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Ruolo del rispecchiamento affettivo nello sviluppo emotivo dei bambini: teoria biofeedback, Appunti di Psicologia Clinica

La teoria del biofeedback sociale e il ruolo del rispecchiamento affettivo dei genitori nel sviluppo emotivo dei bambini. Come la comunicazione affettiva dei genitori influenza la qualità degli stati affettivi del bambino, il riconoscimento e le reazioni auto-regolative. Viene inoltre discusso come il processo di ancoraggio referenziale ai propri stati emotivi sia fondamentale per lo sviluppo di rappresentazioni coscienti delle emozioni.

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 28/06/2018

Elmigl
Elmigl 🇮🇹

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Scarica Ruolo del rispecchiamento affettivo nello sviluppo emotivo dei bambini: teoria biofeedback e più Appunti in PDF di Psicologia Clinica solo su Docsity! PARTE SECONDA: LE PROSPETTIVE EVOLUTIVE 3. La teoria del bio-feedback sociale del rispecchiamento affettivo: lo sviluppo della consapevolezza emozionale e del controllo del sé nell’infanzia Lo sviluppo emozionale nella prospettiva della teoria della mente. Alcuni filosofi e psicologi dello sviluppo cognitivo hanno indagato come i bambini arrivano a identificarsi con gi altri ed attribuire stati mentali, sia agli altri che a se stessi; Dennet ha definito “intenzionalità” la strategia adattiva di attribuire stati mentali agli altri, importante soprattutto per prevedere il comportamento altrui. Attualmente gli psicologi dello sviluppo cognitivo sostengono che già in età precoce i bambini sono in grado di attribuire stati mentali intenzionali agli altri (credenze, desideri) considerandoli cause delle loro azioni. I teorici della simulazione ritengono che gli esseri umani possono avere un accesso introspettivo diretto ai propri stati mentali interni, mentre possono solo inferire indirettamente quelli degli altri attraverso il mettersi nei loro panni. Viceversa altri autori sostengono che l’identificazione degli stati mentali propri e altrui sia sempre inferenziale. Verso la fine del primo anno si può assistere alla comparsa di un insieme di competenze comunicative nuove (il gesto indicativo, la modificazione dell’orientamento dello sguardo o il riferimento sociale) che sembrano indicare un nuovo livello di consapevolezza emozionale e l’inizio della comprensione, dell’attribuzione e del ragionamento sugli stati emozionali. Tra i 9 e i 12 mesi sono in grado di interpretare un comportamento altrui come diretto a uno scopo. Anche le emozioni vengono attribuite alle altre menti per spiegare e prevedere il comportamento degli altri. Le emozioni condividono molte proprietà rappresentazionali che caratterizzano gli stati mentali intenzionali; infatti, come le credenze e i desideri possiamo dire che un’emozione è riferita a qualche cosa, e possiamo attribuire quella informazione a una persona in modo da spiegare e prevedere il suo comportamento (ad es. se attribuiamo rabbia ad un soggetto per aver perso il portafogli, possiamo crearci previsioni sul suo comportamento futuro). L’informazione disposizionale che le emozioni esprimono specifica che in certe circostanze una persona con una data disposizione emotiva tendenzialmente si comporterà in un certo modo (in termini proposizionali possiamo fare ragionamenti del tipo “se- allora”). Quando attribuiamo uno stato emozionale a qualcuno dobbiamo essere in grado di generare questi stati nella nostra mente. Le emozioni sono più facili da inferire in un’altra persona, perché tendono ad essere accompagnate da espressioni facciali. Ci sono evidenze su una probabile esistenza di un insieme di emozioni fondamentali che sono innate e universali; sulla base di ciò si potrebbe pensare che le emozioni siano tra i primi stati mentali che i bambini attribuiscono alle menti. La teoria del biofeedback e del rispecchiamento sociale. Secondo Meltzoff e Gopnik esistono meccanismi innati che consentono al bambino di attribuire degli stati emozionali agli altri sin dall’inizio della vita; partendo dall’idea che il neonato presenta un’abilità innata a imitare alcune espressioni facciali degli adulti. Hanno ipotizzato che quando il bambino imita l’espressione facciale altrui (legata ad un’emozione), attraverso connessioni bi-direzionali, gli si attiva automaticamente quell’emozione a livello corporeo. L’imitazione di un comportamento fa sì che lo stato mentale interiore di un’altra persona venga sperimentato come un proprio stato mentale. Altri ricercatori sostengono che gli stati affettivi sono indifferenziati durante i primi mesi di vita. Secondo Lewis e Michaelson durante la prima infanzia gli stati interni e i comportamenti affettivi non sono connessi. Viceversa secondo Meltzoff e Gopnik (posizione innatista) già dall’infanzia vi è un collegamento fra l’espressione dell’emozione e la sensazione specifica che viene avvertita nel corpo (intersoggettività primaria); essi sostengono che i bambini già dalla nascita hanno un accesso introspettivo diretto agli stati emozionali interni e la comprensione degli stati mentali dell’altro e del sé è simultanea. Comunque il modello Meltzoff- Gopnik appare distorto da presupposti innatisti. La sensibilità iniziale agli stimoli interni ed esterni: non c’è evidenza del fatto che il contenuto dell’emozione sia accessibile già alla nascita; quindi altri studiosi ritengono che il contenuto delle emozioni è appreso osservando le manifestazioni espressivo- affettive degli altri, le situazioni che le provano e gli esiti che le accompagnano. L’idea attualmente più condivisa è che all’inizio della vita il sistema percettivo è predisposto a prestare attenzione, esplorare il mondo e rappresentarlo sulla base di stimoli esterocettivi (stimoli che provengono dall’esterno). Quindi le sensazioni che il bambino avverte nel proprio corpo quando si trova in uno stato emotivo, non riesce a riconoscerle come effetto di un’emozione e percepirle coscientemente. Si pensa che il bambino diventi consapevole dei suoi stati interni a partire dalla predisposizione specie-specifica al rispecchiamento facciale e verbale delle espressioni emozionali, nel corso delle interazioni regolative tra genitore e bambino. Lo sviluppo emozionale nel primo anno di vita. A partire dagli studi di Darwin sembra esser confermata l’idea di un numero di emozioni fondamentali innate (tra cui gioia, rabbia, paura, tristezza, disgusto, sorpresa); esse si presentano nelle diverse culture, sono associate ad espressioni facciali e a determinati schemi di risposta fisiologica. La prospettiva bio-sociale sostiene che la madre gioca un ruolo attivo vitale nel modulare gli stati affettivi del bambino, mentre i bambini possiedono alcuni mezzi rudimentali di autoregolazione ( voltarsi a stimoli o la suzione del pollice). Il bambino è istintivamente portato a esternalizzare i propri stati affettivi a livello comportamentale, mentre il caregiver dovrebbe saper leggere queste manifestazioni emozionali e dovrebbe sintonizzarsi con queste per modulare lo stato affettivo del bambino. Ci sono delle evidenze sul fatto che il bambino è in grado di differenziare alcune emozioni facciali , ad esempio i dati provenienti dal paradigma del volto immobile: dopo i tre mesi i bambini reagiscono cercando di attirare l’attenzione della madre o distogliendo lo sguardo, quando l’interazione faccia a faccia madre-bambino viene interrotta nella fase in cui la madre sospende l’azione e rimane con il volto immobile. Esistono prove che attività di confronto imitativo è frequente nelle interazioni madre- bambino; inoltre, il comportamento imitativo materno avoca nei bambini di tre mesi più sorrisi e vocalizzi. Alcuni ricercatori hanno proposto che, nel corso del primo anno di vita, il rispecchiamento facciale e vocale del comportamento affettivo può essere la caratteristica centrale nella regolazione delle emozioni durante le interazioni genitore-bambino. Le madri reagiscono con diverse sintonizzazioni facciali alle espressioni delle emozioni dei bambini; inoltre, le espressioni di tristezza e rabbia dei bambini producono risposte simili nelle loro madri. Le madri depresse manifestano minori interazioni affettive, una maggiore intrusività e una maggiore espressione di affetti negativi, con ripercussioni sullo stile di attaccamento che avrà il bambino. Questi dati sono a supporto dell’idea che il rispecchiamento materno sia un importante fattore nello sviluppo precoce emotivo e della personalità. La qualità degli stati affettivi, il loro riconoscimento e le reazioni auto regolative del bambino sono influenzate dalle caratteristiche della comunicazione affettiva dei suoi genitori. Verso la fine del primo anno si assiste alla comparsa di competenze comunicative nuove che sembrano indicare un nuovo livello di consapevolezza emozionale e l’inizio della comprensione, dell’attribuzione e del ragionamento sugli stati emozionali. Un primo segno di controllo volontario dell’espressione delle emozioni deriva dall’osservazione del comportamento dei bambini evitanti alla Strange Sitution ( a un anno di età). Alla separazione dalla madre i bambini sopprimono automaticamente l’affetto negativo indotto dalla separazione, la cui presenza è però indicata dall’aumento della frequenza cardiaca e dal livello di cortisolo. Sempre alla fine del primo anno emerge un’altra forma di autoregolazione strumentale data dalla comparsa del riferimento sociale, il bambino tende a valutare l’espressione facciale del genitore e utilizza questa informazione emozionale per regolare il proprio comportamento. Per alcuni questo è uno dei primi segni della comparsa, nel bambino, della teoria della mente, perché comporta l’inferenza e l’attribuzione di uno stato mentale al genitore. Sembra che alla fine del primo anno i bambini possano già fare di più del semplice “essere” in uno stato emotivo e reagire in modo affettivo alle manifestazioni emotive altrui: essi sono in grado di attribuire emozioni agli altri e usare questa informazione per ragionare sul loro comportamento. Questo sembra implicare che i bambini sono già in grado di rappresentarsi coscientemente il contenuto disposizionale di almeno alcuni stati emotivi di base. I livelli delle rappresentazioni degli stati del sé: processi automatici e volontari. Esistono delle dicotomie nella teoria cognitiva, inerenti i livelli qualitativamente diversi di rappresentazione dell’informazione negli esseri umani, come conscio/inconscio; implicito/esplicito e automatico/controllato. I processi automatici fanno riferimento a strutture di organizzazione del comportamento geneticamente predeterminate o prodotte da un apprendimento ripetuto in cui l’informazione è rappresentata a livello implicito e non è disponibile a livello di rappresentazione mentale cosciente; si tratta di automatismi inflessibili e orientati percettivamente. Viceversa, i processi deliberati o controllati si riferiscono alle operazioni volontarie e coscienti che sono flessibili e modificabili. Essi possono essere governati da scopi cognitivi e possono imporsi agli automatismi. Possiamo considerare le emozioni primarie (innate) dei bambini come automatismi di cui inizialmente egli non ha controllo, secondaria. La comparsa di uno stato emotivo avrà come conseguenza l’attivazione automatica, a livello di esperienza consapevole del bambino, di questa rappresentazione secondaria dell’emozione di tipo “proto simbolico”, permettendogli di attribuire a se stesso lo stato emotivo disposizionale. L’inclinazione istintiva dei genitori a presentare ai loro bambini manifestazioni marcate di rispecchiamento, ha tre conseguenze evolutive: 1) il bambino giungerà ad identificare gli insiemi di indizi che sono indicativi delle diverse categorie dei propri stati emotivi; 2) stabilirà delle rappresentazioni secondarie che gli consentiranno di accedere agli stati emotivi e di attribuirli a sé; 3) acquisirà un codice comunicativo generalizzato di espressioni marcate caratterizzate da funzioni rappresentazionali di sdoppiamento referenziale, di ancoraggio e sospensione delle conseguenze comportamentali a livello di realtà. La sintonizzazione affettiva dal punto di vista della teoria del bio-feedback sociale. Stern ha proposto una sua teoria riguardante il ruolo dei comportamenti di rispecchiamento genitoriale nello sviluppo emozionale precoce. Come nella teoria del bio- feedback sociale, Stern ritiene che le manifestazioni di rispecchiamento affettivo dei genitori hanno un’influenza significativa sullo sviluppo del sé e sull’autoregolazione affettiva del bambino. Secondo Stern di solito prima dei 9 mesi il caregiver fornisce una semplice replica imitativa del comportamento del bambino, mentre dopo i 9 mesi è predominante la sintonizzazione affettiva la cui funzione è la “comunione interpersonale”, ovvero, l’essere partecipe dell’esperienza affettiva interna del bambino. Come se le madri intuissero che a quell’età il bambino ha sviluppato una nuova prospettiva soggettiva (grazie all’attenzione condivisa, al riferimento sociale … ) che gli permette di essere un potenziale partner intersoggettivo. Tuttavia le madri si impegnano in comportamenti di sintonizzazione anche molto prima. Stern fa diversi esempi ad es. la madre può utilizzare il canale vocale per esprimere la sua sintonizzazione con l’esperienza interiore del bambino. Ciò che caratterizza la sintonizzazione è l’espressione trans modale dello stato affettivo percepito dal bambino. Il bambino percepisce una corrispondenza fra ciò che vede sul volto del modello e ciò che sente propriocettivamente sul proprio volto. La teoria del bio-feedback sociale basato sulla contingenza dei comportamenti genitoriali di rispecchiamento affettivo prende in considerazione, coerentemente con la teoria di Stern, tre caratteristiche: il tempo, l’intensità e la forma del comportamento di sintonizzazione. Attraverso le sintonizzazioni momentanee la madre può rinforzare selettivamente quei gesti affettivi del bambino che lei vorrebbe venissero ripetuti in futuro. Il modello del biofeedback sociale, a differenza di quello di Stern, presuppone che il bambino non abbia inizialmente la consapevolezza degli stati interni affettivi e propriocettivi che si accompagnano al suo comportamento. La sintonizzazione presenta al bambino una versione esterna contingente al suo comportamento; di conseguenza, il bambino si formerà una rappresentazione delle caratteristiche rispecchiate che verrà poi associata, grazie alla contingenza, alla sua rappresentazione inconscia del suo stato interno, della sua attività in corso. Tale modello identifica il rispecchiamento contingente come l’informazione di base per la ri-rappresentazione della struttura interna delle rappresentazioni primarie inconsce. Inoltre, la condivisione dello stato interno viene vista come una funzione secondaria dei comportamenti di sintonizzazione e avviene più tardi nello sviluppo (rispetto all’idea di Stern). L’ipotesi “proprio come me “ di Meltzoff e Gopnik: secondo Meltzoff e Gopnik il neonato presenta un’abilità innata a imitare alcune espressioni facciali degli adulti. Essi sostengono che il bambino sia pronto a percepire delle corrispondenze trans modali tra ciò che vede nel volto della madre e ciò che sente propriocettivamente sul proprio volto. I movimenti del caregiver catturano l’attenzione del bambino perché vengono percepiti (attraverso la sua rappresentazione) come molto simili ai propri. Meltzoff ha effettuato uno studio sull’orientamento visivo, ed è emerso che i bambini guardavano e sorridevano con più frequenza all’adulto che li imitava rispetto ad un altro adulto le cui azioni erano solo contingenti con le sue. Secondo M. e G. è l’esperienza che i bambini fanno del “come me” a spiegare la loro preferenza per il modello adulto che li imita. Ma secondo la teoria del biofeedback sociale gli indizi sugli stati interni del bambino diventano percepibili da egli stesso solo dopo un periodo si sensibilizzazione prodotto dal rispecchiamento genitoriale. Secondo tale prospettiva il modello imitativo fornisce un’azione contingente di grado elevato ma comunque imperfetto. L’ipotesi del “quasi, ma chiaramente non del tutto come me”: da un attuale esperimento è emerso che il bambino verrebbe attratto dalla manifestazione del “quasi, ma chiaramente non del tutto come me” piuttosto che da quella del “proprio come me”. Invece di essere orientato verso forme di contingenza simili a sé (perfette) il bambino preferisce quelle fonti che differiscono da sé (imperfette). Implicazioni per la psicopatologia dello sviluppo e per gli interventi terapeutici: il rispecchiamento del caregiver permette la regolazione dello stato affettivo del bambino e lo aiuta a sviluppare rappresentazioni coscienti (secondarie) delle emozioni, grazie all’internalizzazione della funzione di regolazione affettiva materna. Il modello del biofeedback spiega il meccanismo psicologico sottostante alle descrizioni di Winnicott della funzione dell’holding materno, del modello di Kohut del rispecchiamento materno o del modello di Bion del contenimento materno. Winnicott e Bion sottolineano l’importanza dell’esperienza precoce di onnipotenza del bambino per uno sviluppo sano del sé. Secondo il modello del biofeedback il senso di onnipotenza infantile corrisponde al senso di efficacia causale e controllo generato da meccanismo di detenzione della contingenza durante le interazioni di rispecchiamento adattivo. Bion parla di funzione di reveire per indicare la dote materna di immedesimarsi con un pensiero empatico nei vissuti emotivi del piccolo restituendogli rielaborati. Il modello del biofeedback sociale sostiene che nello SVILUPPO NORMALE il caregiver modula l’affetto del bambino producendo manifestazioni marcate di rispecchiamento emotivo; grazie alla marcatura l’effetto espresso del bambino verrà sdoppiato dal genitore; successivamente, come risultato dell’elevato grado di contingenza tra lo stato emotivo del bambino e la manifestazione marcata di rispecchiamento affettivo, l’emozione verrà ancorata come appartenente al bambino ed egli stabilirà una rappresentazione separata dall’espressione marcata che verrà associata al suo stato emozionale. Il bambino riuscirà a creare una rappresentazione cosciente dell’emozione , grazie all’aver interiorizzato la rappresentazione marcata, ed erediterà il contenuto disposizionale dell’emozione già associato all’espressione emotiva reale del genitore. STILI DEVIANTI DI RISPECCHIAMENTO: 1) assenza di marcatura: assenza di modulazione; la madre reagisce all’espressione emotiva negativa del bambino in modo realistico perché ne viene sopraffatta. Conseguenze: la manifestazione emotiva del bambino non sarà sdoppiata dal genitore e quindi non verrà ancorata dal bambino; non verrà ad istaurarsi la rappresentazione secondaria (cosciente) dello stato emotivo primario del bambino (da questo derivano una carente percezione di sé e una scarsa autoregolazione affettiva); il bambino attribuirà l’affetto negativo al genitore e non a sé; intensificherà lo stato emotivo negativo e verrà prodotto un trauma piuttosto che il contenimento. L’esperienza prolungato di un rispecchiamento affettivo congruente da un punto di vista categoriale, ma non marcato nell’infanzia può portare allo stabilirsi dell’identificazione proiettiva come forma dominante di esperienza emozionale nello sviluppo della personalità borderline. 2) mancanza della congruenza categoriale: rispecchiamento genitoriale marcato, ma distorto dal punto di vista della categoria emozionale. Un atteggiamento genitoriale ipercontrollante e/o una percezione distorta a fini difensivi dell’affetto del bambino può produrre uno stile di rispecchiamento di questo tipo (ad es. l’eccitamento per il contatto fisico del bambino può essere percepito dalla madre come aggressione, ed ella può modulare questo affetto mal percepito nel suo bambino attraverso un rispecchiamento di aggressività). Conseguenze: il bambino attribuisce a se stesso un contenuto disposizionale dell’emozione che è incongruo con il suo stato emotivo; ciò determina lo sviluppo di rappresentazioni di sé distorte. Questo tipo di rispecchiamento deviante crea un nesso tra il modello del biofeedback sociale e il concetto di Winnicott di falso sé. Quando il caregiver non comprende i pensieri e i sentimenti del proprio bambino e rispecchia i propri stati interni anziché quelli del figlio, il sé del bambino finisce per imitare e compiacere i caregivers mettendo da parte i gesti creativi. L’esperienza emozionale priva di significato porta il soggetto ad esperire un vuoto e per riempirlo egli può ricercare altre figure esterne con cui fondersi , o ricercare esperienze fisiche ad es. la droga. Il bambino o l’adulto borderline non riescono a sentire di essere un sé se non in presenza di un altro come il terapeuta. Nello sviluppo normale due livelli di funzionamento rappresemtazionale sono: 1) la modalità di mentalizzazione dell’equivalenza psichica, ovvero un modello primitivo di funzionamento mentale in cui le sensazioni e le fantasie sono esperite come realtà; 2) la modalità del far finta, ovvero la consapevolezza della natura rappresentazionale delle esperienze. Affinchè si sviluppi la modalità del far finta, il bambino ha bisogno di sperimentare il rispecchiamento marcato dei suoi sentimenti e dei suoi pensieri ad opera di un’altra persona. Attraverso il rispecchiamento marcato, esagerando le manifestazioni emozionali del bambino, il caregiver fornisce al bambino una sensibilizzazione al biofeedback che gli permette di analizzare le relazioni di contingenza con l’evento-risposta. Riassumendo sono state identificate quattro funzioni evolutive del rispecchiamento genitoriale degli affetti: la funzione di sensibilizzazione come risultato dell’apprendimento di biofeedback, il bambino sarà in grado di identificare e raggruppare l’insieme di indizi che sono indicativi delle diverse categorie dei propri stati disposizionali emozionali.- la funzione di costruzione della rappresentazione stabilendo rappresentazioni distinte delle manifestazioni marcate di rispecchiamento genitoriale, contingenti con le proprie espressioni delle emozioni, il bambino stabilirà delle rappresentazioni secondarie (coscienti) che verranno associate con gli stati affettivi primari procedurali inconsci. In questo modo il bambino inizierà a ragionare sui propri stati disposizionali emozionali. – la funzione di regolazione delle emozioni durante il rispecchiamento empatico delle emozioni negative, come conseguenza dei tentativi del bambino di identificare il massimo grado di controllo contingente, il bambino ridurrà i propri comportamenti di espressione delle emozioni negative, riuscendo a regolare tali emozioni. L’elevato grado di controllo della contingenza produrrà un senso di efficacia causale e di attivazione positiva producendo un decremento dello stato affettivo negativo del bambino. – la funzione comunicativa e di mentalizzazione internalizzando le rappresentazioni secondarie marcate associate agli stato affettivi primari del sé, il bambino acquisirà il codice comunicativo generalizzato delle espressioni marcate, caratterizzato dalla funzione rappresentazionale di sdoppiamento referenziale, di ancoraggio referenziale e di sospensione delle conseguenze realistiche. Questo creerà una nuova modalità di mentalizzazione e di comunicazione degli stati affettivi; tale modalità dl “far finta”, fornirà al bambino dei potenti mezzi di rappresentazione, di autoregolazione e di espressione emozionale. 4. Lo sviluppo della comprensione del sé e del senso dell’essere agenti L’intersoggettività è un fenomeno emergente che si instaura attraverso processi interattivi precoci all’interno del contesto dell’attaccamento. Lo studio del sé come agente mentale è stato per diverso tempo trascurato; mentre si è prestata più attenzione al concetto di sé categoriale (“me” nella definizione classica di William James) che si riferisce alla rappresentazione dell’insieme delle caratteristiche che la persona ritiene essere vere rispetto a se stessa. L’influenza della dottrina cartesiana (la famosa frase “penso dunque sono”) ha portato alla convinzione che la conoscenza di sé come agente mentale è un dato innato, mentre si tratta di una capacità acquisita nel corso dello sviluppo. Il bambino nel corso dello sviluppo della conoscenza di sé acquista la comprensione di cinque livelli del sé agente (il sé come agente fisico; il sé come agente sociale; il sé come agente teleologico; il sé come agente intenzionale; il sé come agente rappresentazionale che porta alla comprensione del sé autobiografico). 1) IL SE’ COME AGENTE FISICO comporta la rappresentazione differenziata del corpo come entità dinamica separata che può causare dei cambiamenti fisici nell’ambiente. In passato si riteneva che i bambini fossero inizialmente incapaci di distinguere tra gli stimoli che appartengono al sé e quelli appartenenti all’ambiente, ma una serie di studi hanno dimostrato che i bambini già da molto piccoli possono identificare e differenziare il sé corporeo in relazione all’ambiente. Il riconoscimento del sé come agente fisico richiede l’individuazione di alcune relazioni causali: il sé come entità fisica dotata di una forza che è la fonte dell’azione e il sé come agente le cui azioni producono cambiamenti nell’ambiente. I bambini piccoli sono sensibili alle relazioni di contingenza tra le loro risposte fisiche e i conseguenti eventi stimolo. Watson e Bahrick hanno dimostrato che prima dei tre mesi i bambini preferiscono prestare attenzione alle fonti di contingenza perfetta. Per W. la funzione primaria di analisi della contingenza è l’autoidentificazione: individuano quegli stimoli sensoriali che sono perfettamente contingenti con le proprie risposte motorie, il bambino inizia a costituire una prima rappresentazione del sé fisico come oggetto distinto dall’ambiente. Dopo i tre mesi i bambini iniziano a rivolgere la loro attenzione verso fonti non perfettamente contingenti. Piaget ha sostenuto che a circa quattro mesi i bambini ripetono delle azioni orientate verso l’ambiente (reazioni circolari secondarie; es. il bambino può urtare per caso un sonaglio e allora ripetere quest’azione per il fascino che provoca in lui). Quindi durante i primi sei mesi di vita il bambino può rappresentarsi il proprio sé corporeo come oggetto differenziato nello spazio che può dar luogo a un’azione ed esercitare un effetto causale nel suo ambiente. Però solo verso gli otto-nove mesi i bambini iniziano ad organizzare, in modo razionale, il loro comportamento in relazione agli scopi e a rappresentarsi (prevedere) le azioni che servono a produrre gli stati desiderati (livello del sé inteso come agente teologico). rappresentazioni degli stati psicologici nelle menti dei bambini, degli adolescenti e degli adulti. La parola stato è utilizzata in generale, in riferimento agli affetti, all’elaborazione psichica simbolica, al livello di attivazione fisiologica. Il processo che permette di interpretare se stessi e gli altri (ovvero il comportamento proprio e altrui) in termini di stati mentali è definito mentalizzazione. Mentalizzare consiste nel concepire se stessi e gli altri come dotati di una mente, cioè come persone che agiscono in base a sentimenti, credenze, desideri e intenzioni. La mentalizzazione è la capacità individuale di elaborare o interpretare l’informazione relativa agli stati mentali, essenziale per funzionare in modo sociale pieno di tensioni. E’ il processo attraverso cui noi apprendiamo che la nostra esperienza del mondo è mediata dal fatto che possediamo una mente. La mentalizzazione è una capacità, un’abilità o un processo di ordine cognitivo, che tuttavia è profondamente influenzata da esperienze di natura affettiva, e specificatamente dalla precocissima relazione affettiva e regolativa fra il bambino e la figura di attaccamento. La funzione riflessiva rappresenta la traduzione in termini operativi del concetto di mentalizzazione. La mentalizzazione è intrinsecamente legata allo sviluppo del sé, all’elaborazione graduale della sua organizzazione interna, alla sua partecipazione alla società umana. La mentalizzazione, implica, sia una componente autoriflessiva sia una interpersonale. In modo combinato queste due componenti forniscono al bambino la capacità di distinguere la realtà interna da quella esterna, i processi mentali intrapersonali ed emozionali dalle comunicazioni interpersonali. L’esperienza che il bambino ha di se stesso come organismo dotato di una mente o di un sé psicologico non è un dato genetico. E’ una struttura che si sviluppa dalla prima infanzia in poi, e il suo sviluppo dipende in modo critico dall’interazione con menti più mature, la cui qualità sia benigna e riflessiva. L’autoriflessività così come l’abilità di riflettere sulle menti degli altri sono abilità da costruire, che evolvono (oppure no) nelle relazioni primarie. La funzione evoluzionistica delle relazioni oggettuali precoci è quella di fornire al bambino piccolo un ambiente, all’interno del quale la comprensione degli stati mentali negli altri e in se stesso possa avere pieno sviluppo. Nei termini del suo sviluppo la mentalizzazione comincia con la scoperta delle emozioni all’interno delle relazioni con l’oggetto primario. Centrale, rispetto a questo è il concetto di regolazione affettiva. La regolazione affettiva è la capacità di modulare gli stati affettivi. Ma gli stati affettivi stessi sono usati per regolare il sé: il concetto di affettività mentalizzata indica una capacità matura di regolazione affettiva e denota la capacità di scoprire i significati soggettivi dei propri stati affettivi. Il rispecchiamento affettivo del genitore è strumentale è strumentale alla promozione della capacità di regolazione affettiva, attraverso la capacità di una rappresentazione di secondo ordine degli stati affettivi costituitivi. L’immagine del caregiver che rispecchia l’esperienza interiore del bambino, organizza l’esperienza emozionale del bambino stesso. Le interazioni sintonizzate con il genitore implicano spesso il rispecchiamento affettivo, cioè l’uso, da parte del genitore dell’espressione facciale e vocale per rappresentare al bambino i sentimenti che il genitore stesso gli attribuisce, in modo da rassicurarlo e calmarlo, piuttosto che intensificare le sue emozioni. La teoria del bio-feedback sociale del rispecchiamento genitoriale esplora il modo in cui l’espressione automatica e le conseguenti espressioni facciali e vocali di rispecchiamento affettivo del caregiver vengono connesse tra di loro nella mente del bambino attraverso il meccanismo di detenzione della contingenza. Il forgiarsi di queste connessioni ha due effetti importanti: - i bambini cominciano ad associare il controllo che essi hanno sulle espressioni di rispecchiamento dei loro genitori con il risultante miglioramento del proprio stato emotivo., pervenendo infine a un’esperienza di sé come agenti regolatori; - lo stabilirsi di una rappresentazione di secondo ordine degli stati affettivi, getta le basi per la regolazione affettiva e il controllo degli impulsi. – le espressioni affettive del genitore che non sono contingenti con l’emozione del bambino indeboliranno l’appropriato etichettamento degli stati interni, che, a loro volta, sono sperimentati in un modo non simbolizzato e di difficile regolazione, rimanendo fonte di confusione. Affinchè il rispecchiamento affettivo serva come base di una cornice rappresentazionale, il caregiver deve in qualche modo indicare che la sua espressione non è reale: non è un’indicazione di come il genitore si sente. Questa caratteristica del comportamento di rispecchiamento del genitore è definita marcatura. Un’espressione che è congruente con lo stato del bambino, ma che manca di questa marcatura, può sommergere il bambino. Essa viene esperita dal bambino come ciò che il genitore realmente sente, facendogli sperimentare il proprio stato come contagioso o universale, e quindi ancora più minaccioso. La percezione da parte del bambino di un’emozione corrispondente ma realistica, probabilmente intensificherà piuttosto che regolare, il suo stato, portando al trauma piuttosto che al contenimento. Prima che avvenga il riconoscimento della matura rappresentazionale della mente umana la consapevolezza che il bambino piccolo ha degli stati mentali è caratterizzata dall’equazione tra interno ed esterno (equivalenza psichica): “ciò che esiste nella mia mente esister anche all’esterno e ciò che esiste fuori deve invariabilmente esistere anche nella mia mente”. L’esperienza ripetuta della regolazione affettiva attraverso il rispecchiamento, aiuta il bambino ad apprendere che i propri sentimenti non si riversano inevitabilmente sul mondo. Lo stato mentale del bambino è sdoppiato dalla realtà fisica. I bambini i cui genitori forniscono in misura maggiore un rispecchiamento appropriatamente marcato, sono facilitati in questo sdoppiamento. Al contrario, le espressioni dei genitori che a causa delle loro stesse difficoltà di regolazione emozionale vengono subito sommerse dall’emozione negativa del bambino e producono un’espressione emotiva realistica e priva di marcatura che disturba lo sviluppo della regolazione affettiva. Viene persa un’opportunità per apprendere la differenza tra stati mentali effettivi e rappresentati. Il rispecchiamento affettivo può intraprendere dei percorsi patologici perché il caregiver può essere sopraffatto dalla propria emozione negativa generata in risposta al bambino, e presentare un’espressione chiaramente realistica che è fonte di ulteriore attivazione nel bambino. Questo indebolisce non solo la capacità del bambino di crearsi una rappresentazione secondaria, ma anche il senso di confine tra il sé e l’altro, l’esperienza interna diventa improvvisamente esterna, attraverso un processo equivalente al contagio. Crediamo che tutto ciò corrisponda alle caratteristiche cliniche dell’identificazione proiettiva, la difesa abitualmente associata al disturbo borderline di personalità. Un’esperienza continuativa di questo tipo può avere un ruolo importante nell’istaurarsi dell’identificazione proiettiva, come forma dominante dell’esperienza emotiva, nello sviluppo della personalità borderline (come forma di organizzazione patologica probabile in tutti i disturbi gravi di personalità, piuttosto che da DSM). Un secondo tipo di struttura di rispecchiamento deviante è tale da predisporre al disturbo narcisistico di personalità. Quando il rispecchiamento affettivo è adeguatamente marcato, ma non contingente, nel senso che l’emozione del bambino è mal percepita dal caregiver, il bambino sperimenterà l’espressione di rispecchiamento affettivo che fornisce una rappresentazione del suo stato emotivo primario. Ma poiché questo rispecchiamento di stato è incongruo, la rappresentazione secondaria sarà distorta. Il bambino etichetterà in modo errato il proprio stato emotivo. La rappresentazione di sé non avrà legami stretti con il sottostante stato emotivo. Il sé si sentirà svuotato, perché riflette l’attivazione di rappresentazioni secondarie dell’emozione prive delle connessioni corrispondenti all’interno del sé costituzionale. Per sé costituzionale sono intese le esperienze individuali biologicamente associate all’espressività emozionale e alle manifestazioni temperamentali dell’affetto. Quando l’accudimento genitoriale è particolarmente ed estremamente insensibile e no sintonico, riteniamo che venga a crearsi una lacuna nel sé psicologico. Il bambino non riuscendo a trovare se stesso nella mente della madre, è forzato a interiorizzare la rappresentazione dello stato mentale dell’oggetto come parte nucleare del sé. Ma in questi casi l’altro interiorizzato rimane alieno e sconnesso dalle strutture costitutive del sé. Questa lacuna nel sé psicologico verrà colmata solo quando una psicoterapia sarà in grado di generare la mentalizzazione affettiva. La psicoterapia con individui le cui esperienze precoci hanno condotto a una compromissione della capacità di mentalizzare dovrebbe focalizzarsi sull’aiutare questi pazienti a costruire questa capacità d’interpretazione interpersonale. Lo scopo di una psicoterapia per questi individui è quello di rigenerare le connessioni tra la coscienza di uno stato affettivo e la sua esperienza a livello costituzionale. Abbiamo etichettato questo come affettività mentalizzata, un termine con il quale si vuole indicare la capacità di connettere il significato all’esperienza. L’attenzione focale sull’emozione assicura che le strutture di rappresentazione secondaria usate per pensare o riflettere sull’affetto siano riconnesse e che siano corrette le connessioni errate tra un certo tipo di espressione affettiva e un diverso affetto inconscio. Il concetto di affettività mentalizzata caratterizza la capacità adulta di regolazione affettiva, in cui si ha consapevolezza dei propri affetti mentre li si sperimenta. Tale affettività denota la capacità di comprendere i significati dei propri stati affettivi. LA TEORIA DEL BIOFEEDBACK SOCIALE DEL RISPECCHIAMENTO AFFETTIVO: LO SVILUPPO DELLA CONSAPEVOLEZZA EMOZIONALE E DEL CONTROLLO DI SE’ NELL’INFANZIA Molti studi di ricerca indicano che il bambino , nel corso del primo anno di vita, mostra un’innata tendenza a esprimere automaticamente i propri stati emotivi: - è sensibile alla struttura contingente della comunicazione affettiva faccia a faccia; - è in grado di discriminare schemi discreti di espressione facciale delle emozioni, - dipende in larga misura dalle interazioni di regolazione affettiva con i genitori per l’autoregolazione emozionale, - la qualità emergente dei suoi stati affettivi e le sue reazioni auto regolative sono fortemente influenzate dalle caratteristiche della comunicazione affettiva dei suoi genitori. Verso la fine del primo anno si può assistere alla comparsa di un insieme di competenze comunicative qualitativamente nuove che sembrano indicare un nuovo livello di consapevolezza emozionale e l’inizio della comprensione, dell’attribuzione e del ragionamento sugli stati emozionali. Separazione bambini evitanti ( soppressione automatica dell’affetto negativo indotto dalla separazione, la cui presenza è indicata dall’aumento della frequenza cardiaca e del livello di cortisolo. Un’altra forma di autoregolazione strumentale del comportamento affettivo è indicata dalla comparsa del riferimento sociale entro la fine del primo anno. Precipizio illusorio, il bambino valuta l’espressione facciale del genitore e utilizza questa informazione emozionale per modulare il proprio comportamento; per alcuni questo è uno di primi segni della comparsa, nel bambino, della teoria della mente, poiché comporta l’inferenza e l’attribuzione di uno stato mentale al genitore. Sembra che alla fine del primo anno i bambini possano già fare di più del semplice essere in uno stato emotivo e reagire in modo affettivo alle manifestazioni emotive delle altre persone: essi sono in grado di attribuire emozioni agli altri e usare questa informazione per ragionare sul loro comportamento. Questo sembra implicare che i bambini sono già in grado di rappresentarsi il contenuto disposizionale di almeno alcuni stati emotivi di base in una forma cognitivamente accessibile. I livelli di rappresentazione degli stati del sé: processi automatici e volontari. Ci sono una serie di dicotomie nella teoria cognitiva, inerenti i livelli qualitativamente diversi di rappresentazione dell’informazione negli esseri umani: - procedurale/dichiarativo, implito/esplicito, conscio/inconscio,automatico/controllato. I processi automatici fanno riferimento a strutture di organizzazione del comportamento geneticamente predeterminate o prodotte da un apprendimento ripetuto in cui l’informazione è rappresentata a livello implicito e non è disponibile ad altri sistemi rappresentazionali della mente. Questi automatismi sono inflessibili, orientati percettivamente, e operano fuori dalla coscienza. I processi deliberati o controllati si riferiscono alle operazioni volontarie e coscienti che sono flessibili e modificabili. Essi possono essere governati da scopi cognitivi di ordine superiore e possono imporsi agli automatismi. Le emozioni primarie del bambino possono essere concepite come automatismi comportamentali dinamici predeterminati di cui inizialmente egli non ha controllo. La regolazione affettiva viene realizzata principalmente dal caregiver che, leggendo le espressioni automatiche delle emozioni del bambino, reagisce con appropriate interazioni di modulazione affettiva. In questa prospettiva l’autocontrollo emotivo sarà possibile con lo stabilirsi di strutture di controllo secondario che: controllano, individuano e valutano i cambiamenti dinamici di primo livello negli stati affettivi dell’organismo; inibiscono o modificano la reazione emozionale, se la risposta affettiva automatica anticipata mette a rischio i piani cognitivi di ordine superiore. Una precondizione per il controllo volontario e per l’autoregolazione degli stati affettivi primari è che il livello dei processi deliberati riceva informazioni sui cambiamenti continui negli stati disposizionali dell’organismo che hanno luogo a livello dei processi automatici. All’interno di questo quadro, le emozioni coscientemente esperite, possono essere concepite come segnali che danno informazioni, a livello dei processi deliberativi, circa i cambiamenti automatici nello stato affettivo dell’organismo. Con lo stabilirsi delle rappresentazioni secondarie degli stati affettivi primari, questi ultimi verranno sottoposti a un’elaborazione rappresentazionale, come risultato dei processi di apprendimento che connettono l’espressione delle emozioni agli specifici tipi di situazioni e alle specifiche caratteristiche degli esiti comportamentali. A questo punto il contenuto disposizionale delle emozioni, che viene codificato nelle strutture rappresentazionali secondarie, diviene cognitivamente accessibile e può servire come base per la previsione dell’azione quando lo stato emotivo viene attribuito al sé o all’altro. Proponiamo che il rispecchiamento giochi un importante ruolo causale nell’istaurarsi delle rappresentazioni secondarie delle emozioni alla fine del primo anno di vita. Proponiamo che la presentazione ripetuta del rispecchiamento esterno delle manifestazioni dell’espressione affettiva del bambino costituisca un insegnamento vitale. Tale insegnamento ha come risultato la graduale sensibilizzazione agli indizi sugli stati
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