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Filosofia della prassi umana - primo anno, Appunti di Filosofia

appunti filosofia della prassi umana primo anno interi

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 27/08/2022

beatriceee000
beatriceee000 🇮🇹

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Scarica Filosofia della prassi umana - primo anno e più Appunti in PDF di Filosofia solo su Docsity! FILOSOFIA DELLA PRASSI UMANA HANNAH ARENDT Hannah Arendt è la protagonista della metà del novecento, ha investito sulla nascita e con lei si parla di filosofia della nascita (natality), filosofa ebrea/tedesca, è atea ma utilizza le immagini bibliche per rappresentare la nascita. Per lei la filosofia doveva assumersi un compito  poiché era delusa dalla filosofia a causa del totalitarismo, doveva insegnare a pensare da se ed ad agire, quindi la filosofia non deve essere fine a se stessa, ma deve essere prassi ovvero agire, una filosofia che vive in mezzo a gli altri. Prassi=agire, Teorein=pensare/osservare, quindi la filosofia è agire o osservare?  Per Hannah il filosofo non deve osservare quello che accade, ma per lei la filosofia serve ad agire, la filosofia deve insegnare a gli uomini a risolvere i problemi. Le opere principali di Hannah Arendt sono: - tesi di laurea sul concetto di Agostino - Rahel van Hagen: storia di un’ebrea - le origini del totalitarismo - vita activa - la banalità del male - on revolution - la vita della mente Hannah Arendt era una filosofa ebrea tedesca, con cittadinanza Statunitense, era una intellettuale poliedrica, ed è un filosofa della politica, ha avuto una fama molto tarda, e fu dimenticata perché gli anni 30 erano anni terribili per colpa della Germania Nazista, nasce un disinteresse nei suoi confronti però la sua filosofia è stata ricompensata da un interesse molto elevato quando lei ormai aveva 50 anni. Lei non volle mai per se l’etichetta di essere una filosofa, amava essere chiamata teorica politica perché non amava le categorizzazioni. Amava essere chiamata anche fenomenologa ovvero studiosa dell’agire. Aveva troppo rispetto per la filosofia per farne una professione e per questo non voleva essere etichettata come filosofa. PARTE BIOGRAFICA - Nasce il 14 Ottobre del 1906 ad Hannover in Germania - suo padre morì quando lei era una bambina, dal padre ereditò l’amore per i libri - i Con da parte di madre erano dei commercianti di the - i suoi genitori non avevano legami con i circoli sionisti, il sionismo  era un movimento politico che aveva radicato tra gli ebrei europei, l’obiettivo dei sionisti era la nascita dello stato di Israele - Lei cresce in un clima di politica democratica - per la sua formazione è stata molto importante la madre Marta. Dai suoi genitori prese la passione per il teatro - Era ebrea e tedesca e subì la persecuzione nazista del terzo Reich a causa delle sue origini ebraiche - nel 1937  perde la cittadinanza tedesca, perde la sua identità, sarà colpita dalle leggi razziali e ad un esilio forzato, fugge in Francia con la madre Marta, si salva dai campi di sterminio però fu detenuta da un campo di lavoro da cui riesce a fuggire - nel 1940  riesce a trovare salvezza negli Stati Uniti quando ormai aveva 40 anni, sono anni di fatica infatti lavorò come insegnate nelle scuole superiori, come giornalista, sopra tutto come traduttrice cecando di tirarsi fuori dalla fame e dalla miseria - Il successo li giunse con la pubblicazione del “origini del totalitarismo” del 1951, primo suo capolavoro e con “la vita attiva”.Con la banalità del male fece il botto. Non ha mai avuto figli - Morirà a 69 anni, a causa di un infarto nel suo appartamento a Manhattan, il 4 dicembre del 1975. Per le sue opere è molto importante la sua biografia, importante anche il suo essere ebrea anche se lei era uno spirito libero. Aveva il genio/culto dell’amicizia, nel privato era una donna molto dolce. La sua vita era una vita unica/esemplare. Viveva in una famiglia benestante produttori di the, quindi viveva una esistenza privilegiata, nel lusso. Riesce a fare tesoro del trauma che subisse dal nazismo rimandando sempre una donna libera, si scollava da dosso l’ideologia. Infatti insegnava ai suoi studenti di pensare con la propria testa, quindi essere delle persone libere, lei voleva 1 essere libera per restituire la libertà ai suoi studenti. Era detestata dalle destre e dalle sinistre e la libertà l’ha pagata a caro prezzo. Ha sempre preteso di essere libera nel suo pensiero, quindi credeva fortemente nella libertà di pensiero  La filosofia per Hannah Arendt è uno sporcarsi le mani, il filosofo deve leggere i fatti umani e denunciare quello che accade, viene risaltato l’importanza della testimonianza. La sua ebraicitá  le ha dato uno sguardo diverso. Lei da bambina sapeva di essere diversa ma non inferiore. Hannah Arendt percorre molto spesso: - il tema del bambino - il tema della dignità che si basa sul non sentirsi inferiore - il tema della necessità di sentirsi protetti. Lei viene educata secondo il modello della building tedesca, ovvero un modello tedesco nel quale avevano accesso solo i maschi, lei viene educata come fosse un maschio. Building  è un termine il quale viene tradotto come educazione, questo modello educativo rimanda alla paideia greca che rimanda a una educazione spirituale, dell’anima, è una tecnica di educazione alla vita con la quale si insegna a un bambino a essere libero. Sua madre era convinta che l’educazione dovesse umanizzare. Hannah Arendt era molto sensibile ai temi dell’educazione, scrisse il saggio intitolato la “crisi dell’istruzione”  il quale riflette sul senso della crisi dell’istruzione e ritiene che questa crisi riguardi tutti e la crisi dell’istruzione ci pone una domanda, e la domanda è “perché siamo venuti al mondo?”. L’educazione per Hannah Arendt ha a che fare con la politica, perché gli educandi (coloro che educa) devono preparare i giovani a innovare il mondo stesso. Hannah era una bambina precocissima, già da adolescente traduceva l’impronta dal latino e dal greco e conseguì il diploma in anticipo rispetto ai suoi coetanei. Nella sua formazione i classici ebbero un forte peso, questo ci fa capire la sua attenzione alla polis. Lei seguì anche dei corsi di teologia cristiana con Romano Guardini e in questi semestri di teologia approfondì autori come Sant’Agostino, Tommaso D’Acquino, i padri della chiesa. Ma anche Paolo Di Tarso; quegli autori che divennero decisivi in tutta la sua produzione. - La filosofia del Natality le fu ispirata da Sant’Agostino, in lui vede un precursore della valorizzazione della nascita, e le viene suggerita dalla distinzione che Agostino faceva tra “ inizium” (gli uomini sono in grado di iniziare, di generare il mondo) e “principium” (creare, spetta solo a Dio). Si appassiona di teologia, ebbe la fortuna di avere come docente ROMANO GUARDINI. Egli è tedesco, un formidabile filosofo, teologo romano. Romano Guardini ebbe la possibilità di avere una cattedra, era già molto noto tra gli studenti. Era un teologo ma non era un teologo puro, coltivava una grande passione per la filosofia, per la storia dell’arte e per la letteratura. Era un cattolico, vuol dire che guardava la figura di cristo come chiave di comprensione del mondo. Lui influenzò moltissimo il concetto di Hannah Arendt e del suo concetto di mondo e la rivelazione del corpo. Egli in una prospettiva cristiana valorizza la corporeità, ci si inserisce, si abita nel mondo con la propria corporeità. Grazie a quest’uomo, la Arendt scopre autori diversi: non aveva mai avvicinato Agostino, ad esempio. A lezione scopre autori straordinari come Søren Kierkegaard. AGOSTINO, vescovo di Ippona, dottore della chiesa. Nato a Tagaste, città dell’Algeria, è un autore che si colloca intorno al 354 d.C. Hannah si incuriosisce di lui poiché egli intuisce la forza del gesto di nascere, nelle sue opere lui fa riferimento al venire al mondo. Lui fu un teologo del male. Comprese il male. E Hannah lo farà a sua volta nella banalità del male. Cerca di tenere attive le due sfere vita attiva e vita contemplativa. Per lui la filosofia deve tenere insieme il pensiero, la contemplazione e l’agire. Dunque, Agostino divenne fondamentale per la sua antropologia filosofica. Da Agostino riprende la distinzione tra “inizium" e “principium”. Per Hannah, Agostino, insieme a Tommaso D’Acquino, fu colui che è stato capace di comprendere la condizione umana. Lei restò affascinata dalla concezione del male di Agostino, Perché per Agostino il male è causa deficiente, cioè assenza di bene, per Agostino il male allinea dove il bene è assente. Il male è assenza di bene. Dunque, Hannah parte da queste suggestioni per costruire la filosofia della nascita. Da Agostino impara a guardare al mondo pagano dei greci come una fonte ricchissima di suggestioni, Agostino, pur essendo cristiano, tentò, da filosofo, di tenere insieme la tradizione greca con quella cristiana.  Aveva un gusto teologico che le veniva da due fronti: 1. il fatto di essere ebrea 2 è un testo complesso, composito, che ha un’architettura molto complessa, analitica, che si apre con un’analisi dell’antisemitismo europeo, quindi cerca di capire le ragioni di questa avversione nei confronti degli ebrei. Ritiene che l’antisemitismo sia stato decisivo per il radicamento del nazismo in Germania e in Europa perché distingue l’antisemitismo  passaggio decisivo per il radicamento del nazismo in Germania, estremamente razzista e violento, e l’antigiudaismo  pregiudizio nei confronti di un popolo che aveva le sue regole e la sua cultura. In realtà Hannah dice che nel Diciannovesimo secolo succede qualcosa di diverso, l’antisemitismo comincia a prendere forma, l’ebreo diventa il nemico costruito a tavolino e questo processo di costruzione del nemico diventa necessario al nazismo per poter radicare. Lei riconoscerà come totalitari solo il comunismo e il nazismo, non fascismo perché lo considerava una dittatura, la scalata dei gruppi più colti che volevano prendere il potere; questo è un grande errore, perché cerca di fare la storica ma in questo fu fallimentare. Nei confronti dell’Italia ebbe un pregiudizio perché fece poche letture, lesse pochi testi, non si documentò abbastanza. Compie questo errore storico perché secondo lei il fascismo fu una sorta di folclore, cioè era un tentativo da parte dei fascisti di affermarsi alla nazione, quindi era l’espressione dell’élite. Lei, quindi, analizza le forme totalitarie (comunismo e nazismo) in una maniera molto lucida e ancora oggi ci da una serie di strumenti che ci consentono di riconoscere le macchine totalitarie, ad esempio la propaganda. Per lei le macchine totalitarie si mettono in movimento nel Novecento, non ci sono mai state prima, ci sono state le oligarchie, le dittature ma non le macchine totalitarie. Quindi si mettono in azione per tutta una serie di circostanze, economiche e culturali. Poi va ad individuare quelli che sono i tratti, quegli strumenti che rendono riconoscibile la macchina totalitaria, che assume solo ed esclusivamente il nazismo e il comunismo. • Processo di massificazione  gli esseri umani vengono trasformati in individui. Questi si realizzano anche attraverso la disintegrazione delle classi sociali. La società diventa società di massa, e nella massificazione gli esseri umani sono interscambiabili perdendo la loro unicità. • Uso del terrore e della violenza  non solo fisica ma anche psicologica. • Ideologia  di cui gli individui vengono come imbevuti. • Distruzione della sfera privata  i totalitarismi non si accontentano di controllare la vita pubblica, ma vogliono controllare la vita privata. Hannah in alcune sue opere insiste sulla difesa del privato. • Presenza di un capo carismatico  Hitler aveva un carisma personale. • Assenza di libertà Hanna ritiene che le macchine totalitarie siano un’espressione del Novecento, dal suo punto di vista distingue i totalitarismi e le dittature, tirannie, che non sono macchine totalitarie. Dice che la vita dura c’è sempre stata, però queste forme di sopraffazione dell’uomo sull’uomo avevano caratteristiche differenti perché non presentavano il ruolo della propaganda, eccetera. Quindi, le macchine totalitarie sono macchine nuove, affinché si possano mettere in moto ad esempio il ruolo della propaganda. Lei in questa opera cerca di smontare, pezzo per pezzo, queste macchine per capire come effettivamente funzionassero. È un’opera fondamentale sotto più aspetti, perché è un’eredità importante che ci lascia poiché ci da alcuni strumenti per difenderci dal male. È interessante la questione del Natality  perché alla fine della sua opera marca questo passaggio, le nuove generazioni sono l’antidoto al male totalitario, quando tutto è buio la speranza non viene dai vecchi, ma la speranza sono i giovani, i “ nuovi nati”. È quindi un’opera molto cupa perché analizza i mali del novecento, però poi la chiude con un’immagine di speranza perché insiste con questa chiave di lettura, ovvero ogni nascita è un inizio. Solo le nuove generazioni ci salvano quando il mondo è infestato dalle tempeste di sabbia. Secondo lei nel Novecento si erano polverizzate tutte le categorie tradizionali della politica, quei valori che avevo sempre pintellato la politica vengono a polverizzarsi, è collassata anche la cultura giuridica, si è sbriciolata l’etica, è andato in crisi il diritto; secondo Hannah si era polverizzata la politica che ci era stata tramandata dai greci. Quindi erano venuti a meno quei valori su cui si era costruita la civiltà occidentale. Questo comporta una responsabilità  in filosofia una delle domande fondamentali è che cos’è l’uomo, perché è diverso dagli animali  Hanna dice che nei campi di sterminio si andava a pensare cosa restasse dell’uomo dopo Auschwitz, perché l’uomo ha smesso di pensare da solo. Allora, tutti hanno fallito, la filosofia ma anche il diritto, la giurisprudenza, perché nei campi di sterminio si sono sbriciolate le maschere giuridiche. 4. The human condition - vita attiva  Nel 1958 considerata un capolavoro di antropologia filosofica, un testo formidabile, il tema che campeggia è le azioni dell’essere umano. Questa opera ci interessa perché nel capitolo V sull’azione, c’è la bellissima frase di Hannah “non siamo nati per morire, ma siamo nati per ricominciare”. Questa 5 opera è anche una riflessione sul fare scientifico, su come la scienza sta prendendo il sopravvento sull’umanità. Apre dei focus di lettura critica della modernità. Alla fine dell’opera ne viene fuori l’immagine di un uomo che vive nella società di massa come un alienato, condizionato dal mercato, dalla tecnica, dai processi economici. Però, soprattutto, la preoccupazione di Hannah è rispetto al fare tecno-scientifico, e quindi arriva la riproposta della domanda ontologica “Che cos’è l’uomo? Cosa resta della nostra umanità?” 5. La banalità del male  è un testo particolare perché raccoglie gli articoli che Hanna scrisse per una rivista di New York, seguendo il processo di Eichmann, il primo processo che vive alla sbarra un nazista in carne ed ossa. E lei vuole comprendere come quella macchina si fosse messa in moto, quindi raccoglie una serie di articoli, che videro la luce dopo due anni, e riuscì ancora una volta a fare un gran clamore perché si attira addosso molte critiche, fu un processo molto discusso questo di Gerusalemme, fu differente perché Israele porta per la prima volta alla sbarra un nazista. Quindi lei per la prima volta lascia gli Stati Uniti e arriva a Gerusalemme, scrive questi 5 articoli che poi diventeranno un libro, molto contestato che segnerà un passaggio cupo della sua esistenza e le arrivarono anche minacce di morte.La tesi del libro è che il male non è radicale ma allinea la banalità, chiunque può compiere il male. 6. On revolution - sulla rivoluzione  Nel 1963 pubblica un testo molto politico, e in questo testo lei si occupa dei grandi movimenti rivoluzionari, come la Rivoluzione Francese e la Rivoluzione Russa, Rivoluzione Americana. Va ad analizzare i movimenti rivoluzionari andando poi a riflettere su un grande tema filosofico, che è quello della libertà. Qua comparirà un bambino, il bambino Alba; si era innamorata di un’opera Virgiliana in cui compare l’annuncio di questo bambino, ci sono delle pagine molto belle in cui lei parlerà di questo bambino Alba, che porta speranza all’umanità. 7. The life of the mind - la vita della mente  un’opera postuma che viene pubblicata dopo la morte di Hannah grazie alla sua migliore amica che va a recuperare nel suo appartamento di Manhattan i fogli, i suoi appunti; perché quando l’infarto la stronca, lei stava lavorando a questa grande opera, che poi sarebbe diventata come una sorta di testamento filosofico. È l’opera più complessa, che rimase incompleta. NATI PER INCOMINCIARE Il Natality è una sorta di antidoto al male, ed è la categoria centrale del pensiero politico di Hannah Arendt, la categoria filosofica. Il Novecento per Hanna era stata una grande tragedia, perché si erano messe in moto le macchine totalitarie, e la loro azione aveva fatto andare in crisi i pilastri della società fondamentale, e quindi la civiltà occidentale era entrata in crisi, a causa di queste macchine e di quel male nuovo, quello che lei chiama la “banalità”. Però non dirà mai che il male è banale, parlerà solo di Banalità del Male. Di fronte al male delle macchine totalitarie c’era bisogno di qualcosa, e Hannah investe sul venire al mondo, sul Natality, la parola chiave della sua filosofia. • Ma Hannah si rende conto di aver edificato una nuova filosofia?  Probabilmente no, la scelta di investire nel Natality è una scelta inconsapevole, lei non si rende conto di aver costruito qualcosa di nuovo, mai visto prima. Si dice che la filosofia del Natality non è sistematica, è una filosofia affidata a delle immagini. Non c’è una teoria esplicita che la sostenga, non è organizzata in senso sistematico. Hans Jonas ad un certo punto in un suo scritto sosterrà che Hannah Arendt aveva, inconsapevolmente, lavorato sul Natality. Questo riferimento al Natality è molto spesso agganciato a delle immagini evangeliche, quindi quando lei ‘buca’ i suoi testi con il bambino, molto spesso lo fa passando da immagini evangeliche. Nonostante lei fosse atea, aveva un certo gusto per i filosofi cristiani, per il vangelo e la Bibbia. Quindi, la figura del bambino arriva a coltivarla proprio passando dalle immagini evangeliche. Ma non solo, alle volte questa immagine del bambino è agganciata alla poesia latina, classica. Queste immagini hanno una funzione di apologo, vanno a sottolineare al lettore che siamo ad un punto fondamentale dell’opera. Il Natality in teoria lo traduciamo come Natalità, ma è un termine intraducibile perché quando lo si traduce si perdono molte delle tematiche della lingua inglese. Nella lingua italiana non c’è un’immediata corrispondenza, ne di significato, ne di contenuti. Il termine Natalità non riesce a rendere le suggestioni della lingua inglese. Molti studiosi hanno tentato di ricostruire l’etimologia del termine, perché Hannah usa proprio il termine Natality? In inglese? 6 Nella sua tesi di laurea succede qualcosa di simile perché non compare Natality, ma lei non usa molto spesso i termini ‘Generazione, Generatività’ e quindi in questo senso, quella tesi di laurea ci offre già una prima suggestione. Il termine Natality comparirà in un suo appunto, in una sorta di diario che lei teneva, in cui annotava delle riflessioni filosofiche. Secondo alcuni studiosi il termine Natality le sarebbe stato suggerito da Martin Heidegger, sarebbe l’equivalente di un termine Heideggeriano, Anfang (inizio, in tedesco). - Questo termine, Anfang, effettivamente compare nei testi Heideggeriani, quindi potrebbe essere credibile, ci sono dei passaggi in cui Martin Heidegger usa questa parola. Però, utilizza il termine ma non sviluppa il tema dell’inizio, allora perché usa quel termine? Perché Heidegger in “Essere e Tempo” sta riflettendo sull’esistenza dell’uomo e, quando parla dell’esistenza, la chiude in due termini: Anfang da una parte e Tode (morte) dall’altra. Quindi l’esistenza dell’essere umano, incontra due limiti che vanno a chiuderla: l’inizio e la morte. L’esistenza umana ha sempre un inizio e ha sempre una fine. Non lo svilupperà mai il termine Anfang perché sarà sempre attratto dalla Tode, dalla morte. - Il Natality Arendtiano può esserle stato suggerito anche da un altro termine Heideggeriano, Geburtig (=nativamente, nascere). I tedeschi lo usano quando si chiedono ‘Dove sei nato?” Nel 1929 comincia a prendere forma il termine Natality, ma queste suggestioni le vengono non da Heidegger ma da Agostino d’Ippona, che ebbe per primo l’intuizione filosofica di investire teoricamente nel venire al mondo, il Natality. - Quando compare, quindi, il termine Natality ufficialmente?  Compare per la prima volta in un diario, in un appunto di Aprile 1952. In uno dei suoi diari intellettuali nella quale il lettore inciampa nei suoi appunti, questa è la esplicita intenzione di Hannah del venire al mondo. È un appunto singolare, perché questa idea del venire al mondo le viene suggerito da una musica, cioè l’Hallelujah di Handel. In uno di questi suoi primi rientri in Germania le capita di frequentare amici, andare a teatro, e in un’occasione si reca a un concerto di musica sacra, e si trova nella musica di Handel, un tedesco che aveva composto questa musica potentissima; Hannah ne resta come fulminata, torna a casa, prende il diario e appunta una breve riflessione in cui comincia a riflettere sul Natality, perché questo canto sacro si dedica alla nascita di Cristo. È la prima volta in cui Hannah mette nero su bianco la sua riflessione del venire al mondo, è la prima volta che questo bambino che ‘viene al mondo’ compare in un suo scritto. GEORG FRIEDRICH HANDEL  era un compositore tedesco del Settecento che però si era trasferito in Inghilterra. ad Hannah le capita di essere a monaco ed assistere ad un concerto di lui, se ne innamorò. - Per Hannah, i ‘nuovi’  sono coloro che salvano, che ridisegnano il mondo, quando il mondo sembra affidato a chi non ha più inizio, i vecchi. Nel Maggio del 1952 c’è una lettera di Arendt indirizzata al marito Heinrich Blucher, in cui dirà per la prima volta di aver capito il senso della frase ‘Ci è nato un bambino’ e da li in avanti comincia a riflettere sul venire al mondo. Questo perché nel 1953, un anno dopo, lei lavorerà ad un articolo, ‘ Ideologia e Terrore’  fu pubblicato su una rivista politica, The Radio of Politics. Hannah per la prima volta fare rifermentò alla nascita, dicendo che è ciò che ci salverà dalla desertificazione del mondo, facendo riferimento ai totalitarismi. Nell’Ideologia e Terrore ci sarà la frase ‘affinché ci fosse un inizio fu creato l’uomo’, frase agostiniana che appartiene ad Agostino d’Ippona. Ideologia e Terrore diventerà poi l’ultimo capitolo de ‘Le Origini del Totalitarismo’. Per Hannah il ‘venire al mondo’  non è solamente la nascita biografica, ma per lei è - evento politico  perché si che si nasce tra due, sono i genitori che ci mettono al mondo, ma per lei è un evento che riguarda tutti, in quanto siamo generati da altri uomini e e appariamo in quello spazio, tra, infra. Quindi, in questo senso, la nascita è un fatto pubblico, perché quando si nasce si diventa anche protagonisti della storia, la storia la si fa, si diventa protagonisti. - Il bambino che nasce non è mai un materiale  non è un prodotto, non è mai fabbricato, è un essere umano con la propria dignità che gli spetta - è la prima forma di agire dell’essere umano. Agire significa vivere tra gli altri, abitare il mondo. Con la nascita noi iniziamo, solo la nascita è fondante. - Colui che viene al mondo, per lei è unico  una creatura unica. Mette radici tra gli altri nel mondo nella sua unicità, e ha una capacità straordinaria, quella di innovare, di pensare il mondo sempre da capo. 7 tempo, una divinità ortica che andava a temporizzare gli eventi umani, il Dio del Tempo. C’è quindi un rimando religioso, una matrice orfica. L’orfismo è stato il più grande fenomeno religioso della Grecia antica. Si fa riferimento alla divinità di Orfeo. Era una religione particolare, regolata da un comandamento etico, aveva un ideale etico molto forte. Dice che il corpo va purificato, perché solo con la purificazione del corpo l’anima può volare. Dunque, chi nasce si sottomette alle leggi del Dio Kronos, lui vuole che il corpo si disfi. Lo stile  è prosastico, scritto in prosa, però è una prosa non piatta, ma poetica. Hannah Arendt, in realtà non se la prende con Anassimandro, ma con - PARMENIDE  perché secondo lei è con il grande Parmenide che la nascita si estingue. Lui era un grande filosofo dell’antichità, e colui che ha la paternità del passaggio dalla fisica alla metafisica. Mentre i primi filosofi sono dei naturalisti e sono attratti dalla natura, da Parmenide in avanti si comincia a considerare che questo mondo non sia quello vero, ma che ne esista uno perfetto, ideale, aldilà della materia. Dirà che quella che noi pensiamo la realtà materiale, non sia la vera realtà, che i nostri sensi ci ingannano, e aldilà di questo mondo sentito ci sia un vero mondo, Il mondo dell’essere. Lui, quando spacca la realtà, introduce la parola ‘essere’  si immagina questo essere immobile, fisso, statico, con una forma sferica; ma soprattutto per lui questo essere non nasce mai, in quanto eterno, cioè senza inizio ne fine. Hannah lo descrive come “il cuore che non trema dalla ben rotonda verità”, se lo immagina sferico perché per i greci la sfera è perfetta, senza inizio ne fine. Parmenide comincia a distinguere due mondi: 1. il mondo al di sopra, celeste (perfetto) 2. un mondo al di sotto, un mondo troso, degli esseri umani (materiale, imperfetto) 3. Distingue il mondo mortale 4. dal mondo divino. Hannah Arendt dobbiamo ricordarci che è atea, quindi per lei non esistono questi due mondi. Per lei gli esseri umani nascono nel mondo vero, nel mondo che è. Dice che il corpo non è una tomba, quindi bisogna superare la tradizione metafisica greca. Perché Teoria dei Due Mondi? Perché quando Parmenide mette in contrapposizione i due mondi, va a contrapporre il Thèorein alla Praxis, il mondo delle idee, della infinita contemplazione, al mondo della materia, a cui gli esseri umani appartengono. Quindi lei dice che Parmenide ci ha costretto a pensare che pensiero e azione siano distanti, che solo il conoscere contemplativo sia un’attività alta, e che invece l’agire dell’uomo non abbia alcuna nobiltà. Hannah Arendt con il suo bambino che viene al mondo, il Natality, si libera da millenni di storia della filosofia, rompe con la teoria dei due mondi, la sua intenzione è quella di recuperare l’essere umano, cioè una creatura imperfetta, con il suo corpo; vuole recuperare l’apparire. Infrange questo antico divieto Parmenideo, dice che il bambino che nasce viene dal nulla: è una provocazione perché i greci non concepiscono il nulla. E allora la bellezza del pensiero di Hannah: la nascita ci mette davanti a tutti, nel momento in cui si nasce ci si presenta al mondo, e allora la riabilitazione della nascita. Lei, dunque, sta smontando la filosofia pezzo per pezzo, perché secondo lei nonni può pensare l’essere umano come ci avevano imposto i greci come un mortale, ma come un natale, e quindi bisogna invertite sul Natality. Per comprendere l’uomo dobbiamo passare non dalla sua morte, ma dal giorno in cui viene in vita. - Hannah fa del Natality una categoria di pensiero, cioè per comprendere, per raccontare l’essere umano dobbiamo passare dal fatto che viene al mondo. Si inserisce, con il gesto di nascere, tra altri esseri umani, “ infra”. Ma perché sceglie proprio il Natality come categoria di pensiero?  Perché secondo lei con Auschwitz, con il Terzo Reich è successo qualcosa di enorme, ovvero tutte le categorie di comprensione dell’umano sono collassate. Non solo quelle filosofiche. I totalitarismi hanno sfigurato l’essere umano, ci impediscono di pensare l’essere umano nella sua bellezza. L’uomo è tornato ad essere un animale, una bestia, tutte le categorie e i valori sono andati perduti. Sente anche come un’esigenza quella di ripensare l’essere umano come un orrore dei campi dei concentramento. Quando lei parla di Natality intende le nuove generazione, i vecchi sono quelli che hanno distrutto l’essere umano. - Che cos’è la categoria in filosofia?  Perché l’operazione di Hannah Arendt nell’investire teoreticamente nel Natality è cosi eccezionale? Lei fa del Natality la categoria di pensiero, cioè per comprendere l’essere umano si deve 10 partire dal fatto che è una creatura che viene al mondo tra gli altri per abitarlo, e che quindi l’unica categoria di comprensione dell’uomo è il venire al mondo. - Perché questa sua teoria?  Perché la categoria del Natality non è mai stata utilizzata nella storia della filosofia, il Natality non era una categoria classica di comprensione del filosofo greco, ma poi c’è anche una comprensione più forte, cioè secondo lei il problema era che nei tempi bui (totalitarismi) il categoriale filosofico era collassato, l’eredità di Aristotele e dei filosofi antichi, fino a Kant, erano definitivamente collassati, distrutti. Lei dice che a metà del Novecento il filo della tradizione si è spezzato, le macchine dei totalitarismi avevano sfigurato l’essere umano, lo avevano de-responsabilizzato, nei campi di concentramento la storia si è spezzata, nei campi è accaduto l’orrore, l’uomo è stato precipitato in una condizione animale, quindi de-responsabilizzato, perché la sua coscienza si è annullata, l’uomo non aveva più questo dialogo interiore con la coscienza, con questo “amico” dentro di noi che ci aiuta a comprendere il male. Dice che la storia si è interrotta, proprio perché i valori umani sono andati perduti, e quindi il risultato è che c’è uno yato, un buco nella storia. L’uomo non può essere pensato con i vecchi strumenti della filosofia  perché l’uomo è cambiato, le macchine totalitarie lo hanno sfigurato, e l’uomo ha perso di spontaneità, è addomesticato, diventato prevedibile, cioè con le macchine totalitarie e le ideologie che hanno imbevuto l’essere umano, l’uomo è un animale addomesticato. Lei usa l’espressione di immagine “sinistra marionetta”, la coscienza è stata annullata, i valori sono andati perduti, eccetera. Poi dice che nei campi sono diventati simili ai cani di Pavlov, ridotti a un fascio di reazioni.  A causa di tutto questo, l’essere umano ha perso di unicità. Nei campi, che nelle origini erano dei laboratori scientifici a cielo aperto, i nazisti facevano degli esperimenti sull’uomo, e l’esperienza tragica dei campi di concentramento ha dimostrato che l’uomo può essere ridotto ad un animale, è un animale identico a tutti gli altri, in grado di ripiegarsi ai suoi bisogni corporei. E allora, una volta che accade tutto questo, l’uomo può essere eliminato, sostituito, controllato, massificato, proprio perché ripiegato sulla propria corporeità, preoccupato solo di dovere sopravvivere, quindi si annulla l’io morale, non solo tramite i campi, ma l’ideologia è il grande male, perché in queste condizioni i soggetti smettono di pensare. Allora dice lei che nell’Europa dei primi decenni del Novecento qualcosa è accaduto, qualcosa si è rotto, si è interrotto  Allora bisogna ricominciare da capo, se il volto dell’essere umano si è sfigurato, bisogna tornare a pensare l’uomo, riproporre l’antica domanda  che cos’è l’uomo? Però, l’essere umano non può essere compreso con gli strumenti vecchi della filosofia, perché quella filosofia aveva fallito per Arendt, quindi bisognava ricominciare da capo Lei non demonizza la tradizione filosofica, però ritiene che abbia fallito nei suoi compiti, e quindi gli strumenti di cui la filosofia e i filosofi si sono sempre avvalsi per definire l’uomo, non possono essere più riutilizzati, allora bisogna recuperare le cose buone della filosofia, della metafisica, le perle e i coralli, che giacciono nella tradizione della metafisica. Però è necessario ricominciare, quindi lei si mette in cerca di una nuova categoria, è per questo che comincia ad investire sul Natality, perché non è una categoria di matrice classica dei filosofi greci. Secondo lei l’uomo è un Natale, perché secondo lei solo pensando l’essere umano come una creatura unica, solo questo può salvarci dal puzzo di morte dei totalitarismi. - Come funziona una categoria?  L’espressione categoria in filosofia, deriva dal greco categoreo, significa io mostro, io indico, io affermo. Vuol dire anche mettere in chiaro. La categoria è l’attribuzione di un predicato ad un soggetto, le categorie hanno una funzione predicativa rispetto al soggetto di cui si parla. Le categorie precidano, ci danno riformazioni, ci dicono qualcosa in più rispetto al soggetto di cui si parla. È uno strumento che appartiene alla filosofia e che ci offre delle informazioni rispetto a qualcosa, delle informazioni in più. Dobbiamo immaginarle, le categorie, come accade nella lingua italiana, in cui il predicato verbale ci dice che cosa il soggetto sta facendo, l’azione; il predicato nominale ci da un aspetto qualitativo del soggetto, ci informa su delle qualità del soggetto, come è. Succede qualcosa di simile in filosofia quando usiamo la categoria. Partiamo dalla domanda ‘Che cos’è l’uomo?’  Le riposte possibili sono diverse: un mammifero, un essere vivente, essere razionale, mortale. Quando si dice che l’uomo è, stiamo usando delle categorie di comprensione, lo stiamo definendo, stiamo dando una definizione. Stiamo quindi usando delle categorie, il problema è che la categoria di 11 comprensione dell’umano è stata ‘L’uomo è un essere mortale’, la morte è stata usata come una categoria classica di comprensione, la categoria di eccellenza per comprendere l’essere umano. Quindi le categorie hanno una funzione, funzione predicativa, quindi assolvono ad un compito informativo, ci dicono qualcosa in più del soggetto di cui si parla; e anche una funzione ordinativa, cioè sono necessarie per mettere ordine nella realtà, per comprenderla. La parola categoria ci riporta a due grandi filosofi: Aristotele, il primo ad usare il termine; e Kant, che cercherà di rivedere i categoriali, a distanza di millenni. • ARISTOTELE  le categorie vanno riferite sempre ad enti concreti e ci dice che le categorie sono i modi di essere della realtà. Perché sono degli strumenti che consentono di spiegare la realtà, molto complessa, quindi ci sono diversi modi per definire e comprendere la realtà. Quindi le categorie per lui, in filosofia sono necessarie, perché la realtà è complessa, va messa in ordine e proprio per questo, l’essere della realtà si dice in molti modi. Qua, con questa frase, Aristotele sta pestando i piedi a Parmenide, perché per lui l’essere era uno, la realtà era statica, immobile. È un’affermazione interessante perché ci dice che la realtà contiene molti significati, il mondo che ci circonda dice che è vario, comprendenti oggetti, le piante, gli odori, i colori, i sapori, i suoni. Le cose che sono, sono tante, la realtà è complessa, composta da una pluralità di enti, di cose. Per cui, per definire un ente, sono necessarie le categorie, proprio perché la realtà è complessa, e quindi abbiamo bisogno di più categorie, che saranno poi messe in azione dal giudizio. Lui introduce 10 categorie, che sono delle classi molto ampie, la più importante di tutte è la sostanza, e poi a seguire tutte le altre, tra cui qualità, quantità, relazione, eccetera. Dice che la realtà è complessa, non possiamo comprenderla solo con una categoria, ma abbiamo bisogno di tante categorie, abbiamo bisogno di avere a disposizione tanti strumenti informativi.  Perché la sostanza è la categoria più importante?  Perché è ciò che sta sotto, sotto l’apparenza delle cose.  Alla domanda ‘Che cos’è l’uomo?’  Aristotele risponde che l’uomo è un essere sostanziale. Tutte le altre categorie, poi dipenderanno dalla sostanza, e non possono stare in piedi da sole.  Lo scopo della filosofia  per Aristotele è di comprendere ciò che è oltre l’apparire delle cose, ciò che sta sotto, quindi individuare il modo in cui quel qualcosa è. • KANT  nel 1700 rivisitò i categoriali di Aristotele, rivedrà quelle 10 categorie che avevano resistito attraverso i millenni. Lui era un filosofo tedesco, nato nella città di Koenigsberg, ma era anche un matematico, aveva studiato la fisica di Newton. Con lui si apre la stagione critica della filosofia, quindi quello che noi chiamiamo criticismo. Kant è un filosofo interessante perché ci da un’immagine di uomo potente e debole, cioè per lui l’uomo ha la ragione, però, al contempo, la conoscenza umana è limitata. Quindi un pensatore nuovo, razionale; perché da una parte recupera la tradizione, investe sull’immagine di uomo come essere razionale, però nello stesso tempo ci dice che l’uomo ha dei limiti, e ce lo spiega bene in una delle sue opere più importanti, ‘La critica della ragione pura’, un’opera del 1781, e poi a seguire con ‘La critica del giudizio’ completerà il suo sistema filosofico.Lui dice che, si, l’uomo è un essere razionale, ma la ragione ha dei limiti e deve essere utilizzata correttamente, e l’essere umano deve, dunque, essere consapevole che la sua ragione non può conoscere tutto, quindi ha dei limiti; e deve essere consapevole che non tutte le sue domande potranno avere risposta; il suo uomo vuole che ci sia Dio. Quindi l’essere umano di Kant per conoscere si deve affidare alla facoltà del giudizio e all’uso delle categorie, perché solo in questo modo può arrivare ad un conoscenza vera, compiuta, universale. La concezione di Kant delle categorie è diversa da Aristotele, perché  per lui hanno lo scopo di unificare il molteplice, dice che attraverso i sensi noi percepiamo i fenomeni per come ci appaiono, però questo fenomeno deve essere poi in qualche modo pensato dalla ragione, bisogna riconoscerlo, e quindi entra in gioco l’intelletto. Il problema è che deve maturare una conoscenza, che può aversi solo attraverso le categorie, perché l’intelletto per fare ordine ha bisogno delle categorie. Kant va ad individuare 11 categorie, e dice che una ha una funzione diversa da Aristotele, perché per usare le categorie c’è bisogno dell’io penso, e quindi per lui le categorie non costituiscono i modi di essere della realtà, ma sono gli strumenti di cui “l’io penso” si serve per conoscere e comprendere la realtà. THE HUMAN CONDITION - VITA ATTIVA Una delle opere più riuscite e più celebrate di Hannah Arendt. Pubblicata nel 1958 con un editore statunitense. Negli Stati Uniti perché Hannah nel ’41 si rifugia negli States a seguito delle leggi razziali in Germania. Quindi, nel 41 approda a 12 2. L’uomo è dotato di parola (Zoon Logon)  L' uomo è politico ed è capace di parola. Aristotele ci dice che l’uomo è un animale razionale, una creatura razionale, dotato di Logos (=parola), è un essere che parla. L’uomo parla perché possiede un corpo che glielo permette, perché possiede un apparato fonatorio, perché è capace di muovere la lingua, è dotato di un corpo adatto per parlare. L'uomo non è semplicemente un animale che emette i versi, ma attraverso il dialogo l’uomo tesse relazioni e investe queste relazioni di significato attraverso il Logos che crea, edifica, la polis, quindi questo spazio collettivo e relazionare in cui vivere con gli altri Queste due definizioni sono incatenate una all' altra, non possono essere separate. Non c’è politica senza la parola. Gli essere umani devono vivere insieme, ma per vivere insieme devono anche parlare. Gli uomini non si possono definire “uomini” se non comunicassero tra loro, se non vivessero tra di loro; il vivere assieme è determinante per Aristotele, così come è determinante parlare insieme, la parola è fondamentale per la nostra umanità, perché grazie alla parola noi possiamo distinguere, riconoscere, dare un nome al bene come al male, attraverso il dialogo con gli altri noi ci interroghiamo sui valori da darci nella Polis, nel vivere insieme. Aristotele usava questa frase: “L’ uomo è più di tutte le api”, proprio perché possiede il logos. Hannah Arendt è molto intrigata, sedotta dall'etica aristotelica; nella Vita Attiva i rimandi ad Aristotele sono continui, e quindi parte proprio dalle due definizioni di uomo che Aristotele aveva dato, e lavora su queste due definizioni. - Arriva a riflettere su quel concetto aristotelico di “fare comunità”, di costruire una comunità attraverso delle relazioni dialogiche. Dunque, lei pone la questione a livello antropologico. (Antropologia è una disciplina che nasce insieme alla filosofia ai primi del Novecento, che riporta l’attenzione sull' uomo e si pone il problema dell'identità umana “chi è l’uomo?” Come è possibile definire l’uomo?) Secondo la Arendt era un tema che si era fatto urgente in filosofia, perché la scienza stava decidendo il “Chi” dell’uomo, e questa la risposta al “Chi è l’uomo?” sembra essere sempre più delegata alla scienza. La definizione che la scienza ci offre dell’uomo è un po’ problematica, perché l’immagine che ne viene è quella di un organismo biologico, quindi di un organismo animale, “un mammifero”. Hannah vuole trovare una definizione di “essere umano” che esca fuori dai parametri della scienza. Per lei l’uomo è un Natale, è colui che nasce. Ma, come è possibile andare a definire l’uomo? Da cosa si deve partire per andare a definire l’uomo?  Hannah Arendt ritiene che l’essere umano possa essere osservato, studiato a partire dalle sue azioni, le sue azioni ci raccontano come esseri umani; quindi ritiene che sia, filosoficamente ma anche politicamente, un’operazione dovuta il riflettere sull'uomo in quanto agente, come colui che agisce. Dunque, Vita Attiva è proprio lo sforzo della Arendt di riflettere sulle azioni dell'essere umano. L' uomo è colui che agisce, colui che nasce che è la prima azione dell’uomo. Hannah Arendt non usa mai l’espressione “natura umana”, perché un concetto troppo generico che ci viene dalle scienze, e quindi preferisce parlare di Condizione Umana. Lei sente come esigenza la necessità di interrogarsi sul “Chi” dell’uomo, l’emergenza di valutare l’agire umano e di studiare l’essere umano a partire dall’agire, così come sente emergenza filosofica e politica quella di tornare ad interrogarsi sulla posizione originaria dell’essere umano, e quindi tornare a riflettere sul primo posizionamento dell’uomo nel mondo: la Nascita. In Vita Attiva, quindi, investiga l'essere umano come un essere speciale in funzione del fatto che nasce, appare con il suo corpo agli altri, si mostra agli altri, e per il fatto che è politico. L'animale vive in una maniera passiva, l'uomo vive in maniera attiva. - La questione della pluralità  è molto importante, è un termine chiave per comprendere Vita Activa. Hannah Arendt dice che gli uomini nella loro pluralità abitano la terra, vivono nel mondo. La pluralità è la pre-condizione della nostra umanità, se noi non stabilissimo relazioni con gli altri, saremmo precipitati in una condizione animale; senza gli altri noi non potremmo agire, non potremmo neppure nascere. Noi abbiamo bisogno degli altri. Vita Attiva 15 è quindi una riflessione sull'agire umano. Proprio perché l'essere umano è complesso, anche le sue azioni sono complesse, quindi l'uomo agisce in molti modi diversi, l'uomo lavora, fabbrica, produce, vive con gli altri. Comincia qua ad introdurre questo concetto tripartito di azione: Lavorare (Labour), Operare (Work), Agire (Action)  TRIPODE ARENDTIANO, UN AGIRE TRIPARTITO  Gli essere umani fin dalla nascita entrano in rapporto con le altre persone, quindi agiscono, ma lo fanno in molti modi diversi: lavorano, fabbricano. Non sempre queste relazioni sono autentiche, perché l'agire autentico per eccellenza è la pluralità. Hannah Arendt dice: “Con il termine Vita Activa propongo di designare tre attività umane fondamentali: agire, operare e lavorare. Esse sono fondamentali perché ognuna corrisponde a delle condizioni di base in cui la vita sulla terra è stata data all’uomo.” Qui Hannah ci sta dando delle spiegazioni di quella locuzione latina “Vita Attiva”, e ci dice che con questo termine propone di designare tre attività umane fondamentali. Attività fondamentali perché ognuna corrisponde a delle condizioni di base in cui la vita sulla terra è stata data all’uomo. Quindi lei dice che l’uomo agisce, è attivo, ma le sue attività sono molto complesse, perché la vita umana si esplica in molti modi diversi. L’uomo agisce perché si deve tirare fuori dalla natura, non potrebbe sopravvivere nella natura, gli mancano gli automatismi, come gli animali che hanno gli istinti per vivere nella natura, l’essere umano è privo di questi automatismo e quindi si deve attrezzare, costruire un mondo suo. Come lo costruisce?  Lo costruisce attraverso il lavoro, la fabbricazione e l'opera. Gli uomini per portarsi fuori alla natura costruiscono il proprio mondo cercando di trasformare la terra naturale, costruiscono un mondo più “artificiale” più consono alle esigenze degli esseri umani. Ma il problema è che la vera vita degli esseri umani non è nel lavorare, e neanche nell’operare, ma si realizza anzitutto tra gli altri. Quindi è vero che l’uomo deve circondarsi di oggetti, le cose ci sono necessarie per sopravvivere, ma più importanti sono le relazioni. Riflessioni sulle singole attività: • Labour (=lavoro, in italiano)  Questa tripode dobbiamo immaginarla come una piramide, in cui alla base c’è il Lavoro, con cui l'essere umano si garantisce la propria sopravvivenza. Il lavoro è legato ai bisogni strettamente corporei dell’essere umano. • Work (=operare, in italiano)  Con l’operare, l'uomo si circonda di cose (i tavoli, computer, abiti), è un’attività più nobile, perché nel suo mondo c'è bisogno di opere, di cose, di manufatti, perché queste cose consentono agli esseri umani di compensare alla propria carenza biologica. Noi riusciamo a vivere nella natura grazie alle nostre difese, ad esempio gli abiti quando fa freddo. Quindi queste cose, manufatti ci semplificano il vivere. • Action (=agire, in italiano)  È l’azione in cui l'uomo si realizza in quanto uomo, l'uomo entra a contatto con gli altri uomini, e impara ad abitare la terra con gli altri, a condividerla; impara a comunicare con gli altri. In questa condizione gli oggetti non ci sono più necessari, poiché quando mi relaziono agli altri non ho bisogno degli oggetto, in realtà la nostra umanità si realizza con la relazione. E con la relazione divento cittadino, colui che vive in comunità. Questo termine (cittadinanza, colui che vive in comunità) risale ai greci, anche ad Aristotele. Il cittadino è libero. E quando lavora e opera l'uomo non è libero come invece quando agisce. L'essere umano non è il lavoratore come dice Marx, poiché quando l'uomo lavora non è libero, ma è libero solo quando è capace di agire con gli altri, capace di incontrare gli altri, è politico. Quindi, quando si realizza lo Zoon Politikon. Ma cosa si nota in questa tripode?  Si nota che Hannah utilizza due termini per indicare il lavoro: Labour e Work. Quindi si nota una distinzione insolita nel lessico Arendtiano (insolita per noi), ma ad esempio non è insolita per gli anglofoni, perché noi con la lingua italiana abbiamo un po’ perso questa distinzione, una distinzione antichissima che risale ai greci, perché loro distinguevano tra il lavoro fisico, corporeo (che veniva assegnato allo schiavo), e il lavoro più dignitoso dell’artigiano, quello delle mani  In inglese, Labour  è usato per indicare tutte le attività in cui c’è una fatica enorme, ad esempio viene usato per indicare il parto, il travaglio, le doglie. Una sofferenza psichica 16  Invece, Work  lo usano in maniera più generica. Per Hannah bisogna tornare a distinguere queste due attività Labour (lavoro fisico e corporeo) da una parte, Work (operare, con cui ci sporchiamo le mani) dall’altra. • LAVORO  Con il lavoro l'uomo semplicemente sopravvive, si garantisce la sopravvivenza. Lavorare per Hannah Arendt non può raccontarci in quanto esseri umani, in quanto uomini, il lavoro, che è una forma di agire. Però, l’azione del lavorare non ci dice tutto l’uomo, ci dice qualcosa dell’uomo, come l’uomo sopravvive. Secondo lei, quando lavoriamo non siamo ancora fuori dall’animalità, ma quando lavoriamo siamo degli Animal Laborans. Il lavoro è indispensabile all’essere umano, perché gli assicura la sopravvivenza, però il lavoro non realizza l’essere umano. Si arriva a questa definizione anche perché ad Auschwitz, sui cancelli c'è scritto Il lavoro rende liberi, e proprio da qui Hannah Arendt si interroga sul lavoro. Dice che il lavoro ha la particolarità di non lasciare traccia dietro di sé, semplicemente con il lavoro io mi procuro quello di cui ho bisogno, e consumo. Il lavoro non può riscattare l’uomo, perché quando siamo lavoratori, siamo in fondo qualcosa di simile agli schiavi, dobbiamo usare il nostro corpo per procurarci quello di cui abbiamo bisogno, e poi i bisogni li consumiamo, quindi questa fatica non lascia dietro nessuna traccia, sono solo prodotti che vengono consumati. Al lavoro, Hannah Arendt fa corrispondere una condizione umana esistenziale, che è quella del possesso della vita, cioè in questa dimensione io posso dire “Sono vivo, ho una vita” e in quanto tale devo sopravvivere; ma quello del vivere è un semplice possesso animale, e io mi devo procacciare il cibo, esattamente come gli animali. I nazisti riducevano gli esseri umani a diventare delle larve, costringendoli ad un lavoro disumano, quindi gli uomini volevano solo sopravvivere non c’era neanche più il problema di distinguere il bene dal male, erano animali condannati a lavorare che dovevano semplicemente sopravvivere. • OPERARE  È un'attività più nobile, rispetto al sopravvivere, al lavorare. È un’attività che si esplica con il creare degli oggetti, con il fabbricare degli oggetti. Non solo al lavoro dell’artigiano, ma anche quello dell’artista; tutte quelle cose che ci servono per apprezzare il mondo in cui vivere. Quindi operare significa proprio fabbricare degli oggetti, il risultato della nostra mente e mani. E noi, attraverso le cose che creiamo ci circondiamo di oggetti e cominciamo a costruire un mondo artificiale in cui andare a vivere. Qui Hannah dice che non siamo più di fronte a dei prodotti di consumo, mentre il lavoro non lascia traccia dietro di se, perché ciò che realizzo con il mio lavoro poi lo consumo, qui non si parla più di consumazione, ma di uso. Tutti gli oggetti che fabbrichiamo sono destinati all’uso. Gli oggetti fabbricati hanno la caratteristica di durare nel tempo, di durabilità. Tutto ciò che noi fabbrichiamo durerà nel tempo. Per paradosso, gli oggetti che l’uomo fabbrica conquistano una sorta di indipendenza rispetto all’essere umano, rispetto all’uomo che li produce, e questo fa si che il mondo artificiale si stabilizzi, che cambi di forma. Il lavoro è espressione dell'Animal Laborans, in una natura sempre uguale a se stessa; mentre nel caso dell’operare siamo di fronte all’Homo Faber, che produce in un mondo relativamente stabile. Mentre alla prima attività faceva corrispondere il possesso della vita, a questa seconda attività fa corrispondere un’altra condizione esistenziale, che lei chiama Essere nel Mondo, come dire che l’uomo prende già consapevolezza di essere speciale. Mentre con il lavoro possiede semplicemente la vita, con l’operare prende consapevolezza di essere qualcosa di più, di essere nel mondo. In questa seconda dimensione, quella dell’opera Hannah dice che l’uomo fa un salto di qualità, perché per esempio le grandi civiltà scaturiscono proprio dall’opera dell’uomo, la civiltà fiorisce, in una dimensione operosa, creativa, quindi le civiltà dipendono non dall’attività lavorativa, ma dipendono dall’operare. Lavorare ed operare sono entrambi strumenti che l’uomo ha di controllo della natura, pero Hannah dice che l’operare ha una dignità più alta, ed è la dimensione in cui fioriscono le civiltà. Perché Hannah Arendt non si ferma a questo secondo step dell’operare? Se è un’attività creativa, che implica che l’uomo metta in campo la sua intelligenza, la sua creatività, i suoi talenti; perché la sua antropologia non si chiude con l’attività dell’Homo Faber? - Perché lei fa una bellissima riflessione sulla solitudine  Sia nel lavorare, che nell’operare il rischio è quello della solitudine, l’uomo può lavorare da solo, il più delle volte lavora da solo, perché non ha bisogno degli altri per fabbricare quello di cui ha bisogno, ma solo di se stesso. E, anche la solitudine è un rischio che si corre nell’operare, un artista può creare da se; l’operare si porta dietro sempre una certa solitudine, addirittura un isolamento, estraneità. Nella solitudine noi possiamo realizzarci come esseri umani, possiamo lavorare da soli, ma non potremmo mai, nella solitudine, realizzarci come esseri umani, perché nella solitudine noi non siamo mai politici. 17 Da queste riflessioni sull’agire di Vita Attiva ne vengono fuori più spunti di riflessione: Per lei l’azione è l’agire di concerto, poi di riflesso ne viene anche una concezione politica, perché per lei ad agire non può essere solo uno nella Polis, ma deve essere sempre una pluralità; come ne viene sempre fuori che in ambito politico non ci sono oggetti, le relazioni umani sono sempre relazioni dirette in cui non interferisce la mera materia. - Per cui le sue riflessioni sull’agire sono molto complesse  è agire libero, significa dare vita a qualcosa di nuovo, significa dare inizio all’impensato e all’imprevedibile. Queste diventeranno poi le basi della sua concezione politica, della sua teoria dell’agire. Il male di tutti i mali, per lei, è un inciampo linguistico: la confusione tra due parole greche antiche, due parole che preservavano la libertà dell’essere umano, Achein e Prattein, e che invece in filosofia sono state mescolate insieme, con il risultato che l’uomo è stato impoverito, dequalificato. CAPITOLO “IL LAVORO” DI VITA ATTIVA Hannah Arendt dice che a questo punto le tocca criticare Karl Marx, però, precisa che questo per lei è un compito spiacevole, quindi, rivolgendosi al suo lettore, lo allerta che la sua non vuole essere una critica distruttiva delle teorie Marxiane, ma una critica costruttiva, una critica rispettosa di Karl Marx.Poi, aggiunge, richiamando una citazione che non è sua: “Certamente eviterò di unirmi ai detrattori di un gran uomo, quando il caso vuole che io sia d’accordo con loro su un solo punto, comincio a diffidare di me stesso, e per consolarmi di essere, anche per un instante del loro parere, ho bisogno di sconfessare e di biasimare, per quanto mi è possibile, questi falsi alleati.” - Quindi lei dice, che a questo punto del suo lavoro, le tocca unirsi ai detrattori di questo grande uomo. Dunque, la critica che lei muove a Karl Marx, pur essendo lei una chiara anti-marxista, è consapevole, al contempo, che Karl Marx è stato un grande filosofo, un grande lettore della realtà di allora, un filosofo attento ai problemi dell’essere umano; lui cerca di fare della filosofia una filosofia pratica, concreta, che vada a risolvere problemi dell’umanità, in tempi bui in cui la misera, la povertà, lo sfruttamento sociale si imponeva come una questione di giustizia. Detto ciò, in Vita Attiva c’è un aspetto molto importante: - c’è questa riflessione sull’essere umano che non è come un prodotto, e quindi anche una riflessione sul fatto che il bambino, la nascita non è produttiva, il bambino non è un prodotto, ma ogni nuova nascita, per Arendt, è un evento miracoloso, inatteso che va a rompere con la fabbricazione, quindi va a rompere il circolo dell’operosità. Per cui, in questo capitolo si può ricavare questa riflessione Arendtiana, che resta un po’ negli impliciti, in sotto traccia, cioè che gli esseri umani non sono materiali. Questa definizione dell’uomo che ha valore per se stesso, e non per quello che produce, la porteranno molto lontano da Karl Marx, e in particolare la porteranno a scollarsi la materialismo di quest’ultimo. Chi era KARL MARX?  Era un filosofo tedesco di origini ebree, però, dal punto di vista filosofico era una personalità piuttosto complessa , era un giurista, era un sociologo ed era un economista; dunque, una personalità molto sfaccettata e complessa. Ci sono dei motti, delle frasi di Karl Marx che sono passate alla storia, e che in qualche modo lo identificano, lo raccontano. Per esempio: “Proletari di tutto il mondo, unitevi.”; che era un’esortazione alle masse proletarie povere di fare forza. “Senza pane non c’è anima.”; se non si mangia, non si può neanche nutrire lo spirito, e quindi avere dignità. Dunque, noi lo conosciamo come il teorico del comunismo. Questo manifesto del partito comunista che lui stese insieme all’amico Engels, fu pubblicato a 4 mani con l’amico Engels, e siamo quindi a cavallo di quei secoli, in cui la società chiama a se le forze migliori per risolvere i problemi di allora, anzitutto la miseria. - in questo manifesto, la parola proletario e proletariato sono delle parole chiave, decisive all’interno dell’ideologia comunista, infatti nel manifesto del comunismo si inciampa proprio nel motto “Proletari dei tutto il mondo, unitevi.” Partiamo proprio da questo termine, che si lega molto alla filosofia del Natality di Arendt. - Proletario  è un aggettivo che deriva da una parola latina proletarius, ed è curioso il collegamento tra la parola proletario e la parola Prole (=figli). Nell’antica Roma, i proletari erano coloro che venivano censiti solo per la loro prole, per la loro persona; i romani parlavano di Captecensi, tutte quelle persone che non disponevano di averi, ma avevano figli, il proprio caput, la propria persona, che venivano censiti dai romani per Capo. Quindi, proletari erano tutti coloro che non disponevano di beni materiali, ma che come ricchezza possedevano solo i figli.I romani 20 parlavano di Sesta Classe, quindi coloro che non possedevano niente, no. Avevano beni, averi, e che la cui unica risorsa, ricchezza era rappresentata dalla Prole, figli. Karl Marx riprenderà questo termine nel famigerato manifesto del comunismo, e comincerà ad utilizzare questo termine antico latino, per indicare la classe lavoratrice, i lavoratori. Coloro che non possedevano niente. Per cui, prolteraius comincia ad entrare proprio nel lessico della filosofia Marxista, quindi per semplificazione va ad indicare tutti i lavoratori, tutti gli operai, coloro che non erano proprietari di mezzi di produzione, e che quindi non possedevano niente; che vivevano unicamente del lavoro delle proprie braccia, del lavoro del proprio salario, cioè di quel salario che gli veniva corrisposto in cambio della forza lavoro. Ma lui fa un’operazione in più:  associa questo termine alla forza lavoro, a quella classe sociale che davvero non disponeva di nulla, non disponeva dei mezzi di produzione, viveva della forza delle proprie braccia, e la cui unica ricchezza era costituita dai propri bambini, perché erano forza lavoro, venivano sfruttati nelle fabbriche per produrre “ricchezza”. Dunque la Prole, che era una sorta di potenziale di forza lavoro. La Prole, per Arendt, diventa un problema politico, perché in quanto problema da risolvere, era poi molto intrecciata alla teoria del comunismo. - Hannah Arendt  usa l’espressione del Natality, ed è sempre sembrato una sorta di risposta a Karl Marx, una sorta di contro canto al proletariato Marxiano; una risposta all’antropologia di Karl Marx. E lei dice: “l’essere umano non è un prodotto, non è mera forza lavoro.” Quindi, in questo senso, in vita attiva comincia a costruire questa filosofia del Natality, che per lei è anche un modo per prendere le distanze da Karl Marx, anche lessicalmente. Il materialismo storico di Karl Marx, secondo Hannah Arendt, aveva stravolto l’immagine di uomo; perché Karl Marx, che andava in scia al positivismo, aveva cominciato ad introdurre una nuova antropologia, una nuova immagine di uomo. Chi è l’uomo per Karl Marx?  Per lui l’essere umano non è più un’entità spirituale. L’uomo è materia, è una creatura che sente i propri bisogni corporei, che sente la propria corporeità e che ha bisogno di soddisfare i propri bisogni corporei: innanzi tutto la fame. - Però, secondo Hannah Arendt  l’antropologia Marxiana si porta un che di negativo, perché di fatto, Marx va ad enfatizzare i bisogni corporei dell’essere umano, gli aspetti materiali dell’essere umano. Quindi, di fatto, Karl Marx fa dell’essere umano una cosa, una cosa materiale, perché ripiegato sui suoi bisogni, sulle sue esigenze, e quindi sulla sopravvivenza, sulla necessita di sopravvivere. E in effetti, per Karl Marx, senza pane non può esserci anima; prima viene il soddisfacimento dei bisogni, e poi l’uomo può vedere alla sua anima. Quindi, dice Hannah Arendt, nell’antropologia Marxiana, anche il concetto di vita viene stravolto, perché la vita di cui ci dice Karl Marx, è una vita materiale. L’esito di questa antropologia Marxiana è  che l’uomo, in questo senso, è necessitato a soddisfare i propri bisogni, anzitutto la fame, e quindi gli è necessario il lavoro; l’uomo deve essere un lavoratore, che altrimenti, senza lavoro delle sue braccia non potrebbe sfamarsi e sopravvivere, e quindi, inevitabilmente, si arriva a pensare l’essere umano come un prodotto del suo lavoro. - Per Hannah Arendt  questo ha un che di problematico, perché se io arrivo a pensare l’essere umano come un qualcosa che ha bisogno di soddisfare solo i propri bisogni, ne resta stravolto anche il modo in cui io guardo l’altro, e il modo in cui mi relaziono; perché se accogliamo l’antropologia di Karl Marx entriamo nell’ottica che tutte le relazioni che noi essere umani andiamo a tessere, sono relazioni meramente produttive, relazioni sociali legate alla nostra capacità di produrre. Quindi Hannah Arendt dice che per Karl Marx noi siamo il nostro lavoro. C’è un’immediata identificazione, nelle teorie Marxiane, tra uomo e lavoro. La nostra umanità dipende dalla nostra capacità produttiva. Quindi, da qui, l’atteggiamento critico di Hannah Arendt, che in Vita Attiva si chiede: ma una simile antropologia possiamo accoglierla? “L’uomo è un lavoratore”: noi siamo veramente questo? Siamo solo questo? Quindi ripropone la domanda “Chi è l’uomo?” Ma non si accontenta della risposta che aveva dato Karl Marx ai tempi, ovvero che l’uomo è colui che lavora. 21 In Vita Attiva affronta la questione lavoro perché si sta interrogando sulla differenza tra Work e Labour, sta riflettendo sull’agire umano; quindi deve necessariamente passare dalla questione lavoro, perché il lavoro è una forma di agire umano. - Quindi si chiede se il Lavoro può essere davvero la misura dell’essere umano, se ci può dire il valore dell’essere umano; la risposta è No. Per lei noi siamo molto di più, siamo Natali, creature che nascono per rinnovare il mondo, per progettare il mondo. Non per produrre, consumare, né che si devono preoccupare solo dei propri bisogni e della propria sopravvivenza. Per cui, lei arriva a Marx perché sta riflettendo sull’agire umano. Il lavoro è una forma di agire dell’uomo. Però il lavoro non può definirci come essere umani, perché noi si nasce, siamo creature nate, e quando veniamo al mondo non siamo solo destinati a soddisfare i bisogni. Siamo negli anni Cinquanta e sappiamo che il mondo era diviso in blocchi: da una parte c’era il blocco comunista e dall’altra c’era il patto atlantico. Quindi, queste sue opere si insinuano nella Guerra Fredda. Tutto questo le guadagna una certa impopolarità; per anni lei non sarà letto in Francia perché era Marxista. Quindi lei arriva a ragionare su Karl Marx e a criticarlo perché sta costruendo la famosa Tripode, in scia all’etica Aristotelica. - Quindi, lei vuole dirci che lavorare non è agire; fabbricare non è agire. Con il lavoro soddisfo i miei bisogni necessari ma sono ancora in una condizione animale; con l’opera costruisco oggetti, che mi sono necessari per creare il mondo artificiale, e quindi sottrarmi alle insidie della natura; ma anche l’attività febbrile non è, evidentemente, un agire autentico. Marx, nella sua teoresi compie un errore 1. non distingue queste tre attività (Labour, Work, Action), ma le confonde, le impasta, ne perde i margini. Confonde i processi naturali con la fabbricazione e l’azione. 2. Non solo, secondo Arendt, lui commette un ulteriore errore, più grave: è vero che Karl Marx vuole riabilitare la Praxis, l’agire pratico, ma costruisce una sorta di filosofia violenta, che inneggia alla violenza. Quindi la riabilitazione dell’agire pratico in lui ha una deriva, perché nel progetto Marxista la violenza è necessaria; l’agire pratico sfocia in un atto di violenza, la violenza sarebbe necessaria per costruire un mondo giusto ed edificare l’uomo autentico. Questa rivoluzione violenta di Karl Marx, ad Hannah Arendt la portava lontana da lui. Dunque, tutta Vita Attiva può essere letta in chiave anti marxista. Però, non dobbiamo fraintenderla, perché è vero che Hannah Arendt fa i conti con le antropologie che ne vengono dalle teorie Marxiane, pero lo contestualizza, si rende conto che quella filosofia era l’esito di una società che aveva delle emergenze, delle urgenze sociali. Quindi vede anche gli aspetti positivi della teoresi di Karl Marx - comprende che lui tenta di rispondere ai problemi di allora, e quindi anche affida alla filosofia dei nuovi compiti: la filosofia deve cambiare il mondo. Quindi Hannah è consapevole di una certa bellezza della teoresi Marxista, però, in Vita Attiva gli muove delle critiche molto lucide, che abbiamo visto sopra. In quanto Natali noi non siamo solo il nostro lavoro; il lavoro ci è necessario, ma noi siamo di più di quello che facciamo per vivere. LA METAFORA D’INFANZIA Hannah Arendt costruisce il suo corpus filosofico sul bambino, sull’infanzia, sul venire al mondo. Questa è una scelta che va in contro tendenza alla filosofia, perché la filosofia non si è quasi mai occupata di bambini, quasi mai utilizza l’esempio del bambino, e quindi la filosofia ha da sempre rimosso il desiderio d’infanzia. • Infanzia  noi usiamo questi termini (infanzia, bambino), però non ci interroghiamo mai su quelle semantiche che vengono conservate da queste parole. Infanzia è una parola che ha a che fare con un verbo latino molto antico, cioè fari, che vuol dire parlare, profetare, che nello specifico deriva da infants, un’altra parola latina che ci sposta di significato, perché significa muto, restare muti.Quindi, perché i latini usavano il termine “infanzia”, associandolo al mutismo? Per indicare quell’età in cui non si è in grado di parlare bene; il bambino è una creatura che non padroneggia la lingua, non è in grado di parlare bene. • Bambino  deriva dal greco, bambaino, o bambalein. Due parole greche che significano balbetto, perché indicano la balbuzia. 22 politica solo con la saggezza. La saggezza è una bella cosa, ma si rischia che poi diventi conservazione, e quindi status quo. BARIONA O IL FIGLIO DEL TUONO – Jean Paul Sartre Un testo non Arendtiano e non di Agostino, assolutamente si muove nella linea Arendtiana, peccato che questo testo sia stato scritto circa 20 anni in anticipo rispetto a Vita Attiva. In questo paragrafo, Alessandra Papa fa una un confronto tra Hanna Arendt e Jean-paul sartre, una grande voce filosofica e politica del Novecento atea. Il bambino Arendtiano ha delle straordinarie somigliante con il bambino di Sartre, con quel bambino che lui ci descrive in una sua piccola opera: ‘Bariona o il figlio del tuono’. - Questa è un’opera teatrale, che si resta a una riflessione filosofica, anche perché in questo piccolo libretto sono presenti dei contenuti molto forti di tipo politico. Premessa  Hanna nei suoi testi non farà mai riferimento a questo bambino di Sartre, non lo citerà mai nei suoi lavori, anche se è vero che ci sono delle somiglianze, ed è soprattutto vero che Jean-Paul Sartre ebbe la medesima intuizione Arendtiana di costruire e di avviare una filosofia generativa, ma con venti anni di anticipo. Sono quindi due esempi di pensiero generativo che presentano molte somiglianze. Hanna ha anche studiato con Jean-Paul. JEAN-PAUL SARTRE  era un grandissimo filosofo francese. Era un filosofo particolare, perché aveva una personalità artistica, riusciva a passare dal linguaggio politico, a quello filosofico, a quello letterario. Un grandissimo letterato, e quindi un romanziere, e cosi via. Un intellettuale a tutto tondo. È stata una delle figure più rappresentative e significative del Novecento. Era un comunista, e fu poi la punta di diamante di quello movimento filosofico che veniva denominato Esistenzialismo. Lui parla di infanzia nei suoi testi, però ne parla in modi diversi, quindi va a scorciare dei Bambini diversi. Ci rende un’immagine molto positiva del bambino in Bariona. BAMBINO NEGATIVO – Saint Genet, commediante e martire  più tormentato, che si descrive in un’altra sua opera, un bambino farfalla, che si trova in questa biografia che Sartre dedica Saint Genet, un pittore intellettuale, artista molto noto discusso nella Francia di allora, ma molto stimato da Sartre. Gli dedica questa biografica non solo perché lo stimava, ma tentò anche di riabilitarlo. Era un personaggio piuttosto ambiguo, perché fu accusato di un grave furto: aveva sottratto un manoscritto preziosissimo. Quindi una figura che divideva chi lo condannava e chi lo riabilitava, come Sartre. - In questa biografia, Saint Genet, commediante e martire, Sartre parte dall’infanzia di quest’uomo e va a fare una riflessione su questo bambino. Ci racconta che Genet, che fu accusato di questo grave furto, in realtà era un bambino già segnato, perché un amico stigma lo perseguitava fin dall’infanzia. Era accaduto che da bambino era stato accusato già di furto, e quindi gli adulti lo avevano stigmatizzato, lo avevano, dice lui, trafitto con lo sguardo come una farfalla fissata sul tavolo. Tanto è che poi, da adulto, fu accusato ancora una volta di furto. Parlando di questo bambino, dice: “Trafitto da uno sguardo, farfalla fissata sul tappo, egli è nudo. Tutti possono vederlo e sputargli addosso, lo sguardo degli adulti è un potere costituente, che lo ha trasformato in una natura costituita.” È un’interessante riflessione di Sartre sull’infanzia molto negativa, perché dice che il bambino in qualche modo è in balìa degli adulti, che decidono di noi sin dalla nostra infanzia. Decidono di fissarci come farfalle su un piatto, e quindi di stigmatizzarci, oppure di salvarci in qualche modo. BAMBINO POSITIVO – Bariona o il figlio del tuono  che ha molti parti in comune con il bambino Arendtiano. È un bambino dolce, addolcito dai baci dell’adulto; un bambino ricoperto di baci. In questo testo, lui descrive una sorta di filosofia della Filiazione, si parla di figli che vengono messi al mondo. - È un racconto con un contenuto religioso, e viene scritto nel 1940, in piena Seconda Guerra Mondiale, nella quale lui era stato arruolato nell’esercito francese in prima linea, però viene fatto prigioniero, e viene detenuto nello Stalag 12. Lo Stalag 12 è una sorta di campo di concentramento, in cui vengono reclusi gli ufficiali, i sotto ufficiali, i militari di truppa; per cui, lui francese cade in mano tedesca e finisce in questo campo di detenzione. Qui ci rimarrà per 9 mesi, un periodo molto lungo. Un campo di detenzione militare é molto diverso da un campo di concentramento, quindi diverso da Auschwitz, quindi è una detenzione “meno” disumana di quanto potesse essere una detenzione nel campo di concentramento, e questi militari avevano qualche privilegio. Il privilegio di Sartre fu la 25 scrittura, quindi poter scrivere. Bariona è un testo scritto in pochissimi giorni, ed è un testo che lui scrive in prossimità del Natale 1940. Un testo anomalo per lui che è dichiaratamente ateo, non credente. In effetti, lui, dopo la guerra, ha sempre preso le distanze da questo bellissimo testo, lo ha disconosciuto e rinnegato. In una lettera del 1962 è evidente di come lui detestasse questo piccolo testo: “Se ho preso il mio soggetto nella mitologia del cristianesimo, ciò non significa che la direzione del mio pensiero fu cambiata; fu un momento per me durante la cattività. Si trattava semplicemente, d’accordo con i preti prigionieri, di trovare un soggetto che potesse realizzare, quella sera di Natale, l’unione più vasta di cristiani e di non credenti.” Quindi, lui si è sempre vergognato di questo bellissimo testo teatrale, perché lui ateo e comunista, aveva paura che in qualche modo lo si tacciasse di aver avuto una debolezza, che si fosse convertito, riavvicinato al messaggio cristiano. Per lui era quindi un esercizio letterario, un modo per tenere un filo tra credenti e non credenti che erano detenuti in quel campo. Lui detestava talmente tanto questo piccolo libretto, che vietò per molti anni la pubblicazione. Ne consentì solo una piccola pubblicazione fuori commercio solo nel 1962, destinata ai suoi ex compagni di detenzione. Lo detestava al punto che, quando riuscì ad evadere, tentò di distruggerlo, non se lo portò dietro. Alla fine, è potuto arrivare fino a noi solo perché alcuni suoi compagni di prigionia ne salvarono delle copie, e quindi, grazie a loro, questo libretto si salva e riesce ad arrivare fino a noi. Lo detestava per diverse ragioni: - Fu scritto in pochi giorni. - Il tema e i contenuti non erano sentiti da lui. Tra l’altro, i prigionieri, la notte di Natale, rappresentarono questa opera all’interno del campo, e Sartre scelte per se il ruolo di uno dei Magi, Baldassarre. Descrizione e trama opera  È un’opera teatrale che ha la sua struttura, è un atto unico diviso in 7 quadri. La storia è ambientata in Giudea, e il protagonista è Bariona, il capo di questo piccolo villaggio, un villaggio oppresso dai romani. In particolare, è un capo villaggio che viene rappresentato in maniera molto dolorosa, perché soffre per il suo popolo che vive in miseria. Tanto era addolorato dalle sorti del suo popolo, che lui, Bariona, ad un certo punto decreta e mette un editto con cui comanda che i suoi abitanti del villaggio non mettano più al mondo bambini; quindi decide di farsi uomo di cattiva volontà, e di impedire i rapporti tra uomo e donna, perché vuole che nel suo villaggio la vita si interrompa, non debba essere perpetrata. Sostanzialmente è una tragedia, infatti lui prevede anche un Coro, e a questo coro affida delle parole terribili: “È possibile passare il resto dei nostri giorni senza vedere il viso di un bambino? Potremo mai vivere senza bambini?” Al Coro assegna una sorta di funzione coscienziale, quindi il Coro ci pone delle domande a noi lettori. Qui, il Coro, suggerisce che un mondo senza bambini cesserebbe di essere mondo, sarebbe come se d’improvviso si fosse abbattuta sul mondo intero una lebbra orrenda. Al centro di questa opera c’è un giuramento, quello di Bariona, “giuro di non generare”. A fare da contro canto al personaggio centrale è Sara, la moglie di Bariona, che si oppone a questo comandamento (giuro di non generare), scopre di essere incinta, e quindi lui cerca di convincerla ad abortire, ma inutilmente, perché lei è determinata a mettere al mondo suo figlio. Dal punto di vista di Bariona, sua moglie è determinata a perpetrare la sofferenza umana, a condannare i “nuovi” a soffrire. A Sara viene assegnato il compito di riflettere sul senso della generazione, e si rifiuta di abortire, di bere le erbe dello stregone, come invece suo marito aveva costretto a fare alle donne del villaggio. Ci sono dei punti poetici molto belli, quando Sara dice che un bambino non si sceglie, che un bambino semplicemente si aspetta. - Lei dice: “Quello che aspetto non l’ho scelto, lo aspetto, lo amo in anticipo, anche se fosse brutto, anche se fosse storpio, anche se fosse ceco; lo amerei. Lo amerei in anticipo questo bambino senza nome, quand’anche la maledizione dovesse coprirlo di lebbra. Ti prego, lascia nascere un bambino, lascia che si tenti una nuova possibilità per il mondo.” - Poi c’è un’altra scena, quella in cui, come in un presepe, ad un gruppo di Pastori appare un Angelo, e questo annuncia annuncia l’annuncio del bambino salvifico, che non è il bambino di Bariona. Quindi questo Angelo invita tutti gli uomini del villaggio, e lo stesso Bariona, a muoversi verso Betlemme. Riesce a convincerli tutti, tanto che gli abitanti del villaggio, Sara compresa, si muovono verso Betlemme, e quindi seguono la loro stella, tranne Bariona, che resta solo, decide di uccidere il bambino salvifico, e mentre gli altri si mettono in viaggio verso Betlemme, lui fa una scelta drammatica: sceglie anche lui di andarci, ma per uccidere questo bambino salvifico. Lui arriva a Betlemme ed è intenzionato ad infilzare il coltello nel cuore del bambino, poi però si trova di fronte lo sguardo di 26 Giuseppe, questo padre che guarda rapito il bambino, e quindi Bariona cambia idea, decide di dare la vita per quel neonato e di combattere per salvare la sacra famiglia. In questo senso, il lavoro di Sartre è un lavoro di una bellezza delicata, di profonda umanità. Perché ha delle assonanze con il bambino di Hanna Arendt? - Perché è un bambino capace di cambiare le sorti del mondo, perché fa si che gli uomini si mettano in cammino, e quindi anche per Sartre la nascita è un nuovo inizio, e costituisce un’opportunità per l’umanità tutta di riabilitarsi. La nascita viene descritta in termini miracolistici, ed è un miracolo proprio perché fa si che gli esseri umani possano mettersi in cammino verso una nuova speranza e un nuovo inizio per il mondo. FILOSOFIA AL FEMMINILE Hanna Arendt ha un modo suo di fare filosofia al femminile  Lei non può essere considerata una teorica del femminismo, tutt’altro, però in lei ci sono delle suggestioni di sensibilità femminili. Arendt è un’intellettuale difficile da collocare: sul piano politico, e anche sul piano tematico si è occupata dei temi più diversi, che sono temi di natura politica, perché lei si qualificava come una teoria politica ma anche come una storica. I suoi interessi sono molto sfrangiati. A margine di ciò, c’è una Arendt meno coltivata, che si colloca ai perimetri, ai margini della Arendt che abbiamo studiato fino ad oggi, e quindi ai margini di quella filosofia politica di maggiore impatto. Qual è questa Arendt meno d’abitudine? - È quella degli scritti giovanili, per la quale ancora oggi non c’è una soglia di attenzione alta, e quindi dei testi cui i ricercatori si sono dedicati in maniera più disattenta, perché considerati più acerbi, più scarni dal punto di vista politico. Però, questi primi testi sono interessanti non solo perché si possono cogliere in luce i primi bagliori di questa filosofia, ma anche perché sono scritti in maniera diversa, e c’è un’attenzione molto fonda al femminile  Sono scritti in maniera diversa perché  Hanna Arendt ha un gusto particolare nel raccontare le piccole cose: è più attenta alla quotidianità, al gusto del racconto. E poi, questi primi lavori sono interessanti perché in queste scritture si coglie anche una sorta di suo sforzo, di fare del femminile un soggetto politico. Questo gusto l’accompagnerà anche nel corso degli anni, tanto è che nel periodo più maturo, Hannah scriverà dei saggi, che chiamiamo Ritrattistica femminile, sono dei ritratti di alcune donne. Dunque, lei non è una femminista, però a modo suo fa della donna un soggetto politico, e quindi, questo raccontare in chiave politica diventerà poi un punto decisivo della sua filosofia politica. A modo suo affronterà il problema dell’identità di genere. Per esempio, questo si può cogliere - nella sua opera Vita Attiva  e questo si coglie per il fatto che in un passaggio dell’opera, lei riflette sul noto passaggio biblico, quello della genesi della creazione: “maschio e femmina Dio li creò”. Facciamo attenzione a quel ‘li’; lei insiste molto sull’articolo plurale ‘gli’, perché in questo ‘li creò’ riteneva che fosse la pluralità umana. È interessante la nota a margine: la famosa nota 1 del capitolo Primo, intitolato ‘La Condizione Umana’. Qui c’è una critica di Arendt a San Paolo di Tarso, perché a suo dire lui si scolla, divarica dall’insegnamento di Gesù, che è stato decisivo, rivoluzionario. Invece Paolo nei Corinzi scrive, con dei toni molto forti, maschilisti, che la donna fu creata per l’uomo da Dio, e da qui ne sarebbe venuta una sorta di sudditanza della donna stessa. Ma è critica anche nei confronti del suo Agostino, perché secondo lei, già nella città di Dio, Agostino sembra ignorare del tutto questo passo della genesi UnoVentisette. Bisogna essere cauti però, perché effettivamente Hannah Arendt va a lavorare su delle frasi estrapolate dal contesto, e queste operazioni sono sempre piuttosto pericolose. Questo vale soprattutto per Agostino, perché lui non può essere tacciato di misoginia, anche perché lui, tra l’altro, aveva una grande considerazione della madre Monica, e in alcuni passaggi lui dice che la donna è immagine di Dio, esattamente come lo è l’uomo. Però, ad Arendt quella lettura di Paolo non la convince, e quindi insiste nei suoi testi, nello specifico in Vita Attiva, riporta le parole di Gesù Cristo, riprendendo una frase evangelica: “Non avete dunque letto che colui che li creò all’origine, li creò maschio e femmina.” - Ad Hanna Arendt piace moltissimo questa pluralità creaturale  perché la forza dell’umano e nella differenza, anzitutto nella differenza sessuale; quindi quell’articolo plurale lei vede la creazione dell’agire umano. Vuol dire che secondo lei, la differenza anche sessuale è necessaria anche per agire 27 - Rahel Varnhagen  era una donna, nata a Berlino nel 1771. Apparteneva ad una famiglia ebrea molto benestante, ed era nata in Prussia, una regione della Germania. Il suo nome non era Varnhagen, perché quello sarebbe stato il cognome acquisito a seguito del matrimonio. Rahel era una donna molto colta, che era anche un po’ l’espressione dell’epoca dell’illuminismo. Aveva ricevuto una buona educazione in famiglia, ma lei di fatto è un’autodidatta, una donna di grandi talenti, di grande intelligenza, e che ebbe la fortuna di saper intrecciare delle relazioni significative con i maggiori intellettuali tedeschi di quel tempo. Divenne quindi amica con figure di spicco del panorama dell’illuminismo e del romanticismo. Acquisterà una sua fama proprio grazie alla sua intelligenza, alla sua cultura. - Reahel scrive  cosa non scontata perché alle donne era precluso persino scrivere libri. Lei scrive ma lavora di astuzia: le forme che lei usa per scrivere sono dei generi non letterari, cioè non scrive libri ma diari, lettere. È una donna che avvertì sulla propria pelle il razzismo di cui era già capace la Germania di allora. Visse negli anni dell’invasione napoleonica, e in quegli anni l’antisemitismo divenne particolarmente esplosivo, violento. Lei ama la cultura, tiene un salotto molto ben frequentato, anche da scrittori di alto livello. Però è ebrea. Il suo problema è che lei vuole dimenticarsi di essere ebrea, vuole strapparsi da dosso la sua pelle di ebrea, e tenta la via dell’assimilazione; questa storia in Europa è lunga, perché comincia nell’Ottocento, quando gli ebrei rinunciano ad integrarsi e cedono all’assimilazione. Quindi, Rahel, per come viene raccontata da Hannah Arendt, trascorrerà tutta la vita nel tentativo di procurarsi un cognome tedesco. Diventa la sua ossessione. Azzerare la sua nascita, nascere ebrea era stato un errore. Vuole rinunciare alle sue origini, alle sue radici. Come la descrive?  Arendt lavorerà a lungo sulle lettere di Rahel, e a sua volta ne ricava un ritratto di questa donna, ritraendola come una donna colta, intelligentissima, però una donna spezzata dal dolore. Dunque una figura estremamente dolorosa, e poi la descrive come una figura atopica, (dal latino a topos= senza luogo). Una figura sempre estranea a se stessa, anomala, sempre fuori posto, o che si è sempre avvertita tale a causa della propria nascita sbagliata - Per raccontare questo stato di anomalia, Hanna Arendt userà molto spesso la parola Schemil  una parola che gli ebrei conoscono benissimo, in quanto è un personaggio di un grande poeta, il più grande medievale, che è il sognatore sfortunato. Quando gli ebrei usano questo termine intendono una persona che è sognatrice, sfortunata. Ecco, Rahel, secondo Hannah Arendt, è la principessa del sogno, una principessa sfortunata. Poi, la descrive come “non bella, non ricca ed ebrea” (parole che Rahel usa per se stessa nelle lettere). In una società come quella, che pretendeva che le donne fossero bellissime o che fossero ricchissime, e che non mettessero in imbarazzo con la propria intelligenza i maschi. Dunque, Rahel si trova ad essere femmina in una società difficile, in cui le donne dovevano semplicemente assumere quei ruoli che la società gli aveva incollato addosso: il ruolo della madre, della figlia, della sorella, dell’amante, dell’amica degli uomini. Rahel doveva imparare a stare in quella società li, non doveva imbarazzare gli uomini con la propria intelligenza; doveva imparare a dire solo cose convenienti e a comportarsi secondo quei ruoli che la società cuciva addosso alle donne. Doveva esibirsi; però lei non poteva esibirsi nella propria bellezza, perché bella non era, aveva dei tratti molto forti, non era ricca. Rahel in questo senso era una donna sbagliata. La sua battaglia personale  è quella di conquistare un nome tedesco, un nome che la potesse garantire alla società, le potesse assegnare un’identità sociale accettabile. Hanna Arendt era contraria all’assimilazione  non si può essere dei neutri, degli uomini generici; perché quando si nasce si nasce per come si è, la diversità non deve essere una croce. Lei dice che non si può liberare dalla propria nascita, dalla propria origine, ed è da illusi pensare di potersi liberare da quei vincoli che ci vengono dalla nascita. Arendt insiste sulla nascita per prendere posizione rispetto all’assimilazione, secondo lei inaccettabile. Hanna Arendt dirà che questo tentativo di portarsi fuori dal suo ebraismo le si ritorcerà contro. Rahel è una donna che ama la vita, ma che la sprecherà nel tentativo di assimilarsi, di ingannare la sua nascita; e quindi comincia a mentire persino a se stessa. Ne viene fuori una creatura disperata, che si lascia cogliere dai suoi tanti amanti, nel tentativo che qualcuno la sposi e la liberi dal cognome tedesco. Alla fine lei diventa una “mendicante”, perché supplica l’amore di un tedesco. Alla fine, questo nome “normale” (tedesco) arriverà 30 - perché a circa 40 anni incontra un uomo più giovane di 14 anni, CARL VARNHAGEN, il quale la sposerà, facendole il dono del cognome tedesco. Tra i due c’era una forte affinità intellettuale, lei si sente compresa, lui è invaghito dalla grande intelligenza di Rahel; quindi è un matrimonio che nasce con delle buone premesse. Finalmente, dice Hanna Arendt, Rahel Levin non è più ebrea, ma diventerà una sposa tedesca. Ma c’è un prezzo da pagare  la perdita dell’identità, anche anagrafica  Lei se ne renderà conto solo in punto di morte, cioè si renderà conto di quella emorragia che era stata la sua vita; perché dopo una lunga malattia lei muore nel 1833  È in punto di morte che Rahel riesce finalmente a riscattare se stessa, perché per paradosso, accetta la propria origine, si riconcilia con la propria origine. Quella nascita sbagliata diventa una nascita che si può finalmente dire: lei rinuncia a tutte le sue maschere, si sente finalmente guarita, ma Rahel, a quel punto, lascia in eredità la storia di una bancarotta esistenziale e un cuore ribelle. PROMETTERE E PERDONARE Hanna al concetto di PERDONO associa due parole Aporia e Irreversibilità mentre alla PROMESSA associa imprevedibilità - le due attività si completano  perché una va a distruggere i gesti del passato e la promessa serve a gettare nell’oceano dell’incertezza (futuro) isole di sicurezza quindi il perdono e la promessa sono due rimedi, perdono per il passato e promessa per il futuro, per la sua incertezza. Entrambe dipendono dalla pluralità, presenza, agire con gli altri. Richiedono entrambi la reciprocità quindi la presenza di altri. Farlo in solitudine è un atto privo di realtà, è come se fosse una parte recitata davanti a se stesso. L’azione umana quindi presenta due caratteristiche 1) imprevedibilità  l’ uomo è imprevedibile quando agisce 2) irreversibilità  nel momento in cui l’ uomo agisce presenti dei processi e non è detto che l’ uomo riesca a controllarla in conseguenza di questo sono necessari due dispositivi di controllo dell’azione:  PROMESSA E PERDONO  questi due sono considerati dei poteri rispetto al tempo: presente, passato e futuro. Quando Hanna parla di perdono parla di Aporia, dal greco, senza passaggio, indica quindi un passaggio difficile, strada senza uscire, il perdono sembra essere una strada senza uscita. Quando parla della promessa parla di isole di sicurezza perchè non riusciamo a controllare la conseguenza del nostro agire nel futuro. 1) PROMESSA  per Hanna è un atto politico potente, ne parla in merito di rimedio rispetto all’imprevedibilità del nostro agire, la promessa è anche un atto di responsabilità, implica assumersi responsabilità pel futuro rispetto a qualcuno. La promessa è rimedio all’incertezza del futuro, per rimanere umani bisogna essere capaci di mantenere fede alla parola data. Questo è un atto morale oltre che linguistico, promessa che è resa ad alta voce, segno della nostra buona volontà.  Atto politico  perché è municipale, parola che noi ci assumiamo in pubblico (atto linguistico). Proprio perché è un atto politico non può essere fatto in solitudine o nell’isolamento, non ‘ un agire che ci lega a noi stessi, ma è un impegno che prendiamo rispetto a qualcun altro. La promessa inoltre è fondata sulla reciprocità, per promettere bisogna essere in due. Solo in questa condizione diventa fondante. In politica la promessa è un atto necessario, il promettere ci rivela come agenti morali, le persone le quali siamo La facoltà di fare promessa è una facoltà che può fare solo l’umano, la considera come una facoltà spontanea, un impulso ad assumersi responsabilità per gli altri (cura). Diverso dall’animale che non promette mai. Nell ambito della antropologia filosofica insistono sulla differenza uomo/animale. Hanna fa dei riferimenti a NIETZSCHE  Rende merito  quello di aver intuito per primo come filosofo il valore della promessa. Ci sono delle pagine aforismatiche in cui dedica delle parole alla promessa.  Prende distanze e lo critica  perché in quel Nietzsche vede qualcosa di negativo perché quando insiste sulla promessa poi passa alla volontà di potenza, quindi non come atto di cura ma segno di una volontà forte (superuomo). Le sembra che la promessa di Nietzsche sia finta, fatta in maniera strumentale. Fa la promessa come una sorta di provocazione. Quindi da una parte valorizza la promessa perché espressione di una volontà di potenza ma nella sua promessa c’è un rischio perché dice di far attenzione a promettere facilmente perchè altrimenti si fa quello che gli altri si aspettano da noi, finiamo a fare quello che gli altri vogliono e qui ci trasformiamo in animali. Quindi Hanna prende le distanze, perché per Hanna è un gesto di cura e non una 31 volontà buona individuale. Per Hanna, Nietzsche va a distruggere la pluralità in quanto centrato su se stesso e Hanna vede un rischio in questo per la pluralità. 2) PERDONO  una volta che abbiamo agito, non possiamo tornare indietro (frittata), rimedio a questa irreversibilità è il perdono, un dono che non possiamo fare a noi stessi. L’azione mal fatta è per sempre è proprio perché il male lo facciamo a qualcuno è proprio quella persona che deve concederci il perdono. Il perdono è fondamentale, se non ci fosse nella vita noi saremo condannati per quella unica azione fatta sbagliata. Quindi il perdono è una sorta di salvezza  Opposto della vendetta  Se non ci fosse rischiamo di essere sempre fossilizzati nella vendetta (processo interminabile, a catena) vendetta = agire incatenato alle conseguenze di un errore originario Hanna lega queste due questioni alla temporalità  sono due forme di agire che hanno a che fare con il tempo: la promessa rimedia al futuro e il perdono rimedia ad un errore del passato. Hanna passa dalla letteratura per spiegarci il perdono passa da un racconto ovvero  ‘’L’apprendista stregone’’ di Goethe  ballata in cui si racconta di un mago che ha come aiutante un stregone, uno dei suoi compiti e quello di mantenere in rodine lo studio del maestro, ma e un giovane che alcune volte cerca di sviare al compito e quello che fa è rubare una formula al maestro mago: formula di cui il maestro si serve per dare vita agli oggetti. Quello che compie è un furto, avrà delle conseguenze. Il giovane che vuole scantonare la fatica, comanda ad una scopa di animarsi e di pulire e di lavare il laboratorio del mago ma succede un disastro perchè si consce la formula per mantenere in vita oggetti ma non quella per fermarla quindi fanno un disastro, lo studio si allaga. L’apprendista ha pensato di ricorrere ad un’astuzia e secondo Hanna questo è un esempio di azione mal fatta. Se il mago non perdona l’adulto quello che succede è che rimarrà per sempre solo un ladro. Questo dono consente di riportarci indietro nel passato nel momento in cui abbiamo compiuto quell’azione e di cancellare le conseguenze negative. Questo dono è un rimedio. Abbiamo bisogno del perdono e di ritornare indietro ad essere quello che eravamo prima di compiere l’errore. Se l’altro ci perdona ci cura le nostre ferite. Il perdono però non può essere previsto e aspettato. Deve essere inaspettato, un dono. Il perdonare non ha a che fare con il calcolo. La persona decide di farci dono della parola che dona e mette da parte qualcosa di sbagliato e questo fa si che la nostra vita prosegua. Il perdono ci salva dalla vendetta che non finisce mai. Fa un riferimento a Cristo (dio impone il perdono) e gli uomini devono donare il proprio perdono. Gli uomini non possono imporre il perdono ma donare. Hanna dice che si perdona il colpevole, ma la colpa resta, il danno rimane. Lo stesso fa Gesù (perdona la donna che ha fatto l’adulterio, la donna e non l’atto) le chiede un assunzione di responsabilità, di non farlo più.  Il perdono è anche politico, non deve avere a che fare con l’amore  perché non deve essere l’amore ad orientare i rapporti umani, l’amore è una forza anti politica  quando io amo l’altra persona io mi chiudo, esclude il mondo, l’altro lo idealizzo, chiudo in un mondo di perfezione. Non devo perdonare perché amo quella persona, devo essere capace di perdonare anche se non amo quella persona. Con l’amore non vediamo i limiti di quella persona Fa un'altra distinzione: il peccato per lei è il segno che siamo vivi, in quanto siamo vivi commetteremo un peccato che si può perdonare. Senza il peccato non potremmo agire. Il peccato però si può perdonare quindi per lei tutto ciò che è comprensibile si può perdonare. Il perdono è una seconda nascita. Ma per Hanna è perdonabile tutto? Il male criminale?  Non può essere perdonato quindi non può essere compreso. Il male dei lager è un male criminale che non può essere ne perdonato ne punito, mai leggi capaci di rimediare a quel male, mai condanne sufficienti. Il male dei campi neanche Gesù Cristo aveva previsto, lo stesso cristo non perdona tutto e colui che interrompe i legami con la comunità ha rinunciato a restare umano. A questo uomo spetta solo gettarsi in male perché il male è troppo grande. Il male immenso è quello dei campi di sterminio, fabbriche di cadaveri. Quindi c’è una tipologia di male che non può essere perdonato: colui che si porta fuori dalla comunità e commette crimini contro la comunità. Parla del male commesso da Eichmann che è un male troppo grande (si è rifiutato di pensare e si è limitato ad obbedire) per essere compreso e per essere perdonato, non può essere ne punito ne perdonato. LE ORIGINI DEL TOTALITARISMO Secondo Hanna si mettono in moto queste macchine  questa tesi la sostiene già nella versione del 1951 32 - Riduce il fascismo in 2/3 pagine. Il fascismo di Mussolini per lei è una semplice dittatura che per lei hanno una forma diversa dai totalitarismo che sono un esperimento politico. Macchine che non si sono mai messe in azione nel passato. Fascismo esprime una mentalità partitica - Il fascismo secondo lei non aveva un ideologia che è ingrediente necessario della macchina totalitaria. Nella società di Mussolini quindi non vedeva una società di massa invece i processi di massificazione sono fondamentali per la compagine totalitaria - Mancava al fascismo la novità  essenza del dominio totalitario. Intendeva lo sterminio, il terrore, capacità di massificare. In Italia non ci fu nessuna forma di questo. Quindi il fascismo non praticò mai il terrore secondo Hanna. Quindi Hanna paragona il mussolinismo alle dittature tradizionali della storia. - Secondo Hanna il vero obbiettivo del fascismo era ottenere il potere invece il totalitarismo non si accontenta mai - Il fascismo non distrugge lo Stato secondo Hanna, non va a distruggere i centri di potere come accade in Germania e nell’URSS. - Non distrugge la monarchia e non smantella l’esercito e la grande industria e non fa tabula rasa della chiesa. Secondo lei al fascismo difetta questa sorta di capacità di smantellamento dei poteri forti che invece ebbero sia il nazionalismo che lo stalinismo: non ce stata una trasformazione dello stato - Non aveva un ideologia e quindi non aveva un credo e automaticamente secondo Hanna non usò mai la violenza e ricorso al terrore e difetta di quella combinazione che ideologia + terrore = carburante delle macchie totalitarie Fu una semplice dittatura fino al 1938 secondo lei. Hanna non si documenta e questo fu un grande errore. Si basa su citazioni delle citazioni e anche questo fu un grande errore quindi si basa su testimonianze di seconda mano, cosa che non si fa perché bisogna attingersi alle fonti originarie. Le poche letture che ha fatto sul fascismo sono i 4 discorsi di Mussolini (solo 4). Su questo punto aveva dimostrato grande ignoranza. Inoltre lei non cita intellettuali anti fascisti quando lei si appropria del termine totale e totalitarismo. Se ne appropria senza neanche fare riferimento a chi per primo aveva adoperato questi termini — Giovanni Amendola — Gramsci — Lelio Basso — quindi il giudizio sul fascismo non è solo sbagliato ma è anche contraddittorio perché dice che fu una dittatura forse fino al 1938, ma dopo? Cosa succede? Non ce lo dice. Non ci spiega se questo fu forse una sorta di totalitarismo imperfetto e che quindi fu in atto una trasformazione. In realtà è evidente che - il fascismo è stata la prima macchina totalitaria che si è messa in moto - non è vero che non aveva un’ideologia (credo – obbedire – combattere) - Si impadronì delle coscienze degli italiani e presentò la sua proposta politica come una sorta di religione dogmatica. Hanna non si rende cono di tutto questo. Le camicie blu di Hitler sono ispirare dal progetto delle camicie nere di Mussolini. Hanna non fu capace di riconoscere questa Italia piena di ideologia. Perché accade questo? Anche i grandi sbagliano. Hanna come storica fu una pessima storica. Le sue opere hanno dei limiti. Ovviamente resta un intellettuale. Le origini sono un opera imperfetta dal punto di vista storico. Nonostante questo è un opera cosi come la banalità del male, necessaria per comprendere il 900. Origini del totalitarismo opera monumentale perché nessuno aveva mai avuto il coraggio rima di entrare all’interno della storia. Scritta nel 1949 e la guerra era finita da pochi anni. Si assume la responsabilità di comprendere quanto era accaduto. Perché Hanna finisce nelle polemiche? Viene attaccata da più fronti nei primi anni 50. Fronte politico - SINISTRA  Viene attaccata dalla sinistra di stampo Marxista, accusano di equiparare lo stalinismo al nazismo, di esserci fatta strumentalizzare dagli americani. Accusano di aver consegnato un’arma intellettuale filosofica alla propaganda degli Stati Uniti, propaganda per alimentare i toni della Guerra Fredda, accusata di aver studiato a tavolino le origini del totalitarismo proprio per fornire agli americani un arma potentissima filosofica propagandista. - DESTRA  ambienti anti fascisti italiani, non compresero il valore di questa opera perché gli anti fascisti italiani per lo più comunisti – partigiani – l’acquistarono di aver equiparato e loro avevano lavorato alla libertà e attacco che venne anche dai liberali che non compresero il nesso tra borghesia e totalitarismo, tra imperialismo e totalitarismo. Partigiani l’accusano quindi di aver equiparato lo stalinismo al nazismo e questo ricade perché vengono agguati di non essere diversi dai filo nazisti in quanto loro erano filo comunista Fronte storico 35 - Si accredita come storica ma non lo è senza neanche sapere il metodo storico, lavoro molto impreciso fatto da lei, non documentato. L’attaccano perché l’accusano di aver mistificato i fatti, ritengono che sia una falsariga della storia. Accusarono di aver disegnato una stori filosofica a tavolino anche per modificare i fatti. La guardarono con una certa sufficienza, in quanto è una costruzione storica filosofica molto suggestiva. Aver fato una narrazione filosofica suggestiva incapace di narrare i fatti cosi come erano nella loro realtà senza esser capace di entrare oggettivamente nei fatti concreti. Fronte filosofico - Criticata dell’intelligenza, circoli filosofici. Accusata di esser stata fin troppo storica e non filosofa oppure un lavoro troppo sociologico. Ebbe diffidenza da questi accademici in suoi confronti. Opera troppo contaminata dalla sociologia e dalla storia, dalla cronaca e quindi non ne riconoscono lo spessore e valore filosofico anche perché stilisticamente le origini sono anticipatore nella scrittura e nel metodo e questo non viene compreso dai circoli accademici.  Queste politiche fatte anche per vita activa a anche dopo la pubblicazione dei suoi 5 articoli, anche sulla rivoluzione venne criticato molto perché critica la rivoluzione francese e crede che sia stat un esperimento politico molto sanguinoso e da li le problematiche e critiche, tracciata di essere filo americana, politicamente rimase centrata su se stessa quindi filo americana fino ad una erto punto. Perché vanno sempre a scontentare qualcuno le sue opere? Perché ha uno stile tutto suo di fare filosofia, le sue indagini filosofiche sono delle indagine che si intrecciano sempre su più fronti e quindi ci consegna un metodo di lavoro filosofico nuovo, nessuno aveva provato prima a fare filosofia cosi ma a molti parve una filosofia contaminata e sporcata cosi. Lei non amava la filosofia praticata fino ad allora quindi non amava la filosofia astratta, ha un approccio antropologico: osservare gli esseri umani e comprenderli. Si inventa questo modo di fare filosofia in modo chirurgico: interviene sulla realtà. In questo è molto moderna. La filosofia doveva essere filosofia della prassi umana. Quindi si inventa questo metodo che sperimenta nelle origini del totalitarismo, scrittura giornalistica e tenta anche di leggere la storia con strumenti diversi  la sua filosofia non rientra nei canoni classici pur essendo una studiosa colta che approfondisce letture classiche. Intelligenza filosofica molto sperimentale e quindi in questo senso negli anni 50 ci fu shock dell’intelligenza filosofica che si trovano dei libri difficilmente collocabili tanto che la stessa Hanna non era definibile politicamente Perché lavora così? Viene dal fatto che lei è un apolide quindi stata per decenni una donna senza città, estraneità e questa fatica si avverte nelle sue opere ma in senso positivo, lei non amava l’appartenenza, era diffidente rispetto a questo. Diviene dal fatto che ebrea che è un refuge nelle sue opere, eccentrica e questa ambivalenza è evidente anche nelle sue opere. Personalità fortemente contraddittoria  è ebrea ma pensa in tedesco, non ama il popolo di Israele, non è praticamente e non è credente, studia i filosofi cristiani, è europea ma falla scelta di restare negli USA, molto grata agli Stati Uniti ma poi si sente sempre estranea alla cultura americana. LA BANALITÀ DEL MALE La banalità del male è una lunga riflessione filosofica della vicenda Eichamann. È un testo editato nel 1964. Ripercorriamo le tappe: - il 1960  gli uomini del Mossad rapiscono e sequestrano in Argentina Adolf Eichmann ovvero un nazista quindi ex colonnello delle SS, personaggio ambiguo che nella documentazione storica si parla della Conferenza di Wannsee, nome di una località tedesca, nome anche di un lago, località nota perché li si tenne la conferenza in una villa sulle sponde del lago che vide riuniti i 15 calibri del partito nazista, quindi i più alti tra i maggiori funzionari del partito nazista. Si ritrovano per discutere la cosiddetta ‘’soluzione finale’’ questa espressione comparirà per la prima volta nei verbali di questa conferenza, è un nome in codice che durante questo tavolo di lavoro i nazisti la usano per indicare lo sterminio sistematico, pre meditato degli ebrei. Quando viene organizzata questa conferenza è il 20 Gennaio 1942, Eichmann associato a questi lavori perché ne è il segretario quindi tenie un verbale scritto da lui. 1942 significa che i tedeschi stanno vincendo la guerra, hanno già nazificato gran parte dell’Europa. Hanno 36 l’obiettivo di ripulire i territori dalla presenza ebraica. Quindi si riuniscono per discutere le sicure giuridiche da assumere per la soluzione finale. Stabiliscono anche i metodi di uccisione quindi è quello di coordinare gli sforzi per la soluzione finale. Il verbale consiste in 15 pagine scritte in modo fitto. - Eichmann in quel tempo era una pedina  ruolo marginale ma era un burocrate che era riuscito a farsi notare e nell’occasione della conferenza gli saranno affidati compiti: compito del logistico del nazismo. Ovvero affidata la parte organizzativa dello spostamento degli ebrei. Fu anche un contabile quindi teneva conto delle somme quindi doppio ruolo. Quindi ebbe la responsabilità che quel progetto della soluzione finale fosse funzionale e fattibile. Eichmann si faceva vanto di esser esperto delle questioni ebraiche, di aver studiato la cultura ebraica (in realtà aveva letto pochissimi libri), sotto falso nome nel 1937 aveva affettiamo un viaggio in Palestina. Alla fine della guerra riesce a fuggire dalla Germania e con un passaporto falso riesce ad imbarcarsi per il Sud America, la fa franca per molti anni in quanto il suo sequestro arriva nel 1960. - Viene sequestrato dagli uomini del Mossad  agenzia di intelligence dello stato di Israele, erano specializzate in missioni estere, colpire i nemici di Israele, garantire la sicurezza nazionale. I Mossad sequestrano Eichmann in Argentina e portato ad Israele e processato. Aprile 1961 entra in Israele. Inizia quindi il procedimento giudiziario. Fu il primo nazista ad essere processato in Israele (neonata Israele perché prima del ’48 non esisteva) – grazie all’appoggio del regno unito nasce Israele – risoluzione ONU – nascono due stati indipendenti Palestina e Israele. Quindi nel ’48 nazione che è appena nata che vuole vendicarsi o fare giustizia. Obbiettivo degli Israeliani  punire i gerarchi nazisti sopravvissuti. A Norimberga invece viene fatta giustizia dagli imperi vincitrici, invece gli israeliani volevano processare i nazisti direttamente loro. In quanto avevano un sentimento di rivalsa ma non solo: - Credibilità come nazione a livello internazionale - Identità dello stato di Israele - La sovranità della nazione appena nata Ma c’era un problema  Israele non aveva ancora affrontato ovvero un problema generazionale. Giovani Israeliani, generazione che era rimasta poco coinvolta dal passato dello sterminio, voleva prendere le distanze anche perché rimproveravano i genitori di non aver reagito quindi era presente un conflitto interno. Al contempo erano anche loro per primi a non voler ricordare e neanche ricordare gli stessi genitori sopravvissuti. Era importante per Israele portare Eichmann al processo a Gerusalemme. IL PROCESSO EICHMANN Hanna dedica i suoi articoli. Per tutti questi motivi fu spettacolarizzato, diventa una sorta di evento mediatico, trasmesso anche in mondo visione. Allestita una macchina cinematografica. Abbiamo tantissime ore di fermato, spettacolizzazione che avviene tramite i media: Israele annuncia la data del processo e questa notizia fa il giro del mondo notte e tempo e Hanna raccoglie tutto e vuole seguire ed essere presente a quel processo. Perché? Motivazione morale. - Hanna sfuggita allo sterminio quindi lei per anni era rimasta all’oscuro dei campi e quindi lei sente di avere il dovere morale di assistere a quel processo. Lei era già conosciuta quindi chiama William Shome che era direttore New Yorker e si offre di seguire il processo per il giornale. Era un giornale molto conosciuto nei circoli intellettuali e non era sionista quindi non si era schierato a favore del progetto di edificare uno stato di Israele. Era il giornale dell’America ricca e questo direttore quando riceve la telefonata si rese conto dell’importanza e accettò. Da quel momento è diventata la corrispondente di questa rivista e nel 1963 sarebbero comparsi i 5 articoli a firma di Hanna Questi articoli vengono pubblicati in 5 date diverse tra il febbraio e marzo 1963. Erano molto ampi, articoli scientifici che poi furono raccolti in un unico testo che noi oggi conosciamo come ‘’la banalità del male’’ nella versione Americana in realtà il titolo è il sottotitolo che vediamo noi, in Italia Feltrinelli scambia sottotitolo e titolo. Opera con cui ha avuto molte polemiche  come ad esempio la Listadt un accademica che è stata critica nei confronti di Hanna perché quando Hanna si reca a Gerusalemme secondo questa storica ha un doppio fine: si offre a firmare i 5 articoli ma non per un obbligo morale ma perchè voleva trovare la validità delle tesi che ha sostenuto nelle origini del totalitarismo quindi la considera in mala fede. Descritta come una pensatrice ambiziosa sempre in cerca di occasioni personali per attirare attenzioni su se stessa. Decritta come una pensatrice ambigua, mossa da motivazioni recondite. 37 durante il processo. “Lui era amico degli ebrei. Lui era un esperto di questioni ebraiche. Lui era davvero desideroso di mettere una terra finalmente sotto i piedi degli ebrei.” Lo fa per ironia, ma questa non viene compresa. Per descrivere Eichmann, per descrivere quell’omuncolo che era, utilizzava quelle stesse frasi che lui usò per se, per raccontarsi, per descriversi durante il processo. - Fu quindi tacciata di essere amica dei nazisti, perché sembrò che quel ritratto fosse fin troppo compassionevole. Poi, ad esempio, una cosa che colpì “i più” a quel tempo, era il fatto che Hannah Arendt non sminuisse l’intelligenza di quest’uomo, non lo ridicolizzasse. Anzi, ci sono dei passaggi della Banalità in cui sembra che lo riscatti in un certo senso. Dirà che lui non è un imbecille, non è un idiota, così come non dirà che è un mostro, non è il demonio. Ma lo rappresenterà come un semplice funzionario, un burocrate, con un mentalità impiegatizia, che ha una limitata capacita di iniziativa, e che semplicemente da dietro la sua scrivania si limita ad obbedire ai comandi degli ordini impartiti dai suoi superiori. - Quello che Arendt sta tentando di fare, è di fare una lettura psicologica del male, quindi quel ritratto che lei rende di Eichmann fa parte del suo progetto filosofico, sta tentando di dare una lettura psicologica del male. Secondo la sua lettura, quell’uomo è stato capace di orrori perché evidentemente la sua psicologia era di un uomo obbediente, che non sapeva prendere posizioni e mai lo avrebbe fatto. Tra l’altro, Eichmann in aula, nel tentativo di discolparsi, si dipinge come una sorta di Ponzio Pilato; dice di se stesso di non essere un vero colpevole, ma di essere semplicemente stato un esecutore. Le cose dovevano andare così, andavano fatte così. Arendt fu molto colpita da questa difesa di Eichmann, dalla frase “io ho solo obbedito” - quindi comincerà a tessere la sua tela filosofica intorno a questo acritico “ Io ho obbedito.” A partire da questa frase, comincerà a ritrarre psicologicamente Adolf Eichmann, perché lui, secondo lei, non è altro che un cittadino come gli altri, un tedesco come gli altri. Questa lettura che da del male è estremamente interessante, perché lei si rende conto che spiegare il male è una faccenda piuttosto complicata, perché poi la storia non è fatta di bianco e nero, ci sono anche delle zone di grigio, di chiaro-scuri; e lei si infila in queste zone di ambiguità, di chiari-scuri, cerca di capire come la psicologia di un essere umano possa essere manomessa, e quindi come chiunque di noi in determinate circostanze possa subire l’autorità e “costretto” ad obbedire agli ordini, perché quelle sono le leggi della Germania. Eichmann era diventato per tutti una sorta di archetipo dell’antisemitismo, quello viscerale della Germania, era IL razzista, IL distruttore, IL nichilista, l’antisemita. Era il demonio, l’incarnazione del male. C’è addirittura un passaggio delle carte processuali in cui si legge che il PM dipinge Eichmann come un personaggio influente del terzo Reich. - Arendt, invece, dal suo punto di vista, cerca di far emergere che le cose erano molto più complicate di così, perché quel male li era stato possibile a causa di uomini come Eichmann, che non erano demoniaci, che non incarnavano il male assoluto, ma che erano semplici uomini, cittadini. Sempre in questo suo tentativo di lettura psicologica di Eichmann c’è un passaggio molto bello, in cui lei dice che, in fondo, lui era un uomo incapace di immaginazione, e a causa di questa incapacità, fu poi capace di fare un male cosi terribile, di causare simili sofferenze  quindi, ne viene fuori un’immagine di criminale di guerra, dai suoi articoli, molto inquietante, perché fino ad allora, avevano spiegato il male in un certo modo; cioè c’è il bene, che è riconoscibile, e poi c’è il male, anche lui riconoscibile. - Arendt in questo senso è molto più destabilizzante, perché ci dice che non sempre possiamo riconoscere il male e chi lo fa, e che anzi è qualcosa di più, che chi fa il male non ha a che fare con il demonio, ma piuttosto ha a che fare con la banalità, con la normalità, e non è detto poi che colui che infligge il male debba essere necessariamente particolarmente stupido. Hannah Arendt fa questa operazione a tavolino a livello filosofico, ma questo non significa che comprenda Eichmann, che per lei lui si possa guadagnare il perdono. Le colpe commesse da lui per lei sono delle colpe eccezionali, che non possono essere perdonate; sarà lei per prima a chiedere la pena di morte per Adolf Eichmann. Dunque non lo giustifica, le sue colpe erano imperdonabili. Si era macchiato di un crimine contro l’umanità. Questo processo, secondo Arendt, fu orchestrato ad arte e a tavolino. Una delle motivazioni che aveva spinto i due protagonisti fu quello di tenere spalla al sionismo per giustificare la fondazione di Israele. 40 Arendt aveva dunque le sue idee su come quel processo avrebbe dovuto svolgersi; e questo lo scrive si nella Banalità, ma lo scrive anche nei suoi carteggi, quindi in quello scambio epistolare che in quei mesi tende con suo marito, Heinrich Blücher, con i suoi amici più cari. Carteggi in cui lei usa sempre dei toni molto forti nel descrivere ad esempio Ben Gurion. Nei primissimi capitoli della Banalità, c’è un passaggio che Arendt dedica a Gideon Hausner, il PM - ed è molto velenoso, perché descrive questo uomo e lo dileggia, perché dal punto di vista di Arendt, lui parlava un pessimo tedesco, e questo per lei era una macchia; e poi perché parlava come uno scolaretto, senza ne punti ne virgole, perché effettivamente lui faceva le sue arringhe tutto ad un fiato, senza pausa. È molto retorico, ma tiene le sue arringhe in maniera meccanica, e questo Arendt lo nota e lo ridicolizza nella Banalità. Aggiunge che è come uno scolaretto diligente che vuole fare bella mostra di sé, dimostrare quello che sa; ma, che in fondo, resta un uomo dalla mentalità gretta, da ghetto. Quindi trova molte cose irritanti per come quel processo era stato allestito. Quello che non riuscì a tollerare fu la spettacolarizzazione del dolore dei sopravvissuti ai campi di sterminio, che, come sappiamo, furono chiamati a sfilare come ad un casting. Ad Arendt parve un’esibizione gratuita del dolore di queste persone e non condivise la scelta di farle parlare senza limite, lasciandosi andare ai ricordi, come se fossero dati in pasto al pubblico televisivo. - Il regista era Ben Gurion, il PM, perché di Gideon Hausner ne parla come un burattino; Ben Gurion era il grande burattinaio e Gideon era quello che si faceva manovrare, il burattino. Tutto questo, in quell’aula, accade perché, secondo Arendt Ben Gurion - aveva tutto l’interesse di dimostrare che quello che era accaduto nei campi di sterminio  fosse la conseguenza di un odio secolare nei confronti degli ebrei. Ma anche perché lui voleva incutere terrore nei sopravvissuti, voleva che gli ebrei si sentissero a “casa”, al sicuro solo in Israele; e quindi, quel processo spettacolarizzato diventa per lui occasione per incutere paura in chi era sopravvissuto, e convincerli del fatto che il mondo al di fuori di Israele odiava gli ebrei, e quindi sarebbero stati garantiti dei loro diritti solo nella loro nazione, Israele. Secondo Arendt lui era ossessionato da questo; non solo voleva giustificare Israele, non solo voleva tenere spalla al sionismo, ma era anche stato più subdolo di così, voleva terrorizzare i sopravvissuti, farli sentire sempre in pericolo fuori da Israele. Un esempio di nazionalismo, quello di Ben Gurion, molto spinto. - accusa Ben Gurion di avere anche un interesse economico  accusa il primo ministro di Israele di aver orchestrato quel processo anche per avere più soldi dalla Germania, che aveva già pagato, ma secondo Ben Gurion non era abbastanza. Quindi, a parere di Arendt, quella occasione era stata un’occasione buona per lui per ricevere soldi dalla Germania e drenare risorse vero la nuova Israele. Per tutte queste ragioni, quindi, Arendt ritiene inutile portare al processo Eichmann, proprio perché questo processo era diventato molto ideologico, si era creata una falsa coscienza rispetto alla storia. Questo quindi lo scrive nella Banalità, lo scrive anche nelle lettere indirizzate al marito ad Heinrich Blücher, e alla sua studentessa - LOTTE KÖHLER  che era stata una delle sue ultime studentesse, e poi aveva fatto la scelta di diventare sua assistente personale; non una semplice segretaria, perché in realtà curava gli scritti, di Hannah, quindi era una figura molto preziosa intellettualmente per Arendt. In queste lettere lei dava letteralmente sfogo a quelli che erano i suoi pensieri su questo processo, non risparmia veleno, non controlla la sua scrittura, usa degli aggettivi anche molto forti. Per esempio, ad un certo punto dirà che Israele stava rassettando il razzismo con quel processo. Ne risparmia alcuni, ovvero - i giudici della corte  per i quali ebbe parole genuine, sincere di ammirazione e gratitudine, perché la sua impressione fu che loro veramente cercassero di risalire alle oggettive responsabilità di Eichmann, malgrado il circolo mediatico intorno. Li definì il meglio dell’espressione della cultura ebraico-tedesca. Entrano con passo disinvolto, ascoltano con serietà e attenzione, e i tratti de loro volto s’irrigidiscono per un senso naturale di pena al racconto di tante sofferenze. Il loro atteggiamento verso la difesa è fin troppo corretto e i loro modi verso l’imputato sono sempre irreprensibili. Tre uomini buoni e onesti. 41 In una lettera al marito, per esempio, si lamentava del fatto che in Israele fosse impossibile per lei imbattersi in persone oneste e pulite per colpa della mentalità gretta. E poi fa tutta una serie di annotazioni che lasciano il lettore molto sconcertato, un elenco delle cose che la infastidivano di Israele: - La lingua yiddish  una lingua di ceppo germanico che si era diffusa tra le comunità ebraiche; un dialetto perché era lingua fusion, nata dalla fusione di diverse lingue. Però in quel processo si parlava così, lingua di tutti gli ebrei polacchi, tedeschi, francesi, eccetera.Quindi fa della annotazioni molto disprezzanti nei confronti di chi parlava questa lingua, perché lei era una poliglotta, parlava molte lingue, però non capiva un H di yiddish, perché la sua famiglia, colta, intellettuale, non aveva mai usato l’ebreo in casa.Tanto più la disturbava il fatto che gli uomini che stavano processando Eichmann, e che si rivolgono a lui parlando in yiddish, in realtà sono tedeschi, e quindi pensano in tedesco, le sembrava un’ipocrisia linguistica. - matrimoni misti quelli che furono impediti in Germania dalle leggi del ’35, cioè tra tedeschi ed ebrei.E quindi, dice Arendt, anche quella sarà una forma di ipocrisia di Israele, perché la stessa Israele vietava i matrimoni misti. - in una lettera a Karl Jaspers, dileggiava anche gli ebrei ortodossi  li ridicolizza per i riccioli che gli ortodossi hanno ai lati del volto che toccano nella preghiera; e lei non sopportava gli ortodossi, non sopportava questi riccioli lunghi, li dileggiava anche perché vestivano in una maniera bizzarra, con il cappello sulla testa. Tutte quelle forme di ortodossia la disturbavano. Le sembravano, quei modi di “conciarsi” uno sfoggio ideologico del proprio credo (noi e gli altri), dice che sono cose insopportabili, che la maggioranza di persone di buon senso non tollererebbero in un paese civile. - attacco alle forze di polizia israeliane  che lei dice “quei tipi con la faccia da medio orientali, assolutamente brutali, che parlano solo nella loro lingua.” Da quel momento in avanti le sarebbero arrivate addosso le polemiche, polemiche violentissime. A distanza di due anni dal processo Eichmann, dunque, pubblicherà questi famigerati 5 articoli, e con questo fuoco di polemiche si apre THE CONTROVERSY - LA CONTROVERSIA. The Controversy è un espressione molto in uso negli Stati Uniti, e va ad indicare quella disputa intellettuale che Hannah Arendt infiamma con i suoi articoli - È un vero e proprio dibattuto violentissimo, che dura anni; un piano violentissimo che poi incrinerà negli USA le interpretazioni della storia novecentesca. Quindi, ne viene fuori un dibattito, uno scontro violento tra gli ambienti intellettuali ebraici, e Hannah Arendt, che rischia di soccombere sotto queste polemiche. Polemiche che effettivamente poi vanno a scrivere il dibattito pubblico, quello intorno alla storia della deportazione degli ebrei in Europa. La controversia, per quanto violentissima, fu comunque salutare  perché finalmente si parla apertamente di quello che era accaduto in Germania e nel resto d’Europa in quegli anni. Quindi, la Shoah, grazie ad Arendt, non è più un dramma domestico, privato. Gli ebrei si vergognavano di quanto era accaduto, questo shock li aveva segnati per sempre, e quindi non riuscivano a parlare pubblicamente dell’orrore di cui erano stati testimoni. E per molti anni dopo la chiusura del conflitto mondiale, la Shoah era diventata quasi un dramma privato, e gli ebrei avevano proprio fatto la scelta di non parlare pubblicamente della Shoah. Arendt, invece inclina proprio i piani della storia in questo senso, perché costringe a tutti, non solo ebrei, ma anche europei, americani ad affrontare pubblicamente quanto era accaduto, e a costringere tutti, Germania compresa, a fare un mea culpa. I 5 articoli vengono pubblicati su ‘The New Yorker’ con il titolo ‘A reporter at Large - Eichmann in Jerusalem’, che poi sarà anche il titolo della Banalità negli USA. Significa letteralmente una giornalista in generale. Dunque, la situazione precipitò nel 1963. Saranno degli anni molto violenti. Cosa le si contesta? • Primo fronte  le si rimprovera di aver fatto della Shoah una materia giornalistica.È una scelta causale, la sua, quella di pubblicare gli articoli sul New Yorker? No, sceglie deliberatamente di pubblicare su una rivista, e sceglie apposta il New Yorker perché non era una rivista sionista, era la rivista dell’America bianca, un giornale che aveva una grande diffusione, culturale. Quindi per lei era l’ideale per far si che della Shoah si dibattesse in pubblico, per innescare un dibattito aperto alla luce del sole sulla questione della Shoah. Dibattito aperto per Arendt vuol dire creare un dibattito sociale, creare uno spazio di dibattito in cui tutti potessero intervenire, non solo gli ebrei. Questa fu una scelta che non le fu perdonata. 42 - Arendt con i 5 articoli ci costringe ancora oggi a riflettere su Israele  ma soprattutto ci costringe a ripensare l’idea di nazione. Costruisce la sua tesi anti-nazionalistica passando da Israele, e quindi ci fa vedere come Israele, per come era nata e fondata, avrebbe poi provocato problemi alla convivenza sul suo territorio. Mette in discussione il principio ebraico della sacralità della terra: Israele nasce sulla Palestina (terra promessa) e lei fa vedere come è sbagliato questo concetto di sacralità della terra, perché nel nome della sacralità della terra si compiono poi dei crimini, si vanno a ledere i diritti umani. - Però ci furono quelli che la compresero  fu compresa dai giovani americani e israeliani, le nuove generazioni furono molto sensibili ai temi di Arendt, e arrivarono a concordare con le sue tesi. Questo è molto interessante, perché se Arendt da una parte finisce nel violentissimo tubo delle polemiche, dall’altra i giovani le fanno da scudo, e non solo i suoi giovani studenti, ma anche i giovani israeliani. Sempre su questo fronte ebbe appoggio dalla sinistra ebraica, che si schiera dalla sua parte. Hanna oggi: Arendt è stata rivalutata anche come storica, e viene persino rivalutata negli ambienti post-sionisti (si parla oggi di post-sionismo per indicare delle evoluzioni di un movimento che non è più fermo sulle posizioni Ottocentesche); viene rivalutata proprio perché oggi abbiamo una maggiore sensibilità per capire le tesi di Arendt. Quei tempi erano anni di forte nazionalismo spinto, oggi gli scenari sono più globali, quindi si tende anche a superare il concetto di nazione. Questo accade anche in Israele, dove si stanno mettendo in azione quei miti (terra sacra). Una sua idea che sta guadagnando credito anche in una certa parte dell’Israele di oggi era la sua soluzione a quella Israele li: lei aveva proposto, nell’occasione, una sorta di stato bi-nazionale, cioè lei pensava ad una confederazione di Stati, che arabi, palestinesi, ed ebrei potessero convivere. Critiche filosofiche: - le si rimprovera, sul fronte filosofico  di essersi spostata dalle tesi Kantiane, che aveva sostenuto nelle Origini, perché nella Banalità arriverà a dire che il male non è radicale, mentre nelle Origini aveva sostenuto il contrario, cioè che il male è radicale, demoniaco. Nelle Origini aveva sostenuto che l’antisemitismo era comparso perché il male, dicava lei, è dentro l’uomo, è insito nell’uomo. E, a partire dalle tesi Kantiane aveva poi spiegato l’olocausto; quindi, quel male li dell’olocausto, Auschwitz, si era compiuto proprio perché nell’uomo è insito il male. - Nella Banalità farà poi un eclatante retrofront, e dirà apertamente di essersi sbagliata. Non solo dirà che il male non è radicale come aveva sostenuto nelle Origini, ma si era sbagliata perché il male non può essere profondo, ma solo il bene lo è. Questa affermazione le sarà contesta nei circoli filosofici, e anche questo le procurerà molte critiche come filosofa. - Quando lei usa il termine ‘Banalità’ sta commettendo qualcosa di molto grave, va a rompere un tabù, perché di fatto lega l’olocausto alla parola banalità; e anche questa scelta linguistica non le sarà mai perdonata, soprattutto dal suo amico Hans Jonas. Nessuno aveva mai osato accostare la Shoah alla Banalità. QUESTIONE DEL MALE IN FILOSOFIA in filosofia è una questione complessa, molto antica. In filosofia esistono almeno due nozioni di male. Esiste tutta una tradizione di pensiero che ha sempre interpretato il male come assenza di bene, ovvero che il male capita perché, laddove è assente il bene, si manifesta il male. Arendt, invece, ci dice che solo il bene è profondo, però quando lei accosta le parole Male e Banalità non ci dice che il male è banale, ma vuole sostenere una tesi nuova: cioè che solo l’uomo banale è capace di commettere il male, l’uomo ordinario è capace di commettere il male. Questa tesi filosoficamente non solo è nuova, ma è anche scandalosa. Il male è sempre stata una questione che ha tormentato i filosofi fin dagli antichi, perché l’uomo sperimenta il male ogni giorno, e quindi il filosofo si è sempre sentito in dovere di interrogarsi sul male, proprio perché l’uomo fa continuamente esperienza del male. Quindi, il male ha sempre sfidato, provocato l’uomo, quindi il filosofo a sua volta ha cercato di spiegare il male. Al contempo, però, non sempre la filosofia è riuscita a risolvere il problema del male, ma soprattutto non è mai riuscita a risolvere il problema per lui l’uomo può scegliere di fare il male; non solo di subirlo, ma anche di farlo. Allora, Arendt si sente in dovere di esplorare delle piste investigative, e quindi di procedere in sentieri di ricerca nuovi e diversi, e poi arriverà appunto alle tesi della Banalità del male. 45 Per capire lo scandalo delle tesi della Banalità del male sul piano filosofico, bisogna partire dall’antico, e ripassare da quei nodi concettuali di pensiero forti nella storia della filosofia, in cui il filosofo ha cercato di spiegare a se stesso e agli altri che cos’è il male. • Greci  Loro si sono sempre spiegati il male in una dimensione religiosa, cioè la causa del male, secondo i greci, era da rintracciare negli Dei, perché erano gli Dei che mettevano l’uomo alla prova, lo provocavano, per cui il male era una sorta di banco di prova dell’umano, gli Dei ingannavano gli uomini.Questa dimensione del male ha retto per secoli, generazioni di filosofi si sono mossi su questo convincimento, cioè che il male fosse un prodotto del cielo, un castigo degli Dei, per ricordare agli uomini la loro vulnerabilità.Questa concezione del male resta in piedi fino al cristianesimo. • Cristianesimo  succede qualcos’altro, perché finalmente si parla di libertà, il cristianesimo fa si che l’essere umano si scopra libero, proprio perché in lui brilla quella scintilla che è Dio.Allora perché il male? Il filosofo cristiano comincia a riflettere sulla questione del male, e cerca di spiegarlo in prospettiva della libertà. Il fatto che l’uomo scelga la libertà è il segno che l’uomo è libero?Questa domanda su che cos’è il male tormenterà in particolare un filosofo cristiano, che è Agostino. Lui si pone due domande: Che cos’è il male? Da dove viene il male? E comincia a distinguere almeno 3 forme di male: ontologico, quindi un male creaturiale, che è nell’uomo; morale, che viene dal peccato; fisico, il dolore. Quindi, sostanzialmente, Agostino non nega la presenza del male, ma esiste assumendo anche delle forme diverse. Però fa un’operazione molto interessante che ci aiuterà a capire questo concezione della Banalità del male di Arendt: Agostino ne nega l’essenza. Non nega l’esistenza del male, ma ne nega l’essenza. Per lui il male è il non essere, non ha una realtà propria, ma lo intende come mancanza, come assenza di bene. Dice lui che esiste solo Dio che è il bene supremo, oltre Dio non esiste nulla. Il male quindi non può avere un’esistenza propria. Agostino dice che, certo, esiste, ma solo se rapportato al bene, concepisce il male come una diminuzione di bene.Accade perché l’uomo è una natura finita, e quindi può corrompersi come tutte le cose finite. Tuttavia, il male non è una cosa creata da Dio, ma è un’interna limitazione del bene.Questa convenzione Agostiniana di bene, sarà poi la concezione che riverbera nella Banalità del male. • Platone  il male è accidentale, quindi nel lessico Platonico il male è un semplice accidente. Questo perché, in realtà, il male non ha una sua realtà, l’unica realtà suprema per Platone è il bene. Accidentale vuol dire che il male non ha una verità intrinseca, non ha un valore veritativo, solo il bene ha valore, ha verità, perché ha la forza di rivelare le cose. Questo non accade invece per il male, che per Platone è non-essere, quindi negazione assoluta del bene, privazione di bene.Questa concezione Platonica rimbalzerà poi anche in filosofi successivi, come quelli cristiani, in particolare Agostino. • Agostino  farà sue le idee platoniche. Quindi Platone si ritrova nelle leggi di Agostino. Il male per Agostino è privazione di essere, vuol dire che il male non ha una sua realtà, non è una presenza. Esiste, certo, ma non è una creazione di Dio, perché Dio è buono, e in quanto bontà infinita non può aver creato il male. La capacità di fare il male la possiede solo l’uomo, in quanto libero, quindi il male è una libera scelta dell’essere umano, che sceglie per sé e sceglie di privarsi del bene.Inoltre distingue 3 forme diverse di male: 1. Metafisico/ontologico: è una forma di male che esiste perché Dio ha creato le cose, e in quanto tale esiste questo male metafisico/ontologico che è creaturiale. Proprio perché il creato non è perfetto come Dio, quindi mantenne un grado di perfezione inferiore a Dio, allora dalle cose create si origina il male 2. Fisico: intende proprio la sofferenza e dolore fisico, che esiste perché l’uomo è una creatura materiale imperfetta (biologica). Questo vuol dire che non è una creatura solo spirituale, abbiamo anche una dimensione spirituale, ma l’essere umano è fatto di spirito e materia, quindi possiede anche una componente materiale, corporea. Da questa componente materiale e corporea si genera il male fisico, che si genera proprio perché la natura fisica dell’essere umano è corruttibile, si corrompe, è soggetta a mutamento, l’essere umano invecchia, si ammala, e quindi dall’invecchiamento, dalle malattie procede e si genera il male fisico 3. Morale: è il prezzo che l’essere umano paga a fronte di quel peccato antico, che è il peccato originale. Da qui viene un’antropologia Agostiniana, estremamente affascinante, Chi è l’essere umano per Agostino?È un essere finito, creato da Dio, libero, che però in quanto creatura finita non possiede il bene assoluto, e non possedendolo, in quanto creatura libera, può compiere il male.Il male nella sua antropologia diventa il segno della libertà dell’uomo, il male è la più grande libertà dell’essere umano, ma è anche una sorta di prova di volontà. Il male quindi non esiste, però l’uomo lo sceglie in quanto libero. Ma lui non dice che il male non esiste, ma esiste come assenza di bene.Poi, per farci comprendere questa sua affermazione usa una metafora: così come il buio è assenza di luce, così il male è assenza di bene. 46 Con la modernità accade qualcosa di diverso, quindi anche la modernità ha una sua sensibilità, dei suoi quadri culturali molto diversi dell’antico. Quindi, la questione del male prende altre pieghe, e si arriva ad un’ulteriore svolta, in quanto per l’uomo moderno il male è una semplice necessita, il male capita perché l’umanità si evolve, progredisce, e le conoscenze dell’umanità hanno un accelerazione scientifica. All’interno poi dell’eco moderno ci sono tanti tentativi di spiegazione del male, tra cui: • L’illuminismo  particolarmente significativo. Questo movimento ha un atteggiamento demolitorio nei confronti della religione, e quindi si porta fuori dalle spiegazioni religiose del male, ma Kant sarà un’eccezione. • Il marxismo  e quindi il materialismo storico di Karl Marx. Una lettura del male molto bella, perché fa dipendere il male dell’ingiustizia sociale; quindi secondo il filosofo del comunismo il male ha un’origine economico-sociale, e quindi dove c’è un’ingiustizia sociale, povertà, secondo Marx c’è il male. • Letture di tipo scientifico, come il positivismo  Nel frattempo i progressi acceleratissimi della scienza diffondono l’idea che il male possa essere vinto e sconfitto, attraverso la scienza, quindi per il mezzo delle scoperte scientifiche e tecniche. Quindi, questa saldatura tra scienza e tecnica avrebbero consentito il superamento del male. • Kant  Partiamo da radical Böse-Male radicale; questa espressione appartiene unicamente a Kant. Lui ne parla in un’opera del 1793: 'La religione dentro i limiti della ragione’. - Qui c’è una bellissima lettura del male, ma anche una bellissima antropologia  cioè, Kant si sta interrogando anche su che cos’è l’uomo, cerca di venire a capo anche ad un’altra grande questione, e risponde che l’ uomo è un legno storto. Con questa espressione vuole dire che l’uomo, secondo Kant, ha una naturale tendenza verso il male, perché secondo Kant, l’uomo è si predisposto al bene, ma in lui è presente anche un’inclinazione naturale verso il male. Ci sta dando una definizione di uomo e una spiegazione del male. L’uomo per Kant, essendo creato da Dio, è predisposto (anlaghe in tedesco) al bene. Predisposto al bene vuol dire che l’uomo sa riconoscere il bene, e quindi sa riconoscere la legge morale che l’uomo si porta dentro di sé. Poi, aggiunge Kant, l’uomo non è solo predisposto al bene, ma ha anche una propensione al male (hang). Questa propensione lo spinge a soddisfare i propri interessi egoistici, a soddisfare i propri desideri. Però, Kant ci parla di semplice tendenza, e non ci dice che l’essere umano è maligno, perché ha una propensione al bene, si porta dentro la legge morale. L’uomo è corruttibile, e il male è corruzione, una sorta di corruzione che avviene per natura, e allora questo essere umano come viene rappresentato, è spinto ad agire in ossequio alla morale che si porta dentro, ma nello stesso tempo è una creatura finita, e in quanto tale ha dei bisogni, dei desideri, pulsioni, e da qui ne viene anche una natura egoistica. Per cui, riconosce il bene ma in contempo è anche attratto dal male, perché vuole soddisfare la sua natura, quella corporea. Allora, dice Kant, il male è ineliminabile  è una sorta di condizione, di inclinazione naturale; ineliminabile perché - perché affonda le sue radici nell’uomo, nella sua natura egoistica, bisognevole - Ineliminabile anche perché l’uomo non può cancellarlo da solo, ma ha bisogno della grazia di Dio, e quindi arriva a dire che solo il buon cuore di Dio può opporsi alle forze del male. Quindi, anche Kant, quando parla di hang, di propensione al male, ritiene che il male infondo sia scelto dall’essere umano, in questo senso è un atto liberamente scelto, un atto di libertà. Questa teoria Kantiana sul male fu molto scandalosa a quei tempi: - perché lui è un illuminista, e per l’illuminismo il male viene generato dall’ignoranza, ma qui si dice qualcosa di diverso, che il male è ineliminabile, che deve intervenire Dio e gli illuministi non sono religiosi - Poi risultò tanto più scandalosa perché Kant cerca di conciliare due aspetti che sono opposti  la volontà e la libertà, che sono due grandi questioni filosofiche, e che per i filosofi dei primi tempi si conciliano poco tra di loro. Non sempre, pur essendo noi liberi, possiamo fare ciò che vogliamo. Kant cerca di trovare un punto di contatto tra la volontà e la libertà dell’uomo. Questo fece scandalo tra gli illuministi. Perché tenta di conciliare questi due opposti? - Perché per Kant il male è il segno della libertà per l’uomo, perché è un atto liberamente scelto. Poi, secondo Kant il male è totalmente umano, può essere imputato solo all’uomo. Poi, lo definisce tendenza naturale, perché se si afferma che il male è innaturale (critica che gli viene mossa dagli illuministi), la natura è obbligante per l’essere umano. e allora come si concilia con la libertà? 47 stringerà amicizia, Bruner  giovane avvocato filo nazista, ed è proprio per il tramite di questo giovane avvocato che Eichmann comincia a frequentare anche i circoli nazisti. Però da subito fu evidente che lui non era molto convinto, quindi entra nelle file del partito senza tanta convinzione, e gli studiosi riportano una conversazione tra i due. Quando il giovane avvocato gli chiede “perché non entri nel partito nazional socialista?” Eichmann rispose con un semplice “perché no”. Lui non conosceva nulla del nazional socialismo, non aveva mai letto neanche Main Kampf, il libricino pubblicato da Hitler. Quindi, era totalmente ignorante in materia politica, non sapeva nulla di questioni politiche. Poi, in Austria il partito nazista cade in disgrazia, e quindi è costretta a lasciare l’Austria e si rifugia in Germania. Qui conosce un ufficiale tedesco, il quale gli fa da ‘volano’ e gli apre la via della carriera militare, che intraprenderà molto ingenuamente. Non sapeva neanche cosa fossero le SS. Pensava fossero delle semplici squadre di vigilanza, non sapeva affatto fossero le truppe d’élite. Entra pensando di dover andare a prestare un semplice servizio di scorta. Però, di fatto, da subito viene sbattuto dietro ad una scrivania, d’altra parte non spiccava di particolari doti, dunque era stato raccomandato da questo ufficiale e si era ritrovato dietro una scrivania diventando il suo ruolo all’interno delle SS. Lo chiamavano Electron Eichmann, per via del suo precedente lavoro nell’azienda tranviaria. Si ritrova dietro alla scrivania, e per lui fu uno smacco perché era un narciso; quindi trovò umiliante trovarsi li, e per molti mesi lavora in malavoglia. I primi mesi furono per lui un’esperienza lavorativa molto noiosa e frustrante. Poi verrà trasferito sempre in una scrivania, ma in un ufficio molto speciale, l’ufficio ebraico. Divenne capo di quel famoso ufficio B4 che troveremo più volte citato, e il famigerato B4  una sottosezione di un ufficio di sicurezza nazionale della Germania, che si occupava di questioni ebraiche. Una volta ritrovatosi capo, comincia a prendere le sue mansioni molto sul serio, e si sente in dovere di prepararsi a svolgere quelle mansioni, e quindi comincia a studiare la questione ebraica. Lesse uno scritto che aveva avuto un bel successo, e quindi si avvicina a questi padri del sionismo. Oppure, gli capitò tra le mani pure un testo di Adolf Bon, e anche qui si documenta sul sionismo. Prese il suo ruolo tanto sul serio, che imparò anche l’yiddish. Fino a che, nel ’37, assume una falsa identità e riesce ad intrufolarsi nei kibbutz ebraici, e quindi fa questo viaggio in Palestina per conoscere meglio gli ebrei, che nel frattempo si erano trasferiti in Palestina, ed erano nati questi kibbutz. L’obiettivo di Eichmann  era proprio quello di spiare come vivevano gli ebrei nei kibbutz (delle società comuni in cui si condividono i beni, c’è una prospettiva di solidarietà). Nel giro di pochi anni, comincia poi ad accreditarsi presso gli altri funzionari del terzo Reich come esperto di questioni ebraiche, e durante questo viaggio in Palestina partorì la famigerata idea, cioè gli venne l’idea di aiutare gli ebrei, perché il suo obiettivo, da li in avanti, diventerà quello di mettere sotto piedi ebrei quella terra promessa a cui tanto avevano aspirato, voleva aiutarli a realizzare i loro desideri politici. Come? Organizzando una emigrazione forzata. In quegli anni si inizia a palare già di soluzione finale. Siamo ai primi degli anni Quaranta, nel ’42 si tenne la famosa conferenza di Wannsee, che vide attorno al tavolo tutti i più alti funzionari del terzo Reich. In quella occasione fu presente anche Eichmann in qualità di segretario. L’ufficio B4 rispondeva direttamente ad uno di quei gerarchi, che era Heydrich, uno dei mostri del terzo Reich. Quindi, fu anche grazie alla stima che si era conquistato presso Heydrich che poté presenziare a questo tavolo in cui fu pianificato l’olocausto. Politicamente  la sua educazione politica fu mondo debole, ma con gli anni in cui entra nel Partito, diventa fortemente ideologico, e comincia a definirsi lealista. In fondo vestiva una divisa, era un soldato, era nelle SS, per cui il suo compito principale era quello di essere leale con la Germania, con lo stato nazista. Quindi, uno dei suoi compiti era quello di realizzare la legge del partito. Nell’ottica del terzo Reich la Germania tutta doveva essere ripulita dagli ebrei, e quindi Eichmann lo sentì come un dovere lealista. Al contempo si definiva anche un realista, quindi un uomo pratico, perché dietro quella scrivania stava realizzando anche al volontà degli ebrei, cioè avere una propria terra e un proprio territorio. In molte occasioni, durante le sedute processuali, effettivamente Eichmann si definisce il salvatore del popolo ebraico, ma che poi si è dovuto arrendere perché questo progetto non era nei piani del terzo Reich. Quali erano i suoi compiti? Arendt si lasciò convincere dall’autodifesa di Eichmann, quindi lo ha sempre visto come l’ultimo anello di una catena, una piccola rotella di una grande macchina totalitaria. I compiti di Eichmann però in quel processo sono stati accertati, perché - lui requisiva i treni dei paesi occupati, e cominciava poi a panificare in una maniera metodica il trasferimento delle popolazioni ebraiche, perché questi territori occupati dovevano essere ripuliti dalla presenza degli ebrei, 50 denazificati. Cominciava quindi a pianificare lo spostamento delle popolazioni, e in base alla capienza dei campi spostava milioni di ebrei. Ovviamente ci fu una prova per testare le sue capacità: la prima volta gli fu chiesto di spostare 7.000 ebrei dalla Francia occupata, verso un campo militare, e qui brillò, diede prova delle sue capacità di organizzare, di pianificare. Dopo la guerra Eichmann riesce a farla franca, a sfuggire agli alleati e ai processi di Norimberga. In realtà era già stato catturato una volta, perché lasciò la Germania, si rifugiò in Italia, in Umbria, dove visse 6 mesi sotto falsa identità, visse in Italia nascosto 6 mesi, e poi sotto falso nome si imbarca a Genova verso l’Argentina, assumendo un’ennesima identità. Il suo nuovo nome fu Riccardo Clement, il nome con cui visse molti anni in Argentina, facendo molti lavori, poi fu assunto dalla Mercedes a Buenos Aires, e lì costruisce la sua casa, ovvero un bunker. Più tardi lo avrebbero raggiunto i suoi figli e il resto della famiglia. Qui fu scovato dagli uomini del Mossad; sembrava un uomo tranquillo, come tanti, visse molti anni tranquillamente indisturbato, condusse una vita molto tranquilla, ma senza mai prendere la distanza dal terzo Reich e dai suoi ideali, e senza essersi pentito. E in molte occasioni questa sua ideologia rischiò di costargli molto cara, perché commise molti errori, per questo rischia di essere scoperto. Seminò numerosi indizi, come esempio quando scomparve un nazista in Argentina e pubblica su un giornale un articolo con il suo vero nome. O piuttosto che aveva un circolo di amici nazisti come lui, avevano creato una sorta di club per rievocare i fasti del terzo Reich, e qui c’era tutto un giro di ex SS, che si frequentavano e si ritrovavano. Queste riunioni furono anche documentate, perché un giornalista registrava. - Queste registrazioni audio ci dicono che Eichmann non fu semplicemente l’esangue burocrate che la stessa Arendt ci racconta; si limitava a fare un lavoro di scrivania, ma evidentemente non era un semplice lavoro di scrivania; si limitava ad obbedire a degli ordini, ma evidentemente non erano dei semplici ordini. Insomma, una figura molto complessa. Lui si era definito un piccolo ingranaggio, una piccola rotella di un enorme macchina, e Arendt nella Banalità farà sua questa auto rappresentazione di Eichmann. BETTINA STANGNETH  era una filosofa della morale. Questa filosofa ha avuto modo di visionare queste registrazioni audio, e di ricostruire a sua volta, a distanza di anni dalla Banalità, un ritratto di Eichmann, e ne venne fuori un abile manipolatore, un nazista convinto, una figura nazista senza scrupoli. - Il ritratto che venne fatto da lei è differente dal ritratto che viene fuori dalla Banalità del male. Questo perché lei ha avuto al fortuna di poter lavorare su questi materiali audio sorprendenti. - Lei era una filosofa della morale serissima; sono studi di 10 anni fa che hanno fatto molto scalpore. La Stangneth si è data un metodo storico, quindi ha lavorato con estrema serietà, ha frugato in ben 30 archivi internazionali, e ha avuto quindi la cura di incrociare le mille fonti, ha spulciato migliaia di documenti studiandoli, ha avuto modo e maniera di leggere le 1300 pagine scritte. Secondo lei, quindi, Arendt fu ingannata e cadde in errore durante quel processo, perché si lascia abbindolare dalle capacità recitative di Eichmann; in realtà, il vero Eichmann, secondo questa filosofa, è un nazista convinto. 11 Aprile 1961  data fatidica perchè inizia il processo, nell’aprile inizia quel processo, Eichmann già arrestato dai Mossad e Hanna si reca Gerusalemme per seguire svolgimento di questo processo, 120 sedute processuali. Hanna si siede con un incarico: di scrivere per conto del New Yorker, quindi di tenere una corrispondenza da Gerusalemme, firmare questi articoli sulle vicende processuali, reticoli pubblicati a distanza di anni. Fu un evento vero e proprio, perchè Hanna era diventata una star in questo periodo, fu eccezionale il fatto che una star della filosofia internazionale firmasse queste corrispondenze. La pubblicazione di questi articoli fu piuttosto difficoltosa perchè si prese dei tempi lunghi di riflessione e la condanna a morte ci fu il 31 Marzo 1962, ad un anno di distanza dell’inizio del processo. Hanna pubblica questi articoli quando tutto ormai era accaduto e nel 1962 Hanna pubblica la ‘’banalità del male’’ che non è altro che la fascicolazzione di questi 5 articoli che furono pubblicati nell’arco di un mese sul New Yorker. Con questi 5 articoli Hanna ha l’obbiettivo di comprendere ciò che era accaduto in Europa a metà del 1900 ma come già sappiamo comprendere non vuol dire perdonare. La regista tedesca MARGARETHE VON TROTTA dedicherà la sua pellicola proprio a queste vicende e ci racconta il periodo che noi conosciamo come ‘’la controversia’’ - è un biopic  che nel linguaggio cinematografico questo termine è un crasi di due parole inglesi ovvero biographical picture (biografia e film) questa etichetta ci suggerisce che questo film è un film biografico in cui le 51 vicende storiche si intrecciano con una narrazione interna esistenziale ovvero che è un film che ci porta anche all’interno della sua quotidianità - È innanzitutto un ritratto  Ha la capacità di ritrarre in maniera reale Hanna. La registra viene dal teatro e quindi la macchina della reggia è molto ferma e rallentata e come registra di lavori teatrali ha molto spesso lavorato sui ritratti femminili e molto spesso ha lavorato su ritratti femminili disturbanti. Molti dei suoi lavori sono stati dedicati a donne politiche come ad esempio Rosa Luxembourg, eroina ebrea polacca marxista che fu uccisa in maniera drammatica. Nella sua pellicola che ha come titolo ‘’HANNA ARENDT’’ fa una scelta - cronologica  perchè lavoro su un arco di tempo molto stretto ovvero dal 1961 al 1964 periodo che gli americani chiamano ‘’la controversia’’ quindi ci fa vedere la genesi dei 5 articoli, quindi fa la scelta di isolare questo episodio per innanzitutto un’economia, per evitare di consegnarci un soggetto astratto. Lavorare dal periodo dal 61 al 64 le consente di aprire il focus su un periodo particolare di modo che ne viene un soggetto molto credibile. Il film è riuscito perchè vede alla sceneggiatura la - PAM CANS  che è una sceneggiatrice di forte caricatura e grazie a lei la registra riesce a rendere molto efficace l’ambiente di quegli anni in cui Hanna si muoveva, ritrae non solo Hanna ma tutti quelli che facevano parte della ‘’tribù’’ di Hanna che si era costruita nel periodo in cui era in America. Nella sua tribù è presente una segretaria ovvero  Lotte Koehler  che era stata una delle sue ultime studentesse e che Hanna aveva preso come sua collaboratrice quindi è una vera e propria amica. La registra si è potuta avvalere delle testimonianze di questa sua amica perchè era ancora in vita e quindi ha potuto rendere con efficacia e costruire questo periodo grazie anche a lei- - Film difficile da girare  perchè doveva rendere la vivacità di questa tribù ma anche sotto il profilo linguistico perchè erano persone che avevano imparato l’inglese ma erano tedeschi e nel dibattito animato entra di prepotenza il tedesco quindi ci sono questi scarti linguistici che un po’ faticano lo spettatore perchè si passa in modo veloce dall’inglese al tedesco Caratteristiche - È un film molto teatrale  e questo significa che non ci sono grandi colpi di scena ed è giocato sugli spazi domestici, si vedrà questo grande appartamento di Manhattan in cui abitava Hanna ma anche nella descrizione degli eventi è molto teatrale, fatti storici resi in maniera molto lineare, ordinata e rigorosa, la ricostruzione è sempre onesta. - i primi piani  sono sempre presenti, perchè nel linguaggio della cinematografia i primi piani per rappresentare le emozioni e le reazioni si passa dal viso - importanti i colori  della pellicola che caratterizzano a loro volta l’evento storico e il personaggio di Hanna, prevalgono infatti le tonalità molto scure, c’è molto buio. Perchè questa scelta?  anche questo è un espediente cinematografico, va a sottolineare e a marcare la serietà dell’argomento che viene trattato quindi la drammaticità dei fatti e soprattutto c’è un allusione metaforica ovvero Dark Times che Hanna usava nei suoi scritti, espressione poetica di Berthold Brecht, la pellicola quindi cerca di rendere i tempi bui, faticosi. Come viene rappresentata Hanna Arendt? Per quello che è in quel periodo. Raccontata come intellettuale ebrea tedesca emigrata negli Stati Uniti, intellettuale di fama che vive a New York insieme a suo marito che è Heinrich Blucher e che ha circa 55 anni. Nel 1961 era in cattedra, insegnava in una prestigiosa università statunitense, raccontata come un’ intellettuale di fama circondata sempre da questi suoi amici che erano una cerchia intellettuale che lei chiamava tribù. Quale tecnica viene utilizzata? Viene usata nella narrazione filmica la tecnica dello straneamento  che è una tecnica molto usata a teatro che è stata ideata da Berthold Brecht in quanto è stato anche un grande drammaturgo. Questa tecnica è una tecnica recitativa dove lo spettatore che assiste non resta mai coinvolto emotivamente e resta sempre distante e freddo rispetto a quello che si descrive sulla scena. Si sentono sempre questi personaggi come estranei. 52 - l’obiettivo  è vedere il comportamento del cittadino medio americano (americani  persone che non avevano mai sperimentato i totalitarismi e che avevano respirato i principi di una democrazia). Milgram comincia a spuntare l’elenco telefonico e spedisce a queste persone un invito a prendere parte ad un esperimento dell’università di Yale e in aggiunta fa pubblicare un annuncio sul giornale, “cercasi persone per un esperimento psicologico a Yale” (aveva inoltre previsto un compenso economico, 4 dollari l’ora). Milgram cercò di rassicurare le cavie e lo vendette come una semplice ricerca sul rinforzo negativo, 40 persone tutte maschi, giovani tra i 20 e 40 anni, che vivevano una vita normale, ma con diversa estrazione sociale. Queste 40 persone furono divisi in 2 grossi gruppi: - maestri e allievi (mise onestamente al corrente dell’esperimento gli allievi, ai maestri fu taciuto l’obiettivo di ricerca) - 20 persone che divennero complici nel suo esperimento. PROCEDIMENTO - 20 maestri, 20 allievi, forma 20 coppie casuali, composte da un maestro e un allievo  le coppie vengono trasferite nei laboratori dell’università; e ogni coppia viene assistita dai ricercatori  che indossa un camice bianco = simbolo di autorità; vengono poi smistati in stanze diverse. Queste stanze avevano 4 mura o un vetro trasparente da una parte c’è il maestro dall’altro l’allievo: - un gruppo ha il vetro = vede e sente l’allievo - l’altro sente ma non vede l’allievo - e un altro non vede e non sente l’allievo. I Maestri inoltre, hanno tutti davanti dei cursori, il ricercatore impone e ordina al maestro di somministrare domande all’allievo sollecitazioni a cui deve rispondere, il maestro deve interrogare e se l’allievo sbaglia, parte una scossa elettrica (che parte dalla console), il maestro ha davanti 30 cursori che azionano scariche elettriche da 15 a 250 V, ogni errore in più la scossa aumenta, (Il cursore è riconoscile da 3 X  scossa massima= potenzialmente letale), le scosse elettriche sono finte (i maestri non sono a conoscenza, gli allievi si  devono fingere di soffrire). - Ci furono delle persone che si ribellarono, ma pochi, per il resto tutti obbedivano, magari protestavano, Milgram di fronte alla protesta faceva quindi intervenire il ricercatore che insisteva (“l’esperimento richiede che lei continui per favore, lei non ha altra scelta, lei deve continuare, [alcuni si agitano es. aumento sudorazione]), (pochi smetteranno), la gran parte arrivano fino alla fine e collaborano. ESITO - 1° gruppo  chi non vede e non sente l’allievo, il 65% muove il cursore del 3xxx (scossa massima e letale), - 2° gruppo  chi sente soffrire, il 62% muove il cursore 3xxx, - 3° gruppo  vedono e sentono, il 40% prosegue e muove il cursore 3xxx. (Tutti potenziali assassini) Esperimento molto inquietante e ci spiega cosa è accaduto nell’Europa civilissima del 3 Reich, ci spiega il male, (perché obbediamo in maniera così acritica, perché non riusciamo ad agire?) nascono delle domande e delle teorie di Milgram  siamo obbedienti perché fin da piccoli siamo educati a riconoscere il senso dell’autorità, e quindi ad obbedire (autorità radicata, processo automatico). Milgram pubblicherà questi risultati nel 1963 (pubblicazioni 5 art. di H.A.) e da lì a poco pubblica il libro “obbedienza e autorità” e rimarrà al centro di molte polemiche, ci porta nella linea degli studi Arentiani. Cerca di comprendere il male e la normalità, vengono reclutate infatti persone qualunque ma che davanti ad un’autorità legittima diventano assassini. CONCETTO DI CURA Questo concetto è un tema filosofico antichissimo che viene dalla filosofia greca antica, che si ritrova sia in Heidegger che in Hanna e in nati per incominciare è presente un paragrafo su questa cura. Quando incontriamo questo concetto? Quando Hanna ci offre la definizione di politica nelle sue opere - la politica è prendersi cura del mondo, ma per prendersi cura del mondo bisogna agire in senso autentico, ovvero quando si incontrano gli altri, quindi si agisce nella dimensione che Hanna chiama pluralità. 55 il concetto di Hanna di pluralità presenta alcune somiglianze con un concetto di Heidegger che parlava di nitsein che lo traduciamo con ‘’essere-con’’ ovvero incontrare gli altri. Questa dimensione significa che non ci si prende solo cura degli oggetti ma ci si prende anche cura degli altri uomini. La filosofia della cura di Heidegger Nelle opere di Hanna a partire da Vita Activa si può andare a scorciare una filosofia della cura che può essere individuata nelle opere fondamentali di Heidegger come ‘’Essere e Tempo’’. Lui ci lascia una definizione di cura e ci diche che - la cura è radice dell’esistenza umana, radice è farsi carico quindi lui intende la cura come responsabilità, inoltre lui che sceglie sempre le parole con cura, per dire ‘’cura’’ nei suoi testi adopera un termine specifico ovvero Zorge operazione linguistica interessante perché il termine cura in tedesco è reso con molte parole diverse. Zorge nello specifico significa interessamento, preoccupazione. Utilizzano anche il termine Kur oppure Flega oppure Flaiz. Heidegger dal 1927 comincia ad usare il temine Zorge e questa scelta la farà partire dal 1927 che è l’anno di pubblicazione del suo lavoro ovvero ‘’Essere e Tempo’’  introduce la cura incocciando a parlare di un mito - mito di cura  si sfila ad una favola mitologica, ad una Dea dei Romani e riporta un mito che era stato scritto da uno scrittore latino Iginus, era uno scrittore romano a cui è venuto in mente di tramandarci questo mito e raccoglie in un manuale i 127 miti. Tra cui questo mito di questa Dea che con le mani costruisce una statuetta con il fango e poi supplica Giove di infonderle l’anima e per cui crea l’uomo. il mito di cura è un mito creazionista e lo riporta nel paragrafo 42 di Essere e Tempo. Da questo mito Heidegger inizia a riflettere sull’uomo come una creatura speciale perché è capace di dare cura e questo lo porta a farne della cura un fondamento dell’esistenza stessa dell’uomo come radice primaria. - C’è il problema di darle un nome alla statuetta e nasce una disputa tra chi l’ha creata e chi le ha dato l’anima, interviene la Dea Terra che pretende di assegnarle lei il nome in quanto fatta di terra, fango. Non arrivano ad una conclusione e allora interviene il Dio Saturno, Dio del Tempo, e stabilisce che: - Giove  la creatura sarebbe tornata a lui solo una volta morta - Terra  il corpo una volta morta - Dea Cura  le rimane tutto il tempo che sarebbe stata in vita - Saturno  stabilisce il nome ovvero Omo La parola cura arriva dal latino coira che rinvia ad un qualcosa che riscalda il cuore. Zorge significa anche essere preoccupati quindi rimanda ad un dolore, un qualcosa che consuma l’essere umano. Avere cura significa assumersi la responsabilità per gli atri ma significa anche essere disposti per gli altri al dolore. Due stati d’animo: 1. Preoccupazione 2. Protezione Quando parla di cura, usa due espressioni diverse quindi la declina in due modalità differenti: 1. Beisogen (prendersi cura)  non è una cura autentica, significa mettere a disposizione dell'altro delle cose materiali, dare all’altro degli oggetti quindi è più una concentrazione sui bisogni materiali dell'altro ma questo comporta un rischio ovvero di non incontrare mai l’altro. La cura così diventa tecnica 2. Husorgen (avere cura)  non è mai contraddistinta da un fare maneggiante perché siamo a disposizione dell'altro, ma progettiamo per l’altro e questa è una cura autentica in cui noi ci fermiamo davanti all’altro e gli dedichiamo del tempo non è calcolato e non misurato. 3. Ferfallen (deiezione)  questa è la cura negativa, la non cura. Deiezione ovvero ad un qualcosa che viene espulso, un qualcosa che viene giù. Azioni perdono di significato. Agisco perché devo fare cosi, allora si precipita nell’orizzonte della chiacchiera. Deietto è colui che abbandona l’altro, non lo assiste Somiglianze Hanna – Heidegger È una cura politica. Questo concetto evidente soprattutto in Vita Activa, opera che dedica ad Heidegger. Sembra che dialoghi a distanza con il suo professore e costruisce la filosofia della cura ma ne parla in maniera diversa, ne fa più un uso disinvolto, meno rigido e più politico. Per Hanna la cura ha a che fare con la responsabilità. Solo nell’azione si possiamo definire esseri umani. 56 - I concetti di Labor e Work  corrispondono al Beisogen di Heidegger quindi dimensione in cui l’essere umano incontra gli oggetti e non gli esseri umani - Il concetto di Action  sembra riflettere con Husorgen in cui impariamo davvero a prenderci cura di noi stessi e degli altri, incontriamo gli esseri umani senza di mezzo i materiali. - Il concetto di perdita di mondo  deiezione, la non cura Differenze Hanna – Heidegger - Per Hanna  la cura è una cura politica quindi responsabilità che si ha nei confronti del mondo. - Per Heidegger  ci si prende cura del mondo abbandonandolo, la morte, filosofo della Tode. Hanna è stata molto criticata in Vita Activa e attaccata dalle femministe perché quando Hanna parla del Labor, in una nota Hanna indica le attività che rientrano nel Labor tra cui - Allevamento di figli - Accudimento del malato e dei vecchi Questo agire lo impoverisce e le femministe americane trovano un fulcro decisivo  lavorare per amore Quindi concetto fondamentale è giocato proprio sul lavorare per amore, quindi criticano Hanna fa svicolare questa dimensione animale. In realtà questa frase di Hanna è attaccabile se la si estrapola dal contesto, perché in realtà quel passaggio potrebbe essere interpretato in una chiave positiva  la cura non è semplice accudimento ma un qualcosa di più. Per Hanna l’amore è una forza anti politica  una forza antipolitica perché la coppia si chiude esclude il mondo è facile prendersi cura di chi ci ama e di chi amiamo, più difficile è prendersi cura di chi non amiamo e di chi non ci ama e allora il concetto politico di cura, abbiamo una responsabilità. LA CRISI DELL’ISTRUZIONE Si chiama cosi perché in quel periodo gli Stati Uniti stanno attraversando la crisi della scuola americana che si stava trasformando e Hanna prende anche posizione in contrapposizione della pedagogia pragmatica di Dewey. Un compito di cura lo assegna agli insegnanti che hanno un compito politico importante, perché educare i giovani ad avere cura del mondo è un compito politico. L’educazione è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumerci la responsabilità e salvarlo dalla rovina. Salvare il mondo dalla rovina per Hanna significa anche prendere consapevolezza che il mondo non appartiene solo a noi adulti ma appartiene anche a bambini e bambine, uomini e piccole donne con cui gli adulti condividono il mondo. Quindi non si può governare il mondo estromettendo i figli perché con loro si condivide la responsabilità. - In quanto educatori abbiamo la responsabilità politica di preparare le nuove generazioni al compito di rinnovare il mondo, un mondo che per Hanna è comune a tutti, educare ed insegnare per Hanna non significa solo acquisire le competenze, esercitare una professione ma è un agire politico, educatore e insegnanti hanno la possibilità di modificare le cose, decidere le sorti del mondo - La scuola  dice che la scuola non è semplicemente un luogo di trasmissioni di sapere, luogo di formazione professionale, non può essere conservatrice, ma la scuola deve essere una palestra per i giovani ad innovare il mondo e invece è in crisi perché gli insegnanti sono legati a vecchi modelli educativi, non sanno offrire strumenti investigativi della realtà e questo cosa comporta? Impedisce ai bambini e ai giovani di esprimersi creativamente e quindi gli strappano di mano la loro occasione di innovare il mondo e quindi la scuola non può essere autoritaria e conservatrice. La scuola deve essere una palestra di libertà. Hanna quindi lavora su questa crisi su una triade 1. Autorità 2. Tradizione 3. Libertà dice che senza questa triade non potrebbe realizzarsi l’istruzione, l’insegnante deve essere autorevole e non autoritario. Deve essere una figura che tramanda il sapere e deve insegnare la libertà ai suoi studenti. Il rischio è che le nuove generazioni vengano educate secondo un mondo vecchio e da qui la necessità di vedere la scuola come un’emergenza politica, necessità politica. 57
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