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FILOSOFIA Rivoluzione scientifica ed epistemologia, Dispense di Filosofia

Dispense per studio autonomo. complete.

Tipologia: Dispense

2017/2018

Caricato il 29/05/2018

alessandro-de-luc-10
alessandro-de-luc-10 🇮🇹

4.7

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Scarica FILOSOFIA Rivoluzione scientifica ed epistemologia e più Dispense in PDF di Filosofia solo su Docsity! LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA Tratti generali Il periodo che va dalla prima metà del XVI secolo alla seconda metà del successivo (vale a dire dalla pubblicazione delle opere fondamentali di Copernico a Newton) si definisce per convenzione come periodo della rivoluzione scientifica, un movimento di idee che è legato a personalità fondamentali di scienziati (come Copernico, Brahe, Keplero e Galileo) e di filosofi (come Bacone e Cartesio). Durante la prima fase della rivoluzione scientifica furono sicuramente trainanti le scoperte degli astronomi, ed in particolare il progressivo rovesciamento della concezione geocentrica di derivazione aristotelico-tolemaica, che condusse ad un vero e proprio mutamento dell'immagine del mondo e a molti altri radicali cambiamenti. 1) Muta l'immagine dell'Universo: la Terra non è più il centro dell'Universo, cui esso è funzionalizzato, ma diventa un corpo celeste come un altro; 2) muta l'immagine dell'uomo: egli non è più il punto di riferimento della Creazione dell'universo, colui per cui tutto è stato creato (questo "spodestamento" dal trono delle creature, però, se produce un disorientamento più o meno sincero nei letterati, ingenera invece nella comunità scientifica un orgoglio per le proprie scoperte, certamente superiore all'umiltà che da questo riposizionamento nell'universo sarebbe dovuto derivare); 3) muta l'idea di scienza: questa non si esercita più sulle essenze astratte di derivazione filosofica, non è più l'intuizione privilegiata del singolo astrologo o mago, ma diventa un processo sperimentale che va avanti per contributi successivi, che deve essere perciò pubblicamente controllabile e che necessita di nuove istituzioni (accademie, laboratori, contatti internazionali...); 4) muta l'idea di scienziato: non solo perché egli opera spesso al di fuori (se non addirittura contro) le vecchie istituzioni del sapere (come le Università), ma soprattutto perché egli è il dotto che nella propria formazione e attività supera la frattura fra arti liberali e arti meccaniche, fra teoria e pratica, fra scienza e tecnica: la sua esperienza è l'esperimento, e l'esperimento esige, come chiarirà Galileo, la sapienza teorica nella costruzione e nell'impostazione, e quella tecnica nella misurazione e nella manipolazione di strumenti sempre più precisi; 5) muta la posizione della scienza rispetto alla fede: anche se attraverso un processo lungo e travagliato da drammi, come quello di Galileo, la scienza rivendica la propria autonomia rispetto alla teologia: il metodo che costituisce l'essenza della nuova scienza, quello sperimentale, conduce necessariamente alla conclusione che la scienza trova le sue verità indipendentemente dalla fede o dalla filosofia metafisica. Questo non vuol dire che la scienza nuova sia priva di presupposti teologici o filosofici: soprattutto nei grandi astronomi del XVI-XVII sec. è fortemente presente l'idea neoplatonica del Dio che geometrizza e, creando il mondo, vi imprime quell'ordine matematico e geometrico che il ricercatore deve scoprire. Analogamente (a conferma del fatto che anche le rivoluzioni non nascono nel vuoto pneumatico ma si innestano sui saperi delle età precedenti e non fanno, di essi, tabula rasa) la nuova scienza non è neppure slegata da tutti i tentativi di penetrazione dei segreti della natura e di manipolazione di essa che sono componenti fondamentali della tradizione magica ed ermetica. La differenza fondamentale con la tradizione magico-ermetica, tuttavia, è di primaria importanza: questa mette capo ad una forma di sapere occulto, elitario, cifrato e accessibile solo a pochi eletti, mentre la nuova scienza è per definizione pubblica e controllabile. PAGE 2 Gli scienziati Si è accennato al fatto che la prima fase della rivoluzione scientifica è caratterizzata dal ruolo di primo piano svolto da scienziati e in particolar modo dagli astronomi, più che da "filosofi" in senso proprio (sebbene gli scienziati non fossero affatto, come abbiamo visto e come avremo ancora modo di constatare, figure avulse dalla filosofia e dalla più generale temperie culturale del loro tempo). Nel novero degli scienziati vanno ricordati, in particolar modo, Niccolò Copernico, Tycho Brahe, Johannes Kepler, Galileo Galilei e Isaac Newton. a) Niccolò Copernico e il nuovo paradigma della teoria eliocentrica (prima metà del XVI sec.): N. Copernico nacque in Polonia nel 1473; studiò a Cracovia, a Bologna, a Padova e a Ferrara. Morì nel 1543. La sua opera più celebre, De revolutionibus orbium coelestium, è del 1532 (ma fu pubblicata solo poco prima della morte dell'autore). La spinta alla riflessione gli venne dalla necessità di semplificare la teoria astronomica aristotelico- tolemaica, che era stata complicata a dismisura, nel corso dei secoli, per tentare di adattarla a spiegare le nuove conoscenze che man mano si andavano conseguendo. Copernico aspirava a sostituire tale teoria con una nuova descrizione dell'universo che permettesse di descrivere in modo più semplice il moto dei pianeti, realizzò tale aspirazione con l'elaborazione della teoria eliocentrica ed affidò i risultati del suo lavoro all'opera sopra citata. Della stampa del manoscritto di Copernico si occupò il teologo protestante Andrea Osiander, il quale (senza il benestare dell'autore) fece precedere il testo da una prefazione anonima, nella quale sosteneva un'interpretazione non realistica ma strumentalistica della teoria eliocentrica di Copernico: "E' compito dell'astronomo [...] comporre, mediante un'osservazione diligente ed abile, la storia dei movimenti celesti e quindi cercarne le cause, ovvero, poiché in nessun modo è possibile cogliere quelle vere, di immaginare ed inventare delle ipotesi qualsiasi sulla cui base questi movimenti [...] possano essere calcolati con esattezza conformemente ai principi della geometria. E questi due compiti l'autore di quest'opera ha assolti egregiamente. Poiché infatti non è necessario che queste ipotesi siano vere e neppure verosimili, ma basta questo soltanto: che esse offrano dei calcoli conformi all'osservazione". Fra i più qualificati lettori dell'opera di Copernico ve ne furono molti che, condividessero la sua teoria o ne fossero oppositori, rifiutarono tale impostazione strumentalista e compresero che Copernico interpretava realisticamente la teoria esposta nel De revolutionibus orbium coelestium: a conferma del punto di vista "realista" di Copernico, d'altro canto, sta la lettera con cui l'astronomo dedicò la sua opera al papa Paolo III, una lettera dalla quale emerge tutta la preoccupata consapevolezza dell'autore per l'impatto che la sua teoria avrebbe avuto: "Mi è facile, Santissimo Padre, prevedere che taluni, non appena avranno appreso come in questi miei libri [...] io attribuisco al globo terrestre certi movimenti, subito chiederanno a gran voce che, avendo io tali opinioni, sia messo al bando". Copernico sapeva molto bene di avere "osato andar contro l'opinione acquisita dei matematici e lo stesso senso comune" e "il disprezzo che temevo mi derivasse dalla novità e dall'assurdità dell'idea mi aveva quasi convinto ad abbandonare il progetto intrapreso". D'altro canto, Copernico si dichiara convinto che, con la pubblicazione delle sue opere "si sarebbe potuto vedere il velo dell'assurdo squarciato da chiarissime dimostrazioni" e che "compito [del filosofo] è quello di cercare la verità in tutte le cose fin dove è stato da Dio concesso all'umana ragione". Copernico, dunque, crede nella verità sostanziale di quello che scrive: e trova in fondo (nonostante l'apparente assurdità della sua verità eliocentrica) una sostanziale armonia fra la sua teoria e i presupposti metafisici dai quali muove. Copernico era un neoplatonico, credeva alla matematica come chiave di comprensione dell'universo, credeva al Dio dei Neoplatonici, un Dio che geometrizza: per questo l'universo è semplice, geometricamente ordinato. Di conseguenza il ricercatore ha il compito di penetrare e scoprire quest'ordine, queste strutture semplici e razionali, questa immutabile simmetria. Un accenno finale va fatto alle cosiddette "permanenze", cioè a quegli elementi che, tipici della vecchia concezione aristotelico-tolemaica, vengono ripresi e integrati da Copernico nella sua nuova teoria: fra PAGE 2 principi ermeneutici per l'interpretazione della Bibbia venissero forniti da un credente qualsiasi; ma anche i Protestanti (pur fautori di un contatto diretto del credente con le Scritture) respingevano l'idea di un palese rovesciamento del senso letterale della Bibbia. La loro reazione alla nuova cosmologia fu di una durezza notevolissima1, tanto più che la natura "combattente" della fede protestante ne accentuava l'intolleranza. Ma il cattolico Galileo era fermamente convinto di non stare agendo da cattivo credente: le sue asserzioni non sono il risultato di un'osservazione estemporanea, ma si fondano su un sostrato di riflessione filosofica e morale ben preciso, che costituisce una vera e propria fondazione dell'autonomia delle conoscenze scientifiche. Le affermazioni galileiane, infatti, oltre a poter essere valutate e provate per mezzo del metodo sperimentale, si fondano su un chiaro presupposto teorico: l'autonomia delle scienze dalle Sacre Scritture, il cui compito non è d'insegnarci "come vada il cielo" (argomento sul quale, infatti, le affermazioni sono pochissime in confronto ai principi morali) ma "come si vada in cielo". Quest'ultimo aspetto, infatti, l'uomo non potrebbe conoscerlo per una via diversa dal messaggio di salvezza delle Scritture, mentre per tutto ciò che concerne le scienze, l'uomo è stato dotato di senso ed intelletto proprio perché è suo dovere impegnarsi a fondo per scoprirne le leggi. Perciò non si dà un vero scontro fra scienza e fede, che sono in realtà incommensurabili: quando ci sono apparenti contraddizioni vuol dire o che lo scienziato si è mutato in metafisico o che il teologo ha stravolto il testo sacro interpretandolo come un trattato di fisica o di biologia2. L'incommensurabilità di fede e scienza è solo uno dei presupposti metodologici di Galileo. Affianco alla laicità, altrettanto rilevante è la prospettiva oggettivistica e matematico-quantitativa. La prospettiva oggettivistica è quella secondo cui il mondo, o almeno una sua parte, è conoscibile in modo oggettivo: possiamo conoscere oggettivamente le qualità primarie dei corpi, cioè quelle che ineriscono loro direttamente (grandezza, peso, forma...) e non quelle che fanno parte solo della nostra percezione di essi (colore, sapore, odore...). Per questo Galileo tende ad eliminare dall'indagine sulla realtà naturale osservazioni e dati soggettivi, riferentisi alla percezione sensibile. La scienza di Galileo intende conoscere la natura recidendo molti dei legami tra essa e l'uomo inteso come oggetto senziente, e puntando ad essere un discorso fatto, in qualche modo, dalla natura medesima. Le qualità primarie possono far parte di una conoscenza oggettiva perché sono indipendenti dall'approccio soggettivo, perché sono misurabili con criteri scientifici (più precisamente matematici) e sono uguali per tutti (se correttamente esaminate): in sostanza, esse sono grandezze, cioè entità che possono essere riprodotte geometricamente ed espresse quantitativamente. Per questo suo orientamento, Galileo può essere considerato, insieme a Cartesio, il padre del meccanicismo, ossia di quella visione del mondo che concepisce la realtà come una "macchina" fatta di parti o particelle omogenee e misurabili, organizzate tra loro secondo relazioni solo meccanico-quantitative, e che, PAGE 2 1Lutero: "La gente ha prestato orecchio ad un astrologo da quattro soldi, il quale ha cercato di dimostrare che è la Terra che gira, e non i cieli, il firmamento, il Sole e la Luna. [...] Questo insensato intende sconvolgere l'intera scienza astronomica, ma la Sacra Scrittura ci dice che Giosuè ordinò al Sole, e non alla Terra, di fermarsi". Calvino: "Chi avrà l'ardire di anteporre l'autorità di Copernico a quella dello Spirito Santo?". Melantone: "Gli occhi ci testimoniano che i cieli effettuano una rivoluzione nel giro di ventiquattr'ore. Ma certi uomini, per amor di novità oppure per dar prova di ingegno, hanno stabilito che la Terra si muove [...]. Ebbene: è una mancanza di onestà e di dignità sostenere pubblicamente tali concetti, e l'esempio è pericoloso. E' compito di ogni mente sana accettare la verità come ci è stata rivelata da Dio e ad essa sottomettersi". 2Per analizzare l'atteggiamento di Galilei in proposito e per seguire la sua crescente consapevolezza dell'incommensurabilità fra scienza e fede, v. Percorsi, pp. 11-19 e pp. 99-102). correlativamente, concepisce il sapere come individuazione delle leggi fisico-matematiche che governano tali particelle, e quindi l'intera "macchina del mondo". Strettamente connesso a quest'aspetto oggettivo e meccanicistico della scienza galileiana è poi il matematismo. Nel Saggiatore, lo stesso scienziato ne dà una chiara immagine: "La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto dinanzi agli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne' quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi e altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto". A parte le evidenti ascendenze pitagoriche e platoniche di questa concezione, è evidente che essa ha una valenza non solo gnoseologica, ma in larga misura ontologica: essa sostiene cioè non solo e non tanto che la matematica è uno strumento fondamentale di conoscenza, ma che il mondo è strutturato in termini matematici: i fenomeni sono organizzati in modo tale che la matematica (e solo la matematica) può coglierne le caratteristiche essenziali. Nel contesto filosofico del primo Seicento questa concezione aveva un'evidente portata rivoluzionaria. Essa da un lato fondava l'interpretazione oggettivistico-quantitativa del mondo di cui si è fatto cenno; dall'altro (e soprattutto) si contrapponeva alla concezione aristotelico-scolastica ancora dominante. Quest'ultima, infatti, considerava il mondo come un sistema composto non di numeri e di grandezze omogenee, ma di proprietà e caratteristiche eterogenee, non di relazioni precise quanto possono esserlo le relazioni matematiche, ma di relazioni di tutt'altro genere: finalismi, corrispondenze metafisiche etc. L'opera di Galilei produce una vera e propria "sostituzione di mondi": il mondo delle qualità viene sostituito con un mondo di quantità, infinitamente più preciso e lineare, più facilmente leggibile e governabile. La nuova concezione matematica (o meccanicistico-quantitativa) fu accolta con entusiasmo da numerosi scienziati appartenenti ai più diversi ambiti disciplinari, che ritennero di aver ricevuto da Galilei una chiave di lettura definitiva per l'analisi di tutti i fenomeni naturali, fino ad operare generalizzazioni forzate, tentando di sottoporre a trattamento matematico tutta la realtà naturale (contro il parere dello stesso Galileo, che concentrò le proprie riflessioni sull'indagine del mondo fisico). Nel 1616 l'adesione di Galileo alla teoria copernicana gli procurò una prima condanna dall'Inquisizione, con la diffida a riprendere e discutere le sue idee, sia a voce che negli scritti. Ma ormai egli si sentiva impegnato in una vera e propria battaglia culturale, e non rinunciò a pubblicare, nel 1632, il "Dialogo sopra i due massimi sistemi" (Dialogo di Galileo Galilei Linceo, dove ne i congressi di quattro giornate si discorre sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano), scritto in volgare proprio perché Galilei, convinto della bontà e dell'importanza dei propri studi, voleva convincere il maggior numero possibile di interlocutori, affinché la scienza non naufragasse a causa dell'intolleranza non solo della Chiesa, ma anche degli addetti ai lavori (l'ambiente accademico tradizionalista), aggrappati alle vecchie e collaudate "verità" e disposti a servirsi della censura inquisitoria pur di non vedere posti in discussione i dogmi sui quali si era fondata la loro preparazione e che essi continuavano a trasmettere. Per non incorrere in nuove condanne, Galileo prese le sue precauzioni e dichiarò, nel proemio dell'opera, di considerare la teoria di Copernico come una pura ipotesi matematica, affermando anzi di voler dimostrare agli "eretici" copernicani che la condanna del copernicanesimo del 1616 era una cosa seria. Ma lo stratagemma era palese: Galileo voleva far conoscere le nuove ragioni scoperte a favore della verità copernicana, e scelse, a tale scopo, una lingua "facile" e una forma letteraria attraente: il dialogo. I protagonisti del dialogo sono tre: Simplicio (filosofo aristotelico difensore del sapere costituito della tradizione), Salviati (scienziato copernicano cauto ma risoluto, paziente, tenace), Sagredo (che rappresenta il pubblico aperto alle novità, ma che vuole conoscere le ragioni dell'una e dell'altra parte). PAGE 2 La prima delle quattro giornate in cui si articola il Dialogo è dedicata a mostrare l'infondatezza della distinzione aristotelica tra il mondo celeste che sarebbe incorruttibile e il mondo terrestre degli elementi che, invece, sarebbe mutabile e alterabile. Tale distinzione, come attestano i sensi potenziati dal cannocchiale, è inesistente, e siccome anche Aristotele sostiene che il discorso deve fondarsi su ciò che mostrano i sensi, Salviati dice a Simplicio: "più aristotelicamente filosoferete dicendo che il cielo è alterabile perché così mi mostra il senso, che se direte che il cielo è inalterabile perché così ha discorso Aristotele". Le giornate successive sono dedicate all'analisi e alla soluzione delle difficoltà contro i moti di rotazione e rivoluzione della Terra. Fra queste l'argomento della caduta perpendicolare dei gravi, che non dovrebbe essere tale se la Terra si spostasse. E' nell'ambito di questa discussione che Galileo, per bocca di Salviati e di Sagredo, stabilisce il principio della relatività dei movimenti, in base al quale osservazioni meccaniche compiute all'interno di un sistema non permettono di stabilire se tale sistema sia in quiete o in moto rettilineo uniforme. Le precauzioni prese da Galileo non bastarono ad evitargli una seconda e più dura condanna da parte dell'Inquisizione, dopo la quale Galilei riuscì a pubblicare la sua opera principale, i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, attinenti la meccanica e i movimenti locali, facendola arrivare clandestinamente in Olanda (1638). Anche i Discorsi sono stesi in forma di dialogo, e in essi ritroviamo gli stessi protagonisti del Dialogo sopra i massimi sistemi, che ancora una volta discutono per "quattro giornate". Durante la prima giornata i protagonisti discutono sulla struttura della materia, e le osservazioni relative al vuoto danno a Galilei la possibilità di formulare importanti principi di fisica statica. Le giornate successive sono dedicate alla seconda nuova scienza, la dinamica: vi si dimostrano le leggi sul moto uniforme, sul moto naturalmente accelerato e sul moto uniformemente accelerato o ritardato. Galileo si muove qui su un piano che non è certamente più quello dell'osservazione immediata: alla ricerca di una fisica ideale, che abbia caratteri di rigore e di universalità, prende l'avvio da definizioni dei moti concepite e ammesse in astratto, e poi ne deduce rigorosamente, con metodo deduttivo, le caratteristiche. Di fronte alle obiezioni di Sagredo e Simplicio, i quali ritengono che siano necessarie esperienze per avere conferma che le leggi dei moti corrispondano alla realtà, Galileo, per bocca di Salviati, narra la celebre esperienza dei piani inclinati, in cui l'esperimento è costruito sulla precedente formulazione della teoria. L'esperimento non è un semplice dato dell'osservazione immediata, perché diviene un dato di esperienza solo dopo che è stato realizzato e quindi solo dopo che l'ipotesi puramente teorica ha permesso di dedurre una serie di conseguenze, quelle sì passibili di verifica sperimentale. Di conseguenza, Galileo appare distantissimo dal vecchio empirismo, che affidava la conoscenza ad un'esperienza nella quale la mente era sostanzialmente passiva (limitandosi a recepire i dati sensoriali) La sua esperienza è fatta da teorie che istituiscono fatti e da fatti che controllano teorie . La mente è attiva in ogni fase dell'esperimento: formula delle ipotesi, ne deduce delle conseguenze e poi controlla se quelle esperienze si danno o non si danno nella realtà, rielaborando eventualmente l'ipotesi di partenza. Quelle appena descritte sono le fasi del metodo della scienza moderna, il metodo ipotetico-deduttivo- sperimentale. Un geniale filosofo dell'Illuminismo, Immanuel Kant, descriverà efficacemente questa innovazione: "Quando Galilei fece rotolare le sue sfere su un piano inclinato, con un peso scelto da lui stesso, e Torricelli fece sopportare all'aria un peso, che egli stesso sapeva uguale a quello di una colonna di acqua conosciuta [...] fu una rivelazione per tutti gli indagatori della natura. Essi compresero che la ragione vede solo ciò che essa stessa produce secondo il proprio disegno, e che essa deve andare innanzi e costringere la natura a rispondere alle sue domande; e non lasciarsi guidare da lei, per così dire, con le redini; perché altrimenti le nostre osservazioni, fatte a caso e senza un disegno PAGE 2 progresso scientifico realizzato fra XVI e XVII secolo? Da quali condizioni dipese? Quali uomini ne furono protagonisti? In che modo essi furono agevolati od ostacolati dalla società nella quale vivevano? Queste domande sono in rapporto con domande a carattere più generale che provengono dalla filosofia, e in particolare da quel settore della filosofia chiamato gnoseologia, e ancor più in particolare dall'epistemologia: l'epistemologia (o filosofia della scienza) si occupa di esaminare criticamente la scienza, chiarendone i principi, i metodi e i risultati in generale, astraendo dai contenuti delle singole scienze: un epistemologo non ha come interesse primario quello di sottolineare la coerenza o la fecondità di risultati di una particolare teoria scientifica, bensì quello di capire perché quella teoria sia coerente e feconda, individuando i principi e i criteri che rendono coerente e feconda qualsiasi teoria scientifica. In altre parole, l'epistemologo cerca di capire che cosa sia la scienza e, quindi, che cosa renda scientifica una qualsiasi forma di conoscenza. Se un epistemologo si occupa della Rivoluzione scientifica del XVI-XVII secolo, quindi, si porrà domande più generali di quelle dello storico (anche se in parte ad esse correlate): che cosa dobbiamo intendere per "progresso scientifico"? Come avvengono i progressi della scienza? Quando un progresso della scienza (un qualsiasi progresso, non solo quello verificatosi fra XVI e XVII secolo) può essere definito come vera e propria rivoluzione? Come si arriva ad una rivoluzione scientifica? L'epistemologia del Novecento ha dato alcune risposte importanti a queste domande, che possono essere utili per comprendere la rivoluzione scientifica del Seicento sia come fatto scientifico che come fatto storico. Noi esamineremo le risposte elaborate da Popper, Kuhn e Lakatos. Popper: falsificazionismo, fallibilismo, trial and error L'epistemologia di Karl Raimund Popper (1902-1996) rappresenta il più diretto riflesso, in filosofia, della rivoluzione scientifica compiuta da Einstein in fisica. Popper è innanzitutto colpito dal fatto che Einstein avesse formulato delle previsioni "rischiose": le sue teorie, cioè non chiedevano di essere verificate mediante l'osservazione di fenomeni, ma erano organizzate in modo da prevedere con chiarezza quali fenomeni, se osservati, le avrebbero smentite. In secondo luogo, Popper trae da Einstein la conclusione che le teorie scientifiche non sono verità assolute, ma delle semplici ipotesi o congetture destinate a rimanere tali. Da queste premesse, Popper muove per fissare i capisaldi della sua epistemologia: il falsificazionismo e il fallibilismo. Il punto di partenza di Popper è la ricerca di un criterio solido per distinguere la scienza dalla non-scienza. Tale ricerca approda al capovolgimento di un luogo comune secolare, secondo il quale una teoria è scientifica nella misura in cui può essere verificata dall'esperienza. Per Popper, invece, il "verificazionismo" è solo un mito o un'utopia, in quanto per verificare completamente una teoria o una legge dovremmo poter controllare tutti i casi che ricadono nella situazione descritta dalla teoria. Ma ciò non è possibile: i casi descritti da una teoria sono infiniti, mentre i controlli realmente effettuati sono in numero finito. Ma allora, se non è il principio di verificazione a definire lo status scientifico di una teoria, come potremo distinguere le teorie scientifiche dalle congetture che non lo sono (p. es. la teoria della gravitazione universale dalle ipotesi astrologiche relative all'influsso delle congiunture astrali sul destino umano, o le cure medico-farmacologiche dai rimedi dei "maghi")? Secondo Popper, la risposta risiede proprio nella generalizzazione del criterio adottato da Einstein per la formulazione delle proprie teorie: è il criterio di falsificabilità. Secondo tale criterio una teoria è scientifica nella misura in cui può venire falsificata e prevede esplicitamente i controlli empirici che poterebbero falsificarla 3. Molte teorie pseudoscientifiche sono riconducibili ad affermazioni del tipo "domani pioverà o non pioverà", cioè ad affermazioni impossibili da smentire4. Una teoria veramente scientifica, invece, deve proporre una descrizione di fenomeni che possa venire contraddetta e deve indicare chiaramente almeno un potenziale falsificatore. PAGE 2 3 Per esempio, secondo Popper non sono scientifici gli assunti della psicanalisi freudiana: quando Freud ipotizza che ogni uomo soffra del complesso di Edipo, non c'è modo di smentirlo: se si ammette di soffrire di tale complesso, si conferma la teoria freudiana, ma la si conferma anche se si nega di soffrirne, visto che per Freud la negazione sarebbe effetto della rimozione del complesso nella sfera dell'inconscio. 4Pensate al modo in cui sono formulate le previsioni degli oroscopi: "Nel lavoro avete ottime possibilità, soprattutto se vorrete applicarvi di più" (chiunque si applichi di più ha buone possibilità di verificare qualche miglioramento, d'altro canto se il miglioramento non si verifica, si potrà sempre asserire che il soggetto non si è applicato a sufficienza...); "l'occasione è dietro l'angolo, basta saper attendere" (quale occasione? quanto bisogna attendere? smentire questa previsione è impossibile). Gli esempi citati sono tratti dall'oroscopo dell'astrologa del Venerdì di "Repubblica" (12-18 gennaio 2001). Qual è la differenza fra il criterio di falsificabilità e quello di verificazione? Essa si basa, secondo Popper, sulla asimmetria logica fra verificabilità e falsificabilità, ossia sul fatto che miliardi e miliardi di conferme non rendono certa una teoria mentre basta un solo fatto negativo per confutarla. Da qui derivano: le indicazioni di Popper sul modo in cui una teoria dovrebbe essere formulata se ambisce ad essere scientifica la conclusione in base alla quale la scienza non è un sapere definitivo ed assolutamente certo, ma è un sapere di tipo congetturale. Le teorie non sono mai verificate, ma solo corroborate da fatti osservabili che non le smentiscono. Non può esserci una teoria verificata, ma solo una teoria temporaneamente non falsificata. Questo vuol dire che la nostra conoscenza ha un carattere strutturalmente e intrinsecamente problematico: la fallibilità è ineliminabile dalla nostra conoscenza il carattere regolativo della "verità" in ambito scientifico: all'uomo non compete il possesso della verità, ma solo la ricerca mai conclusa di essa. La verità rimane un'idea regolativa (un orizzonte verso il quale tendere) ma la scienza non può proporsi altro scopo che quello di raggiungere teorie sempre più verosimili, cioè più vicine alla verità, perché capaci di spiegare tutti i fatti che in precedenza erano spiegati dalla teoria falsificata, più i fatti che l'hanno falsificata 5 un vero e proprio comando metodologico per lo scienziato: se nella scienza tradizionale lo scienziato migliore era quello che riusciva a formulare le teorie più ampiamente verificabili, ora lo scienziato migliore diventa quello che riesce a falsificare le teorie fino ad oggi non smentite, poiché questo è il passo indispensabile per giungere ad elaborare teorie più verosimili di quelle falsificate. Questo non significa, però, che Popper ritenga che, nella storia della scienza, gli scienziati siano spinti sempre da questo comando metodologico, né che le scoperte scientifiche siano il risultato di un ben determinato metodo scientifico: Popper scrive che "non c'è alcun metodo per scoprire una teoria scientifica", sostenendo che le teorie sono l'esito di congetture audaci e di intuizioni creative e non l'esito di procedimenti da manuale. Anzi, l'origine di molte teorie è palesemente extra-scientifica: può derivare dal mito, dalla metafisica, perfino dal caso. A questo proposito bisogna però distinguere, con Popper, tra il contesto della scoperta e il contesto della giustificazione: la genesi delle teorie può essere extra-scientifica, ma esse vanno poi giustificate, bisogna cioè elaborare la dimostrazione del loro valore. Ed è a questo punto che entra in gioco il principio di falsificabilità, il quale ci dice che una teoria è scientifica solo nella misura in cui è suscettibile di venire smentita dall'esperienza. Di conseguenza, pur essendo convinto dell'inesistenza di un metodo per trovare le teorie, Popper crede nell'esistenza di un metodo in grado di controllare le teorie, o più in generale in una procedura capace di definire lo specifico procedimento di quell'impresa razionale che è la scienza: "Tutta la mia concezione del metodo scientifico si può riassumere dicendo che esso consiste di questi tre passi: 1) inciampiamo in qualche problema; 2) tentiamo di risolverlo proponendo qualche nuova teoria; 3) impariamo dai nostri sbagli, specialmente da quelli che ci sono resi presenti dalla discussione critica dei nostri tentativi di risoluzione. O, per dirla in tre parole: problemi-teorie- critiche". Questo metodo non è altro che il procedimento per congetture e confutazioni o per prova ed errore (trial and error), ovvero il metodo problemi-ipotesi-prove, che consiste appunto nel rispondere ad un problema mediante un'ipotesi che deve venir sottoposta al vaglio critico dell'esperienza. In conclusione, quali risposte dà Popper ai quesiti dai quali siamo partiti? 1) il progresso scientifico nasce anche in ambito extra-scientifico e non razionale, ma diventa veramente tale solo quando viene razionalmente elaborato; 2) tale elaborazione razionale avviene per prove ed errori; 3) essa non mette capo a verità assolute, benché rappresenti un'approssimazione sempre migliore alla verità, ma a congetture sempre suscettibili di falsificazioni successive; 4) poiché la discussione critica è un momento fondamentale della scienza essa va in tutti i modi promossa e non ostacolata: lo scienziato deve esporre le proprie ipotesi e le proprie prove in modo chiaro (indicando i fenomeni che, osservati, smentirebbero la teoria in questione), affinché altri possano intervenire per PAGE 2 5Così come a suo tempo la teoria eliocentrica si dimostrò in grado di spiegare i fenomeni spiegati dal geocentrismo, più una ricca serie di fenomeni che il geocentrismo non riusciva a chiarire. individuare nuovi problemi lasciati aperti dalle sue ipotesi, confutarle, elaborarne di nuove sempre più vicine alla verità (nella cui esistenza Popper crede, benché non creda che sia possibile dimostrare scientificamente di averla raggiunta). La libera discussione e la libera ricerca sono le migliori garanzie di un più rapido procedere della scienza. E' evidente che questo modello esplicativo può essere applicato alla Rivoluzione scientifica del Seicento: 1) la Rivoluzione scientifica è stata realizzata da uomini che hanno spesso tratto le proprie ipotesi dalla magia, dalla metafisica, dalla religione, ma hanno poi saputo elaborarle razionalmente, descrivendole in termini matematici e corroborandole con le osservazioni compiute con strumenti appositamente costruiti ed esperimenti consapevolmente organizzati in relazione alle ipotesi stesse; 2) la Rivoluzione scientifica non si è determinata in un unico momento e attraverso il lavoro di un unico scienziato, ma ha visto all'opera, nel corso di oltre un secolo (da Copernico a Newton) diversi uomini che hanno tentato di rispondere ai problemi posti dall'enorme complicazione del sistema aristotelico-tolemaico, proponendo ipotesi in cui gli elementi innovativi erano strettamente intrecciati a quelli tradizionali ed elaborando risposte successivamente integrate e/o superate da quelle di altri scienziati; 3) nessuna delle teorie elaborate durante la Rivoluzione scientifica è rimasta, nel breve o nel lungo periodo, perfettamente adeguata a spiegare i fenomeni fisici, ma tutte sono state rielaborate, sviluppate, messe in discussione, a volte abbandonate, benché esse spiegassero i fenomeni naturali in modo migliore ("più vero") rispetto alle teorie precedenti; 4) i progressi della Rivoluzione scientifica sono stati ostacolati da tutte quelle forze che si opponevano al principio della libera ricerca, mentre sono stati favoriti dalla nuova abitudine degli scienziati di comunicarsi reciprocamente i risultati delle proprie ricerche e di renderli il più possibile disponibili al "pubblico", sollecitando la discussione critica e inducendo nuovi scienziati a lavorare sui problemi sollevati. Kuhn: le rivoluzioni scientifiche Lo storico e filosofo statunitense Thomas Kuhn (1922-vivente) ne La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962) ha elaborato una concezione epistemologica originale, secondo la quale i mutamenti scientifici non nascono né dalle verificazioni (secondo il modello galileiano) né dalle falsificazioni (secondo il modello di Popper), ma dalla sostituzione del modello esplicativo vigente con uno nuovo. Per definire il modello esplicativo, Kuhn usa il termine paradigma, largamente entrato nell'uso non solo della scienza propriamente detta, ma anche della critica letteraria o della storiografia, poiché all'interno di un paradigma non vi sono solo teorie scientifiche, ma più in generale persuasioni razionali, assunzioni metafisiche, convincimenti etici, politici, religiosi, estetici: potremmo dire, in termini generali, che il paradigma è la forma mentis di un'epoca6. Secondo Kuhn lo sviluppo storico della scienza si articola in periodi di "scienza normale" e in periodi di "rotture rivoluzionarie". Durante i periodi di "scienza normale" la comunità scientifica si riconosce in un paradigma comune, che comprende anche teorie, modelli di ricerca, pratiche sperimentali: tutti gli scienziati ritengono che quel particolare paradigma sia valido e lavorano all'interno di esso, seguendo procedure e metodi comuni e inserendo le proprie osservazioni e scoperte nel paradigma stesso. Ma la scienza normale può entrare in crisi: questo avviene quando le osservazioni e le scoperte non si inseriscono facilmente nel paradigma vigente, quando si presentano come anomalie. In un primo momento gli scienziati del periodo normale, portati ad evitare il cambiamento e le novità sensazionali, cercano faticosamente di incasellare ancora le anomalie nel vecchio paradigma: essi quindi non tentano di falsificare il modello PAGE 2 6P. es.: il paradigma medioevale alla vigilia dell'Umanesimo si basava sul principio di autorità e su una visione gerarchizzata della realtà che valeva in ambito religioso (religione tendenzialmente unica, struttura piramidale della Chiesa), in ambito politico (riferimento almeno teorico ad un'autorità unica -di derivazione divina-, quella imperiale, da cui discendevano gerarchicamente gli altri poteri), in ambito filosofico (la filosofia si sviluppa tendendo alla conformità con le autorità religiose -le Scritture, la teologia ufficiale- e filosofiche -Aristotele e Tommaso d'Aquino-, a propria volta portatrici di una visione gerarchizzata del reale), in ambito scientifico (visione della natura come ordine gerarchizzato; visione della scienza come sapere conforme alle autorità). L'umanesimo, la riforma protestante, la rivoluzione scientifica, l'emergere degli stati nazionali e regionali, l'aumento della complessità sociale, la scoperta di nuovi mondi etc. sono tutti elementi che concorrono al frantumarsi di quel paradigma e conducono all'instaurarsi di una visione della realtà diversa in tutti gli ambiti di riferimento, in cui il principio di autorità viene messo in discussione e ribaltato.
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