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FILOSOFIA DELLA PRASSI UMANA, Appunti di Filosofia

Appunti 1° anno di Scienze dell'Educazione e Formazione

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 14/12/2018

martinalucarelli
martinalucarelli 🇮🇹

4.3

(3)

2 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica FILOSOFIA DELLA PRASSI UMANA e più Appunti in PDF di Filosofia solo su Docsity! FILOSOFIA DELLA PRASSI UMANA PSW filosofiadellaprassi Hannah Arendt, Vita e Opere fondamentali La sua vita è costellata da accadimenti molto significativi che hanno turbato la sua esistenza ma che l’hanno resa più forte e più decisa. La sua filosofia è un tutt’uno con la sua biografia. LA VITA Hannah Arendt era un ebrea tedesca naturalizzata statunitense, questo significa che ha ottenuto la cittadinanza americana; era definita come una teorica, storica politica, ma per noi è una “filosofa”. È una pensatrice di fama molto tarda, a lungo dimenticata. Si addottora molto giovane e si avvia subito nel mondo scolastico, ma è perseguitata da un disinteresse nei confronti suoi e della sua opera filosofica, viene dimenticata completamente sia in Europa, sia in Germania, sia negli Stati Uniti dagli stessi americani che la scopriranno molto tardi.   Oggi Hannah Arendt è una vera e propria icona della filosofia. Lei non amava definirsi filosofa perché non amava le categorizzazioni in quanto pensava che potevano fraintenderla o equivocarla, ma in realtà c’è una motivazione più forte: lei non amava definirsi filosofa perché rifiutava i professionismi in filosofia, secondo lei la filosofia non doveva essere una professione, non poteva essere un lavoro, appunto perché non le piacevano le categorizzazioni dato il suo paese di appartenenza. Amava definirsi invece come una politica, una teorica storica, si definiva fenomenologa.  Ottobre 1964: intervista importante che lei concesse alla tv della Repubblica Tedesca, in uno dei primi periodi in cui lei torna in Germania, e dove ebbe modo di conoscere Gunther Gauss un giornalista che poi diventerà un personaggio di spicco nella politica tedesca al quale Arendt confessò che lei si era congedata dalla filosofia una volta per tutte. Per noi Hannah Arendt é la Filosofa, lei come pensatrice ci aiuta a pensare liberamente, ancora oggi, ci aiuta a pensare, tramite le sue opere estreme moderne. Hannah Arendt aveva visto molti pensatori di professioni che l’avevano scossa perché non avevano difeso l’essere umano durante il periodo del stalinismo e del fascismo. Non amava pensarsi come un intellettuale, aveva visto troppi intellettuali allinearsi durante questo periodo fascista e quindi ciò per lei era stato un shock. Aveva capito che era necessario abbandonare la Germania e fugge, andò egli Stati Uniti dove rimase a lungo e dove lavorò come insegnante delle superiori, come giornalista e dove rimane apolide (senza città, senza residenza, risulta senza identità) fino al 1951 e rimane senza identità per diversi decenni. La sua vita e il suo esilio furono anni molto difficili, anni che l’hanno segnata con particolare attenzione. Era ebrea e in quanto tale era ritenuta “diversa”, la sua ebraicità se lo porta dietro dai tempi del nazismo.   Apparteneva ad una ricca famiglia borghese che sembrava privilegiata e invece è investita dalla storia e finisce nella grande macelleria. Riesce a conservarsi come pensiero libero, infatti era una pensatrice, libera dai condizionamenti teorici e per ciò non si colloca politicamente, era uno spirito libero. Nelle sue opere un tema che ritorna molto è il tema della libertà, in lei c’è sempre un ricordo di “tempi bui”e per questo motivo per lei essere liberi significa pensare senza pregiudizi, senza barriere, senza baluardi. Secondo Arendt è importante la responsabilità di pensare, infatti noi agiamo di conseguenza ai nostri pensieri: per Arendt pensare è un atto di responsabilità. Il suo modo di pensare deriva dal fatto che lei è ebrea, quindi diverso è il modo di pensar, questo la pone fuori dalle condizioni di normalità, ha una ricchezza in più. Nell’intervista concessa a Gunther Gauss e alla tribù tedesca, il giornalista a propositivo dell’ebraicità di Hannah Arendt, la stimola dicendole che anche se era ebrea doveva essere fiera di ciò che era.  (Da bambina mi sentivo di essere diversa, non inferiore, ma io sono nata così e non potevo farci nulla, non potevo rifiutare l’ebraismo). Consapevole della sua ebraicità, ne era molto degna, molto consapevole, molto orgogliosa e forte che questo l’ha fatta sempre sentire un po’ in disparte però ciò diventa un tema filosofico nei suoi scritti, come l’infanzia ma anche la dignità e il bisogno di sentirsi protetti (casa). Un’intellettuale ebrea che la sua appartenenza a questo popolo così straordinario fu per lei decisiva pur subendo le persecuzioni naziste. di 1 20 Questa sua ebraicità emerge anche dai modelli educativi che le furono imposti, che furono altrettanto decisivi per lei. Arendt viene educata secondo la BILDUNG, un modello educativo tedesco a cui avevano accesso di solito i figli maschi, quindi era una cosa strana che lei che era femmina, in quegli anni questi modello di educazione era interessante come lo era Arendt che era stata educata come un maschio. Ciò ci spiega che la filosofia del 900 era una filosofia prevalentemente maschile. Bildung è un termine che ha molte accezioni: per noi è difficile tradurlo in italiano, si può tradurre con formazione. In realtà rimanda ad una formazione spirituale e quindi è un’educazione interiore, un’educazione permanente ed era per gli antichi greci la pre-condizione fondamentale per poi poter diventare cittadini attivi della polis, quindi partecipare alla vita democratica della polis. In Germania sul finire dell 800, grazie ad un filosofo, diventerà un modello educativo molto diffuso. L’obiettivo della Bildung: era quello di costruire l’uomo ideale ovvero libero ma che fosse libero interiormente cioè capace di tenere la sensibilità artistica e la ragione. In Germania si era convinti che l’educazione fosse fondamentale perché l’uomo va umanizzato. Il bambino va umanizzato, l’essere umano può essere formato. La Bildung non era un apprendimento, non aveva a che fare con la cultura, secondo questo modello educativo l’uomo deve educarsi da se stesso.   A partire dagli anni ’60 Hannah Arendt scrisse dei saggi sull’educazione in cui sente la crisi dell’educazione, la sente come una sorte di emergenza politica che ci interpella e ci sollecita tutti con delle domande: Perché siamo stati messi al mondo? Qual è il nostro compito all’interno della società? Quali sono le mie responsabilità difronte agli altri? Ciò diventa un problema politico. Si insiste molto sulla figura dell’insegnante, il quale deve per primo assumersi delle responsabilità.  Hannah Arendt nasce il 14 Ottobre del 1906 ad Hannover, in un sobborgo di questa città; apparteneva ad una ricca famiglia borghese, il padre era ingegnere, aveva una formazione scientifica, la madre Marta era una scultrice la quale ha avuto un ruolo importante nella formazione di Arendt. La madre di Arendt apparteneva ad una ricca famiglia di commercianti e viveva in una città particolare. Hannah Arendt molto orgogliosa di abitare in questa città, una città di buona borghesia baltica. I suoi due genitori erano persone che viaggiavano molto, pieni di idee sociali democratiche, non erano vicini al sionismo, movimento politico che si afferma in tutta Europa alla fine del XIX secolo tra gli ebrei residenti in Europa che si fanno attivi politicamente, avevano un sogno che nascesse Israele. I suoi genitori erano due progressisti, Arendt respirò questo clima familiare così aperto, fu anche una bambina molto precoce, in alcuni diari annota tutti i progressi della bambina e fu quindi precocissima negli studi anche perché il padre molto colto, disponeva di una biblioteca con libri e da bambina Arendt quindi potè accedere a questa biblioteca e iniziò a leggere tutto coltivando i suoi talenti non sono filosofici. La famiglia si trasferì e qui Hannah Arendt consegue il suo diploma. Studentessa eccezionale e precoce, poliglotta, ottiene il nullaosta dal suo liceo di partecipare per frequentare alcuni corsi universitari. La sua scuola le consente di iscriversi presso le prestigiose università tedesche, sceglie di seguire due semestri di insegnamento di greco e latino e scelse successivamente anche teologia Cristiana tenuti da un teologo Romano Guardini, che su di lei ebbe un influenza, un intellettuale che faceva innamorare i suoi studenti, lui spaziava dall’arte alla letteratura. Per Arendt Guardini fu decisivo e diede la sua impronta, non una filosofia che lavora solo su materiali filosofici rigorosi, lei adorava anche la letteratura infatti si avvicinò anche a poeti ed intellettuali. Guardini fu decisivo per Arendt perché capace di far amare ad Arendt due intellettuali ossia Agostino a cui dedicherà la sua tesi di laurea. Agostino, il santo, il padre della chiesa, fu una presenza costante nella sua vita, lei lo ama molto perché a suo parere l’antropologia natale, il Natality, viene fondata da Agostino e tenta anche di mettersi sulle tracce di quella antica primitiva antropologia. Agostino va a distinguere gli uomini, che mettono al mondo bambini, dio crea, crea l’uomo ma non bisogna confondere. Secondo Arendt Agostino è l’autore che meglio sa parlare della condizione umana. Le piaceva la concezione del male, lei è una filosofa del male, per Agostino era causa deficiente, il male radicava laddove c’era assenza o riduzione di bene, male era ignoranza. Hannah Arendt procede gli studi, si scrive e fa un tour intellettuale tra le maggiori università tedesche. Si iscrive all’Università di Marburg, in quegli anni si stava imponendo una personalità filosofica nuova del 900 (Edmund Husserls) ma anche quella del suo giovane allievo che era Martin Heidegger, a quei tempi era un giovane molto carismatico e amato dagli studenti ma nazista. di 2 20 2. “Vita Activa”: edizione 1958 è un anno magnifico per lei, che mette a segno il suo nuovo capolavoro, la condizione umana, un’opera straordinaria che in filosofia è definita l’opera antropologica di Hannah Arendt perché riflette sul chi dell’uomo, il tema centrale che fa da perno in quest’opera è cosa l’uomo fa, nelle prime pagine Arendt chiarisce questa cosa spiegando che si rifletterà su ciò che noi facciamo, sulle nostre intenzioni e da qui l’elaborazione di quel famoso capitolo quinto. Le azioni che ci fanno restare umani, segue una lunga riflessione sulla tecnica perché Martin Heidegger, filosofo del 900, comincia ad avvertire la tecnica, è uno dei primi che si interroga sulla tecnica, allora Hannah Arendt insieme ad altri suoi amici comincia a riflettere sul fare scientifico e come stravolge l’essere umano. La modernità di fatto vede una sorte di perdita dell’esperienze umane, anche a causa della tecnica si vive in modo alienato. A suo parere, in “Vita Activa”, la stessa capacità di agire dell’essere umano sembra una sorte di prerogativa degli scienziati. Si sta perdendo l’azione dell’uomo più semplice, della quotidianità, in questi scenari Hannah Arendt si chiede cosa resta della nostra umanità, della nostra vita, come si fa a scoprire l’essenza… lei propone una soluzione, cioè di riflettere sulle azioni umane, la nostra più profonda umanità, per riconquistare la parte più bella di noi stessi. Seguono poi un altro ventaglio di altre opere, dopo la pubblicazione di Vita Activa, Hannah Arendt diventa una stella degli Stati Uniti. Ma nel 1963 viene pubblicata la sua opera più contestata: 3. “La Banalità del Male”: uno dei suoi libri più noti, un testo giornalistico e storico, un’opera anche molto facile da leggere che perde il lessico filosofico perché ha un taglio più giornalistico in quanto raccoglie 5 articoli che lei scrive in occasione del processo Eichmann, un nazista, un uomo che aveva fatto parte della macchina totalitaria, stato un ingranaggio di quella macchina e la novità vuole che questo uomo fosse processato a Gerusalemme e si conclude con l’impiccagione. Prima volta che un uomo nazista venne chiamato alla sbarra in terra di Israele. La notizia fa il giro del mondo, questa notizia è una bomba e Hannah Arendt si propone come corrispondente del dipartimento processuale del Newyorker, una rivista newyorkese. Arendt chiede di parlare con il direttore dicendo di essere la corrispondente del giornale così prestigioso e intellettuale. Al tempo lei era già conosciuta, per lei è un punto a favore poter assistere ad un processo di uno dei nazisti, un evento molto importante che avviene in terra di Israele dove per la prima volta un nazista muore. Hannah Arendt per farla breve segue le 150 sedute del processo e scriverà 5 articoli.In uno di questi articoli vi è una frase che ad Arendt non verrà mai perdonata: “Eichmann è un demonio”. Non le furono mai perdonate, all’interno della comunità ebraica ed europea. La tesi filosofica de “La Banalità del Male” secondo Arendt l’olocausto era stato causato da troppa obbedienza. Un obbedienza rassegnata dagli ebrei e un obbedienza critica da parte dei tedeschi. La Germania è definita la grande culla della filosofia in quegli anni. Hannah Arendt coraggiosamente ammette che il male può essere fatto da tutti.  4. “Sulla Rivoluzione”: nel 1963 Arendt pubblica questa quinta opera, più precisamente si tratta di un saggio politologico cioè un testo politico, un testo che occupa una posizione centrale e che raccoglie temi fondamentali della ricerca filosofica, arrivando a riflettere sull’uomo rivoluzionario e in particolare arriva a misurarsi con 2 grandi rivoluzioni che lei considera due esperienze rivoluzionarie negative: la rivoluzione Francese e la rivoluzione Russa. Hannah Arendt lavora sul nesso tra libertà e politica.  5. “La Vita della Mente”: un’altra opera molto filosofica pubblicata nel 1978. Opera postuma cioè pubblicata 3 anni dopo la sua morte. Opera conclusiva di Hannah Arendt rimasta incompleta, perché Arendt si spense a New York a causa di un infarto. Malgrado incompleta l’opera rimane una delle più decisive, un’opera che doveva essere composta da 3 parti ossia tre facoltà spirituali: pensare, volere, giudicare —> tre facoltà dello spirito.  IL NATALITY Nel 1952 si diffonde questo concetto che gli viene ispirato da una canzone religiosa di Hendel. Il NATALITY (=filosofia della nascita cui andremo ad insistere) è la categoria centrale del pensiero politico di Arendt. Lei ritiene che questa categoria l’abbia escogitata Agostino, la pensa come una categoria in lingua inglese e non tedesca. NATALITY è un termine che nella lingua italiana non trova un’immediata corrispondenza su più fronti, noi lo traduciamo con natalità, anche se perde molto il suo significato di origine. “Anfang” parola tedesca che significa inizio, l’essere dell’uomo inizia nel tempo. Heidegger filosofo della morte (morte = tode) quindi filosofo della tode.  Il Natality presenta delle assonanze: Anfang = inizio - Tode = morte è la cifra dell’esistenza umana, è il valore; se l’uomo muore è perché si trova solo davanti alla morte. Essere-per-la-morte, nella grafica dei trattini, usiamo più trattini per dividere le parole perché il trattino da una direzione di senso. Trattino singolo indica lo spezzettamento, un momento critico, il limite, la fine. di 5 20 In essere tempo un verbo tedesco che vedremo spesso e geburtigh che significa nativo di, nascere.  Articolo del 1953 di Hannah Arendt “Ideologia e Terrore” che diventerà l’ultimo capitolo di origini del totalitarismo.  La nascita, ovvero il Natality, per Hannah Arendt non è un fatto privato ma è sempre presentata come un fatto pubblico quindi un evento che riguarda tutti perché si è generati da altri generi umani, si appare tra altri tanti esseri umani, ci si inserisce proprio tra altri esseri umani e ciò è una sorta di posizionamento nel mondo. Con un nome, momento di riconoscimento, si entra nella contingenza, nella storia quella grande, noi non siamo degli attori della storia, Hannah Arendt dice noi facciamo la storia, quando si nasce e quando si agisce. Un altro aspetto importante per Arendt il bambino che nasce, non è un prodotto, non è un qualcosa di fabbricato, ma è bambino ciò che porta novità nel mondo e nella storia, concetto fondamentale il bambino non è un semplice materiale anzi il bambino rompe la fabbricazione, rompe il circolo vizioso dell’operosità. Dopo ciò lei prende le distanze dal materialismo storico di Carl Marx, Hannah Arendt è anti-marxista: lei fa una scelta diversa, il suo anti marxismo, per quanto rispettoso, è evidente in una delle sue opere, in “Vita Activa”. Carl Marx è un filosofo tedesco di origini ebree, è un filosofo molto complesso perché alle spalle aveva studi giuridici, era un sociologo, era un economista, fu il famigerato estensore del manifesto del comunismo. Nel 1847 scrive il “Manifesto Comunista” insieme ad Hegel un’altro filosofo. Nel 1847 la sua amicizia con Hegel li porterà a stirare questo manifesto. Una parola chiave della filosofia di Carl Marx e del manifesto comunista è proletariato, termine di volta, un aggettivo che deriva da una parola antica latina che è proletariatus e che si connette alla parola prole, che ci rimanda a coloro che nascono. In realtà la parola proletariato ha una storia lunga, risale alla Roma Antica, dove i proletari erano coloro che venivano censiti solo perché avevano figli, perché privi di averi, ma avevano di proprio solo la prole. Venivano anche chiamati “sesta classe”, erano i nulla tenenti, l’unica cosa che avevano era la prole. Marx va a riprendere questo termine che scompare e poi riappare nella storia, lo recupera e questo termine proletariato va ad indicare chi appartiene alla categoria dei lavoratori, ne fa un uso esteso, la classe operaia era chi non possedeva nulla, mezzi di produzione, quella specifica classe sociale che è ricca solo della sua prole, costituiva la forza-lavoro e questo termine si intreccia con la teoria del comunismo. Hannah Arendt usa il termina natalità con il concetto Marxiano di proletariato, Hannah Arendt anti marxista proprio perché sottolinea che l’uomo non è materia, non è prodotto, insiste anche sul fatto che l’uomo non è forza-lavoro. (Marx=forma violenta). Bisognava risolvere il problema dello sfruttamento del lavoro però poi il marxismo degenera in una forma violenta, perché insiste sulla rivoluzione violenta della società che non convincerà mai Hannah Arendt. Lei quindi prende le distanze da Carl Marx, linguisticamente, il natality lo usa come grimaldello per andare a smontare il materialismo storico di Carl Marx. Questo perché dal suo punto di vista il materialismo storico aveva stravolto l’immagine di uomo; è così perché sulla scia del positivismo del 800, che si afferma con August Comte, il materialismo storico porta ad una deformazione dell’immagine dell’uomo; per Carl Marx l’uomo non è più una figura, un’identità spirituale, come affermava Hegel, di fatto è una cosa materiale, perché è deciso dalla sua necessità di sopravvivere. “Senza pane non c’è anima” se non abbiamo un salario non abbiamo una dignità come gli esseri umani. Se non abbiamo lavoro non possiamo soddisfare i nostri bisogni, quindi per Carl Marx sono importanti i bisogni materiali. Dal punto di vista di Marx, bisogna essere soddisfatti, il lavoro è determinante, è dignità, il valore di ogni essere umano dipende dalla sua capacità lavorativa. Però Arendt non accetta questa definizione marxista, a lei non piace pensare che l’essere umano sia il prodotto di un attività produttiva perché noi siamo attivi in molti modi, non solo lavorando. “Chi è l’uomo?” Per Marx l’uomo è colui che lavora. Per Hannah Arendt non è così, per lei noi siamo ben di più che semplici lavoratori: noi siamo di più della nostra capacità di produrre perché siamo dei natali, noi siamo nati per agire, per progettare insieme agli altri. L’uomo che lei aveva sposato era marxista, negli anni ’50 Arendt studia testi marxisti e questo la porta a riflettere sul chi dell’uomo, non inteso come forza-lavoro, capacità lavorativa, ma inteso come nato. di 6 20 Uno dei tasselli del natality è il capitolo quinto dell’azione di “Vita Activa”, un’opera dedicata proprio a Marx. Arendt comincia ad interrogarsi sulle attività umane, comincia a porsi delle domande e individua tre attività, tre forme di agire: lavorare, operare ed agire. Ciò serve per capire il suo anti marxismo (=si sta aspirando ad Aristotele e va ad individuare quali sono le componenti della vita attiva degli esseri umani cioè le tre attività fondamentali di un essere umano=il lavoro, la fabbricazione di oggetti e l’azione). Secondo Hannah Arendt queste tre attività sono differenti: • Lavoro: con il lavoro ci procuriamo il cibo, soddisfiamo i bisogni materiali; • Operare: con la fabbricazione ci circondiamo di oggetti, per attrezzare il mondo in cui viviamo; ma lavorare non è agire, operare non è agire, vuol dire che quando lavoriamo non stiamo agendo in senso autentico, quando lavoriamo siamo ancora in una condizione animale, noi dobbiamo lavorare per soddisfare i bisogni materiali e anche quando fabbrichiamo oggetti non siamo ancora esseri umani in senso vero, non stiamo agendo in senso umano ma siamo “omofaber”. Quando noi incontriamo gli altri noi siamo umani, non quando compriamo gli oggetti, non quando siamo alla prese con la nostra parte animale, ma quando comunichiamo con gli altri, grazie al linguaggio, il quale è essenziale per costruire le reti autentiche di relazione. • Agire: l’agire è la vera condizione in cui noi siamo autenticamente umani (non c’è la materia, non interferisce nel rapporto umano), risalta la condizione di “omofaber”, cioè l’uomo che fabbrica oggetti,. Siamo sempre in una condizione di umanità imperfetta, siamo umani quando agiamo, ovvero stare tra gli altri, dialogare con gli altri, entrare in relazione con gli altri, condizione di pluralità, quando noi incontriamo gli altri noi siamo umani. Hanno il compito di preservare per le nuove generazioni del mondo. Unica dimensione in cui non interviene la materia. Secondo Hannah Arendt, Carl Marx compie un errore perché va ad “impastare” queste tre attività, che dovrebbero essere tenute distinte e quindi confonde i processi naturali con i processi di fabbricazione contro l’azione, secondo Arendt commetterà un errore che è quello di equivocare il concetto di filosofia della prassi, che diventerà una forma di violenza. Quello di essenziale sono le relazioni. Natality è una categoria filosofica anti marxista, non solo anti heideggeriana perché l’uomo non è materiale, mentre per Marx lo è, è considerata una categoria che funziona da antidoto alla violenza e al male. Hannah Arendt come ritratto di filosofa del male, un male umano e storico, tenta di comprendere quello che è accaduto nel 900 dandone una lettura filosofica. Cerca di comprendere l’inaudito, questo male che non si è mai visto nella storia. Il Natality è la categoria filosofica che funziona da antidoto. “Le Origini del Totalitarismo”: (Opera 1958) per Hannah Arendt il natality nel totalitarismo sono vere e proprie macchine con una storia a se, mai comparse prima del 900, una nuova forma di male. Individua questa macchina, la analizza e nelle “Origini” cerca di smontarla pezzo per pezzo. Questo macchinario ha a che fare con fenomeni novecenteschi. I totalitarismi, storicamente per Hannah Arendt, costituiscono scenari complessi in cui vanno a collassare tutte le categorie tradizionali, della politica, dell’etica, del diritto, della filosofia, tutte le categorie vengono inutilizzabili, in quanto c’è il bisogno di tornare a riscoprire il valore uomo. “Nascere=ogni nascita è un inizio”: frase che si trova nell’ultima pagina delle “origini del totalitarismo” del ’58. Arendt individua questo termine totalitarismo, un termine italiano che si è affermato negli anni ’20; un termine del lessico anti-fascista, concetto nato per indicare la Grande Guerra e quindi un conflitto. Distinzione tra aggettivo e sostantivo: • Aggettivo: questo aggettivo totalitarismo compare in un articolo del 1923 di Giovanni Amendola, un politico, un giornalista, uomo si pensa diventerà anti fascista, il quale scriveva per un periodico, in due articoli pubblicati sul mondo, uno nel maggio del 1923 e uno nel novembre dello stesso anno; questo aggettivo totalitario lo usa nel sistema totalitario, gli articoli vogliono denunciare le fasti di Mussolini, questo termine dal 1923 grazie ad Amendola comincia a circolare nei giri anti fascisti e in molti intellettuali italiani cominciano ad intuire la portata semantica di questo aggettivo. • Sostantivo: il sostantivo totalitarismo nel 1925 è usato da un’altro anti fascista medio basso, un avvocato, un filosofo, che lo utilizza su un giornale: il famoso di Gobetti, e il 3 gennaio del 1925, data cruciale perché è la vigilia della dittatura fasciata di Mussolini. Molti intellettuali da li in avanti lo iniziano ad utilizzare, anche nel resto di Europa come Antonio Gramsci e Don Luigi Sturzo, grazie al quale nel 1928 entra nella circolazione di altre culture europee, addirittura nel dizionario inglese e poi a partire dal ’33 questo termine in Europa indicava i regimi a partiti unici che hanno la caratteristica del culto della di 7 20 possiamo evincere che secondo lei lo stato totalitario mira ad ottenere il dominio permanente di ogni singolo individuo. La caratteristica è proprio questo controllo totale su ogni singola persona umana in qualsiasi aspetto della vita. I totalitarismi non hanno precedenti nella storia e ce ne sono due: il nazismo (Germania terzo Reich) e lo stalinismo (un’unione sovietica di Stalin). Sono due sistemi che presentano molti punti di contatto che fa si che si possono identificare e che li rendono equiparabili perché hanno stessi scopi, stessa ideologia, stesi metodi. I nazisti hanno escogitato i lager, campi di sterminio. I sovietici hanno escogitato i gulag. Secondo Arendt entrambi nascono organizzando e mobilitando masse e individui = principale peculiarità dei totalitarismi. Quando un sistema mobilita il paese e le masse, le masse che si muovono in un contesto economico difficile sono segnate da problemi sociali e politici. Massa di individui= un’insieme di individui segnati e provati dalle condizioni economiche, da qui avviene che sono società massiforme in cui il controllo sociale è alto. Senza massa non si potrebbe mai parlare di totalitarismi in quanto sono importanti sotto certi punti di vista. Massa significa individui che non hanno più spazi di libertà, persone che enunciano a pensare da se stesse per uniformarsi alla volontà di un capo che non si mette in discussione. Arendt ci consegna documenti che ci consentono di capire le peculiarità dei totalitarismi: Capo carismatico = fhurer, volontà incarnata che esprime la volontà della massa, del popolo. La massa è determinante proprio per l’edificazione dei totalitarismi. Il conformismo, io mi adeguo a ciò che gli altri fanno, è una minaccia secondo Arendt per libertà politica e anche individuali. Pianificazione dell’economia, ammutinamento di tutti partiti in un unico partito, mezzi di informazione come la propaganda, tv e radio per fare propaganda e comincia la tecnologia ad entrare nel privato, nelle case dei cittadini che inizia a condizionare le menti dei cittadini, e poi l’ideologia che per Arendt è la condizione stessa dei totalitarismi. Uso della violenza, altra peculiarità, non una semplice violenza perché è la violenza che consentirà ai totalitarismi di costruire il nemico oggettivo. Il singolo cittadino ha paura di queste violenza. Totalitarismi secondo Hannah Arendt svuotano l’essere umano, pianificano questo svuotamento tramite la scienza e contano sull’ideologia, sulla polizia segreta e sul terrore. Secondo Arendt questa violenza è un tipo nuovo perché si spezzano legami, ciò porterà all’individuazione del nemico oggettivo (è un nemico che è tale non perché si è macchiato di reati, non per qualcosa di specifico che ha fatto, ma perché individuato per qualsiasi caratteristica come ad esempio l’essere ebreo e non ariano, essere contadino ricco per lo stalinismo), una violenza nuova fatta di pregiudizio. Violenza non temporanea come nelle dittatura o nei dispotismi, ma è una violenza di puro terrore esercitata in modo continuativo che terrorizza perché si crea un ambiente di cittadini che sono costretti a rassegnarsi alla paura, a piegarsi al fhurer princip o del partito unico perché il singolo cittadino in questo clima di terrore spera di non essere individuato come nemico oggettivo ma di essere considerato un leale cittadino conformato che sta dalla parte giusta. Secondo Arendt questa violenza è la vocazione dei regimi totalitari ed è un mezzo con cui i regimi vanno a spezzare le volontà. I totalitarismi non vogliono persone umane secondo Arendt ma riducono le persona a semplici individui che vivono in una società di massa. La persona umana a differenza dell’individuo conserva precise forme di personalità e tratti distintivi, mentre l’individuo è colui che è indistinzione. I totalitarismi non vogliono al loro interno persone umane, il loro obiettivo è quello di far regredire la persona ad individuo e creare delle società di individui. La persona, come viene abbozzata da Arendt possiede una classe sociale alle spalle. Individus, colui che non si può separare dalla massa, soggetto minimo che può essere isolato, spersonalizzato, può andare perduto o essere distrutto dal totalitario, non si distingue, a parte della massa, più vulnerabile rispetto alla persona. Secondo Arendt, lo scopo è l’annullamento della singolarità per esercitare questo dominio totale sull’uomo, violenza e terrore che trasformano gli esseri umani da persone in individus. Si spezzano i vincoli sociali. Il nazismo aveva ideato una vera e propria scienza volta alla distruzione della personalità. Questa trasformazione doveva essere rapida, avveniva in pochi giorni, i campi di sterminio erano organizzati scientificamente (=rapido processo di disumanizzazione). L’obiettivo è la superfluità. Gli ebrei nei campi vengono trasformati in cavie da laboratorio. • Obiettivo dei nazisti: tentare di cancellare la nascita, di azzerare il fatto che l’uomo è nato. La macchina totalitaria distrugge tutte le forme di personalità, spoglia la persona dei suoi modi di essere in tempo rapido; Hannah Arendt parla di maschere in diversi suoi scritti dove spiega che l’uomo assume nella quotidianità molte maschere e se ci vengono strappate rimaniamo nudi cioè restiamo uomini naturali e ciò significa che siamo perduti, resta un uomo senza diritti. di 10 20 Nuda vita è un concetto della bio politica, che va a studiare come la politica vada ad impattare sulla persona umana, l’uomo nella sua naturalità, l’uomo ridotto ad una condizione animale. Il problema per Arendt, l’uomo senza maschere e senza abiti giuridici è un uomo bestiale. Tre maschere a cui fa riferimento: I. la prima maschera è quella della personalità giuridica: si disintegrano i diritti, la cittadinanza; II. la seconda maschera la chiama maschera della personalità individuale: va a distruggere la singola persona (le caratteristiche della persona, siamo unici perché siamo nati); III. la terza maschera è la personalità morale: dove si perde la dignità. Nei lager i corpi vengono inceneriti, il corpo viene distrutto dalla violenza totalitaria, del corpo si deve fare scempio. Si vuole annientare la libertà, si vuol far sparire la memoria, per Arendt non va perduto solo il diritto di cittadinanza ma anche l’uomo nella sua qualità di essere uomo; l’ebreo che sopravvive viene nascosto allo sguardo perché sgradito socialmente, di quella persona non si deve ricordare più nulla, sono nascosti allo sguardo come se non fossero mai nati. Di queste persone/uomini non devono restare ne legami ne alcuna identità. Arendt dice che il nazismo nel 900 riesce a cambiare la fisionomia del carnefice e le SS assumono nuove forme. Arendt ci spiega che sono individui indifferenti, cioè che sono diventati indifferenti alla morte e alla vita, diventati uomini mostruosi perché addestrati all’ideologia, all’inimicizia. Carnefici diventano capaci di distruggere il natale. Dopo la sconfitta della prima Guerra Mondiale Arendt cerca di capire cosa successe. 1933 fine processo di democratizzazione, finiscono con l’allineamento, i tedeschi si conformano all’ideologia del partito unico quando Hitler prende il potere. Arendt attaccata dalla sinistra ortodossa, parliamo di sinistra marxista, accusata di equiparare nazismo e stalinismo, fraintesa dai comunisti italiani. Accusata anche dalla destra, dai liberali che non comprendono il nesso tra imperialismo (attacco alla borghesia capitalistica). Gli storici l’accusano di aver spacciato le origini per un lavoro storico, non solo ma viene anche criticata nei circoli filosofici, di essere stata fin troppo storico, di essere troppo permeabile e sensibile alle scienze sociali, un taglio troppo sociologico, di aver scritto un opera troppo sporca. In quei tempi la filosofia era tradizionale e rigida, le critiche le piovono addosso da altri filosofi che contenta tutti. Questo perché vuole edificare una sorte di filosofia pratica, trova e cerca la realtà che c’è intorno, introduce la nuova categoria, non le interessa dare risposte alle grandi domande, quello che le interessa è comprendere. Comincia a scrivere in un modo quasi giornalistico, si discosta da quello che erano i canoni della scrittura filosofica, si inventa un nuovo modo di scrivere perché vuole che la filosofia sia pratica. Ha un modo tutto suo di fare filosofia, le sue opere sono quasi estranee perché lei è apolide, straniera, il fatto di essere ebrea influenza molto il fatto di fare filosofia o fare scrittura, questo si sente in tutte le sue opere, è sempre accusata di essere ambivalente nelle sue opere anche in senso fisico. Hannah Arendt è una scrittrice filosofica che si porta dentro delle contraddizioni che si avvertono nelle sue opere, ha questo sguardo doppio che torna nelle sue opere (ebrea ama la Germania ma nasce e vuole rimanere in America). Questo diventa un metodo filosofico, ne viene fuori uno stile particolare, un modo nuovo di fare filosofia, negli anni ’50 lei è troppo innovativa nel modo in cui scrive e anche a livello tematico, ha uno stile molto personale che fa appunto parte della sua personalità. PERCHE’ parola “Origini” del Totalitarismo? Le Origini del Totalitarismo, termine con il quale intende, non la causa, dal punto di vista filosofico ma le origini appunto. I fatti vanno compresi, bisogna capire il perché delle cose, dei fatti storici; comprendere il motivo per cui quegli eventi avvengono nella storia. Secondo Arendt nessuno di noi è al riparo dal pericolo totalitario, un compito al quale non possiamo sottrarci. Errore di Arendt: il fascismo non è un totalitarismo. Un errore di valutazione, di giudizio. Per Arendt il totalitarismo è una semplice dittatura, secondo lei il fascismo non è ideologico, l’ideologia così come si presenta nei totalitarismi, l’uomo ha un idea forte, questa ideologia si presenta come una sorte di religione politica, una vera e propria fede. L’essenza del totalitarismo sta nello sterminio di massa, cosa che secondo lei il fascismo non fece. Arendt in poche pagine dice che la dittatura fascista può essere paragonata ad una dittatura tradizionale, quindi il fascismo non dispone di un partito di massa, perlomeno non con quella fenomenologia. di 11 20 Per lei non è un totalitarismo perché non distrugge lo stato, non distrugge la monarchia, non distrugge l’esercito o la chiesa, secondo Hannah Arendt al tempo del fascismo non ci fu una trasformazione totale dello stato. Questi elementi portano Arendt a non smuovere la sua idea riguardo al fascismo. Non si era documentata abbastanza sul fascismo italiano, per mancanza di letture e quindi le sue analisi perdono di lucidità. Arendt ebbe una scarsa conoscenza della realtà storica politica del regime fascista, si limita all’interno delle “origini” a delle annotazioni marginali. Cita fonti di seconda o terza mano, non va neanche alle fonti bibliografiche, non disponendo di fonti storiche sul fascismo, cita pochi discorsi di Mussolini. Ma il giudizio di Arendt sul fascismo è inaccettabile, religione dogmatica credere obbedire combattere. Il fascismo ha tentato di convertire gli italiani. Anche storici hanno cavalcato Hannah Arendt per riabilitare il fascismo, purtroppo Arendt è stata troppo strumentalizzata dalla destra. Le Origini del Totalitarismo Opera del 1951 poi riedita nel 1958, è un’opera monumentale con una architettura molto articolata. Opera pubblicata due anni più tardi in piena guerra fredda. Totalitario e totalitarismo sono due termini che non sono arendtiani ma anti-fascisti, coniati da intellettuali anti fascisti. Hannah Arendt fa sua questa espressione totalitarismo. Giovanni Gentile, filosofo hegeliano, ministro, pedagogista, è un’uomo di estrema cultura ceduto al fascismo. Nel 1928 riprende il concetto di totalitarismo in un suo scritto pubblicato dalla rivista nord americana e successivamente nel 1932. Gentile credeva nello stato forte. - Antisemitismo e l’imperialismo sono secondo Arendt le pre condizioni. • L’antisemitismo ha una fenomenologia a se, gli ebrei specializzati nel credito e nel l’erogazione del credito perdono potere. Perdono influenza politica e pur finanziano le grandi monarchie perdono potere politico che li porta come parassiti. • L’imperialismo è una forte espansione di poteri. La borghesia aspira al potere politico, sono competitor degli ebrei e nella fase imperialista comincia a sradicare un profondo odio razziale che ha proprio un suo lessico. Il razzismo diventa una ideologia e c’è una miscela esplosiva. - Analisi dei totalitarismi: Carteggio- lettera di H. Arendt a K. Jaspers (4 marzo 1951) Male radicale, Arendt intende i campi di concentramento e di lavoro: superfluità Illusione di una onnipotenza: superfluità Filosofia non è innocente I totalitarismi hanno una particolare volontà è quella di rendere gli uomini superflui, prima particolarità delle macchine totalitarie. Volontà di onnipotenza, rendere tutti gli essere umani superflui, massificazione. Secondo Arendt è un fenomeno nuovo il totalitarismo e non deve essere ricondotto a precedenti esperienze autoritarie o dittatoriali. Distruzione delle classi sociali sostituite dalle masse, la massa è un fenomeno tipico dei totalitarismi. Alcuni passaggi: uso della propaganda, l’ideologia, l’uso del terrore, della polizia, non già della semplice violenza, il capo fhurer come figura carismatica. La società divisa in classe socialista collassa perché non si identificano e non hanno identità in senso di valori condivisi, non ci sono più legami tra loro perché si spezzano, c’è perdita valorale. La massa, come ci spiega Hannah Arendt, è piena di individui confusi, pieni di odio e disperati. Gli uomini sono come atomi isolati. Le masse sono un complesso amorfo (senza personalità, senza caratteristiche ben precise) di individui. La propaganda è un azione che intende influire sull’opinione pubblica. È una manipolazione, una particolare forma di azione che serve a plasmare gli individui con l’obiettivo di dirigerne il comportamento avvalendosi di tecniche comunicative. Ideologia termine filosofico, parola che viene coniata nel 700 in Francia per indicare una scienza delle idee, ha un valore postivo dal punto di vista filosofico. Siamo in presenza di un sistema di idee più o meno organizzato, in senso dispregiativo siamo un complesso di idee astratte senza riscontro nella realtà. La forza del movimento totalitario e l’organizzazione che crea un mondo fittizio (finto, immaginario). Propaganda è proporsi come profezia. Il totalitarismo rende gli uomini gli uni contro gli altri eliminando lo spazio, facendo diventare gli uomini figure effimere (deboli, fragili). Errore arendtiano: il fascismo non è un totalitarismo. Arendt dice questo perché non distrugge lo stato ma collabora con le forze all’interno di uno stato, con la monarchia, con la chiesa e con l’esercito, con le forze economiche. Lei ci spiega che il fascismo fece un uso minore della violenza, non rispondeva di una ideologia. Il fascismo separa la religione dallo stato. di 12 20 Tutte queste cose fanno si che il processo sia fallimentare, sia una occasione mancata, alla fine si risolve con una falsa coscienza della storia. Lei dice che quel processo li non avrebbe dovuto tenersi nella lingua degli ebrei, lei era una poliglotta, assiste ad una vera e propria commedia in lingua ebraica, questo perché tutti loro erano stati cittadini tedeschi, tutti coloro coinvolti conoscevano il tedesco, era la loro lingua materna, erano uomini che parlavano il tedesco da quando erano nati. Con “la banalità del male”, con i suoi 5 articoli, la Shoah non è più un dramma domestico, dramma sotto gli occhi di tutti e di cui si deve parlare. Documentario ebreo 5 articoli che aprono la controversia; da qui si comincia ad indicare la disputa intellettuale che si scatena, questo dibattito tra Arendt e i maggiori rappresentati. Grazie al “La Banalità del Male” la Shoah diventa un dramma pubblico, che appartiene alla storia di tutti. I toni di questo dibattito si fanno fin troppo accesi e la situazione precipita quando Arendt comincerà a pubblicare uno per volta i suoi cinque articoli con il titolo di “Report of Jeursalem”. A quel tempo Arendt era già nota, dopo tanti anni si silenzio accademico, grazie al “Le Origini del Totalitarismo” il suo nome circolava ed era una sorte di “star”. Questa sua fortuna però non la salva dalle critiche e dalle denunce. Le si contesta il fatto di aver commentato un tema, di aver parlato della Shoah facendone una materia giornalistica, questo fu uno delle intenzioni di Hannah Arendt. Il New Yorker faceva sperare che le sue tesi e le sue riflessioni potessero toccare molti e non solo chi aveva un ruolo importante universitario, lei voleva che si parlasse della Shoah e che si potesse intervenire in quel dibattito. Per lei si trattava di un crimine nuovo, una forma criminale che non si era mai verificata prima nella storia, un crimine contro l’umanità. Per Arendt era necessario che tutti si intervenisse sull’argomento, la prima colpa che viene imputata ad Arendt fu proprio questa, aver pubblicato i suoi 5 articoli su una rivista alla moda, e non su una rivista sionistica. Le furono rivolte altre critiche sul piano storico, nel “Le Origini del Totalitarismo” le si contesta di aver monopolizzato i suoi dati, aver fatto una ricostruzione inadatta. I toni si fanno molto accesi e le critiche molto violente. Le si muove un’accusa molto forte cioè quella di essersi fatta blandire da questo uomo Eichmann che è molto astuto, si presenta come un soldato. Aveva stravolto i dati e i fatti della storia. Le piove addosso un’altra accusa: fu quella di non amare il popolo ebreo, lei era un’ebrea non si riconosceva nel suo popolo, usata una espressione in lingua ebraica, non amare Israele. Questa accusa diventa tanto più dolore per Arendt perché la muove nei suoi confronti il suo più caro amico, uno dei capi del movimento sionista, un mistico dell’ebraismo. Erano amici fraterni però il rapporto si incrinerà definitivamente malgrado gli sforzi di lei, lui morirà poi. Showlem in una famosa lettera, le scrive: “tu non ami il popolo ebreo” e Arendt che aveva un brutto carattere le risponde “si io non amo gli ebrei, nessun popolo io amo solo i miei amici nella loro unicità”. Hannah Arendt ebrea atipica, nella sua famiglia non aveva mai respirato il fatto di essere ebrea, non c’era orgoglio e vergogna per essere quello che era, la famiglia era una famiglia di ceto elevato e questi discorsi di natura razziale non c’erano mai stati. La parola ebreo non era una parola che non era mai stata pronunciata. Non era religiosa e credente, era semplicemente un intellettuale appassionata di questioni teologiche, con questa capacità intellettuale aveva avvicinato molte teologie, come quella protestante, interessata al Cristianesimo, come se fosse una forma di religione più alta è un’ espressione più raffinata di religiosità rispetto all’ebraismo. Più che ebrea lei si sentiva tedesca: per lei le nazioni erano delle trappole, la si può capire quando dice che non ama nessun popolo nemmeno quello ebreo. Ma questo le costerà molto caro. Le fu contestato di affrontare un tema così delicato su un giornale. Accusata anche di mala fede. Altra accusa che non le fu mai perdonata, le parole che lei usa per i capi ebraici, lei sosteneva che i capi delle comunità ebraiche avevano collaborato con i nazisti. Si riferisce ai consigli ebraici, a personalità guida che formavano questi consigli ebraici, erano dei corpi amministrativi che i nazisti avevano imposto agli ebrei, i nazisti rinchiudevano gli ebrei nei ghetti e per evitare problemi di ordine pubblico. Compito di mediazione e specifico di far applicare i decreti emanate dalle autorità naziste. Collaborazione, si parla di ciò perché effettivamente questi così dovettero collaborare con i nazisti e stilare un elenco di persone da deportare. Commise un errore e andò a colpire Leo Back, un leader del popolo ebraico, un intellettuale. Questa personalità è legata al lager, uno dei più noti, Leo Back divenne Presidente del Consiglio di anziani di questo campo e a Back, Arendt rimproverò di aver taciuto. Queste critiche furono colte come semplici provocazioni. di 15 20 Arendt aveva già criticato la mentalità sionista che proprio non le piaceva, però secondo molti “La Banalità del Male” era qualcosa di diverso e imbarazzante. Accusare le vittime di collaborazionismo, una sola volta usata in tutto il libro questa parola. Arendt resta quasi del tutto sola, solo alcuni suoi amici le restano accanto, non mancano le persone che presero le sue difese. Un’intellettuale americana, molto dissacratoria, figura che era molto provocatrice, giornalista che difese Arendt è assimilò gli attacchi che vennero dati ad Arendt. Arendt viene esposta ad ulteriori critiche, ma sul piano filosofico, le si va a rimproverare, a colpire perché aveva cambiato opinione rispetto alle “Origini” e alla questione del male. Male da sempre stato un tema antico su cui i filosofi si sono sempre confrontati, lei fino alle ordini si era allineata alle interpretazioni consuete, nelle “Origini” aveva fatto sua la tesi Kantiana: il male ha radici. Nella “Banalità” inverte questa polarità, quindi viene a cadere quella tesi delle origini. Il male radicale era insito nell’uomo e si era allineata in queste posizioni, lei era convinta che avesse avuto ragione. Lei associa la “Banalità” alla Shoah, il termine banalità associato per la prima volta alla parola Shoah è avvertito come insulto. Questo suo cambiamento di opinione le costa molto, in particolare la critica in ambito filosofico le viene rivolta da una persona Ans Jonas, uno dei compagni di studio di Arendt allievo di Heidegger, uno dei grandi della filosofia del 900. Obiettivo di Hannah Arendt era quello di aprire un dibattito pubblico sulla Shoah, secondo lei bisognava parlare di quanto accaduto dato he era definito come crimine commesso contro l’umanità. Le piovono addosso contestazioni storici. Mancare di tatto del cuore, di non amare il popolo di Israele, accusa grave che la ferisce perché viene mossa dal suo grande amico Showlem. Quando accusa personaggi illustri di collaborazionismo. Nelle “Origini del Totalitarismo” Arendt aveva sposato la tesi Kantiana che il male è radicale, mentre nella “Banalità del Male” definisce che il male non è demoniaco. Associa due termini: Shoah e Banality, non le verrà perdonato da Ans Jonas, filosofo del 900. Siamo di fronte ad un terremoto filosofico, Hannah Arendt sta buttando all’aria un’intera idea filosofica. In filosofia esiste una tradizione di pensiero per il quale il male è inessenza di bene, Arendt propone una nuova tesi: il male ha a che fare con la banalità. Hannah Arendt ci dice non che il male è banale, ma ha a che fare con la banalità dell’essere umano. Questa affermazione fa scandalo perché il male in filosofia è sempre stata una questione filosofica in quanto il filosofo si è sempre preoccupato del male, l’essere umano sperimenta il male così come conosciamo bene il bene. Il filosofo ha capito che il male sfida e ferisce l’uomo che può scegliere il male, subirlo oppure arrivare a farlo magari, oppure può resistergli. La filosofia ha riflettuto sul male perché il male è dentro l’uomo, l’uomo deve misurarsi con il male. L’uomo ha sempre cercato di comprendere il male, le cause, le forme e le origini, perché assume tante forme. Il filosofo si è sempre servito della ragione e attraverso questa ha tentato di comprendere il male perché l’obiettivo era quello di attenuarlo e di controllarne gli effetti e se possibile di vincerlo. Il male però viene spiegato in diversi modi: filosofia antica, la casa del male per i filosofi antica era da ricercarmi negli dei, erano gli dei che tentavano l’uomo mettendolo alla prova, lo ingannavano. Una sorta di dispetto degli dei. “L’antropologia filosofica collassa quando incontra la teologia Cristiana, si chiede il perché del male anche se esiste dio? Domanda di Agostino, comincia a porsi 2 domande: che cos’è il male? Si associa una seconda domanda: da dove viene il male? Incomincia nelle sue opere a ragionare intorno al male cercando delle spiegazioni, arrivando a delle soluzioni, non nega la presenza del male, arriva a fare una affermazione forte negandone l’assenza, il male non è un cosa, non ha realtà propria è solo mancanza. Per Agostino il male non esiste, per lui esiste solo il bene, oltre dio che è il bene supremo non ’c’è nulla. Il male è corruzione di bene. L’uomo non è di per se malvagio, può sceglierlo. Superata la fase dell’evo cristiano, si entra nella fase dell’evo moderno che ha una sensibilità diversa; qualcosa che capita come una necessità statistica, perché secondo l’uomo della modernità l’umanità è in continua evoluzione, progredisce. Male = scoria, scarto, peggio dell’uomo. Nella modernità si registra con il marxismo, il male è il risultato di una ingiustizia sociale. Il male può essere superato attraverso le conquiste tecniche. Soffermandoci a Kant, un caso a sé in filosofia, un credente illuminista, tenta di dare una lettura altra del male, usa un’espressione “male radicale”, espressione che compare solo nelle opere di Kant. Compare anche un’altra immagine interessante, l’uomo è un lembo storto, l’uomo ha una tendenza di fare il male, una tendenza naturale. Quindi secondo Kant, l’uomo non è malvagio, ha una predisposizione (anlage) al bene ma anche al male. Capacità di riconoscere la legge morale, uomo è un essere morale, sa riconoscerla. di 16 20 Questa propensione al male, spinge l‘essere umano in maniera egoistica, a soddisfare i propri desideri e insiste sul fatto che sia una semplice tendenza che si intreccia con la natura umana. Per Kant l’uomo è vulnerabile, per natura è spinto da una parte ad osservare la legge morale… Arriva ad una conclusione, il male è ineliminabile cioè che il male ha radici dentro noi, queste radici da soli non possiamo estirparle. L’uomo ha dentro di se queste radici e non ha le forze per cancellarlo, per estirparlo l’uomo ha bisogno dell’aiuto di dio, solo dio con il suo buon cuore può far si che l’uomo possa trovare la spinta per opporsi al male radicale. Questa propensione al male è il segno della nostra libertà, la conclusione è che l’uomo fa il male perché è libero. Kant cerca di andare a conciliare due opposti, volontà dell’uomo e libertà, difficile da tenere insieme. Il male è segno della libertà, perché atto libero e contingente, l’uomo deve seguire la legge morale, filosofo del dovere. Kant dice che l’uomo fa un cattivo uso della libertà, l’uomo ha scelto il male, ha deciso di agire per se stesso, quando ciascuno di noi dovrebbe agire per un movente universale che è il bene dell’umanità. Rimproverano a Kant il fatto che non sa spiegare il male, non se lo sa spiegare. Il male resta enigmatico, il male è un noumeno qualcosa che io non posso comprendere. Per Kant il male è insuperabile e questo vuol dire che il male ha radici che non possono essere estirpate. Kant quindi arriva ad una spiegazione insufficiente: Kant illuminista e da tale dovrebbe arrivare a dire che la ragione il male riesce a spiegarselo, arriva a dire che è incapace di spiegarlo il male. Hannah Arendt, siamo nel 1963, a questo punto va ad inserirsi in un dibattito filosofico, si inserisce nella “Banalità del Male”, lei vuole capire e risalire alle vere cause del male. Il male ha a che fare con la banalità dell’uomo, chiunque può fare il male. Va a riprendere da Agostino il fatto che il male non è l’elemento concreto, qualcosa di opposto alla realtà che è il bene, l’uomo non è malvagio, il male è un’assenza di bene, solo il bene è profondo, il bene per Agostino è dio. Secondo lei il bene supremo è l’anima, la coscienza, la sua capacità di pesare e anche di giudicare, di usare il giudizio e di dialogare tra se e se, voce della coscienza. Un male senza radici che ha a che fare con la superficialità. Il male non è radicale, ma estremo. Il male è assenza perché a questo riduce l’ideologia che ci svuota. Questa tesi sulla “Banalità del Male” Arendt viene fraintesa, ci mette difronte ad una teoria del male, non ha mai detto che il male è banale ma che le azioni più forti possono essere compiute anche nella condizione più normale, quando gli uomini rinunciano a pensare a giudicare. La tesi Arendtiana della banalità non ci si contorta, il male non facilmente riconoscibile, possiamo trovarci in una situazione in cui non capiamo cosa può essere il male cosa può succedere. Introduce il termine “il borghese” per indicare il buon padre di famiglia che si prende cura di chi li è caro. INVERSIONE DELLA MASSIMA Le formulazioni dell’imperativo categorico (tu devi) per Kant sono due: La prima Kant la riassume Introduce una seconda formulazione, dobbiamo agire come se la nostra azione fosse un antalgico per tutta l’umanità. La linea difensiva di Eichmann sarà Kantiana, l’obbedienza alla leggera era anche la cifra della statura morale del singolo individuo. Eichmann da tedesco, che aveva studiato i testi Kantiani tenta di difendersi con una frase ricorrente “io ho obbedito” dicendo di aver eseguito i doveri, Eichmann era un soldato. Sorprendendo tutti comincia a citare Kant. Si appella al tu devi di Kant. Eichmann non dice semplicemente io ho obbedito, ma aggiunge io ho obbedito a delle leggi che sono della Germania. Il problema è capire cosa intendeva Eichmann per massima universale, in realtà la confonde con quella di Hitler con quella della Germania. Non aveva solo obbedito a ordini generici, ma alle leggi della sua patria, linea difensiva molto interessante e intelligente. Cosa c’era di sbagliato nel fare il bene della Germania? Eichmann aveva letto la critica della ragion pratica di Kant, il giudice rave non si accontenta di questa ragione e comincia a tamponarlo di domande; Eichmann messo in difficoltà con domande incalzanti, dice che era necessario che le cose andassero così, non si potevano cambiare. Il giudice rave indignato: “è evidente che Eichmann sta strumentalizzando l’insegnamento Kantiano”, Kant non ha mai spiegato che l’obbedienza è un dovere, l’obbedienza per Kant è un atto di volontà libero. Eichmann inverte le due massime, ha pensato ad un bene personale, ha protetto la sua vita dando dell’umanità. Anche Arendt resta molto scossa da questa obbedienza di Eichmann che lei definisce obbedienza cadaverica, un conto obbedire ad una massima universale e un conto obbedire alla massima di un fhurer. Arriva a pensare che il male ha a che fare con la banalità, con gente che banalizza tutto come l’etica Kantiana, Hannah Arendt riflette sulle tesi di Kant e non vuole arrendersi alle spiegazioni che Kant da del di 17 20
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