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Fine XVIII inizi XIX secolo, Appunti di Letteratura Italiana

Immaginare e costruire la nazione, Foscolo, Manzoni, Leopardi, Nievo,

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 02/11/2023

elisabetta-giotto
elisabetta-giotto 🇮🇹

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Scarica Fine XVIII inizi XIX secolo e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! EPOCA 9 1. Immaginare e costruire la nazione = Tra la fine del XVIII secolo e i primi 15 anni del XIX secolo i suoi movimenti politici che sconvolgono l'Italia non sono più solo lo sfondo degli avvenimenti letterari ma diventano un vero e proprio teatro su cui agiscono tutti gli intellettuali, costretti a misurarsi con la secolarizzazione della politica e la sua realizzazione, imposta da un sovrano assoluto, come Napoleone, che incarna, per la generazione degli sci rotori nati tra gli anni Settanta e Ottanta (Foscolo e Manzoni) un vero e poroso mito classico, tradotto in forme estetiche e neoclassiche. Nonostante proprio grazie alla catastrofe della campagna di Russia e all’esilio di Sant'Elena, la figura ideale di Napoleone campeggia più potente della sua figura storica, fino a celebrare la morte non ime scomparsa di un tiranno, ma come un'occasione di redenzione, e nelle forme di una vittoria della Fede con la tardiva ma salvifica conversione Parallelamente le repubbliche il regno diventano occasioni storiche per cominciare a immaginare politicamente la nazione Italia; una nazione che prima di tutto si deve identificare linguisticamente. E se la dipendenza dalla Francia sollecita la prima opera patriottica nazionale, la formazione illuministica e quindi filo francese permette a Manzoni di dare a quella nazione immaginata i tratti di una rivoluzione di liberi e uguali fratelli. Una nazione che si riconosce prima di tutto in una comunità letteraria e in una tradizione culturale, dove la linguistica segna il punto di partenza. Non è un caso che così come, nel Trecento la rivoluzione linguistica e culturale (volgare) aveva trovato le Tre corone, così nel passaggio tra XVIII e XIX secolo, nell frattura tra classicismo e modernità, le tre corone (Foscolo, Manzoni, Leopardi) diventino un paradigma di riferimento ineludibile. 2. Classicismo, erudizione e patriottismo = Un’esperienza emblematica dell’ intreccio tra letteratura e politica all’inizio del secolo è offerta da Ugo Foscolo che vive sulla porpora pelle la rivoluzione dell’età napoleonica, cercando di conciliare la penna con la spada. La nazione che Foscolo immagina ha una dimensione ideale, è scolpita nelle pietre della chiesa di Santa Croce ed è abitata dalle statue delle sue tombe,ma no per questo meno viva. A differenza dei letterari di generazione precedente, arrivato in un classicismo decorativo e celebrativo del potere costituito, il classicismo di Foscolo è innervato da una concezione vichiana della poesia, affida ad essa il riscatto di una materialismo insufficiente a contenere le nuove istanze spiritualistiche, e si proietta nel passato in una comparazione con la poesia antica. Le dinamiche non solo letterarie che gravitano attorno a Foscolo rimettono al centro Firenze, approdo salvifico e patria letteraria che riscatta illusione della nazione reale in una federazione di spiriti eletti capaci di affidare alla bellezza e alla grazia una funzione civilizzatrice e consolatoria. Se la patria non può esistere in terra, potrà esistere nella proiezione delle patrie lettere a cui Foscolo si dedica negli ultimi anni di Esilio. 3. La lingua di una città e la lingua della nazione = Con Manzoni la fiorentinità diventa normativa, una nuova codificazione che mette però al centro del canone la lingua parlata: un fiorentino d'uso non più verificato sui testi della tradizione letteraria e sui dizionari, ma sui parlanti. La lingua viva così allungo e faticosamente cercata da Manzoni per i vent'anni di lavoro sul romanzo, dopo l'adozione dei promessi sposi negli istituti scolastici si sarebbe costituita come la lingua della nazione: a scapito di altre soluzioni come quella cortigiana, quella federalista di Cattaneo. La nazione politica fonda su questa lingua le ragioni profonde di un'identità non più solo costituita dall'espressione geografica, ma sulla nazione dei letterati. Recalcitrante alla piemontesizzazione politica, rifiuterà il monolinguismo toscano e la polarizzazione della lingua, fondendo per guardarsi intorno e sposare nuove forme di letterarietà squisita, decadente oppure soluzioni di raffinato classicismo. In realtà aveva già pensato Tommaseo a unire letteratura popolare e sentimentalismo religioso, in una rivalutazione della dimensione popolare che non cercava di trovare una norma, ma enfatizzava le differenze tra gli idiomi, nobiliari dalla più raffinata tradizione letteraria. Lui è stato invece più innovativo nella scelta di mescolare i generi letterari: dal diario alla novella, dal romanzo epistolare a quello storico, il che mostra non solo i primi tempi di rinnovamento che porterà alla decostruzione strutturale del genere, ma anche alla vitalità del romanzo stesso, calai e di accogliere in sé generi diversi e rinascere sotto nuove forme, 4. Romanticismo europeo: i letterati italiani in dialogo con l’Europa = La spinta al rinnovamento provocata dall'irrompere del romanticismo in Italia arriva con tempi lenti dilatati, sollecitata da madame de Stael - che costringe i letterati italiani a schierarsi pro o contro “la maniera e l'utilità delle traduzioni”; ricomincia così la frattura tra classicisti e innovatori che si vedono ora polarizzato in una divisione geografica: a. Popoli di un'Europa greco latina: nel bacino del Mediterraneo; b. Popoli nordici: ispirati dalle saghe cavalleresche, entusiasmanti da fantasia e immaginazione; Nel divampare della polemica si scontrano anche due diverse forme di comunità culturale: a. Una collaborativa e aperta: rappresentata dalla "sala rossa di via Morone" a casa di Manzoni in cui si incontrano romanzieri pittori, letterati; b. Una autoctona e rinchiusa nelle solenni mura della biblioteca di Recanati: con lo sguardo sempre rivolto al passato, a una tradizione classica nazionale; Per la società dei letterati il dialogo con l'Europa non è facile. Ippolito Nievo traccia una nuova strada per il romanzo storico, rinnova la poesia sentimentale e fonda la narrativa campagnola: una letteratura che non vuole solo proseguire nel dare diritto di cittadinanza al ceto contadino, ma diventa atto di denuncia sociale, prosecuzione della lotta politica sotto altri e meno pericolosi mezzi ovvero penna e fucile imbracciate con la stessa bruciante energia per un medesimo scopo ovvero un'etica dell'attese dell'educazione che muove dal rinnovamento morale verso quello sociale e politico. 5. Verso il moderno: una poesia filosofica = Anche Leopardi comincia il suo percorso intellettuale immaginando la nazione. La sua lingua attinge alla potenza espressiva del mondo classico per traghettare la poesia nazionale nella piena modernità in politica e pure pienamente italiana: una poesia dalla sorprendente capacità immaginativa, di scoperta dell’infinità vanità del tutto ma anche di una strenua resistenza alle lusinghe del progresso. Una posizione antica eppure modernissima. Leopardi interpreta anche un'altra delle nuove istanze della modernità: la centralità dell'autore, un autore che mentre compone poesie dopo poesia, edizione dopo edizione, il libro poetico di una vita, consegnando un modello lirico ineludibili, costruisce con la prosa delle Operette un’opera mondo, su cui si fonderà tutta la narrativa metafisica del Novecento, e offre con lo Zibaldone un pensiero Su queste ultime testate pubblica a puntate le Istruzioni politico-morali: un concentrato delle sue posizioni politiche dove Foscolo propone una serie di modifiche alla costituzione repubblicana al fine di ottenere maggiore autonomia nazionale libertà individuale Gli anni tra il 1798 e il 1801 sono quelli di intensa vita militare, il cantiere del romanzo epistolare Le ultime lettere di Jacopo Ortis è interrotto dalla presa di servizio come luogotenente della guardia nazionale, Foscolo partecipa ad alcuni importanti battaglie durante le quali comporrà - A Luigia Pallavicini caduta da cavallo; - Bonaparte Liberatore: scrive una riedizione di questo testo, aggiungendo una nuova dedica proprio a Napoleone dove il poeta esorta il generale ad agire per la salvezza dell'Italia intoni tutt'altro che adulatori, sottolineando la gravità dell'errore commesso a Campoformio. Dopo alcuni spostamenti in Emilia Romagna e in Toscana, torna a Milano nel 1801. Qui gli viene commissionato dal governo cisalpino un testo per celebrare Napoleone, appena prima dei comizi di Lione, dove viene ratificata la Costituzione della Repubblica Cisalpina. Il risultato è Orazione a Bonaparte pel congresso di Lione = qui Foscolo ribadisce come solo una costituzione che lascia ampi spazi di manovra alla nazionale indipendenza, possa risollevare le sorti politiche della cisalpina e le condizioni di vita dei cittadini che la abitano Fra il 1799 e il 1802 il poeta lavora ad un abbozz in prosa, chiamato dagli editori Sesto tomo dell’io o Frammenti di un romanzo autobiografico = atto di genesi dell'Alter Ego ironico di Foscolo, del rovescio della scrittura appassionata e seria del romanzo di Ortis e in generale della tradizione autobiografica del settecento. Tra il 1802 e il 1803, il poeta, dopo aver abbondanti l'idea di tradurre il De rerum natura di Lucrezio, si dedica nella traduzione e nel commento della Chioma di Bernice di Catullo: ambizioso e singolare esperimento dove Foscolo cerca di presentare una proposta poetica più ampia. Il testo si compone di quattro discorsi critici, seguite da una epistola (Ad Hortalum), dal testo in latino annotato e dalla sua versione in endecasillabi, da quattordici Considerazioni di natura filologica e da un Commiato. Il quarto discorso si articola in una argomentazione programmatica, che consegue dallo studio del testo lucreziano e trova i propri elementi costitutivi nella mediazione intorno alla Scienza nuova di Vico; rivelatesi inconsistente l’idea Lucrezia ma di rifiuto della regione, questa viene storicizzata e il cielo viene visto come leva con la quale i discorso poetico può percuotere gli animi con il meraviglio e il cuore con le passioni. Questo pensiero è la base teorica die Sepolcri. 4. Le ultime lettere di Jacopo Ortis = La storia testuale di questo romanzo ricalca le orme del suo autore: si estende per quasi vent'anni ed è marcata dei luoghi dalle circostanze in cui via via Foscolo si trova implicato. Una notizia all'interno del Piano di studi attesta la volontà di scrivere un romanzo in forma epistolare. La prima edizione è formata da 45 lettere che coprono un arco temporale che va dal 1797 al 1798, anni durante i quali Jacopo Ortis un intellettuale disilluso dagli esiti fallimentari del triennio rivoluzionario, espone per via di lettera all'amico Lorenzo i propri stati d'animo in merito alla politica, la patria e al suo amore per Teresa (futura sposa di Odoardo) in toni spesso idilliaci e innervati da un sentimentalismo di marca settecentesca. Foscolo interrompe la scrittura quando parte da Bologna a seguito della guardia nazionale mobile e così il suo editore decide di immettere in commercio il libro incaricando il letterato Angelo Sassoli di portarlo a compimento sulla base di materiali originali: viene pubblicato così un volume con il titolo di Vera storia di due amanti infelici ossia Ultime lettere di Jacopo Ortis. Edizione socfessata dall’autore per le eccessive censure opera tre sul corpo ideologico del romanzo. Solo più tardi Foscolo potrà rimettere mano alla sua opera pubblicandone prima un'edizione parziale per i tipi milanesi di Mainardi, e poi una completa nel 1802 per il Genio tipografico di Milano (Il romanzo conosce poi altre due edizioni: una Zurigo (1816) e una Londra (1817). Cambiano alcuni dei connotati essenziali della trama ovvero il triangolo amoroso si conclude tragicamente con il suicidio del protagonista come a simbolizzare la disfatta di un'intera generazione di idealisti. Odoardo inoltre, nella precedente edizione era tratteggiato come un uomo mite buono, mentre invece ora incarna le istanze della razionalità più arida e si scontra con la passionalità politica e amorosa di Jacopo. Già nel Piano di studi troviamo i capisaldi del romanzo epistolare di Rousseau, Goethe e Richardson; indizio di un precoce interessamento a questo genere così fecondo nel panorama europeo. In realtà anche Foscolo è è epistolografo, come dimostra il carteggio con la nobile milanese Antonietta Arese, che mostra tangenze testuali con il romanzo. Per quanto riguarda la struttura, sappiamo dhe vi è un evidente tratto tratto di originalità rispetto alla tradizione europea - l’unicità del destinatario - anche se già presente nei Dolori del giovane Werther di Goethe, per usato Fososlo si dichiara obbligato a rifarsi almeno in parte alla sua opera, ma dal lutto di vista strutturale e,erede una differenza: l'attribuzione a Lorenzo di caratteristiche proprie di Foscolo/Ortis ne fanno un personaggio più complesso nuovo rispetto al neutro omologo goethiano. Un’altra importante differenza con l'opera di Goethe è la proiezione autobiografica di Foscolo che determina uno scarto tematico molto importante rispetto al modello: la dominante politica che attraversa l'intero corpus epistolare. Sul significato politico dell'intera operazione è molto importante riflettere: muovendo dalla rimeditazione delle istanze rivoluzionarie del trentennio giacobino, il disincanto di Jacopo trova la propria messa in atto nell'incontro con Giuseppe Parini, che ricorda a Jacopo l'inevitabile spargimento di sangue che lo metti in guardia dai pericoli dell'azione rivoluzionaria. 5. Le Poesie di Ugo Foscolo = Già nel Piano di studi Foscolo ragiona sulla forma del canzoniere: questi pensieri e intenzioni si vengono a realizzare concretamente con le Poesie di Ugo Foscolo. Ci si trova qui ad vere a che fare con più prodotti editoriali, tutti autorizzati dall’autore, nel te attivo di tracciare una precisa immagine di sè: - Edizione (P) = nel 1802 sul Nuovo giornale dei Letterati di Pisa viene pubblicato un gruppo di otto sonetti e un’ode. L’ultimo sonetto è Solcata ho fronte, occhi incavati interni; - Edizione (D) = differente seriazione, tre nuovi sonetti e un’ode inedita presenta questa edizione (Poesie, Milano, 1803) - Edizione (N) = il numero di 12 sonetti viene raggiunto con la terza edizione stampata a Milano per i tipi di Agnello Nobile Nella dedica all’amico Giovanni Battista Nicolini, che apre la seconda edizione, il poeta rifiuta le proprie precedenti pubblicazioni; questo marca l'esaurimento dell'illusione del classicismo repubblicano e delle sue forme e mostra invece un nuovo affidamento implicito al metro tradizionale e Petrarca esco per eccellenza ovvero quello del sonetto, rinnovato attraverso l’uso del enjambememt. Rispetto a P e D, in N i due dati strutturali salienti sono: a. Lo spostamento di Che Stai ? in ultima sede (2 -> 11 -> 12); b. Lo spostamento di E tu ne’ carmi, che viene slegato da Te nudrice e fatto precedere a Né più mai , avvicinando le due sponde, quella culturale e quella natale (4 -> 8) e saldando le due patrie, quella effettiva e quella morale. Si prenda come spartiacque della della silloge l’autoritratto Solcata ho la fronte, occhi incavati interni =ai due lati della lirica troviamo prima un travaglio emotivo e passionale, poi un futuro dai contorni poco rassicuranti, risarcito in parte dalla possibilità di ottenere la fama attraverso la scrittura: si sostituisce e così alla struttura progressiva e lineare di P, quella regressiva e circolare di D e N. Le odi di apertura hanno un carattere molto simile ai testi di Parini e ripercorrono una fitta rete di riferimenti mitologici, hanno la funzione di preparare il lettore alla maratona serata dei successivi sonetti. La prima ode, A ligia Pallavocini, caduta da cavallo, è composta da diciotto strofe di sei settenari rimari, mentre la seconda se dedico strofe di settenari chiuse da un endecasillabo: viene in entrambi i casi ripresa la forma della canzonetta settecentesca riempirà di immagini e stilemi neoclassici. Il libro si chiude con l'amara constatazione della chiusura di un secolo, che si porta via con sé le speranze in un avvenire realmente democratico e libertario: al poeta resta sola la possibilità di trovare rifugio e fama nella libertà dello studio e dell’attività poetica. 6. Dei Sepolcri e l’Esperimento = È con i Sepolcri, carme formato da 295 endecasillabi sciolti, che Foscolo produce originalità gli occhi dei contemporanei, i frutti delle riflessioni politiche e delle sperimentazioni formali praticate nei decenni precedenti che fonde insieme il modulo dell'epistola del settecento con il metodo delle transizioni di ascendenza greca e pindarica Quadro storico e biografico in cui quest'opera si va ad inserire: Foscolo, tra il 1804 e il 1896 si fa nuovamente soldato, prendendo servizio nello Stato maggiore della Divisione italiana in Piccardia e Newell Fiandre. Rientrato a Milano, fa tappa a Verona e rincontra il suo amico Pindemonte il quale in quel periodo ha appena terminato un poema di argomento sepolcrale, I cimiteri. Foscolo però, in una lettera all’Albrizzi, invita la nobildonna a esortare Piedimonte a proseguire la traduzione dell'Odissea, quasi volesse distoglierlo dal progetto. Foscolo in quel periodo protesta allo stesso Pindemonte di non aver tempo di dedicarsi alla poesia essendo troppo impegnato in un compito ministeriale eppure, l'idea di un poema di tema sepolcrale doveva essere già stata concepita. Alla luce del decreto Della polizia medica che stende il territorio italiano l'obbligo igienico di seppellire i cadaveri fuori dalle mura cittadine, Foscolo decide di riprendere questo carme sepolcrale e di rimaneggiarlo anche alla luce di questa pubblicazione. L'opera viene data in lettura a Vincenzo Monti, il quale afferma che si tratti di un’ottima opera, ma che sono necessarie delle rifiniture. Tralasciando la questione del plagio ai danni di Pindemonte, quel che importa è la strategia ai limiti della legittimità con cui Foscolo brucia sul tempo l'amico, assicurandosi il primato nell'elaborazione di un tema attuale e in attuale a un tempo quello delle sepolture ed è il culto dei morti. dell'inno" , poi rimaneggiata nel 1813 fino a configurare una "Seconda redazione". Il poeta si stacca dal progetto originario dedicato allo scultore Antonio Canova pensando a un inno in tre parti dedicate rispettivamente a Venere, Vesta eMinerva. La tragedia viene inviata alle autorità del regno italico insieme a un estratto dell’inno terzo del carme, i Versi del rito; entrambi ottengono l'approvazione da parte della censura. La tragedia è imperniata sull'amore impossibile di Ricciarda per Guido: questo preponderante tema amoroso non manca però di intrecciarsi con quello patriottico e con il finale di matrice machiavelliana volto a liberare l'Italia dall'occupazione barbara. Rientrato a Firenze, Foscolo riprende il lavoro sull’episodio dei Silvani, e riordina il materiale poetico dei tre inni su un quaderno - detto il Quadernone - quaderno nel quale Foscolo riordina il materiale poetico degli inni finora scritti. Offrire una lettura critica organica dell'opera è difficile perché essa è caratterizzata da un'estrema mobilità e rarefazione testuale, tuttavia è però possibile enucleare alcuni temi e strutture nascoste che percorrono i frammenti a nostra disposizione. L'inno, pur riallacciandosi alla tradizione mitologico didascalica neoclassica di monti e di Manzoni, è un esito originale della riflessione di Foscolo sul bello e sull'arte, incarnati dalle divinità del mondo greco e sulla loro fondamentale funzione civilizzatrice e consolatoria. Se nelle opere di Monte Manzoni il motivo patriottico e politico era già vitale, qui lo è ancora di più in ragione delle condizioni politiche di grande incertezza successiva la campagna di Russia e la caduta di Napoleone e della conseguente frustrazione del poeta. Anzi, nella difficoltà di innestare un tema politico così incerto come quello del destino del regno, è da vedere una delle ragioni frammentarietà strutturale di questo classico incompiuto. Il valore sociale della parola poetica è già presente fin dall'esortazione iniziale dell'inno prim, nella quale Le grazie sono invocate affinché diano il poeta quella melodia attraverso il carme che possa rallegrare l'Italia afflitta dagli invasori della coalizione antinapoleonica. 9. Uno sguardo da un altro pianeta: l’esilio = In seguito alla disfatta napoleonica a Lipsia, Foscolo va a Milano dove riprende servizio in qualità di capitano aggiunto allo Stato maggiore: i rivolgimenti politici e sociali di quei mesi lasciano il poeta incerto sul da farsi, finché non cerca l'appoggio del governatore austriaco Bellegarde il quale gli affida l'elaborazione programmatica di un nuovo periodico filogovernativo: Foscolo redige quindi un Parere sulla istituzione di un giornale letterario; towjoninrmi dlla corruzione morale dell’élite colta, ma questa volta il compito letterario all’insegna del presupposto che la letteratura può farsi mediatrice tra la ragione di stato e le passioni dle popolo. Questo improvviso cambiamento di campo ha vita brevissima: Foscolo invece di prestare giuramento agli austriaci scappa a Lugano e da questo momento in poi non toccherà mai più il suolo italiano. A Zurigo Foscolo pubblica nuovamente le ultime lettere di Jacopo Ortis, (1816) dove le innovazioni più rilevanti di questa edizione sono: la rifusione dei temi marcatamente anti-napoleoniche contenuti nei Discorsi della servitù di dell’Italia e l'aggiunta della Notizia bibliografica: di taglio apologetico, atta a sgombrare il campo dei sospetti di plagio di analoghi modelli europei. Sempre nel 1816, Foscolo pubblica i vestiti della storia del sonetto italiano dall’anno MCC al MDCCC, silloge di ventisei componimenti nella forma metrica privilegiata dal poeta. Nello stesso anno pubblica a Zurigo (ma con falsa indicazione “Pisa” i Hypercalypseos liber singularis, satira in versetti latini della società letteraria milanese, scritta durante le polemiche del 1810-1811. Il testo è accompagnato da una Clavis nella quale vengono sciolte le allusioni interne: a Nicolò Bettoni, a Vincenzo Monti all’odierno Urbano Lampredi. Viene poi descritto brevemente Didimo; vediamo che l’ironica professione di anti culturalismo e di isolamento sociopolitico in realtà rileva il valore attributo alla cultura e alla politica: nell’impossibilità di coltivarle liberamente, l’alter ego foscoliano decide di rifugiarsi in un volontario esilio. Dopo aver lasciato la svizzera, Foscolo si trasferisce a Londra. La rete intellettuale inglese lo accoglie con entusiasmo. Qui Foscolo si rimette il lavoro rinfrancato da una vita sociale molto più densa: sono del 1816 le dinimee Lettere scritte dell'Inghilterra = una serie di missive incompiute nel quale l'autore presenta immagini, aneddoti e riflessioni a margine dei costumi del paese in cui si trova Nel 1817 esce l’ultima delle edizione delle Lettere di Jacopo Ortis: il materiale epistolare e qui bipartito, preceduto da una Notizia e seguito da un’appendice intitolata Alcuni capitoli del Viaggio sentimentale di Yorick estratti dalla traduzione italiana di Didimo Chierico. L’esperienza Ortisiana viene quindi inquadrata a dalla cornice didimea, quasi a prendere le distanze dalla monolicita tornale dell’Ortis. Dal 1818, Foscolo inizia poi a collaborare con la rivista "Edinburgh Review” per la quale scrive degli importanti interventi sul tema dantesco. Le crescenti ristrettezze economiche lo spingono ad affiancare alla già intensa attività pubblicistica, l'attività anche di critico (Essay on Petrarch (1821)). Da tutta questa ingente messa di lavori è importante rilevare l’impostazione metodologica: che prevede sempre la compenetrazione del piano storico culturale con quello più strettamente filologico o più genericamente critico A Londra Foscolo, oltre alla sola stampa d’autore di un’estrattl dell’inno alle Grazie, tra il 1824-1825 si colloca il disegno di una storia linguistica italiana organizzata in sei epoche, che copre un lasso di tempo che va dalle origini alla fine del 500, pensate per essere pubblicate in traduzione inglese all'interno di una rivista (European Review). Si tratta delle Epoche della lingua italiana, dove profilo di storia linguistico letteraria finalizzata a dare un'interpretazione politica della condizione italiana lui contemporanea. Infatti l'ultima epoca della nostra lingua è appunto il 1500 oltre il quale è inutile spingersi fino all'epoca coeva perché essa è segnata da inevitabili ricadute della lingua letteraria. Le condizioni fisiche del poeta si aggravano fino a condurlo alla morte nel 1827, assistito dalla figlia, le sue spoglie vengono accolte nella basilica fiorentina di Santa Croce. L’’incompiuta Lettera apologetica viene pubblicata postuma da Giuseppe Mazzini. Si tratta di una dolorosa rimeditazione in forma apologetica delle polemiche e dei tempi che seguono la disfatta napoleonica: in questo documento prende forma l'immagine di un uomo provato dagli eventi ma comunque decisa a difendersi da quelle accuse di impostore nelle quali egli non si riconosce. Foscolo viene eletto da Mazzini come l'eroe perseguitato politicamente costretto all'esilio e, proprio come Dante prima di lui, va a rivestire un'importanza modellizzante per la narrazione identitaria del patriottismo risorgimentale. In questo modo Foscolo viene assunto nel pantheon dei poeti nazionali come lui che nonostante fosse greco di nascita, scelse di pensare di scrivere nella lingua della patria, patria per la quale lottava per l’indipendenza. CAPITOLO II. ALESSANDROMANZONI 1. Milano, Parigi, Europa: Manzoni intellettuale europeo = Alessandro Manzoni è l'intellettuale più rappresentativo del romanticismo italiano ed è anche colui che è riuscito a dare temi e forme condivise a un sentire popolare attraverso un genere letterario completamente nuovo: il romanzo, mettendo la letteratura italiana al pari di quella europea. Grazie i suoi soggiorni a Parigi Manzoni riesce a innestare le grandi idee dell'Illuminismo e della rivoluzione francese e il riformismo politico e culturale nel nuovo clima romantico. I tre temi cardine della sua esperienza letteraria sono: 1. Il vero 2. L’utile 3. Il bello "La letteratura deve avere il vero per soggetto, l'utile per iscopo, l'interessante per mezzo": ovvero la fedeltà al vero è il fondamento che legittima l'invenzione del romanzo. Una mediazione sul reale che, pur animata da forte tensione euristica verso la realtà “come dovrebbe essere”, diventa sempre di più una indagine analitica e documentata vero “come la realtà è”. Di qui la concezione della funzione civile e formativa della letteratura, prima nel solco dell’esperienza poetica pariniana, di cui era erede tutto il mondo culturale del “Caffè” e dell “Accademia di Pugni”, poi seguendo, le spinte del romanticismo europeo, legato all’idea di letteratura educativa del popolo e formativa della nazione. Il percorso culturale e letterario di Manzoni deve essere però considerato anche sulla base della sua esperienza spirituale: dopo la conversione egli orienta tutta la sua attività intellettuale e la sua vita verso il rifiuto dell'io, "l'orrore dell'io" che lo spinge a un parallelo rifiuto della lirica intesa come espressione del sentire e interpretazione della realtà interiore. La realtà per Manzoni è un dato oggettivo e il cristianesimo è la via la verità più in sintonia con essa Manzoni indica alla letteratura nazionale un recupero di una tradizione realistica che potremmo far risalire alla letteratura di “cose” dle fratello Verri, al civismo pariniano, fino alle novelle del Decameron. Ma ciò che fa di Manzoni è il primo intellettuale europeo è che quella tradizione italiana viene attraversata non più individualmente ma coralmente, dentro la storia in un più fuori da essa, e in compagnia dei più innovativi prosatori della modernità europea ovvero gli inventori del romanzo psicologico Richardson e di quello storico Walter Scott. Manzoni sulla base di questi concetti darà alla letteratura italiana il suo primo vero romanzo: i Promessi sposi. E darà inoltre anche uno specchio in cui riflettere usi, costumi, abitudini, personaggi, caricature: un'intera antropologia nazionale attraverso una lingua che è riuscita a parlare a tutti e far parlare tutti con la maggiore naturalezza possibile. Una scelta che lo porta al rifiuto di ogni tipo di invenzione, in favore di un discorso storico che è l’unica espressione letteraria a cui viene riconosciuta la possibile di attingere alla verità; 2. Cattolicesimo brianzolo e Illuminismo milanese = Alessandro Manzoni nasce a Milano nel 1785 dalla madre Giulia Beccaria, figlia dell'autore di Dei delitti e delle pene; opera che aveva portato all'abolizione della pena di morte in Toscana e ispirato la costituzione americana. Alessandro era il La scelta del genere dell'inno risponde alla volontà di dare espressione letteraria i contenuti della fede, ma Manzoni mostrerà anche però una volontà di rinnovamento delle forme religiose, di superamento di pratiche devozionali esteriori e popolaresche, per una poesia che sia veicolo di contenuti teologici ortodossi ma che possa diffonderli attraverso forme metriche di facile assimilazione con una lingua poetica nuova, costruita sul superamento della tradizione classicistico e verso una nuova innografia cristiana. Quest'opera costituisce un programma molto ambizioso che porta sul piano della poesia religiosa quelle esigenze di adeguamento della forma al contenuto, fondamentali all'interno della letteratura di Manzoni. Questa poesia si scontra anche con la difficoltà di ordine contenutistico ovvero il fatto di dover rivestire di forme poetiche dei temi teologici, ma problemi anche di tipo stilistico ovvero presentare tali contenuti in nuove forme, ma non ignare della tradizione; queste difficoltà spiegano il lungo arco di tempo impiegato per la scrittura Dei dodici titolo di un indice manoscritto del 1812, corrispondenti alle ricorrenze dell'anno liturgico, solo quattro sono gli Inni realizzati: il Natale, la Resurrezione, il Nome di Maria, La Passione. Pentecoste viene ripresa e pubblicata nel 1822. Ognissanti viene ripreso nel 1847, ma non viene mai compiuto. Per avvicinare i contenuti religiosi a un pubblico non solocolto e non solo religioso, Manzoni agisce sul metro prima ancora che sulla lingua: scegli strofe e versi brevi, derivati dalla melodia settecentesca, resa popolare dall’utilizzo nei liberi per melodrammi: quartine di endecasillabi a rime alterne chiuse da un settenario. Agisce anche nella musicalità delle strofe di ottonari piani rimasti, chiusi da un verso tronco, come nella Resurrezione. Il risultato è un linguaggio nuovo, libero e forte di impatto, ricco di ornati retorici come similitudini che contribuiscono a creare un impasto contemporaneamente popolare ma anche autorevole e arcaico; non sempre poeticamente efficace, ma un’ottima palestra per la Pentecoste, riconosciuta come il frutto maturo dell’ apprendistato poetico manzoniano. Si veda, ad esempio, la descrizione della luce nella Pentecoste. Sono versi in cui si descrive l’immagine della rifrazione della luce sui corpi soldi, che si divide nei diversi colori dell'iride, e la si paragona alla lingua degli apostoli che si riverbera su tutte le popolazioni. I richiami biblici ed evangelici che sostituiscono completamente le riprese letterarie di Dante e Petrarca e contribuiscono a quel processo di “sliricizzazione” della lingua poetica. 5. Manzoni romantico? = Manzoni aderisce alle nuove idee romantiche già dal soggiorno parigino, ma questa adesione viene confermata dopo la conversione religiosa: l'adesione alle nuove idee romantiche trova nella conversione religiosa un punto di partenza in sintonia con il romanticismo europeo intorno alle parole chiave di religione, nazione e lingua. Un primo elemento di rottura con l'Illuminismo è costituito dal prevalere di istanze spirituali sull'analisi razionale scientifica e del recupero della dimensione sociale collettiva di tali istanze, non vissute più solo a livello individuale, ma nella loro dimensione storica: una religione rivelata e incarnata nella Chiesa, una nazione espressione politica dell'idea di unità di un popolo, una lingua che sia forma concreta di comunicazione tra individui. La. storia diventa così non più soltanto il luogo in cui la razionalità si può esprimere per decifrare i dati della realtà e sottomettere la natura, ma diventa il campo di azione di una divinità non astratta ma rivelata nelle scritture è incarnata nell’uomo. Per Vico, il sapere metafisico, pur non essendo assoluto, è fonte di ogni verità, che viene irraggiata in tutte le altre scienze. L’immagine che Vico usa per rappresentare questa azione della metafisica e la rifrazione della luce. Ma, se è vero che la metafisica non è creata dall’uomo, l’uomo è in grado di creare, attraverso la storia, la civiltà, in cui verifica, con il “sensus communis”, il principio del “verum ipsum factum”: il vero sapere della storia, in cui l’uomo si può riconoscere, e che diventa uno strumento di comprensione della realtà e dell’uomo stesso, superiore alle leggi matematiche e scientifiche. Se la storia è “una scienza nuova”, e la Provvidenza si manifesta nella storia, la verità rivelata e la legge trascendente che governa la storia stessa. Il valore assegnato da Manzoni alla storia è perfettamente in sintonia con le nuove istanze romantiche sviluppate dal pensiero di Vico. Gli altri due temi romantici al centro della riflessione di Manzoni sono: la nazione e la lingua, anche questi trovano fondamento nella nuova impostazione di Vico. La nascita della civiltà, infatti, che permette agli uomini di uscire dallo stato ferito, avviene attraverso le istituzioni che permettono ai popoli di riunirsi e questo rivela l’azione della Provvidenza nella storia, corso di Dio attraverso le nazioni, la cui espressione è rappresentata dalla lingua, che none una creazione individuale, ma l’espressione di una collettività; degli usi, costumi e abitudini di una nazione. Anche sotto questo aspetto, la riflessione di Manzoni sulla lingua, intesa come strumento di comunicazione che deve adeguare la parola alla cosa, è in sintonia con le riflessioni del romanticismo europeo. È su questi temi che si confrontano gli intellettuali europei, lasciando l’Italia ai margini della riflessione letteraria e politica. La sollecitazione alla “maniera e l’utilità delle traduzioni” diM.me de Staël (1816), divampa in Italia coinvolgendo in una polemica classicisti e romantici; questo dibattito avrà delle conseguenze nelle riflessioni manzoniane; Manzoni è estraneo al dibattito, ma più avanti nel tempo avrebbe espresso il suo pensiero nella Lettera sul Romanticismo, in una ricapitolazione generale del problema portata a termine pochi giorni dopo aver concluso la prima redazione del romanzo, il Fermo e Lucia. Legati alle istanze romantiche nel sollecitare una poesia che unisse alle tematiche civili l’impegno politico, sono i due inni Aprile 1814 e Il proclama di Rimini (1815). Il primo e scritto di getto dopo che Manzoni ha assistito al massacro del 21 aprile dalla folla inferocita ai danni del ministro delle finanze del Regno d’Italia, Giuseppe Prina, accusato di aver esercitato troppa pressione fiscale. Da qui Manzoni matura una repulsione nei confronti “dell’orda”, che avrebbe ripreso nel Saggio sulla rivoluzione francese. I due testi, seppur incompiuti, sono interessanti però per l'uso di una lingua poetica divisa tra il rinnovamento tentato con gli Inni Sacri, e il legame con la tradizione di Petrarca. Il rapido mutare delle circostanze politiche spinge Manzoni a interrompere la scrittura di Aprile 1814, e a dedicarsi a un testo di identico impegno politico, occasionato dal proclama emanata nel 1815 a Rimini da Gioacchino Murat, in cui egli che auspicava una ripresa contro gli austriaci. 6. Riformare il teatro e riscrivere la storia = Un primo effetto dell’invito a uno svecchiamento della letteratura italiana mosso da M.me de Stäel nel gennaio 1816 e la stesura del Conte di Carmagnola, che Manzoni conclude nel 1819. Dopo la riforma della lingua della poesia tentata con gli Inni Sacri, il successivo scoglio da affrontare è quello della riforma del teatro, da affrancare dalla tradizione classica e mitografica di Alfieri e avulsa dalla storia, e da da avvicinare invece al modello di Shakespeare in cui i romantici individuavano la migliore unione di rappresentazione di vicende storiche e introspezione psicologica del personaggio. Il rispetto del vero porta Manzoni a dichiarare l'impossibilità di seguire le unità aristoteliche e facendo così rompe con la tradizione teatrale del cinquecento, mantenendo, delle tre unità di tempo, luogo e azione, solo l’ultima. La nuova drammaturgia si basa sull'assunto che lo spettatore (mente esterna al dramma) non può percepire l’inverosimiglianza a causa della differenza di luoghi e tempi della tragedia rispetto ai suoi propri e quindi nel vede al contrario l'unità data dalla coordinata unione delle parti. Solo un’analisi “spassionata” delle passioni permette all’opera aid adempiere al fine didascalico e morale dell’arte, allo spettatore di formarsi un’opinione dell’azione rappresentata. Il luogo dove l'autore potrà riservarsi un cantuccio per esprimere il proprio punto di vista è il coro, che costituisce il secondo elemento di novità in questa riforma. A differenza d’oro del teatro greco, a cui certo si ispira, quello manzoniano non riferisce le azioni fuori scena, ma le commenta e offre allo spettatore un punto di vista dove l'autore possa parlare in persona propria. Con queste premesse non è facile dare al dramma una naturalezza storica, nonostante la vicenda sia tratta dal vero e si svolga tra la serenissima e il Ducato di Milano nel XV secolo A Francesco di Bussone, nominato conte di Carmagnola, caduto in disgrazia e passato al servizio della Repubblica di Venezia viene affidata la guida dell'esercito contro gli antichi padroni ovvero i milanesi. La sconfitta del Ducato di Milano nella battaglia offre un'interpretazione politica attualizzante di condanna delle lotte fratricide. Tuttavia però ci sono dei sospetti di tradimento verso il conte che si rifiuta di liberare i prigionieri e che viene richiamato a Venezia per un processo, questo ne decreterà la condanna a morte in ossequio a una ragion di Stato cui si dovrà piegare anche l'amico Marco intervenuto invano in sua difesa. Il coro utilizza un metro popolare e cantato con intenzioni didascaliche e civili che caratterizzano la nuova tragedia, che piega le vicende storiche, nonostante le dichiarazioni di impersonalità dell’autore. Il coro si domanda se i guerrieri stiano invadendo o difendendo la terra dove sono nati e che hanno giurato di “difendere o morire”, ma non può che rispondere riconoscendo la triste realtà di una guerra fratricida. Nella parte finale del coro, infine, la condanna di ogni forma di violenza, indirizzata alle guerre tra milanesi e veneziani, appare in aperta contraddizione con il dramma del protagonista, che non mette in discussione la guerra, ma anzi vi partecipa, al soldo dell’uno o dell’altro padrone. Il Carmagnola non è quindi tanto la tragedia di un capitano di ventura stretto tra verità individuale e ragion di Stato, ma piuttosto è una finzione letteraria costruita su una verità storica atta a denunciare l'irrazionalità della guerra fratricida e l'inevitabile accettazione cristiana di un'ingiusta condanna, sviluppata nella scena domestica finale, in cui Carmagnola incontra la moglie e la figlia e si sottomette al destino, eroe cristiano che perdona i propri ingiusti carnefici I primi recensori criticano lo stile trascurato e troppo simile al vero, in particolare Victor Chauvet scrive una severa recensione sulle pagine di una rivista di Parigi: egli critica il mancato rispetto delle unità aristoteliche. Manzoni ben presto risponde a questa critica e partendo dal rispetto del vero storico e dallo scopo della letteratura, approfondisce il ruolo del poeta e il rapporto tra il vero e il verosimile. Qui tutte le contraddizioni sono messe a tacere dalla possibilità offerta dal solo artista di colmare i vuoti di rappresentazione (inventare personaggi per poter dipingere meglio gli usi e i costumi di un determinato tempo) e dare voce ai protagonisti che non hanno voce, ma che incarnano la “parte che è andata perduta” della storia stessa. rosa del tema già affrontato, con Adelchi, e sulla, società delle discussioni con Fauriel e Thierry, del rapporto tra le popolazioni diverse e dei conflitti come motore della storia. Il romanzo accoglie anche la necessità di fondare su documenti originali l’indagine sul ruolo delle masse popolari, quel “volgo disperso” che nell’Adelchi non aveva avuto un nome. Un’impasse che spinge Manzoni verso la scrittura della prima introduzione e dei primi due capitoli di un romanzo che rappresenta il punto di vista popolare del conflitto tra popolazioni, attraverso una storia che ha come protagonisti “genti meccaniche e di piccole affare” che solitamente passano senza lasciare traccia, vittime del flusso della storia. Il titolo del romanzo, che viene interrotto proprio dopo questa prima fulminea stesura, non è però ancora quello definitivo e probabilmente oscilla tra "Fermo e Lucia" e "Sposi promessi". Solo con la stampa che inizierà nel 1825 il testo prenderà il titolo definitivo di "Promessi Sposi”. Che Manzoni avesse già in mente la vicenda è molto probabile, anche se non abbiamo prove di una derivazione del modello preciso, non sono rimaste né tracce né abbozzi precedenti di composizione a questa prima stesura che presenta personaggi ambiente tempo e azione già ben delineati e compiuti. I Temi di riflessione che stanno stando a monte di quest’opera e che Manzoni esplicita nella sua Introduzione sono: a. Rappresentare i fatti e far riflettere su misfatti del presente attraverso la griglia storica: i primi nuclei del romanzo sono infatti molto poco romanzeschi ma piuttosto storici e politici.il protagonista è il tema della giustizia, del male, che prende spunto da fatti realmente accaduti; b. Al centro della riflessione c'è sicuramente il rapporto tra la verità della storia e la ricostruzione lecita al narratore che inventa personaggi e vicende per rendere la storia più verosimile: Tuttavia il genere adottato per questa operazione ci mostra però la novità della scelta e la volontà di Manzoni di rinnovare le istituzioni letterarie senza presentare questo rinnovamento come una rivoluzione, ma avendo incontro al più ampio arco possibile di pareti e giudizi; La scelta del romanzo non è né scontata né semplice. In Inghilterra la tradizione del romanzo si era sviluppata sin dalla prima metà del settecento e si era poi consolidata con la novità di Walter Scott del romanzo storico che riscuote enorme attenzione in Francia innestando l'attenzione per il folklore e la valorizzazione delle vicende popolari sulle riflessioni della prima storiografia romantica. I romanzi di Scott avevano invaso l'Europa con immediate traduzioni che Manzoni aveva potuto leggere in Francia. Ma anche la tradizione del romanzo gotico aveva contribuito a fare del romanzo è un genere popolare: una letteratura di intrattenimento destinata a un pubblico non particolarmente colto, spesso femminile, alla ricerca di evasioni, che è possibile riassumere nel concetto di romanesque. Di fatto quindi Manzoni ha dei modelli, ma questi necessitano una profonda revisione, per utilizzare l’universalità e la popolarità di una romanzo che non fosse “romanzesco” e che, della relata, esprimesse i sentimenti senza essere sentimentale. Un elemento di distacco verrà esplicato all’inizio del secondo tomo di Fermo e Lucia, e sarà sostituito da una lunga digressione teorica dedicata ai romanzi In questa rivoluzione, Manzoni adotta un espediente di antica tradizione letteraria che gli permette di garantire la veridicità della storia raccontata e contemporaneamente di mettersi a riparo dalle facili accuse di inverosimiglianza che potevano essergli mosse. Nell'introduzione, il racconto è anticipato da una digressione teorica sugli effetti della storia che egli finge ricopiata direttamente dal manoscritto settecentesco di cui non menziona l'autore e non dà nemmeno indicazioni possibili per il ritrovamento dello stesso; Manzoni ,o meglio l'autore, prende la parola e dichiara di aver copiato il testo per quanto riguarda i contenuti, ma aver modificato completamente l'ordine linguistico e stilistico. Il testo originario viene quindi presentato come un documento reale in cui l'anonimo non ha tralasciato dimostrare il suo punto di vista, e l'atteggiamento di Manzoni è stato un atteggiamento da uno storico piuttosto che da un narratore. Se è vero che il manoscritto non esiste, non essendo stato rinvenuto finora nessun documento che si potesse avvicinare, è altrettanto vero che Manzoni sembra comportarsi come se steste ricavando veramente la storia da un antigrafo reale per non incorrere nelle stesse obiezioni che Manzoni stesso aveva mosso ai romanzieri traditori del vero. L'espediente del manoscritto ritrovato era presente nella tradizione già cavalleresca di Boiardo e Ariosto. Manzoni si pone rispetto al manoscritto anonimo in una duplice maniera: il piano storico, della vicenda narrata dall’Anonimo, e quello riflessivo, di cui il responsabile è solo Manzoni, giacché egli dichiara che i giudizi dell'autore del manoscritto anonimo siano meno sensati rispetto che i suoi propri. Le frequenti incursioni dell'autore saranno quindi resi necessarie dalla volontà di prendere le distanze da un punto di vista oggettivamente anacronistico e lontano dai lettori. 9. Il romanzo popolare: il Fermo e Lucia = E solo nel 1822, terminata la stesura definitiva dell'Adelchi, che Manzoni - abbandonato definitivamente il progetto di un’altra tragedia, Spartaco - si dedica completamente sul romanzo. Manzoni deve anche occuparsi di detenere abbastanza documentazione storica sugli usi e i costumi del tempo e sulle informazioni relative alla peste. La peste è lo scenario in cui le vicende private dei due contadini perseguitati costretti alla fuga, si intrecciano con la grande storia della guerra per la successione del Ducato di Mantova, la conseguente carestia e l'epidemia portata dai lanzichenecchi calati in Italia in soccorso degli spagnoli. L'ambiente sociale e i costumi sono ricostruiti con lunghe letture attraverso le quali Manzoni si documenta per riuscire a ricostruire lo sfondo nel quale far muovere i protagonisti. La promessa d'amore, la responsabilità individuale di fronte alla scelta è per Manzoni un tema fondamentale: sin dal titolo si capisce che il sugo, la morale della storia è concentrata su Lucia. Renzo accompagna il racconto delle sue avventure con una morale degna del più classico dei romanzi di formazione certo, ma a Lucia è affidata la morale di tutta la storia. Manzoni dichiara di aver deliberatamente saltato rispetto al manoscritto originario, tutte le manifestazioni d'affetto di cui esso non era affatto privo, perché li considera inutili per chi l'amore lo prova già interiormente e pericolosi invece per chi deve guardarsi dalle passioni e inoltre assolutamente non fondamentali per le circostanze della vita. Nella riscrittura del testo, Manzoni aggiunge due capitoli finali che rompono con la tradizione del lieto fine e introducono alcuni elementi nuovi rispetto al Fermo e Lucia: qui vengono narrate le difficoltà incontrate da Renzo nello stabilirsi nel nuovo paese e viene aggiunta anche la delusione dei compaesani di fronte alle fattezze di Lucia, contadinotta non particolarmente avvenente; questo è certamente una presa di posizione dell'autore contro gli stereotipi del romanzo tradizionale dove l'eroina ha caratteristiche eccezionali di bellezza e di bontà e l'eroe è un personaggio a tutto tondo senza macchia e senza difetti. Il disagio della nuova vita degli sposi viene però risolto da una proposta avanzata da un cugino: Renzo viene trasformato da filatore a imprenditore e in questo modo viene elevato nella scala sociale, quello che potrebbe essere un lieto fine viene convertito in una modesta e quotidiana mediocrità straordinariamente normale. Un finale decisamente anti-romanzesco, letterariamente noioso che mette in luce la volontà del narratore di seguire il normale flusso della vita. 10. Dal Fermo e Lucia ai promessi sposi 1825 1827 10.1 Un romanzo, quattro “digressioni” = Il dialogo sull'amore nei romanzi è l'unica digressione che viene amputata nella riscrittura della prima versione. La revisione di Fauriel, che legge il romanzo alloggiando nella casa di Manzoni stesso, è fondamentale per i cambiamenti di strutture per la crisi linguistica che ne seguirà e che impegnerà Manzoni in una riscrittura faticosissima. Fauriel e Ermes Visconti, amico di vecchia data, collaboratore del “Conciliatore” e teorizzatore del Romanticismo italiano, dal 1824 collaborano e postillano il testo di Manzoni; questo mostra l'abitudine di Manzoni di condividere con la cerchia degli amici decisioni, scritture e quelle lettura ad alta voce cui è affidata la prima circolazione del romanzo. Le osservazioni subito mosse al Fermo e Lucia riguardano lo spazio eccessivo dato alle digressioni incastonate nella storia: queste vengono quindi radicalmente ridotte provocando una decurtazione consistente anche nel numero delle pagine del testo, che passa infatti da quattro a tre tomi e vengono eliminate le digressioni sui racconti della vita di fra Cristoforo, di Federigo Borromeo, ma soprattutto vengono ridimensionati i quattro capitoli dedicati alla “Signora”, presentato hai nel Fermo in forma minore, rispetto all’Anonimo e altre fonti consultate dall’autore. Quella storia viene quindi raccolta in un paio di capitoli, anche se Suor Geltrude, per la forza narrativa della drammatica vicenda e per la capacità di Manzoni nell’ introspezione psicologica, diventerà uno dei grandi personaggi della letteratura italiana. Tra le digressioni eliminate non va dimenticata quella che inizialmente doveva far parte del quinto capitolo del quarto tomo, da cui sarebbe dovuta scaturire la Storia della colonna infame (la colonna eretta nel 1630 per Gian Giacomo Mora, distrutta dagli austriaci nel 1788). Dopo aver presentato le conseguenze dell’ignoranza e della superstizione nell’affrontare la diffusione nel contagio, Manzoni riporta due episodi di “furor popolare”, il secondo dei quali gli permette di dimostrare l’inutilita della tortura. Da questo secondo episodio scaturisce la più importante digressione del romanzo, la Storia della colonna infame, pensata come Appendice storica per la stampa del 1825, ma che dovette aspettare l’edizione del 1840 come parte integrante del romanzo. 10.2 Una lingua nazionale = Il confronto con la lingua francese in cui Manzoni si stava cimentando nella lettura, mette Manzoni di fronte all'insufficienza della formula linguistica adottata nella prima stesura: una lingua che definisce come analogica e europeizzante. Analogica perché costruita per Finalmente nel 1224 il primo tomo del romanzo storico di Manzoni intitolato "Gli Promessi Sposi” che viene restituito con l'approvazione dei censori: in questo modo Manzoni può continuare con la correzione del secondo tomo. Nell’autunno successivo Manzoni prosegue in parallelo la corruzione del manoscritto del tomo II e delle bozze del primo. La denominazione “Ventisettana” va in senso estensivo, perché è dal 1825 che possiamo considerare stampato e distribuito il primo tomo. Durante il 1825 si dedica alla correzione del II tomo, e nel 1826 si occupa del III tomo, la cui rielaborazione su capitolo della pesta lo portano a lavorarci fino al 1827; L'11 giugno 1827 vengono stampate mille copie. In un mese e mezzo vengono vendute tutte le copie della prima tiratura e spuntano immediatamente ristampe in tutta Italia. Nel frattempo Manzoni parte con la famiglia per Firenze: un viaggio determinante per venire in contatto direttamente con quella lingua toscana cercato nei dizionari che darà poi avvio la seconda revisione dei Promessi Sposi. A Firenze Manzoni trova due revisori d’eccezione disponibile a leggere il romanzo integralmente e segnalare tutti i luoghi in cui il testo differiva dalla lingua parlata. Sin dai primi riscontri risulta chiaro che la lingua di quel testo così ammirato e apprezzato è però lontanissima da quella parlata Firenze: è una lingua letteraria costruita nel vocabolario che però restituisce forme ormai cadute in desuetudine. Sarà con l'aiuto di questi revisori che Manzoni intraprende la terza e ultima revisione del testo che lo terrà impegnato per i successivi 13 anni. 11. La nazione e la storia 1830-1848 = Al grande successo nazionale e internazionale seguono anni di gravi lutti familiari: muore la moglie Enrichetta, poi la figlia.il matrimonio con la vedova Teresa Borri Stampa porta una maggiore serenità ma anche vari sconvolgimenti domestici dato il carattere forte della donna poco incline a seguire le direttive della suocera Giulia Beccaria. Inoltre lo scoppio delle rivolte del 1848 che vede Milano impegnata in una battaglia durissima nelle cinque giornate del 18:22 marzo costringono Manzoni a trasferirsi a Lesa, nonostante egli non avesse mai preso diretta posizione, era comunque un punto di riferimento per i moti anti-austriaci. Nei moti viene coinvolto il figlio Filippo, incarcerato nelle prime giornate dei combattimenti: Manzoni si rifiuta di chiedere per lui la grazia e a seguito di questo episodio pubblica due odi civili: Il proclama di Rimini; Marzo 1821. Come risposta letteraria e civile agli spiriti patriottici che avevano infiammato il lombardo Veneto. L'esilio di Lesa permette a Manzoni di entrare in contatto con Rosmini: la loro corrispondenza testimonia il percorso di fede le riflessioni comuni intorno a temi filosofici e religiosi, nonostante alcune divergenze teoriche i due condividono la forte passione politica e lo spirito unitario. Nel Dialogo dell’invenzione, iniziato nel 1841, ma pubblicato dieci anni dopo, Manzoni supera le iniziali resistenze verso il pensiero di Rosmini e finisce per applicarlo nelle riflessioni tra storia e invenzione che porteranno poi alla condanna definitiva del romanzo in favore di una distinzione delle due narrazioni: quella di invenzione e quella storica. Se è vero che l’artista non può creare, ma solo trovare le idee che sono sempre nella mente di Dio, l’invenzione non è solo un procedimento creativo, ma solo lo svelamento di una verità già presumere prima che l’artista vi si applichi con la propria creatività. All’artista che non può competere con la creatività divina, resta solo da trovare nella storia le tracce del suo passaggio. E a Manzoni, che nutre sempre meno fiducia nelle possibilità del narratore di unire la storia e invenzione per quella radicale fedeltà al vero, filo conduttore delle sue opere, non resta che rovesciare le posizioni che egli stesso aveva assunto nella lettera a Chauvet in una definitiva condanna del romanzo in particolare dei componimenti misti di storia e invenzione. Goethe reagisce alla lettura del romanzo e queste sue reazioni stimolano in Manzoni nuove riflessioni: da una parte il romanzo di Manzoni veniva apprezzato per quanto riguarda l'impianto generale, però c'erano varie riserve mosse intorno al terzo tomo che era oppresso da un'eccessiva quantità di dati storici che appesantivano la narrazione. È proprio per rispondere a Goethe che Manzoni elabora una lettera sul romanzo: lettera che non verrà mai spedita ma che prenderà le forme di un trattato pubblicato poi con un titolo di Del romanzo storico e, in genere, dei componimenti misti di storia e di invenzione: qui vengono affrontati i generi del poema epico, della tragedia: generi che hanno mescolato reale e fantastico e inoltre viene istituita la legittimità del romanzo. Tra vero e verosimile Manzoni finisce per scegliere il vero, e se il romanzo storico non può garantirlo, tanto vale seguire il solo vero e raccontare la storia. Questo è ciò che farà nella rielaborazione della Storia della colonna infame, espunta dalla prima redazione, e riscritta prima per la Ventisettana e poi la Quarantana. Nelle chiusura della prima redazione della Colonna, viene esplicitata la disillusione sulle potenzialità del romanzo. La revisione del 1840 di questa appendice storica lo occupa Manzoni fino alla conclusione della stampa del romanzo, rifacendosi sempre alle storie del Ripamonti, ma avvalendosi anche di nuovi documenti inediti reperiti per dare maggiore sostanza la testo. Nonostante la dichiarata derivazione dalle Osservazioni, la ricostruzione manzoniana ha un impianto autonomo, alternando alle citazioni della “copia manoscritta” le osservazioni dell’autore, che commenta i fatti narrati nella storia della condanna a volte con ironia, altre volte con umana partecipazione al tragico destino degli accusati, facendo emerge le responsabilità individuali dei giudici che avevano estorto delle confessioni degli imputati a forza di torture, riservando un diverso trattamento ai più abbienti (assolti) e ai più umili, come il barbiere Mora, che vengono condannati. La modernità della forma del libro-inchiesta verrà riconosciuta nel novecento in particolare da Leonardo Sciascia. La scelta definitiva per la storia e le vicende politiche legate alle prime due guerre di indipendenza portano Manzoni alla stesura di un saggio comparativo tra le due rivoluzioni: quella francese e quella italiana, che verrà pubblicato incompiuto solo postumo, nel 1889. Con lo stesso metodo seguito per il romanzo, e una scrittura linguisticamente assestata, vengono ricostruiti minutamente i primi mesi della rivoluzione del 1789, la cui analisi permette di comprendere i fatti successo fino alla dominazione spagnola, per ricavare la legittimazione della rivoluzione italiana e la condanna di quella francese e delle sue due principali conseguenze: - L'oppressione del paese sotto il nome di libertà - La difficoltà di sostituire la governo distrutto un altro Governo; 12. L'interno lavoro: uno scrittore alla ricerca della lingua = Gli effetti della “risciacquatura in Arno” sono riconducibili ad alcune lingue correttorie precise, che fanno della lingua della Quarantana la grammatica d'uso nello Stato unitario. Una volta riconosciuta l'esistenza di diverse varianti di toscano è scelta quella del fiorentino, per il prestigio storico garantito dalla sua tradizione letteraria, Manzoni lavora direttamente su una copia di lavoro della Ventisettana, che viene corretta a mano a mano solo negli aspetti linguistici. Le correzioni sono mosse da una costante verifica con il parlato e per questo a volte peccano di ipercorrettismo fiorentino. Va notato comunque che la fortuna della forma linguistica assunta in questa relazione deve il suo successo soprattutto al lavoro costante di de-letteralizzazione svolto da Manzoni su espressioni e locuzioni che vengono sostituite con le corrispondenti del parlato. La fattività di Teresa Borri e sicuramente tra le spinte più efficaci nel far decidere Manzoni, quando ormai il romanzo non era più nel suo orizzonte creativo, di dare avvio alla ristampa del 1839. Contribuiscono alla decisione anche problemi economici, e la delusione per le numerosissime ristampe della prima edizione, triste senza diritti d’autore. Nel progettare la nuova edizione, e proprio per non incorrere negli stessi danni, Manzoni vuole pubblicare questa edizione attraverso una forma che si rivelerà poi un disastro finanziario: una pubblicazione a dispense con illustrazioni e per rendere la contraffazione impossibile ed estendere la lettura a un pubblico più ampio popolare. Per le “vignette” Manzoni sceglie una serie di immagini distribuite nel testo: un lavoro che arricchisce il romanzo di elementi nuovi ma che finisce per impoverire l'autore in uno dei più famosi disastri editoriali della letteratura italiana. La prima tiratura non verrà assorbita anche in meno della sua metà lasciando la casa di Manzoni piena di migliaia di esemplari rimasti invenduti. Se la questione della lingua è stata risolta, le riflessioni intorno ai problemi teorici sull'origine delle lingue, la loro unificazione e diffusione continuano ad affascinare Manzoni, ma la sua riflessione teorica procede da situazioni concrete e si sviluppa in un fecondo dialogo con l’altro. Manzoni, nel 1860 viene nominato come senatore del regno è riconosciuto come uno degli ispiratori del Risorgimento nazionale, entra a far parte della commissione per l'unificazione della lingua i cui lavori confluiscono nella “Relazione dell'unità della lingua e dei mezzi per diffonderla": qui si ribadisce la scelta del fiorentino dell'uso contro il ricorso ai diversi dialetti d'Italia che risulterebbe un ostacolo all'unificazione linguistica. Tuttavia però dei contrasti con alcune figure appartenenti alla commissione e portano Manzoni a dare le dimissioni, egli però inizia la compilazione del "Novo vocabolario della lingua italiana”, pubblicato tra il 1873 al 1897, durato da Broglio, e aiutato dal genero Giorgioni. A novant'anni Manzoni peggiora le sue condizioni fisiche a seguito di una caduta, questo turba in modo profondo la sua serenità che diventa ora minata da paure stati di incoscienza. La morte lo raggiunge il 22 maggio 3. GIACOMO LEOPARDI Da qui ne discende la necessità di non poter più comporre poesia immaginativa - in quanto essa è superata dalla conoscenza - ma poter comporre solo poesia sentimentale, una condizione che però Leopardi non pratica mai direttamente anzi condanna come uno dei frutti dello spirito romantico. Ci sono due strade, due possibilità per l'uomo moderno di rimanere con la poesia vicino alla natura seguendo i modi semplici delle rappresentazioni antiche, pur avendo però perso le condizioni di purezza e meraviglia che rendevano possibile quella stupefazione 1. Finzione dell'antichità: è questa contraffazione di una dimensione originaria ormai perduta, per cui vengono creati dei personaggi e dei moduli espressivi nuovi che pur non essendo antichi agiscono come se fossero antichi 2. Poesia della memoria: lo Stato che più si avvicina a quella stupefazione dell’antichità è il tempo dell’infanzia. Ne discende che solo attraverso questo tipo di poesia della memoria, del ricorod di quel tempo antico si potrà ricostruire la fittizia dimensione di una stupefazione antica, ricreare quindi artificialmente quella condizione Con questo programma e con una disposizione d'animo volta a fare della poesia non un esercizio erudito ma uno specchio in cui riflettere se stessi, è usai inevitabile che la primissima produzione poetica originale sarà un effusione sentimentale scaturita da un incontro con la cugina di Monaldo, Geltrude Cassi, ospite a Recanati: questa ragazza provoca il primo sconvolgimento della passione amorosa di Giacomo, rappresentata nella prosa del Diario del primo amore e dell’elegia Il primo amore, pubblicata solo parzialmente nel libro dei Versi del 1826 e poi nei Canti (messa a cerniera tra le Canzoni e gli Idilli) del 1831 a suggello dell'inizio della propria avventura “sentimentale”. Tornando alle “riflessioni di un italiano sopra la poesia romantica” = in questo scritto emergono chiaramente l'originalità e l'innovazione del suo itinerario poetico. Il duplice percorso - (poesia antica (pellegrina) e poesia della memoria (vaga) - è già segnato. A questa altezza a Leopardi preme condannare la riduzione della poesia al registro sentimentale patetico che sembrerebbe rimasto in moderni nell'impossibilità di fare una poesia immaginativa rivendicando invece le istanze politiche e civili. Istanze che derivano dalla lettura dei classici ma anche da un incontro che cambierà la vita di Giacomo: l'incontro con l'erudito polemista, classicista, laico, anticattolico Pietro Giordani. Basterebbe leggere una sola delle lettere tra di loro (1817 -1820) che capire che dietro ognuna di esse si celava un deposito di emozione e affetto prima del tutto ignorato. Più avanti questa disposizione d'animo al dialogo e gli stimoli offerti da un'amicizia vera cercheranno uno spazio di espressione più ampio nelle pagine dello Zibaldone, la raccolta di pensieri iniziata tra il luglio e agosto 1817. Dopo un anno di corrispondenza, vi è la visita dell’amico a Recanati, che ha una forza dirompente. Giordani scopre il proprio poeta patriottico, Leopardi si scopre poeta. Le prime due poesie, Sull'Italia e Sopra il monumento di Dante, che manterranno sempre nel libro dei Canti una posizione incipitaria, nascono subito dopo la partenza dell’amico. 3.2 “un guanto di sfida alla propria epoca”: le poesie otaridottiche Sull’Italia e sopra il monumento di Dante Scaturite dall'esortazione di Giordani e dalla volontà di dare all'Italia una poesia di alta eloquenza ed impegno civile politico che mancava nel quadro di una letteratura, nazionale, popolare e civile e riformatrice, le due canzoni nascono dalla riflessione in prosa su questi temi, l’abbozzo Argomento di una canzone sullo stato presente dell’Italia. Ancorata alla canzone petrarchesca, sull’Italia sviluppa la tradizionale lamentazione sul contrasto tra il destino passato di gloria e il desolato squallore del presente, ma se ne distacca però della tradizione costruendo un testo nuovo sia dal punto di vista metrico hide schemi diversi per strofe pari e dispari) che stilistico (rottura rispondenza tra metro e sintassi con forti censure al centro del verso e molti enjambement foscoliani) Altro elemento di novità è la ribadita frattura con il passato: se al Foscolo dei Sepolcri era stato facile rinnovare il mito dei greci errori di Maratona, Leopardi ricorda i caduti di Termopili e li mette a confronto con gli italiani morti nella campagna napoleonica di Russia, al servizio di una patria straniera. Ma, giunto alla quarta strofa, il parallelismo tra gli antichi e i moderni lascia spazio ad un personaggio, Simonide, che prende parola e conclude la canzone con un’apostrofe appassionata, modello di quella poesia eloquente che mancano quasi del tutto dalla nostra letteratura. Di fatto, attraverso l’immaginazione, Leopardi, dopo aver dichiarato di voler prendere le armi, diventa egli stesso Simonide augurandosi di potersi sacrificare per la patria. Sarà la canzone gemella, Sopra il monumento di Dante, a sviluppare poeticamente i temi più urgenti dell’abbozzo, prendendo spunto dal modello di Dante poi Santa Croce a Firenze. Si tratta di una meditazione sul sepolcro ancora foscoliana, ma con più sconsolati accenti polemici verso “i tempi perversi” e verso “i figli sonnacchiosi” incapaci di difendersi dalla dominazione straniera. Polemica che sfociò in una invocazione elegiaca sul destino Delfi italiano morì per le desolate steppe della Russia. Leopardi afferma di aver voluto rivolgere questa polemica agli austriaci anziché ai francesi, facendo di un testo storico uno strumento politico in quanto, non potendo nominare le persone che avrebbe voluto, ha messo in scena altri altri attori. 4. Un annus terribilis (1819) e un anno filosofico (1820) 4.1 Propositi di fuga Il 1819 verrà ricordato da Leopardi come un anno cruciale: suggellato dalla conversione filosofica ovvero dal passaggio dal bello al vero, dalla condizione antica alla condizione moderna, che rivive il percorso compiuto dello spirito umano in generale, ma anche da anche da esperimenti poetici sentimentali, come le due canzoni”funerarie”, risalenti al maggio del 1819: a. Per una donna inferma b. Nella morte di una donna I temi ci dicono che come negli anti-modello fosse sicuramente presente Foscolo delle due Odi neo-classiche, e come Giacomo, non indifferente al nuovo gusto romantico, tentasse la strada di quella poesia sentimentale che era l'unica praticabile. Nel dedicare una canzone a Serafina Basvecchi, figliastra di un fratello cadetto di Monaldo, ammalatasi nel pieno della giovinezza, e un’altra Virginia del Mazzo, morta per un aborto clandestino, Leopardi sfida le convenzioni sociali riprendendo le proprie riflessioni sul proprio destino di infelicità, condiviso con le giovani vite inutilmente stroncate, ma anche sulla forza delle illusioni, che giustificano un atto universalmente condannato come l’adulterio, a origine del delitto. Nell’immedesimazione, che inaugura un modulo poetico condotto fino alla canzone A Silvia (1828), Leopardi stigmatizza l'amante scellerato, ma non condona la sventurata, bensì la assolve e assolve l’amore che la spinta all’errore, perché l’amore è l’unico conforto. Se manca l’illusione amorosa tanto varrebbe sospendere la vita. Seguono poi mesi di indicibile sofferenza per la malattia agli occhi che impedisce Leopardi la consolazione dello studio, ma anche per l'opposizione sempre più radicale con i familiari e perché la pubblicazione delle Canzoni patriottiche non produce l'eco sperata. È proprio in questo periodo che prende corpo l'idea di un testo autobiografico ovvero Vita abbozzata di Lorenzo Sarno: un montaggio di sensazioni e immagini, brevi episodi d'infanzia e descrizioni naturali, che alimenteranno il reperito dei futuri idilli, ma che ora non riescono ancora a mettere Leopardi di fronte ad uno specchio, se non tramite le figure letterarie di Lorenzino de’ Medici, il tirannicida che nel 1537 era stato accusato di aver ucciso il duca Alessandro de’Medici, e che aveva nell’Apologia la propria autodifesa, o del Barone di Sarno, protagonista della Congiura de’ baroni di Napoli di Porzio. Con il compimento del gentineismo anno e l'ingresso nella maggiore età i dissidi familiari giungono a un punto di non ritorno: Giacomo dopo essersi confidato con Giordani, architetta un piano di fuga, prima di abbandonare Recanati però scrive una lettera di addio per il padre che resta una delle testimonianze più drammatiche e toccanti dello psicodramma vissuto in Recanati: una resa dei conti puramente psicologica, in cui accusa Monaldo di averlo spinto al sacrificio e alla compromissione della propria salute nello studio, ma di non aver fatto Jora per coltivare il suo ingegno, e anzi di volerlo relegare in Recanati. Tuttavia però Monaldo riesci a sventare la fuga: di fronte a questa umiliazione Leopardi accusa apertamente Monaldo e qui inizia la battaglia che terminerà solo con il disconoscimento di paternità. 4.2 Primo tempo degli Idilli: La ricordanza, L’infinito, Odi Melisso In quadernetto a righe, Leopardi scrive i primi tre testi che cambieranno la storia della poesia italiana: si affranca dai metri e dagli stili tradizionali e inaugura la poetica del vago:mette l'io lirico al centro di un'avventura letteraria che, mentre afferma una filosofia negativa, difende la potenza euforica dell'immaginazione e della facoltà poetica destinata a renderla eterna. 1. La ricordanza (1819) = essendo un testo di anniversario, si presume che non sia stato scritto dopo il suo ventesimo compleanno; idillio che inaugura la poetica del ricordo e che la poetica del ricordo, da esso inaugurata, non sia estrema alla decisione della fuga maturata da lì a poco. La dolorosa contemplazione della luna descritta e ricordata scorre oer quindici versi: un falso sonetto privo di rime, ma ricco di continui rimandi fonici e ritmici intitolata come Versi. La scrittura lirica prosegue anche negli anni successivi ma passa al margine dell'interesse principale di Nievo che è ora mirato su progetti di prose e di teatro. Già nei primi mesi del 1866 prende avvio un doppio impegno narrativo: da un lato le novelle campagnole, dall’altro le prime prove di romanzi. 4. Uno sguardo sulla campagna: il Novelliere campagnuolo = L’esperienza delle novelle campagnole su può collocare all’inizio di un triennio (1855-1857), e vede le diverse pratiche di scrittura di Nievo intrecciarsi continuamente. Al momento di scrivere la prima prova, un’ala novella La nostra famiglia di campagna, Nievo conosce bene il panorama ma della letteratura rustica le contemporanea, filone inaugurato da Cesare Correnti; si tratta di novelle e romanzi che rimangono in bilico tra una letteratura per i contadini, rivolta cioè un pubblico davvero popolare con funzione di istruzione morale, e una letteratura su i contadini , di materia rusticale ma indirizzata alle classi superiori con la speranza di sensibilizzarli sulle condizioni di vita delle campagne. In entrambi i casi, è una narrazione che riveste una matrice politica. Nelle prove del Nievo emerge una visione nitida delle condizioni economiche dei ceti più bassi, visione proposta prima di tutto al pubblico delle città: contesto duro ma ancora indenne alla decadenza morale delle classi più benestanti. Da qui l’idea della Nostra famiglia di campagna; Il sottotitolo della novella recita “Dipinture morali”, a testimonianza della curvatura pedagogica in cui Nievo si impegnava nel genere rusticare. Le novelle successive confermano lo stesso impianto ideologico, nel quale la bontà del mondo cittadino e una dimensione di comunione con la natura si definiscono come poli positivi della narrazione Tra le prove più felici del Nievo novelliere c’è il Varno, novella che va ricordata per la meraviglia degli scenari naturali, ma anche per la vivacissima l'iscrizione di due fanciulli, la Favitta e lo Sgricciolo, che rappresenteranno un antecedente per i protagonisti delle Confessioni. Nelle altre novelle che ci sono pervenute, come l’Avvocatino, emerge un altro aspetto che anticipa il romanzo maggiore: le storie sono raccontate da un vecchio bonario contadino, Carlone, che si fa vertice di una narrazione intorno al focolare all'insegna di una saggezza campagnola che ha valore corale. L’Avvocatino inoltre causa a Nievo un'accusa e un mandato a processo: uno strascico giudiziario inatteso per una menzione poco onorevole del corpo di polizia che si legge in un brano della novella. Nievo decide di difendersi da solo riuscendo alla fine a venire assolto nel 1857. A questa altezza, l’ero,ml’epserimsa camoagnola si era già chiusa: dopo aver progettato una raccolta delle novelle nel 1856, senza però mai realizzarla, Nievo dedica tempo alla composizione dei romanzi. 5. Tre anni frenetici: i primi romanzi = All’inizio del 1855, mentre ha già avviato la composizione delle novelle campagnole, Nievo annuncia il progetto di un romanzo contemporaneo di materia contadina, contemporaneo e semplice. Il romanzo è il conte pecorajo, entro il quale Nievo intende proseguire la riflessione sul mondo contadino avviata nelle novelle campagnole. L’opera ha infatti un’ ambientazione friulana, e va nuovamente a illustrare le condizioni di vita delle campagne. In primo piano, narrata in terza persona, la vicenda di un personaggio femminile e la sua personale Odissea passando attraverso la seduzione subita, la nascita e la morte di un figlio, la reintegrazione conclusiva nel suo mondo originario, in uno scioglimento talmente a lieto fine da risultare inverosimile. A Nievo, tuttavia, interessa soprattutto la sperimentazione: riprende in modo esplicito Manzoni e tenta l'operazione di una letteratura autenticamente popolare. Questo filone narrativo mostra però già segni di stanchezza, sempre a rischio di ricadere in esiti convenzionali o paternalistici. Lo stesso Nievo ne coglie i limiti perché interrompe l’opera per avviare la composizione di un romanzo storico, ancora più vicino al modello manzoniano. Nell’estate del 1855 inizia dunque a stendere Angelo di bontà, storia ambientata a Venezia di metà Settecento, incentrata sulle vicende di una giovane donna e un vecchio inquisitore in una sorta di prolungata prova della virtù Immacolata della giovane contro i costumi e le tentazioni della società nobile di Venezia. A dominare molte pagine è proprio lo sfondo della città, che Nievo descriva con sguardo ammirato. Sebbene la storia veneziana sia esposta in più passaggi con disinvoltura, senza grande fedeltà alle fonti storiche della Repubblica, il registro del romanzo storico rappresenta un momento di ulteriore confronto con i Promessi Sposi: confronto condotto però all'interno di una lingua molto meno sorvegliata e uniforme che tuttavia Nievo sottopone a una attenta revisione nel passaggio dei manoscritti del romanzo all'edizione a stampa. Angelo di Bontà, con il sottotitolo di Storia del secolo passato, viene pubblicato a Milano nel 1856; l’anno successivo viene pubblicato il Conte pecorajo, con l’indicazione Storia del nostro secolo. Nella seconda stesura del Conte, Nievo si impegna in una revisione linguistica che mirava ad una sistematizzazione di tratti morfosintattico di stampo veneto-settentrionale o colloquiale, e mostra la comsapevolezza di Riguardo all’irregolarità della propria lingua narrativa. Nella primavera del 1857 inizia il terzo romanzo, quello più felice e sorprendente: il barone di Nicastro, che esce a puntate sul “Pungolo” e infine viene pubblicato sottoforma di romanzo (1860) in due diverse edizioni. La vicenda muove dall'intenzione del barone di smentire la solenne dichiarazione di Bruto contro la virtù, tema classico già presente nel Bruto minore di Leopardi; a partire da questo intento il barone si lancia in una serie di viaggi avventure che riscrivono il Candide di Voltaire ma che riprendono anche il Don Quijote e la riflessione politica e pedagogica di Rousseau. Nelle pagine del suo romanzo umoristico e filosofico, solo apparentemente leggero, Nievo fa rifluire molti degli ingredienti del suo bagaglio culturale e fa emergere anche le tracce della storia contemporanea. I tre romanzi raccolti in pochi mesi confermano l'intenzione di Nievo di intervenire nel panorama culturale e confermano la varietà delle sue soluzioni di stile e la sua singolarità nel quadro della letteratura italiana di quella stagione, sospesa tra gli epigoni manzoniani e il Romanticismo di seconda generazione. 6. L'interpretazione del genere teatrale = Anche il teatro gioca un ruolo importante: Nievo è consapevole della forza dello strumento per la trasmissione immediata di ideali e valori su un pubblico allargato, per questo impiega la scrittura teatrale sin dai suoi esordi; nel 1852 compone un dramma dal titolo Emanuele per schiarì contro le posizioni antisemite che erano state espresse in un periodico padovano. L'opera non arriva alla presentazione. Nievo come scrittore teatrale esordisce nel 1854 con gli Ultimi giorni di Galileo Galilei; incentrato sulla finirà di Galileo come eroe del pensiero, disposto anche all’abiura, il dramma risulta ancora un po’ schematico, Nei due anni successivi Nievo compone il Pindaro Pulcinella (1855); i beffeggiatori le invasioni moderne (1857). Queste due premiate a Padova la menzione d’onore, ma la giuria sottolinea la rapida stesura e la necessità di maggiore finitura stilistica. Di fatto, le commedie mostrano una conoscenza profonda della tradizione di Goldoni e una scrittura mirata a una satira tagliente dei costumi contemporanei. Le tragedie invece sono sorprendenti (Spartaco e I campani) per il ritorno indietro a una materia classica e per essere scritte durante lo stesso periodo di stesura delle Confessioni (1858). Nonostante questo però non vengono mai rappresentate né pubblicate e rimangono principalmente come testimonianza di una volontà di Nievo di sperimentazione dei diversi generi di scrittura. 7. Le memorie di Carlino: le Confessioni d’un italiano 7.1 . Composizione = La stesura delle confessioni di un italiano si svolge in un periodo lungo circa nove mesi (novembre 1857 marzo agosto 1858): un periodo ridottissimo, quasi incredibile se si considera la mole del romanzo e la quantità di elementi e questioni che Nievo tratta all'interno di esso. Fu un periodo di lavoro massacrante. La copia autografa si conserva suddivisa in tre grossi quaderni e individua la tripartizione delle tre grandi campate del romanzo: 1. Capitoli I-VII, la fine dell'antico regime; la narrazione muove dal castello di Fratta nell’ultimo quarto del Settecento e si conclude con la decapitazione di Luigi XVI (1793); 2. Capitoli VIII-XVII stagione delle rivoluzioni; la narrazione copre gli ultimi anni del Settecento, fino alla caduta della Repubblica partenopea (1799); 3. Capitoli XVIII-XXIII, l'ottocento; la narrazione si svolge a coprire la prima metà del XIX secolo, fino ad arrivare al 1858 del presente della scrittura. La struttura rende chiaro l'andamento della narrazione, è molto più rapida nella parte conclusiva, in una sorta di dissolvenza che lascia nell'ombra i moti italiani degli ultimi anni. Tuttavia questa scelta non basta ad evitare problemi a romanzo: Nievo deve ammettere che il suo romanzo non riscuote successo perché non incontrerebbe la censura, per questo l'opera rimane inedita e viene pubblicata solo postuma. 7.2 Carlino e Pisana = Le Confessioni si snodano quasi per intero seguendo la passione e il legame ambiguo e fortissimo che stringe Carlino Altoviti, ovvero il narratore che rievoca la sua esistenza, alla Pisana, una contessa che diventerà la figura decisiva del romanzo. Carlino è un figlio illegittimo della sorella della contessa e ha una posizione marginale nel castello, impegnato in una mansione umile, come girare lo spiedo nella cucina, l’ambiente da cui prende avvio la narrazione del primo capitolo. Se Carlino è una figura mediana, un osservatore attento del mondo e della storia, la Pisana è invece una sorta di geroglifico misterioso tutto da decifrare. Il carattere tumultuoso di Pisana, la sua natura passionale e bizzosa non solo congegnano il più bel personaggio femminile dell'ottocento italiano: una sorta di rovescio imprevedibile della Lucia di Manzoni ma rappresentano il motore della narrazione stessa con Carlino sempre in qualche modo sulle tracce della donna amata.
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