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FIN QUANDO LA MIA STELLA BRILLERA’- Liliana Segre, Sintesi del corso di Storia

Analisi del libro, riassunti dei capitoli, e opinione personale.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 03/05/2021

alice-evangelisti
alice-evangelisti 🇮🇹

4.5

(51)

35 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica FIN QUANDO LA MIA STELLA BRILLERA’- Liliana Segre e più Sintesi del corso in PDF di Storia solo su Docsity! LILIANA SEGRE – FIN QUANDO LA MIA STELLA BRILLERA’ “E’ stato l’amore di mio padre a salvarmi da Auschwitz” La sera in cui a Liliana viene detto che non potrà più andare a scuola, lei non sa nemmeno di essere ebrea. In poco tempo tutte le cose della sua quotidianità diventano un ricordo e Liliana si trova prima emarginata, poi senza una casa, in fuga e poi arrestata. A soli tredici anni si troverà catapultata nel mondo infernale di Auschwitz. L’INFANZIA FELICE Liliana è nata il 10 settembre 1930. Prima della deportazione viveva in corso Magenta 55 a Milano durante la sua infanzia dorata, quella di una bambina amatissima da tutti, dal padre Alberto, dai nonni paterni e materni e dalla balia Caterina. Liliana era una bambina circondata da amore e da affetto. Sono riportati con fedeltà i ricordi come restano impressi nella memoria di un bambino, come le marachelle per mangiare di nascosto i dolci che la nonna aveva destinato per gli incontri con le amiche. Dolci però talmente buoni e belli che la bambina, golosa e ghiotta di essi, sentendosene ingiustamente privata, di nascosto li assaggia, costringendo così la nonna a presentare alle amiche torte con i segni di un pregresso apprezzamento LA SUA FAMIGLIA Sua mamma Lucia era morta a venticinque anni, due anni dopo il matrimonio, e suo padre rimasto vedovo tornò a vivere con i genitori. Se Liliana era una bambina felice era merito del papà, dalla morte di sua moglie ha vissuto per lei, le ha dedicato la sua vita ed è riuscito a non fargli sentire la mancanza di sua madre. Suo padre era sempre presente in tutti gli angoli della sua vita, chiedeva persino consigli alle altre mamme, che rispondevano con dolcezza come se fosse stato un altro figlio da educare. Per questo durante i momenti in cui non sorrideva o stava per conto suo con il volto triste, Liliana aveva imparato a capire che gli mancava tantissimo sua mamma. Anche a Liliana mancava tanto, ma non diceva niente per non far star male il suo papà, la persona più importante per lei, il suo capo saldo. Aveva un atteggiamento di protezione per suo padre, era abituata a essere lei quella che aiutava e doveva cercare di capire cosa non andava, stesso atteggiamento rimasto anche dopo il lager e che usò per suo zio Amedeo. Amedeo era il fratello di suo padre, e insieme alla moglie Caterina ospitò Liliana dopo gli anni a Auschwitz, ritrovarsi senza casa. Suo zio era sempre molto nervoso, aveva molte difficoltà economiche che non era abituato ad avere, la ditta di famiglia era stata confiscata, la doveva riscattare e mettere in moto ma non c’era tempo. Aveva perso i genitori e l’unico fratello, aveva un gran rimorso dentro di sé perché lui era scappato prima di tutti e aveva lasciato che suo fratello Alberto si occupasse da solo dei suoi genitori malati. In più sua moglie non riusciva ad avere figli e Liliana gli era capitata in un momento sbagliato della sua vita. I nonni materni pur non abitando con lei erano sempre molto presenti, la andavano a trovare quasi tutti i giorni, solo che nonno Alfredo quando la vedeva spesso piangeva, gli ricordava sua figlia. Nonno Alfredo era un furbetto, faceva l’avvocato e infatti aveva un parlantina che riusciva a parlare per ore di fila. Incantava tutti con le sue chiacchiere, i sorrisi, i modi gentili e la sua galanteria che faceva diventare gelosa nonna Bianca. Nonna Bianca era la sua preferita, passavano interi pomeriggi a giocare. A Liliana sembrava vecchia, in realtà era ancora giovane e bellissima, era sempre truccata e si vestiva sempre con abiti eleganti. Liliana oltre che con il suo papà viveva con i nonni paterni nonna Olga e nonno Giuseppe. Nonna Olga era una donna severa e riservata e Liliana non è mai stata molto gentile con lei, anzi gli faceva un sacco di dispetti. Le fredde domeniche invernali le passava invece con nonno Giuseppe detto Pippo, ascoltavano la radio e leggevano in giornale insieme. Il nonno e lo zio Amedeo avevano una piccola ditta di tessuti in centro, era della famiglia Segre da tanti anni ed era proprio suo nonno che l’aveva fondata dopo molti sacrifici. Liliana andava spesso a trovarli con la sua balia che viveva con loro e che si chiamava Caterina. Susanna invece era la cameriera di nonna Olga, aveva iniziato a lavorare per lei quando i nonni si erano sposati. Erano cresciute insieme, erano migliori amiche e ormai faceva parte della famiglia. Era stata un’amica speciale per i Segre perché rimase fedele per loro sfidando anche le LEGGI RAZZIALI. Tornata da Auschwitz Susanna stava ancora a Inverigo dove la famiglia Segre si era rifugiata negli anni della persecuzione. Conservò per Lilliana i gioielli e le foto di famiglia, nascondeva tutto per le razzie dei fascisti. LE LEGGI RAZZIALI Le leggi razziali fasciste furono un insieme di provvedimenti legislativi e amministrativi applicati in Italia fra il 1938 e il primo quinquennio degli anni quaranta, inizialmente dal regime fascista e poi dalla Repubblica Sociale Italiana. Esse furono rivolte prevalentemente contro le persone ebree. Il loro contenuto fu annunciato per la prima volta il 18 settembre 1938 a Trieste da Benito Mussolini, da un palco posto davanti al Municipio in Piazza Unità d'Italia, in occasione di una sua visita alla città. Per la legislazione fascista era ebreo chi era nato da: genitori entrambi ebrei, da un ebreo e da una straniera, da una madre ebrea in condizioni di paternità ignota oppure chi, pur avendo un genitore ariano, professava la religione ebraica. Sugli ebrei venne emanata una serie di leggi discriminatorie. LA LEGISLAZIONE ANTISEMITA COMPRENDEVA: il divieto di matrimonio tra italiani ed ebrei, il divieto per gli ebrei di avere alle proprie dipendenze domestici di razza ariana, il divieto per tutte le IN FUGA DA MILANO Il padre di Liliana Dopo i primi bombardamenti decise di andare via da Milano e di trasferirsi a Inverigo in Brianza dove avevano affittato una casa. Così all'improvviso Liliana dovette abbandonare la casa in Corso Magenta, incominciava così la sua vita da sfollata. Pensavano fosse un periodo provvisorio, ma non fu così. Partirono per quella villetta in campagna Liliana, il suo papà, Susanna, nonna Olga e Nonno Pippo, mentre lo zio Amedeo era già andato via da Milano. A Inverigo Liliana inizia una vita totalmente diversa, non andava a scuola suo nonno stava sempre più male perché laggiù non si troviamo le medicine per il morbo di Parkinson, il quale progrediva velocemente. Liliana non andava a scuola così aveva tanto tempo da dedicare al nonno: lo curava, lo imboccava e gli regalava un sacco di disegni per farlo divertire. A Inverigo i Segre non erano gli unici sfollati, erano in tanti e c’erano anche delle ragazzine dell'età di Liliana conosciute a Milano. A Inverigo passarono tutto il 1943. L'estate di quell'anno il 25 luglio cadde Mussolini e venne arrestato. Tutti gli italiani festeggiarono ma non era che un’illusione. Liliana fece un periodo in una scuola sul lago di Como dalle suore, per fare l’esame di seconda media. Il 15 settembre Mussolini era stato liberato dai tedeschi e si era autoproclamato capo dello Stato, del governo e duce del nuovo Partito fascista. Comincia così il periodo più duro per gli ebrei e per la prima volta sentivano parlare di soluzione finale. SOLUZIONE FINALE DELLA QUESTIONE EBRAICA Il termine soluzione finale della questione ebraica in lingua tedesca Endlösung der Judenfrage fu usato dai nazionalsocialisti a partire dalla fine del 1940, dapprima per definire gli spostamenti forzati e le deportazioni della popolazione ebraica che si trovava allora nei territori controllati dalla Wermacht, poi, dall'agosto del 1941, per riferirsi allo sterminio sistematico della stessa, che oggi viene comunemente chiamato Olocausto, o Shoah. Questo eufemismo serviva da una parte a mimetizzare il genocidio verso l'esterno, dall'altra per una giustificazione ideologica. L’ordine di dare avvio alla soluzione finale del problema ebraico fu impartita direttamente dal Fuhrer ai due suoi più importanti gerarchi: Hermann Göring, numero due del regime, ed Heinrich Himmler, comandante supremo delle SS. Fu proprio quest’ultimo il diretto responsabile di tutta l’organizzazione dei campi di concentramento e di sterminio, attuata attraverso l’Ufficio Centrale di Sicurezza del Reich, diretto dal generale Reinhard Heydrich e in particolare grazie al lavoro del colonnello Adolf Eichmann, a capo dell’Ufficio per le questioni ebraiche della Gestapo (la polizia segreta del regime) e responsabile della caccia agli ebrei Nel luglio del 1941 Hitler fece preparare a Göring una direttiva in cui incaricava Heydrich, capo dei servizi di sicurezza, di risolvere la questione ebraica nella sfera di influenza tedesca in Europa. Il 20 gennaio 1942 Heydrich si incontrò con altri 14 alti funzionari dei principali ministeri tedeschi in una residenza tranquilla, lungo un lago a Wannsee vicino Berlino. La riunione era segretissima e il suo scopo era quello di precisare i termini della soluzione al problema ebraico. All'inizio della discussione, il generale Heydrich, precisò che il problema da risolvere era quello dell’eccessiva presenza di ebrei in Germania e nei territori occupati, per cui la politica di emigrazione forzata perseguita dal Reich non era più sufficiente per far fronte al problema ebraico. Una possibile soluzione del problema sarebbe allora consistita in una '"evacuazione" degli ebrei dall'Est, termine che in realtà voleva dire eliminazione fisica o pulizia etnica dallo "spazio vitale" tedesco. Le prime operazioni di sterminio, provvisorie, avvennero sul luogo durante la conquista dell’Est; gli ebrei catturati erano costretti a scavare grandi fosse comuni per poi essere fucilati in massa e seppelliti nelle stesse fosse. Ma adesso era necessario pianificare lo sterminio in modo più preciso e sicuro e la riunione del Wannsee doveva appunto occuparsi di questo. Approssimativamente undici milioni di ebrei sarebbero stati coinvolti nella soluzione finale del problema. I GIUSTI E IL NUOVO NOME Un giorno il fornitore della ditta tessile dei Segre andò da loro. Non era un loro amico, ma in quel momento si dimostrò tale. Il signor Pozzi capì che erano in pericolo e chiese al papà di Liliana se poteva prendere almeno lei con se e portarla con loro in Val d’Ossola dove avevano una casa. In quel periodo chiunque aiutasse un ebreo rischiava la fucilazione immediata, o i campi di sterminio insieme agli ebrei. Il signor Pozzi lo sapeva ma non esitò lo stesso un istante a offrire il suo aiuto. Con la famiglia Pozzi Liliana restò un mese, erano davvero gentili ma lei era sempre sgarbata perché le vedeva soltanto persone che la tenevano lontana da suo padre e dai suoi nonni. “Ricorderò sempre la famiglia Pozzi perché anche loro sono stati dei giusti, come Susanna” “Luigi Strada fu un altro angelo che cercò di salvarci” Il signor Strada convinse il papà di Liliana a portarla di persona da un altro amico di famiglia a Castellana in provincia di Varese, il quale l’avrebbe ospitata. Paolo Civelli era una persona speciale, amico di suo padre, il quale aveva rilevato la scuderia di famiglia Balilla per non farla finire in mano ai fascisti. Suo padre andava sempre a trovarla, rischiando sempre la vita per via dei tedeschi e della loro caccia all’ebreo, e un giorno gli portò i documenti falsi. Da quel giorno si sarebbe chiamata Liliana Cherubini, nata a Palermo. Veniva fatta passare per la nipote della signora Civelli. “Non ricordavo vai quel cognome, non lo volevo ricordare. Mi sembrava sempre tutto più assurdo.” Il papà di Liliana cercava di ottenere un permesso dal questore di Como, e una volta che avrebbe avuto quel documento sarebbero partiti per la Svizzera. Infatti Alberto prima di partire voleva mettere al sicuro i suoi genitori, qualcuno infatti gli aveva detto che gli ebrei anziani con malattie gravi avevano la possibilità di essere affidati a delle persone ariane. I padroni della villetta di Inverigo erano disposti a tenere i suoi genitori, così Alberto pagò una tassa altissima alla questura per ottenere quella carta. “Volevamo credere a questo permesso ma era carta straccia. Nel maggio del 1944 i nonni furono trascinati via con il nonno che era ormai immobilizzato. Finirono subito uccisi a Auschwitz”. LA FUGA IN SVIZZERA Sistemati i nonni erano pronti per partire. Con la soluzione finale gli ebrei non potevano più andarsene, ma la Svizzera era un paese neutrale, non c’era la guerra e se l’avessero raggiunta sarebbero stati salvi. All’alba dell’8 dicembre 1943 Liliana e suo padre partirono, iniziò così il loro lungo viaggio su e giù da filovie e autobus verso Varese. I contrabbandieri, i quali li dovevano accompagnare in Svizzera li trattavano male, come un peso, e la prima notte li portarono su una montagna in una caverna. Li Liliana e suo padre trovarono altri due fuggitivi e li riconobbero. Erano cugini di sua nonna Bianca, Rino e Giulio Ravenna. Anche loro volevano passare il paese ma erano anziani e avrebbero rallentato il viaggio. Alla mattina dopo ore di cammino molto duro sotto la pioggia, arrivarono a valle, arrivarono in Svizzera. Dopo ore di attesa arrivò un ufficiale tedesco per interrogarli, il quale non credeva alla storia loro storia, non credeva che in Italia gli ebrei fossero perseguitati e li accusò di essersi inventati tutto. L’ufficiale fu irremovibile, così rimandò Liliana e suo padre indietro dalle guardie. Le guardie svizzere con i fucili spianati li intimarono di andare oltre la rete, oltre confine, Liliana però corse verso un cancello in mezzo alla rete per vedere se si apriva, iniziò a suonare l’allarme e arrivarono i finanzieri italiani. Era il 7 dicembre 1943. Il giorno dopo, Liliana Segre venne arrestata a Selvetta di Viggiù, in provincia di Varese, all'età di tredici anni. Dopo sei giorni in carcere a Varese, fu trasferita a Como e poi a San Vittore a Milano, dove fu detenuta per quaranta giorni. In quel periodo passato in carcere portavano via gli uomini per interrogarli, furono giorni terribili. “Furono giorni terribili, ma furono anche gli ultimi giorni passati con mio padre” IL BINARIO 21 Gennaio stava finendo, un giorno arrivarono i fascisti e chiamarono un lungo elenco di nomi, c’erano anche quello di Liliana e di suo padre Alberto. Era il 30 gennaio 1944. Vennero riempiti i vagoni, erano tanti, non riuscivano nemmeno a guardarsi, impietriti e spaventati da quella violenza. Liliana aveva solo tredici anni, anche lei aveva molta paura, ma ancora non sapeva, ancora non credeva che potesse esistere un luogo come Auschwitz. AUSCHWITZ Auschwitz fu il più grande dei vari complessi di campi di concentramento e svolse un ruolo fondamentale nell'attuazione della cosiddetta Soluzione Finale pianificata dai Nazisti. Auschwitz è ricordato come il più infame di tutti i campi di sterminio dell'Olocausto. Il complesso di campi di concentramento di Auschwitz fu il più grande realizzato dal regime nazista. Esso comprende tre campi principali, tutti destinati inizialmente ai prigionieri selezionati per i lavori forzati. Uno di essi, però, funzionò anche come centro di sterminio per un periodo piuttosto lungo. I campi erano situate circa 45 chilometri ad ovest di Cracovia, vicino a quello che, prima della guerra, era il confine tra la Germania e la Polonia; quest'area si trovava in Alta Slesia, una regione che la Germania Nazista si era annessa nel 1939, dopo aver invaso e conquistato la Polonia. Le autorità delle SS crearono tre campi principali vicino alla città polacca di Oswiecim: Auschwitz I, nel maggio del 1940; Auschwitz II (chiamato anche Auschwitz-Birkenau) all'inizio del 1942; e Auschwitz III (o Auschwitz-Monowitz) nell'ottobre del 1942.Nell'ospedale di Auschwitz I, nel Blocco 10, i medici delle SS effettuarono esperimenti pseudo-scientifici su neonati, su gemelli, su pazienti affetti da nanismo, sottoponendo molti adulti alla sterilizzazione, alla castrazione e a prove di ipotermia. Tra quei medici, il più tristemente famoso divenne il Capitano delle SS Josef Mengele. Tra il crematorio e l'edificio destinato agli esperimenti si trovava il cosiddetto "Muro Nero" dove le guardie delle SS effettuarono le esecuzioni di migliaia di prigionieri. Come la maggior parte dei campi di concentramento tedeschi, anche Auschwitz I era stato costruito con tre obiettivi: 1) incarcerare a tempo indeterminato nemici veri e presunti del regime nazista e delle autorità tedesche d'occupazione in Polonia; 2) avere rifornimento continuo di manodopera da destinare ai lavori forzati nelle imprese - per la maggior parte degli edifici - di proprietà dei membri delle SS (e più tardi negli impianti per la produzione di armamenti e di altri prodotti bellici); 3) eliminazione fisicamente piccoli gruppi della popolazione, la cui morte veniva ritenuta essenziale da parte delle SS e delle autorità di polizia per la sicurezza della Germania nazista. Come molti altri campi di concentramento, Auschwitz I aveva una camera a gas e un crematorio. Inizialmente, gli ingegneri delle SS costruirono un'improvvisata camera a gas, sotto al blocco dei prigionieri, il Blocco 11. Più tardi, una camera a gas più grande e permanente venne costruita come parte di quello che in origine era solo il crematorio, in un edificio separato e al di fuori della zona occupata dai prigionieri. Ad Auschwitz-Birkenau arrivavano con regolarità i treni carichi di Ebrei, provenienti da tutti i paesi europei, che o erano occupati dai o erano loro alleati. Questi trasporti continuarono ininterrottamente dal 1942 fino alla fine dell'estate 1944. I calcoli effettuati sul numero di deportati dai singoli paesi hanno prodotto le seguenti cifre, per quanto approssimative: Ungheria, 426.000; Polonia, 300.000; Francia, 69.000; Olanda, 60.000; Grecia, 55.000; Boemia e Moravia, 46.000; Slovacchia, 27.000; Belgio, 25.000; Jugoslavia, 10.000; Italia, 7.500; Norvegia, 690; altri 34.000.Con l'inizio delle deportazioni dall’Ungheria, l'uso di Auschwitz-Birkenau come strumento centrale del piano tedesco per assassinare gli Ebrei d’Europa raggiunse la sua massima capacità. Tra la fine d’aprile e l'inizio di luglio del 1944, circa 440.000 Ebrei ungheresi furono deportati, dei quali circa 426.000 ad Auschwitz. STELLA STELLINA RESTA SEMPRE CON ME Liliana sognava ad occhi aperti non ha mai sognato ad occhi chiusi, non ha mai sognato di notte ad Auschwitz Alla fine della giornata, il suo mondo di fantasia al quale si aggrappava per uscire dal campo era diventata una piccola stella che vedeva in cielo. Da quella sera ogni giorno quando arrivava buio la cercava, gli parlava. Liliana era felice di ritrovarla, significava che un altro giorno era passato ed era ancora viva. “Finché sarò viva, tu, stellina, continuerai a brillare nel cielo. Stai tranquilla io non morirò sarò sempre con te”. Da allora la stella è diventata un simbolo importante nelle vita di Liliana Segre, la sua famiglia gli regala stelline d’argento e i suoi nipoti disegnano per lei cieli brillanti di stelle. LA MARCIA DELLA MORTE e L’ARRIVO DEGLI AMERICANI Verso la metà di gennaio del 1945 i nazisti fecero saltare in aria il lager. I russi si avvicinavano e loro dovevano fuggire. Distruggendo il campo volevano cancellare le prove di quello che era successo lì dentro. I prigionieri e le prigioniere ancora in grado di reggersi in piedi vennero fatti evacuare in fretta. Cominciò la lunga marcia della morte, in tanti non ce la fecero e morirono durante la fuga perché se cadevi non ti alzavi, li uccidevano sparandogli in testa. Dopo quella che sembrò un’eternità arrivarono al lager di Ravensbruck, ma restarono poco, si rimisero in marcia fino a quando a fine marzo giunsero al campo di Malchow in Germania. Rimasero li fino all’aprile del 1945 e lì per fortuna non dovevano lavorare. Americani e russi erano più vicini di quello che gli aguzzini si aspettavano Un giorno i cancelli si aprirono e le guardie iniziarono a spogliarsi e vestirsi come loro, i civili tedeschi fuggirono dalle loro case e si portavano via quello che potevano. Il comandante del lager di Malchow, un assassino privo di umanità, gettò a terra anche lui la pistola e indossò abiti civili. La pistola cadde sui piedi di Liliana, il suo istinto fu quello di prenderla e sparare. Fu solo un attimo ma Liliana non voleva diventare come i suoi carnefici. “Scelsi la vita, la loro cultura di morte non mi apparteneva e la lasciavo nel lager” Era il 1° maggio 1945. Le prime jeep americane arrivarono al campo, dalle loro macchine pioveva cioccolata, sigarette e frutta fresca. Dopo i primi giorni di euforia volevano solo tornare a casa, però non era una cosa facile erano una massa spropositata di persone, di tante nazioni diverse. Anche in questo caso gli americani furono eccezionali. Divisero tutti i prigionieri secondo la nazionalità e alla fine di agosto erano pronti per tornare a casa. “Dopo tanto tempo respiravamo di nuovo umanità”. A CASA MA ERA TUTTO CAMBIATO La Stazione di Cadorna era stata bombardata e c'era un grande buco proprio in mezzo, però intorno brulicava un'umanità vivace con visi accesi di speranza. La guerra era finita, si sentiva Nell'aria si vedeva sui volti delle persone che era tornata la pace. Era il 31 agosto 1945. Liliana arrivò nella casa in Corso Magenta dove vive Antonio il custode in portineria. Antonio gli disse di andare via, pensava fosse una mendicante in cerca di elemosina, ma appena Liliana aprì bocca la riconobbe subito e urlò come se si trovasse di fronte un fantasma. Poi chiamò i suoi zii e i suoi nonni materni che gli avevano dato il loro numero in caso fosse tornata a casa. Era difficile far capire al mondo e ai suoi parenti la sofferenza di Auschwitz. Tutti pensavano che non essendoci ferite visibili sul corpo Aushwitz potesse essere dimenticato. Non potevano sapere. Non avevano idea di cosa significasse essere annullati da un tuo simile fino a farti credere di essere un pezzo di ricambio, un oggetto ignobile che era sopravvissuto solo per aver funzionato fino alla morte. Ma quello che proprio Liliana non sarebbe riuscita a fare è dimenticare suo padre. Appena tornata andò a vivere con gli zii Amedeo e Enrica. Restò con loro un anno perché i nonni non avevano ancora una casa e vivevano in albergo. Era iniziata per Liliana una vita nuova, e lei era profondamente infelice. Tornarono i ricordi che aveva messo da parte nel lager perché gli facevano troppo male. Sentiva un dolore profondo per la mancanza di suo padre, ricordava ogni minuto della vita passata e non averlo accanto era insopportabile. Sentiva la mancanza dei nonni e di come era con loro. Non parlava mai del campo con gli zii, e loro chiedevano pochissimo. Il numero tatuato sul braccio accendeva invece sempre la curiosità di tutti, Liliana non voleva nasconderlo perché non si doveva vergognare di quel numero ma chi lo aveva fatto. Ogni volta però che chiedevano di farlo vedere era una pugnalata al cuore. E poi volevano farla dimagrire a tutti i costi. Liliana mangiava come una persona bulimica ma i mesi dopo il lager continuò ad avere una fame atavica, insaziabile. Si ricordava ancora come uno scheletro, riflessa nelle sue compagne del campo. Il passato del lager la condizionava nel presente, non riusciva ad uscire davvero dal campo era come se una parte fosse rimasta dentro di lei. Il mondo nuovo in cui si trovava gli sembrava estraneo.
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