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Formazione. I Metodi., Sintesi del corso di Metodologia Della Ricerca Psicologica

Gian Piero Quaglino libro 'Formazione, i metodi'

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

In vendita dal 28/01/2019

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Scarica Formazione. I Metodi. e più Sintesi del corso in PDF di Metodologia Della Ricerca Psicologica solo su Docsity! FORMAZIONE – I METODI. (QUAGLINO) CAPITOLO 1. ACTION LEARNING (GIUSEPPE VARCHETTA) La metodica e il movimento dell’action learning (AL) hanno segnato fin dagli anni 80 una forma di attenzione capace di allertare la ricerca e i practitioner della formazione a divenire consapevoli del “modo di procedere, di annotare, che la fragilità come il dubbio, l’errore come l’errare, sono gli elementi di cui si nutre la nostra possibilità di capire. RADICI DI UN METODO. Reg W. Revans --> ideatore e primo sperimentatore di AL. L’idea germinale di AL si sviluppa a partire da 3 fonti di ispirazione: la figura e l’attività paterna, le esperienze professionali-manageriali di Revans antecedenti alla sua attività di docente universitario e la spiritualità e l’esperienza del Clearness Committee. Il padre di Revans, Thomas W Revans, (morto prematuramente) aveva come convinzione che le regole fossero fatte per gli uomini e non gli uomini per le regole. Revans sottolineò sempre il grande peso che ebbe la ricerca istruttoria condotta da sua padre nell’analizzare le cause del disastro del titanic nel 1912 --> caso contenente in sè tutti gli elementi istituzionali di AL. Dal 1944-45 R operò come Chartered Mining Engineer in un’azienda mineraria in cui i principi di AL erano applicati e i minatori erano visti da R come “partners in adversity”. R ricorda questa sua esperienza come una occasione per confrontarsi con il suo interesse nei confronti dei processi di apprendimento e con quei “compagni di avversità” nello sforzo di raggiungere risultati “impossibili” grazie al lavoro di gruppo. R è stato membro del Christian Protestant Group, (seguaci del QUACCHERISMO) fede religiosa caratterizzata da principi di amore e tolleranza reciproci dove l’assenza del clero esalta l’autonomia del fedele. Si può cogliere una relazione tra la pratica quacchera del Clearness Committee e quelli definiti come action learning sets. Cos’è la pratica del Clearness Committee? Si origina nella cultura quacchera verso il 1660 ed è fondata sulla convinzione che ogni essere umano affronta spesso problemi personali ardui nell’ipotesi di possedere risorse interne idonee a risolverli ma contemporaneamente, di possedere forze oscure ostacolanti i processi di consapevolezza. + convinzione che esporre i problemi che angustiano a familiari e amici possa essere occasione di giudizi e valutazioni. L’attività di un Clearness Committee si struttura cosi: 1. focus person testimone del problema da affrontare + il gruppo di persone scelte (committee) con cui confrontarsi. dichiarazione al committee della natura del problema. la gestione della riunione affidata a un chairman. la focus person risponde alle domande dei membri del comitato, il tutto deve svolgersi in un clima rilassato. R scrive i principi fondamentali di AL nel 1971 e nell’80 definisce le istituzioni del metodo. AL è una ipotesi metodologica nuova che rompe quell’insieme di convinzioni educative che Dewey aveva identificato come “paradigma giudiziario” del pensiero. Il pensiero è visto come l’atto esterno che consiste nel mettere in relazione fatti e idee che esso trova come già dati. Per R pensare l’organizzazione deve essere calato nelle pratiche quotidiane. ACTION LEARNING: DEFINIZIONE E RIFERIMENTI OPERATIVI/ESECUTIVI Action Learning è un metodo di formazione degli adulti operanti nelle organizzazioni. Metodo: sostantivo che deriva dal greco “methos” parola composta da meta (=con) e odos (=via) ovvero la via piu dritta percorrendo la quale si può facilmente raggiungere un luogo desiderato. AL è un metodo innovativo di formazione operante nelle organizzazioni, capace di assistere i suoi “clienti” nell’affrontare meglio la sfida della complessità. A partire dagli anni 80 è stato usato in contesti diversi e ha subito dato via a modificazioni rispetto allal definizione originaria formulata da revans. AL può essere definito un metodo di formazione per aduli operanti in organizzazioni, a partire da un approccio al lavoro e all’apprendimento attraverso l’affrontare un progetto o un problema reale proposto da un committente ed 1 elaborato in setting educativi diversi, sempre caratterizzai dalla presenza di un gruppo di lavoro operante sia nel suo insieme che in alcuni sottogruppi di lavoro, con l’assistenza costante di uno specialista di formazione degli aduli, all’interno di un predefinito patrimonio di risorse temporali e budgetarie per eventuali richieste di assistenza specialistica. Caratteristiche: AL -Centrato sull’agire: l’azione costituisce la modalità primaria e fondamentale per l’uomo dell’essere al mondo; AL si fonda sulla – Convinzione: che non vi possano essere apprendimento e invenzione avulsi dal lavoro, dalla pratica quotidiana (tutto proviene dal lavoro). AL sostiene che ogni apprendimento/cambiamento esige un’esposizione verso lo squilibrio AL indica che dal semplice fare non possa nascere l’apprendimento. Per uncinare l’apprendimento, il lavoro la pratica vanno problematizzati attraverso lo sviluppo di una coscienza critica in grado di interrogarsi/interrogare il mondo. (riflessività nei setting della formazione – rompe la routine e può portare all’apprendimento). AL sottolinea che nei processi di apprendimento il singollo incontra la realtà dell’autonomia relazionale. L’identità umana è relazionale. Solo partecipando all’azione collettiva condivisa con altri esseri umani, il soggetto singolo si costituisce e si articola come un sé; AL Concretizza in sé un’organizzazione nell’organizzazione: i partecipanti divengono membri di un’organizzazione a tempo, ciò rappresenta per i partecipanti un’opportunità di sperimentazione e confronto con la realtà operativa del ‘lavoro per progetti’. COMPONENTI E DISPOSITIVI DI ACTION LEARNING La possibilità per i partecipanti di confrontarsi con quanto promesso dalla definizione di AL, può essere cosi sintetizzata: - Il processo di apprendimento è favorito dalla ricerca di soluzioni operative proposte dai partecipanti a problemi reali dell’organizzazione committente, quindi la problematica del brief è reale e complessa. - L’analisi del problema e la ricerca delle soluzioni alternative sono svolte all’interno di un piccolo gruppo in una dimensione relazionale; - la ricerca della soluzione e lo sviluppo dell’apprendimento sono processi paralleli, contemporanei e correlati. Questo insieme di problemi/obiettivi sono conseguibili grazie alla presenza di alcuni dispositivi-strutture indicati come PILASTRI della struttura di al: 1)La natura del problema proposto : il problema deve essere ‘tale’, reale, rilevante e urgente. La soluzione proposta deve implicare un miglioramento sostanziale per l’organizzazione. Il problema proposto offre varie prospettive di soluzione (non ha un’unica soluzione). La complessità e imprevedibilità costituiscono i principali fattori di attrattività per il gruppo di lavoro impegnato dall’AL, che trovano nel problema posto una sfida reale al proprio achievement. Il problema deve essere fattibile,cioè alla portata delle capacità reali della maggior parte dei membri del gr. Tuttavia se il problema è troppo sfidante risetto alle capacità esprimibili dal gruppo si può generare all’interno di esso un vissuto di sopraffazione. 2)Il set :AL è un metodo di formazione relazionale, caratterizzato dall’interscambio continuo tra sé diversi, nella misura in cui ogni membro sente di orientarsi sempre di piu verso i colleghi. Al = processo di apprendimento sociale in cui si impara insieme agli altri e dagli altri. Un gruppo di AL (SET di al) è un piccolo gruppo costituito da un minimo di 4 e un massimo di 8 membri. Idealmente i membri dovrebbero avere esperienze e knowhow diversi in modo da costruire una vera micro-organizzazione. E’ auspicabile che nel gruppo siano presenti livelli gerarchici diversi. Il set è il luogo elettivo del lavoro di ricerca, discussione e decisione; è il setting dove si svolge il confronto anche conflittuale e dove si registra il percorso fatto. Il set è una sorta di “contenitore delle attività di sviluppo, ma funge anche da stimolo critico e richiamo di realtà”. All’interno del set possono essere collocate le risorse che il gr di lavoro ha a disposizione: - risorse temporali: il gr ha un patrimonio di tempo per partecipante, da investire nell’attività di al (solitamente 10-15 gg full time per partecipante). – risorse consulenziali: possibilità di rivolgersi a un consulente. 2 -La narrazione è un processo creativo a carattere pratico: implica la capacità intellettuale di immaginare alternative. AUTOCASO: IL CORAGGIO DI PENSARE E PENSARSI (RIPENSARSI) Non è semplice però costruire un contesto formativo nel quale sia possibile far diventare centrali l’attività narrativa e la riflessività attiva. Occorrono sforzo, pazienza e tempo per apprendere dalla propria esperienza e per perseverare nel continuare a dare senso. È importante non smettere di ricercare e riflettere per impedire la cristallizzazione di abitudini relative ad uno specifico contesto. Interrogarsi sui modi dell’accadere significa rivivere e problematizzare esperienze non sempre gradevoli; è faticoso affrontare situazioni dimenticate o lasciate sospese, ri-mettendosi in gioco e in discussione, mostrando la propria fragilità rispetto a problemi della propria vita reale. UNA POSSIBILE DEFINIZIONE DI AUTOCASO Per metodo dell’autocaso intendiamo il processo di costruzione di un setting all’interno del quale sia possibile far diventare oggetto di lavoro educativo una situazione problematica accaduta realmente a uno o più partecipanti di un gruppo in formazione. Una situazione che viene narrata dal protagonista e sottoposta alla ricognizione dei colleghi del docente per apprendere da essa. E’ da un lato, l’allestimento di un materiale didattico messo per iscritto o raccontato oralmente per illustrare la situazione critica che intende far diventare oggetto di analisi e discussione, dall’altro è la gestione di questo materiale nella relazione a due con il docente e con i colleghi in tre momenti (prima dell’incontro d’aula, durante e dopo). Obiettivi formativi dell’autocaso: A partire dall’intento di ridurre la difficoltà di trasferire i contenuti dell’esperienza formativa nella propria realtà lavorativa, in generale gli ob formativi si riferiscono a insinuare l’importanza dell’esercizio costante di connessione con se stessi e sviluppare un riorientamento cognitivo emotivo e comportamentale. GLI OBIETTIVI: 1)) Sviluppare la capacità di presenza mentale ed emotiva, coltivare la capacità di controllo e dominio della propria mente e delle proprie emozioni, padroneggiare le situazioni ed adottare la filosofia della ‘sospensione’ dell’azione a vantaggio della riflessione. 2)) Far venire dei dubbi, far riconoscere che i propri pensieri e le proprie emozioni sono eventi mentali, frutto delle proprie percezioni e pregiudizi. 3)) Recuperare pensieri e vissuti personali rispetto all’esperienza rievocata, attraverso i quali conoscersi e ri-conoscersi. 4)) Sviluppare la capacità di analisi ediagnosi dei problemi. Rileggere e rielaborare l’esperienza personale confrontandosi e condividendola, vedere il proprio mondo con gli occhi dell’altro. 5)) Sviluppare la capacità di soluzione dei problemi e sostenere l’adozione di modelli alternativi di pensiero sulla tematica e situazione in oggetto. 6)) Favorire la consapevolezza di possedere una visione parziale dell’evento critico accaduto e di poter trarre utilità dal cercare il confronto con altri attori organizzativi, con ruoli anche diversi. 7)) Portare alla luce conflitti interni ed esterni onde studiare strategie positive di governo del conflitto utili a stimolare il cambiamento del soggetto e del gruppo. 8)) Sviluppare la meta-competenza di apprendere ad apprendere, acquisire un metodo di lavoro, di analisi e diagnosi delle situazioni nonché un metodo di aiuto all’elaborazione dei problemi degli interlocutori. Ci si potrebbe interrogare sul confine tra formazione e consulenza. Se la consulenza è la risposta a una domanda rivolta a una persona/ gr di persone, a una committenza per attivare un processo di sviluppo organizzativo, e se la formazione è un processo di produzione di apprendimento/cambiamento delle competenze individuali, possiamo dire che: La formazione che utilizza l’autocaso in un percorso formativo è in toto sovrapponibile alla consulenza, mentre la formazione che utilizza l’autocaso in un percorso formativo che vede la domanda della committenza non collegata a precisi obiettivi organizzativi è poco sovrapponibile alla consulenza. L’autocaso è particolarmente utile in alcune situazioni organizzative: formazione che accompagna processi organizzativi di cambiamento o ristrutturazione, formazione che si rivolge a nuovi ruoli o funzioni, se i cambiamenti sono legai a conseguenze sul piano individuale relativi a cambiamenti di ruolo, identità professionale e nella relazione con altre figure professionali. L’autocaso è adeguato ad affrontare tutte quelle questioni in cui è in gioco la storia 5 personale dell’individuo (esercizio del potere, leadership, comunicazione, empatia, processo decisionale, gestione dei conflitti e dello stress..). LA GESTIONE DI UN AUTOCASO: LA SUA SCRITTURA Lavorare con gli autocasi significa svolgere una preliminare attività di scrittura; scrivere è fare ricerca e non è un processo scontato. Il processo di attivazione della memoria e di traduzione in un racconto è un processo delicato e impegnativo e non si può progettare l’utilizzo di tale metodo all’inizio di un percorso formativo. Esso richiede infatti la previa costruzione di un clima di gruppo d’aula in grado di rendere possibile usufruire di un capitale di fiducia precedentemente maturato. L’impegno alla scrittura fondamentale per due ragioni: facilita il processo del fare memoria del passato e favorisce il compito narrativo successivo in aula. Per sostenere l’attività di scrittura è possibile fornire ai partecipanti una traccia che suggerisca i punti che potrebbero essere coperti (contesto, scena, clima relazionale, attori coinvolti, stato d’animo dei protagonisti e dei comprimari, le nostre strategie operative e comunicative, i cambiamenti di scena o di contesto, le conseguenze sul piano personale, ricerca della morale…) lasciando piena libertà in termini di lunghezza della storia. – la traccia per la scrittura può essere ridotta, personalizzata risetto ai temi che il percorso formativo intende affrontare. Nel caso l’invito fosse accolto il docente potrebbe organizzare una presentazione degli autocasi eventualmente già disponibili o invitare altre persone interessate a diventare protagoniste presentando ai colleghi un problema legato a ob/contenuti dell’attività didattica. Il passo successivo è scegliere la storia più rilevante per l’intero gruppo; si considerano le varie opzioni, si cerca di capire quanto siano affrontabili in aula e si procede nella scelta di una o più storie che raccolgono il maggior interesse, identificando quella da cui iniziare. In seguito si approfondisce con le domande dei colleghi e si procede alla discussione sino a produrre le interpretazioni e le prescrizioni per il futuro. Per scegliere i racconti/testi più adeguati si presta attenzione a diversi aspetti tra i quali i temi fondamentali, le metafore utilizzate, le dimensioni emozionali, la chiarezza, le omissioni, le contraddizioni, le persone coinvolte, ecc... Non sarà consentito alcun disturbo elettronico, si interromperà il racconto del testimone solo se ci saranno problemi di chiarezza da risolvere per evitare fraintendimenti, si dovrà sospendere ogni comportamento giudicante. Il tempo che dedichiamo all’analisi di un caso oscillerà tra le 2 e le 4 ore per non correre il rischio di essere ridondanti. E’ importante progettare uno spazio per la valutazione di ciò che resta dell’esperienza di utilizzo di tale metodo (può essere utile che ciò avvenga individualmente per una successiva condivisione in aula) (si può fornire ai partecipanti una check-list che potrebbe seguire una traccia: ha fatto luce su aspetti prima non considerati? Cosa ho imparato? Mi è piaciuto il metodo?). DALL’AUTOCASO NARRATO E INTERPRETATO ALL’AUTOCASO RIPROGETTATO Una ulteriore ipotesi è di non fermarsi alla rielaborazione del passato e all’ipotesi teorica di futuri corsi d’azioni ma di procedere inventando il futuro là dove la storia non sia conclusa, in tal caso il narratore darà un nuovo titolo al racconto. “autocaso riprogettato”: il passato non è chiuso e riceve il suo senso dalle nostre azioni future. Vengono immaginate possibili evoluzioni della storia e vengono messi in scena role play in cui questo futuro viene reso presente. La gesione del processo didattico si articolerà in 2 macrofasi: 1)Reframing: analisi e valutazione dell’esperienza. Ricostruzione del passato sino al presente. Rielaborazione per costruire nuovi frame cognitivi più adeguati alla soluzione del problema 2) Empowering: progettazione del futuro a partire dal presente. Interviene a questo punto l’utilizzo del metodo del Role play: prima variante dell’autocaso riprogettato consiste nel far giocare la simulazione alla stessa persona testimone/protagonista, la quale adotterà la strategia messa a punto a valle del processo. Seconda variante : inversione dei ruoli: si fa assumere all’attore principale la parte di uno dei suoi interlocutori mentre qualcuno tra i suoi compagni di viaggio formativo cercherà di mettersi nei suoi panni. LA GESTIONE DELL’AUTOCASO DURANTE EVENTUALI INTERMEZZI Là dove l’autocaso è collocato all’interno di un percorso a tappe progressive che vede l’alternarsi di aula e di lavoro sul campo, è importante prevedere che i protagonisti dei casi trattati vivano l’intermezzo come uno spazio 6 sperimentale di attivazione di nuovi comportamenti. -L’attivazione di un forum/classe virtuale per un lavoro di recall; la possibilità per i partecipanti di usufruire di colloqui individuali di coaching/counselling. Vantaggi: realizzare il passaggio dalla teoria alla pratica (realtà come viene vissuta), coinvolgimento diretto e attivo dei partecipanti e, indirettamente, dei loro capi/colleghi. Rischi: difficoltà a mantenere alto il livello di efficacia se il testimone non è chiaro, problema non interessante, partecipanti non esperti della materia e il tema richiede competenze, il partecipante si difende/giustifica perchè si sente valutato e non sostenuto, scarsa apertura del gruppo, poco tempo, gruppi troppo numerosi. Limiti: difficoltà per il docente di affrontare tutti i temi previsi, distorsioni percettive personali, presunzione di considerare che la realtà raccontata sia stata espressa nella sua complessità. Della questione abbiamo detto: il mondo rappresentato è sempre frutto di una selezione. Il racconto orale falsa sempre la realtà, cosi come la scrittura nella quale possiamo sempre sentire una voce. È necessario raccomandare al partecipante di confrontare la rilettura della sua vicenda realizzata nel gruppo di apprendimento con le persone all’interno della sua organizzazione di appartenenza, queste ultime potranno aiutarlo a verificare la verosimiglianza delle sue conclusioni. La figura del formatore che gestisce l’autocaso è articolata cosi: è un consulente, docente, animatore del processo, agente di cambiamento. Ha 3 vertici di osservazione da presidiare: organizzativo (in cui può collocarsi l’evento formativo), di gruppo e individuale. E’ importante che il docente sia esperto di dinamiche di gruppo e sappia gestire il clima del gruppo (cioè la tonalità affettiva di base che esso esprime come prevalente) e abbia una competenza analitica e restituiva. Altra competenza importante è dell’improvvisazione progettuale e di alleggerimento di quella che potrebbe essere la pesantezza rappresentata dal carattere depressivo della scoperta di sé. Lievità ma anche severità: il docente dovrà essere rigido nel non consentire che nel gruppo qualcuno si esima dall’impegnarsi nell’esercizio di due capacità (essere dove si è, imparare a concentrarsi, osservare... ascolto attivo econtribuzione all’elaborazione dell’autocaso). Deve avere lunga esperienza sia di formazione sia di consulenza. Capitolo 4: BUSINESS GAME I business game (BG) sono degli ambienti di apprendimento che mettono a disposizione dei partecipanti e dei formatori un contesto dinamico ad alto grado di coinvolgimento, entro il quale i giocatori sono chiamai a prendere delle decisioni sufficientemente complesse riguardo a temi di gestione aziendale, di sviluppo organizzativo e di posizionamento strategico. I BG implicano degli obiettivi da raggiungere e una struttura di gioco né troppo semplice né troppo complessa, il punteggio consente ai partecipanti di avere un feedback continuativo sulla propria performance, ciò consente di apprendere dagli errori in un ambiente protetto no blame and no shame. Bisogna scegliere il BG più adatto in rapporto alle finalità educative, ci possono essere infatti diverse situazioni e modalità di utilizzo. La modalità più frequente avviene entro percorsi di formazione articolati secondo una struttura che comprende vari moduli e differenti metodologie didattiche: lezioni, studi di caso, role play, filmati. Qui per scegliere bene si deve tener conto delle caratteristiche intrinseche dell’ambiente simulato e delle finalità complessive del corso, e della collocazione temporale della simulazione entro il percorso. Altro fattore rilevante è che oggi la struttura dei BG risulta modulare, cioè risulta possibile decidere a priori se prediligere lo svolgimento del numero completo delle giocate possibili o preferire un numero di giocate ridotto. E’ anche possibile che un intero corso risulti costruito esclusivamente su un BG, ma si dovrà porre attenzione sulla suddivisione degli spazi per le riflessioni e le esperienze. Apprendere mediante i BG implica che i partecipanti si mettano in gioco assumendo precise responsabilità rispetto al raggiungimento di certi obiettivi. Alla base dei BG c’è l’idea di imparare operando entro scenari complessi attraverso lo sviluppo non solo di competenze di analisi, di valutazione e di pensiero critico, ma anche quella di puntare sulla capacità di trasformare subito quanto deciso in azioni concrete. I BG consentono non solo di valutare scenari e percorsi alternativi ma anche di costruire nuove interpretazioni condivise della realtà simulata. In molti casi i BG risultano essere fruibili direttamente via internet (anytime and anywhere). I BG tendono sempre più a essere impiegai non solo nel campo della formazione, ma anche in attività di valutazione del personale e di individuazione dei talenti. 7 3. Fissare le relazioni causali che determinano la razionalità delle azioni; 4. Misurarsi in processi di raccolta/ organizzazione/interpretazione delle info; 5. Elaborare nuove conoscenze; Ciascuna giocata genera un’esperienza ad alta rilevanza che deve essere oggetto di approfondimenti nel corso dei debriefing tra una giocata e l’altra. Fattori di successo di questa fase: partecipazione attiva, consapevolezza in relazione sia al livello di competenza raggiunto sia alle aree di ulteriore miglioramento, capacità del formatore di presidiare lo scenario proposto a un livello di dettaglio crescente. Tra i fattori di ostacolo: preoccupazione/imbarazzo da parte dei partecipanti, percezione di incongruenza tra side richieste dal BG e livello di competenza raggiunto, insufficiente preparazione/pianificazione delle attività da parte del formatore, incapacità del formatore di far fronte alle dinamiche emergenti dalle attività. IL DEBRIEFING FINALE: passaggio fondamentale poiché da esso dipende il grado in cui i partecipanti arrivano a consolidare gli apprendimenti resi possibili dall’esperienza svolta nel corso del BG e gettare le basi per eventuali passi successivi del percorso di formazione. Ha lo scopo di promuovere un processo di riflessione sull’esperienza svolta e di creare le condizioni affinché ogni partecipante sviluppi coinvolgimento rispetto ad aree di ulteriore sviluppo. Il ruolo del formatore in questa fase è importante non solo in termini di facilitazione del confronto e guida nell’elaborazione dei messaggi formativi emersi, ma anche riguardo al piano emotivo/motivazionale (crea un contesto favorevole alla discussione e al dialogo). Fattori di successo: Clima favorevole al confronto tra le interpretazioni; Formatore come agente di stimolo dell’analisi e valutazione attraverso l’abilità di porre domande in grado di attivare la riflessione e per facilitare la razionalizzazione e la sintesi; Disponibilità dei partecipanti di issare le linee guida di riferimento per lo sviluppo futuro di ogni partecipante. Fattori di ostacolo: i partecipanti si oppongono alla riflessione e al confronto con valutazioni diverse (paura/imbarazzo, tendenza a sovrastimare le proprie competenze o a percepire le critiche come una minaccia), clima dominato dalla non volontà di apprendere e di cambiare, insufficiente abilità da parte del formatore nel costruire una cornice di senso entro cui ricondurre il confronto e il dialogo. Il successo di un BG in termini di risultai di apprendimento dipende dalla capacità del formatore di gestire in modo efficace il complesso delle fasi considerate. La fase di debriefing riveste un’importanza particolare; un debrieing finale efficace è organizzato in alcune fasi: FASE 1 – LE EMOZIONI: il formatore chiede ai partecipanti di descrivere e condividere ciò che hanno provato in termini emotivi e di sensazioni (scopo: decomprimere gli stai di tensione per una discussione serena, creare un clima di fiducia e confidenza); FASE 2 – Le percezioni: condividere le percezioni in merito a quanto è accaduto nel corso del BG (scopo: raccogliere le diverse info e osservazioni, evidenziarne le convergenze e diferenze). La prospettiva del formatore può essere inclusa nel confronto per sottolineare dinamiche di gruppo da analizzare; FASE 3 – La trasferibilità dell’apprendimento: vengono considerate le relazioni tra l’esperienza realizzata durante lo svolgimento del BG e la realtà operativa. Scopo del formatore: presidiare il trasferimento dell’apprendimento nella realtà di riferimento dei partecipanti. Il confronto e l’analisi può spingere a significativi livelli di approfondimento; FASE 4 – Le lezioni apprese: il formatore aiuta i partecipanti a identificare e sintetizzare l’apprendimento più rilevante da loro raggiunto. Gli elementi che sono stai oggetto di discussione vengono riassunti in modo da aiutare i partecipanti a consolidare tali apprendimento nelle loro strutture cognitive; FASE 5- L’esplorazione: discutere intorno a scenari ipotetici, per esplorare ulteriormente i principi fondamentali alla base della simulazione e l’applicazione delle lezioni apprese in contesi diversi; FASE 6 – L’agenda del lunedì: sviluppare nei partecipanti una esplicita e consapevole programmazione di obiettivi chiari, realistici e misurabili. Il formatore aiuta i partecipanti a descrivere in modo concreto come intendono valersi di quanto imparato. Un rituale di chiusura può essere un buon modo per completare il bg relativo al deb. Conclusione. Utilizzare i BG in formazione significa puntare su processi di apprendimento attraverso il ‘fare’ che richiedono ai partecipani di metersi in gioco, consentendo loro di disporre via via di dai aggiornai riguardo le loro prestazioni, sulla quale poter riflettere al ine di riuscire a migliorare la propria performance. L’uilizzo dei BG in formazione risale a più di mezzo secolo fa, quando sono nati i primi giochi complessi con finalità didattiche. Un BG di qualità deve essere sufficientemente realistico, dinamico e complesso; avere obieivisfidanti ma raggiungibili; disporre di contenui stimolanti e versatili. La loro gesione richiede sempre il presidio di una sequenza ordinata di fasi. In conclusione, l’efficacia in termini di apprendimento di un BG dipende sia dalle caratteristiche intrinseche dell’ambiente simulato sia dalla capacità del formatore di uilizzare il BG in modo da valorizzare al massimo le sue potenzialità educative. 10 CAPITOLO 6: IL CASO Il metodo dei casi è arrivato in Italia negli anni Cinquanta, grazie ad industrie che lo uilizzarono nei programmi di formazione soprattutto a livello manageriale. Proposto inizialmente da Langdell, preside della scuola di legge di Harvard. Il caso è una descrizione più o meno breve di una situazione sia essa reale o immaginaria; il metodo dei casi consiste nel far analizzare ai partecipani una situazione problematica che richiede una soluzione, sovente non univoca. Il caso Deve essere coinvolgente e dettagliato per far emergere un’ampia gamma di opinioni sul problema. A metà anni 80 il case study si basava sul principio che la formazione aziendale potesse trarre maggiori risultati dei casi rispetto al metodo piu tradizionale della lezione, ritenendolo piu incisivo. Rispetto alla lezione tradizionale infatti può far ragionare i partecipanti su elementi propri della cultura organizzativa. Definizione di caso. un caso è il resoconto/la cronaca degli eventi che hanno condotto a tale situazione/ problema o che stanno a monte: una ricostruzione +/- dettagliata di un certo periodo di storia organizzativa rispetto al presente rappresentato dal problema stesso. L’incident lo si potrebbe definire come un caso da completare. Ai soggetti posti di fronte a un problema viene richiesto di ricostruire il caso, di individuare il tipo di info necessarie all’analisi e di proporre una soluzione. L’uso dei casi rientra tra le metodologie attive fondate sull’elaborazione dell’esperienza e riconducibili a una visione costruttivista: il soggetto è autonomo e consapevole capace di costruire e modificare la propria conoscenza. L’uso dei casi si colloca tra la lezione accademica e i metodi piu attivi ( simulazioni, role play). Alcuni distinguono tra studio di casi (case study) e metodo dei casi: il primo sarebbe una descrizione generale di una situa, mentre si può parlare di metodo quando il caso ha in sé info adatte per essere usato come paradigma di insegnamento. I casi si distinguono in alcune tipologie a seconda dell’ob: - Casi diagnostici: presentano una situazione complessa e richiedono di formulare una diagnosi della situazione, selezionando e interpretando i dai. Scopo: sviluppare la capacità di analisi critica, delineare il quadro della situazione. - Casi decisionali (o di soluzione dei problemi) descrivono una situazione critica iniziale per cui i partecipani devono trovare la soluzione e devono individuare le modalità più adeguate e prevedendo i rischi. Scopo: migliorare la capacità di decisione in situazioni d’incertezza. - Casi relazionali: riproducono situazioni di gestione delle relazioni e non prevedono una sola soluzione (da considerarsi unica e corretta). Scopo: sviluppare la capacità di affrontare problemi complessi e aumentare la consapevolezza della pluralità di ‘strade possibili’. No superiorità del docente rispeto ai partecipani. Uso dei casi a seconda degli ob formativi, dei temi e dei docenti. La tipologia dei casi è riconducibile agli obdi apprendimento. OBIETTIVI DI APPRENDIMENTO DEL CASO. Una prima ipotesi di obieivi riguarda lo sviluppo di capacità intellettuali per la soluzione dei problemi. Si tratta di problemi che si differenziano in 2 categorie: - problemi Basati su info/dati definiti e che per essere risolti richiedono ragionamenti complessi o procedure analitiche che conducono a soluzioni precodificate. - problemi che Richiedono di adottare schemi di ragionamento più liberi/non codificati. Possono condurre ad una gamma di soluzioni. Nel primo caso si tratta di individuare la risposta corretta (CASI CHIUSI) nel secondo caso si dovrà adottare un ragionamento + complesso e meno codificabile (CASI APERTI). Es casi digestione del personale, relazioni con gli interlocutori istituzionali… Altri studiosi considerano come ob, per il metodo dei casi, quelli di : fornire realismo all’esperienza indiretta, focalizzarsi su problemi concreti, sviluppare competenze di soluzione dei problemi, condividere le esperienze dei partecipani. Risultai cui aspira il metodo: riflessione approfondita e analisi dei problemi, emergere di vari punti di vista, consapevolezza di diverse opzioni di risoluzione. Possiamo quindi evidenziare come dai casi sia possibile imparare ad affrontare l’incertezza e la complessità, ponendo l’attenzione ai diversi aspetti di ogni situazione e prefigurando gli esiti di ogni azione ipotizzata. Sui risultai della discussione si misurano diverse dimensioni relative a: 11 - Area cognitiva (analisi, problem solving, innovazione) - Area relazionale (collaborazione, influenza, gestione conflitti, stabilità emotiva) - Area realizzativa (decisionalità, concretezza, iniziativa) Queste tre dimensioni sono riconducibili a diverse fasi del caso, ovvero ANALISI, VALUTAZIONE, CONCETTUALIZZAZIONE E DISCUSSIONE DELLE APPLICAZIONI. Le capacità sviluppate in aula possono essere trasferite ad altre situazioni, consentendo la risoluzione di problemi simili. Il metodo dei casi consente, inoltre, di ‘trasformare le prospettive’. Per riassumere potremmo affermare che i principali obiettivi del metodo dei casi sono: sviluppare un apprendimento di diagnosi e approfondimento (problem finding): in questa categoria il caso rappresenta lo stimolo e il riferimento di una situa da chiarire, che richiede un’attività di analisi, con la richiesta di ulteriori info. Si tratta di casi che possono avere complessità crescente e a volte essere presentati “ a puntate”. -sviluppare la capacità di scelta e decisione (decision making): il caso consente di sviluppare alternative di azione passando anche da momenti di brainstorming, diventa un’’occasione per ragionare sulle varie opzioni per risolvere il problema. COSTRUZIONE DI UN CASO. Per progettare un caso è necessario considerare alcuni elementi importanti: - La veridicità della situazione (verosimiglianza e credibilità); - L’aderenza al contesto e al ruolo che dovranno ricoprire i partecipanti (coerenza con la situazione aziendale) sempre più difficile per i cambiamenti imprevedibili; - La gradevolezza (il caso deve poter essere trattato con modalità creative e esprimendo le competenze di ognuno dei partecipanti). In seguito è necessario definire le fasi di COSTRUZIONE DI UN CASO, che sono sostanzialmente quattro: 1. Definizione dell’obiettivo da raggiungere; 2. Ricostruzione di una situazione problematica con dati che possano servire per giungere a decidere una soluzione, tra cui ad es elementi della storia organizzativa (consuetudini, norme), elementi della storia professionale degli attori (esperienze), soggetti coinvolti, antecedenti del caso… 3. Richiedere la revisione a persone che sono in possesso dello stesso livello professionale dei partecipani per eventuali suggerimenti; 4. Messa alla prova del caso in aula, con l’arricchimento dell’esperienza. Ci sono poi delle variabili cardine da considerare (individuate da Majer e Farinella) : contenuti da trattare, tempo a disposizione per l’analisi, tipo di supporto (cartaceo o multimediale), info distribuite, ruolo del formatore. COME E QUANDO USARE UN CASO. Il caso ideale deve essere breve (da 5 a 10 pagine) e richiede un lasso di tempo utile all’esplorazione completa. È necessario definire dei ruoli per facilitare la discussione in aula, come ad esempio il ruolo del docente stimolatore della discussione, esprime punti di vista diversi vs le soluzioni che emergono dalla discussione e favorisce il dibattito; il ruolo del facilitatore che rispecchia bene gli obiettivi che vengono definiti dall’autore in base ai diversi casi. In generale, L’utilizzo dei casi può variare secondo alcune opzioni Versione 1: (CASI CHIUSI a carattere tecnico/scientifico): consiglia di far precedere il caso da una lezione di inquadramento per non confondere i partecipanti. Dopo una rapida lettura in plenaria si suggerisce una fase di lettura individuale + annotazione delle osservazioni, poi una discussione in sottogruppo dove confrontarsi sulle differenze tra analisi e infine una fase di presentazione in plenaria. Versione 2: uso dei casi dall’inizio, fasi di analisi individuale e discussione (prima in sottogruppi e poi in plenaria) e si conclude con una lezione . Versione 3: casi come unico metodo di insegnamento non solo all’avvio dell’aula con fase di discussione successiva. È Importante aiutare i discenti a riconoscere e far emergere gli elementi di apprendimento. 12 praticare (conoscenza emergente dal concreto operare in situazione attraverso processi di learning, knowing, organizing). La CdP si basa su una prospettiva dei processi di apprendimento che mete in evidenza la necessità di andare oltre le visioni classiche che descrivono il fenomeno come strettamente legato alla sfera individuale per delineare una teoria sociale e decentrata dell’apprendere. Il fondamento dell’apprendere risiede dunque nella partecipazione sociale a una pratica, la quale può essere schematicamente tematizzata come l’insieme delle condotte degli attori sociali impegnai nelle più disparate forme di relazione con il mondo/contesto. La pratica è la fonte principale ella produzione sociale di significato. Ed è a partire dalla pratica che è possibile identificare il reticolo relazionale degli attori implicai nell’azione e interessati ad essa. Questo reticolo può essere tematizzato anche come comunità. Comunità di pratica è un concetto in continua evoluzione, che sottolinea la dimensione situata e sociale dell’apprendimento. Le CdP sono aggregazioni informali di attori che si costituiscono spontaneamente attorno a pratiche di lavoro comuni nel cui ambito sviluppano solidarietà organizzativa sui problemi, condividendo scopi, saperi pratici e linguaggi. Si tratta di gruppi che nascono attorno a interessi condivisi (problemi comuni da risolvere), si alimentano di contributi e impegni reciproci, durano ino a quando persistono gli interessi comuni e sono tenui in vita dalla relativa libertà da F 0 E 0vincoli organizzativi di tipo gerarchico. attori che nella pratica e attraverso la pratica elaborano significai comuni, apprendono e costruiscono la loro identità soggettiva e collettiva. L’organizzazione prevede che i riparatori, nello svolgimento dei loro compiti, si riferiscano ai manuali di manutenzione e alle indicazioni che “conducono” dal problema alla soluzione e quindi alla riparazione. MA i manuali hanno dei limiti: non sono in grado di fornire soluzione a tutti i guasti improvvisi segnalai dai clienti. La pratica dei riparatori è dunque costretta ad andare oltre i manuali e a inventare soluzioni inedite rispetto ai repertori preordinati di risposte. La pratica dei tecnici (che riguarda il funzionamento e manutenzione della macchina, e le relazioni sociali con i clienti e con i tecnici stessi) genera costantemente l’occasione di elaborare nuove analisi dei problemi, di trovare nuove soluzioni e di produrre quindi nuova conoscenza. Attraverso la pratica, quindi, pervengono all’elaborazione di repertori di saperi in uso locali molto specifici che costituiscono un patrimonio di conoscenze rilevanti per la loro attività. Le nuove conoscenze circolano tra i tecnici della stessa “linea” organizzativa grazie alla comunicazione informale e agli scambi di esperienze che avvengono x via narrativa. Attraverso questi racconti le conoscenze possono circolare dando luogo a fenomeni di apprendimento che dalla pratica hanno origine e alla pratica ritornano. LE COMUNITA’ DI PRATICA TRA PROGETTAZIONE E COLTIVAZIONE. Svolta di Wenger: abbandonando l’orientamento prevalentemente centrato sulla ricerca e sulla conseguente elaborazione teorica, incoraggia l’ipotesi della “COLTIVAZIONE” di CDP: la possibilità di promuovere, costruire e coltivare CDP in abito organizzativo è data, in virtù di una forzatura del concetto di origine. La forzatura consiste in una torsione intellettuale a ipotizzare la riproduzione ex nihilo delle condizioni che portano spontaneamente alla nascita di una CdP. LeCdP nella loro interpretazione canonica sono aggregazioni spontanee di attori che si ritrovano insieme perché accomunai da un problema legato ad una pratica di lavoro da risolvere nell’interesse di tutti. Riprodurre artificialmente le condizioni che portano a cooperare è esattamente ciò che si propone un approccio finalizzato a costruire CdP. Il problema metodologico di fondo consiste nella creazione di un ‘contesto’ che, a parire dall’individuazione di un campo tematico, induca/invogli alla collaborazione in situazioni in cui la tendenza spontanea spingerebbe più alla ricerca individuale di soluzione dei problemi che alla condivisione e al sostegno reciproco. Il punto di vista del management e il suo atteggiamento verso le CdP è decisivo, poiché è in gioco l’interesse e la capacità di sostenere le dinamiche dell’apprendimento continuo nelle organizzazioni. Sul piano metodologico i possibili approcci ispirati alla logica della costruzione della CDP si muovono nell’ottica dell’intervento le cui configurazioni di metodo esibiscono tratti sempre poi precisi. Proveremo a descrivere 3 di tali prospettive di metodo. 1. la prima: Viene postulata la possibilità di progettare una cdp con modalità simile alle tecniche ingegneristiche della progettazione organizzativa. L’idea guida è di progettare e sperimentare strumenti e accorgimenti capaci di potenziare le relazioni e gli scambi per estendere la circolazione della conoscenza e rendere più facile l’apprendimento. la progettazione dei metodi e degli strumenti di intervento si sviuppa lungo percorsi di ricerca e cerca di moltiplicare le occasioni e spazi di interazione tra i soggetti. Si tratta di dispositivi che consentono ai membri della comunità di interagire e di accedere a banche dati anche mediante criteri di ricerca avanzati. Rischi di un uso improprio di tale 15 ricerca: nessun dispositivo può risultare efficace se considerato come modello standard da estendere a qualsiasi contesto; nessuno schema di intervento di supporto può fare a meno della cooperazione interpretativa dei soggetti, i quali si esprimono secondo modalità imprevedibili; 2. prospettiva: Concepisce l’intervento come azione orientata a evitare l’indebolimento nel tempo della vitalità delle relazioni e delle dinamiche della CdP. L’intervento si configura come sostegno agli attori della CdP nella loro attività di analisi dei problemi emergenti. L’idea di coltivazione si distingue da quella di progettazione, nella misura in cui la sua azione rinvia a pratiche fondate su relazioni con un oggetto. ( i soggetti che si riconoscono nella comunità e nelle sue pratiche, dotato di autonomia e spontaneità mai del tutto riducibili agli ob fissati in anticipo e agli effetti sperati dall’intervento) È un approccio che evita accuratamente ogni tipo di soluzione standardizzata di intervento per concentrarsi su pratiche di sostegno che mirano a stimolare capacità di individuazione e analisi dei problemi. Coltivare una comunità implica l’assumersi il compito di seguirla e accompagnarla per permetterle di seguire i processi nella consapevolezza che essa segue il naturale ciclo di nascita, crescita e morte. I passaggi evoluivi sono: scoperta della comunità potenziale, inizio della crescita (emerge il valore dell’insieme, cooperazione, condivisione, e la sua vitalità), maturità (consapevolezza identitaria del gruppo, attenzione a “gestire” i confini…), gestione (impegna i membri nella riflessione sull’uso delle conoscenze acquisite), trasformazione della comunità caratterizzata dall’indebolimento della vitalità dell’insieme. Limite: la metafora della coltivazione tradisce un’interpretazione dell’intervento che rischia di essere l’esatto opposto di ciò che dichiara di voler essere. La coltivazione nega di fato l’autonomia della CdP visto che c’è qualcuno da cui essa dipende per sopravvivere e svilupparsi. Tutte le attenzioni metodologiche dedicate ai processi legai al ciclo di vita della comunità rinviano ad un intervento diretto da un soggetto esterno, la cui azione nonostante le intenzioni dichiaratamente non intrusive, è direttiva. 3. Parte dall’ipotesi di Wenger ma si distanzia sia dal punto di vista delle articolazioni “procedurali” e anche e soprattutto dal punto di vista delle idee-guida dell’apprendimento. Ispirato all’idea della ‘cura’. Prendersi cura di una CdP significa riconoscerne l’autonomia e rispettarne i processi spontanei di autocostruzione; promuovere occasioni di riflessione grazie alle quali i soggetti riescono a riconoscere i nodi delle dinamiche sociali; implica interventi sostenuti da competenze relazioni, capacità di ascolto, di ricerca e di analisi. L’impegno relazionale di colui che ha cura di una CdP si esprime attraverso la disponibilità ad accettare gli eventi di cui sono protagonisti i suoi attori senza mai tentare F 0 E 0di influenzarli neutralità metodologica. Si tratta di una prospettiva di intervento, di facilitazione e di consulenza orientata a sviluppare nei membri della comunità capacità riflessive sulle loro pratiche. La vitalità può essere sostenuta e incoraggiata attraverso specifici ‘interventi’ non invasivi di accompagnamento, sostegno e supporto. Tra le implicazioni di qs prospettiva bisogna segnalare la necessità di assumere una rinnovata consapevolezza della rilevanza dei fattori informali dell’organizing. Il riconoscimento dell’importanza dell’informale segnala l’importanza di focalizzare l’attenzione sulla dimensione della vita organizzativa. Bisogna fare in modo che il sostegno alla CdP non riduca gli spazi di informalità, di libertà e di autonomia del gruppo con azioni che rischiano di configurarsi nei termini soffocanti del controllo. È un intervento di facilitazione delle dinamiche che la comunità genera da sola (auto- organizzazione assistita). Analizzando lo schema di intervento, notiamo che la prospettiva alla cura delle CdP ha come sfondo la teoria costruzionista dell’apprendimento e il metodo della ricerca-azione. 1)teoria costruzionista dell’apprendimento : prospettiva intersoggettiva dei fenomeni di apprendimento che riguardano gli attori da “coinvolgere” e gli esperi chiamati a sostenere/curare/accompagnare/facilitare la costruzione. In gioco è il riconoscimento del carattere processuale e sociale delle realtà organizzattive e la consapevolezza degli assunti in esso implicati: organizzazione come sistema sociale e negoziato basato su una costante attività di produzione e riproduzione delle pratiche, conoscenza come prevalentemente connessa a pratiche di azione e di relazione sociale, condivisione della conoscenza, rilevanza dell’esperienza lavorativa. 2)Metodo della ricerca-azione : sottolinea il tratto implicante degli esperi coinvolti, la loro azione consiste in un lavoro in cui si produce simultaneamente conoscenza e cambiamento in un processo all’interno del quale la conoscenza è basata sulla configurazione e confronto con i problemi; la scoperta avviene sul campo come esito dell’interazione tra esperi e attori; la conoscenza è legittimata dal consenso degli attori che l’hanno prodotta e al cambiamento che è riuscita a suscitare. Lo schema di intervento di cura (intesa nel senso di accompagnamento, facilitazione, supporto) può essere ricondotto ad alcune variabili da gestire di volta in volta in base alle situazioni che ci si trova ad affrontare: 16 Definizione della presenza di un facilitatore esterno al gruppo il cui ruolo è quello di assistere, sostenere, accompagnare i processi attivati dai partecipanti con una presenza discreta e sempre più marginale; Individuazione di un gruppo attori/professionisti impegnai in un campo omogeneo di pratiche; Mobilitazione di dispositivi e strumenti funzionali alla ricognizione e alla produzione congiunta delle conoscenze e dei saperi pratici; Entrata in relazione con l’esperienza dei soggetti nell’organizzazione attraverso la costruzione congiunta di problemi riconosciuti rilevanti; Elaborazione di un “impegno di continuità” del gruppo legato a un progetto concreto da sviluppare insieme. Bisogna fare attenzione al processo di individuazione degli oggetti di interesse, alla spendibilità delle tracce di lavoro proposte, alle concrete forme di coinvolgimento. Ma non sempre l’approccio del prendersi cura delle CdP funziona ed è spendibile. Vantaggi: opportunità di valorizzare la vicinanza ai contesi, intesi sia come luoghi fisici e sociali, sia come matrici di significato. Il guadagno di tale vicinanza permette di cogliere le modalità di attribuzione di significato presente in una situazione concreta. Diventa realistica la possibilità di apprendere un contesto organizzativo mediante una comprensione che passa attraverso momenti di relazione, negoziazione, confronto tra diversi punti di vista. Limii: comporta un costante e impegnativo esercizio di riflessione critica sul proprio coinvolgimento, necessità di un’attenta considerazione delle condizioni di sostenibilità e praticabilità di un tale approccio la cui applicazione ‘manualistica’ rischia di generare esiti negativi. Senza il riscontro di condizioni buone conviene non cimentarsi nell’impresa e adottare altre opzioni di intervento formativo. Conclusione: il carattere di emergenza delle CdP spontanea e non programmabile chiede il contemporaneo esercizio di una prefigurazione ma anche di un’attesa, di una sollecitazione ma anche di un’astensione, di un accompagnamento che moduli vicinanza non eccessiva e opportuno distacco. Avere cura di una CdP, più che un modo, è un’arte formativa che può essere appresa e consolidata come pratica da tramandare e custodie socialmente e professionalmente. Capitolo 17–E-LEARNING (RIVOLTELLA) Il termine e-learning indica quella che Nipper ha chiamato “formazione a distanza di terzagenerazione”. Le prime due generazioni, facevano riferimento alla formazione per corrispondenza e all’impiego di supporti audiovisivi. Per le prime due generazioni si trattava comunque di situazioni didattiche in cui la relazione del fruitore con l’équipe formativa era troppo bassa per essere significativa. L’avvento delle tecnologie web-based cambia il quadro di riferimento: la distribuzione dei materiali di studio diviene istantanea, il feedback è in tempo reale, si può prevedere un’interazione tra chi partecipa al corso e chi lo gestisce. Da questo momento si può parlare di E-Learning. E = sta per –electonic e allude al supporto della formazione : negli strumenti e nelle tecnologie web-based, che si configurano come bacheche in cui condividere avvisi e un’agenda di eventi e consegne, le chat e i forum. L’apprendimento attraverso E-learning dovrebbe essere E-FECTIVE (l’efficacia che deriva dalla possibilità del corsista di gestire tempi e luoghi della sua formazione), E-MOTIONAL (permette al corsista di avere una relazione one-to-onecon il tutor e vivere una dimensione fortemente partecipativa e collaborativa all’interno della community del corso), E-NHANCED(predispone passerelle cognitive, supporti, disponibilità di materiali e help in linea). 17 Si usano metodologie come ilJigsaw(= metodo che consiste nel mixare le specificità di lavoro cooperativo e collaborativo, organizzando un’attività facendola svolgere x gruppi cooperativi. Quando il lavoro raggiunge il suo obiettivo, i gruppi cooperativi vengono smontati e si riallestiscono dei gruppi collaborativi in ciascuno dei quali vi sia almeno un componente dei precedenti gruppi cooperativi. Il problema viene rianalizzato approfittando del valore aggiunto che lo sguardo dello specialista e del non specialista insieme possono garantire al lavoro di analisi e problemsolving) Discourse community : sarà sufficiente aprire un forum generale di discussione a supporto della formazione senza preoccuparsi di strutturare eccessivamente il lavoro dei partecipanti. Si possono usare come metodologie metodologie: - Reciprocal teaching(= metodologia che proviene dall’educazione infantile) - Seminario online : può assumere due forme-base. Forma asincrona o modalità sincrona. La seconda modalità si differenzia dalla prima in quanto è favorita dalla diffusione dei sistemi di instant messaginge dalla disponibilità di banda. - Consultazione con esperti : differisce dal seminario perché non gli viene richiesta una comunicazione, ma di rimanere a disposizione dei corsisti. Knowledge-building communities: coprono tutti quei casi in cui la formazione assume le forme della ricerca- intervento: come le comunità di pratica, queste devono produrre dei risultati che non siano conversazionali, ma sono organizzate e condotte in maniera rigida. Metodologie: - Co-costruzione online Per quanto concerne invece la metodologia ‘Ricerca-azione online’ è una metodologia di lavoro particolarmente utile quando si lavora a processi di intervento/miglioramento al medio-lungo termine. (Caratteristiche: orientamento idiografico, coinvolgimento dei professionisti da formare in qualità di co-ricercatori nel processo. Limiti: approfitta delle opportunità offerte dalla Rete per attivare il processo di ricerca-formazione in contesti e con operatori diversi). Definita la metodologia si tratterà di passare agli aspetti organizzativi ovvero alla macroprogettazione del percorso di formazione. Essa prevede la scelta del tipo di ambiente entro il quale le attività saranno svolte, la strutturazione in moduli dei contenuti e delle attività, il timing delle stesse. Ogni modulo di formazione in e-Learning è definito da un tema che può essere compreso tra due momenti di formazione: 1. di lettura e approfondimento dei contenuti 2. di svolgimento di attività Quanto al formato, il problema è di trans e crossmedialità: si tratterà di tradurre nel modo + adeguato alle specificità semiotiche dei media digitali i contenuti che si vogliono rendere oggetto di formazione. Ciò significa lavorare sugli script x tradurre codici e lessici della pagina stampata in quella della pagina web o ripensare il senso multimediale quel che verosimilmente era pensato solo x il linguaggio scritto. Occorre prestare attenzione a che gli stessi contenuti possano essere fruiti sulle diverse piattaforme: lo smartphone, il PC, il tablet o x il mondo iOS, Android o Windows. vantaggi della piattaforma : possibilità di ingegnerizzare l’erogazione di formazione; il controllo istituzionale che consente di esercitare sia sui processi di formazione che sulle attività di 20 PIATTAFO RME apprendimento (controllo poiché comunque l’accesso è subordinato all’autenticazione e la piattaforma tiene tracciamento di tutto ciò che l’utente svolge in essa) Nel linguaggio corrente, oggi si utilizza molto l’espressione “piattaforma e-Learning” per definire ciò che viene chiamato: - Learning Management System (LMS) = ambiente al quale si accede tramite procedura di autenticazione che permette di svolgere le funzioni utili alla formazione online, come ad esempio consegna di materiali, agenda e avvisi, discussione, lavoro in virtualgroup. Vi sono 3 zone di lavoro: zona di documentazione (consistente in una repository di materiali e relativa area di download) zona di interazione(consiste in un forum di servizio generale e forum tematici per la discussione dei contenuti della formazione animati da esperiti di contenuto che sono coinvolti nella didattica dei singoli moduli), zona per l’attivita riflessiva (costituita da virtualgroups e aree di condivisione di materiali e link) - Content Management System (CMS) = alle funzioni dell’LMS si aggiungono l’archiviazione e la gestione efficace dei contenuti digitali. - CLMS = Si realizza con l’integrazione delle due precedenti. Due possibili approcci all’adozione di una piattaforma: 1. formula proprietaria : la piattaforma viene sviluppata in proprio, il vantaggio sta nel poterla implementare e modificare a piacere, ma il lavoro di upgrade è costante e alla fine rischia di rivelarsi un’opzione + costosa rispetto all’altra poichè richiede la disponibilità continua di risorse dotate di competenze informatiche. 2. formula non proprietaria : può essere di 2 tipi: - piattaforma commerciale, che prevede un canone annuo che comprende tutte le spese di customizzazione e upgrade - piattaforma open source ( come Moodle) la cui adozione non ha costi, lasciando però a chi l’adotta il lavoro di customizzazione e la gestione materiale Tuttavia, ci sono anche ‘non piattaforme’ come ad esempio i Personal Learning Environment (PLE) ovvero aggregatori di risorse digitali che vedono la formazione come un processo diretto autonomamente. Sono nati con la diffusione degli strumenti 2.0 e l’affermazione dei social network. Questi strumenti vedono la formazione come un processo diretto autonomamente nell’informale (es.: Elgg). C’è poi l’orientamento verso l’adozione di strumeni 2.0 (es.: Google drive, Google+, Google talk, Google hang-out). Il contenuto digitale è definito dai suoi elementi dal termine Learning Object: autoconsistenza – granularità – metadatazione. 1. Autoconsistenza: risponde ad una logica di modularità .Più è sganciato da altri contenuti (più è autoconsistente) e meglio potrà essere riutilizzato all’interno di altri percorsi di formazione. In quest’ottica di componibilità, fa parte del lavoro dell’equipe di formazione la produzione di un numero sempre + ampio di Learning objectcosì da alimentare il repositoryaziendale rendendolo rispondente ai diversi corsi che si tratterà di produrre. 2. Granularità:quanto deve essere grande un LO? Che peso gli si deve riconoscere? La logica retrostante è quella della costruzione . La conoscenza è fatta di atomi e molecole, si scompone e si ricompone. La granularità ha alle spalle una logica di costruzione: la durata (nel caso di una clip per esempio), il numero di slide o pagine. 3. Metadatazione: Un metadato è un dato di secondo livello, un’info relativa a un’altra info. La funzione di questi dati è quella di rendere ricercabili i contenuti in maniera più veloce. Il problema è che se tutti usano criteri di datazione differenti si genererà solo confusione. Esistono dei metadati a cui tutti si devono attenere x evitare di creare confusione. Costruire dei Learning Object può risultare complicato, anche se esistono in internet degli applicativi che consentono di farlo in modo guidato e con risultai adeguati. COMUNICARE: FARE FORMAZIONE ONLINE 21 LEARNING OBJECT Il docente, nella formazione online, molto spesso è anche l’autore dei contenuti che vengono resi compatibili grazie al processo di instructional design. In questa fase troviamo l’e-tutor, ovvero colui che ne accompagna l’uso e rende i contenuti motivo/spunto di attività. A.Tutoring.La riflessione sul ruolo e sulle funzioni dell’e-tutor è ricca di contributi e le questioni su cui ricerca e pratica hanno insistito sono quelle del profilo di questa figura e delle sue competenze. Il tutor non deve essere uno specialista dei contenuti su cui la formazione si sta svolgendo, si definisce come un professionista esperto, con competenze psicologiche, tecnologiche e formative. Per quanto concerne le modalità di lavoro, è possibile indicare le attività base: - Organizzazione = la partecipazione del tutor alla progettazione del corso. L’attività organizzativa prosegue in relazione alla raccolta dei flussi di documenti, all’archiviazione dei prodotti della formazione, alla gestione degli scambi all’interno/all’esterno della piattaforma. - Facilitazione = nella fase iniziale di un percorso di formazione, il tutor dovrà supportare i corsisti nella conoscenza dell’ambiente, risolvere i loro problemi legati all’accesso o al cattivo funzionamento degli strumenti. Buona parte della sua attività sarà dedicata al troubleshooting: il corsista deve trovare in lui il punto di riferimento sicuro x la soluzione dei suoi problemi - Moderazione = cuore dell’attività del tutor. In rete la comunicazione va gestita: la mancanza dei tratti sovrasegmentali e del paraverbale rende difficile l’attribuzione dei significati,può generare malintesi; spesso si generano derive conversazionali che portano la discussione off-topic; la leadership e il lurking ( fenomeno di chi legge solamente quello che gli altri scrivono senza postare a sua volta) sono aspetti con cui sapersi confrontare. Per far fronte a questa complessità servono competenze relazionali sofisticate. - Scaffolding = al tutor spetta un lavoro specifico di supporto sia cognitivo che emotivo. Lo Scaffoldingè una metafora edile che allude alla funzione delle impalcature destinate a circondare l’edificio fino a quando non ne avrà + bisogno. Il tutor fa scaffoldingquando interviene x : recuperare il corsista che rischi di diventare un drop-out precoce; motivare alla partecipazione ; fornire indicazioni operative; suggerire soluzioni x sbloccare situa di stallo. Si tratta di una competenza fine che si pensa secondo una logica di fading : + il corsista diviene sicuro, meno lo scaffolderdovrà farsi presente. B. Learning activities. Il fulcro del lavoro di apprendimento è costituito dalle learningacivites dei corsisi. La prospettiva è basata sul costruttivismo sociale, ritenendo che l’apprendimento consiste nel fare esperienza in contesto (fare come momento costituivo della formazione). Possiamo riconoscere due tipologie di Learning Activities: 1. E-tivities: attività concentrate nel tempo che il corsista viene chiamato a svolgere online. Sono attività di questo tipo: la costruzione di uno strumento ( tipo scheda o check-list ), la partecipazione alla discussione in un forum, l’analisi guidata di un testo ecc. Queste attività possono essere svolte individualmente o in virtualgroup. 2. la seconda tipologia ha la specificità di riguardare attività che non si svolgono solo online ma che prevedono un percorso di andate e ritorno verso e dall’esperienza professionale. Sono attività di questo tipo quelle che richiedono al corsista non solo di costruire uno strumento attraverso il lavoro online, ma di testarlo nel suo contesto professionale riportando della discussione online i risultati di questa attività di testing. Non si esclude quindi la possibilità che il coach debba svolgere un lavoro di osservazione. VALUTARE Il tema della valutazione, riguardo all’E-Learning, si è consolidato negli ultimi venti anni in un dibattito come ad esempio alcune questioni relative al rapporto tra valutazione e motivazione, la gestione del feedback, il problema dell’identificazione del candidato, delle competenze tecnologiche e dell’accesso dei dati. Modalità e strumenti della valutazione online. Le questioni chiave sono gli obiettivi della valutazione e la pianificazione delle attività valutative. La valutazione si organizza su due livelli: valutazione degli apprendimenti (assessment), valutazione del processo (evaluation). 1. valutazione degli apprendimenti ( assessment) : le questioni chiave sono rappresentate dalla determinazione degli obiettivi della valutazione e dalla pianificazione delle attività valutative in relazione con gli effetti che grazie ad esse si intende produrre. Queste attività si possono catalogare in 3 gruppi che utilizzano 2 principali approcci alla valutazione: A. la valutazione tradizionale , espressione della docimologia classica; 22 rappresentazione enell’analisi di quella che resta un’attività ludica si trasformino in una riprova delloscarso valore formativo dell’esperienza I possibili obiettivi formativi delle esercitazioni nella formazione degli adulti.In prima istanza le esercitazioni venivano utilizzate con un carattere prettamente addestrativo ma con le varie evoluzioni avvenute nel tempo le esercitazioni hanno dimostrato il loro valore formativo nello stimolare una maggiore consapevolezza rispetto alle proprie abilità nell’affrontare certe situa di difficoltà e alla propria capacità di una + efficace gestione della propria emotività. Le esercitazioni cercano di raggiungere questi obiettivi didattici attraverso la richiesta fatta ai partecipanti di portare a termine una prestazione di natura intellettuale o pratica, come la produzione di oggetti reali. Le esercitazioni sono attività formative consistenti nella realizzazione di operazioni assimilabili ad alcune azioni organizzative, organizzate in forma +o - competitiva, da realizzarsi in un tempo dato e attraverso l’utilizzo di materiali forniti dal formatore o prodotti dai partecipanti stessi. Alcuni obiettivi: ● stimolare l’utilizzo di approcci nuovi e diversi dall’analisi delle situazioni e alla risoluzione di problemi : alcune esercitazioni presentano situazioni problematiche in cui le soluzioni ovvie non solo fattibili: ai partecipanti è dato l’obiettivo di trovare nuove possibilità e di elaborare un nuovo metodo di analizzare e considerare tali criticità ● aumentare la consapevolezza relativa al proprio modo di relazionarsi con gli altri : alcune esercitazioni permettono di sperimentare nuovi punti di vista, esplorando l’importanza di mantenere un atteggiamento aperto e recettivo nei confronti dei propri interlocutori ● puntare l’attenzione sull’importanza di alcuni fenomeni sociali : alcune esercitazioni evidenziano le normali dinamiche intra ed extra gruppo; permettendo una riflessione approfondita sui punti di forza e le criticità dello strumento gruppo. Esiste inoltre una classificazione delle esercitazioni rispetto alla struttura ed al contenuto(TIPOLOGIA CLASSICA DELLE ESERCITAZIONI): ● casi di discussione : l’esercizio consiste nella lettura della cronaca di un evento che i partecipanti devono analizzare e commentare insieme al docente ● incident: strumento che presenta solo una parte della storia organizzativa che i partecipanti, attraverso una discussione in sottogruppi, devono completare. Rispetto ai casi da discutere (precedente) l’ incidentattiva una maggiore dinamica e interazione all’interno del gruppo aula. ● simulazioni :sono le prime esercitazioni attive. Kolb ha dato questo temine. I partecipanti simulano un evento o un processo organizzativo ( come ad esempio prendere una decisione, gestire un processo produttivo) e sono condotti e valutati dal formatore. La prima simulazione fu chiamata business game e assomigliava molto più ad un gioco da tavolo che ad un’esercitazione. ● in-basket :simulazione che si basa sul ricevere, scrivere e smistare le info relative a una specifica situazione organizzativa fornita dal formatore; sono simulazioni molto lunghe. ● role play : ai partecipanti è chiesto di rivestire un ruolo particolare, spesso dei personaggi con delle caratteristiche e di drammatizzarne l’interazione. Il focus non è tanto sul contenuto ma sulle dinamiche relazionali e comunicative tra gli attori. In che modo utilizzare le esercitazioni. È possibile distinguere le esercitazioni sulla base di tre criteri: 1. DURATA. Riguarda il tempo che l’attività prenderà; per un minimo di 10 min e un massimo di 2-3 ore. - Breve tra i 10 e i 30 minuti - Media ta i 30 e i 90 minuti - Lunga tra i 90 e i 180 minuti La durata determina la funzione che l’esercitazione può avere all’interno dell’evento formativo ( se è troppo lunga rischia di annoiare, così come se è troppo breve può rappresentare un insuccesso ) 2. FUNZIONE. Le esercitazioni possono svolgere diverse funzioni: - Riscaldamento serve a far entrare i partecipanti nell’evento, stimolandoli sull’argomento oppure spingendoli a socializzare e a conoscersi meglio; si tratta di esercitazioni per lo più brevi - Ripresaparticolare tipo di riscaldamento che serve a mettere in moto i partecipanti dopo una pausa (come caffè ) 25 - Diagnosi l’esercitazione propone ai partecipanti una situa che mette in scena un esempio pratico del tema della formazione e che permetterà al formatore di individuare i punti di forza e le criticità dei partecipanti rispetto alla questione ; sono esercitazioni solitamente di media durata - Stimolo l’esercitazione serve a portare all’attenzione dei partecipanti un tema specifico con l’obiettivo di provocarli e di attivare una discussione critica e approfondita; si tratta di esercitazioni di breve o media durata - Simulazione riproduzione di un vero e proprio evento organizzativo ( come x es un colloquio) che permetta di mettere in pratica determinate capacità e competenze organizzative; sono attività di media o lunga durata 3. FASE DELL’ESERCITAZIONE: il tempismo è un elemento fondamentale x il successo di un evento formativo. Non tutte le esercitazioni possono essere usate in tutte le fasi del percorso: occorre sapere che tipo di esercitazione possa essere adeguata allo specifico momento nel quale ci si trova. Dividendo i momenti dell’evento formativo in apertura, metà e fine del percorso occorre sapere quali esercitazioni possono essere utilizzate nelle diverse fasi, in modo da massimizzarne gli effetti positivi e controbilanciarne al massimo le criticità. La struttura e lo sviluppo di un’esercitazione La prima fase di un’esercitazione è la preparazione in back office :non è possibile presentarsi in aula senza aver letto le istruzioni e aver studiato i materiali che compongono le esercitazioni. L’aspetto ludico di questo strumento non deve trarre in inganno poichè non èsemplice utilizzarlo in aula: un formatore può sperimentare diverse giocate prima di impadronirsi bene della meccanica del singolo gioco. E’ buona norma impadronirsi dell’esercitazione prima di utilizzarla in aula, studiandone il materiale e facendone una prova con dei volontari scelti. Castagna nel 2001 presenta una struttura standard delle esercitazioni, divisa in 3 fasi in cui è possibile individuare delle sottofasi: ● Lancio/avvio : momento iniziale dell’esercitazione, in cui il formatore propone l’attività e l’allestisce. Questa fase dura dai 5 ai 10 minuti e ha come obiettivo quello di interessare i partecipanti introducendoli alla meccanica del gioco. Il lancio può essere diviso in 3 sottofasi : 1. introduzione : il formatore dichiara che intende passare ad un’attività che coinvolge attivamente i partecipanti, spiegando a grandi linee il contesto e le regole del gioco. Una buona intro può durare 3-5 minuti e: ➔fornisce un’idea del perchè si è scelto questo tipo di attività e in che modo si collega ai temi trattati nella sessione senza entrare nei dettagli ➔spiega come la dimensione ludica permetta di condensare condizioni molto simili alla realtà ma in un contesto + protetto; ciò influisce negativamente sulla verosimiglianza dell’attività ma non ne inficia il valore di stimolo alla riflessione 2. scelta dei giocatori e degli osservatori : raramente è possibile effettuare esercitazioni che coinvolgano la totalità dell’aula, perciò è necessario identificare due sottogruppi: ➔partecipanti attivi ➔osservatori : che avranno il compito di cominciare la fase di analisi Questa divisione non deve superare i 7 minuti ed è consigliabile che questa distinzione sia fatta su base volontaria. Va evidenziato che il ruolo di osservatore non è un ripiego ma un punto di vista esterno può aiutare a dare spunti al formatore nell’ultima fase di commento dell’attività 3. lettura del mandato e delle regole del gioco : si passa alla lettura delle istruzioni e alla consegna del materiale x lo svolgimento ; è buona norma fornire una copia cartacea delle istruzioni ai partecipanti. Le istruzioni forniscono: ➔il contesto ➔l’obiettivo da raggiungere ➔il tempo a disposizione ➔le regole di interazione ➔i mezzi da utilizzare ● Svolgimento/ processo : il tempo a disposizione viene fatto partire ( da un minimo di 10 minuti a un massimo di 50/90 ) , i giocatori cominciano l’attività sotto lo sguardo degli osservatori, mentre il formatore assume il ruolo prettamente organizzativo, ma oltre a ciò avvia la propria osservazione, annotando i comportamenti e gli eventi che saranno materia di discussione nella fase successiva di analisi ( può avvenire anche con una videocamera, a patto che sia stato patteggiato con i partecipanti ) L’utilizzo della videocamera può avere vantaggi e svantaggi: - è molto utile se il tema dell’esercitazione è l’interazione tra le persone , permette un’analisi più approfondita e fornisce ai giocatori l’occasione di rivedersi in azione 26 - è una potenziale fonte di resistenza se il formatore non è riuscito a creare un clima di fiducia o non ha rassicurato nel modo adeguato i partecipanti che il materiale video registrato non lascerà mai l’aula. Quindi,l’utilizzo della videocamera può aumentare le difese e diminuire la partecipazione. Una volta finito il tempo a disposizione il formatore ferma le attività, scioglie i gruppi di giocatori e osservatori e da inizio all’ultima fase. ● Debriefingo Commento/analisi : momento + importante , quello in cui si passa dall’osservazione riflessiva alla concettualizzazione astratta. Si riflette sull’esperienza vissuta e si cerca di rileggerla, capirla e riutilizzarla in chiave razionale, spogliando l’esercitazione dalla sua parte ludica x far emergere gli aspetti interessanti utili ai fini dell’apprendimento e trasferibili nell’attività lavorativa. Le caratteristiche del commento sono: - tempo : il Debriefingdovrebbe occupare da un terzo a metà del tempo dell’intera esercitazione sebbene ogni caso sia diverso. E’ anche importante che un commento non duri + di 45-60 minuti per evitare di dare ai partecipanti la sensazione di sovrainterpretare, eccedere in uno sforzo di analisi che potrebbe risultare futile. - procedura : il formatore dovrebbe dare inizio alla discussione partendo dalle riflessioni dei giocatori x poi passare a quelle degli osservatori e solo dopo il formatore potrà fornire la propria analisi. Il Debriefing non è una lezione in cui si fornisce la soluzione dell’esercitazione ma una riflessione condivisa x aiutare i partecipanti a declinare ciò di cui hanno fatto esperienza rispetto alla loro realtà lavorativa e adattare gli spunti trovati a tali situazione. - ricostruzione dell’evento : il primo passo è quello di creare un’immagine collettiva e condivisa di quel che è successo. E’ più utile che siano gli stessi giocatori a partire nella ricostruzione, x lasciare poi spazio agli osservatori. Questo livello è molto razionale e tende a limitarsi al successo del gioco, ma è indispensabile x avere una ricostruzione comune di quel che è successo, base necessaria x poter passare all’analisi + approfondita ( es di domande : “ cosa è successo durante l’esercitazione ?” “ quali sono stati i momenti + importanti?” ) . Il formatore può intervenire x riordinare ed evidenziare alcuni passaggi; potrebbe risultare utile la visione della videoregistrazione, ricordando a tutti che questa non vuole essere una correzione, ma uno spunto x afferrare meglio le interazioni e i dettagli che possono essere passati inosservati durante l’azione. - riflessione guidata sul contenuto relazionale- comportamentale : la formazione sui comportamenti organizzativi non può prescindere dall’analisi delle emozioni perciò il formatore stimolerà la consapevolezza dei partecipanti su ciò che l’esperienza ha mosso in loro: sono state messe in campo delle emozioni e delle dinamiche relazionali del tutto simili a quelle che si verificano sul posto di lavoro, nonostante sia stata solo un’esercitazione in un contesto protetto. ( es di domande : “ come vi siete sentiti durante lo svolgimento dell’esercizio?” “ pensate di aver dimostrato le emozioni che avete provato ?” “in che modo ?” ). Le domande possono essere anche considerate una forzatura, ma ciò è utile x stimolare un confronto senza scadere nella classica lezione frontale - passaggio dal gioco alla realtà :come trasferire gli apprendimenti nel proprio lavoro. E’ il passaggio + critico e delicato. Il formatore deveaccompagnare i partecipanti nella messa a fuoco di quanto i comportamenti agiti durante l’esercitazione siano gli stessi che vengono agiti nella quotidianità lavorativa e nel riconoscere che le buone pratiche evidenziate possano rappresentare altrettantevariazioni del corrispettivo comportamento professionale. ( es di domande : “ ci sono situazioni lavorative analoghe a quella di cui avete appena fatto esperienza?” “ sarebbe possibile applicare alcune strategie relazionali che si sono rivelate efficaci durante l’esercitazione nella vostra realtà lavorativa?”). Questa ultima fase, deve essere vista come una scoperta e non come una lezione. Alcuni esempi di esercitazioni. (p. 416-425) 2 Esercitazioni brevi (riscaldamento e ripresa) 2 Esercitazioni medie (stimolo e diagnosi) 1 Esercitazione lunga (simulazione) Le esercitazioni brevi, possono essere usate in apertura 27 Le griglie di osservazione; vengono compilate da osservatori che valutano i giocatori. Conclusioni.Dove va l’esercitazione? Abbiamo altre strade per sfruttare e innovare questo metodo? 30 Si potrebbe applicare il carattere della serialità all’esercitazione, combinandone diversitipi al fine di creare un ambiente di apprendimento fortemente connotato e caratterizzato da un’immersione totale, un ambiente che stimoli la creatività e il distacco dalle proprie abitudini consolidate. Capitolo 23– LA LEZIONE (CASTAGNA) Introduzione. Con il termine lezione, spesso accompagnato dall’aggettivo ‘frontale’, ci si riferisce alla metodologia in assoluto più usata, piu diffusa e forse più antica. nonostante le innumerevoli critiche di cui è fatta da tempo bersaglio, la lezione continua ad essere impiegata nelle aule di formazione di persone di ogni età, dalle elementari alle università della 3 età, passando dalle aule di formazione aziendale. Questo strumento trova il miglior contesto applicativo quando ci si pone l’obiettivo di migliorare conoscenze e nozioni dei partecipanti; migliorare la comprensione dei partecipanti per quanto concerne concetti astratti e principi generali. Al contrario incontra limiti quando ci si pone l’obiettivo di migliorare le capacità pratiche dei partecipanti di fare e di modificare i comportamenti interpersonali e le capacità relazionali. ASPETTI GENERALI Si possono riconoscere tre elementi riguardanti condizioni di contesto e complessive che servono a realizzare lezioni efficaci. 1. Durata: è altamente consigliabile che non si protragga eccessivamente, pena un’elevata probabilità di perdita di attenzione dei partecipanti. La curva dell’attenzione di questa metodologia rischia di essere penalizzante perché la fatica comincia a farsi sentire dopo 20’-30’ e l’attenzione si riduce. 2. Utilizzo dei diversi mezzi di comunicazione: diventa necessario avvalersi di altri mezzi oltre alla voce del docente, come ad esempio diversi tipi di lavagne/pc/proiettori per le slide/utilizzo degli spezzoni di film 3. Necessità di non ridurre la lezione ad un monologo del docente : l’ascolto prolungato può diventare un impedimento all’attenzione e all’apprendimento. E’ necessario che vi sia una reale interazione tra docente e partecipanti. Preparare una scaletta.La prima attività che un docente deve affrontare per preparare una nuova lezione è la creazione di una scaletta in cui sono segnati i punti principali di cui vuole trattare, e quelli che non è necessario toccare, nel tempo che ha a disposizione. Per fare ciò è necessario seguire alcuni criteri: ● L’obiettivo didattico che ci si prefigge : cosa devono ricordare i partecipanti al termine della lezione ● Il livello di preparazione dei partecipanti sul tema in oggetto : quanto ne sanno già ● Il tempo a disposizione : è un vincolo entro cui stare e in cui rimodulare gli obiettivi effettivi. Il docente, inoltre ha due possibilità da utilizzare x trattare i propri argomenti: 1. Classica e deduttiva : si introduce l’argomento partendo dai suoi presupposti, magari accompagnati da un minimo di inquadramento storico, poi si illustrano i concetti base e infine si prosegue con un progressivo approfondimento dei vari aspetti. Al termine o durante l’illustrazione dei vari concetti si favvo esempi. Il materiale viene organizzato nel seguente modo: - presentazione dei principi generali attinenti alla materia oggetto della sua lezione - esame dei singoli punti in cui i principi generali possono essere scomposti, loro commento e loro analisi - eventuali esempi applicativi dei vari casi - conclusioni con eventuale richiamo ai principi generali esposti in apertura 2. Induttiva : si parte da un caso concreto, ci si chiede quale sia il motivo o la causa di quanto è accaduto, si costruiscono delle risposte e poi riprova ad applicare tali risposte ad altre situazioni simili. Il materiale viene organizzato nel seguente modo: - presentazione di un fatto, avvenimento, problema o casi particolari che suscitano domande ed interrogativi - riflessioni su casi e situazioni, sulle loro ragioni e conseguenze - formalizzazione di una teoria più o meno complessa e articolata delle riflessioni fatte al punto precedente - conseguenze applicative o altri casi cui quella teorizzazione può essere applicata e che in qualche modo la confermano. 31 La decisione riguardo il tipo di sequenza da adottare è influenzata anche dal tipi di argomento da trattare. 32 feedback positivi e non solo negativi, dare feedback su contenuti e non sulle persone (Questo compito è stato svolto in maniera corretta, anziché dire Rossi è stato bravo). L’USO DEL TEMPO Uno degli errori in cui si inciampa maggiormente è quello di progettare i contenuti eccessivi rispetto al tempo a disposizione. L’ipotesi è che occorre privilegiare l’apprendimento e l’efficacia della didattica rispetto all’efficienza. In pratica, la proposta sarebbe quella di consentire ai partecipanti di acquisire realmente i contenuti esposti, con i loro ritmi, con le loro domande/trasposizioni alle realtà personali. Questo anche a costo di ripensare alla famosa ‘scaletta’ che ci si era preparati inizialmente. Meglio poche cose apprese realmente e fatte proprie, piuttosto che tante cose solo ascoltate e presto dimenticate. ATTIVARE LA PARTECIPAZIONE Con gli adulti non si può adottare lo stesso rapporto didattico che si instaura con gli allievi di una scuola. Per quanto concerne l’atteggiamento è già stato trattato ampliamente nei paragrafi precedenti; per attivare la partecipazione bisogna: 1 avere un determinato atteggiamento; 2 dare cura elle modalità che l’insegnante adotta per animale le discussioni 3 attenzione alle tecniche per rispondere a domande e gestire obiezioni. Per le modalità di aprire le discussioni ci sono alcune osservazioni semplici: il modo migliore è chiedere al gruppo se ci sono domande e se ciò che è stato esposto risulta chiaro. In merito alle domande e alle obiezioni, alle prima bisogna rispondere senza aggiungere commenti o valutazioni sulla domanda o sulla persona che la pone o sui motivi per cui viene posta. Questo perché l’apprendimento è meno probabile se il gruppo sta passivo e in ascolto ed è più probabile se le persone possono partecipare/discutere/confrontarsi e risolvere i dubbi man mano che affiorano alla mente. L’obiezione invece può essere un terreno di scontro o di incontro e se il docente rispetta l’opinione del partecipante, cercando di comprenderla, è più probabile che il partecipante rispetterà e comprenderà l’opinione del docente. Le obiezioni non sono fatte per sapere ma per contrastare. L’insegnante, a fronte di esse dovrà rispettare il partecipante, evidenziare ciò che si condivide con il partecipante ed esporre in maniera differente il proprio punto di vista, rispetto alla prima formulazione che ha dato vita all’obiezione. Inoltre, le obiezioni possono anche essere anche dei sintomi specialmente se portate avanti anche da altre persone. Ad esempio potrebbe essere che il modo di fare del docente è disturbante, arrogante. Per tale motivo è necessario che il docente le ascolti. Possiamo quindi concludere affermando che la lezione e la metodologia didattica piu diffusa e utilizzata nella formazione degli adulti, e uno strumento che puo dare consistenti contributi all’apprendimento dei partecipanti. Capitolo 30–ROLE PLAY (GRASSI ) Introduzione. Il role play, solitamente tradotto come ‘gioco di ruolo’, descrive un insieme di attività caratterizzate dal coinvolgimento dei partecipanti in situazioni in cui viene esercitata la possibilità di comportarsi ‘come se’. Si caratterizza per la messa in scena di situazioni con un conduttore, uno o più attori che mettono in atto un ruolo e altri soggetti che fanno da osservatori. Può essere vista anche come una tecnica di drammatizzazione di comportamenti di ruolo espressa attraverso una rappresentazione di situazioni prossime alla realtà. L’agire drammaticamente una situazione in una modalità sperimentale e protetta, consente di far emergere atteggiamenti e comportamenti che resterebbero in gran parte sommersi. Una definizione.Nella formazione professionale, si dicono ‘tecniche di simulazione’ quelle che tentano di riprodurre “in vitro”, durante il setting di apprendimento, situazioni problematiche tipiche della vita di lavoro. 35 Il role play rientra nei metodi pedagogici attivi dove questo termine designa il coinvolgimento diretto dei soggetti nel processo di apprendimento attraverso la mobilitazione della loro esperienza unita alla conoscenza diretta delle situazioni da simulare. Inoltre, evidenza la relazione dinamica che caratterizza gli scambi tra formatore-discenti e discenti-discenti che la simulazione rende interattiva. Lo scopo è quello di accrescere competenze relazionali con un livello di codificazione che può essere ± accentuato sul piano della prescrittività e della strutturazione. Uno dei vantaggi consiste nella possibilità di affrontare una situazione realistica mantenendo la consapevolezza della finzione, ma anche la flessibilità e l’apertura al possibile che viene determinata da un contesto protetto. Inoltre, il Ilrole play favorisce l’accesso all’imprevisto e all’imprevedibile. “E’ una recita che avviene in presenza di una sceneggiatura allestita dal formatore dove il copione dipende dagli obiettivi di apprendimento e delle situazioni simulate” Role play e psicodramma: analogie e differenze. 1. I termini del role play e dello psicodramma sono oggetto di confusione e di sovrapposizione poiché l’elemento comune a entrambe è la rappresentazione. Il role play nasce dallo psicodramma moreniano (pratica creata dallo psichiatra e sociologo rumeno Jacob L. Moreno nel 1921). Lo psicodramma favoriva l’emersione di informazioni, stati d’animo, comportamenti, atteggiamenti attraverso la “messa in scena” da parte del soggetto. Analogamente, il role play è una “messa in scena” che al ragionamento e al racconto privilegia la drammatizzazione dei problemi indagati. 2. Il secondo elemento in comune modalità di espressione. Si ricorre alla drammatizzazione di una situazione in un contesto protetto per far emergere/comprendere/rimuovere le cause di eventi problematici. 3. Il terzo elemento in comune è la presenza di un conduttore, che svolge un ruolo di contenimento delle dinamiche emotive, consentendone l’emersione e curandone l’elaborazione. 1. lo scopo del roleplay è ladrammatizzazione di comportamenti di ruolo, dove non sono in gioco categorie easpetti personali e soggettivi. Il focus è la “messa in azione” di un tema iniziale chesarà tradotto in azione scenica tramite giochi di ruolo tra i partecipanti dove hanno la possibilità di scegliere il ruolo che desiderano agire. 2. Il grado di implicazione dei partecipanti, ovvero la natura del contratto: lo psicodramma ha obiettivi terapeutici mentre il role play ha obiettivi formativi. 3. La discussione che segue la messa in scena, ovvero il debriefing: nello psicodramma la ricerca riguarda gli elementi personali implicati nella rappresentazione, nel roleplay si indagano interazioni tra ruoli e dinamiche sociali con accentuazioni minori sulle dimensioni soggettive implicate. 36 Prospettiva di apprendimento e obiettivi didattici Il role play aiuta ad animare l’apprendimento grazie agli aspetti di creatività e di identificazione ed attraverso la simulazione viene attivato l’apprendimento motorio ed affettivo, grazie alla recitazione che funge da ponte tra parole ed azioni in un contestoprotetto, stimolando insightin una situazione complessa. Secondo Moreno, Secondo Moreno, il teatro è un processo necessario e naturale presente e costituente le relazioni primarie, il rapporto tra madre e figlio. Il role play ha per scopo quello di posizionare gli individui in una situa diversa da quella abituale assumendo così un valore transizionale ( transizione del far finta e del fare x davvero). Per le capacità di costruirsi come “alto da se” e “come se”, Matwiejczuck nel 97 ha individuato le tre caratteristiche essenziali del role play: - cornice originaria : una cornice originaria funzionale a dividere gli eventi che si verificano al suo interno da quelli esterni tipici del mondo reale: il role play è una cornice di “come se” primario; - cornice secondaria : attraverso cui si chiede al partecipante di comportarsi“come se “.Viene quindi chiesto al soggetto di essere nel presente, valorizzandone il coinvolgimento e la spontaneità; - episodio : è il materiale dell’evento, che è distaccato dal flusso di continuità del reale con un inizio ed una fine precisamente individuati. il vantaggio del suo utilizzo sta nel fatto che il processo che si sviluppa nel gioco di ruolo non avrà conseguenze dirette nella vita reale. Non tutti i soggetti all’interno di un seminario possono partecipare al role play e sperimentarsi nei panni di protagonista: è impoxò sottolineare che l’apprendimento non deriva solo dall’esperienza diretta, ma si utilizza la simulazione x esaminare tattiche generali di comportamento. Ogni essere umano infatti possiede i cosiddetti neuroni specchio. L’attività dei neuroni specchio stimola l’apprendimento di chi non agisce il role play da protagonista, ma ne resta esterno osservandolo. E’ possibile individuare 2 categorie di role play che perseguono differenti obiettivi didattici: ● Role play addestrativi : nel senso che prevale l’obiettivo di far apprendere aipartecipanti regole comportamentali predefinite, funzionali all’esercizio di ruoliche richiedono competenze standardizzate. Consiste nel far simulare ai partecipanti una specifica situa x cui è predefinito il modo giusto di parlare e di rapportarsi con l’interlocutore secondo una scansione strutturata. ● Role play formativi : simulazioni utilizzate x apprendere comportamenti non prescrivibili in modo preciso ma criteri di efficacia il cui grado può oscillare tra quelli + prescrittivi a quelli meno basati sulla creatività e riflessività. IL GIOCO DI RUOLO. Il concetto di ruolo è mediale per la presenza sia della percezione sociale sia dell’adattamento discrezionale del soggetto che lo ricopre. 37 9.cooling off : questa fase ha lo scopo di raffreddare l’esperienza, facendo uscire gli attori dal gioco e prendendo le distanze da ciò che è successo. I soggetti devono essere ricollocati nella realtà e non lasciati in uno stato di incertezza o con la sensazione di aver lasciato qualcosa in sospeso. In questo modo ogni problema irrisolto viene depositato e affrontato all’interno del setting. Il formatore deve invitare gli attori a domandarsi come si sentano a conclusione dell’esperienza e se sia rimasto qualcosa in sospeso di cui vorrebbero parlare, formalizzandone la chiusura. 10.debriefing: è lo spazio di riflessione sul gioco e può essere attuato attraverso una delle seguenti modalità: - riflessione e analisi sistematica , in cui i partecipanti vengono sollecitati a un processo sistematico di autoriflessione sull’esperienza - intensificazione e personalizzazione , in cui i partecipanti vengono sollecitati a rifocalizzare l’attenzione sulle loro esperienze individuali e sui significati sottostanti - generalizzazione e applicazione , in cui i partecipanti vengono sollecitati a riflettere sulla praticabilità a mutare l’esperienza individuale in altre esperienze Specialmente x i professionisti inesperti è utile possedere una check-list che permetta di monitorare il proprio lavoro attraverso delle domande: - Ho spiegato ai partecipanti gli obiettivi da raggiungere attraverso questa attività ? - Ho scelto dei volontari quali attori? - Ho coinvolto ? - ecc PROGETTAZIONE : Il lavoro di progettazione comprende la preparazione delle schede che guidano il formatore nella redazione dei copioni, nella messa in scena del role play e nella gestione delle osservazioni. La scheda progettuale generale deve contenere: - il titolo del role play - gli obiettivi didattici - le caratteristiche fondamentali della simulazione (attori, caratteristiche e azioni) Inoltre, ricordiamo l’aggiunta di : ● Obiettivi : sono gli elementi di atteggiamento e comportamento che si prevede emergeranno dalla vicenda simulata e che dovranno essere osservati e poi analizzati nel setting formativo. Fungono da punti di riferimento x il progettista, poichè faciliteranno lo sviluppo dell’evento e la preparazione delle info x gli attori. ● Descrizione della vicenda simulata : viene presentata una descrizione sintetica della vicenda, partendo dalla trama ( = successione di avvenimenti in un dato contesto) si costruiscono le istruzioni per gli attori attraverso alcune domande come ad esempio “di che cosa si tratta”(problema) “ dove accade”(luogo) “quando accade”(tempo) “a chi accade” (soggetti) “che rapporti ci sono tra i soggetti” (relazioni) ● Caratteristiche e compiti degli attori : vengono presentate le denominazioni dei ruoli agiti dagli attori distinguendo tra i ruoli principali e quelli secondari. Per ciascun ruolo è importante precisare caratteristiche personali, quali l’età, il genere ecc. E’ necessario definire i compiti assegnati i ruoli sulla base dei quali dovranno essere elaborate griglie operative, cioè le istruzioni, che verranno messe nel FOGLIO ISTRUZIONI. Il foglio istruzioni si compone di due parti: 1. lo scenario, che contiene le info sul contesto di sfondo della situa simulata, e 2) le informazioni che saranno consegnate ai singoli attori e che rappresentano il copione che può avere un differente grado di strutturazione relativamente al tipo di role play prescelto. Le info di scenario sono comuni a tutti gli attori, mentre ogni attore leggerà il proprio copione in modo riservate, x evitare che le modalità di azione siano concordate dagli attori prima di entrare in scena, falsando l’autenticità della rappresentazione. A seconda del grado di strutturazione del role play le istruzioni possono contenere un livello di dettaglio maggiore o minore circa gli aspetti comportamentali che si vogliono far emergere durante la simulazione. Si tratta quindi di un copione “a soggetto” che aiuta l’attore a sperimentare il proprio modo di affrontare una situa professionale, dove è necessaria una traccia da seguire. Nei copioni degli attori secondari sono presenti suggerimenti riguardanti l’atteggiamento da interpretare. Le schede operative (che sono di due tipi: schema di osservazione del soggetto e scheda di auto-osservazione)sono consegnate dal conduttore agli osservatori e agli attori con la richiesta di compilare i campi indicati. Nella scheda degli osservatori (scheda di osservazione del soggetto)è richiesto di annotare qualsiasi elemento considerato meritevole di attenzione. Quando l’osservazione viene condotta in piccoli gruppi piuttosto che individualmente, le 40 annotazioni confluiscono in un’unica scheda che verrà esposta verbalmente. Ulteriori annotazioni di rilievo possono essere registrate utilizzando la parte inferiore della scheda. La scheda di auto osservazione viene consegnata agli attori al termine della rappresentazione. Con questa scheda, a ciascun attore è chiesto di autovalutare ciò che ha fatto e come lo ha fatto e anche di valutare cosa hanno fatto gli altri e come lo hanno fatto nel corso dell’interazione. ELEMENTI DEL SETTING : Nella progettazione, meritano attenzione alcuni elementi del setting. Per lo svolgimento di un role play è necessario un ambiente fisico che consenta una modalità ad acquario. E’ necessario che sia uno spazio che garantisca la riservatezza dell’esperienza e l’assenza di disturbi o interruzioni. E’ utile che sia uno spazio trasformabile ed adattabile x permettere diverse sistemazioni degli oggetti che dovranno essere senza particolari caratteristiche in modo da poterli utilizzare x rappresentarne altri. Scopo del role play non è quello di riprodurre un ambiente realisticamente idoneo a quello rappresentato, ma di tracciare indicatori simbolici chiari dello stesso. USO DELLA TELECAMERA : L’utilità di registrare il role-play tramite uso della telecamera è qualcosa che merita di attenzione. Attraverso tale strumento è possibile rivedere e riascoltare + volte l’interpretazione oppure analizzarne i dettagli. E’ efficace nel caso in cui sia necessario rivederne i momenti salienti o quelli a cui non si era prestata particolare attenzione. Uno degli svantaggi è a livello psicologico che porta all’inibizione quindi l’uso della telecamera è da ponderare. Si consiglia di utilizzare una telecamera fissa e porla lontana dal conduttore così da manifestare indifferenza x lo strumento. Vedi foto esempi role play (p. 725-731) Capitolo 32– SERIOUS GAMES (VARDISIO) Il serious game (d’ora in poi, SG) rappresenta un’evoluzione e una discontinuità rispetto alle tradizionali soluzioni basate sull’IT (Information technology). Se da una parte infatti è chiara una continuità a livello tecnologico, dal punto di vista metodologico i SG possiedono caratteristiche originali che aprono interessanti prospettive per chi si occupa di apprendimento. Per la prima volta questo termine SG fu usato per la prima volta in una pubblicazione di Clark C. Abt, risalente al 1970, dove l’autore sottolinea il valore formativo del gioco nell’ambito di una società complessa come quella attuale. Esso dunque non nasce per descrivere i giochi tecnologici che siamo abituati a vedere oggi. Da quel momento in poi, il suo significato si salda sempre più con lo sviluppo di particolari tecnologie, fino ai giorni nostri in cui i SGames sono considerati parenti prossimi dei videogame. Di seguito distingueremo chiaramente tra SG e videogames. Scorrendo la letteratura sui SG si ricava l’impressione che esista un’accezione ampia o + circoscritta dei SG. In quella ampia sono “giochi digitali usati per scopi diversi dal mero intrattenimenti”; in questa accezione si vede che i SG non necessariamente sono usati per scopi educativi. Ad esempio si possono applicare al marketing e alla comunicazione sociale, come vedremo + avanti Tuttavia, esiste un accordo nell’individuare due aspetti fondamentali che caratterizzano i SG: - Aspetto ludico = sono rappresentati come giochi e puntano a generare reazioni simili a quelle che caratterizzano il gioco. - Aspetto didattico = vengono utilizzati per raggiungere un obiettivo di apprendimento definito a priori Possiamo definire un SG come un’esperienza virtuale interattiva che punta a raggiungere obiettivi di apprendimento predeterminati attraverso l’attivazione di dinamiche ludiche. Questa definizione data, pone accento sul fatto che i SG abbiano obiettivi di componente ludica; questa componente viene quindi vista come un elemento imprescindibile. Il gioco è capace di generare apprendimento dal punto di vista delle conoscenze, agendo a livello individuale ed è da sempre riconosciuto come veicolo di apprendimento sociale. Non a caso esistono numerosi esempi di SG rivolti al potenziamento di abilità sociali. Inoltre, il SG offre la possibilità di riflettere criticamente sulle cose andando ad incidere su atteggiamenti e schemi di riferimento, coinvolgendo così la dimensione culturale di apprendimento. AMBITI DI APPLICAZIONE Nell’accezione ampia del termine, ossia intesi come giochi digitalizzati usati per scopi diversi dal puro intrattenimento, I SG vengono applicati in molteplici ambiti; Il loro crescente utilizzo si inserisce all’interno di quel fenomeno culturale noto come GAMIFICATION, ovvero l’introduzione di elementi propri del gioco in contesti o attività differenti dal gioco stesso. I Serious Games quindi possono essere utilizzati nella comunicazione sociale per informare e sensibilizzare le persone; Nelle ricerche di 41 mercato sono utilizzati per capire bisogni/aspettative/reazioni di una certa popolazione o come strumento di marketing attivo, per avvicinare e coinvolgere i potenziali acquirenti di un prodotto. Un ulteriore ambito di applicazione, strettamente connesso a quello formativo, riguarda la valutazione di conoscenze e capacità. Da questo punto di vista i SG offrono indubbi vantaggi: permettono di simulare fenomeni e problematiche complesse che sarebbe difficile produrre in un altro modo. Inoltre, consentono di fare test in maniera ‘protetta’ nel senso che non mettono a rischio persone o sistemi. Per quanto concerne l’ambiente formativo, possono essere utilizzati in diversi settori di applicazione, come ad esempio in ambito militare; nell’ambito sanitario; nell’ambito dei governments game. In ambito militare i SG sono usati come strumenti di training; in questo campo esistono sperimentazioni rivolte allo sviluppo di abilità piuttosto differenti, da capacità cognitive di alto livello come la pianificazione strategica ad abilità sociali come ad esempio nella negoziazione con popolazioni straniere in luoghi di guerra e di capacità di combattimento/prova. Nell’ambito sanitario ricordiamo SG progettati per chirurghi . I Governements Games sono invece simulazioni che riguardano problematiche di ordine pubblico. Troviamo in questa categoria simulazioni di disastri naturali, attacchi terroristici e rischi biologici. Ma anche sistemi per comprendere meglio il traffico dei centri urbani I SG presentano caratteristiche che li differenziano dalle tradizionali tecnologie educative; queste specificità, sembrano inquadrabili all’interno di una nuova categoria di tecnologie. È possibile distinguere i SG dalle tradizionali tecnologie educative per delle specificità inquadrabili nelle Technology-Enabled Active Learning (TEL= soluzioni che ampliano e arricchiscono le potenzialità offerte dagli strumenti della Rete, spesso integrandosi, ma mantenendo specificità tecniche e potenzialità didattiche che impediscono di classificarle sotto l’e-learning). Questi strumenti TEL sono categorizzabili in : comunità web 2.0, serious games, robotica, realtà aumentata. Le TEL comprendono tecnologie ancora scarsamente usate in ambito formativo ad eccezione forse delle comunità di apprendimento che hanno avuto una buona diffusione a partire dagli anni 90. I mondi virtuali hanno avuto un travolgente successo nei primi anni 2000, in particolar modo grazie a Second Life che sembrava proporsi come una piattaforma ricca di potenzialità di settori e obiettivi(apprendimento, arte, business, media, divertimento, architettura). La realtà aumentata invece consiste nella possibilità di arricchire le informazioni presenti in un ambiente fisico attraverso oggetti software che vengono inseriti nell’ambiente stesso grazie all’uso di particolari dispositivi. Grazie ad uno schermo dotato di camera e grazie a specifici programmi software, chi utilizza questo dispositivo è in grado di visualizzare informazioni virtuali, sovrapposte alla realtà fisica, che di fatto potenziano la percezione e incrementano particolari capacità dell’osservazione. La robotica educata è invece un approccio che si propone di favorire i processi di apprendimento attraverso la realizzazione di oggetti in grado di interagire in maniera autonoma con l’ambiente. Secondo chi propone tale approccio, questa metodologia enfatizza lo sviluppo di facoltà di ragionamento di alto livello, tanto che gli stessi robot possono essere in un certo senso considerati ‘oggetti-con-cui-pensare’. I SERIUOS GAME DAL PUNTO DI VISTA DIDATTICO Secondo uno schema elaborato da de Freitas e Oliver, si sottolineano le dimensioni da tenere presenti rispetto all’utilizzo dei SG che sono 4: 1) UTENTI: anagrafica, ruolo, aspettative, competenze. Sono le caratteristiche degli individui in apprendimento. 2) CONTESTO: ambiente di utilizzo, risorse a supporto, equipaggiamenti tecnici. Il contesto in cui è destinato ad essere usato lo strumento. 3) APPROCCIO EDUCATIVO: sono i modelli alla base dell’apprendimento generato dal gioco. 4) RAPPRESENTAZIONE: forma che il gioco assume a livello grafico e concettuale. La RAPPRESENTAZIONE può essere pensata come composta da tre fattori: - Fedeltà: riguarda il livello di realismo grafico ed è un elemento che sembra influenzare per diversi fattori. Esistono per esempio ricerche che dimostrano come l’uso di certi colori anziché altri influisca sulla risposta emotiva e la performance dei giocatori, quindi anche sul processo di apprendimento. Non tutti i SG puntano su una elevata fedeltà, ma è chiaro che essa rappresenta un valore aggiunto per strumenti come i simulatori (es simulatori di volo). - Interattività: capacità di fornire feedback rispetto alle azioni del giocatore - Immersività: la capacità del gioco di attrarre l’attenzione del giocatore focalizzando il più possibile le sue energie sul compito proposto. La ricerca di una maggiore immersività è un tema che accomuna SG e videogame. Tra le diverse soluzioni elaborate per garantire immersività, abbiamo ad esempio la possibilità di vivere l’esperienza di gioco ‘in soggettiva’ ovvero di vederla con gli occhi del personaggio che agisce(ad esempio in una battaglia o corsa automobilistica). 42 ambito diverso : antropologico, linguistico, matematico [..]. Fermandoci alla ricerca psicologica, possiamo notare che il costruttivismo prende spunto dal cognitivismo. In comune con questi due approcci c’è il riferimento a “strutture mentali” e agli “schemi che guidano le analisi della realtà e il comportamento delle persone”. Però esiste anche una differenza importante tra i due: il modo in cui viene concepita la conoscenza. Mentre nel cognitivismo la conoscenza nasce dal confronto tra schemi cognitivi interni e realtà esterna, per il costruttivismo la conoscenza è qualcosa che gli individui creano ex novo, anziché ricavarla dalla realtà. Anche le conoscenze devono poi esser condivise e negoziate con l’ambiente, è soprattutto questo processo di creazione che qualifica l’apprendimento. Esiste quindi una ‘frattura epistemologica’ tra cognitivismo e costruttivismo che aiuta ad inquadrare meglio le priorità educative che quest’ultima importazione pone in risalto. 1. Creazione e non riproduzione per il costruttivismo la conoscenza è creata dalla mente piuttosto che riprodotta dalla realtà esterna. Gli individui sono costruttori di realtà. 2. Interattività ed azione Per consentire all’individuo di creare le proprie categorie è necessario promuovere attività che lo portino ad interagire attivamente con l’ambiente, a sperimentarsi nel confronto e nella costruzione. 3. Molteplicità e complessità legare la creazione della conoscenza ai diversi soggetti significa ammettere una molteplicità di rappresentazione e quindi un’immagine complessa, multiforme e articolata della realtà. 4. Collaborazione e condivisione non dovendo + essere conforme alla realtà, la conoscenza valida è quella che viene negoziata e accettata, ovvero che nasce da processi di collaborazione e condivisione tra persone impegnate in un certo percorso di conoscenza. Dal punto di vista formativo, tali principi spostano il baricentro del processo di apprendimento : in primo piano non c’è più il docente e per molti versi neppure la relazione docente – discente. Quello che ‘fa figura’ è piuttosto il processo di costruzione del sapere in cui il discente è impegnato, rispetto al quale il docente è più un facilitatore che una guida. E’ qualcuno chiamato a progettare delle esperienze significative o a mettere nelle mani del discente strumenti adeguati ma che poi deve delegare al discente stesso la possibilità di fare esperienza ed usare questi strumenti. Ecco perché i SG trovano nel costruttivismo un punto di vista particolarmente interessante, essi infatti concentono di creare ambienti all’interno dei quali è possibile sperimentarsi, con margini di libertà piu ampi di quelli consentiti dalla realtà. Inoltre, come abbiamo accennato, essi rendono visibili gli schemi cognitivi usati supportando pratiche riflessive e metacognitive. Il paragrafo successivo ci aiuterà a comprendere concretamente il modo in cui un SG supporta tali principi. Un esempio di SG : PalMa Caratteristiche generali dello strumento. PalMa o Palestra Manageriale nasce per sviluppare competenze manageriali legate alla comunicazione, in particolare quelle che si esprimono attraverso le relazioni uno-a-uno. Lo strumento è in pratica un simulatore di dialoghi, in grado di riprodurre qualunque genere di scambio avvenga tra due persone. La rappresentazione del gioco si basa sul concetto di palestra, una situazione in cui l’utente attraverso un avatar dialoga con un bot (un agente software rappresentato anch’esso da un personaggio digitale) programmato per rispondere in maniera adeguata. In ogni palestra viene definito l’obiettivo che l’utente deve raggiungere attraverso il dialogo e questo obiettivo è legato alla specifica competenza che si intende sviluppare. Convincere il bot a fare qualcosa, risolvere un conflitto, compiere una negoziazione sono esempi di possibili obiettivi. Chi progetta la palestra può gestire quattro variabili principali : - l’ambiente in cui si muovono i personaggi, selezionabile tra le diverse opzioni disponibili. - i personaggi ovvero l’avatar e il bot selezionabile tra le diverse opzioni disponibili. . il livello di difficoltà della palestra definito in base ad una serie di indici. - i dialoghi che caratterizzano la palestra ovvero le opzioni di risposta a disposizione del giocatore e del bot nei diversi scambi previsti dalla palestra. La definizione dei dialoghi tra utente – bot permette di far riferimento a una specifica competenza e di focalizzare un certo obiettivo da raggiungere; il dialogo tra i due non avviene in maniera libera ma attraverso una serie di opzioni che l’utente seleziona scambio per scambio, determinando una risposta da parte del bot. Se l’utente adotta una strategia comunicativa efficace ottiene l’ascolto da parte del bot e raggiunge l’obiettivo, in caso contrario il dialogo fallisce. Al termine della palestra PalMa è in grado di fornire un feedback dettagliato sulla prestazione dell’utente. Inoltre, PalMa utiliza una grafica 3D che le conferisce un buon livello di fedeltà dal punto di vista grafico. L’interattività è gestita principalmente come sequenza di scambi, feedback comunicativi tra utente e bot. Infatti, selezionando una particolare frase l’utente sceglie anche uno stato d’animo e un gesto che il personaggio compie, aggiungendo una componente non verbale. Il feedback formativo di PalMa. Ci sono due feedback fornito da PalMa: esplicito ed impicito. Ogni frase selezionata dall’utente così come ogni risposta fornita dal bot, viene inserita in un callout. Se la frase viene vista come aggressiva, i callout diventano rossi, la dimensione dei caratteri aumenta. Se si tratta di una frase inibita i 45 contorni diventano viola e il carattere si riduce. Se si tratta di una frase assertiva(risposta migliore) i contorni diventano bianchi e il testo assume dimensioni medie. Lo strumento fornisce feedback implicito poiché fornisce all’utente la ‘forma tipica’ di tre differenti tipi di frasi; inoltre le frasi sono diverse ma equivalenti, nel senso che ricadono comunque all’interno di una delle tre categorie prima citate. Oltre a prevenire la ripetitività del gioco, favorendo il coinvolgimento, tale soluzione cerca dunque si inserirsi direttamente nella dinamica del gioco, senza ostacolare il coinvolgimento o il ‘flusso’ dell’esperienza ottimale. Il feedback esplicito è piuttosto articolato. Al termine di una partita si aprono una serie di finestre che contengono commenti su : una descrizione sintetica di come si è conclusa la palestra con elementi di valutazione ed elaborazione; un grafico con in orizzontale gli scambi e in verticale i punteggi ottenuti e infine dei grafici a torta che riassumono le percentuali di risposte aggressive, inibite e assertive tra i due attori. I due feedback descritti rappresentano quindi degli spunti di riflessione per l’utente, che possono fargli prendere consapevolezza di come ha gestito la negoziazione oggetto della palestra. Un ultimo feedback proposto è quello finale, si tratta di un grafico che mostra i nessi causa-effetto tra feedback del giocatore e risposte del bot. L’utente può riflettere come il comportamento del bot sia cambiato rispetto alle sue risposte, capire in quali frasi hanno funzionato meglio. Applicazioni del metodo. PalMa è stato usato all’interno di diversi percorsi formativi rivolti allo sviluppo delle soft skills. Cerchiamo ora di sintetizzare i principali benefici che lo strumento ha portato. Analizzeremo poi, con più dettaglio, una terza applicazione che rappresenta l’esempio più significativo dell’utilizzo di PalMa come metodo costruttivista. 1. Il primo utilizzo dello strumento riguarda un percorso dedicato al conflict management, destinato a coordinatori d’area di un’azienda commerciale. Serviva per incrementare la capacità di gestire conflitti da parte dei coordinatori. Tuttavia, l’azienda aveva rilevato anche una notevole diversità di approcci, di stili di consulenza all’interno del gruppo dei coordinatori e voleva sfruttare il percorso formativo per definire un approccio piu coerente. Per l’occasione fu costruita una palestra che riproponeva le obiezioni tipiche che venivano rivolte ai coordinatori della rete e che solitamente generavano un conflitto. Grazie ad un lavoro di coprogettazione tra azienda e consulenza fu realizzato un SG customizzato che da una parte conteneva i principi per una corretta gestione dei conflitti, dall’altra rappresentava uno stile comunicativo in cui l’azienda si riconosceva. Nelle 4 giornate dedicate al percorso PalMa fu utilizzata in aula, prevalentemente come attività di gruppo. Ai partecipanti fu chiesto di confrontarsi con il SG dalle prime fasi del percorso. 2. Una seconda applicazione riguarda un percorso di coaching svolto per un’azienda operante nel mercato di teelcomunicazioni. Quattro risorse strategiche appartenenti al top management dell’azienda avevano svolto un precedente percorso di assessment che aveva messo in luce specifiche esigenze di sviluppo. Anche se si trattava di competenze diverse, erano tutte riconducibili alla spera relazionale, in particolar modo alla gestione delle RU. Dopo un incontro preliminare con i coachee, i quattro coach coinvolti individuarono 3 aree di competenze comuni ai percorsi formativi dei differenti manager : assertivita – leadership e sviluppo degli altri. Vennero quindi adattate 3 palestre di PalMa che consentivano di lavorare su tali competenze messe a disposizione die coach. A differenza del caso precedente, le palestre furono realizzate a partire da modelli – scenari già sviluppati in precedenza e non coprogettate con l’azienda. Non c’era in questo caso l’obiettivo di uniformare gli stili manageriali dei coachee ma piuttosto quello di creare le condizioni migliori possibili per favorire lo sviluppo di alcune loro competenze. In tal caso, oltre a rappresentare un percorso didattico nell’ambito degli incontri di coaching, i coach permisero agli utenti di usare le palestre liberamente, tra un incontro e l’altro. Nell’ambito del percorso svolto quindi i SG diventarono uno strumento di self learning che da una parte consentiva di sperimentare quanto definito durante gli incontri, dall’altra invece produceva nuovi stimoli e nuovo materiale su cui riflettere durante gli incontri in presenza. 3. Un ultimo caso riguarda un progetto svolto per un’azienda di servizi. Negli anni precedenti l’azienda aveva svolto regolarmente percorsi di sviluppo sia di competenze strategiche che per rappresentare un’occasione di integrazione tra diverse funzioni aziendali. Finalità del progetto in questione era organizzare un percorso capace di coinvolgere coloro che avevano partecipato alle edizioni precedenti (circa 100 persone) svolgendo un’azione di integrazione allargata, offrendo un refresh sulle competenze precedentemente trattate, attualizzando i messaggi di sviluppo man mano proposti. Tra le finalità del percorso ricordiamo : offrire un momento di sviluppo delle competenze personali, alimentare i valori. Legami personali e il clima positivo generati in passato, usare una metodologia sfidante ed innovativa, realizzare un percorso i cui risultati potessero essere messi a disposizione di tutta l’azienda. In linea con queste finalità, i partecipanti sono stati coinvolti in un percorso durato 2 mesi e mezzo, svolto prevalentemente online e comprendente solo 3 incontri in presenza. Divisi i gruppi da circa 10 persone, ai partecipanti è stato chiesto di ideare, progettare e realizzare dei SG 46 personalizzati basati su PalMa. Questo lavoro ha prodotto una decina di palestre che sono state poi valutate nella giornata finale del percorso, dalle stesse persone coinvolte e da esperti di formazione, ma anche messe a disposzione dei colleghi dei partecipanti che non avevano preso parte al progetto. Ci sono state tre fasi principali in tale progetto : Fase ‘start’ (presentazione progetto – creazione gruppi – descrizione strumenti (palma) e avvio lavoro). Fase ‘check’ (verifica lavoro svolto, test e feedback reciproci, feedback di sviluppo ai diversi gruppi). Fase ‘end’ (presentazione dei lavori, chiusura del progetto e premiazioni). Terminata la realizzazione delle dieci palestre, ciascun gruppo ha avuto un tempo a disposizione per sperimentare i prodotti degli altri team e valutarli da diversi punti di vista e questa valutazione ha fornito la base principale per la classifica dei lavori presentata nell’ultima giornata. La metodologia descritta sembra rispettare tutti i principi che prima abbiamo citato a proposito dell’approccio costruttivista. Ovvero: enfasi sulla creazione di idee, complessità dei contenuti, possibilità di sperimentare ed agire, forte interattività rispetto ai contenuti di lavoro che rispetto agli attori coinvolti a diversi livelli. Il progetto sembra anche un adeguato esempio di metodologia costruzionista, ovvero di attività destinata a produrre qualcosa che avrà un carattere pubblico e sarà sottoposta al giudizio di altri. Conclusione. I SG rappresentano una delle metodologie in grado di rispondere ai bisogni formativi in un modo del lavoro e di una società in evoluzione. Le nuove generazioni sono cresciute a contatto con le tecnologie imparando ad usarle per orientarsi, comunicare e decidere. Esiste quindi una richiesta di rinnovamento die modelli da parte di queste generazione. Questa aspettativa non è solo da parte dei ‘nativi digitali’ ma anche da parte di tutte le generazioni di lavoratori. Dal punto di vista QUALITATIVO i SG sono in grado di esercitare competenze che sembrano oggi fare la differenza, ovvero la capacità di costruire idee nuove, elaborare soluzioni originali rispetto ai problemi che ci troviamo ad affrontare. I SG sembrano supportare un’esigenza crescente che riguarda il mondo della formazione, ovvero quella di dare alle persone maggior controllo e responsabilità rispetto ai loro percorsi di sviluppo. Metodologie come i SG sono utilizzabili in maniera personalizzata dagli utenti e sono altamente flessibili in termini di tempi e modi di utilizzo. Esse inoltre amplificano le potenzialità dell’autoapprendimento e apprendimento tra pari, modalità ancora poco valorizzate nei percorsi formativi. In tal senso dunque può essere interpretato il contributo dei SG allo sviluppo di nuovi linguaggi educativi: una metodologia che può contribuire allo scarto tra attuali esigenze di apprendimento delle persone e le soluzioni che la formazione è in grado di offrire. 47
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