè e un valore assoluto sciolto da ogni legge e principio morale che ne possa limitare l’azione. Rifiuta anche il modello giusnaturalistico secondo il quale esistono dei diritti prima della costituzione dello stato che vanno oltre lo stato e a cui lo stato deve sottostare. Per Hegel lo stato non deve sottostare a nulla. Il modello hegeliano di stato non è però uno stato dispotico ma è comunque uno stato di diritto cioè opera attraverso delle leggi. Tali leggi sono espressione della volontà libera dei cittadini, che è una volontà che vuole sempre L universale e mai il particolare. Cioè Hegel fa passare queste leggi dello stato come leggi dei cittadini affermando che i cittadini vogliono il bene universale. Il modello di stato che predilige è la monarchia costituzionale moderna in cui il potere è nelle mani di un solo uomo. Hegel ammette la guerra tra gli Stati. La diversità dei popoli implica la possibilità di contrasti reciproci: ciò è necessario. L’unico giudice al di sopra degli Stati che può evitare conflitti tra Stati è la storia, che ha come suo momento necessario inevitabile e morale la guerra. Così la guerra assume il valore di motore del cambiamento. La guerra è qualcosa di inevitabile ma anche necessaria, e assume un alto valore morale. storia La storia in Hegel è qualcosa di razionale, è il dispiegarsi dello spirito nel tempo. Cioè è il procedere dello spirito, dell’assoluto nel tempo e si realizza come libertà. Il fine della storia è quindi la realizzazione della libertà dello spirito. Il soggetto è lo spirito del mondo, l’assoluto che si manifesta nella storia. Gli individui sono quindi solo mezzi di cui lo spirito universale si serve per raggiungere il suo obbiettivo. Tra gli individui se ne distinguono alcuni, gli individui cosmico-storici (tipo Napoleone, Carlo Magno…) che incarnano dei momenti decisivi nell’avanzare dello spirito verso la libertà. LO SPIRITO ASSOLUTO Lo spirito assoluto è l’ultimo momento del cammino dello spirito, in cui lo spirito riconosce sé stesso come entità spirituale. Questo momento si realizza attraverso tre tappe: l’arte, la religione e la filosofia. Arte religione e filosofia sono identiche nel contenuto, trattano tutte l’assoluto, qualcosa di universale. Sono differenziate tra di loro dalla forma, cioè il modo in cui esse esprimono questo contenuto. L’arte esprime l’assoluto nella forma dell’immagine sensibile. La religione esprime l’assoluto nella forma della rappresentazione. La filosofia esprime l’assoluto nella forma del concetto. L’arte è la prima tappa in cui lo spirito assume coscienza di sé. L’arte esprime l’assoluto nella forma dell’immagine sensibile o intuizione sensibile. Quindi è un tipo di conoscenza che si basa sui sensi e si esprime in un’immagine. Quando l’opera d’arte è perfetta, c’è un’identità perfetta di forma e contenuto. Ma questa identità perfetta non c’è sempre. Quindi distinguiamo tre tipi di arte: 1. Arte simbolica: è l’arte dell’antico Oriente che si esprime simbolicamente. La forma allude al contenuto (es: la sfinge), non sappiamo esattamente la forma a cosa corrisponde. 2. L’arte classica è l’arte greca, dove nella figura umana si realizza la sintesi tra forma e contenuto. C’è la perfetta identità di forma e contenuto. (Es: la figura umana esprime esattamente la sintesi tra forma e contenuto). 3. L’arte romantica: l’assoluto si interiorizza. Ognuno vede nella forma un contenuto diverso (Cio che mi trasmette l’opera è soggettivo). La forma allude al contenuto, ma non sappiamo se effettivamente quella forma esprime esattamente quel contenuto da noi interiorizzato (es: figura di Dio, che si distingue in Dio Cristiano, ebraico e musulmano). Hegel afferma che con l’arte romantica assistiamo alla morte dell’arte. Bisogna quindi andare oltre l’arte. Passare al momento religione. Oggetto della religione è l’assoluto, Dio, il soggetto è la coscienza umana e lo scopo è raggiungere L’Unità tra coscienza e Dio. Il contenuto è lo stesso (Dio), ma la forma è diversa (rappresentazione). Hegel fa una vera e propria storia delle religioni, in quattro tappe: Religione naturale, Religione della libertà, Religione dell’ individualità spirituale e Religione assoluta. - Religione naturale: Dio viene rappresentato ricorrendo a elementi della natura, es: ordine, sostanza, potenza… ed è quindi privo di soggettività (religioni orientali: buddista…) - Religione della libertà: Dio è rappresentato come spirito libero ma ancora immerso nella natura, non è un Dio che assoggetta le cose del mondo ma Dio sta dentro la natura, non trascende la natura, panteismo (egiziana, persiana, siriaca). - Religione dell’individualità spirituale: Dio è rappresentato come soggetto, in sembianze umane che trascende è soggetta la natura, sta al di sopra della natura. - Religione assoluta: Dio è rappresentato come assoluto, come unità tra umano e divino (religione cristiana) Ma la religione non riesce a rendere l’assoluto per quello che è veramente (esempio del sepolcro vuoto). L’unico sbocco possibile allora è la filosofia. La filosofia esprime l’assoluto in modo adeguato nella forma del concetto. La filosofia per Hegel coincide con la storia della filosofia, è formazione storica, qualcosa che si sviluppa attraverso una serie di momenti (tappe necessarie per arrivare alla verità, cioè alla consapevolezza dell’assoluto come tale). Hegel riconosce la propria come l’ultima filosofia di questa storia, come la filosofia più ricca, più sviluppata e più concreta. La sua filosofia è proprio il momento sintetico; essa contiene tutti i principi delle filosofie precedenti, che vengono inverati nella filosofia di Hegel. Per Hegel la filosofia è “il proprio tempo appreso con il pensiero” proprio per sottolineare il legame tra filosofia e storia. La filosofia è sempre legata al contesto storico in cui viene sviluppata. DESTRA E SINISTRA HEGELIANA Nel 1831 Hegel muore. La sua scuola viene attraversata da violente contrapposizioni che porteranno alla sua scissione in due correnti: destra (vecchi hegeliani), e la sinistra (giovani hegeliani, rivoluzionari rispetto alle posizioni del maestro). La divisione è avvenuta a partire dalle seguenti questioni: • il ruolo della religione nei suoi rapporti con la filosofia • Il tema della politica: l’avvento al potere del nuovo re di Prussia Federico Guglielmo 4, fautore di una politica aggressiva. Rapporti religione / filosofia: - Per la destra hegeliana filosofia e religione sono sullo stesso piano, avendo lo stesso contenuto (assoluto): Hegel stesso sarebbe per loro un filosofo cristiano, che traspose le verità religiose dalla forma rappresentativa alla forma del concetto. - La sinistra hegeliana invece insiste sulla diversità di forma tra religione e filosofia, dunque sulla superiorità della seconda rispetto alla prima (perché la filosofia, come insegna Hegel, esprime l’assoluto in una forma più alta). La vera conoscenza è perciò quella filosofica, razionale; la religione è puro muto, qualcosa da abbandonare e da superare nella filosofia. La verità è che in Hegel convivono entrambi gli aspetti. Tema politico La scissione avviene sulla base della diversa interpretazione che fu data nella scuola della celebre frase hegeliana “tutto ciò che è reale è razionale, tutto ciò che è razionale è reale”. - Per i filosofi di destra la frase di Hegel va letta come una giustificazione della realtà esistente. Hegel è un conservatore, la realtà è razionale ed è così che deve essere. Quindi Hegel difenderebbe la monarchia prussiana di Federico 4. - Per i filosofi di sinistra quella frase va letta come una critica all’esistenza: ciò che attualmente esiste “deve diventare” razionale. Hegel è un rivoluzionario, tende a una realtà autenticamente razionale. Quindi: Gli hegeliani di destra sono conservatori in politica e cristiana tradizionalisti in religione. Gli hegeliani di sinistra sono rivoluzionari in politica e atei in religione. Alienazione È uno stato di scissione, di dipendenza, di estraniazione dell’operaio rispetto a una serie di cose. L’alienazione nasce dal modo di produzione del sistema capitalistico: c’è una sola persona che guadagna dal lavoro di tanti operai. Tale modo di produzione si basa sullo sfruttamento degli operai da parte dei capitalisti che detengono la proprietà privata dei mezzi di produzione. L'operaio, quanto più produce merce quindi ricchezza, tanto più si impoverisce e, di conseguenza tanto meno ha da consumare. Infatti, l'unica merce di cui l’operaio dispone, ossia sé stesso e la propria capacità lavorativa, secondo Marx diventa sempre più a buon mercato, cosicché egli si trova costretto a cedere la propria forza-lavoro a un prezzo sempre più basso. Da qui deriva l'abbassamento dei salari al minimo della sussistenza. Le merci prodotte assumono maggiore valore degli uomini che le producono. L’operaio si trova a svolgere un lavoro forzato, non libero né creativo. L’operaio è alienato rispetto al prodotto del suo lavoro e dal suo stesso lavoro, in quanto è solo un mezzo per realizzare un fine esterno a lui, lui lavora per il profitto di un capitalista. Il prodotto è sottratto all'operaio, appartiene a un altro, al capitalista che ne ha acquistato la forza lavoro: l'oggetto fabbricato non è più il mezzo per l'appagamento di un bisogno, come avveniva nel sistema precapitalistico, ma è piuttosto per il lavoratore come una potenza estranea che determina la ricchezza del capitalista e non la propria. Quindi il lavoro dell'operaio assume un carattere forzato, si configura come sacrificio e non come esplicazione delle facoltà umane nel loro rapporto con la natura. Questo rapporto che l’operaio ha con il capitalista si ripercuote nell’umanità in generale. L'operaio diventa funzione di un sistema produttivo in cui esegue un'attività semplificata, ripetitiva e meccanica. Privato della principale forma di realizzazione di sé stesso, l'uomo alienato si sente libero soltanto fuori dal lavoro, ossia a casa, nell'esplicazione delle sue funzioni animali, cui ormai è ridotto: la disumanizzazione dell'operaio significa la sua riduzione a un livello di vita puramente animale Marx pensa che questa alienazione economica sia alla base di ogni altro tipo di alienazione compresa quella religiosa di Feuerbach. La disalienazione avviene col superamento della proprietà privata e l’avvento del comunismo. Critica a Feuerbach Marx riconosce a Feuerbach che egli sottolinea la naturalità dell’uomo, del suo essere non solo puro pensiero ma natura, è un individuo in carne d ossa, che ha dei bisogni e delle sensibilità. Ma egli non ha messo troppo l’accento sulla storicità dell’uomo, in grado di agire nella storia per trasformare la realtà. Inoltre, Feuerbach non ha colto le cause reali del fenomeno religioso (che per Marx ha una base sociale) e i mezzi necessari al suo superamento. Teoria della religione come “oppio dei popoli” come allucinogeno, per consolare le masse dalle ingiustizie della società. Per Feuerbach la disalienazione consiste in un mutamento di coscienza. In Marx la causa non è l’uomo ma la società; quindi, l’unico modo per eliminare l’alienazione è distruggere le strutture sociali che l’hanno prodotta. L’alienazione economica è la base di tutte le alienazioni. La critica alla religione diventa critica alla società in generale. Infine, Marx critica a Feuerbach anche l’eccessivo teoreticismo di Feuerbach. Feuerbach ha sempre cercato la soluzione ai problemi reali nelle teorie, nella coscienza, trascurando l’elemento della prassi, dell’azione finalizzata alla trasformazione della società. IL MATERIALISMO Storia La storia per Marx è un processo materiale alla cui base c’è il lavoro. Marx intende il lavoro in senso materiale e storicamente determinato: proprio attraverso il lavoro l’uomo diviene tale. La storia inizia quando gli uomini iniziano a lavorare, cioè a produrre i mezzi che servono a soddisfare i loro bisogni vitali. Li l’uomo si emancipa da una animalità primitiva e inizia a distinguersi dagli altri esseri viventi. Già Bruno affermò che gli esseri viventi sono tutti uguali, a distinguere l’uomo è l’uso della mano. La storia è uno sviluppo. Marx vuole cogliere il movimento reale della storia, al di là delle ideologie ovvero tutte quelle visioni illusorie della realtà che tendono a giustificare le condizioni esistenti. Le forze che mettono in moto la storia non sono più forze ideali (religione, arte, ideologie, filosofia…) ma sono forze materiali (economia). Critica sinistra hegeliana Critica i filosofi della sinistra hegeliana: li chiama ideologi. Il loro errore consiste nel ritenere che l’emancipazione umana è basata sul piano delle idee, attraverso la sostituzione delle idee false con idee vere, ma ci troviamo sempre sul piano ideologico. Per Marx la vera alienazione non risiede nelle idee ma nelle strutture sociali concrete, e quindi la vera disalienazione non è più un problema filosofico/teorico ma pratico, sociale. Periodi storici Visto che l’economia fa andare avanti la storia, è l’economia che determina uno specifico periodo storico. Ogni periodo storico è caratterizzato dall’insieme di forze produttive + rapporti di produzione = modo di produzione che caratterizza ogni periodo storico.  Le forze produttive sono le forze necessarie per produrre: uomini, conoscenze, macchinari.  Rapporti di produzione sono i rapporti che si istaurano tra gli uomini nel mondo del lavoro e che regolano il possesso e l’impiego dei mezzi di produzione. Struttura L’insieme di forze produttive e rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società. La struttura (l’economia, il modo di produzione di un’epoca storica) è la base, l’impalcatura della società. Da questa base dipende tutto il resto: la sovrastruttura (la religione, l’arte, il diritto, l’etica, la politica, la filosofia). IL MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA È un testo diviso in tre parti: 1. Analisi della funzione storica della borghesia 2. Concezione della storia come lotta di classe 3. Critica ai socialismi non scientifici Storia come lotta di classe Nella seconda parte Marx elabora la sua visione della storia come lotta di classe: Le forze produttive tendono a evolversi velocemente, grazie anche al progresso tecnico scientifico, mentre i rapporti di proprietà rimangono sempre gli stessi (classe dominante e classe dominata). Le forze produttive e i rapporti di produzione sono personificati da classi sociali:  le forze produttive sono rappresentate da una classe in ascesa, la classe dominata, dei lavoratori sfruttati, il proletariato.  i rapporti di produzione sono incarnati da una classe al tramonto (una classe che prima o poi scomparirà) che è la classe dominante, la borghesia capitalistica. La storia si configura come dialettica (opposizione) continua tra l’emergere di nuove forze produttive e i vecchi rapporti di produzione. Tale scontro si concretizza nello scontro dialettico (tra opposti) tra classe dominante (che incarna i vecchi rapporti di produzione) e classe dominata (che incarna le nuove forze produttive). La storia è dunque storia della lotta tra classi sociali. Non c’è sintesi: non c’è una classe che ricompone borghesia e proletariato. Funzione storica della borghesia Nella prima parte del manifesto Marx afferma che sono i capitalisti stessi a creare l’ascesa e l’emergere del proletariato. Il capitalismo secondo Marx contiene in sé stesso la contraddizione che li porterà alla caduta. La borghesia ha un ruolo all’interno della storia in quanto classe dinamica perché investe, crea quel maccanismo per cui le forza produttive progredissero. METAFORA: La borghesia è come lo stregone che non riesce più a dominare le potenze infernali da lui stesso evocate. La borghesia ha fatto sì che il proletariato emergesse e si rivoltasse contro quelle strutture sociali capitalistiche. Quindi le nuove forze produttive si rivoltano inevitabilmente contro i vecchi rapporti di produzione. Il capitalismo va quindi incontro a un progressivo declino che prepara l’avvento del comunismo. Critica al socialismo reazionario Nella terza parte Marx critica il socialismo reazionario (conservatore, borghese). Il socialismo reazionario è un tipo di socialismo che attacca la borghesia e il sistema capitalistico ma guardando comunque al passato e non proponendo un’azione rivoluzionaria volta al futuro. Questi socialisti non riconoscono al proletariato una funzione rivoluzionaria autonoma (non credono in loro) ma fanno appello a tutti i membri della società per una pacifica azione di riforme. Marx invece contrappone a questi socialismi il suo socialismo scientifico, cioè quello che individua nel proletariato l’unica forza rivoluzionaria in grado di abbattere il sistema borghese. Questo rovesciamento rivoluzionario attuato dal proletariato aprirà all’uomo una nuova epoca storica. Quella del proletariato non è una lotta di classe, cioè una lotta per l’affermazione di un nuovo dominio, ma è una rivoluzione che ha l’obbiettivo di abolire la proprietà privata, abolire tutte le classi sociali e collettivizzazione dei mezzi di produzione. Il passaggio non è immediato: non è che dopo la rivoluzione del proletariato abbiamo l’avvento della società comunista. Dopo la rivoluzione abbiamo una fase di transizione che lui chiama “dittatura del proletariato” ossia un periodo breve durante il quale il proletariato si eleva a classe dominante mirando a cancellare tutte le istituzioni e i residui burocratici della vecchia società capitalistica (abolisce la proprietà terriera, il diritto di eredità della terra, provvede alla nazionalizzazione delle banche e dei mezzi di trasporto, e all’educazione pubblica e gratuita…). Infine, si arriverà al comunismo pienamente realizzato, una società in cui ciascuno sarà secondo le sue capacità e avrà secondo i suoi bisogni, una società egualitaria. IL CAPITALE Testo che Marx scrive nel 1867, sintesi di tutta la teoria Marxista. Sottotitolo: “Critica dell’economia politica”. Critica l’economia classica tedesca Modo di produzione capitalistico Nella prima parte di questo testo Marx sostiene che la caratteristica tipica del modo di produzione capitalistico è di essere una produzione generalizzata di merci. Ecco perché nel primo libro del Capitale Marx si dedica all’analisi del fenomeno Merce. Merce Ogni merce è caratterizzata da: un valore d’uso e un valore di scambio. Valore d’uso: quella merce deve soddisfare un bisogno (es: mela -> soddisfa il mio bisogno di fame) Valore di scambio: consente alla merce di essere scambiata con altre merci. Il valore di scambio dipende dalla quantità di lavoro necessaria a produrre quella merce. Alla base del fenomeno merce C È IL LAVORO. Così Marx critica quel fenomeno denominato “FETICISMO DELLE MERCI”. Feticismo delle merci = concezione per cui quella merce ha un valore in sé a prescindere dal lavoro umano che lo lavora. Cioè metto al primo posto l’oggetto e poi il soggetto. = consiste nel considerare gli oggetti come entità che hanno valore intrinseco, in sé, e dunque a considerarle autonome rispetto a chi le ha prodotte, dimenticando che le merci sono frutto del lavoro umano. Questo feticismo delle merci è tipico del capitalismo, in cui il prodotto, la merce, domina l’uomo. E i rapporti sociali sono in realtà rapporti tra cose (che considera autonome rispetto agli uomini). La produzione di queste merci non è finalizzata al consumo, ma è finalizzata all’accumulazione di denaro, di ricchezza. Economia tradizionale Bisogna partire dal presupposto che l’economia tradizionale funzionava in questo modo: M. D. M. (Merce denaro merce: produco una merce che scambio con denaro e uso il denaro per comprare nuova merce). L’obbiettivo è il consumo. Economia capitalistica L’economia capitalistica non è finalizzata al consumo (la merce) ma è finalizzata all’accumulazione di denaro: D. M. D’. Alla fine, si produce un + di denaro che andrà a finire nelle mani del capitalista. La merce qui è la forza lavoro degli operai, che è comunque una merce che è in grado di produrre più valore di quello che costa al capitalista. Questa merce è acquistata dal capitalista e pagata col salario (D. primo), la quota che il capitalista dà all’operaio in cambio della sua forza lavoro che equivale al minimo di denaro che serve all’operaio per soddisfare i suoi bisogni primari. L’operaio produrrà una merce che varrà di più dei soldi che gli ha dato il capitalista. Questo denaro più si chiama PLUS VALORE (valore di più). Il plus valore (‘) viene fuori dal plus lavoro dell’operaio. Cioè l’operaio è pagato meno di quanto effettivamente lavora: il salario che gli è dovuto per la quantità di tempo che lavora è molto maggiore rispetto a quanto effettivamente il Altro dolore per l'uomo viene dalla ferocia che gli uomini hanno tra di loro: essi vivono insieme non per natura ma per bisogno e sono pronti alla sopraffazione. L’uomo è un essere egoista che trae soddisfazione da ogni danno agli altri ed è infastidito dal minimo vantaggio del prossimo. Guardando alla storia si ha la conferma della sua teoria: la storia del mondo è storia di guerre e sopraffazioni, in essa non c'è nessun reale avvenimento ma solo un ripetersi di drammi e non vi è razionalità nella storia (come pretende Hegel) ma vi è solo cieco caso. L'amore anche è un inganno della volontà, il suo fine infatti non è l'individuo ma la procreazione così che la volontà riesca a conservarsi. Proprio per questo l'amore non-procreativo viene concepito come peccato, perché interrompe la catena. La via d'uscita è staccarsi dai bisogni e dai desideri. La prima maniera a cui si pensa è il suicidio, per scappare da questa vita: è comunque un volere, è una riaffermazione della volontà, ma con il suicidio elimino solo il mio problema e non quello della società. Ergo non si può distruggere la volontà tramite il suicidio. La volontà si può però acquietare nel singolo individuo, attraverso un cammino: l'arte, la morale, l'ascesi. 1. ARTE: contemplazione disinteressata delle idee 2. MORALE: riassunto delle virtù della giustizia e della carità 3. ASCESI: eliminazione della volontà individuale. Arte: Nell’arte l’individuo si stacca dai desideri e dai bisogni, non guarda più le cose per la loro qualità, ossia in rapporto alla sua volontà. Non si contempla l’oggetto, ma l’idea dell’oggetto per cui non si avverte volontà. Nell’ opera d’arte non si contempla l’oggetto, bensì la sua copia, la sua idea. Nell’arte si contemplano le idee. La volontà si placa davanti a un’opera d’arte ma appena si staccano gli occhi dall’opera la volontà riemerge. (L'arte provoca sofferenza). Schopenhauer riprende Platone, ammettendo l’esistenza di forme determinate e immutabili, modelli delle cose mutevoli, che costituiscono la prima oggettivazione della volontà. Morale: La vera liberazione dalla volontà inizia con la morale: in questa tappa non ci si estranea dalla realtà, ci si impegna nel mondo a favore del prossimo, un tentativo di superare l'egoismo provando la strada dell'altruismo e porre fine alla lotta tra gli individui. La morale si concretizza in due virtù: 1. la giustizia, comprendere che gli altri sono uguali a sé stessi e ciò che ci rende uguali è che abbiamo la stessa essenza, tutti soffriamo, anche se rimaniamo distinsi e contrapposti. La giustizia però ha un carattere negativo, mi vieta di fare qualcosa, non dice cosa fare per infondere bene, è un divieto. 2. la bontà (agape), è un amore verso gli altri esseri, dato che nella giustizia si è capito di essere uguali. Nell'agape si supera la volontà individuale, con la compassione (essere talmente legato agli altri tanto da soffrire insieme a loro): questo è un rinforzarsi della volontà. L’ascesi: Per superare questo dolore occorre liberarsi dell'egoismo e della volontà di vivere, dall’istinto di autoconservazione, mediante l'ascesi. In questa tappa si prova orrore, disgusto per il mondo. Il dolore agisce sull’uomo come un QUIETIVO che estingue i desideri portando all’estinzione della volontà. Il dolore provoca disgusto. L’orrore del mondo provoca un indebolimento della volontà portandola all’estinzione. Per ascendere si devono seguire dei passaggi: 1. La castità: che libera dall’impulso della generazione, principale mezzo di propagazione della volontà 2. La rinuncia ai piaceri come l’umiltà, la povertà, l’automacerazione… (ascetismo religioso) La volontà diventa noluntas, è lo stato di grazia, l'estasi dei mistici (in ambito religioso corrisponde con l'Unione con Dio). In Schopenhauer corrisponde con il nirvana (del buddhismo) esperienza del nulla, che però è un TUTTO rispetto al mondo insensato. Per oltrepassare il velo di Maya c’è un PASSAGGIO SEGRETO Kierkegaard La filosofia di Kierkegaard ruota attorno la libertà di scelta. Avrà una vita molto tormentata e ciò influenza molto la sua filosofia. Egli nei suoi scritti usava l'ironia socratica, dissimulazione, fingendo di essere d'accordo per poi fare dubitare e smontando le tesi. Kierkegaard critica fortemente il sistema hegeliano, rivalutando il singolo (infatti in Hegel il singolo si perde nell'assoluto che è posto al primo posto), ponendo l'accento sulla sua insostituibilità e irripetibilità. Il singolo non può essere ridotto a un mezzo dell'assoluto (astuzia della ragione Hegel). L'individuo e la sua esistenza diventano il perno della sua filosofia e in un certo senso anticipa l'esistenzialismo. Inoltre per Hegel la filosofia deve solo contemplare la realtà, in Kierkegaard la filosofia ha un ruolo costruttivo, deve dare indicazioni al singolo individuo su come vivere aiutandolo a fare delle scelte. L'esistenza del singolo per Kierkegaard non è qualcosa che può essere dedotta dal pensiero. Il pensiero nella sua pretesa di comprendere razionalmente l'esistenza la fraintende, poiché l'esistenza è irrazionale, irriducibile al pensiero (diverso da Hegel in cui l'esistenza viene dedotta dal pensiero). Per Kierkegaard l'esistenza è movimento, contraddizione, discontinuità: le nostre scelte sfuggono da ogni logica razionale. E-sistenza il prefisso indica l'apertura a infinte possibilità, la scelta di una possibilità preclude tutte le altre. Dato che si può scegliere solo una, ogni scelta è guidata dalla responsabilità dell'individuo. Dalle infinite possibilità emergono due stati d'animo: Angoscia: insicurezza derivata dagli esiti ignoti di quella scelta (si distingue dalla paura, la paura ha un oggetto). Disperazione: deriva dal rapporto dell'io con sé stesso, nasce dal rendersi conto di non essere un essere finito, di essere manchevole e insaziabile (malattia mortale). L'esistenza si articola in diversi stati, l'uomo può scegliere tra tre stati di esistenza: Stadio estetico: è incentrata sui piaceri mondani, la vita di chi vive nel godimento dell'attimo (vita di chi sceglie di non scegliere, non si assume la responsabilità, una scelta irresponsabile lascia aperto tutte le possibilità, ma facendo così si disperderà nelle molteplici opzioni). Colui che intraprendere questa vita è il seduttore. Nell'opera di Kierkegaard ci sono due figure di seduttori, il Don Giovanni e Johannes (si trova nel diario del seduttore).  Il Don Giovanni è un seduttore quantitativo, vuole conquistare il maggior numero di donne possibili e le conquista guardandole con desiderio (l'espressione massima di questa seduzione è la musica).  Invece Johannes è qualitativo, gli interessa sedurre la più difficile da conquistare e la seduce con le parole (l'espressione massima di questa seduzione è la poesia). Il primo stato d'animo che subentra prima della disperazione è la NOIA dato che la sua vita è ripetitiva. Il seduttore guardandosi dentro si scopre finito, limitato, non si riconosce più. Essendo questa vita mancante di serietà, concretezza, stabilità, si passa alla vita etica, dove si concretizzano queste cose. Stadio etico: l'uomo etico è capace di fare una scelta precisa e responsabile, si basa sulla stabilità e il rispetto dei valori. Il simbolo di questa vita è il giudice Guglielmo. Egli incarna il tipico borghese incentrato sulla famiglia, matrimonio e lavoro. È colui che sceglie di mantenere sempre i propri impegni pubblici e privati, scegliendo ciò che è moralmente giusto. I rischi di questa vita solo L'ABITUDINE, quieto vivere (banalità del vivere). Il sentimento che assale chi vive questa vita è il senso di colpa. Si sente in colpa per la sua distanza da Dio, (perché si rende conto che segue un codice di leggi dettato dall'uomo dalla razionalità, una morale formalistica, individualista, l'uomo risponde a questa legge dettata dalla sua stessa ragione. Questo modello non è adeguato rispetto a Dio) e poiché è predisposto al male. Il senso di colpa porta l'uomo alla coscienza del peccato e del pentimento e porta l'uomo alla necessità di migliorarsi e fare un salto nella fede (non c'è un passaggio) La fede è paradosso e assurdo:  paradossale perché è in contrasto con la morale umana individualista (esempio di Abramo che è disposto a uccidere suo figlio).  assurda perché va al di là della morale e della logica (Abramo non riesce a spiegare alla moglie perché ha compiuto quel gesto). Ciò è una contraddizione insolubile, difronte alla quale l'uomo deve credere perché assurdo. (credere Tertulliano) E questa accettazione del paradosso dà la possibilità di fare il salto nello stadio religioso, unica via d'uscita dalla vita etica. Stadio religioso: qui non valgono più le leggi della morale umana ma prevale la dimensione universale. Esempio per eccellenza di questa vita è Abramo che è solo di fronte a Dio che si dà in tutta la sua assurdità. Con Dio è un rapporto unilaterale. Abramo sceglie la sofferenza difronte a Dio e lo stato d'animo che lo assale è l'angoscia poiché Abramo è posto dinanzi alla piena libertà di scelta (peccare o non peccare) senza saperne le conseguenze, scelte dagli esiti ignoti che gli provocano un senso di smarrimento. E l'unica via d'uscita dall'angoscia è accettare il paradosso della fede e abbandonarsi a Dio. Tra uno stadio e altro non c'è evoluzione dialettica, perché non c'è sintesi e neanche il superare conservando (aufhebung) sono stadi a sé. Il passaggio dall’uno all altro è dettato dalla possibilità della scelta (e non dalla necessita di sviluppo della ragione come in Hegel: questi tre stadi non ricordano la dialettica di Hegel)
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