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La fine dell'Unione Sovietica: Crisi nei Balcani e riforme in Unione Sovietica, Appunti di Storia Contemporanea

Storia dell'URSSStoria dell'Europa modernaStoria del XX secolo

La crisi dei paesi socialisti dopo la morte di stalin, con il tentativo di destalinizzazione di kruscev, la successiva ritorno all'oppressione sotto breznev e infine le riforme di gorbacev. Vengono trattati anche i mutamenti in polonia, ungheria, cecoslovacchia e jugoslavia, la caduta del muro di berlino e la dissoluzione dell'unione sovietica.

Cosa imparerai

  • Come Kruscev tentò di cambiare la direzione dello sviluppo dell'URSS?
  • Come le riforme di Gorbacev influenzarono la Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia e Jugoslavia?
  • Come Breznev ritornò alle posizioni di Stalin senza il 'culto della personalità'?
  • Che eventi segnarono la fine della crisi dei Paesi Socialisti dopo la morte di Stalin?
  • Come Gorbacev avviò le riforme economiche e istituzionali in Unione Sovietica?

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 05/10/2021

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martina-gm 🇮🇹

4.4

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Scarica La fine dell'Unione Sovietica: Crisi nei Balcani e riforme in Unione Sovietica e più Appunti in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! La fine dell'Unione Sovietica - la crisi nei Balcani LA CRISI DEI PAESI SOCIALISTI Morto Stalin nel 1953, gli succedette Malenkov, che lasciò sostanzialmente immutato il quadro politico dell'URSS. Nel 1956 il nuovo segretario del PCUS Kruscev avviò il processo di destalinizzazione, cioè il tentativo di far assumere una direzione diversa allo sviluppo dell’Urss. Furono effettuate alcune riforme per migliorare il tenore di vita della popolazione; si attuò l'apertura nei confronti degli intellettuali, ai quali fu permesso di pubblicare libri che denunciavano quanto avvenuto nel periodo staliniano. In politica estera Kruscev abbandonò la via del confronto duro con l'occidente e tentò delle mediazioni diplomatiche per risolvere i conflitti. Nonostante la vicendevole apertura tra l'Unione Sovietica e gli USA del presidente Kennedy, non mancarono in questo periodo episodi di forte tensione, come l'erezione del muro di Berlino (1961) e la crisi di Cuba l’anno successivo. Nel 1964 Kruscev fu sostituito da un gruppo di tre dirigenti fra i quali, in breve tempo, emerse come nuovo leader il segretario generale Leonid Breznev. In politica estera, in una prima fase, egli continuò a mantenere la linea della coesistenza pacifica, ma le occasioni di scontro, anche indiretto, fra le due superpotenze si moltiplicarono. In politica interna, invece, egli ritornò alle posizioni di Stalin, senza però il “culto della personalità” e le violente persecuzioni politiche che ne avevano caratterizzato il regime. L'apparato dello Stato e quello del partito assunsero un ruolo sempre più invadente e oppressivo, producendo un effetto di burocratizzazione e di immobilismo della società. Ogni forma di dissenso fu soffocata e tutte le risorse dell'economia furono nuovamente indirizzate verso l'industria militare senza tenere conto del benessere dei cittadini. La seconda metà degli anni '70, infatti, fu caratterizzata dalla ripresa della cosiddetta corsa agli armamenti. Furono impiegate immense risorse per mantenere il controllo militare della regione dell'Afghanistan, nella quale l’Armata Rossa (l’esercito sovietico) fu impegnata tra il 1979 e il 1989. Nonostante lo sforzo compiuto, essa rimase invischiata in una lunga e inconcludente guerra, simile in parte a quella che qualche anno prima aveva logorato gli americani in Vietnam. Le condizioni di vita dei cittadini sovietici andarono peggiorando e la repressione del dissenso degli intellettuali, critici con le scelte del regime, divenne più dura. Il regime stava perdendo rapidamente l'appoggio della popolazione ed era sempre meno in grado di controllare i Paesi satelliti. Alla morte di Breznev, nel 1982, il sistema sovietico entrò in una grave crisi. LE RIFORME DI GORBACIOV Nel '75 il paese partecipò alla Conferenza di Helsinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa e firmò degli accordi che stabilivano il rispetto dell’uomo e delle libertà politiche. Dopo la morte di Breznev, Gorbacev divenne segretario del Pcus e avviò una radicale svolta sia in politica estera che in politica interna (riforme economiche e istituzionali, maggior libertà di informazione). Lanciò una nuova Costituzione con un limitato pluralismo e questo consentì un sistema di candidature plurime alle elezioni e l’entrata dei rappresentanti del dissenso. Nel '90 Gorbacev divenne presidente dell’Urss. Le riforme migliorarono l'andamento dell’Urss ma suscitarono anche alcune contraddizioni, poiché il paese non era pronto a riceverle e sorsero delle tensioni. Nacquero movimenti autonomisti e indipendentisti prima nelle Rep. Baltiche (Est. Lett.Lit) e nelle rep. caucasiche (Armenia, Georgia, Azebaigian) e nelle regioni musulmane dell'Asia centrale. Anche la Rep. russa rivendicò la sua indipendenza. Un'altra importante riforma fu la liberazione interna basata sulla Glastnost, cioè la libertà d'espressione. In seguito, Gorbacev avviò una serie di negoziati con il leader statunitense e s'instaurò dopo l'85 un nuovo clima di distensione internazionale, che consentì alcuni accordi fra le superpotenze sulla limitazione degli armamenti. La nuova collaborazione contribuì positivamente a risolvere i vari conflitti locali. La transizione polacca La Polonia aveva già anticipato i mutamenti in atto nell’Urss all’inizio degli anni '80, con la nascita del Solidarnosc, un sindacato indipendente a base operaia e d'ispirazione cattolica. La Chiesa aveva il ruolo di difesa l'identità nazionale e, allo stesso tempo, fungeva come punto di riferimento per l'opposizione. Nell’ '81 il generale Jaruzelski assunse la guida del governo e del Partito operaio polacco (Partito comunista) e attuò un colpo di Stato, mettendo fuorilegge il sindacato. In seguito, con l'avvento di Gorbacev, lo stesso Jaruzelski riprese il dialogo con il sindacato indipendente e nacque un accordo su riforma costituzionale che, pur assicurando ai comunisti la maggioranza, prevedeva lo svolgimento libero delle elezioni. Le elezioni si tennero nell’ '89 con la vittoria del sindacato e nacque un nuovo governo di coalizione. La fine delle democrazie popolari e la caduta del Muro di Berlino In Ungheria furono attuate delle riforme, come la legalizzazione dei partiti e la realizzazione di libere elezioni. Inoltre furono rimossi i controlli polizieschi al confine con l’Austria e così avvenne la prima apertura della “cortina di ferro”. In seguito le manifestazioni popolari misero in crisi il sistema comunista e il 9 novembre 1989 furono aperti i confine tra le due Germanie, compresi i passaggi attraverso il Muro di Berlino. La caduta del Muro di Berlino simbolizzò anche la fine della guerra fredda. Anche in Cecoslovacchia le proteste popolari determinarono la caduta del comunismo e l'apertura verso un processo di democratizzazione. In Romania la dittatura di Ceausescu venne abbattuta da un'insurrezione popolare. In Bulgaria e in Albania fu avviato un processo di liberalizzazione. In queste democrazie popolari scomparve il comunismo e grazie alle elezioni nacquero dei partiti di centro-destra e centro-sinistra. Un caso a parte fu la Jugoslavia, attraversata da una crisi economica, dove le repubbliche più sviluppate di Slovenia e Croazia videro la vittoria dei partiti autonomisti, mentre in Serbia nasceva un neocomunismo nazionalista di Milosevic. Nella Germania dell'est i regimi comunisti furono sostituiti dai cristiano- democratici, in pieno accordo con i loro omologhi dell'Ovest, che riuscirono rapidamente ad assorbire la Germania orientale alla Repubblica federale tedesca. Nacque una nuova Germania unita e integrata nell’Alleanza atlantica con un trattato per l'unificazione economica e monetaria La dissoluzione dell’Unione Sovietica Gorbacev cercò di alternare concessioni a interventi repressivi, ma quest’equilibrio si ruppe nel ’91, quando gli esponenti del Partito comunista attuarono un colpo di Stato e sequestrarono il presidente. Il golpe fallì a causa di un’inattesa protesta popolare e del mancato sostegno dell'esercito. Il fallimento del golpe accelerò lo smembramento dell’Unione, la riforma economica non riuscì a decollare e il sistema degli scambi entrò in crisi. Gli stati satelliti proclamarono la loro secessione dall’Urss e Gorbacev propose un nuovo trattato di unione, ma fu anticipato dalla tre repubbliche slave Russia, Ucraina e Bielorussia, che si accordarono con gli altri paesi ex sovietici proclamando la Comunità degli Stati indipendenti (Csi). Nata nel 1991 e formata da 11 repubbliche, la Csi sancì la fine dell’Unione Sovietica. Gorbacev si dimise e la bandiera sovietica fu sostituita da quella russa. L'Europa orientale e la crisi jugoslava In Cecoslovacchia si svilupparono nella minoranza slovacca tendenze separatiste che, nel 1993 portarono alla creazione di due repubbliche: una ceca, formata da Boemia e Moravia e governata da partiti liberali, e una slovacca dominata dai gruppi ex comunisti. In Jugoslavia vi fu la disgregazione dello Stato federale. L'inizio dei conflitti avvenne con il contrasto tra la Serbia di Milosevic e le repubbliche di Slovenia, Croazia e Macedonia che volevano l'indipendenza. Gli organi federali accettarono l'autonomia serba e macedone, rifiutarono invece quella croata e ne nacque una vera e propria guerra. Nel '92 il conflitto si spostò in Bosnia, che aveva proclamato l'indipendenza, e i serbi reagirono attuando la “pulizia etnica” (massacri, deportazioni). La guerra fu difficile da fermare e per giungere alla tregua fu necessario l'intervento degli Stati Uniti, la Nato attuò una serie di raid aerei contro le posizioni serbo-bosniaci e imposero ai croati i negoziati. L'accordo di pace fu firmato a Dayton e prevedeva il mantenimento di uno Stato bosniaco, diviso però in una repubblica serba e in una federazione croatomusulmana. Tensioni politiche avvennero anche tra i singoli Stati: nella Federazione Jugoslava (Serbia e Montenegro) vi furono delle agitazioni contro Milosevic e in Croazia contro l'autoritarismo di Tudjman. In Kosovo nacque un movimento di protesta
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