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FILOSOFIE DELLA COMUNICAZIONE, Schemi e mappe concettuali di Filosofia del Linguaggio

Riassunto dettagliato; ( c'ho preso 30 a questo esame ;) )

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2018/2019

In vendita dal 05/01/2019

anastasiagaldo
anastasiagaldo 🇮🇹

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Scarica FILOSOFIE DELLA COMUNICAZIONE e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Filosofia del Linguaggio solo su Docsity! CAPITOLO 1: TEORIE E MODELLI DELLA COMUNICAZIONE: UNO SKETCH STORICO IL MODELLO STANDARD E LE SUE CRITICITA’ Lo standard in fatto di teoria della comunicazione è stato rappresentato a lungo dal modello elaborato da Shannon e Weaver , modello pensato per illustrare il funzionamento di macchine di comunicazione. In tale modello che il messaggio abbia o no un significato è irrilevante; esso deve avere significato solo di tipo quantitativo e formale (= ex. numeri). Trasmittente e ricevente non possono essere asimmetrici, ma devono seguire la stessa grammatica—> pena la distorsione dell’informazione. Nel 1951 Miller propone una linguisticizzazione dello schema—> problemi: .1 in qualsiasi conversazione ordinaria i ruoli di mettente e destinatario vengono continuamente scambiati .2 nessuna lingua storico-naturale è paragonabile ad un codice(= lista di elementi espressivi e semantici in corrispondenza biunivoca tra loro) .3 nessuna comunicazione linguistica è acontestuale .4 di qualsiasi comunicazione linguistica fa sempre parte un elemento interpretativo, sia in produzione che in ricezione. Ruolo importante nella divulgazione dello schema: Jakobson, ma non solo… …Jackendoff: linguista americano appartenente al cognitivismo di prima generazione , vicino alle posizioni di Chomsky; nel 1945 propone uno schema in cui la comunicazione viene vista come un trasmettere dalla mente di un soggetto alla mente di un altro soggetto un qualche contenuto mentale che occorre codificare al livello del mittente e decodificare al livello del destinatario—> anche qui non si prevede un possibile asimmetria tra i soggetti; la lingua è vista solo come un meccanismo di input-output, neutra rispetto ai contenuti mentali, la lingua come puro strumento di comunicazione. ALLE RADICI DEL DIBATTITO: HUMBOLDT, WITTGENSTEIN = due riconosciuti padri della filosofia del linguaggio contemporanea Humboldt : (1836) insiste sulla radicale soggettività dell’attività linguistica; vede la lingua come livello intermedio tra soggettività e mondo, come un filtro—> quindi non un puro trasmettitore di idee, non mai neutra rispetto al pensare umano e alle modalità con cui questo cerca di oggettivarsi e proporsi all’altro. Wittgenstein: (1953) la sua massima è ‘’tutto è comunicazione’’, di contro alla riduzione del linguaggio a strumento di esternazione dei pensieri; espressioni e significati secondo lui non sono due liste di opportunità che una mente antecedente al momento linguistico mette in relazione secondo certe regole, ma situandoci in un linguaggio ci troviamo gia in una forma di pensare organizzata, e non possiamo collegarci al di fuori di essa. Inoltre W. sottolinea il fatto che comunicare è uno, ma solo uno, di quella lista aspetta di giochi linguistici possibili (= comandare, descrivere, recitare, tradurre, pregare,..)—> non si può ridurre il linguaggio alla funzione veritativa e dichiarativa dei logici. 1 —>analizziamo le tappe principali della teoria della comunicazione IL MODELLO SAUSSURIANO A Ferdinand Saussure (1857-1913) dobbiamo la prima organica teoria della comunicazione linguistica. Due presupposti ( che qualificano la vera e propria svolta da lui introdotta): .1 l’assunzione di una prospettiva semiologia, quindi l’idea che la parola umana sia solo un caso, anche se il più complesso, di una classe di fenomeni segnici che a loro volta sono uno degli oggetti della comprensiva disciplina chiamata psicologia sociale. .2 l’idea che la lingua materna ritagli arbitrariamente il dominio del suono e dei possibili sensi, nella misura in cui suono e pensiero sono indistinti finché la lingua non li modella e organizza secondo il proprio sistema di valori. Per S. dunque la lingua è forma non sostanza; questa forma una rete intorno ai parlanti, traccia un cerchio intorno al popolo cui appartiene, da cui è possibile uscire solo passando nel cerchio di un’altra lingua. Circuito della parole: teoria di S. del momento comunicativo del linguaggio verbale; —> la lingua è un vero e proprio sistema che si interpone tra i parlanti, con i propri valori socialmente dati ; il componente mentale del processo non sono i pensieri, ma concetti e immagini acustiche—> accolte ‘’passivamente’’ tramite l’apprendimento della lingua madre e formano un repertorio comune di cui entrambi i parlanti dispongono; in che modo i segnali linguistici vengano recepiti dipende da una serie di condizioni fisiche, fisiologiche e celebrali. La comunicazione è processo biface, implicante necessariamente creatività e normatività, innovazione e conservazione: fonazione e significazione sono processi liberi che pur muovendosi entro il sistema di classi offerto dalle langue, ne elaborano continuamente i limiti, trovando tuttavia una resistenza nelle esigenze della mutua comprensione. I sensi e i significati sono ancorati strettissimamente alle circostanze dell’enunciazione, mutevoli. Gli atti fonatori hanno carattere idiosincratico e non possono essere riprodotti due volte allo stesso modo). La parole è anche il filtro tra il momento sociale e il momento individuale della vita psichica—> non si confonde però con quest’ultimo perché se è vero che le parole da noi usare potano nelle loro accezioni l’eco di stati d’animo, emozioni individuali, è anche vero che per rendersi accessibili, devono tener contro dei valori loro comunemente annessi—> l’ascoltatore non è un figura meramente passiva. IL CONTESTO COMUNICATIVO: TRA LINGUISTICA E ANTROPOLOGIA Wegener: ( 1848-1916) distingue tre componenti, tutte compresenti e attive, nella dinamica comunicazionale: .1 situazione percettiva: elementi ambientali, mosse corporee dell’interlocutore, modulazioni che interlocutore imprime alla voce,.. .2 situazione del ricordo: rappresentazioni venute a consapevolezza immediatamente prima di dire o udire qualcosa, e alle quali un’espressione linguistica si riallaccia immediatamente nel tempo ( la temporalità fa parte dello scambio comunicativo; tutte le informazioni pregresse che 2 LA COMUNICAZIONE NELL’OTTICA SOCIO ED ETNOLINGUISTICA: HALLIDAY E HYMES Hymes e Gumperz: sociolinguisti e antropologi; approccio etnografico al linguaggio e alla comunicazione: idea che il linguaggio non vada considerato solo in quanto sistema ma anche in quanto funzionale a uno specifico contesto socio-culturale, che condiziona opportunità e forme della comunicazione, sistema semantico e ruoli dei parlanti. H. si contrappone esplicitamente al programma di ricerca di Chomsky che mette al centro dell’analisi un parlante-ascoltatore ideale il cui apprendimento spontaneo della lingua madre e l’esercizio della sua grammatica appaiono indipendenti da fattori esterni e si riassumono nel concetto di competenza linguistica—> secondo H. quando un bambino impara una lingua acquisisce la conoscenza di frasi non solo in quanto grammaticali ma in quanto appropriate (= conoscenza relativa a quando parlare e quando no). Da qui il concetto di competenza comunicativa: concetto che esprime il passaggio dal possesso della grammaticali al possesso dell’appropriatezza culturale delle risorse linguistiche—> capacità dinamica che si colloca a sua volta in un più comprensivo campo linguistico/ linguistic area (= gamma di lingue entro cui i parlanti sono in grado di muoversi) e in un ancora più ampio campo di linguaggio/ speech area (= gamma di comunità in cui i parlanti riescono a muoversi in virtù delle loro conoscenze, anche non verbali, relative ai modi di comunicare). [ n.b. Unità di lavoro dell’approccio etnografico: .1 concetto di comunità linguistica = comunità che condivide la conoscenza di regole per produrre ed interpretare il parlare; .2 concetto di situazione linguistica = insieme delle situazioni associate con l’attività linguistica o caratterizzare dalla sua assenza; .3 concetto di evento linguistico; .4 concetto di atto linguistico, focalizzato sulle unità mine che entrano a far parte degli eventi linguistici ( ex. una conversazione può comprendere un racconto, una barzelletta,..) ] H. propone uno schema per l’analisi dell’esercizio della competenza comunicativa in una comunità o situazione date: il modello SPEAKING: - S —> SETTING => situazione emprica, spazio fisico in cui avviene la comunicazione - P —> PARTECIPANT - E —> ENDS => finalità e scopi della comunicazione - A —> ACT SEQUENCES => forma e ordine in cui si succedono gli atti linguistici - K —> KEY => todo, modo, spirito con cui un atto viene compiuto => modalità - I —> INSTRUMENTALITIES => forme e stili di linguaggio => registro - N —> NORMS => norme sociali che governano sia l’attività del parlante sia quella di chi ascolta - G —> GENRE => il genere o tipo di testo cui la comunicazione si affida ( H. non pensa a categorie con ade ex. il testo regolativo, descrittivo, etc… ma a forme storicamente date di testualità, come la preghiera, il racconto, il telegiornale,..) Halliday: approccio funzionale all’analisi del linguaggio; diversamente da Hymes, per lui il punto centrale è recuperare il rapporto tra sistema e funzione—> ripensa dunque lo schema a a funzioni, mediante una proiezione in chiave evolutiva ipotizzando un sviluppo del tipo e del numero delle funzioni disponibili a seconda dell’eta dei parlanti. Età infantile: .1 funzione strumentale ( capacità di usare il linguaggio per soddisfare i bisogni), .2 regolativa ( per controllare il comportamento altrui), .3 interpersonale ( per stabilire contatti con gli altri) e .4 euristica ( per crearsi un mondo proprio). Con il tempo le funzioni vengono integrate e superate da alcune metafunzioni molto astratte che sfruttano a fondo il carattere simbolico del linguaggio: funzione interpersonale, ideazione e testuale —> queste aiutano il parlante a realizzare il potenziale semantico della loro lingua = insieme di possibili significati che essa veicola. Per H. si pul classificare una situazione comunicativa nei suoi connotati semiotica attraverso tre parametri: .1 campo: l’azione sociale che si sta svolgendo e nella quale vengono inseriti uno o più testi .2 tenore: si riferisce ai rapporti reciproci e ai ruoli sociali dei partecipanti alla comunicazione .3 modo : canale prescelto e chiarisce la funzione assegnata alla lingua nella situazione data 5 CAPITOLO 2: LA COMUNICAZONE TRA DISCORSO E TESTO Tentiamo di introdurre le nozioni di discorso e testo da un punto di vista semiotico e filosofico- linguistico. Testo e discorso sono due nozioni complementari che si riferiscono entrambe alle modalità attraverso le quali il sistema linguistico si attualizza. LINGUISTICA DEL DISCORSO Dagli anni immediatamente successivi alla pubblicazione del Corso di linguistica generale (1916): nuova interpretazione della nozione di sistema—> non più rigida come quella ad ex. chomskyana, che elimina dall’analisi linguistica tutti gli elementi non propriamente linguistici, come il soggetto o il contesto. La svolta avviene in particolare modo nel settore di studi dedicati al tema dell’enunciazione, che sposta l’attenzione dal sistema/codice alla sua attuazione , dal prodotto (= frase, enunciato) alla modalità di produzione (= enunciazione). Padre della nozione di enunciazione: Benveniste—> la sua attenzione cade su alcuni elementi linguistici che pur appartenendo alle langue trovano il loro senso solo se calati in una precisa situazione comunicativa, => pronomi personali, dimostrativi e tutti gli elementi deittici acquistano senso solo convertendo il linguaggio in discorso. Queste osservazioni mettono in crisi la distinzione langue/parole introducendo tra i due livelli l’enunciazione che riguarda l’impiego totale della lingua e il rapporto del soggetto con essa. La linguistica del discorso si occupa non dei prodotti dell’attività linguistica, ma dell’atto stesso di produrre un enunciato. L’enunciazione comporta una semantizzazione della lingua, poiché i segni linguistici assumono senso pieno solo quando usati da un parlante in un contesto di discorso. Distinzione fondamentale della teoria benvenistiana: semiotico/ semantico. Semiotica: si occupa della lingua come sistema di segni indipendentemente dalla realizzazione concreta ; Semantica: studia la lingua come mezzo di comunicazione—> comprende la pragmatica sia in quanto indagine delle relazione tra lingua e utenti, sia in quanto indagine delle relazioni tra lingua e contesto comunicativo. Nuova ( rispetto a quella del generativismo chomskyano) concezione di frase:struttura olistica, nel senso che non deriva dalla mera somma dei suoi elementi costitutivi; ha una referenza in quanto denota una precisa situazione comunicativa; evento unico e irripetibile, appartenendo al livello del discorso e non a quello del sistema virtuale della lingua. Quando il locatore usa la lingua, la fa sua: l’enunciazione è un processo di appropriazione della lingua da parte di un parlante, che in questo modo si pone come soggetto. Inoltre l’enunciazione comporta sempre un riferimento al mondo, elemento integrante dello scambio comunicativo: I parlanti e il riferimento sono momenti essenziali dell’attività linguistica. APPARATO FORMALE DELL’ENUNCIAZIONE: comprende tutte le forme linguistiche che implicano un soggetto che le assume e le usa e che hanno una referenza variabile, dipendendo dal locatore e dalla situazione comunicativa INDICI DI PERSONA I pronomi di persona sono indici personali in quanto, a differenza dei nomi, hanno un referente discorsivo, quindi assumono il riferimento in relazione al soggetto che li enuncia; i pronomi non rimandano né alla realtà né a porzioni oggettive nello spazio o nel tempo, ma all’enunciazione, ogni volta unica ( io e tu indicano persone sempre diverse e particolari) Anche i verbi sono soggetti alla categoria di persona; B. inoltre riprende una classificazione araba che oppone la prima persona (colui che parla) e la seconda (colui che ascolta) alla terza (colui che è assente)—> la terza persona è una non persona, poiché non comporta variazione della referenza in relazione al locutore. n.b. il linguaggio verbale è l’unico sistema semiotico dotato di forme attraverso cui l’uomo può costruirsi come soggetto: l’espressione della soggettività è garantita solo nel e attraverso il linguaggio. 6 INDICI DELL’OSTENSIONE Pronomi dimostrativi come questo e quello implicano un gesto che indica l’oggetto designato nel momento stesso in cui viene pronunciato il nome; questi hanno valore solo all’interno delle coordinate spazio temporali che l’atto enunciativo definisce ( quindi che il locutore definisce nel momento in cui prende la parola). FORME DELLA TEMPORALITA' Le forme della temporalità sono legate alla quesitone dell’enunciazione: il presente linguistico non ha alcuna realtà oggettiva esterna, ma è sui-referenziale, si riferisce al momento in cui è enunciato. Rispetto al tempo fisico=continuo uniforme e infinito, e al tempo cronico=quello degli orologi, oggettivato e socializzato, il tempo linguistico è intersoggettivo perché funge da riferimento comune ai partecipanti allo scambio comunicativo, caratterizzando la relazione tra il locutore e l’allocutore. Per B. l’esperienza temporale si organizza in base a due sistemi: la storia e il discorso. Discorso: i fatti sono individuati temporalmente in riferimento all’atto enunciativo, l’enunciazione discorsiva è caratterizzata dall’uso del presente ( fulcro dal quale si diramano gli altri tempi), dall’uso dei deittici, di pronomi di prima e seconda persona e dall’eventuale uso della terza, in quanto non-persona; Storia: impiego del passato remoto come tempo base, assenza di deittici, esclusione dei pronomi di prima e seconda persona, uso esclusivo della terza persona. FORME DELL’ILLOCUTIVITA’ Le forme dell’illocutività comprendono le funzioni sintattiche che mettono in primo piano il rapporto tra locutore e allocutore => verbi performativi/esecutivi e tutte le situazioni in cui si usa la lingua per influenzare il comportamento altrui ( intimazione, asserzione, interrogazione,..). Potendo essere enunciato solo entro precise coordinate spazio-tempoarli, ogni atto linguistico performativo è unico e sui-referenziale. MODALITA’ Con modalità si indicano le forme con le quali il locatore marca il proprio enunciato, indicando il proprio atteggiamento o la propria adesione rispetto ad esso => verbi di atteggiamento preposizionale ( credere, pensare,..); espressioni fraseologiche ( ex. avverbi di opinione forse, probabilmente,..); variazione degli stili e registri LINGUISTICA DEL TESTO Per decenni il piano del testo sembrava essere relativo alle sole regole mediante le quali si connettono le frasi tra loro; la linguistica del testo si afferma quando matura una concezione del testo differente, ovvero quando si riconosce che l’organizzazione delle frasi in un testo segue meccanismi e regole propri di ciascuna lingua ben più complessi della semplice connessione—> il testo è una struttura olistica: le singole frasi ricevono dal testo in cui compaiono determinazioni semantiche, sintattiche, morfologiche e fonetiche che non posseggono singolarmente. Il segno all’interno di un testo non si limita a svolgere semplicemente la funzione della denotazione e la funzione della connotazione: quella testuale è una funzione globale che spinge l’utente a intraprendere percorsi che portano fuori dal testo => contesto linguistico, situazione extralinguistica, universo del discorso, sfondo concettuale. Il senso del testo si definisce in base a mittente, destinatario e mondo esterno, ma allo stesso tempo è autonomo rispetto ad essi—> il testo è dissociato dall’intenzione morale dell’autore, è diretto a un’universalità di destinatari e i riferimenti che non sono ostensivi. Il testo è l’attuazione della language, la realizzazione di alcune delle selezioni potenziali del sistema linguistico. In polemica con l’opposizione chomskyana competence/performance, la linguistica testuale si propone di indagare la competenza nell’esecuzione, quindi i meccanismi astratti che permetto ai parlanti di produrre e comprendere testi. A differenza della prospettiva discorsiva, l’orientamento testualista privilegia l’analisi dei processi linguistici, pragmatici e cognitivi coinvolti nella competenza testuale ( n.b. prosp. discorsiva si occupa delle variabili in gioco nella realizzazione dell’atto enunciativo). —> il testo è dunque una sequenza linguistica empirica attestata, prodotta nell’ambito di una praticasociale determinata e fissata su un supporto qualsiasi <— => il testo può essere orale, scritto o espresso tramite altri codici 7 Austin già nei primi lavori scardina l’idea che il significato delle parole sia univoco e determinato: si chiede nell’articolo The Meaning of a Word che senso abbia porsi la questione del significato di una parola, se ad avere significato sono solo gli enunciati nel loro complesso. ( bersaglio polemico: concezioni semantiche che vedono i significati come delle entità). Ruolo fondamentale nella formazione di Austin: Aristotele—> Austin dà una sua interpretazione dell’Etica Nicomachea: per lui Aristotele rifiuta di rispondere alla domanda ‘’ quale è il significato di buono?’’ e soprattutto ritiene impossibile che buono abbia un solo significato; inoltre dedica molta attenzione alla trattazione aristotelica della paronimia= il fatto che una stessa parola presenti in diverse occasioni d’uso connotazioni in parte identiche in parte differenti. Negli anni 30 Wittgenstein aveva rivisto la sua concezione del linguaggio e aveva sostituito alla nozione di significato quella di uso —> cosìmosntrando che il significato del segno linguistico è inscindibile dal suo modo di impiego e come il riferirsi alle cose non ne esaurisca l’aspetto semantico Austin si era mostrato molto scettico circa la sostituzione : ‘’ uso è un termine troppo vasto, cosi come il termine ‘significato ‘’ —> aveva preferito ispirarsi al concetto di forza di Frege. Austin: critica alla possibilità di applicare il criterio di verità e falsità alle stesse asserzioni: molte asserzioni sono apparentemente descrittive (= asserzioni apparenti) e pertanto non sottoponibili a un criterio che possa incontrovertibilmente decretarne la verità tramite un confronto con la realtà extralinguistica —> Austin critica dunque la tesi secondo la quale un’affermazione è vera solo se vi è un rispecchiamento della struttura della realtà nella struttura della proposizione (= Wittgenstein del Tractatus). n.b. tra le asserzioni apparenti A. annoverava gli enunciati performativi—> per enunciati di questo tipo non ha senso porsi il problema della verità. Però è necessario che il performativo venga proferito in una situazione appropriata altrimenti sarà infelice ( in particolare, .1 nullo se l’autore non è in condizione di compiere l’atto; .2 abusato, se colui che proferisce l’atto non ha inserzione di compiere l’azione in causa; .3 rottura dell’impiego, se tutto si è svolto regolarmente ma si verifica un evento non in regola con esso). Inoltre Austin sottolinea come sia possibile eseguire un atto convenzionale senza ricorrere ad una forma verbale—> ex. in alcuni paesi posso contrarre matrimonio mediante la coabitazione => le convenzioni cui si appella non sono esclusivamente linguistiche, ma storicamente e culturalmente situate e fanno esplicito riferimento alla dimensione sociale dell’agire comunicativo. Inizialmente A. aveva distinto tra enunciati performativi ed enunciati constatativi—> suscettibili di essere veri o falsi—> però poi finisce per ritenere che anche i constatativi vanno valutati in termini di felicità/infelicità ( supponendo che io abbia detto ‘’il gatto è sul cuscino’’ quando non è vero che io credo che il fatto sia sul cuscino, l’infelicità è esattamente la stessa che colpisce ‘’io prometto’’ quando non intendo, non credo,..); in più la stessa ricerca di criteri grammaticali e lessicali che permettessero di distinguere tra i due enunciati aveva dato esito in certo in quanto in molti casi la stessa frase viene usata in entrambi i modi. Austin aveva cercato di individuare una forma normale del performativo, che potesse garantirne l’immediato riconoscimento: tuttavia nessun criterio sembra essere pienamente soddisfacente e lo stesso A. sottolinea come un performativo possa presentarsi nelle forme più diverse ( talvolta anche gesti e intonazione della voce possono funzionare come performativi). n.b. il performativo astigiano richiama proprio un’idea di azione intesa come produzione di un cambiamento in un contesto, legando l’atto linguistico all’ottenimento di un effetto. AUSTIN: ATTI LINGUISTICI Austin dice : l’atto linguistico totale nella situazione linguistica totale è il solo fenomeno reale che siamo impegnati a spiegare—> la nozione di atto è introdotta proprio per specificare che l’oggetto di studio non è la frase ma appunto l’atto di enunciarla in una determinata situazione linguistica (è’ 10 un atto asserire cosi come promettere, giudicare, etc.. —> quale sia il tipo di atto sarà chiarito dal contesto). I primi atti che compiamo quando parliamo sono; .1 atto fonetico= emettere suoni; .2 atto fatico= pronunciare parole appartenenti ad un certo lessico e conformi ad una certa grammatica; .3 atto retico= utilizzare vocaboli con senso e riferimento definiti —> questi tra aspetti sono interdipendenti e non loro insieme costituiscono l’atto locutorio=atto di dire qualcosa; tale atto però non chiarisce il senso del nostro enunciato: ecco perché secondo Austin è necessario chiarire la forza delle parole pronunciate—> ecco che Austin introduce l’atto illocutorio=determina ciò che si fa nel dire qualcosa, un contenuto che include aspetti morfo.sintattici, lessicali e semantici cui vanno applicate le diverse forze illocutorie (=diverse funzioni del linguaggio). Poi vi è un terzo tipo di atto—> atto perlocutorio=riguardante la produzione di effetti non convenzionali conseguenti ad un’illocuzione (ex. se impartisco un ordine, un effetto illocutorio sarà l’esecuzione dell’ordine; l’eventuale reazione dell’interlocutore, che potrebbe essere infastidito dall’ordine, rientra tra gli effetti perlocutori). Differenza fondamentale tra atti illocutori e perlocutori: i primi sono convenzionali e riconducibili ad una forma performativa esplicita; i secondo non lo sono —> tuttavia non è ben chiaro, afferma Austin, dove inizino e dove finiscano le convenzioni. TASSONOMIA DEGLI SPEECH ACTS PROPOSTA DA AUSTIN basata sulle diverse forze illocutorie: -1 verdettivi, che implicano l’emissione di un verdetto; -2 eserictivi, che permettono di esercitare poteri o diritti; -3 commissivi, che permettono di promettere o assumersi un impegno; -4 comportativi, che riguardano atteggiamenti e comportamento sociale; -5 espostivi, che permettono di illustrare opinioni, argomentare,..; —> tale classificazione non ha la pretesa di essere definitiva o esauriente DOPO AUSTIN: ALCUNI ASPETTI DEL DIBATTITO SUGLI SPEECH ACTS Il ruolo dell’intenzione del parlante, sebbene accennato da Austin, non era stato molto enfatizzato —> Strawson evidenzia come, accanto alle convenzioni di cui diceva Austin, l’esecuzione e la ricezione degli atti interlocutori siano legate principalmente dalle intenzioni del parlante e al riconoscimento di queste da parte degli ascoltatori ( prende spunto da Paul Grice che sviluppa una teoria del significato basata sull’intenzione del parlante di produrre determinati effetti sull’uditorio: ciò che conta non è il significato letterale della frase quanto lo speaker’s meaning). Dunque per S. la spiegazione della forza illocutoria in termini di convenzione funziona nei casi in cui possono essere chiaramente individuate le condizioni relative alle circostanze in cui l’enunciato viene proferito; tuttavia ci sono anche casi ben diversi—> in tali casi l’intenzione gioca un ruolo fondamentale: il destinatario deve comprendere e riconoscere la mia intenzione. Poi, anche nei casi regolamentati da ocnvenzioni, l’elemento intenzionale ha una sua funzione—> si delinea una sorta di dualità tra elemento intenzionale e convenzionale, che l’impostazione astigiana non sembra in grado di risolvere. Proposta di mediazione: John Serle—> per la buona riuscita dell’atto illocutorio il parlante non solo vuole che l’interlocutore riconosca la sua intenzione, ma vuole che la riconosca in base al fatto che le regole per l’uso dell’espressione utilizzata associano quell’espressione alla produzione di quell’effetto. Dunque Serle mostra l’inadeguatezza della posizione di Grice basata solo sullo speacker’s meanign, argomentando che : è possibile utilizzare una proposizione T avendo un significato convenzionale Q con l’intenzione che l’ascoltatore intenda un qualche significato S, senza che questo comporti che T significhi S => il significato non può essere soltanto questione di intenzione ma è, almeno a volte, questione di convenzioni. Un’esemplificazione di cosa Serle intenda per ‘’convenzioni linguistiche’’ è data dalla sua formulazione delle condizioni di soddisfazione degli atti linguistici ( elaborate in sostituzione delle condizioni di felicità austiniane): - condizione di sincerità: il parlante deve avere l’intenzione adatta per l’esecuzione dell’atto ( ex. il parlante deve pronunciare ‘’ prometto di fare x’’ solo se ha intenzione di fare x) 11 - condizione essenziale: determina quale tipo di atto illocutorio stiamo eseguendo e da essa dipendono tutte le altre condizioni ( il parlante vuole che l’enunciato ‘prometto di fare x’ lo obblighi di fare x—> dunque tale enunciato specifica l’intenzione del parlante e connette convenzionalmente n’enunciazione con l’assunzione di un obbligo) - condizioni preparatorie: specificano la situazione contestuale e una seria di presupposizioni riguardanti le intenzioni di parlanti e ascoltatori => le condizioni che Austin aveva descritto come esterne all’atto linguistico vengono inglobata all’interno dell’atto medesimo - condizione del contenuto proposizionale : specifica quale tipo di proposizione un parlante della esprimere ( nel caso della promessa un futuro atto). SERLE E AUSTIN: FARE COSE CONE LE PAROLE VS CIO CHE FACCIAMO PARLANDO Serle sviluppa gran parte degli spunti di Austin però applica anche sensibili modifiche: colloca l’atto linguistico in un quadro teorico che tenta di essere al contempo filosofico e linguistico. Per S. parlare una lingua significa impegnarsi in una forma di comportamento molto complessa, governata da regole => imparare e padroneggiare una lingua equivale a imparare e padroneggiare tali regole => Serle concorda con Chomsky nel ritenere che le scienze del linguaggio debbano esplicitare tali regole. Dunque le condizioni prima esposte di soddisfazione dell’atto linguistico derivano proprio dalle regole sottostanti al funzionamento degli atti linguistici e a ciascuna condizione corrisponde una regola: .1 regola di sincerità; .2 regola essenziale; .3 regola preparatoria; regola del contenuto proposizionale. —> tali regole sono costitutive, in quanto rivestono un ruolo fondamentale nella costruzione dell’attvitiò stessa. Nonostante l’enfasi posta sulle regole però, Serle riconosce che la maggior parte die concetti no ttecnini del linguaggio ordinario non sottostà a regole rigorose: accezione relativamente elastica della regola . Serle è consapevole di aver proposto un modello idealizzato del funzionamento di un atto linguistico e come Austin sottolinea il fatto che non solo è possibile eseguire un atto senza indicare une esplicito indicatore di forza illocutoria ( ex. io prometto che..), ma soprattuto che nella maggior parte dei casi è più frequente una formulazione implicita ( ex. lo farò). Ciò nonostante Searle introduce tra i suoi principi metodologici un principio dell’esprimibilità secondo il quale tutto ciò che si può volere dire può essere detto ( questo però, sottolinea Searle stesso, non vuol dire che sia sempre possibile trovar una forma di espressione che produca negli ascoltatori tutti gl effetti che si intendono produrre) CLASSIFICAIZONE DEI TIPI ILLOCUTORI DI SEARLE - assertivi: che impegnano il parlante sulla verità di quanto asserito; - direttivi: tentativi di indurre l’interlocutore a fare qualcosa - commissivi: promesse, impegnano il parlante nel futuro - espressivi: esprimono uno stato psicologico - dichiarativi: perforativi di Austin Differenza cruciale tra Austin e Searle: Austin si interessa del fatto che parlando un linguaggio facciamo qualcosa, Searle si interessa di ciò che facciamo parlando. Serale prospetta alcuni elementi che vanno nella direzione di una teoria dell’azione linguistica, distinguendo tra: a) atti che adattano la parola al mondo (= asserzioni o descrizioni); b) atti che adattano il mondo alla parola, il cui scopo è la produzione di un fatto adeguato quanto è stato detto. CAPITOLO 4: COMUNICAZIONE, MENTE E SICENZA COGNITIVA: QUADRO DI PROBLEMI TRATTI ESSENZIALI DELL’APPROCCIO COGNITIVISTA La scienza cognitiva nasce negli anni 50 dalla convergenza di varie discipline ( linguistica, psicologia, informatica e intelligenza artificiale) proponendo un determinato programma di ricerca basato su un’analogia informatica: la mente è un software che gira nell’hardwere/cervello. —> tale 12 dall’enorme complessitàsintattitca e grammaticale, partendo dai meno complessi e sistematici stimoli linguistici che incontra nell’ambiente (= argomento della povertà dello stimolo). Anche la caratteristica della creatività del linguaggio sconfessa un apprendimento sulla base di meccanismi induttivi: l’uso del linguaggio è sempre originale e non conosce vincoli esterni (=> si avvale di mezzi finiti per combinarli ed esprimere infiniti pensieri- Humboldt). Il linguaggio è considerato da C. un organo del cervello (=> nello stesso senso in cui si parla del sistema immutario e visivo comodi organi del corpo) ed è dunque l’espressione del patrimonio genetico, un organo unico, che non presenta continuità con le altra specie animali; un organo che contiene un meccanismo di acquisizione del linguaggio che prende come input i dati linguistici presenti nell’amboente e dà come output una lingua rappresentata nella mente grazie alle regole e ai principi, la grammatica universale che presiede alla costituzione tutte le lingue storico-naturali. Teoria dei principi e dei parametri: -principi= grammatica universale; -parametri= possibilità predisposte della grammatica universale affinché siano fisse regole specifiche in base alla lingua cui un singolo soggetto è esposto dalla nascita. Lo stato iniziale della facoltà di linguaggio per C. va paragonato a una rete fisse connessa a un pannello di interruttori elettrici a due posizioni => rete= insieme dei principi del linguaggio; interruttori: opzioni che devono essere fissate dall’esperienza. L’acquisizione del linguaggio è equiparata in tutto e per tutto allo sviluppo naturale di un qualsiasi organo biologico. E dal punto di vita del naturalismo chomskyano esiste una sola lingua => le differenze fonologiche, grammaticali e lessicali tra le molteplici lingue sono valutate solo come differenze superficiali, un’unica variazione sul tema della grammatica universale. La tesi innatista si accompagna all’ipotesi modularista —> per spiegare l’apprendimento del linguaggio è necessario presupporre che il bambino abbia gia un facoltà di linguaggio dalla nascita => un modulo innato di conoscenze circa le regole che determinano a priori i sistemi grammaticali possibili delle diverse lingue (n.b. modulo=nozione centrale della scienza cognitiva; con Chomsky si ha per la prima volta la formulazione della nozione di modulo in senso epistemico => inteso come un sistema di conoscenze innate) ; nel caso del linguaggio il modulo epsistemico è la grammatica universale . Inoltre C. distingue tra: - FLN: facoltà di linguaggio intesa in senso stretto = meccanismo computazionale ricorsivo che permette la produzione di enunciati, ciò che rende unica la capacitò di simbolizzare e con essa la natura umana - FLB: facoltà di linguaggio intesa in senso ampio = comprende la FLN, il sistema senso motorio in grado di elaborare e ricevere segnali fonico-acustici del linguaggio, il sistema concettuale- intenzionale per elaborare i significati cui i segnali si riferiscono; si colloca quindi in una più vasta architettura interagendo con altri dispostivi e strutture presenti, anche se in forme rudimentali, anche in altre specie animali LINGUAGGIO ED EVOLUZIONE: DIVERSI APPROCCI Il tema dell’evoluzione del linguaggio divide il dibattito; si possono trovare, semplificando, almeno tre posizioni teoriche: -1 approccio Chomskyano: il linguaggio è una facoltà che non si è evoluta per la funzione comunicativa, né per selezione naturale -2 approccio di Pinker, Bloom e Sperber ( sempre alveo teorico della scienza cognitiva ): il linguaggio è una facoltà che si è adattata sotto la pressione del meccanismo della selezione naturale proprio per il fine adottivo della comunicazione -3 approccio neoculturalista ( al di fuori della teoria cognitivista) : il linguaggio non si è evoluto ai fini della comunicazione, e soprattutto non si è evoluto; il linguaggio è la manifestazione di altre capacità cognitive, non un adattamento biologico. .1 Chomsky —> tesi discontinuità: netta cesura tra la comunicazione animale e la capacità simbolica umana ( discontinuismo diverso da quello cartesiano, poiché si base su un approccio naturalista). C. per sostenere che l linguaggio non si è evoluto attraverso la selezione naturale, si affida a Gould—> ridimensiona il ruolo preminente attribuito alla selezione naturale, affiancando 15 all’adattamento la nozione di exaptation—> opera per cooptazione funzionale => una struttura selezionata per certe finalità adattive è cooptata per un’altra funzione. C. dunque sostiene che il linguaggio umano è un effetto secondario, un’abilità molto potente squisita grazie alla comparsa di un meccanismo desistano essenzialmente ad altri scopi—> questo meccanismo è ciò che C. chiama Merge, che sarebbe comparso nella storia evolutiva dell’uomo grazie a un ricablaggio del cervello => il linguaggio non è in senso stretto un sistema di comunicazione. Contributo teorico di Bickerton: cerca di coniugare alcuni aspetti della prospettiva di Chomsky con alcuni elementi dell’impianto darwiniano per risolvere il paradosso della continuità = contrapposizione tra continuità evoluzionistica delle diverse specie e la discontinuitàdei sistemi comunicativi umani e animali => per B. il linguaggio umano non si sarebbe evoluto dai sistemi comunicativi animali, troppo grande è il divario prodotto dalla complessità della sintassi: se si considera però il linguaggio come dispositivo interno di rappresentazione mentale e non come sistema di comunicazione, è possibile superare il paradosso ipotizzando una sorta di continuiamo concettuale e rappresentazione tra la cognizione animale e quella umana ( ipotesi del protolinguaggio secondo cui già l’Homo erectus avrebbe usato un linguaggio molto semplice privo di grammatica e successivamente, grazie ad una singola mutazione che avrebbe permesso una rapida riorganizzazione del cervello e delle basi anatomiche del tratto vocale, sarebbe apparso il linguaggio vero e proprio) . Inoltre se Chomsky crede che il pensiero umano sia venuto prima e abbia reso possible il linguaggio, B. crede che il linguaggio sia venuto prima e avvia reso possibile il pensiero umano. .2 Pinker e Bloom: sostengono che per spiegare la complessità del linguaggio bisogna ricorrere al quadro evoluzionista fornita dai meccanismi della selezione naturale. Bloom: sostiene che se la selezione naturale è l’unica spiegazione per la complessità adottiva e il linguaggio ha come fine adottivo la comunicazione, allora il linguaggio si è evoluto per selezione naturale Pinker: considera il linguaggio come un adattamento evolutivo plasmato dalla selezione naturale, quindi gradualmente, e il fine adottivo è proprio la comunicazione —> per questi autori dunque l’originaria funzione del linguaggio è quella comunicativa ed assegnano un valor biologicamente adottivo al linguaggio perché assegnano un valore biologicamente adottivo alla comunicazione QUALE RUOLO PER LA COMUNICAZIONE IN UN APPROCCIO COGNITIVISTA? Gran parte del dibattito cognitivo odierno considera i processi comunicativi come il risultato finale della funzione essenziale del linguaggio = esprimere i pensieri prodotti dalla mente. Poi…: - ad un estremo c’è la tesi che considera il linguaggio come lo strumento di espressione di pensieri già formati, un dispositivo di input e output che si interfaccia coi processi cognitivi centrali; - all’altro estremo, c’è la tesi ( di Humboldt, Vygotski, Saussure) che considera il linguaggio come il dispositivo essenziale per la formulazione del pensiero. Il punto in questione ( qualunque sia la variante della tesi ) è che il linguaggio da solo non basta per esplicitare l’effettivo funzionamento dei processi comunicativi—> l’aspetto pragmatico della comunicazione e la dimensione interpretativa mostrano che sono necessari processi mentali di tipo non linguistico in grado di guidare il mittente e il ricevente nella condivisione dello scambio comunicativo anche e soprattutto linguistico, attraverso la capacità di selezionare opportunamente le pertinenze nell’ambiente spaziale e sociale. => i processi comunicativi di tipo verbale non possono dipendere solo dal meccanismo di codifica e decodifica linguistica. DA GRICE ALLA TEORIA DELLA PERTINENZA Grice: sostiene che laa comprensione di un procedimento linguistico da parte di un destinatario utilizzerebbe inferenze non dimostrative che colgono informazioni linguistiche e non linguistiche, reperibili nel contesto, in modo da attribuire al mittente una certa intenzione comunicativa (= speaker’s meaning)—> tale speaker’s meaning non può essere interamente tradotto dal significato 16 della frase (ex. ironia) => tra ciò che il parlante ha detto in un certo contesto e ciò che il parlante ha comunicato c’è uno iato colmatile solo da una mente di tipo inferenziale, che seleziona le informazioni adatte, pertinenti alla situazione comunicativa. Partendo dalla prospettiva griceana, Sperber e Wilson hanno elaborato la teoria della pertinenza= teoria della cognizione e della comunicazione che sfrutta i processi inferenziali per esplicitare il modo in cui la mente sceglie le informazioni adeguate al raggiungimento di certi scopi, sulla base del rapporto tra a) i costi dello sforzo cognitivo impiegato per il trattamento dell’informazione e b) i benefici prodotti dagli effetti cognitivi positivi che possono emergere. In questo quadro la pertinenza è una proprietà applicabile a qualsiasi stimolo esterno o rappresentazione interna che produce effetto cognitivo positivo. IL MODELLO OSTENSIVO.INFERENZIALE DI SPERBER E WILSON La comunicazione è un processo ostensivo-referenziale e si realizza attraverso 2 livelli di intenzioni: -1 intenzione informativa= livello di informazione di base veicolato dal mittente attraverso ad esempio un proferimento linguistico affinché possa informare il destinatario di uno stato di cose; -2 intenzione comunicativa= secondo livello di informazione che riguarda le informazioni di primo livello e l’intenzione del mittente di tenerle manifesta al destinatario => il mittente rende manifesta al destinatario la propria intenzione di rendergli manifesta un’informazione di primo livello. In questo senso la comunicazione è ostensivo-referenziale: - ostensiva perché il comunicatore vuole che il destinatario riconosca la sua intenzione comunicativa, producendo un’aspettativa di pertinenza riguardo al suo proferimento; - inferneziale, perché il destinatario fa inferenza pe cogliere l’intenzione comunicativa del mittente. La comunicazione dunque è una questione di intenzioni e inferenze: se non si coglie l’intenzione comunicativa, il linguaggio, inteso come modulo di codifica e decodifica, da solo non basta per realizzare uno scambio comunicativo. E lo stesso carattere ostensivo-inferenziale estromette la nozione di codice dalla definizione di scambio comunicativo: la comunicazione non è questione di codice, ma è essenzialmente riconoscimento di intenzioni e può determinarsi anche in assenza completa di codice. LINGUAGGIO E METARAPPRESENTAZIONE Speber: sostiene il primato della capacità di mentalizzazione come prerequisito ontogenetico e filogenetico per l’evoluzione delle altre abilità cognitive, inclusa quella linguistica. Così il dramma evolutivo secondo cui la facoltà del linguaggio e gli scambi linguistici sono paradossalmente ognuno una precondizione dell’altro, è risolto: il linguaggio si è evoluto nei nostri antenati perché erano già abili nella comunicazione inferenziale ( capacità garantita dal mindreading). L’idea dunque è che vi sia da un lato una generica capacità di mentalizzare che l’uomo ha condiviso con i suoi antenati e che condivide con le specie più vicine da un punto di vista evoluzione e dall’altro una specifica capacità di metallizzare, solo umana, innescata e plasmata dall’impiego del linguaggio articolato e dal suo effetto di ritorno sulla cognizione. Speber rifiuta la vecchia storia secondo cui noi comunichiamo solo grazie alla condivisione di un codice—> tutta la comunicazione umana è un effetto della capacità metarappresentazionale (che fornirebbe anche un spiegazione della complessità sintattico-formale del linguaggio in termini gradualisti). Rispetto alla prospettiva chomskyana e alla scienza cognitivista classia, il cambiamento di ruolo del linguaggio è evidente: il linguaggio si rappropria di una funzione costitutiva => non è più solo lo strumento di espressione di un pensiero già preformato, ma interviene in alcuni aspetti della costituzione della cognizione ( in particolare in quello sociale producendo una capacità di mentalizzazione più articolata e sofisticata). —> parte del dibattito in scienza cognitiva ha abbandonato la versione radicale della tesi della funzione comunicativa del linguaggio e l’idea relativa che la comunicazione verbale sia solo un processo lineare di codifica e decodifica linguistica. 17 -1 la tesi del monologismo: separa l’equipaggiamento di base dell’organismo solitario del soggetto parlante dalle condizioni interoggettive, storiche e culturali -2 la tesi dell’apriorismo: astrae da ogni condizione d’esperienza, postulando un parlante ideale dotato di un inventario di regole sintattiche e semantiche universali e innate; -3 la tesi dell’elementarismo: aspira a ridurre il contenuto semantico di tutte le lingue storico- culturali a combinazioni di un numero finito di componenti, negando rilevanza alla varietà e alla diversità delle forme culturali —> tale paradigma secondo Habermas impedisce di comprendere il ruolo delle pratiche comunicative nei processi di costituzione e trasformazione della vita sociale e mentale. D’altra parte però Habermas fa proprio l’intento conoscitivo di C. => l’orientamento della ricerca sulle strutture universali del linguaggio per applicarlo però allo studio delle condizioni della comunicazione —> obiettivo di H. : individuare le conoscenze che il parlante-ascoltatore ideale deve possedere per produrre e comprendere enunciati in una interazione discorsiva => si tratta di ricostruire il sistema di regole pragmatiche che i parlanti padroneggiano nella pratica, pur senza averne spesso consapevolezza —> tale scienza ricostruttiva = pragmatica universale. Alla strategia di ricerca di C., H. ribatte con un programma che cerca di restituire complessità alla dimensione della competenza generale di un parlante ideale =>: -1 al monologismo viene contrapposto il riconoscimento del ruolo svolto dalle condizioni intersoggettive storico-culturali nello specificare ed elaborare le competenza del singolo parlante ( non solo competenze gramamticali, ma anche regole fondamentali dell’interazione simbolica) -2 all’astrazione subentra il riconoscimento del ruolo dell’esperienza, della socializzazione e della comunicazione nella genesi delle forme della mente e del linguaggio -3 al riduzionismo e all’elementarismo classico vengono integrati con metodi di spiegazione e di ricerca in grado di dar conto del fatto che gli universali linguistici e pragmatici sono suscettibili idi trasformazione in seguito a processi di apprendimento. A questo punto Habermas attinge alla linea di ricerca di Austin e Searle ( = riflessione sugli atti linguistici) per un’analisi del potere pragmatico universale degli enunciati, il quale potere è ancorato ai cosiddetti permofrmativi—> questi consentono di orientare l’enunciato verso una forma di intersoggettività attivata dallo loro stessa forza illocutiva. => la competenza comunicativa dipende dalla padronanza del parlante ideale dei seguenti universali costitutivi del dialogo: -pronomi personali; -espressioni deittiche di spazio e di tempo; -articoli e pronomi dimostrativi; -allocutivi, formule di saluto; - atti discorsivi ( 4 classi: .1 atti comunicativi = dire, domandare, rispondere,..; .2 atti constatativi= affermare, descrivere, comunciare,..; .3 atti rappresentativi/espressivi = esporre, alludere, esprimere,..; .4 atti regolativi = ordinare, obbedire, ..). Il riferimento a questi universali permette di individuare le tre dimensioni proprie di ogni possibile situazione discorsiva: linguistica, interpersonale e referenziale; ma quel che più conta è che gli universali ci consentono anche di rappresentare la situazione discorsiva ideale che ogni discorso eve sottintendere ( quale anticipazione contrattuale rispetto alla situazione linguistica reale). PER UNA NUOVA TEORIA DELLA RAZIONALITA’ COMUNICATIVA Habermas intreccia poi la riflessione riguardo la creazione di una situazione linguistica ideale con una riflessione relativa ai criteri di validità di ogni interazione linguistica—> la forza illocutiva dell’atto discorsivo attiva un sistema di pretese di validità che comprende: -0 la pretesa di comprensibilità = meta-pretesa : il parlante deve scegliere una espressione comprensibile in modo che il parlante e ascoltatore possano comprendersi reciprocamente; -1 la pretesa di verità: il parlante deve avere la pretesa di comunicare un contenuto preposizionale vero, in modo che l’ascoltatore possa condividere il sapere del parlante; -2 la pretesa di veriditcità/sincerità: il parlante deve voler esprimere le sue intenzioni in modo veritiero, in modo che l’ascoltatore possa credere alla enunciazione del parlante; -3 la pretesa di correttezza normativa: il parlante deve scegliere un’espressione corretta in riferimento a norme e valori dati 20 —> i tre criteri di validità attivati in ogni atto linguistico lo rendono sensato => razionalmente accettabile. Habermas recupera cosi anche le tre funzioni dello schema di Butler (espressiva, rappresentativa, appellativa) e su questa base elabora una critica alle tre più importanti teorie semantiche del 900—> che hanno ristretto il significato a una sola delle tre dimensioni individuate da Buhler: -1 concezione formale e veritativa ( Frege, primo Wittgenstein, Dummett): concentrandosi sulla forma grammaticale delle espressioni linguistiche astraendo dalle intenzioni e dalle rappresentazioni dei soggetti parlanti , ha incentrato lo studio del significato sul rapporto tra linguaggio e mondo -2 concezione intenzionalissta( Grice, Bennett, Schiffer ) : riconducendo il significato a ciò che il parlante intende dire attribuisce alla teoria generale dell’azione il compito di spiegare il significato delle espressioni linguistiche, perdendo di vista l’autonomia di una peculiare struttura interna al linguaggio -3 teoria del significato come uso ( secondo Wittgenstein) : incentrata sul concetto e le funzioni pratiche delle espressioni linguistiche, esclude qualsiasi relazione di validità che trascenda il gioco linguistico. Habermas è invece alla ricerca di una teoria dell’azione linguistica in chiave di pragmatica formale che tenga nel giusto contro tutte e tre le teorie del significato e consenta di riunire le diverse radici della razionalità ( .1 razionalità epistemica del sapere; .2 razionalità finalizzata allo scopo propria dell’agire; .3 razionalità comunicativa, incentrata sulla comprensibilità delle espressioni verbali) —> in ciascuna di queste diverse forme di razionalità opera una specifica dimensione del significato, il cui isolamento fa smarrire la complessità del pensiero e dell’agire mediati linguisticamente. Tale teoria della razionalità viene da H. contrapposta alla riduttiva concezione della razionalità presente nei grandi teorici della sociologia classica. La razionalità dell’agire linguistico comunicativo fa emergere la capacità del parlante di conseguire una intesa razionalmente fondata —> a questo livello il linguaggio fornisce l’articolazione categoria e la prestutturazione grammaticale del cruciale contesto di produzione comunicativa del senso che H. definisce mondo della vita (= il contesto dell’interazione simbolica di agenti individuali; ambito specifico della razionalità comunicativa in cui si articolano i processi di intesa; orizzonte implicito dell’agire per il singolo) Ora, se i criteri di validità operano in modo tacito nelle ordinarie interazioni sociali del mondo della vita, dove costituiscono un accordo di sfondo che rende possibile l’agire comunicativo, il discorso è la dimensione propriamente riflessiva dello scambio comunicativo—> mentre l’agire comunicativo si basa sul consenso presupposto delle norme che governano i diversi giochi linguistici, solo nel discorso è possibile raggiungere un accordo motivato dall’esplicitazione delle pretese di validità, implicite nell’agire comunicativo. Punti di contatto tra Habermas e Apel: assunzione del presupposto delle pretese di validità quale condizione necessaria alla realizzazione dell’intesa linguistica —> però H. diversamente da Apel vede nell’individuazione dei presupposti e delle regole dell’argomentazione volta all’intesa, il compito di una scienza ricostruttiva ben distinta dalla filosofia trascendentale aprioristica di tradizione kantiana ( a cui Apel invece rimane legato). ETICA E COMUNICAZIONE, TRA APEL E HABERMAS La trasformazione del modello kantiano è alla base di un’importante riflessione etica—> sviluppata sia da Apel che da Habermas. Nel dibattito sulla riabilitazione della filosofia pratica ci sono due correnti: neokantismo e neoaristotelismo —> entrambe le posizioni pongono l’accento sul legame tra linguaggio e ragion pratica, però fanno leva su un diverso livello di analisi del linguaggio umano : - l’orientamento ermeneutico pone l’accento sulla dimensione della lingua come apertura dell’orizzonte ontologico del riferirsi dell’uomo al mondo, agli altri e a se stesso; - l’orientamento neokantiano mette in rilievo la dimensione pragmatica del discorso, basata su condizioni universali dell’agire linguistico 21 DISCORSO E MORALE Le pretese che ogni argomentare deve implicitamente presupporre per non cadere in contraddizione assumono una potenziale rilevanza etica —> perché assegnano valore normativo alle procedure che definiscono la situazione linguistica ideale in grado di portare all’intesa. Le posizioni di Apel e Habermas differiscono per lo statuto da attribuire alle norme del discorso: Apel assegna loro un valore trascendentale (= di fondazione ultima della ragion pratica); Habermas rinuncia a ogni deduzione aprioristica e attribuisce loro uno statuto epistemologico ipotetico e fallibile. Comune è però la ricerca di una fondazione razionale dei principi dell’agire, in grado di dar forma a un’etica della comunicazione caratterizzata in senso: - deontologico:carattere dato dal suo presentarsi come una teoria dei doveri verso gli altri e non come un discorso sulla vita buona e sul fine della felicità (= modelli neoaristotelici) => l’etica può indicare solo ciò che è obbligante per tutti, le condizioni che devono essere rispettate per non produrre condizioni di conflitto - cognitivistico:carattere dato dal fatto di trattare la pretesa di validità delle proposizioni normative in modo analogo alla pretesa di verità degli enunciati di tipo assertivo => assumendo che i giudizi morali non scaturiscano da desideri irrazionali ma dalla ragione comunicativa incarnata dal linguaggio, è possibile distinguere tra giudizi morali errati e giusti - formalistico:carattere dato dall’assumere come unico criterio per la fondazione razionale di norme universali il principio procedurale dell’agire comunicativo - universalistico:carattere dato dal suo presentarsi come un’etica che pretende di valere per tutti gli esseri razionali Alla base dell’estiva stanno per Habermas due principi fondamentali: - principio di universalizzazione, il quale stabilisce che ogni norma valida deve soddisfare la condizione che le conseguenze e gli effetti secondari derivanti (presumibilmente) di volta in volta dalla sua universale osservanza per quel riguarda la soddisfazione di ciascun singolo, possano venir accettate da tutti gli interessati - principio del discorso, che indica solo il criterio di fondazione delle norme —> possono avere pretesa di validità quelle norme che potrebbero incontrar fil consenso di tutti gli interessati quei partecipanti a un discorso pratico Apel fa proprie le quattro pretese di validità e il principio U combinandoli con la sua idea della comunità della comunicazione—> dimensione ideale ( come la situazione discorsiva ideale di Habermas) contrapposta alla dimensione reale della comunicazione quotidiana, che consente di portare induce e denunciare gli interessi materiali che si oppongono all’intesa tra gli individui. Apel perviene all’idea di una integrazione tra agire strategico e agire morale, funzionale all’elaborazione di una morale planerai che trascenda i particolarismi; al contrario le regole dell’argomentazione ( valide indipendentemente dalle diverse concezioni religiose, culturali, metafisiche) possono fondare una razionalità etica universale. DIVERGENZE E CONVERGENZE - divergenza teorico-metodologica: posizione sociologica di H./ prospettiva pragmatico- trascendentale di Apel - Apel vuole assegnare al principio del discorso una dimensione morale / H. lo assume con un’accezione moralmente neutrale - Apel propone di ampliare l’etica del discorso nel senso di un’etica della responsabilità rispetto alla storia e alle istItuzioni, da intendersi nel senso di una primigenia co-responsabilità di tutti gli uomini / H. rifiuta questa ipotesi perché la dimensione teleologica della responsabilità in riferimento alla storia dovrebbe trascendere il quadro deontologico dell’etica formale del discorso Apel pensa ad una possibile connessione interna tra il principio del discorso e il principio della democrazia => l’idea che le istanze normative del principio del discorso trovino una effettiva realizzazione nello Stato democratico moderno —> però per A. la democrazia presenta die limiti, che derivano dalla regola della maggioranza . Apel mantiene dunque uno scarto tra ideale e reale, di stampo neo-illuministico, che gli consente di continuare ad adottare un atteggiamento riformatore e progressista di fronte al mondo —> 22 palcoscenico in cui gli individui si incontrano e interagiscono attraverso alcune maschere; in questa prospettiva teatrale l’autore distingue la facciata e il retroscena : - facciata —> quella parte della rappresentazione di se che l’individuo fornisce agli altri e si base su un equipaggiamento espressivo e comportamentale il cui funzionamento standard definisce la situazione sociale in cui si è - retroscena —> il soggetto esce dal suo ruolo) Meyrowitz: coniuga la riflessione di Goffmann con quella di McLuhan; afferma che i media elettronici hanno stravolto i confini degli spazi sociali: se la stampa seleziona in qualche misura il gruppo sociale di riferimento sulla base dell’educazione e del livello socio-economico, i media elettronici tendono a mescolare i diversi gruppi sociali, i quali apprendono le informazioni e le conoscenze nel backstage delle loro casa e impiegano queste conoscenza nella ribalta delle intere<ioni sociali; le famiglie borghesi e del ghetto abitano negli stessi network. Secondo M. dunque è fuorviante considerate il mezzo di comunicazione come un dispositivo neutro. Thompson: anche lui riprende la lezione di Goffmann e McLuhan, ma si sofferma sul modo in cui i media contribuiscono a mantenere o modificare ilsensi di identità e appartenenza sociale => analizza le tre tipologie di interazione : .1 interazione faccia a faccia: dialogica; flusso di informazioni a due direzioni; stesso sistema di riferimento spazio-temporale; .2 interazione mediata: intervento di una mediazione tecnologica; trasmissione di contenuti simbolici lontani sia nello spazio che nel tempo; maggior grado id indeterminatezza ; gli interlocutori sono costretti ad uno sforzo maggiore pe preservare lo scambio comunicativo; .3 quasi-interazione mediata: caratterizza i mezzi di comunicazione di massa ( ex. televisione); non è caratterizzata dal grado di reciprocità e specificità interpersonale delle altre forme di relazione, ma è una forma di interazione —> tale nozione di quasi-interazione è applicata da T. all’approccio drammaturgico di Goffmann: per l’approccio integrazionista la conversazione faccia a faccia presenta una facciata e un retroscena, invece nelle quasi-interazioni mediate vi è un’abbondanza della rappresentazione di chi produce un contenuto mediale rispetto al pubblico, ma c’è anche un maggior livello di rappresentazione della facciata rispetto al retroscena. Sta di fatto che il pubblico ha comunque un ruolo nelle interazioni con mezzi di comunicazione: non fa altro che riportare il contenuto prodotto dalle quasi-interazioni mediali nei contesti di ricezione, in modo tale da incorporare nelle interazioni quotidiane le azioni rappresentate dia contenuti mediali distanti nello spazio e a volte nel tempo. —> la capacità di fare esperienza si è separata dall’incontro: ex. molte esperienze drammatiche non sono vissute in prima persona dagli individui, eppure grazie ai mezzi di comunicazione gli individui possono accedere a contenuti simbolici in grado di restituire una certa forma di conoscenza di queste esperienza socialmente straordinarie I NUOVI MEDIA L’avvento die nuovi media ha completamente ridisegnato i contorni sociali dell’esperienza e della conoscenza. Ora, non è facile individuare una definizione univoca dei nuovi media; Van Dijk isola una definizione dei nuovi media sulla base delle compresenza di tre caratteristiche: -1l’integrazione delle telecomunicazioni, della comunicazioni di massa dei contenuti delle comunicazioni in un unico medium -2 i diversi livelli di interazione che i dispostivi tecnologici mettono a disposizione -3 l’uso della codificazione digitale => nuovi media = media che sono sia integrati che interattivi e che usano codici digitali. Lèvy: si è soffermato sul concetto di intelligenza collettiva = si identifica con la cultura e si accresce con essa; è un intelligenza distribuita perché nessuno sa tutto, ognuno sa qualcosa; è un intelligenza che andrebbe valorizzata, coordinando le varie esperienze, competenze e ricchezze umane ; è coordinata in tempo reale —> qui entrano in gioco le forme di mediazione dei media e dei nuovi media digitali: è la rete internet a concretizzare il concetto di intelligenza collettiva. De Kerckhove: allievo di McLuhan, ne radicalizza l’approccio; insiste sulla dimensione operativa dell’intelligenza collettiva, data dalla nozione di intelligenza connettiva —> è la parte dinamica 25 del sapere collettivo distribuito, l’insieme delle infinite connessioni possibili che rivoluzione il modo di accesso, conservazione e produzione della conoscenza. Inoltre sostiene che internet è una grandissima impalcatura, una forma di estensione dell’intelligenza e della memoria privata ma fatta collettiva—> la rete rappresenta la sintesi di tutti i media, la sintesi tra linguaggio esterno, collettivo e linguaggio interno, privato —-> grazie alla reta per la prima volta nella storia si ottiene un controllo privato del linguaggio, che non solo non contrasta, ma si integra magistralmente conta dimensione collettiva. CAPITOLO 7: PRAGMATICA E COMUNICAZIONE: ORIZZONTI E PROSPETTIVE INTERDISCIPLINARI Differenti modi di trattare la pragmatica: - orientamenti analitici della filosofia del linguaggio: Austin, Ryle, Strawson - riformulazioni in ambito anglo-americano: Grice e Searle - fondamenti etici della pragmatica universale: Habermas - pragmatica trascendentale : Apel Di recente nella pragmatica contemporanea si fa riferimento a due distinte scuole di pensiero: - anglo americana: considera la pragmatica come componente centrale della teoria del linguaggio; attribuisce alla pragmatica pari importanza della fonetica, della fonologia, della morfologia, della sintassi, della semantica ( critica: troppo ristretta e incapace di dar conto all’apertura teorica e applicativa della pragmatica). - europeo-continentale: definizione di pragmatica più ampia e comprensiva—> la pragmatica costituisce una generale prospettiva funzionale dei fenomeni linguistici in rapporto al loro utlizzo in forma di comportamento ( critica: il legame diretto con i parlanti e con studi interdisciplinari rende difficile definire la pragmatica, la quale sembra più un cappello sotto il quale le diverse branche della linguistica si coalizzano a seconda degli aspetti del linguaggio che vengono analizzati). LA PRAGMATICA NELL’ATTUALE DIBATTITO INTERDISCIPLINARE Per la peculiarità del suo oggetto di studio ( dinamico e pluridimensionale) e per la sua metodologia di analisi che coinvolge processi cognitivi, culturali e sociali, la pragmatica è condotta ad un’auto-riflessione multidisciplinare che rende difficile ogni tentativo di delimitarne e fissarne i confini —> si possono però rintracciare le coordinate e le posizioni assunte dalla pragmatica con le altre discipline, mettendo chiaro i diversi apporti che la disciplina ha fornito alle scienza del linguaggio. Pragmatica: si occupa del linguaggio in uso e della relazione tra le forme del linguaggio e i suoi utenti; disciplina relazione che implica il coinvolgimento di processi cognitivi, culturali e sociali, di scelte motivate linguisticamente o da fattori extra linguistici; studio dei meccanismi che stanno alla base di queste scelte e degli effetti che queste possono avere o hanno intenzione di avere —> la definizione oscilla tra una terminologia multidisciplinare e interdisciplinare Multidisciplinare: tema specifico nell’ambito di una disciplina definita che si avvale del supporto di altre discipline Interdisciplinare: tema specifico all’interno di più discipline con trasferimento di metodi da una disciplina all’altra => vengono integraste, senza essere assemblate, discipline separate al fine di creare una comprensione comunque di una questione complessa; le relazioni tra le discipline cambiano con lo sviluppo dell’oggetto di ricerca Crossdisciplinare: oggetto di studio che si pone all’intersezione di molteplici discipline con molt punti in comune. Trans disciplinare: oggetto di studio che si colloca tra diverse disciplina con l’obiettivo di venire compreso nell’ambito di un concetto unitario della conoscenza —> la pragmatica si ritaglia un orizzonte interdisciplinare, avvalendosi di un approccio multidisciplinare (=> di metodi e approcci mutuati anche da altri ambiti di ricerca). Problemi: -1 linguaggio: ogni disciplina sviluppa un suo lingiaggio; l’interdisciplinarità richiede un compromesso e un accomodamento di differenti linguaggi; difficolta evidenti quando si tratta di termini tecnici 26 -2 metodo: ogni disciplina sviluppa un proprio metodo; nel caos di una disciplina interdisciplinare ciò può generare incomprensione nella comunità scientifica -3 difficolta istituzionali: le istituzioni sono organizzate in termini disciplinari, causando difficolta nel favorire o promuover una ricerca interdisciplinare -4 difficoltà cognitiva: è difficile diventare esperti in due o più discipline; come sviluppare un metodo genuinamente interdisciplinare? —-> negli ultimi anno la pragmatica sta consolidando le sue saldature interdisciplinari. PRAGMATICA E COMUNICAZIONE: PROSPETTIVE FILOSOFICHE La pragmatica ha le sue radici nella filosofia, ha e mantiene un carattere filosofico; le fonti filosofiche dirette e non della pragmatica sono molteplici: Wittgenstein, Austin, Searle.. Rapporto semantica-pragmatica: è riconosciuto ormai il fatto che il significato possa considerarsi indipendente dall’enunciato e dal contesto di procedimento solo per i linguaggi formali ed è chiaro anche come la pragmatica non abbia un ruolo residuale rispetto alla semantica e non intervenga solo la dove la semantica sembra risultare insufficiente; la semantica si occupa delle cristallizzazioni concettuali degli usi, non dello speaker’s meaning; la pragmatica parallelamente e in modo complementare si concentra sugli aspetti intenzionali , interpretativi e non trasparenti della comunicazione => semantica e pragmatica sono complementari. Interessante è il dibattito svoltosi tra Gibbs e Dascal riguardo il ruolo del significato letterale nei processi comprensione Gibbs: sostiene che il significato letterale non gioca alcun ruolo nei processi di comprensione del linguaggio e non ha alcuna realtà psicologica —> la distinzione tra letterale e metaforico, tra semantico e pragmatico è di scarsa utilità per le teorie psicologiche del significato e del linguaggio in uso. Dascal: ammette la distinzione tra letterale e metaforico; si può individuare un set di condizioni necessarie e sufficienti che consentono di definire il significato letterale; ciò non significa che se queste condizioni vengono a mancare si sia impossibilitati a descrivere il significato di una frase => il significato letterale non necessita di essere parte dell’interpretazione finale di una frase. Inoltre il significato letterale contribuisce a identificare quegli elementi del contesto che possono essere usati per l’interpretazione nei processi di comprensione di una frase. COMUNICAZIONE E PRATICHE RAZIONALI E COOPERATIVE: LA PRAGMA-DIALETTICA Un tentativo di ampliare i presunti limiti della pragmatica è stato fatto dalla pragma-dialettica—> punto di partenza : concetto di contesto. Molte sono le radici teoriche della pragma-dialettica: soprattuto razionalismo critico e filosofia analitica => Austin Searle Grice. I pragma-dialettici cercano di misurare la validità dell’argomentazione rispetto a dei principi che la regolano e progettano un modello di discussione critica che possa costituire il fondamento teorico unitario dell’argomentazione . L’argomentazione viene definita un’attività verbale, sociale e razionale intesa a convincere una critica ragionevole dell’accettabilità di un certo punto di vista. Discussione critica: discussione argomentata in difesa di una posizione da parte di un protagonista verso un antagonista, in cui il primo deve persuadere il secondo e mostrare la ragionevolezza delle sua tesi => viene a configurarsi un modello ideale di discussione che segue passaggi molto precisi e determinati in cui le mosse delle diverse fasi = atti linguistici. Le fasi sono fondamentalmente 4: .1 confronto; .2 apertura; .3 argomentazione; .4 conclusione —> la discussione è conclusa solo quando protagonista e antagonista giugno a conclusioni comuni. Obiettivo principale della pragma-dialettica: studiare il discorso in pratica e provvedere a delle chiare linee giuda per una discussione efficiente ed efficace => vengono stabilite 10 regole, dette dieci comandamenti ( evidente ispirazione alle massime di Grice): .1 regola della libertà; .2 regola dell’obbligo di difesa; .3 regola della tesi (= non è consentito criticare una tesi che non sia stata avanzata dalla controparte); .4 regola della pertinenza; .5 regola delle premesse inespresse (= non è consentito attribuire in modo falso alla controparte 27 EMOZIONE E COGNIZIONE Joseph LeDoux: neuroscienziato cognitivo; afferma che un approccio puramente cognitivo, che non prenda in considerazione le emozioni, dipinge un’immagine artificiale, altamente eirrealistica delle menti reali; le menti sono sia cognitive che emotive. Damasio: neuroscienziato; attraverso una seria di esprimenti su pazienti con lesioni cerebrali ha dimostrato che le emozioni sono fondamentali nei processi di scelta —> ogni decisione viene presa sulla base delle esperienze pregresse di tipo emotivo. Emozio ne e cognizione si influenzano a vicenda. UNA DEFINIZIONE DI EMOZIONE Poggi: psicologa; ciò che chiamiamo emozione non è un fenomeno completamente istintivo e irrazzionale, ma si base su una prima, rapidissima valutazione della situazione—> all’insorgere di un evento potenzialmente rischioso o utile al benessere, il sistema cognitivo dell’individuo compie una valutazione pre-cognitiva, dunque ancora non consapevole; questa prima valutazione provoca l’insorgere della sindrome emotiva, cioè un insieme di risposte psicologiche e corporee. Sia la capacità di provare emozioni, ma anche quella di esprimerle sono adattive => utili alla sopravvivenza di diverse specie animali nel corso dell’evoluzione; L’emozione è costituzionalmente comunicativa. L’insorgere delle emozioni e la loro manifestazione dipendono in gran parte da strutture celebrali a livello subcorticaee di cui non abbiamo alcun controllo cosciente = parte del cervello monto antica dal punto di vista evolutivo. Secondo Damasio queste zone del cervello sono responsabili dell’insorgere delle emozioni primarie/universali (= gioia, tristezza, sopresa, disgusto, rabbia, paura). Poi ci sono le emozioni secondarie/ sociali (= imbarazzo, gelosia, colpa,..). Anche Darwin aveva riconosciuto il carattere innato e universale delle emozioni; indagò il comportamento espressivo di numerose specie animali, notando delle forti analogie nel modo in cui essere manifestano le proprie emozioni. L’ESPRESSIONE DELLE EMOZIONI L’espressione di un’emozione è un fenomeno di per sé complesso e mutimodale, che può essere colto nella totalità delle sue manifestazioni corporee—> alcune sono immediate, altre no ( ex. cambiamenti negli organi, vasi sanguigni, pelle, cuore,..). Con l’insorgere di un emozione tutto il corpo funge da piano dell’espressione . Ekman: psicologo nordamericano; studiando le espressioni facciali delle emozioni ha riconosciuto che esso sono in gran parte innate e universali —> attraverso una seria di esperimenti è riuscito a dimostrare che l’espressione facciale delle emozioni primarie è identica in culture anche molto diverse tra loro. In ogni cultura esistono poi delle regole di condotta sociale diverse per cui in ogni cultura alcune emozioni possono essere vissute e manifestate liberamente, mentre altre, socialmente meno accettate, vengono tenute nascoste o manifestate il meno possibile. Ora, quando siamo in preda ad un’emozione questa spinge il nostro organismo a una determinata reazione, che funziona da espressione di quello stato d’animo, ma allo stesso tempo il nostro controllo cosciente e volontario porta a limitare o modificar fil nostro ocmportamente espressivo in base a dei modelli sociali di riferimento => l’espressione delle emozioni non è un meccanismo puramente fisiologico, una manifestazione completamente naturale e involontaria, ma un fanone complesso che mette in gioco fattori sia naturali che culturali. CONCLUSIONE: psicologia e linguistica dovrebbero interrogarsi insieme su come il linguaggio e la cultura tendano possibile l’esperienza emotiva, su come le parole intervengano nella comprensione dei propri e degli altrui stati d’animo. CAPITOLO 10: COMUNICARE IN UN’ALTRA MODALITA’: IL CASO DELLE LINGUE SEGNATE E LA SUA RILEVANZA TEORICA Il deficit uditivo non compromette lo sviluppo delle abilità cognitive linguistiche che trovano nei segni gestualmente espressi e visivamente percepiti un’altra via di determinazione. 30 E’ opportuno richiamare brevemente alcune caratteristiche contraddistinguono la comunità linguistica segnante, che possiede una propria storia e una cultura, dalle quali non si può prescindere per la comprensione delle reali dinamiche comunicative in segni e del forte valore indennitario che la lingua assume per i sordi. Episodio significativo: congresso internazionale degli educatori dei sordi, Milano 1880 —> qui si stabili l’obbligo di applicare in sede pedagogica il ‘’metodo orale puro’’ basato sull’insegnamento della lingua vocale e sull’esclusione dei gesti dalla prassi educativa => vi era dunque la convinzione che le lingue visivo-gestuali non fossero in grado, come la parola, di esprimere la pienezza del concetto. Solo nel 1960 sono state riabilitate e riconosciute le lingue segnate, non solo in quanto sistemi linguistici, ma anche come espressione de valori culturali e quindi dell’identità dei sordi. Questione della multimodalità= attivazione sinergica, nel corso degli eventi comunicativi in lingua vocale, di diverse modalità, sia in produzione che in ricezione —> il mittente attiva la modalità intontiva-facciale-corporea-gestuale; il destinatario acustica-visiva. La comunicazione in lingua segnata attiva tre modalità in fase di produzione ( gestuale-facciale- corporea) e una sola in fase di ricezione ( visiva). Nelle lingue dei segni è centrale l’organizzazione di tutti questi fatti in un codice linguistico: se nella comunicazione parlata tali elementi partecipano insieme con i segni espressi fonicamente e percepiti uditivamente ai processi di significazione, nelle lingue segnati sono interni al sistema stesso => sono portatori di valori lessicale, morfologico e grammaticale. L’idea che la comunicazione visivo-gestuale dei sordi dia fondata sull’uso di una vera e propria lingua appare pe ala prima volta nel saggio di William Stokoe nel 1960: non il linguaggio parlato è naturaleper l’uomo ma la facoltà di costruire una ingua, vale a dire un sistema di segni distinti corrispondenti ad idee distinte. La complessa modalità di funzionamento delle lingue segnate è il conferimento di un valore linguistico allo spazio in cui sono articolati i segni. Il contesto, considerato come il luogo reale in cui avviene la comunciazione, era fino a poco tempo fa l’unica condizione di possibilità per uno scambio comunicativo in lingua dei segni. Attualmente l’esistenza e la diffusione di spazi virtuali dalla rete sta moltiplicando le situazioni comunicative e potrebbe avere di ritorno un’influenza su alcune caratteristiche della lingua stessa. Internet in primo luogo sta favorendo gli scambi tra utenti sordi, tra componendi di una massa parlante dispersa sul territorio —> la dispersione territoriale della comunità linguistica sorda è uno dei fattori che ha determinato un basso grado di standardizzazione della LS e la presenza di numerose varianti lessicali regionali. CAPITOLO 11: EMBODIED MIND: LA METAFORA E LA COMUNICAZIONE POLITICA MENTE INCARNATA: TRA FILOSOFIA E SCIENZA DELLA MENTE Teoria della embodiment: riconsidera la dicotomia mente/corpo sostenendo la co-implicazione di queste nella formazione delle categorie linguistiche e di altre capacità umane. Un’idea di mente e corpo come strutturate vicendevolmente è riconducibile già ad Aristotele: crede che l’anima sia un insieme di capacità del corpo => che l’anima non sia separabile dal corpo. La teoria contemporanea dell’embodiment coinvolge argomenti biologici, fenomenologici e settori delle scienza cognitive, inclusa la linguistica. Secondo tale teoria, la struttura corporea con cui interagiamo con il mondo influenza la formazione delle categorie che utilizziamo nella percezione dell’ambiente stesso —> questa sorta di imprinting primario influenza in maniera determinante la formazione dei concetti e delle categorie linguistiche nei primi anni di vita. 31 METAFORA ED EMBODIMENT: PRIME TRATTAZIONI Lakoff: attraverso l’analisi di centinaia di espressioni della lingua inglese, trova evidenza dell’importanza delle metafore all’interno del linguaggio ordinario —> ex. espressioni come mi sento su di morale non sono solo figure retoriche del linguaggio, ma strumenti del pensiero che stabiliscono una corrispondenza proiettiva tra la dimensione emotiva e quella spaziale ( TEORIA DELLA METAFORA CONCETTUALE) Le metafore ci permettono dunque di concettualizzare e comprendere concetti astratti, complessi in termini più definiti grazie alla connessione naturale, presente nel linguaggio ma soprattuto nel pensiero, con la nostra esperienza. METAFORE PRIMARIE COME CORRELAZIONI NATURALI Jonson e Grady: arricchiscono la teoria di Lakoff e giungono a una distinzione in vigore ora oggi tra: - metafore primarie : primarie in quanto sorgono nei primi anni di vita, subito dopo quel periodo dello sviluppo linguistico che viene definito conflation - metafore secondarie: strutture metaforiche complesse formate da una struttura componenziale attraverso forme culturali e culutrali; emergerebbero dalle strutture metaforiche primarie Jonson si è occupato dell’analisi del vero too see al fine di scoprire il meccanismo implicato nell’acquisizione della nota metafora concettuale ‘’ conoscere è vedere’’ —> nello stadio primario dello sviluppo i due domini concettuali sono attivati contemporaneamente proprio perché vi è implicato un ‘’vedere letterale’’ necessario per conoscere il contenuto della scatola; ma in questo stadio dello sviluppo non sono presenti altre espressioni in cui il termine vedere è inteso in senso propriamente metaforico => le metafore primarie sono le prime che vengono acquisite e che derivano dalle esperienze primarie filtrate dal sistema senso-motorio. EMBODIED METAPHORS Le metafore incarnate sono le metafore concettuali formate nella mente da esperienze corporee —> questo tipo di metafore danno vita a un processo comprendente il sistema motorio. In tempi recenti una crescente mole di studi ha mostrato evidenza del potere d’influenza delle metafore incarnate sulla percezione. Un articolo sulla rivista ‘’Science’’, attraverso tre studi diversi derive il fenomeno che consiste nel sorgere del bisogno di pulizia fisica in relazione alla sensazione di sentirsi colpevoli di azioni immorali —> questi due domini concettuali sono collegati alla metafora ‘’la moralità è pulizia fisica’’. METAFORE CONCETTUALI ED EMOZIONI La vita emotiva è uno di quegli ambiti dell’esperienza in cui le metafore concettuali svolgono ottimamente il loro compito cognitivo —> nel nostro sistema concettuale gli stati emotivi vengono collegati con percezioni computate costantemente nella nostra mente permettendoci di rendere chiaro qualcosa che altrimenti rimarrebbe molto più definito e incerto ( ex. è una persona fredda). Uno studio ha analizzato l’effetto delle metafore che mettono in corrispondenza l’esclusione sociale e la temperatura corporea: un soggetto che si trova a esperire la situazione emotiva dell’esclusione sociale tende a subire una variazione significativa sulla percezione della temperatura. LA POSIZIONE SOCIALE E’ LA POSIZIONE SPAZIALE Alcuni studi recenti hanno mostrato che la posizione spaziale di una figura di potere possa avere un forte effetto cognitivo sugli ascoltatori, in base al fatto che vi è una correlazione tra notazioni idi valore del tipo buono-cattivo e la posizione spaziale su e giu ( ecco perché le figure di potere si trovano a parlare sempre da una posizione più alta rispetto alla folla cui si rivolgono, oltre alla ricerca di una maggiore visibilità). 32
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