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Foreign Policy (theories, actors, cases), Sintesi del corso di Politica Internazionale

Riassunto dei capitoli assegnati per anno accademico 2019/2020 per esame di politiche estere comparate (capp. 1, 2, 3, 9, 11, 14, 16, 17, 23)

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019
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Scarica Foreign Policy (theories, actors, cases) e più Sintesi del corso in PDF di Politica Internazionale solo su Docsity! FOREIGN POLICY: THEORIES, ACTORS, CASES (S. Smith, A. Hadfield, T. Dunne) CAPITOLO 1: STORIA ED EVOLUZIONE DELL’ANALISI DELLA POLITICA ESTERA Introduzione Quali sono le origini dell’analisi sulla politica estera (FPA in inglese)? Possiamo trovare tre lavori paradigmatici riguardo la fondazione della FPA:  Richard Snyder: Processo decisionale come approccio allo studio delle politiche internazionali;  James Rosenau: “Pre-theories and theories of foreign policy”;  Harold e Margaret Sprout: Man-Milieu relationship hypothesis in the context of international politics. Snyder pose l’accento sul processo decisionale (decision making) della politica estera, in contrapposizione con i risultati della politica estera (outcomes). Il processo decisionale era visto come (?), con elementi come comunicazione, informazione e motivazioni dei vari attori in gioco. Rosenau invece incoraggiò lo sviluppo di una teoria a medio raggio, che dovrebbe mediare tra i grandi principi e la complessità della realtà. Ciò era possibile tramite esplorazioni statistiche aggregate. Harold e Margaret Sprout suggerirono che la comprensione della produzione della politica estera era fuorviata, e per spiegare gli impegni bisogna guardare all’ambiente psicologico degli individui, ovvero il contesto internazionale come viene percepito dai decisori. Il messaggio di questi tre lavori è stato fondamentale per molti studiosi per capire meglio le scelte di politica estera. Scuola di pensiero dell’FPA classico (1954-1993) La seconda generazione sull’analisi classica della politica estera comprende diverse scuole di pensiero: la prima è costituita da gruppi di processi decisionali. Snyder e i suoi colleghi hanno enfatizzato il processo e la struttura dei gruppi che prendono decisioni in ambito di politica estera. Il lavoro più importante è quello di Irving Janis, che con “Vittime del Pensiero di Gruppo” iniziò questa tradizione di ricerca: la motivazione di mantenere il consenso del gruppo può causare il deterioramento della qualità del processo decisionale. Successivamente si passò oltre il pensiero di gruppo, per rifinire ed aiutare la comprensione di processi a piccoli gruppi. Questo primo periodo ha visto, oltre ai gruppi, anche la presa in esame dell’influenza dei processi organizzativi e delle politiche burocratiche sulla politica estera e sul processo decisionale. Le ricerche iniziali hanno sottolineato che organizzazioni e burocrazie mettono davanti a tutto la loro sopravvivenza. Le organizzazioni più grandi sviluppano delle procedure standard che danno loro flessibilità e creatività. In questo ambito spiccano i lavori di Allison e Halperin: Allison si concentrò sulla crisi missilistica di Cuba del 1962, e con due modelli (Modello di Processo Organizzativo e Modello Politico Burocratico), disse che un modello unitario di politica estera non spiega la crisi. La politica estera comparata: creata dai sostenitori di James Rosenau che volevano costruire una teoria multilivello della politica estera. Gli studiosi della politica estera comparata proposero gli eventi di politica estera (“chi fa cosa a chi, e come” negli affari internazionali), che possono essere confrontati tramite gli effetti positivi e negativi che avvengono, o tramite quali strumenti vengono usati (diplomazia, forza militare…). Con questi eventi, è stato possibile raccogliere dati su una base di vari fattori e determinare il modo in cui le variabili indipendenti sono correlate alla politica estera. La politica estera comparata mirava esplicitamente a spiegazioni integrate multilivello, di cui si ricordano 4 progetti: IBA, DON, CREON (di Brecher e colleghi), e INS (di Guetzkow). Almeno 3 di questi confermano o smentiscono le proposizioni dei test empirici aggregati. Gli ambienti psicologico e sociale del processo decisionale in politica estera La cultura, storia, geografia, istituzioni politiche, economia, ideologia, demografia e altri fattori formano il contesto sociale dove i decision makers operano; gli Sprout si riferirono a questi elementi come il milieu (l’ambiente) del processo decisionale. Importante è il concetto di codice operazionale, di Alexander George: definendo un codice operazionale significa identificare il centro del credo politico di un leader riguardo l’inevitabilità dei conflitti, o la stima del leader verso i suoi poteri per cambiare il corso degli eventi. George ha offerto dei suggerimenti su temi metodologici. Margaret Hermann ha collaborato al progetto CREON, e il centro della sua ricerca sono le caratteristiche personali di un leader, comparando il suo credo, le sue motivazioni, lo stile decisionale e lo stile interpersonale. Kal Holsti ha offerto una delucidazione della concezione del ruolo nazionale, coinvolgendo l’ambiente sociale e psicologico, al fine di capire come una nazione vede sé stessa e i suoi ruoli nell’arena internazionale. Lo studio della cultura come variabile indipendente che influenza la politica estera ha iniziato a svilupparsi negli anni ’80, dopo una prima ondata negli anni ’60. Il lavoro di Robert Dahl fornì i concetti chiave per analizzare la relazione tra pressione politica dei gruppi sociali e la scelta di politica estera del governo. La nuova ondata di pensiero degli anni ’80 vede al centro il gioco a due livelli di Putnam riguardo la politica estera e interna. La seconda ondata si concentra nel lavoro di Kaarbo, Skidmore e Hudson, ma anche nel lavoro di Hagan: in particolare questo ha compilato un database sulla frammentazione e vulnerabilità dei regimi politici esplorando gli effetti dell’opposizione politica sulle scelte di politica estera. L’eccezione nella seconda ondata fu rappresentata dalla teoria di pace delle democrazie: le democrazie non si combattono tra loro, ma combattono contro paesi non democratici (più di quanto questi non facciano). Auto-riflessione dell’FPA negli ultimi anni ’70 e ’80 Durante questo periodo la politica estera comparata ha subito una fase di arresto a causa di considerazioni metodologiche, dando più priorità all’aspetto psicologico piuttosto che a quello sociale: la psicologia infatti fornisce strumenti efficienti per lo studio della psicologia politica, mentre la scienza politica non offre gli stessi vantaggi. Anche il termine “politica estera comparata” in quegli anni iniziò ad essere considerato naif. Tutte queste critiche hanno messo in luce una serie di inconsistenze nell’approccio della politica estera comparata:  La tensione tra il desiderio di avere una grande teoria unificata e la convinzione della necessità di un’analisi a micro-livello del comportamento della politica estera divenne enorme: bisognava affidarsi ad un’analisi micro, o a interpretazioni astratte di migliaia di eventi?  Quantificare o non quantificare? La quantificazione delle variabili è essenziale, tuttavia troviamo diversi fattori non quantificabili (percezione, memoria, emozione, cultura, storia…). Lasciare questi fattori da parte significherebbe accantonare lo scopo dell’analisi micro, mentre includerli significherebbe violare la sostanza che la politica estera comparata cerca di prendere  La politica estera comparata ha ricevuto molti soldi dal governo per creare i dati di eventi; questo investimento darebbe la precedenza a informazioni per gli studiosi. CAPITOLO 2: REALISMO E POLITICA ESTERA Cos’è il realismo? Il realismo è una scuola di pensiero basata su 3 assunti principali:  La Guerra Fredda senza fine: Kenneth Waltz affermò che la Guerra Fredda era consolidata nella struttura della politica internazionale del dopoguerra, e che sarebbe destinata a restare fin quando questa struttura crollerà.  Grande guerra di potere nell’Europa degli anni ’90: John Mearsheimer affermò di aver predetto che la fine della Guerra Fredda avrebbe portato alla formazione di un’Europa più bellicosa (teoria che il multipolarismo è più bellicoso del bipolarismo, non è sicuro che sia applicabile al contesto europeo, controllato dagli USA).  Contro-bilanciamento anti-USA degli anni ’90: con la fine della Guerra Fredda, il multipolarismo si riaffermò per controbilanciare gli USA. Waltz suggerì di non estendere la NATO ai paesi ex sovietici in Europa per evitare una spinta anti-USA da parte della Russia. Sviluppo della teoria di soft balancing. CAPITOLO 3: LIBERALISMO E POLITICA ESTERA Liberalismo Liberalismo: importanza della libertà degli individui, diritto di essere trattati e trattare gli altri come individui e non come oggetti. La sfida del liberalismo consiste nel riconciliare 3 principi (liberarsi dall’autorità arbitraria, promuovere le capacità per sviluppare la libertà, partecipazione democratica). La tradizione liberale si è evoluta in 2 strade: “laissez-faire” (liberalismo neo- conservativo), e liberalismo del social welfare. Entrambe organizzano gli individui liberi all’interno di un ordine politico, sottolineato da un impegno condiviso verso 4 istituzioni:  I cittadini possiedono uguaglianza giuridica e altri diritti come la libertà di culto e di stampa  Lo stato non è soggetto all’autorità di altri stati  L’economia si basa sul rispetto della proprietà privata, vista come uno stimolo alla produttività e come un limite al monopolio  Le decisioni economiche sono libere dal controllo delle burocrazie Il liberalismo del laissez-faire è stato limitato nei ruoli che riguardano lo stato e ha avuto ruoli più ampi riguardo la proprietà privata e il mercato. Il liberalismo del social welfare invece è l’opposto, ha ruoli consistenti nello stato e ruoli marginali nel mercato. Relazioni estere liberali Il liberalismo, secondo Kant e Hume, contiene 3 aspetti: la pace tra liberali, l’imprudenza aggressiva verso gli stati non liberali, e la compiacenza nei confronti delle minacce. Il primo è legato a liberalismo e può essere spiegato statisticamente e studi di caso storici, gli altri due non sono propri del liberalismo al 100%, ma i loro effetti possono essere spiegati storicamente e riflettono sia il laissez-faire che il social welfare. Vediamoli nel dettaglio. Uno degli effetti più importanti del liberalismo nelle relazioni internazionali degli stati liberali è l’instaurazione della pace tra di essi. I regimi liberali hanno iniziato ad apparire nel XVIII secolo, stabilendo gradualmente una zona di pace tra i vari stati liberali (federazione pacifica, secondo la definizione di Kant). Un esempio sono le relazioni anglo-americane: dopo il 1832, iniziò una fase in cui GB e USA usarono la diplomazia per gestire le loro relazioni a seguito di anni di tensioni. Un secolo dopo, Francia e GB si allearono contro la non liberale Germania prima della 1° G.M. Nel 1914 l’Italia si schierò con GB e Francia dichiarando guerra alla Germania e Austria. I conflitti tra stati liberali sono abbastanza rari, e nel caso in cui vi sia la minaccia di un conflitto, gli stati liberali tendono a schierarsi insieme (sebbene ciò faccia pensare a una pace separata che coinvolge i soli stati liberali). Previsioni dei liberali pacifisti: gli stati liberali esercitano una pace separata solo tra di loro, pace che costituisce un fondamento per le alleanze USA con le potenze liberali e che promette di essere mantenuta facendo sì che aumenti il numero di stati liberali (si creerebbe una pace globale senza la formazione di uno stato mondiale). Il secondo effetto del liberalismo è l’aggressività imprudente (o imprudenza liberale) verso gli stati non liberali, ed ha caratterizzato molti conflitti che si sono tenuti fra stati liberali e stati non liberali (es. USA vs Messico, Francia e GB vs colonie). Questo dimostrerebbe che gli stati liberali sono più propensi al conflitto di quanto si pensi, sebbene molti di questi conflitti siano a carattere difensivo: gli stati liberali hanno iniziato ed hanno preso parte a 24 conflitti interstatali (su 56) tra il 1816 e il 1980, mentre gli stati non liberali ne hanno iniziati 91 su 187. Le metropoli liberali hanno partecipato attivamente a guerre extra sistemiche e guerre coloniali, ma sono stati comunque gli stati autoritari a scomparire (es. Giappone e Germania nazista). L’imprudenza aggressiva è spesso associata ai paesi del terzo mondo, con delle conseguenze sia per gli stati liberali che per gli stati non liberali: proteggere i diritti “nativi” dagli oppressori “nativi” ha introdotto motivazioni liberali di aggressione imperiale; con la fine della tratta degli schiavi e la protezione delle proprietà dei mercanti europei si sono destabilizzate le oligarchie africane; qualora le popolazioni locali si mettessero sulla difensiva, gli occupanti si appellavano alla protezione imperiale; eccetera. Un terzo effetto del liberalismo è la “compiacenza”, che può adottare 2 forme: il fallimento nel supportare gli alleati, e il fallimento ad opporsi ai nemici. L’isolazionismo e la pacificazione da parte delle democrazie hanno fallito in diverse occasioni: nel fornire supporto economico per i regimi liberali i cui mercati erano in crisi, negli anni ’30 non hanno fornito aiuto alla Spagna e alla Cecoslovacchia. La compiacenza può manifestarsi anche nell’eccesso di interventismo. Il liberalismo è una teoria domestica. I teorici liberali concordano coi realisti che gli stati esistono in condizioni di anarchia, ma non sono d’accordo sulla natura di questa anarchia: i liberali non affermano che l’anarchia internazionale sia uno “stato di guerra” come per i realisti che pensano che lo stato di guerra sia un periodo in cui gli stati temono la possibilità in conflitti in quanto guidati in contesti di giochi a somma zero che producono l’equilibrio di potere. I liberali differiscono dai realisti ma differiscono anche tra loro stessi. Ogni liberale deve fare assunzioni sulla natura umana, la società domestica, e la struttura internazionale (si rifanno alle immagini di Waltz). Troviamo 3 tipi di liberali: prima immagine Lockiana (natura umana), seconda immagine commerciale (societaria), e la terza immagine Kantiana (repubblicana). Il sistema internazionale di Locke è anarchico, basato sulla rappresentanza, i cittadini sono razionali e indipendenti. La seconda immagine invece sottolinea gli effetti pacificatori per il mercato e il capitalismo commerciale. La tradizione nota come doux commerce nacque nel XVIII secolo e attacca la dottrina realista del potere economico relativo. Sebbene Smith e Schumpeter sostenessero che il governo rappresentativo contribuisse alla pace, pensavano che la zona di pace liberale fosse causata dal commercio. Schumpeter vedeva il sistema internazionale come anarchico, e i cittadini erano individualisti, razionali, egoisti e materialisti, ma allo stesso tempo vedeva la positivamente la combinazione di democrazia e capitalismo. Secondo lui, quando le energie delle persone sono dedite alla produzione giornaliera, il “razionalismo economico” necessita di calcoli. La prima e la seconda immagine differiscono tra di loro: entrambe sottolineano la presenza di potenti elementi della politica mondiale liberale, ma Locke non spiega bene se vi sia una lunga condizione di pace tra repubbliche liberali, e non considera lo stato di guerra tra liberali e non liberali; Schumpeter non considera le fonti di conflitto liberali dei non liberali. La terza immagine di Kant prova a colmare questi vuoti nell’opera “la Pace Perpetua”. La teoria di Kant vede la presenza di 3 condizioni, gli articoli definitivi, che costituiscono una repubblica liberale e spiegano i fondamenti delle 3 caratteristiche delle relazioni estere liberali:  Governo repubblicano rappresentativo: include legislazione eletta, separazione dei poteri e rule of law;  Un impegno per la pace basato sul rispetto dei diritti anti-discriminatori: produce il rispetto dei diritti delle repubbliche liberali e sospetto verso le non repubbliche;  La possibilità di interdipendenza sociale ed economica: è più varia e meno dipendente. Mitigare i compromessi La politica estera verso i mondi liberali e non liberali dovrebbe essere guidata da principi liberali generali (rifiutare l’equilibrio di potere come strategia generale e affidarsi alla comunità liberale, accettando il dovere positivo di difendere gli altri membri della comunità liberale). La strategia identifica scopi, risorse, minacce ed alleati: si possono quindi adottare gli elementi di una politica estera liberale che mira a preservare ed espandere la comunità delle democrazie liberali senza violare i principi liberali. I liberali non dovrebbero fare crociate per la democrazia, bensì stare sulla difensiva: la strategia deve preservare e poi espandere (iniziando con l’ispirazione e poi con l’intervento ove necessario). La politica estera liberale dovrebbe preservare l’unione pacifica delle società liberali per l’evoluzione della pace mondiale. I liberali devono quindi essere pronti a difendere ed allearsi con gli stati democratici liberali se minacciati, ma hanno sottovalutato l’importanza delle alleanze democratiche, quindi devono rafforzare i rapporti con istituzioni multilaterali (FMI, WTO, Banca Mondiale). Zona socio economica: importante per l’espansione. Sono paesi che si stanno sviluppando economicamente sotto i principi democratici. I popoli si liberalizzano se si modernizzano. Il turismo, gli scambi culturali, gli incontri scientifici aiutano ed ispirano altri popoli a liberalizzarsi. Infine l’interventismo: scegliere il non-interventismo può avere degli importanti fondamenti morali, rispettando i diritti dell’individuo affinché stabilisca il suo stile di vita senza ingerenze esterne. Troviamo due interpretazioni: una soggettiva e una oggettiva. Per la soggettiva, bisogna rispettare la maggioranza; per l’oggettiva nessun gruppo di individui deve subire violazioni di diritti fondamentali come vita, cibo, casa e libertà. CAPITOLO 9: IL RUOLO DEI MEDIA E DELLA OPINIONE PUBBLICA Introduzione L'opinione pubblica e i media sono importanti per la nostra comprensione della politica estera e della politica internazionale? Viviamo in un mondo di comunicazione istantanea facilitato da tecnologie come internet, telefoni cellulari e comunicazioni satellitari. In effetti, a volte sembra che nel mondo non accada qualcosa che non sia soggetto allo sguardo di entrambi i media e del pubblico. I politici rivendicano continuamente di dover gestire le pressioni create dalla critica dei media e dalla disapprovazione pubblica. Allo stesso tempo, gli attori politici cercano di utilizzare i media per proiettare il potere. Come si avvicinano gli accademici? La disciplina delle relazioni internazionali tende a prestare poca attenzione all'opinione pubblica e ai media. Gli accademici IR spesso mancavano degli strumenti teorici e concettuali disponibili per gli studiosi delle comunicazioni. Ciò ha lasciato molti studiosi di IR con la scusa che sia i media sia l'opinione pubblica sono molto significativi per l'analisi della politica estera, ma senza gli strumenti con cui capire come e perché. Al contrario, il sotto-campo dell'analisi di politica estera, con il suo focus sulla spiegazione del processo decisionale, conferisce maggiore significato analitico ai media e all'opinione pubblica. Qui analizziamo l'impatto dei gruppi sociali sul processo di politica estera. Più in generale, l'analisi dell'interazione tra opinione pubblica, media e politica estera contribuisce alla capacità dell'FPA di fornire il complesso "terreno" su cui poggia lo studio di IR. In altre parole, la comprensione dei processi di politica estera a livello internazionale richiede un esame dettagliato delle influenze sulle decisioni di politica estera prese a livello statale. Abbiamo due prospettive: il modello pluralista e il modello d'élite. Questo capitolo ha due obiettivi. Il primo è quello di introdurre concetti, argomenti e teorie relative all'opinione pubblica, ai media e alla politica estera. Il secondo è integrare questi con i quadri teorici esistenti in IR. complicano gli sforzi per misurare l'impatto preciso dei media. Inoltre, quando intervistati sia i responsabili politici sia i giornalisti sull'influenza dei media, prospettive e interessi diversi colorano le loro opinioni. Per gli studenti è utile anche capire che queste posizioni apparentemente divergenti sul ruolo e l'influenza dei media non sono necessariamente mutuamente esclusive, ma, piuttosto, possono essere comprese in modo più approfondito se si tiene conto delle loro procedure (usate per descrivere la critica e l'influenza dei media che riguarda i dibattiti sull'effettiva attuazione delle decisioni politiche) e sostanziale (usato per descrivere critiche e influenze che si riferiscono alle giustificazioni e alle motivazioni alla base di particolari politiche estere). Una volta introdotta questa distinzione, diventa più facile capire quali sono stati, a volte, dibattiti un po 'dogmatici tra accademici che aderiscono al modello di élite delle relazioni Stato-media e coloro che aderiscono alla tesi sull'empowerment dei media e al modello pluralista. Vi sono prove che indicano che i media sono sia critici che influenti a livello procedurale. Le critiche e l'influenza dei media tendono ad essere limitate entro certi limiti, che a loro volta sono spesso fissati dalle élite della politica estera. Riassumendo, due visioni in competizione di relazioni tra stato e media dominano l'attuale dibattito. Uno, la tesi sull'empowerment dei media, pone un accento particolare sulla capacità dei media di modellare e influenzare le decisioni di politica estera. L'altro, il modello di élite delle relazioni tra stato e media, dipinge un quadro di sottomissione dei media all'establishment della politica estera. In effetti, entrambi i punti di vista possiedono una certa verità e l'importante distinzione sta nel livello di critica e influenza che viene considerata. Media, opinione pubblica e cornici teoriche Realismo I media e l'opinione pubblica sono presentati dalla teoria realista come irrilevanti per comprendere la politica internazionale. Perché è così? Per i realisti, la politica internazionale può essere descritta e spiegata come il risultato delle lotte di potere interstatale. L'attore più importante da considerare è lo stato. Che uno stato sia democratico, totalitario o autoritario, la natura anarchica del sistema internazionale la costringe a perseguire il proprio interesse per sopravvivere. Di conseguenza, la politica estera è formulata non sotto l'influenza di media e pubblici nazionali, ma da élites di politica estera che, sotto l'influenza di un sistema internazionale anarchico, definiscono e perseguono l'interesse nazionale. In quanto tale, il realismo sostiene che la politica estera è generata da forze esterne allo stato, piuttosto che forze interne allo stato come i media e l'opinione pubblica. Nella teoria realista sono implicite varie componenti normative. Il primo è che la politica estera dovrebbe essere immune dall'influenza pubblica e dei media, altrimenti a uno stato potrebbe essere impedito di perseguire il suo interesse naturale. Il secondo è che la mobilitazione del pubblico e dei media a sostegno dell'interesse nazionale è moralmente corretta. Riguardo ai dibattiti sull'opinione pubblica e sui media discussi in precedenza, il modello di élite è compatibile con la teoria realista, sostenendo che l'opinione pubblica ei media sono guidati dal governo e che i fattori interni sono irrilevanti per la politica estera. Conversamente, l'affermazione realistica sull'irrilevanza dei fattori sono settimanali se si accetta l'argomentazione del modello pluralista che l'opinione pubblica ei media influenzano la formulazione della politica estera. Inoltre, l'argomento secondo cui i media sono limitati alle critiche procedurali è coerente con la teoria realista. Liberalismo Il liberalismo attribuisce un'importanza analitica molto maggiore al ruolo dell'opinione pubblica e dei media. Il liberalismo si concentra sulle regole e le norme che si sono evolute tra gli stati. Il fulcro del liberalismo è la credenza e l'impegno a sviluppare un comportamento governato da regole tra Stati che, a sua volta, può portare a livelli più ampi di cooperazione ea livelli ridotti di conflitto. Una componente chiave della teoria liberale è la tesi della pace democratica. Le democrazie liberali sono avverse alla guerra perché, almeno in parte, è richiesto il consenso del pubblico. Poiché la gente generalmente preferisce la pace alla guerra, l'opinione pubblica agisce da potente vincolo sui leader eletti e quindi sul comportamento esterno di uno stato. Deve essere il caso che l'opinione pubblica limiti la formulazione della politica estera e che i media siano indipendenti dal governo quando trattano gli affari internazionali. In breve, la teoria della pace democratica presuppone che i modelli pluralisti dei media e dell'opinione pubblica siano corretti e che i modelli di élite siano in errore. Qui, la tecnologia delle comunicazioni diventa un meccanismo chiave grazie al quale è possibile proiettare il potere morbido, la "capacità di ottenere ciò che si desidera attirando e persuadendo gli altri ad adottare i propri obiettivi". Riguardo alla complessa interdipendenza e ai regimi, la pluralizzazione dei flussi di informazioni transnazionali facilitata da Internet e dai media globali "ha aperto il campo a organizzazioni di rete strutturate in modo approssimativo ... che sono particolarmente efficaci nel penetrare gli stati senza riguardo ai confini e usare i collegi nazionali costringere i leader politici a concentrarsi sui loro programmi preferiti ". Altri argomenti persistono riguardo a Internet e alla sua tendenza a indebolire il controllo degli stati autoritari su ciò che le loro popolazioni vedono e ascoltano. L'assunto qui è che il libero flusso di informazioni attraverso i media globali e Internet fanno parte dei processi di globalizzazione e hanno un effetto progressivamente liberalizzante in tutto il mondo. Approcci critici Gli approcci critici allo studio dell'IR chiamano in causa gli ordini politici ed economici esistenti attraverso un processo di spiegazione e comprensione delle loro origini. In effetti, è interessante notare che la descrizione empirica del nesso di opinione pubblica-media-politica estera fatta dai realisti è simile agli approcci critici. Entrambi asseriscono lo stato di sottomissione dell'opinione pubblica e dei media allo stato e lavorano con una comprensione elitaria della politica estera - media - relazione di opinione pubblica. Herman e Chomsky sottolineano gli imperativi commerciali che agiscono sulle organizzazioni di notizie. Vi sono significativi interessi sovrapposti tra lo stato americano e i maggiori conglomerati commerciali degli Stati Uniti, di cui i mass media sono solo una parte. Di conseguenza, è improbabile che emergano notizie che contraggono questi interessi. Il nucleo centrale della critica radicale è che i media mainstream occidentali perpetuano un'immagine delle democrazie occidentali come intrinsecamente benigne, pacifiche e impegnate in alti standard morali quando, in realtà, le politiche estere di quegli stati sono piene di obiettivi economici e politici autointeressati che spesso portano quegli stati a sostenere politiche violente e illiberali. In quanto tale, i media non sono liberi e autonomi, ma piuttosto mobilitano i cittadini a sostegno delle azioni dei loro governi. Inoltre, gli approcci critici evidenziano i modi in cui i flussi di informazioni globali sono dominati da stati potenti e interessi economici acquisiti. Ancora una volta, mentre i liberali sottolineano la capacità dei media di suscitare preoccupazione umanitaria per le sofferenze nelle zone più povere del globo, gli approcci critici sostengono che tali risposte sono superficiali e consentono al pubblico affluente in Occidente di evitare di affrontare le disuguaglianze globali che consentono carestia e crisi per verificarsi in primo luogo. I resoconti critici e l'opinione pubblica sono plasmati da strutture di potere politico-economico più ampie e, pertanto, si fondano sulla validità del modello di élite. Approcci costruttivista e post-strutturalista Un certo numero di studiosi ha cercato di capire il ruolo della comunicazione e dei media nella politica mondiale. Questi studiosi sono stati divisi tra quelli che gli argomenti si sovrappongono all'approccio critico e al modello d'élite, e quelli che si sovrappongono all'approccio liberale e al modello pluralista. Pur condividendo importanti sovrapposizioni con approcci tradizionali, la forza di questi approcci risiede nella loro attenzione al potere del linguaggio e della comunicazione di plasmare i processi politici, nonché una comprensione sofisticata di come le narrative e i discorsi sono strutturati. Nuovo sviluppo: comunicazione persuasiva organizzata e "guerra al terrore" Nuovi dibattiti sul ruolo della propaganda e della "guerra al terrorismo" sono diventati importanti negli ultimi quindici anni. Entrambi questi studi sono stati interpretati da alcuni studiosi per avere avuto un potente effetto sul ruolo e sulla funzione dei media e dell'opinione pubblica. Comunicazione persuasiva organizzata Per quanto riguarda il rapporto tra media, opinione pubblica e politica estera, una parte cruciale dell'equazione a cui spesso non viene prestata sufficiente attenzione è quella del ruolo della comunicazione persuasiva organizzata. Questo termine si riferisce ad approcci altamente organizzati e strategici per la gestione delle informazioni al fine di persuadere. Gli attori politici dedicano enormi risorse a OPC. L'annullamento di queste attività è quindi di vitale importanza per comprendere il potere politico e il modo in cui viene esercitato. Condividendo molte delle tecniche impiegate in tutto il settore commerciale, l'OPC spesso implica elementi di distorsione, inganno e talvolta anche di coercizione. Criticamente, queste attività di carota e stich non sono viste come separate, ma come parte di una strategia integrata volta ad organizzare la condotta attraverso un ambiente di comunicazione che è inestricabilmente intrecciato con il contesto fisico. Nella misura in cui gli attori e gli stati potenti possiedono risorse significative che possono essere divise in OPC, le affermazioni fatte da entrambi gli approcci realistici e critici sono rafforzate dalla presenza di vaste attività OPC, mentre i modelli di inganno e manipolazione problematizzano approcci liberali che presuppongono che i media e i pubblici sono bene informati. La “guerra al terrore” Come notato in precedenza, durante gli anni '90 molti dibattiti ruotarono attorno all'impatto della fine dello scontro tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica. Liberato da un legame ideologico che univa politici e giornalisti, i media, si sosteneva, divenne più influente e contraddittorio. L'attuale questione che influenza la ricerca e la teorizzazione riguarda come nuove questioni, come la "guerra al terrore", abbiano limitato la misura in cui sia i media che i pubblici sono autonomi dalla politica estera diretta dallo stato. In particolare, a seguito degli eventi dell'11 settembre 2001, il panorama geopolitico era dominato dalla "guerra al terrore" dell'amministrazione Bush. La sua cornice forniva ai giornalisti un modello con cui comprendere gli eventi globali e un potente strumento retorico con cui giustificare un programma di politica estera più aggressivo e interventista. Ciò è stato evidente durante la costruzione della guerra contro l'Iraq e durante la guerra stessa. La "guerra al terrore" ha anche costretto nuovi dibattiti sulla libertà di parola in una democrazia. Conclusione I media e l'opinione pubblica restano importanti per la teoria dell'IR, sia come un potente vincolo all'azione dello stato (la posizione liberale), una fonte di mobilitazione per lo stato (la posizione realista), sia il meccanismo attraverso il quale vengono mantenute le strutture di disuguaglianza e dominazione (la posizione critica). CAPITOLO 11: ECONOMIC STATECRAFT Statecraft = termine in antico inglese per indicare quello che nel 600 in Italia si chiamava l’arte dello stato, ossia l’insieme delle tecniche che le autorità politiche hanno in mano per realizzare gli stati molti i casi in cui le sanzioni sono state imposte collettivamente (es. Serbia, Ruanda, Somalia, Libia…), ma con l’Iraq presto la situazione cambiò, dato che USA e GB erano a favore di mantenere l’embargo, mentre Francia e Russia volevano ripristinare relazioni commerciali normali. Caso della Corea del Nord: USA dopo la guerra fredda optò per sanzioni molto severe, con l’appoggio di Cina, Giappone e Corea del Sud, ma in seguito la Cina si rivelò riluttante nel voler imporre sanzioni troppo severe. Anche con la Siria si ebbe la stessa situazione, sanzionata per supportare il terrorismo internazionale, in cui la Russia affermò che le sanzioni interferivano troppo con gli affari interni del paese. Quindi, la fine della guerra fredda insegna che c’è la possibilità per le potenze internazionali di collaborare sulle sanzioni, ma non è detto che vi siano accordi prossimi in politica estera. Anche la globalizzazione gioca un ruolo importante: da un lato, rende difficile la soluzione della Rodesia di diversificazione, ma dall’altro aumenta la possibilità che il soggetto sanzionato si rivolga a mercati alternativi (aumenta quindi la complessità delle transazioni internazionali). Esempio: sanzioni in Iraq e Haiti anni ’90. L’economia interna fu danneggiata in entrambi i casi, ma le élite riuscirono ad uscire indenni e in alcuni casi, rafforzate, poiché riuscirono a sfruttare meglio le conoscenze internazionali e le connessioni offerte dalla globalizzazione. La democratizzazione: suggerisce che porti a più efficaci cambiamenti politici; i governi democratici sono più sensibili alle pressioni e quindi più vulnerabili alle sanzioni, ma attenzione all’effetto “rally around the flag”: alle sanzioni si risponde col nazionalismo. La mancanza di democratizzazione invece significa che i governi autocratici riescono a spostare il fardello delle sanzioni sulla popolazione repressa che ha risorse politiche limitate. Incentivi economici: uno strumento di governo poco apprezzato? Due tipi di comportamento verso i governi sanzionati: il primo si chiama collegamento tattico, coinvolge la promessa di specifiche concessioni economiche per alterare la politica interna o estera del governo bersaglio; il secondo si chiama collegamento strutturale e coinvolge l’uso di un flusso costante di benefici economici per riconfigurare l’equilibrio di interessi politici entro il governo bersaglio. I due collegamenti hanno logiche diverse: quello tattico opera a livello immediato, lo stato sanzionatore calcola che un determinato tipo di ricompensa economica sia sufficiente per convincere lo stato sanzionato a rivedere le sue posizioni; in quello strutturale lo stato sanzionatore fornisce benefici economici che gradualmente diventano interessi politici interni. La fine della guerra fredda ha rinnovato l’interesse per uno statecraft economico positivo, di cui possiamo trovare aspetti positivi e negativi: le misure positive sono più efficienti di quelle negative (la minaccia genera risentimento, si produce l’effetto “rally around the flag”, le sanzioni negative provocano riluttanza nella cooperazione, mentre quelle positive la incoraggiano), ma si può dire che talvolta le sanzioni positive possono avere effetti collaterali. I governi che esprimono la buona volontà di pagare per un buon comportamento in politica estera possono ritrovarsi sommersi di richieste di pagamento. Le sanzioni positive e negative possono essere usate come strumenti di governo complementari: quelle positive usano le sanzioni negative per sviluppare dipendenza economica del sanzionato verso il sanzionatore; quelle negative, una volta applicate, possono provocare concessioni in cambio del loro sollevamento. CAPITOLO 14: LA CRISI MISSILISTICA DI CUBA Perché parliamo di questo episodio? Il metodo comparato prevede l’uso di “studio di caso” per generare un sapere più largo, che si può applicare anche in altri ambiti. Questo caso ha un valore cosi emblematico perché ci sono alcune caratteristiche specifiche di come è accaduto che sono uniche, sembra essere un evento ritagliato appositamente per permettere lo sviluppo di uno specifico caso. 1. È un episodio estremamente concentrato nel tempo. È un episodio che si svolge in 13 giorni (si avvicina all’idea astratta di decisione in politica estera). I fatti sociali in genere hanno una durata piuttosto estesa (es una rivoluzione). Ha un chiarissimo inizio e fine e che i diversi personaggi riconoscono; ci permette di prendere una decisione di politica estera che è un percorso lungo. Tutto avviene in uno spazio temporale facilmente gestibile. 2. In questo episodio storico abbiamo una quantità e una attendibilità (verifica dell’autenticità e del valore documentale delle informazioni) che è irripetibile. Registrazioni delle discussioni avvenute tra le personalità del governo americano. Inizio di riunioni, incontri della quale abbiamo una documentazione minuta, ora per ora. Le riunioni e le comunicazioni che avvengono nelle varie sedi dell’esecutivo vengono registrate. Kennedy aveva introdotto un sistema più capillare (telefonate registrate, le varie sale). Oltre a una documentazione fotografica possediamo parola per parola il percorso decisionale. Questa documentazione è un caso raro e irrepetibile perché di solito le informazioni sono opache; di conseguenza l’attendibilità, l’accuratezza è sempre sottoponibile a dubbi. L’estensione delle informazioni che abbiamo è una cosa unica, si può ricostruire cosa pensavano e cosa volevano fare. Perché si è presa questa decisione? Possiamo fare un percorso di ricostruzione delle convinzioni che va molto oltre ogni altro caso possibile. Questo avviene però solo dal lato americano, dal lato sovietico continuano ad esserci le normali condizioni di difficoltà ad accedere ai documenti che riportino la decisione politica e il suo processo. Quando ci viene detto che Kennedy preferisce fino al 18 ottobre un attacco aereo immediato e che dal 19 ottobre cambia idea, noi abbiamo la registrazione che il presidente la considera come l’idea principale ma successivamente cambia idea (grazie alla presenza di telefonate). 3. Un’altra ragione importante non è una ragione tecnica ma specificatamente politica ovvero questo episodio avviene nel 1962 (17 anni dopo la fine della prima guerra mondiale), siamo in piena guerra fredda e in una condizione priva di precedenti perché abbiamo un sistema internazionale bipolare molto polarizzato e a confrontarsi sono i due attori principali del sistema internazionale. Il sistema bipolare basato sulla deterrenza nucleare si trova messo alla prova in questo spazio concentrato. Qui abbiamo un “distillato” di ciò che è la guerra fredda, lo troviamo in maniera concentrato. 4. Abbiamo un confronto tra due modi di agire in politica estera, due processi decisionali che interagiscono ma che rappresentano due sistemi politici straordinariamente diversi. È un caso per studiare la politica estera di una democrazia (USA) e quello di uno dei principali paesi comunisti (UNIONE SOVIETICA). Quello che riusciamo ad apprendere ci viene estremamente utile per conoscere qualcosa di più della teoria delle relazioni internazionali. Operazione ANADYR: operazione segreta, cioè l’Unione Sovietica mette in piedi questo piano (portare le varie armi smontate a Cuba, devono essere scaricate senza che nessuno veda niente con appoggio delle autorità legali). Una volta arrivati a Cuba devono essere montati (missili, bunker, mettere in piedi la base dove ci sono i lanciatori, costruire i radar), operazioni estremamente complesse e interamente in mano all’Unione Sovietica; quando cominciano a montare queste basi missilistiche hanno degli ordini precisi da seguire in un tempo ben preciso e di nascosto nonostante si sapesse degli aerei spia USA. Quando il partito avalla questa proposta, esistano sistemi organizzativi esistono delle procedure già predisposte già ben precise. Comportamenti stagni tra i vari uffici affinché non potessero comunicare gli uni con gli altri, avevano i fogli e dovevano seguire alla regola il procedimento e a scadenze regolari veniva mandata una persona per controllare. Se durante il processo di lavoro ti trovi con un dubbio sono affari tuoi. Una speciale unità direttiva era stata creata e doveva chiedere collaboratori per avviare trasporti dall’Unione Sovietica ma una volta avviato era compito di questi 5000 persone di mettere in atto il piano in maniera segreta e senza nessun aiuto (per evitare qualsiasi tipo di spionaggio -> chiusura stagna). Per il 18 ottobre tutto doveva essere pronto, prima di questa data il capo sovietico era l’unico responsabile e non poteva dire niente a nessuno. Se non che il 18 ottobre arriva a Cuba dicendogli che erano pronti ed era quasi tutto pronto per il 14 ottobre ma erano passati aerei spia americani che potevano aver fatto foto e anche il 15 -> possibilità che ci abbiano scoperti. Per il 18 di ottobre era prevista la visita del ministro degli esteri sovietico a Washington il quale nella sua comunicazione serale sugli incontri avvenuti manda un messaggio a Mosca dicendo che gli americani non sospettano nulla quindi l’operazione va bene da aprile fino al 14 ottobre, data in cui gli aerei iniziano l’attività di spionaggio e sviluppano le foto che avevano scattato. La mattina del 16 prima riunione su queste fotografie che provengono da Cuba. Quando il ministro degli esteri arriva a Washinton sa già tutto e ha fatto fare uno studio di cosa si tratta e inizia a studiare le possibili contromosse (in totale segretezza). Da questo momento fase più acuta. Un pilota americano preso vivo dall’Unione Sovietica era una risorsa incredibile e viene messo in scena un processo pubblico di grande rilievo mediatico. Il punto è che le persone sul posto (5000 cittadini) avendo in mano gli ordini ma non potendo comunicare con mosca dovevano decidere loro come agire. Una delle ipotesi avanzate è che operare in maniera coperta avrebbe dovuto implicare grandi capannoni per coprire le varie risorse, considerata però difficile da effettuare e per via delle temperature molte difficili da sopportare, rischiando di farsi scoprire ma comunque portando a termine l’operazione. Questa squadra di montatori erano militari che non provenivano da centri di spionaggio quindi il loro modo di agire non seguire questa linea, il loro unico obiettivo era raggiungere i compiti che gli erano stati assegnati. Le tecniche previste non garantivano la sicurezza in termine di sicurezza, venne sollevata una domanda “se ti eri accorto che gli aerei spia ti avevano sorvolato perché non li hai abbattuti?” risposta: io ho ricevuto i missili solo in caso di attacco dagli USA. La persona che ha redatto gli ordini non aveva scritto che dovevano essere usati per minacciare gli aerei spia ma solo in caso di attacco. Nei giorni successivi Priov (?) prende iniziative per conto suo e avvicina le testate nucleari ai missili (li rende più operativi) quando comunica di aver fatto questo scatena un putiferio a Mosca perché non aveva l’autorizzazione diretta. Quando il 14/15 vengono fatte queste foto succede che il presidente avvia una discussione segretissima con un certo numero di persone. Chi partecipava alla formazione della decisione? Sulla base di quale principio alcuni vengono coinvolti e informati? Come avvengono queste riunioni? Modalità molto flessibile, con persone che capitano perché magari alcune persone sono impegnate altrove -> agenda politica molto fitta non sono pronti per una cosa del genere all’improvviso. Oltre a queste riunioni informali ci sono anche riunioni che hanno una struttura più formalizzata intorno a un organismo preciso che viene chiamato un comitato esecutivo + altre persone coinvolte dal Presidente. Il ministro della giustizia che è Robert Kennedy (fratello del presidente) che tecnicamente non centrava nulla però era il braccio destro del Presidente Kennedy. A cosa servono queste riunioni? Qual è la funzione? Ce lo chiediamo non in termini astratti ma concretamente, cosa stavano pesando di fare? Che compito si stavano dando? Qual era la loro percezione della situazione? Ciò che emerge è che nei primi giorni discutono essenzialmente è il perché i sovietici hanno deciso di mettere i missili a Cuba. Quando scoprono i vettori dei missili capiscono è una strategia complessa e un’operazione decisiva nella svolta della guerra fredda. Si chiedono cosa stanno facendo e cosa hanno in mente. La prima cosa che uno deve affrontare in un contesto di guerra reale è l’incertezza. La prima operazione militare è capire cosa sta succedendo, dare un senso alla realtà (domanda intellettuale – filosofica). Cosa vuole in nemico? Cos’hanno in mente di fare? Emergono le varie ipotesi di spiegazione. Per ciascuna ipotesi si prevede un percorso di reazione diverso volto a contrastare l’azione dell’avversario. Nei primi 3 giorni emergono varie ipotesi con anche l’arrivo di nuove immagini e informazioni e dopo 3 giorni si crea una convergenza verso una certa ipotesi. Dopo questa fase le riunioni proseguono di nuovo, molto spesso il presedente chiede di non disdire impegni per non dare nell’occhio che qualcosa stia accadendo anche e pian piano emergono delle speculazioni. Dopo che tutti convergono su una ipotesi si cerca di capire come agire per contrastare l’azione: questa fase raggiunge una decisione e c’è una svolta e il presidente Kennedy va in televisione e fa un discorso pubblico in cui annuncia la situazione corrente. Il piano delle operazioni si sposta nei contatti diretti con l’Unione Sovietica (botta e risposta, varie proposte di negoziate) fino a che si giunge alla soluzione. La dottrina dell’uno percento: dice che anche con l’1% di possibilità di avere una grave minaccia, gli USA dovrebbero trattare quella minaccia con la sicurezza di riuscire ad eliminarla. Non è una teoria neoconservativa, bensì una probabilità stimata fatta dall’amministrazione che si sentiva particolarmente vulnerabile dopo l’attacco dell’11 settembre. La dottrina dell’1% fornisce una risposta operazionale ad un elemento chiave della dottrina Bush sulla guerra preventiva, dato che essa ha bisogno di una risposta alla domanda “quando il pericolo è talmente alto da necessitare un’azione di guerra?”; la dottrina dell’1% suggerisce che anche quando le possibilità di attacco nemico sono bassissime, gli USA non possono permettersi di aspettare, e devono rimuovere la minaccia. Il neo-conservatorismo nel contesto di altri fattori Il neo-conservatorismo è uno dei maggiori fattori dietro alla guerra preventiva del 2003, ma questo potrebbe dargli troppo credito: se le ideologie di politica estera neoconservative non fossero mai esistite, Bush avrebbe comunque fatto una guerra preventiva in Iraq dopo l’11 settembre? Il neo- conservatorismo, con la sua fiducia nelle capacità americane e la sua chiarezza morale riguardo la cattiveria di Saddam Hussein, ha giocato un ruolo importante. Secondo Micheal Mazarr, Hussein era il tiranno che è risultato essere più adatto agli scopi neoconservativi. Gli altri fattori (risorse di petrolio necessarie, la lobby Israeliana, la necessità di rendere l’Arabia Saudita un pilastro sicuro in Medio Oriente) non hanno ricevuto grandissima attenzione nell’agenda dell’amministrazione Bush; inoltre, se ad esempio la lobby israeliana non fosse mai esistita, l’amministrazione Bush avrebbe continuato con l’operazione Iraqi Freedom? Probabilmente sì. CAPITOLO 17: LA CINA E LA CRISI DI TIAN’ANMEN DI GIUGNO 1989 Le conseguenze esterne della politica cinese della porta aperta Il presidente Mao Zedong era stato il capo supremo della repubblica popolare cinese dal 1949. Subito dopo la sua morte, avvenuta nel 1976, lo stato unico della Cina era in crisi. Si capì che doveva essere stabilita una nuova base per il diritto di governare del partito comunista cinese. Nel dicembre 1978, Xiaoping ha introdotto una serie di politiche di riforma economica, etichettate come "quattro modernizzazioni" che rappresentavano una rottura rivoluzionaria rispetto al passato. Le politiche di riforma della porta aperta della Cina hanno aperto nuove opportunità per i contatti economici, culturali e politici tra le agenzie governative cinesi e le loro controparti oltreoceano. Il commercio estero è aumentato e gli investimenti diretti esteri sono confluiti in Cina a tassi in continua espansione. I tassi medi di crescita economica da quel momento in poi sono stati impressionanti. La Cina divenne membro della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale nel 1980, e un importante destinatario della generosità dell'ex poco dopo. Nel giugno 1984, il governo degli Stati Uniti rese legale il governo cinese ad acquistare la sua armata ai sensi della legge sull'esercito militare statunitense. Nel 1989, gli Stati Uniti erano diventati il principale mercato di esportazione della Cina e altri paesi trovarono il mercato cinese di attrazione crescente. Le disparità economiche non erano le uniche cose nelle menti di studenti e intellettuali. Lizhi ha visitato i campus universitari nel 1985. Ha esortato gli studenti a premere per la democrazia e un sistema politico più aperto. All'inizio del 1989, iniziò una campagna per liberare i prigionieri politici. Fu il primo intellettuale di spicco a lanciare un attacco pubblico all'ideologia marxista leninista ea dichiarare che il successo degli stati democratici era dovuto al riconoscimento dei "diritti fondamentali del popolo o dei diritti umani". Altri sarebbero influenzati dalle azioni e dagli argomenti dei dissidenti dell'Europa orientale. Drammatici cambiamenti politici si sono verificati nella seconda metà degli anni '80 nel blocco sovietico. Gorbaciov introdusse le politiche della perestroika e della glasnost e fu riconosciuto in Cina come un importante riformatore liberale. Nel 1989 ha introdotto la dottrina di Sinatra. Alla fine dell'anno, il muro di Berlino cadde e il Patto di Varsavia si sciolse. Nel dicembre 1991, l'Unione Sovietica stessa è implosa. Questi sviluppi erano di grande preoccupazione per uno stato monopartitico per due ragioni principali. Innanzitutto, queste nuove libertà sono state di ispirazione per i riformatori cinesi. In secondo luogo, il valore strategico della Cina verso l'Occidente e, in particolare, verso gli Stati Uniti, ha inevitabilmente iniziato a diminuire in questo periodo. La questione dei diritti umani prima di Tian’anmen Fino a questo punto il fatto che la Cina non stesse democratizzando e offrisse solo bassi livelli di protezione dei diritti umani alla sua gente non aveva raccolto una grande quantità di attenzione internazionale. La grande apertura della Cina, la crescita del numero e delle risorse delle organizzazioni transnazionali per i diritti umani e la capacità di tali gruppi di trasmettere informazioni agli altri in merito agli abusi dei diritti umani all'interno degli Stati si sono uniti in modo tale da garantire che il comportamento della Cina non sfuggisse più a tale esame. Il governo di Pechino non ha potuto progredire con le sue politiche di porta aperta e allo stesso tempo impedire il sondaggio esterno nelle sue condizioni interne (Amnesty International). Un migliore accesso straniero al Tibet ha fornito informazioni sulla repressione governativa cinese in quella regione. La crescente pubblicità sulla difficile situazione di quei tibetani che stavano lottando per l'autonomia e l'indipendenza, stimolò i tibetani all'estero, internazionalizzò la lotta tibetana e spinse l'Amnesty a prendere in mano i casi degli arrestati per ragioni politiche o religiose. Il congresso americano ha preso atto dei crescenti livelli di disordini. Nel 1987, ha invitato il Dalai Lama a Washington. L'anno seguente, il leader spirituale tibetano parlò prima del Parlamento europeo. Quando la Cina ha dichiarato la legge marziale in Tibet nel marzo 1989, i media occidentali, le ONG per i diritti umani e alcune personalità politiche hanno preso ancora più energicamente la causa tibetana. Quindi, ci furono numerosi sviluppi nelle relazioni estere della Cina che non erano del tutto previsti quando introdusse le sue politiche di riforma dopo il 1978. Quell'apertura portò a una maggiore esposizione a idee straniere ea nuove idee su come organizzare la Cina (concetto di diritti). Questa maggiore apertura si stava verificando in un momento di altri importanti cambiamenti nella società globale. La protezione governativa dei diritti umani dei suoi cittadini aveva cominciato a essere prevista dal moderno stato legittimo. Nel corso degli anni '70 e '80, gli Stati occidentali, insieme al Giappone, avevano introdotto un elemento di diritti umani nelle loro politiche estere, anche se quell'elemento non aveva ancora influenzato le relazioni con la Cina. Il valore della Cina come partner tacito in una politica anti-sovietica di contenimento stava cominciando a diminuire man mano che la Guerra Fredda iniziava a disfarsi in Europa. Quando la dirigenza cinese, nel giugno del 1989, decise di usare la forza per sopprimere le manifestazioni che stavano cullando la capitale cinese, sarebbe stata condannata. La repressione di Tian’anmen La morte di un attacco di cuore dell'ex segretario generale del Partito riformista, Hu Yaobang, il 15 aprile ha scatenato le dimostrazioni del 1989. I membri principali provenivano dalle università. Poco dopo la proclamazione della morte di Hu, fiori bianchi e altri tributi cominciarono ad accumularsi nel Monumento ai Martiri in Piazza Tian'anmen, un enorme spazio pubblico situato di fronte alla Città Proibita, nel cuore di Pechino. Eventi politicamente significativi hanno indicato il tipo di obiettivi che alcuni dei partecipanti avevano. Altri chiedevano libertà di stampa e misure per sradicare la corruzione tra l'élite politica. La leadership cinese sembrava non sapere come rispondere ed era divisa tra coloro che volevano negoziare e coloro che volevano prendere una posizione più dura. Quelli a sostegno di una posizione più conciliante hanno perso terreno, il ruolo dei fattori esterni che hanno contribuito in modo determinante a tale risultato, sebbene anche l'assenza di una considerazione dettagliata delle strategie alternative alla coercizione abbia avuto un ruolo. Vertice del maggio 1989 tra la Cina e l'Unione Sovietica -> destinato a segnare la fine formale di quell'ostilità. Alcuni tra gli studenti videro la visita di Gorbaciov come un'opportunità per internazionalizzare la loro lotta. Hanno chiesto uno sciopero della fame e si sono accampati in piazza Tian'anmen due giorni prima dell'arrivo del segretario generale sovietico. La visita del leader sovietico divenne un "baraccone". Per quanto riguarda i media stranieri, gli scioperanti della fame hanno cercato di ottenere una copertura migliore del leader sovietico. In effetti, persino i media nazionali hanno dato lo sciopero della fame a un'attenzione particolare, finché la leadership non ha frenato il suo entusiasmo. Nel giro di un giorno o giù di lì, alcuni degli scioperanti hanno iniziato a crollare e sono stati portati di corsa all'ospedale. Zhao ha visitato gli ospedali per fermare questa forma di protesta. La legge marziale è stata dichiarata il 20 maggio e le forze del PLA hanno iniziato a muoversi in posizione. Zhao -> Jiang Zemin. È da quel momento che i funzionari cinesi hanno iniziato a collegare fortemente i manifestanti con gli stranieri ritenuti antagonisti al regime cinese, sia in America, Hong Kong o Taiwan. L’1 giugno, su ordine di Li Peng, il ministero cinese per la sicurezza dello stato ha prodotto un rapporto su "infiltrazione occidentale". Ha fatto diversi punti importanti sul perché e sul modo in cui gli stranieri stavano manipolando l'attuale agitazione. In primo luogo, ha affermato che la RPC aveva "sempre avuto un obiettivo importante per i metodi di evoluzione pacifica dei paesi capitalisti occidentali con a capo gli Stati Uniti". Ancora più gravemente, la relazione accusa gli Stati Uniti di usare l'attuale "turbolenza" nella capitale per sostenere coloro che volevano rovesciare il governo comunista. Il giorno seguente i leader cinesi presero la decisione di liberare la piazza con la forza, se necessario. Ora i manifestanti venivano descritti come "terroristi" e "teppisti" coinvolti in una "rivolta controrivoluzionaria". Presumibilmente, hanno ottenuto il loro sostegno da coloro che si sono opposti alla Cina negli Stati Uniti, a Hong Kong e a Taiwan. Deng Xiaoping affermò categoricamente che non ci sarebbe stato spargimento di sangue nella piazza stessa. Mentre alcuni morti si sono verificati in Piazza, molti di loro si sono verificati a circa tre miglia a ovest di esso. Le truppe del PLA hanno usato munizioni vere su una grande folla che si era radunata nel distretto di Muxidi. Per un certo periodo, la guerra civile sembrava una possibilità reale. Le cifre ufficiali del governo cinese sulle vittime sono state 241 uccise e circa 7000 feriti. Tuttavia, osservatori indipendenti e non governativi mettono le cifre molto più in alto. Le autorità cinesi hanno dato la caccia a quanti dei principali manifestanti potevano o, in mancanza, quelli che potevano accusare di "turbare l'ordine sociale". Molti degli arrestati sono stati incarcerati; alcuni furono sommariamente processati e condannati a morte, una sanzione rapidamente emanata. Molti altri furono inviati nei campi di riforme del lavoro. Le conseguenze immediate della politica estera I governi di tutto il mondo hanno espresso rammarico, preoccupazione o totale condanna, con i vicini asiatici della Cina che tendono alla forma più delicata di rimprovero. L'Occidente ha immediatamente sostenuto le sue parole con una varietà di sanzioni. La Comunità europea e singoli stati europei hanno annunciato una serie di sanzioni simili a quelle emanate negli Stati Uniti. Tra questi vi era il divieto di vendita di attrezzature militari e di visite ministeriali di alto livello e la sospensione di prestiti garantiti dal governo. È stato stimato che Tian'anmen costava alla Cina circa 11 miliardi di aiuti bilaterali in quattro anni. Anche la Cina ha registrato un calo a due anni del rating del credito, degli investimenti esteri, delle esportazioni e dei visti turistici. Tuttavia, il danno è andato ben oltre l'economico, danneggiando in modo significativo l'immagine internazionale della Cina. Le espressioni di rammarico per la carneficina provenivano da molti governi che di solito non erano disposti a commentare gli schieramenti interni in altri paesi. Perché il governo cinese ha autorizzato l'uso della forza sapendo che la sua economia, le relazioni internazionali e l'immagine internazionale sarebbero state gravemente danneggiate? Perché è stato Cina nei confronti dei governi che abusano dei diritti e verso le mosse istituzionali per approfondire la protezione internazionale dei diritti umani. Conclusione I diritti umani sono diventati una caratteristica delle politiche interne e straniere della Cina per una serie di motivi, ma gran parte di questo può essere fatta risalire alla riforma e apertura della Cina iniziata verso la fine del 1978. Nei primi anni '70, Pechino non era collegata per via aerea a nessuna delle maggiori città in Asia, la maggior parte del paese era chiusa agli stranieri e il commercio estero era un fattore insignificante per l'economia. Il livello di avanzamento tecnologico della Cina in generale è rimasto indietro di dieci o venti anni rispetto ai livelli mondiali, e da circa trenta a quarant'anni in aree specializzate. Non essendo più disposto a tollerare questi esiti degli anni maoisti, il governo ha iniziato a introdurre riforme interne, insieme a nuove politiche estere. La leadership cinese si rese conto che avrebbe avuto bisogno dell'aiuto dei suoi migliori cervelli e di alcune delle conoscenze tecnologiche del mondo sviluppato. Con l'allentamento dei vincoli politici ed economici, il dibattito in Cina sulle esigenze del paese è decollato. Le conseguenze sulla politica estera della decisione cinese di autorizzare il PLA a sparare ai propri cittadini nel giugno 1989 sono state di vasta portata. Per un certo tempo, la Cina era isolata dall'Occidente come lo era stata negli anni '60. Vero, i contatti con l'Occidente e il Giappone furono presto rinnovati dopo lo spargimento di Tian'anmen, e la Cina usò il suo potere contrattuale con buoni risultati, ma né questi governi né la stessa Cina potevano interamente mettere da parte le ricadute negative nei loro rapporti bilaterali dai diritti umani problema. Le ONG, i media, le lobby politiche interne e gli organismi delle Nazioni Unite continuano a monitorare le violazioni e i miglioramenti, ei governi occidentali danno ancora ai diritti umani un posto nelle loro politiche estere nei confronti della Cina. Dato che il potere della Cina è cresciuto, specialmente a partire dalla metà degli anni 2000, c'è stata una ricalibrazione nell'approccio cinese ai diritti umani e nell'approccio di coloro che sono impegnati nella diplomazia dei diritti umani con il governo di Pechino. Pechino ha mostrato una limitata capacità di risposta a quest'ultima domanda, formulando una posizione che riconosce la responsabilità di uno stato per prevenire gravi atrocità, ma accettando anche che in condizioni di "fallimento manifesto" di uno stato di fornire tali protezioni, è dovere della comunità internazionale per rispondere. Questi sottili cambiamenti di posizione nella sua diplomazia globale devono molto alle politiche della porta aperta di fine 1978 e alla decisione di Pechino di promuovere la crescita e lo sviluppo economico basati sull'integrazione con le istituzioni globali. Quella decisione coincise con un periodo in cui i diritti umani erano diventati il "vocabolario morale dominante negli affari esteri". Il confine tra globale e domestico è diventato sempre più poroso con conseguenze che possono influenzare le politiche dei diritti umani anche dei più diffidenti degli stati. CAPITOLO 23: ENERGIA E POLITICA ESTERA: LE DINAMICHE ENERGETICHE EU- RUSSIA Introduzione + Il ruolo dell’energia in politica estera L’importanza delle risorse naturali è radicata nella vulnerabilità politica ed economica degli stati che dipendono da tali risorse. La dipendenza energetica può avere tante forme, ma prima di considerare l’energia come un fattore di politica estera, bisogna considerare 2 aspetti: gli attributi sovrani dell’energia, e l’abilità dell’energia di trasformare le fortune degli stati. È chiaro che le risorse energetiche sono dei beni strategici nazionali, poiché sono intrinsecamente territorializzate (= costituiscono la vera materia di uno stato); politicamente ed economicamente, l’energia fornisce molte poste in gioco (trasporto, vendita…). L’amministrazione delle risorse energetiche è anche importante: se sono ben gestite, il guadagno può essere investito a beneficio dello stato; la cattiva gestione comporta effetti negativi come la privatizzazione o la nazionalizzazione dell’industria energetica (es. Venezuela o Russia); la corruzione dei governi infine può portare alla “petro- violenza” (Nigeria). La competenza riguardo le tematiche energetiche è divisa tra Commissione Europea e stati membri UE; abbiamo 4 obiettivi nella politica energetica UE: assicurare il funzionamento del mercato energetico, assicurare la sicurezza della fornitura in UE tramite solidarietà, promuovere efficienza energetica e sviluppare nuove forme di energia rinnovabile, e promuovere l’interconnessione di reti energetiche. Due domande: qual è il ruolo dell’energia in politica estera e in politica interna? L’energia indica la prosperità di una nazione: gli stati desiderano sicurezza energetica, intesa come assicurarsi l’abilità di poter accedere a risorse energetiche per garantire il continuo sviluppo del potere nazionale e le strutture adeguate per inviare questi beni sul mercato. Per gli importatori, sicurezza energetica = sicurezza dell’approvvigionamento (importantissimo l’invio costante di risorse a prezzi accessibili); per gli esportatori come la Russia, sicurezza della domanda = accesso ad un mercato sviluppato e affidabile. La seconda domanda è: quali sono le preoccupazioni principali di uno stato qualora l’energia è coinvolta nella sua politica estera? Gli stati hanno preoccupazioni economiche riguardo il mantenimento dei beni e la domanda tra esportatori e importatori, quindi cercano di minimizzare le rotture energetiche che possono danneggiarne il benessere. Inoltre, gli stati hanno anche preoccupazioni politiche riguardo la leva esercitata da stati esportatori sia sugli importatori che sugli stati di transito (stati dove viene trasportata l’energia da un paese all’altro). Bisogna anche determinare le varie funzioni dell’energia in quanto strumento di politica estera. Gli strumenti di politica estera disponibili sono il risultato della combinazione di risorse, capacità, vari livelli di potere ed influenza disponibili (tutti posizionabili su un continuum di potere). Per gli esportatori, l’energia prende la forma di strumento diplomatico, embarghi, o coercizione; per gli importatori, è diverso, perché non hanno lo stesso peso degli esportatori, ma dispongono di grandi mercati (necessari agli esportatori). L’energia nella riforma post-Guerra Fredda L’iniziativa europea dopo la Guerra fredda era quella minimizzare il caos politico ed economico che sarebbe potuto scaturire con la dissoluzione dell’URSS. La Comunità Europea usò un mix di supporto economico e politico per diminuire l’instabilità post-guerra fredda. Si decise di usare progetti multilaterali, tra cui PHARE e TACIS. Il programma di cooperazione regionale del TACIS si concentrò sull’accesso e il transito dell’energia tramite l’iniziativa INOGATE, il cui scopo era revisionare i sistemi di trasmissione ex sovietici per supportare l’integrazione regionale dei sistemi di conduttura tra ovest ed est, e garantire un affidabile approvvigionamento di gas in Europa. Tuttavia, INOGATE non poteva fornire un forum robusto per occuparsi dei temi legali connessi all’esportazione di gas dalla Russia all’Europa. 1991: Carta Energetica Europea, fissò il contesto politico dei temi energetici est-ovest, si ispirò alla logica di stabilire relazioni economiche strette con la Russia in vista della sua esportazione di risorse energetiche. 1994: Trattato sulla Carta dell’Energia (TCE), che doveva creare una serie di legami obbligatori sul commercio, transito e investimento di beni energetici. Il significato politico del TCE risiede nel riconoscere l’energia come un’area politica capace di legare principi sovrani e temi nazionali con ambizioni del settore privato. 2000: Dialogo energetico UE-Russia, lanciato per ravvivare il dialogo energetico che si stava spegnendo a causa della sfiducia nutrita dalla Russia nei confronti dell’Occidente. Ha operato come un forum di politica estera che ha generato cooperazione in alcune aree (sicurezza nucleare, efficienza energetica…), ma non ha risolto i temi di sicurezza energetica più importanti. La fine del TCE è un fallimento, dato che la Russia ha iniziato a ridurre i sussidi di petrolio e gas ai suoi vicini (mix di revanscismo politico e aggiustamenti economici quasi liberali). Quindi il Dialogo ha effettivamente promosso un dialogo, ma non ha fatto progressi notevoli sulla sicurezza energetica. Pre-crisi Nel 2005, UE e Russia erano molto divisi sui temi riguardanti l’energia. Gli aspetti di potere inerenti all’energia russa sono 3: 1) accesso alle sue vaste risorse energetiche (la Russia è il più grande produttore ed esportatore di gas); 2) proprietà della conduttura (le condutture sono di proprietà di una compagnia statale russa, la Transneft); 3) contratti a lungo termine che fissano le esportazioni russe a specifici importatori europei garantiti. Con queste 3 componenti, il lato economico dell’energia russa presenta delle sfide monopolistiche per l’Europa, ma trasformare la Russia da colosso di risorse e condutture a stato corrotto richiede di usare l’energia per scopi meramente politici. Il predominio dell’energia russa è necessario ma insufficiente per spiegare che l’energia è uno strumento di politica estera per la Russia, ma se si aggiunge un obiettivo politico esterno, allora rappresenta una spiegazione sufficiente. Quando questi fattori si uniscono nel contesto politico, la componente di politica estera dell’energia russa può essere messa in discussione. Gli aspetti di potere inerenti all’energia europea sono molto più diffusi, dato che salvo alcune eccezioni la maggior parte degli stati europei non possiedono riserve di energia, e quindi devono dipendere da riserve esterne (Russia). Il progetto di conduttura europeo, Nabucco, è un ambizioso progetto designato per raggiungere fino a 3300 km dal mar Nero all’Austria (passando per Bulgaria, Romania, Ungheria). L’Europa possiede un grande numero di clienti nazionali e commerciali che sono dei compratori affidabili per l’export russo. Oltre alle questioni di energia vere e proprie, entra in gioco anche la geopolitica: Europa e Russia hanno entrambe il desiderio di cooptare la zona che comprende paesi non UE tra Mosca e Bruxelles (Ucraina, Bielorussia, Georgia e Moldavia): questi stati sono sia dei laboratori per l’Occidente per l’integrazione nell’UE, e sono territorio del revanscismo russo (soprattutto l’Ucraina). Vari elementi: 1) la maggior parte dei paesi europei dipendono dalle importazioni energetiche; 2) UE dipende dal ruolo dei territori di transito dove passano le condutture; 3) Ucraina dipende dalla Russia per le entrate che le addebita per l’attraversamento del gas. Ucraina è anche dipendente dal mercato europeo per mantenere buone relazioni con la Russia. 2004: tensione tra Russia e Ucraina perché quest’ultima non riusciva a pagare il gas russo. Nel 2005 la situazione peggiorò: l’Ucraina si trovò divisa tra 2 sistemi di pagamento: un prezzo più basso di gas russo di circa 50$ per 1000 metri cubici, e un prezzo più alto di mercato europeo di circa 230$. La Russia insistette che Ucraina potesse caricarla di prezzi di transito più alti a patto che essa pagasse lo stesso prezzo per le sue importazioni domestiche. L’annuncio russo di poter tagliare il gas all’Ucraina provocò allarme in Europa occidentale. Gazprom si sarebbe attenuto alla domanda di prezzi del mercato europeo? L’Ucraina avrebbe visto l’aumento dei prezzi come una provocazione? Tre opzioni per Ucraina: 1) soppesare il valore di essere proprietari della conduttura VS guadagnare tenendo i prezzi bassi; 2) richiedere tariffe di transito più alte per l’esportazione di gas russo in Europa; 3) attingere illegalmente alle esportazioni russe a favore del suo mercato. Sicurezza della crisi dell’approvvigionamento + post-crisi in Europa e Ucraina Due eventi contribuirono alla sicurezza della crisi dell’approvvigionamento:  La causa remota era di tipo politico. La “rivoluzione arancione” iniziò nel novembre 2004, e rappresentò un peggioramento delle relazioni politiche tra Russia e Ucraina, e rafforzò il dialogo con UE. Alcuni accordi bilaterali permisero all’Ucraina di impegnarsi in un più forte dialogo politico con l’UE su temi di collaborazione economica e legislativa, commercio e investimenti. Ciò portò alla Politica di Vicinato europeo per l’Ucraina, in cui si rifiutava
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