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Firenze, Roma e Milano tra '400 e '500, Schemi e mappe concettuali di Storia dell'Arte Moderna

Schema riassuntivo delle principali opere del periodo, con descrizioni tratte dal libro "Arte. Una storia naturale e civile", Settis - Montanari

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

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silvia-m98 🇮🇹

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Scarica Firenze, Roma e Milano tra '400 e '500 e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! FIRENZE, ROMA E MILANO TRA ‘400 E ‘500 TITOLO Battesimo di Cristo Battesimo di Cristo Dama col mazzolino Ritratto di Ginevra Benci Studio di mani DATA 1473-75 1495-1500 ca 1475 1474-78 1475-80 AUTORE Andrea del Verrocchio, Leonardo Lorenzo di Credi Andrea del Verrocchio Leonardo Leonardo UBICAZIONE Galleria degli Uffizi, Firenze San Domenico, Fiesole Museo Nazionale del Bargello, Firenze National Gallery of Art, Washington Windsor DESCRIZIONE Andrea del Verrocchio utilizza il formato piramidale anche in pittura, nella pala raffigurante il battesimo di Cristo per la chiesa fiorentina di San Salvi. C'è un'identità di stile con il gruppo scultoreo di Orsanmichele nell'accentuata gestualità delle figure e nel modo in cui il panneggio dell'angelo inginocchiato a sinistra è modellato da una luce cristallina, che fa di Andrea uno degli ultimi pittori di luce. La definizione anatomica del corpo di Cristo testimonia il lessico innovativo di Antonio del Pollaiolo, che diviene esemplare. Alcuni dettagli del dipinto furono eseguiti dal giovane Leonardo da Vinci, che intorno al 1470 faceva il suo apprendistato insieme a Pietro perugino nella bottega del Verrocchio. Leonardo dipinse la testa dell'angelo di sinistra e il nebbioso paesaggio retrostante, svelando la sua attenzione per il naturale nella soffice resa della capigliatura impregnata di luce e nel paese, reso con un’atmosfera mai vista prima. La provenienza costituisce un elemento che esclude ulteriormente l'origine medicea del marmo verrocchiesco, che a più riprese è stata sostenuta. Il marmo è stato usato sapientemente per rendere la natura viva, c'è uno spunto fiammingo nella resa dei particolari (fiori, veste) e pare quasi una pittura monocromatica per la vitalità e il dinamismo sottile che l'artista è riuscito ad attribuire al marmo grazie alla luce che sfiora la superficie. Ginevra de' Benci era la figlia di Amerigo Benci, ricco banchiere, è stata identificata nel ritratto grazie alla presenza, sullo sfondo, di fronde verdi di ginepro, che alludono al suo nome. È risaputo che il dipinto venne tagliato, originariamente le proporzioni del ritratto non dovevano essere molto dissimili da quelle della Gioconda. Le mani dovevano essere in una posizione emblematica, come nei più famosi ritratti di Leonardo e, secondo alcune testimonianze dell'epoca, dovevano assomigliare nella posa a quelle della Dama del mazzolino di Verrocchio. Adorazione dei Magi 1475. Botticelli Galleria degli Uffizi, Firenze Sandro Botticelli allestisce un'Adorazione dei Magi mettendo il gruppo di Maria e di Cristo fanciullo entro un fabbricato in rovina al centro del dipinto. La tavola fu commissionata in origine per la cappella di Gaspare del Lama (amico dei Medici) in Santa Maria Novella, dall’omonimia tra committente e uno dei Magi si spiega la scelta del soggetto. | Medici sono omaggiati con una serie di ritratti: si riconosce Cosimo il Vecchio nel mago anziano inginocchiato ai piedi di Cristo, i figli Piero il Gottoso e Giovanni nei Magi chinati sotto, i nipoti Lorenzo e Giuliano rispettivamente nel giovane pensoso nel gruppo di destra e in quello in primo piano all'estremità sinistra. Botticelli si ritrae nel giovane togato in giallo che ci guarda. Per Vasari è un'opera mirabilissima per colorito, disegno e composizione. Botticelli si affida alla recitazione dei suoi attori, l'effetto è comunque meno concitato che nell’Adorazione di Leonardo e le figure sono costruite con netti contorni, elemento che deriva dall'influenza del Pollaiolo (anche Botticelli pare abbia iniziato ad esercitarsi con l’arte del disegno nella bottega di un orafo). Madonna della scala Battaglia dei centauri 1490-92 1490-92 Michelangelo Michelangelo Museo di Casa Buonarroti, Firenze Museo di Casa Buonarroti, Firenze Una delle opere di esordio di Michelangelo nella scultura, l'ispirazione donatelliana è evidente nell'utilizzo del rilievo “stiacciato”, nei panni aderenti alle forme della figura della Vergine seduta di profilo, nelle figure dei bambini, dal muscoloso Cristo che ci volta le spalle sulle ginocchia della madre a quelli della scala in secondo piano, utile anche rendere la profondità dello spazio. A indirizzare Michelangelo allo studio di Donatello fu Bertoldo di Giovanni, custode del giardino di San Marco e ultimo allievo e assistente del maestro. E’ un evidente omaggio allo stiacciato di Donatello anche nell'iconografia, a partire proprio dal motivo della scala con gradini pronunciati e corrimano in scorcio, visibile ad esempio nel Banchetto di Erode. Immagine dal significato intuitivo e cioè che i devoti fedeli della Madonna per mezzo della sua intercessione, come per una scala, saliranno in Cielo. In questo rilievo Michelangelo sperimenta un linguaggio distante da quello donatelliano; l'opera è scolpita in un pezzo di marmo offerto da Lorenzo il Magnifico, seguendo per quanto riguarda il soggetto un suggerimento di Poliziano. Vasari sottolinea che tale opera è di una qualità tale che non sembra lavoro di un giovane. Il tema della battaglia è un espediente per studiare il movimento e le pose dei corpi in lotta, richiama soggetti cari alla scultura antica e in particolare ai sarcofagi. Il rilievo non è mai stato finito, sia nella cornice sia in alcune delle figure: un vero proprio groviglio di nudi, una zuffa di cui difficile comprendere l'inizio la fine e solo un centauro disteso a terra in primo piano giustifica titolo dell’opera. Michelangelo doveva essersi avvicinato a Benedetto da Majano, rinuncia allo stiacciato donatelliano e fa concretamente emergere dal fondo delle figure solide, volumetriche e carnose. Opera di poco posteriore alla Madonna della Scala, il soggetto narrato deriva da Ovidio che narra di come i centauri, divenuti ubriachi e libidinosi, rovinavano la festa di nozze dei lapiti da cui erano stati invitati, distruggendo tutto e rubando le loro mogli. A parte l'ispirazione mitologico-letteraria è chiaro che all'artista interessava soprattutto esplorare il tema del nudo umano, analizzato in pose diverse e in differenti situazioni di tensione muscolare, che divenne in seguito uno dei temi più peculiari della sua arte, basti pensare al Giudizio Universale. Studio Bacco 1488-95 1496-97 Michelangelo Michelangelo Gabinetto dei disegni e delle stampe, Monaco Museo Nazionale del Bargello, Firenze Anche il giovanissimo Michelangelo si esercitò disegnando le figure affrescate da Masaccio nella cappella Brancacci: rimane un disegno in cui Michelangelo ha ricopiato la figura ma se cerca di San Pietro in atto di pagare il tributo, quasi volesse già imparare come permeare di valori plastici un dipinto su parete. Michelangelo scolpì questa statua appena giunto a Roma, fu Raffaele Riario a commissionara e fu compiuta tra il 1496 e il 1497; passò molto presto nelle mani del banchiere fiorentino Jacopo Galli, amico e protettore di Michelangelo Roma, il quale la espose nel suo giardino, in mezzo una serie di statue antiche. Il Bacco appare come una statua di assoluto gusto archeologico, dalla forma e aspetto che corrisponde in ogni parte all'intenzione degli antichi (come scrive Ascanio Condivi nella biografia di Michelangelo, si vede che qui l’artista ha ulteriormente approfondito lo studio dell’antico). La faccia è lieta, gli occhi biechi e lascivi, come quelli di chi ha abbondato con il vino. Ha nella dx una tazza e nel braccio sx una pelle di tigre, animale a lui dedicato. Con la mano sx tiene un grappolo d'uva e un satiro giovanissimo prova a mangiarlo ai suoi piedi; il satiro mostra circa sette anni, il Bacco diciotto. L'opera, una delle pochissime di Michelangelo a soggetto profano, venne commissionata dal cardinale Raffaele Riario durante il primo soggiorno romano. ll Riario era stato oggetto della truffa del Cupido dormiente, spacciato per un reperto archeologico di scavo e, dopo aver scoperto l'inganno, andò su tutte le furie ma mandò anche un suo agente, Jacopo Galli, a cercare a Firenze l'autore del pezzo così magnificamente contraffatto. Riuscì a risalire a Michelangelo che, probabilmente ignaro della truffa, venne comunque a Roma dove gli fu commissionato il Bacco. Con effetti illusivi e tattili nel marmo che rendono l'opera in grado di gareggiare con i modelli della scultura ellenistica. La posa a contrapposto è vivace e sciolta, il volto espressivo, la sensualità evidente. Nel complesso non hanno equivalenti nell'arte del tempo. Pietà 1498-99 Michelangelo San Pietro, Roma Opera realizzata dopo il Bacco, il 27 agosto 1498 il cardinale Jean Bilheres de Lagraulas, ambasciatore francese a Roma, stipula il contratto con il quale Michelangelo si impegnava a realizzare una Pietà di marmo a grandezza naturale per la cappella di Santa Petronilla in San Pietro, cara ai re di Francia. Michelangelo aveva già a disposizione il blocco di marmo, scelto a Carrara sul finire del 1497 e la pietà fu ultimata e sistemata il 6 agosto 1499, stesso giorno in cui moriva suo committente. Il soggetto della Madonna con il Cristo morto sulle ginocchia deriva dai Vesperbilder nordici, anche se la differenza formale tra questa tipologia e la pietà michelangiolesca è abissale. Vasari dice che in questa opera si scorge tutto il valore e il potere dell'arte, fra le cose belle che vi sono spiccano i panni divini della Madonna e il corpo del Cristo morto, nudo e tratteggiato con ricchezza di dettagli nei muscoli, nelle vene, nei nervi. Michelangelo volle che la pietà apparisse scolpita ex uno lapide, cioè "in un sol sasso", allo stesso modo delle statue antiche descritte da Plinio il vecchio nella Naturalis Historia (vuole fare intendere che il topos è ancora vivo). Il gruppo scultoreo reca una firma che Vasari dice apposta rapidamente di notte, giacché i pellegrini tendevano a scambiarne l’autore: si firma con il verbo “faciebat” e non il consueto “fecit”, vuole alludere alla perenne perfettibilità dell'arte, recuperando una tipologia di firma adottata nell'antichità. | volti avvenenti del Cristo e della Vergine, che Michelangelo raffigura giovanissima (suscitando qualche critica) sembrano richiamarsi al culto per la bellezza ideale del neoplatonismo laurenziano; il volto giovane della Madonna (diversamente dall’iconografia stabilita) simboleggia purezza e verginità oltre che l'immortalità della chiesa, intermediaria tra uomini e Dio. Madonna del Magnificat Compianto su Cristo morto Compianto su Cristo morto 1483-85 1490-92 1490-92 Sandro Botticelli Botticelli Botticelli Galleria degli Uffizi, Firenze Museo Poldi Pezzoli, Milano Alte Pinakothek, Monaco Si pensa che l’opera sia stata commissionata dai Medici, in particolare il numero e la composizione dei personaggi raffigurerebbe la famiglia di Piero de' Medici: la moglie come Maria, il giovane con il calamaio Lorenzo il Magnifico, accanto a suo fratello Giuliano mentre le due sorelle maggiori sorreggono la corona; il bambino in fasce sarebbe la piccola figlia di Lorenzo, Lucrezia. Colori preziosi e brillanti, la linea di contorno nitida e chiara, l'eleganza lineare, il disegno impeccabile caratterizzano la tavola e sono tutte caratteristiche mutuate dall'esempio di Filippo Lippi, primo maestro di Botticelli. Dal Lippi deriva anche l'ideale della malinconica e perfetta bellezza della Vergine, come nella celebre Lippina, anche se Botticelli conferì alla sua Madonna un tono più aristocratico e irraggiungibile. Quest'opera, in origine doveva far parte di una pala di un altare funerario nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Firenze, Nel Seicento, l’altare venne distrutto e la pala di cui faceva parte riapparve circa duecento anni dopo nella collezione di Gian Giacomo Poldi Pezzoli. Stilisticamente, l’opera è collocabile nell'ultima fase della produzione artistica di Botticelli, caratterizzata soprattutto dall'abbandono del realismo delle figure a favore della forte ed incisiva espressività. Nessuno dei personaggi presenti nella composizione, ha lo sguardo rivolto verso Cristo: c'è chi ha gli occhi chiusi, o chi volge lo sguardo altrove. | colori utilizzati da Sandro Botticelli sono soprattutto quelli primari, forti e densi. Dipinto realizzato per San Paolino, pala d'altare di un rigore assoluto che mostra il cambiamento di Botticelli. Abbandonati i temi profani e lo spirito neoplatonico, mantiene il suo carattere bidimensionale per realizzare sulla macchia scura dell'antro roccioso che ospita il sepolcro di Cristo le figure di dolenti, avvilite sul corpo senza vita di Gesù. Ci sono anche i santi Girolamo, Paolo e Pietro, riconosci! dagli attributi. L'aspetto è cupo e funereo, rispecchia il clima creato dai sermoni di Savonarola (giustiziato in Piazza della Signoria nel 1498 per ordine di Papa Alessandro VI Borgia). Si tratta della stessa composizione del Compianto di Milano, con la differenza che qui è svolta su un formato orizzontale, che permette una strutturazione più distesa e meno compatta dei personaggi. Il corpo di Cristo è inoltre maggiormente inarcato e pende abbandonato sulle gambe di Maria, risaltando come una statua sul mantello nero della Madonna. Natività mistica 1501 Botticelli National Gallery, Londra L'opera è l'unica firmata e datata da Botticelli; nonostante ciò la sua storia è piuttosto oscura. Si pensa che fosse originariamente destinata alla devozione privata di qualche famiglia nobiliare fiorentina ed è spesso citata come ultimo capolavoro dell'artista, prima di un periodo di inattività prima della morte, testimoniato anche da una lettera a Isabella d'Este del 1502. Il soggetto della tela è la natività di Cristo, interpretata come un'adorazione del Bambino da parte di Maria con Giuseppe, dei pastori e dei Magi tra cori angelici. Sopra la tettoia tre angeli, con le vesti che ricordano i colori delle tre Virtù teologali. Cappella Sistina 1481-82 Artisti vari Palazzi Vaticani, Città del Vaticano A Sisto IV si deve l'idea di corredare il palazzo apostolico di una nuova cappella, uno spazio assai esteso destinato ancora oggi ad ospitare importanti celebrazioni liturgiche. All'esterno appare come un poderoso e austero involucro in mattoni, mosso da una merlatura; si tratta di un'architettura molto semplice che si attribuisce al fiorentino Baccio Pontelli e che sappiamo essere stata innalzata, verso il 1477-1481, sotto la direzione di Giovannino de Dolci (entrambi fiorentini). L'interno è pieno di colori, dal pavimento in marmo fino alla volta: intorno al 1481-1482 la cappella fu completamente affrescata secondo uno schema ben preciso suddiviso su vari registri. In basso una zoccolo con finti arazzi, quindi una serie di riquadri narrativi nel secondo registro e poi, in quello successivo, ai lati dei finestroni, figure di papi disposti entro nicchie illusionistiche; la volta era decorata con un cielo stellato (secondo un gusto tipicamente medievale, si veda la Cappella degli Scrovegni ad opera di Giotto) ad opera di Pier Matteo d’Amelia e oggi sostituito dal ciclo di Michelangelo (che cancellò anche gli affreschi della della parete terminale con il suo Giudizio Universale. Si persero l'Assunzione della Vergine con il ritratto di Sisto IV e gli episodi della Nascita di Mosé e della Natività di Cristo, scene iniziali della storia che si dipana sul secondo registro). Sul secondo registro sono raccontati da un lato la vicenda di Mosé (sx), uno degli eroi dell'Antico Testamento e dall'altro quella di Cristo (dx), il protagonista del Nuovo Testamento, non senza rimandi tra una parete l'altra; Mosé, in quanto guida del popolo eletto, è una prefigurazione di Gesù, che a sua volta trova continuità attraverso San Pietro nella figura del Papa, quale legittima autorità del popolo cristiano. Il 27 ottobre 1480 Botticelli, con altri importanti pittori fiorentini, partì alla volta di Roma dove era stato chiamato su consiglio di Lorenzo il Magnifico quale "ambasciatore" della superiorità culturale cittadina, in un progetto di riconciliazione con papa Sisto IV. | fiorentini iniziarono a lavorare alla cappella almeno dalla primavera del 1481, affiancandosi al già presente Perugino. Il tema della decorazione era il parallelismo tra le Storie di Mosè e quelle di Cristo, che evidenziasse la continuità tra Vecchio e Nuovo Testamento e la trasmissione della legge divina dalle tavole della Legge al messaggio evangelico di Gesù, il quale poi scelse san Pietro come suo successore, legittimando il potere, la supremazia e l'infallibilità dei suoi successori, cioè i pontefici stessi. Sposalizio della Vergine Sposalizio della Vergine 1503-04 Perugino 1504 Raffaello Musée des Beaux Arts, Caen Pinacoteca di Brera, Milano Dipinto realizzato per il Duomo di Perugia, nella cappella dove era custodito l'anello che si sarebbero scambiati Giuseppe e Maria. Il gruppo di attori sul proscenio e il pavimento prospettico che conduce al tempio a pianta centrale in lontananza fa tornare alla mente la consegna delle chiavi che il maestro realizza per la Cappella Sistina; rispetto all'opera del suo allievo Raffaello, i personaggi paiono disporsi rigidamente l'uno accanto all'altro, come a costituire una barriera. La composizione del dipinto richiama la Consegna delle chiavi che Perugino aveva affrescato circa vent'anni prima nella Cappella Sistina: ricorre infatti nello sfondo il grande edificio ottagonale a pianta centrale (simbolo del Tempio di Gerusalemme), alla fine di un pavimento a riquadri prospettici, che amplifica la scena in primo piano secondo un ideale di razionalità geometrica che è diventato tra gli emblemi del Rinascimento italiano. Parla di dimensioni piuttosto ridotte realizzata per la cappella dedicata a San Giuseppe che la famiglia Albizzini possedeva nella chiesa di San Francesco a Città di castello. Reca la firma dell'artista, accompagnata dalla data 1504; Raffaello si muove ancora sulle orme del maestro Perugino (che gli procura le prime importanti commissioni in Umbria) e l'impianto ricorda la Consegna delle chiavi realizzata da quest'ultimo per la Cappella Sistina e la medesima opera da lui realizzata. Rispetto al maestro le forme dell'edificio spiccano con maggior evidenza, in quanto Raffaello ha alzato il punto di vista e atteggiati personaggi in primo piano con maggiore libertà. Per quest'opera Raffaello si ispirò a un'analoga tavola che proprio in quegli anni Perugino stava dipingendo per il Duomo di Perugia, vedendola in tutta probabilità in una fase ancora intermedia. Nell'opera è assente il pathos, tipico di Michelangelo, per lasciare il posto a un'impostazione classica, in cui le figure sono aggraziate e impostate. Se in Perugino il tempio è semplicemente uno sfondo, grandioso ma semplicemente giustapposto come una scenografia, per Raffaello esso è il centro ottico dove convergono le direttrici, nonché il fulcro di tutto lo spazio, che si sviluppa in maniera circolare attorno ad esso, fino a coinvolgere il paesaggio di colline. Santa Maria presso San Satiro 1482 Donato Bramante Milano Bramante, artista urbinate trasferitosi in area lombarda nel 1477-79, fu coinvolto nel cantiere di Santa Maria presso San Satiro, poco lontano da Piazza del Duomo. Bramante seppe utilizzare la prospettiva per risolvere un problema di spazio: la muraglia in fondo alla chiesa era infatti priva della superficie necessaria al prolungamento del coro e dell'abside. Così Bramante ricavò al centro della parete un vano illusionistico di soli 90 cm e fu capace di fingere, grazie all'uso della prospettiva, una profondità di molti metri. Da lontano l'occhio è ingannato e si ha la sensazione che dietro l’altare si estenda un coro capiente, coronato da un'imponente arcata a lacunari, che ricorda la Pala Montefeltro di Piero della Francesca. La costruzione della chiesa fu intrapresa alla fine del Quattrocento per volere del duca Gian Galeazzo Sforza e più tardi proseguita da Ludovico il Moro come parte di un ambizioso programma di rinnovamento delle arti nel ducato. La chiesa, costruita inglobando il più antico sacello di San Satiro da cui prese il nome, è celebre per ospitare il cosiddetto finto coro bramantesco, capolavoro della pittura prospettica rinascimentale italiana. Sulla derivazione della caratteristica pianta esistono molte ipotesi: dall'oratorio carolingio di Germigny-des-Prés, a influssi bizantini o addirittura armeni; tuttavia l'ipotesi più accreditata è che il modello della pianta del sacello fosse una delle cappelle della milanese basilica di San Lorenzo. Tempietto di San Pietro in Montorio Codice B Sala delle Asse 1502 ca Donato Bramante Donato Bramante 1498 Leonardo Roma Institut de France, Parigi Castello Sforzesco, Milano Lo scarto tra le opere del periodo lombardo e quelle del periodo romano (Bramante decise di andarsene da Milano con l’arrivo dei francesi nel 1499) è evidente con il tempietto di San Pietro in Montorio, edificio a pianta centrale innalzato nel luogo in cui San Pietro avrebbe subito il martirio, al centro del chiosco del convento francescano di San Pietro in Montorio, sul colle del Gianicolo. Il tempietto venne terminato nel 1506, quando già Bramante si stava occupando della prestigiosa impresa di costruire una nuova basilica di San Pietro, per ordine di papa Giulio Il. Pur non avendo dimensioni eccessive, si distingue per la misura monumentale e un aspetto sobrio e classico. Bramante adotta l'ordine dorico per i capitelli e una successione di triglifi e metope rievoca un antico mausoleo, costituito da una galleria anulare esterna e da un vano centrale sormontato da una cupola, che ricorda quella del Pantheon. Bramante traduce in realtà i templi a pianta centrale dipinti in quegli anni da Raffaello e Perugino. La costruzione fu commissionata al Bramante dal Re di Spagna come scioglimento di un voto. Fin dall'epoca della costruzione l'opera ebbe grande fortuna critica. Il piccolo edificio doveva celebrare il martirio di san Pietro che secondo una tradizione piuttosto tarda era avvenuto proprio sul Gianicolo; Palladio e altri architetti la reputarono degna di figurare accanto alle opere degli antichi ed influì direttamente o indirettamente su molte opere architettoniche successive. Lo spazio è coperto con una cupola, progettata in conglomerato cementizio (alla maniera degli antichi) e posta su di un tamburo ornato da lesene che continuano quelle del registro inferiore, ma sono prive degli attributi dell'ordine architettonico. Eccezionale testimonianza della presenza di Leonardo da Vinci (1452-1519) alla corte sforzesca, la Sala delle Asse è l'ambiente più illustre del Castello. Ornata di affreschi a motivi araldici per Galeazzo Maria Sforza, la sala ha ricevuto sotto Ludovico il Moro la celebre decorazione leonardesca, nel 1498. La Sala ospita una decorazione con Intrecci vegetali e gelsi, che creano un pergolato lungo tutta la volta, le vele e le lunette, le cui fronde partono da alberi dipinti lungo le pareti.
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