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Formazione- I metodi Quaglino, Appunti di Psicologia Generale

Riassunto del libro di Metodi di Quaglino, dall'1 al 12 capitolo

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 09/01/2020

sofia-scaldaferro
sofia-scaldaferro 🇮🇹

4.2

(7)

12 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Formazione- I metodi Quaglino e più Appunti in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! FORMAZIONE – I METODI (Quaglino)  Prof. Sartori 1. ACTION LEARNING All’interno dell’universo della formazione degli adulti operanti nelle organizzazioni di oggi è avvenuto un profondo cambiamento, cambiamento che ha riguardato il passaggio da il ruolo centrale dell’insegnante a quello dell’apprendimento, si passa ad una formazione del e per il sé. Oggi la vita è caratterizzata da un’esposizione all’imprevisto, per far fronte a ciò si è evoluto un metodo all’interno dell’ambito della globalizzazione, denominato ACTION LEARNING, intorno gli anni Ottanta. RADICI DI UN METODO Reg W. Evans è l’ideatore di AL, e tramite questo metodo egli ha interpretato alcuni valori connessi a esperienze di vita e professionali. L’idea di AL ruota attorno a 3 fonti di ispirazione: a. La figura e l’attività paterna: suo padre ha analizzato tramite una ricerca le cause del disastro del Titanic nel 1912, caso che contiene tutti gli elementi istituzionali di AL; b. Le esperienze professionali – manageriali di Revans: importanza della collaborazione di gruppo; c. La spiritualità quacchera e l’esperienza del Clearness Committee: il quaccherismo è una fede religiosa caratterizzata da principi di tolleranza e amore reciproci. L’assunto di base della Clearness Committee è che ogni essere umano spesso affronta problemi personali difficili, nell’ipotesi di avere risorse interne in grado di aiutarlo a risolverli, ma contemporaneamente di avere forze oscure che lo ostacolano nei processi di consapevolezza, a tutto ciò si accompagna la convinzione che amici, colleghi, famigliari possano essergli d’aiuto, ma questa è frenata dall’idea che rendere partecipi terzi a questo possa essere soggetto a giudizi e valutazioni. ACTION LEARNING: DEFINIZIONE E RIFERIMENTI OPERATIVI / ESECUTIVI AL metodo di formazione per adulti operanti in contesti organizzativi, a partire da un approccio al lavoro e allo sviluppo/apprendimento attraverso l’affrontare un progetto o un problema reale proposto da un committente e elaborato in setting educativi diversi, sempre caratterizzati dalla presenza di un gruppo di lavoro operante sia nel suo insieme che in alcuni più ridotti sottogruppi di lavoro, con l’assistenza costante di uno specialista di formazione degli adulti, all’interno di un predefinito patrimonio di risorse temporali, da investire da parte dei partecipanti per l’adesione ad AL, e budgetarie per eventuali richieste di assistenza/ consulenza specialistica. Dall’analisi di questa definizione possiamo identificare dei riferimenti specifici: - Riferimento sorgivo, centrale per l’agire; - Al si fonda sulla convinzione che non ci possono essere apprendimento e invenzione avulsi dal lavoro - Dal punto di vista della problematica del metodo, riflette sul fatto che ogni apprendimento/cambiamento esige un’esposizione in direzione di uno squilibrio - Il lavoro, la pratica vanno problematizzati tramite lo sviluppo di una coscienza critica in grado di interrogarsi e interrogare il mondo - Nei processi di apprendimento e nei setting relativi, l’individuo singolo incontra la realtà dell’autonomia relazionale - Questo metodo fa dei partecipanti i membri di un’organizzazione a tempo. COMPONENTI E DISPOSITIVI DI ACTION LEARNING Ci sono 4 caratteristiche operative di AL identificabili come problemi-obiettivi:  L’apprendimento è favorito dalla ricerca di soluzioni operative proposte dai partecipanti a problemi reali e sentiti come rilevanti dalla committenza  Problematica del brief è reale e complessa e porta a investigazione e proposizione  Analisi del problema e ricerca di soluzioni svolte all’interno di piccoli gruppi  Ricerca operativa di soluzione al problema e apprendimento sono processi paralleli A questi 4 problemi-obiettivi si affiancano i pilastri della struttura di AL:  La natura del problema  Il set di AL  Il processo di lavoro  Il ruolo del facilitatore/trainer  Il ruolo del tutor LA NATURA DEL PROBLEMA La natura del problema è posto dall’istituzione committente al gruppo di lavoro, il problema deve essere tale, nel senso della sua realtà, della sua rilevanza per l’organizzazione che lo espone. La soluzione del problema proposto dovrebbe portare ad un miglioramento reale, infine il problema offre di per se varie prospettive di soluzione, implicando una scelta tra le diverse possibilità e non implica un’unica soluzione possibile. La complessità e l’imprevedibilità del problema costituiscono i principali fattori di attrattività per il gruppo di lavoro impegnato nell’AL. Il problema deve essere fattibile, quindi alla portata di coloro che si ritrovano a risolverlo, all’interno delle loro capacità di risoluzione per poter permettere a tutti di capirlo, all’opposto un problema troppo complicato può far sorgere stati d’ansia e di persecuzione. Al di là poi del livello di difficoltà, la letteratura recente sostiene che stanno emergendo sempre più problemi nuovi, che non sono quindi in grado di essere risolti da una metodica pre stabilita, di conseguenza entra in gioco il livello di professionalità e flessibilità del formatore che dovrà essere in grado di far fronte alle nuove problematiche. 2. AUTOCASO AUTOCASO E NARRAZIONE La vita non sarebbe tale senza la possibilità di poterla raccontare e poterla esprimere. Il racconto, di per se, è presente in tutti i tempi e in tutti i luoghi, è un modo tramite cui gli esseri umani si fanno presenti a se stessi e agli altri; è un modo per permettere ai singoli di comprendere il mondo esterno e il discorso che permette la conoscenza. Con il termine ‘autocaso’ facciamo riferimento ad una narrazione, un prodotto culturale quindi. Identifichiamo con questo termine il prodotto di un soggetto rispetto la sua storia personale e rispetto la dinamica relazionale entro cui questo racconto viene prodotto. La narrazione ha particolari caratteristiche che possono essere associate al concetto di ‘autocaso’: - Ha una sua particolarità e un suo genere specifici; - Ha una maggiore o minore verosimiglianza e plausibilità ambizione di consentire un ‘esame di realtà’ e raggiungere un’interpretazione verosimile e plausibile; - Ha una vicenda problematica, dentro la quale gli eventi sono collocati, organizzati e strutturati; - Ha un ordine cronologico che viene stabilito dagli individui nel momento in cui ne parlano, e questo viene visto come un processo di rassicurazione per l’individuo stesso che ne parla; - È un processo creativo a carattere pratico. AUTOCASO: IL CORAGGIO DI PENSARE E PENSARSI (RI-PENSARSI) Non è semplice e naturale costruire un contesto formativo nel quale è possibile far emergere l’attività narrativa e la riflessività attiva. Occorrono sforzo, impegno e dedizione per creare un processo interpretativo alla ricerca di tane possibili soluzioni/verità. Perché? Perché interpretare accaduti per arrivare a soluzioni, implica rivivere le diverse situazioni e i diversi accaduti, con annesse emozioni e pensieri, che non sempre sono positive. Di conseguenza non risulta facile rivivere situazioni che per noi sono state simbolo di difficoltà e emozioni negative. UNA POSSIBILE DEFINIZIONE DI AUTOCASO Metodo dell’autocaso processo di costruzione di un setting all’interno del quale sia possibile far diventare oggetto di lavoro educativo una situazione problematica accaduta realmente a uno o più partecipanti di un gruppo in formazione, una situazione che viene narrata dal protagonista e sottoposta alla ricognizione dei colleghi e del ‘docente’ per poter apprendere da questa. Da un lato è allestimento di materiale didattico messo per iscritto o in forma orale da un partecipante per illustrare la situazione critica, dall’altro lato è gestione di questo materiale nella relazione a due docente-colleghi in tre momenti: prima dell’incontro in aula, durante e dopo. GLI OBIETTIVI FORMATIVI DELL’AUTOCASO Gli obiettivi formativi che il ricorso alle storie di vita consente di perseguire si riferiscono a sottolineare l’importanza dell’esercizio costante di connessione con se stessi e creare un orientamento emotivo, cognitivo e comportamentale di persone che hanno maturato già delle esperienze significative. Possiamo enunciare gli obiettivi così raggruppati:  Sviluppare la capacità di presenza mentale ed emotiva, coltivare la capacità di controllo e di dominio della propria mente;  Far venire dei dubbi, riconoscere che i propri pensieri e le proprie emozioni sono eventi mentali frutto di proprie percezioni e pregiudizi  non oggettività ma soggettività;  Recuperare pensieri e vissuti personali rispetto all’esperienza rievocata, tramite i quali conoscersi e ri-conoscersi;  Sviluppare la capacità di analisi e diagnosi dei problemi;  Sviluppare la capacità di soluzione di problemi;  Favorire la consapevolezza di possedere una visione parziale dell’evento critico accaduto e di poter trarre utilità dal cercare;  Portare alla luce conflitti interni ed esterni per studiare strategie positive di governo del conflitto per stimolare il cambiamento del soggetto e del gruppo. Confine consulenza-formazione Consulenza  risposta alla domanda rivolta a una persona dalla committenza per attivare un processo di sviluppo organizzativo Formazione  processo di produzione, di apprendimento/cambiamento delle competenze individuali LA GESTIONE DI UN AUTOCASO: LA SUA SCRITTURA Lavorare con gli autocasi significa impegnare gli individui in attività di scrittura; scrivere è fare ricerca, ma non si tratta di un processo scontato. Essendo un processo molto delicato e per nulla scontato è utile fare in modo di creare un clima adeguato a mettere in atto questo processo, inoltre risulta sconsigliato anticipare l’utilizzo di questo processo a inizio formazione, in quanto potrebbe spaventare per l’impegno richiesto. Ci sono una serie di punti che possono essere coperti nella scrittura di un autocaso, questi possono facilitare la scrittura della possibile vicenda e dare ci conseguenza possibili indicazioni a riguardo. LA GESTIONE DI UN AUTOCASO: DARE LA PAROLA AL NARRANTE Nel caso l’invito fosse accolto, il docente potrebbe organizzare una presentazione ordinata degli autocasi, poi ci si concentrerà sulla scelta della storia più rilevante per l’intero gruppo, si considerano le varie opzioni, si cerca di capire se sia possibile affrontarle in aula e si procede nella scelta della/e storie che raccolgono di più il maggior interesse. Al fine di diventare protagonista della storia prescelta, il vero protagonista diventerà l’intera classe. Poi si procede con la discussione in plenaria. LA GESTIONE DELL’AUTOCASO: DALL’ANALISI ALL’INTERPRETAZIONE ATTRAVERSO L’ASCOLTO E L’ASCOLTO ATTIVO Il docente ha l’opportunità molto importante di poter cogliere da ogni testo possibili interpretazioni distinte del caso proposto, in particolare dal testo che viene presentato dalla persona. Dopo di che, una volta che il testo viene esposto e quindi messo a conoscenza da parte di tutto il gruppo avviene un’interpretazione cooperativa: quindi un’interpretazione da parte di tutti i membri del gruppo del testo esposto, la persona e il gruppo si incontrano tramite il testo esposto. Prima ancora che il testo venga esposto, si ribadiranno delle regole fondamentali che non dovranno essere infrante nel corso dell’esposizione, queste regole possono essere ‘nessun disturbo elettronico che possa interrompere, sospensione di ogni giudizio che possa essere valutante o giudicante’. Questo compito di interpretazione del testo rischia di essere infinito, quindi è auspicabile trovare un punto di incontro tra i dati forniti e le informazioni che emergono dal testo, a sua volta il tempo dedicato a questo processo sarà variabile a seconda della necessità dipesa dalla natura del tema proposto. La chiusura dell’analisi del testo sarà con una riflessione che razionalizzerà il processo; la teorizzazione finale sarà rivolta a due livelli: - Riferito al tema che il caso ha consentito di approfondire; - Riferito al tema metodologico della consulenza al ruolo LA GESTIONE DELL’AUTOCASO: CIO’ CHE RESTA DELL’ESPERIENZA Valutazione e riflessione su quello che ha potuto fornire l’autocaso, tramite ad esempio una check list di domande che possono permettere all’individuo, a posteriori, di valutare ciò che ha riportato nel suo autocaso. DALL’AUTOCASO NARRATO E INTERPRETATO ALL’AUTOCASO RIPROGETTATO L’autocaso narrato rappresenta il passato, mentre l’autocaso riprogettato rappresenta il futuro, quello che si potrebbe cambiare quello che potrebbe essere in ipotesi futura. Il concetto di autocaso riprogettato possiamo spiegarlo così, il fatto di dare un nuovo titolo al racconto, il titolo della diversa storia che vorrebbe poter scrivere a seguito di un esito positivo delle strategie nuove, le quali dovranno tener conto di una possibile interferenza al processo immaginato. La gestione del processo didattico si articolerà in due macrofasi:  La ricostruzione del passato sino al presente, la fase di reframing;  La progettazione del futuro a partire dal presente, la fase dell’empowering. METODO DEL ROLE PLAY porta a riprogettare l’autocaso in due modi: - Far giocare la simulazione alla stessa persona/testimone del caso caso raccontato, che adotterà una strategia e tattica comportamentale messa a punto dall’interpretazione avvenuta; - Assumere all’attore principale la parte di uno dei suoi reali interlocutori, mentre qualcuno tra i suoi compagni di viaggio cercherà di mettersi nei suoi panni. Apprendimento da sé: sinonimo di autogestione dell’apprendimento, dove il prefisso ‘auto’ rimarca che l’apprendimento è affidato all’iniziativa, alla responsabilità e all’autonomia del soggetto.  Apprendimento autodiretto e autodirezione nell’apprendere - Brockett lo indica come un percorso esistenziale, processo di formazione e infine metodologia tipica dell’educazione degli adulti nella prospettiva dell’apprendimento lifewide - Candy  concetto ombrello che abbraccia sia l’autogestione del processo sia la disposizione personale del soggetto intesa come possesso di specifici attributi  Dimensioni qualificative dell’apprendimento autodiretto Brockett e Hiemstra hanno evidenziato le tre dimensioni qualificative dell’apprendimento autodiretto: la persona, il contesto e il processo. UN MODELLO CONCETTUALE Persona: complesso di fattori che nell’apprendimento distinguono un soggetto da un altro, ovvero attributi personali e bisogni formativi associati a traguardi individuali Processo: riguarda l’autogestione delle attività Contesto: caratteristiche dell’ambiente L’autoformazione si definisce dal concorso di due fattori: autodeterminazione e autogestione Autodeterminazione: dimensione della scelta, del controllo interno sul piano del senso, del valore e dell’intenzionalità  registro del progetto operativo Autogestione: il sistema di azione  registro del progetto operativo Apprendimento di Attributi personali Sé AUTODETERMINAZIONE Learner self direction Self direction in learning Self directed learning AUTOGESTIONE Caratteristiche del processo Apprendimento da sé L’autodirezione nell’apprendere (self direction in learning) è in stretto rapporto sia con le caratteristiche del processo (self directed learning) sia con le attitudini del soggetto autodiretto (learner self direction). La presenza di meccanismi regolativi tra l’autodeterminazione e l’autogestione dell’apprendimento sono anche dimostrati tenendo conto dei fattori che l’autoformazione implicitamente richiede di mantenere in equilibrio: il sapere apprendere, il volere apprendere e il potere apprendere. Il concetto di potere sta a indicare il controllo interno da parte del soggetto dello spazio della propria vita sul piano delle scelte e delle decisioni. Se il volere e il potere sono insufficienti a determinare nei soggetti forme di apprendimento autodiretto, è necessario introdurre una terza variabile, rappresentata dai saperi che il soggetto deve contestualmente possedere, indispensabili per padroneggiare dispositivi che non sono spontanei e neppure abituali. L’AUTODETERMINAZIONE Il successo dipende dalle sue attitudini e dall’atteggiamento verso l’apprendimento, dove la capacità critica e la creatività sono riconosciute come le due facce dell’autodeterminazione. La capacità critica  attività dove il soggetto è chiamato a valutare in modo critico e riflessivo il contenuto, il processo o le premesse degli sforzi di interpretazione e di attribuzione di senso alle esperienze personali. Creatività  ideazione di nuove forme o schemi mentali attraverso i quali gli individui crescono e si sviluppano come persone autonome. Il concetto di creatività, nell’autoformazione, trova legittimazione in ancoraggio con l’approccio costruttivista, che riconosce gli stretti rapporti tra lo sviluppo del pensiero creativo e la partecipazione attiva del soggetto nel processo di apprendimento. L’AUTOGESTIONE Essa riguarda il controllo pedagogico delle attività del soggetto autodiretto (self directed learning), dove si suppone che in aggiunta a volerlo e poterlo fare in astratto (autodeterminazione) sia capace di agire perché padroneggia specifici saperi. Nel concetto di autodirezione è implicita l’idea del potere. Controllo pedagogico interno  riferimento al modello di apprendimento autodiretto di Mocker e Spear. Criterio guida ‘controllo pedagogico del soggetto rispetto agli obiettivi e al 4. BUSINESS GAME (BG) = ambienti di apprendimento che mettono a disposizione dei partecipanti e dei formatori un contesto dinamico ad alto grado di coinvolgimento, entro il quale i giocatori sono chiamati a prendere delle decisioni sufficientemente complesse riguardo a temi di gestione aziendale funzionali e interfunzionali, di sviluppo organizzativo e di posizionamento strategico. I BG implicano degli obiettivi da raggiungere e una struttura di gioco al tempo stesso né troppo semplice né eccessivamente complessa. Il punteggio via via conseguito nel gioco consente ai partecipanti di beneficiare di un feedback sulla propria perfomance  ciò consente di apprendere attraverso il fare imparando dai successi e dagli errori in un ambiente protetto no blame and no shame (= nessuna colpa e nessuna vergogna). Quanto viene vissuto dai partecipanti nell’ambiente simulato consente loro di riflettere sulle alternative di possibili percorsi di miglioramento delle proprie competenze. I formatori devono essere capaci di scegliere il BG più adatto in rapporto alle finalità educative che si propongono: ci possono essere diverse situazioni e modalità di utilizzo dei BG La modalità + frequente avviene entro percorsi di formazione articolati secondo una struttura che comprende vari moduli e diverse metodologie didattiche: lezioni, studi di caso, role play, filmati, ecc Per scegliere bene si deve tener conto delle finalità complessive del corso, della collocazione temporale della simulazione (inizialmente come icebreaker, e alla fine come strumento di sperimentazione e d’integrazione delle conoscenze acquisite durante il corso). Un altro fattore rilevante è che oggi la struttura dei BG risulta essa stessa modulare (risulta cioè possibile decidere a priori se prediligere lo svolgimento del numero completo delle giocate possibili oppure preferire un allestimento con un numero di giocate ridotto). È anche possibile che un intero corso sia costruito esclusivamente sui BG: in questo caso bisognerà decidere quali spazi riservare alle riflessioni sulle esperienze vissute nell’ambiente simulato, ai collegamenti teorici e a quelli con le esperienze concrete di lavoro. Per poter scegliere in modo adeguato quale percorso formativo sviluppare impiegando un BG si deve tener conto dei rapporti intercorrenti fra teorie dell’apprendimento e processi di formazione attraverso ambienti simulati. Apprendere mediante i BG implica che i partecipanti si mettano in gioco assumendo precise responsabilità rispetto alla conquista di una performance elevata entro strutture di gioco qualificate da un certo grado di ambiguità e d’incertezza. = Alla base dei BG c’è l’idea di imparare operando entro scenari complessi attraverso lo sviluppo non solo di competenze di analisi, di valutazione e di pensiero critico, ma anche quella di puntare sulla capacità di trasformare subito quanto deciso in azioni concrete (execution) Inoltre i BG consentono di costruire nuove interpretazioni condivise nella realtà simulata facendo riferimento alla teoria costruttivista dell’apprendimento. Oggi i BG sono sviluppati dalle istituzioni educative La domanda e l’offerta di BG muove un grandissimo numero di prodotti con un discreto grado di differenziazione rispetto ai contenuti Oggi i BG risultano facilmente fruibili via internet così da essere anytime and anywhere Oggi non vengono utilizzati solo in ambito formativo, ma anche in attività di valutazione del personale e di individuazione di talenti (x es l’employer branding di Lòreal), di sviluppo organizzativo e di comunicazione interna ed esterna. Diviene particolarmente importante a questo punto disporre di criteri di riferimenti che consentano loro di valutare quando un BG è davvero di qualità e appropriato rispetto alle finalità d’impiego prescelte. 5. CAPACITY BUILDING ‘Capacità organizzativa’ e ‘capacity building’ Il termine capacità organizzativa è stato utilizzato lungo due prospettive differenti:  Necessità di comprendere, spiegare e predire perché alcune imprese conquistino posizioni di vantaggio competitivo  Il modo di intendere l’attuale contesto socioeconomico come società basate sulla conoscenza CHANDLER – DEFINIZIONE DI CAPACITA’ ORGANIZZATIVA: costituite da strutture fisiche e dalle skill delle persone così come sono organizzate in un’impresa; sono il risultato dell’apprendimento, che avviene per prove ed errori, e derivano dall’aver risolto problemi di produzione. Apprendimento individuale + collettivo integrato nei sistemi organizzativi, per questo si distinguono in company specific e industry specific. TEECE, PISANO E SHUEN – INTERPRETAZIONE DINAMICA DI CAPACITA’ ORGANIZZATIVE: dinamica perché ci si riferisce a situazioni caratterizzate da rapidi cambiamenti tecnologici e delle forze di mercato, secondo loro le imprese riescono ad assumere posizioni di leadership perché sviluppano innovazioni in modo rapido e tempestivo, flessibile grazie alla capacità di management di coordinare e riorientare competenze interne ed esterne. LEONARD-BARTON – 4 DIMENSIONI che costituiscono le capacità organizzative core delle aziende e sulle quali il management e tutti coloro che operano nelle imprese devono porre attenzione per costruirle e continuamente rafforzarle: - Le conoscenze, capacità e esperienze dei collaboratori - I sistemi tecnici - I sistemi manageriali - I valori, le norme, i principi che influenzano decisioni e comportamenti Quindi le capacità organizzative formano l’identità, dna e personalità delle organizzazioni e a differenza di quelle individuali rendono le imprese in grado di trasformare il know-how in risultati. CORE COMPETENZE: di tipo tecnico CAPACITA’ ORGANIZZATIVE IN SENSO STRETTO: di tipo sociale Hanno elevata capacità di connessione tra loro. 7. CINEMA Il cinema è si un metodo, ma anche un supporto per altri metodi: lezioni, role play, ecc. possono infatti beneficiare in vari modi dell’utilizzo di un materiale narrativo in forma audiovisiva da parte del formatore. IL CINEMA PER L’APPRENDIMENTO E IL CAMBIAMENTO Il cinema come metodo di formazione si colloca nell’ambito dei medioart-base, categoria che comprende altri metodi quali teatro, letteratura, disegno, pittura, ecc. l’esperienza artistica è in grado di attivare processi di decostruzione e ricostruzione delle proprie rappresentazioni di sé e delle realtà e dei propri schemi di azione e relazione. Pertanto il cinema viene utilizzato nella formazione con finalità molto diverse (es. sensibilizzazione culturale, formazione ai comportamenti organizzativi, ecc) e la sua efficacia nel favorire apprendimento e cambiamento va ricercata nella sua specificità artistica, la quale sollecita una duplice attivazione dell’individuo: - Attivazione cognitiva - Attivazione emozionale … la quale è in grado di creare le condizioni ideali per l’avvio di un significativo processo di apprendimento. L’attivazione cognitiva che deriva dalla visione di un materiale filmico è di tipo generale (sollecita aree/funzioni nervose che favoriscono la comprensione) ma anche di tipo specifico (sostiene la concretizzazione grazie al ‘ritratto visivo’ di un concetto astratto; contribuisce al ‘reframing’, ovvero l’esplorazione della situazione da diversi punti di vista; mette a fuoco i processi di costruzione della realtà e di attribuzione di significato). Sul fronte dell’attivazione emozionale è facile notare come il cinema possa suscitare potenti reazioni emotive e facilitare l’immaginazione. È questo il maggior vantaggio, in termini di apprendimento, che deriva dall’utilizzo di film: permette di superare la barriera razionale, la difesa razionale e ci permette di ottenere immagini, considerazioni, valutazioni, emozioni spontanee che favoriscono la rilevazione delle proprie teorie e dei propri modelli impliciti che noi abbiamo circa dei temi determinanti. L’UTILIZZO DEI CINEMA: PROCESSO E MODALITA’ I processi da affrontare quando si vuole utilizzare i materiali filmici nella formazione sono essenzialmente: 1. Selezione dei film e/o sequenze Reperimento, visione e scelta 2. Progettazione dell’utilizzo La progettazione mette il formatore a confronto con tre scelte cruciali relative a:  Ampiezza del materiale  Momento all’interno del percorso formativo  Modalità di utilizzo  Riscaldamento -> per iniziare, per entrare in tema o per fare gruppo  Esempio -> per mostrare una teoria, un concetto o un comportamento (esempio può essere sia positivo, cioè si dovrebbe fare, che negativo, ovvero cosa si dovrebbe evitare)  Caso -> stimolo per un caso  Esercizio -> stimolo per iniziare un compito  Metafora -> film come rinvio metaforico in grado di semplificare concetti complessi 3. Messa a punto dei materiali È importante notare che questo materiale non può essere semplicemente ‘fatto vedere’ ai partecipanti, ma il suo valore di apprendimento sta nel comprenderlo, approfondirlo e interiorizzarlo. Per farlo si potrà mettere a punto strumenti di descrizione e analisi dei film. Il formatore dovrà mettere a punto delle vere e proprie schede di descrizione (dati, trama, descrizione della sequenza, temi centrali, rimandi teorici, trascrizione della sequenza, modalità di utilizzo) e a fianco di questa predisporre una check-list per la riflessione che comprenda sollecitazioni e domande che si possono fare ai partecipanti per condurli verso una riflessione. 4. Azione in aula Le attività d’aula possono riguardare: - Osservazione - Concettualizzazione e riprogettazione - Sperimentazione (vero e proprio role play) Tali attività fanno riferimento ad una modalità di utilizzo dei materiali filmici come esempio (osservazione e concettualizzazione/riprogettazione) e giunge a quella del film come esercizio (sperimentazione) che consente da un lato di sperimentare immediatamente i nuovi schemi di azione facilitandone il consolidamento, dall’altro lato permette di alimentare il senso di autoefficacia. 5. Valutazione dei risultati NON SOLO CINEMA Il termine cinema non viene utilizzato qui solo per indicare i film ma tutti i materiali narrativa in forma audiovisiva. Tra questi i più utilizzati sono sicuramente i film didattici, che possono essere di sei tipi: - Lezioni - Video testimonianze - Video casi - Video narrativi - Video work-shop - Video sportivi Tuttavia, questo genere di materiali possono presentare due vantaggi: 1- Non aggiungono spesso nulla in più di una lezione normale con annessa di discussione 2- L’artificialità dei contesti e delle situazioni può far ritenere intrasferibili i modi di fare e di essere che vengono proposti Altri tipi di materiali di questo tipo sono costituiti da documentari, serie tv e show; brevi filmati (cartoni animati, spot, ecc.); e tutto ciò che è reperibile da Youtube. Specie per il materiale utilizzato a partire da quest’ultimo sito, abbiamo un duplice vantaggio: - Non c’è bisogno di nessun supporto per trasferire il materiale (es. chiavetta) - La ricerca può essere fatta sul momento VINCOLI DI UTILIZZO ED ERRORI DA EVITARE Abbiamo tuttavia due tipi di vincoli con cui il formatore si deve confrontare:  Vincoli tecnici: legati alle tecnologie  Vincoli legali: rispetto del copyright Oltre a questi ci si dovrà pure guardare da alcuni errori tipici:  Utilizzare troppi materiali filmici  Non prestare coerenza tra film/sequenza e caratteristiche dei destinatari (un film di animazione potrebbe non essere proprio indicato per dei manager di una certa età,.. )  Utilizzare film di difficile reperibilità  Utilizzare una sequenza senza aver visto tutto il film (il messaggio globale potrebbe essere differente da quello della scena mostrata!)  Utilizzare troppi film/sequenze ambientati in contesti molto connotati CONCLUSIONE Il cinema può essere utilizzato non solo per acquisire competenze professionali ma anche per favorire la comprensione di sé e la mobilitazione di energie positive: cioè per sollecitare tutte quelle azioni (riflettere, interpretare, immaginare, narrare) che sono cruciali per la motivazione di sé. Guardando alle teorie psicologiche è possibile riconoscere diversi approcci sottesi alle scelte di metodo: dalla cornice teorica di riferimento deriva infatti il significato degli interventi che il coach mette in atto nella relazione e la sequenza delle azioni messe in atto in vista del raggiungimento degli obiettivi formativi. 1. Approccio psicodinamico Pone al centro l’analisi delle dinamiche relazionali e lo sviluppo di abilità interpersonali; cerca di approfondire le ragioni delle azioni. La relazione tra coach e coachee è lo strumento privilegiato. Tra i suoi punti di forza abbiamo la sua capacità di identificare possibili resistenze al cambiamento; tra i suoi punti deboli abbiamo il rischio di stagnazione legato alla tendenza ad indugiare nella introspezione, che dilata i tempi e può portare lontano dai contenuti del lavoro formativo. 2. Approccio comportamentista Poco utilizzato sebbene presenti vantaggi legati alla sua semplicità (che è anche un suo limite) che lo rende compatibile con disegni di valutazione quasi sperimentale, il sostegno che può dare il coachee nel riconoscere risposte apprese dal contesto, il supporto che offre nel processo di gestione dei collaboratori. 3. Approccio cognitivo Intervenire a sostegno dell’apprendimento di nuovi modi più efficaci di gestire lo stress, affrontare problemi, prendere decisioni. Ha un’impostazione pragmatica, mira a comprendere e modificare i processi cognitivi disfunzionali agendo a livello di schemi, valutazione e categorizzazione degli stimoli. 4. Approccio umanista Con riferimento a Carl Rogers, il coach si pone in una posizione di ascolto attivo dell’altro avendo come scopo la crescita e la piena espressione di sé. 5. Approccio sistemico Colloca le interazioni all’interno di un sistema articolato e guarda all’individuo all’interno del/dei sistema/i di appartenenza: questo consente di avere a disposizione griglie di lettura per l’osservazione di un gruppo di lavoro e suggerisce l’utilità di affiancare percorsi di coaching individuali con coaching di gruppo così da accompagnare il cambiamento a diversi livelli. 6. Approccio psicologico-sociale Approccio integrato che nasce dalla constatazione che nessuna teoria presa singolarmente può rendere conto delle dinamiche del coaching: si valorizza il ruolo del contesto sociale cruciale per il sostegno alla persona. Diverse sono le matrici di riferimento: - La scuola storico-culturale (aspetti storici, teorici, e culturali + zona di sviluppo prossimale) - Teoria di campo di Lewin - Agentività e autoefficacia di Bandura - Interazionismo simbolico Ci sono inoltre influenze sul coaching da parte della psicologia positiva, in particolare sull’orientamento alla promozione del benessere che pone al centro dell’attenzione i processi e le dinamiche che favoriscono la piena espressione del potenziale individuale. Infine, abbiamo altri due contributi che ricorrono in modo trasversale: - Ciclo di apprendimento di Kolb -> utile per comprendere il processo di apprendimento che si può sviluppare nel coaching - La riflessione di Schon -> imparare riflettendo su ciò che si fa e imparare a riflettere su ciò che si fa, elementi cruciali nel coaching COACH, COACHEE E CONTESTO Il coach Il coach può essere sia un esperto esterno dall’organizzazione (consulente) sia un membro dello stesso con una formazione specifica. La descrizione del profilo del coach deve fondarsi sulla dimensione etica e il percorso deve essere caratterizzato da autenticità, correttezza, e lealtà e il coach deve avere in mente alcuni principi deontologici tra cui: - Rispetto dei diritti, della libertà, e dei valori dell’altro - Riservatezza dei dati raccolti - Formazione continua e aggiornamento costante dei saperi - Informare il cliente se la sua domanda di intervento supera i confini di competenza del coach Altrettanto indispensabile è che padroneggi le teorie e le tecniche proprie del coaching e che conosca il mondo del lavoro e delle organizzazioni e si disponga ad approfondire la conoscenza dello specifico contesto lavorativo in cui si troverà ad operare: tutto questo deve essere associato ad una decisa maturità professionale. Le competenze formative si declinano poi in riferimento a tre vertici:  Ascolto e accoglienza  Riformulazione e restituzione motivazione facilitazione Il contesto L’intervento di coaching non è una relazione esclusiva tra coach e coachee, ma si colloca in un contesto caratterizzato da ruoli, responsabilità, regole, abitudini e attese. La cultura aziendale, il sistema normativo di riferimento (esplicito o tacito che sia), le relazioni interpersonali, ecc possono contribuire o ostacolare le pratiche di coaching. Come appare ovvio, il coaching ‘funziona’ meglio nei contesti organizzativi ‘coaching friendly’, precondizione necessaria per il buon esito del percorso. IL PERCORSO DI COACHING 1. Richiesta di un percorso di coaching 2. Avvio -> in questa fase il coach illustra il processo, definisce le modalità di lavoro e concorda le regole e le condizioni di riservatezza. Si arriva alla formulazione del contratto di coaching, comune a diverse pratiche consulenziali, ovvero la formalizzazione dell’accordo tra coach e coachee. Può essere anche previsto un documento scritto che riporti: - Finalità - Obiettivi - Corresponsabilità di coach e coachee per il buon esito della relazione - Durata - Modalità - Obblighi etici 3. Analisi -> qui la domanda viene approfondita attraverso l’esplorazione della vita lavorativa, la definizione delle difficoltà e dei problemi, il riconoscimento dei punti di forza e delle aree potenziali. Tale fase può essere supportata da strumenti come check-list, diari, questionari, ecc. che possono contribuire alla consapevolezza di sé del coachee. L’analisi dovrà riguardare casi, episodi, eventi che contengono problemi attinenti agli obbiettivi di apprendimento dati: in questa fase la tensione a ricostruire il presente si accompagna all’importanza di definire un piano di sviluppo, ovvero un’articolazione dettagliata degli obiettivi individuati nel contratto di coaching che fissi la meta e i passaggi per raggiungerla. 4. Allenamento -> il coachee è sollecitato in questa fase a sperimentare nuovi modi di agire nelle situazioni lavorative, e nuovi modi di riflettere su queste, leggere e interpretare gli eventi. La stimolazione a sperimentare e il sostegno a riflettere sono le funzioni centrali espresse dal coach in questa fase; il quale può utilizzare diversi strumenti (diari, check-list, cinema, ecc) per favorire nel coachee una rilettura delle esperienze, un cambio di prospettiva e una analisi più approfondita. 5. Arrivo 6. Follow up 7. Durata e setting -> la durata del percorso deve essere coerente con gli obiettivi dello specifico intervento; si tratta comunque di una relazione a breve-medio termine che può durare 6/12 mesi (interventi estremamente focalizzati possono richiedere anche meno tempo, come 3-4 mesi). Ciascun incontro è di circa 2 ore e in genere ha cadenza settimanale o bisettimanale. Per quanto riguarda il luogo, esso può essere differente a seconda degli obiettivi e della teoria di riferimento del coach; tendenzialmente però deve essere accogliente, protetto da interferenze e interruzioni. Per quanto riguarda il coaching aziendale, questo può svolgersi: - In organizzazione (es. ufficio del coachee, sala, ecc) -> probabile quando il coaching è promosso dal vertice aziendale. Questo setting permette al coach di osservare il cliente nel suo ambiente di lavoro. inquietudine, a quella apprensione che è la spinta e l’impulso di ogni apprendimento capace di condurre a noi. TERZA FORMAZIONE, SCUOLA DELLA VITA E COLTIVAZIONE DI SE’ La TF che è la scuola della vita è il metodo della coltivazione di sé. Il suo apprendere è lungo la via della coltivazione del paesaggio interiore, la cui geografia fa riferimento ai quattro continenti del pensiero, del significato, dell’immagine e del racconto. La coltivazione è nelle tre forme dell’attendere, del rispettare e dell’abitare. Questo apprendere lungo la via della coltivazione di sé non sarà solo attraverso l’esercizio e la pratica del pensare; dovendo vagabondare per i quattro continenti del paesaggio del mondo interiore ci tocca praticare i sentieri dell’interpretare, dell’immaginare e del narrare, quindi il metodo della coltivazione di sé sarà l’esercizio e la pratica di esplorazione in tutti i modi della riflessione, interpretazione, immaginazione e narrazione. La riflessione aprirà a quella via che dall’interpretazione, all’immaginazione, alla narrazione non sarà cammino esclusivamente esperienziale, ma volendo tentare un itinerario trasformazionale. ‘’nessun cambiamento, nessuna trasformazione senza invenzione’. RIFLESSIONE La pratica della riflessione: - Non è ne analisi come percorso ben condotto di scomposizione - Non è ne un pensiero indirizzato, cioè governato da regole L’esercizio e la pratica della riflessione non sono altro che un applicarsi a formare pensieri, a dare forma o a variare forma di pensieri. Si tratta di riflettere come applicarsi a: - Aggirarsi tra pensieri, vagare ed errare - Creare pensieri nei più diversi accenti - Saggiare pensieri lungo le tre direttrici principali di esercizio riflessivo: associare, amplificare e animare - Ponderare e gravitare pensieri, dare forma a pensieri nell’essere pensosi e pensierosi. l’esercizio e la pratica della riflessione sono il gioco di chi osserva, ascolta e interroga pensieri, sondando le loro ‘ripercussioni’, assecondando le loro inclinazioni. L’esercizio e la pratica della riflessione potranno essere visti come raccolta di pensieri e come il soggiornare nel territorio del riflettere assumendo il passo di chi osserva il senso di marcia dei pensieri. INTERPRETAZIONE La pratica dell’interpretazione non è analisi di contenuto. Per la coltivazione di sé interpretare è esercizio e pratica di reperimento di significati. Interpretare è esercizio e pratica di raccolta di significati: accumulazione, repertorio e collezione. In definitiva il significato come storia della parola, dal suo fondamento alla sua generazione. L’esercizio e la pratica dell’interpretazione valgono come uno sfogliare strati, dalla superficie alla profondità. Per questo l’esercizio e la pratica dell’interpretazione hanno a che fare con un lavoro di forma che è opera di formazione e nello stesso tempo di trasformazione. Per la coltivazione di sé, l’esercizio e la pratica dell’interpretazione corrispondono al puro e semplice atto dell’interpretare. Interpretare sarà applicarsi a: - Circoscrivere significati localizzando gli strati - Scovare significati, scovare che sarà scavare - Sospettare significati, cioè guardare con diffidenza a ciò che è stato ritrovato, rinvenuto - Inscenare significati L’esercizio e la pratica dell’interpretazione come raccolta di significati saranno gioco di parola. IMMAGINAZIONE La pratica dell’immaginazione non è un lavorare di fantasia, e per quanto riguarda la coltivazione di sé, l’esercizio e la pratica dell’interpretazione non vanno intesi come applicazione, debbono sottostare di necessità a un ‘test d’ingresso’. Le immagini, in esse riconosceremo: - Tutto ciò che è - Tutto ciò che è illusorio e ingannevole al tempo stesso L’esercizio e la pratica della riflessione richiedono di disporsi a sostare nel dubbio di ciò che si attende si manifesti per proprio conto. Immaginare sarà: - Avvistare immagini - Afferrare immagini - Ammirare immagini - Abbandonare immagini L’esercizio e la pratica dell’immaginazione sarà così un attendere l’immagine e un attendere all’immagine. In un certo senso l’esperienza dell’immaginazione sarà più per impressioni che non per creazioni ‘immaginali’. E dunque l’esercizio e la pratica dell’immaginazione sarà un prendersi cura delle immagini, apprendere la riservatezza delle immagini. NARRAZIONE La narrazione è il campo d’esercizio della coltivazione di sé che porta a compimento l’itinerario dell’apprendere. La ragione è semplice e può essere riassunta così:  La narrazione è la forma originaria della nostra esperienza del mondo e di noi  La narrazione è l’archetipo del nostro divenire  Il nostro pensiero è narrativo  Nella narrazione è custodito il sentimento della nostra vita  Anche la nostra memoria è narrativa  Narrare è lo strumento più potente di fondamento  Narrare è il promettente esercizio di ricerca  La vita prende forma nella forma di una narrazione  La narrazione è il sentiero lungo il quale si costruisce L’idea è che la forma originaria del nostro divenire non sia altro che quella del racconto e che nel nostro paesaggio interiore tutto sia costruito a mò di racconti. La scuola della vita sarà alto che quel sentiero di formazione narrativa in cui ci si appresterà ad apprendere ciò che su quel sentiero è narrato. Si potrà dire che l’esercizio e la pratica della narrazione lungo il cammino della coltivazione di sé è la messa in forma di racconto. Narrare dunque come applicarsi a: - Combinare racconti ricomponendo pensieri, significati e immagini; - Tramare racconti, macchinare e architettare narrazioni secondo una traccia; - Confondere racconti, ‘disturbare’ le storie, disorientarle; - Concludere racconti, esercitarsi a ‘finire’. L’esercizio e la pratica della narrazione nel cammino della coltivazione di sé sarà un cimentarsi con la ‘forma narrante’ prima che con la forma narrata. Cimentarsi cioè nel tentare la coincidenza e pure il caso: concertare il gioco del caso attraverso l’esercizio e la pratica della narrazione, rimescolare i casi, ‘confondere’ le acque sino al punto in cui esse diventino ciò che più ci riguarda, ciò che fa al caso nostro. elaborano significati comuni, apprendono, costituiscono la loro identità soggettiva e collettiva. Importanza della narrazione e della creatività, quindi di slegarsi da ciò che è già dato in letteratura per creare sapere nuovo al fine di giungere alla risoluzione di problemi che di cui non sono già state date soluzioni. LA COMUNITA’ DI PRATICA TRA PROGETTAZIONE E COLTIVAZIONE Dal punto di vista metodologico, i possibili approcci ispirati alla logica della costruzione della CdP si muovono nell’ottica dell’intervento. Avremo concezioni diverse di ‘metodo’ e quindi proviamo a descrivere 3 di tali prospettive di metodo. 1. Prima prospettiva metodologica: Progettare una CdP con modalità molto simili alle tecniche ingegneristiche della progettazione organizzativa. - Interesse sull’elaborazione di configurazioni ideali, contesti, modelli, strumenti - Idea-guida è progettare e sperimentare strumenti capaci di potenziare le relazioni e gli scambi allo scopo di estendere la circolazione della conoscenza e facilitare l’apprendimento - I rischi riguardano 3 punti  nessun dispositivo può risultare efficace se considerato come modello standard, nessun schema d’intervento di supporto può fare a meno della cooperazione interpretativa dei soggetti, è impossibile ipotizzare la riproduzione meccanica di misure standard 2. Seconda prospettiva metodologica: Wengere concepisce l’intervento come azione orientata soprattutto a evitare l’indebolimento nel tempo della vitalità delle relazioni e delle dinamiche proprie della CdP, sostegno degli attori nell’analisi dei problemi emergenti. Questa concezione di intervento si può stilizzare nei termini di coltivazione. Si tratta di un approccio che evita ogni tipo di soluzione standardizzata di intervento per concentrarsi su pratiche di sostegno che mirano a stimolare tra i membri del gruppo capacità di individuazione e di analisi dei problemi che nella vita delle comunità sono costantemente generati dalle pratiche e dalle dinamiche relazionali interne e influenze esterne. Coltivare una comunità significa assumersi il compito di seguirla e accompagnarla, facilitandone i processi nella consapevolezza del fatto che essa segue il ciclo naturale di nascita, crescita e morte. Questo ciclo di una comunità passa attraverso 5 passaggi: 1, scoperta della comunità potenziale, 2, inizio della crescita, 3, maturità, 4, gestione, 5, trasformazione della comunità. UNA DIVERSA PROSPETTIVA DI METODO: PROMUOVERE, SOSTENERE E AVER CURA DELLE COMUNITA’ DI PRATICA 3. Terza prospettiva metodologica Si avvicina ma si distanzia dall’idea di approccio di Wenger, perché si distanzia? Perché la sua prospettiva di coltivazione ha punti critici, il limite principale sta proprio nell’etichetta da lui attribuita all’intervento sulle CdP. La coltivazione nega di fatto l’autonomia di queste, anche il riconoscimento e il rispetto della sua spontaneità rischiano di essere sacrificati perché la spontaneità richiede di essere ricondotta all’imperativo e alla logica della crescita  secondo questo, coltivare significa indirizzare e determinare la direzione della crescita e rispetto a essa il soggetto perde autonomia e spontaneità. Anche il concetto di prendersi cura significa riconoscerne autonomia e rispettare i processi spontanei di autocostruzione. Essa è un modo di accompagnare, facilitare e sostenere le dinamiche che caratterizzano la vita del gruppo identificato nelle CdP. Prendersi cura significa promuovere occasioni riflessive grazie alle quali i soggetti stessi riconoscano i nodi delle dinamiche sociali del loro apprendimento proponendo e sperimentando le soluzioni individuate nel confronto tra loro e con le pratiche. Significa lavorare sui fattori che consentono di rinnovare l’energia che alimenta le comunità, comprensione e consapevolezza garantiscono la vitalità grazie alla quale è possibile mantenere alto e vivo il grado di implicazione e coinvolgimento della comunità. L’intervento risulta essere una presenza attiva ma non intrusiva; è un intervento di facilitazione delle dinamiche che la comunità genera da sola e che costituiscono il prerequisito della sua vitalità. Si tratta di un intervento caratterizzato da azioni orientate a promuovere e favorire forme di auto-organizzazione assistita. Mentre da un lato, l’auto-organizzazione e l’autonomia devono essere sostenute e incoraggiate, dall’altro l’assistenza (la cura) aiuta le CdP a risolvere problemi, incoraggia a riflettere sulle difficoltà e conflitti interni. PROSPETTIVA DI CURA, abbiamo la teoria costruzionista dell’apprendimento e il metodo della ricerca-azione. TEORIA COSTRUZIONISTA DELL’APPRENDIMENTO: prospettiva intersoggettiva dei fenomeni di apprendimento. Ha un carattere processuale e sociale delle realtà organizzative, i suoi assunti sono: - Concezione di organizzazione come sistema sociale e negoziato - Idea di conoscenza come distribuita, situata e connessa a pratiche di azione e relazione sociale - Prospettiva di condivisione della conoscenza - Rilevanza assegnata all’esperienza lavorativa dei soggetti - Rappresentazione per cui si diventa membri competenti di una determinata organizzazione METODO DELLA RICERCA-AZIONE Accompagnamento; Sostegno; Supporto VITALITA’ - Coinvolgimento di esperti - Si tratta di un lavoro in cui si produce conoscenza e cambiamento  la conoscenza è basata sulla configurazione e il confronto con i problemi, la scoperta non è il frutto di osservazione; la conoscenza è legittimata in primo luogo dal consenso degli attori che l’hanno prodotta e in secondo luogo dal cambiamento che effettivamente è riuscita ad apportare. SCHEMA DI INTERVENTO – CURA Costellato di variabili che di volta in volta si modulano e si gestiscono:  Definizione della presenza di un facilitatore esterno al gruppo il cui ruolo è quello di assistere/sostenere/accompagnare i processi attivati  Individuazione di un gruppo attori/professionisti impegnati in un campo omogeneo di pratiche siano motivati a farsi coinvolgere  Mobilitazione di dispositivi e strumenti funzionali alla ricognizione e produzione congiunta di conoscenze e saperi  Entrata in relazione con l’esperienza dei soggetti nell’organizzazione  Elaborazione di un impegno di continuità del gruppo membri dello staff che hanno il compito di promuovere esperienze di apprendimento all’interno di diversi gruppi. Tuttavia la formulazione corrente del compito dei consulenti è concisa e ambigua; la responsabilità principale del consulente è quella di aderire e di mantenere il gruppo aderente al compito primario della sessione di lavoro in cui opera, segnalando ai membri ogni occasione in cui tale compito viene abbandonato o sovvertito. La conference non hanno finalità terapeutiche, perché il loro scopo è formativo. Questi esiti possono essere anche desiderabili e ricercati, nella misura in cui operino al servizio dell’apprendimento e dello sviluppo personale e professionale tanto dei partecipanti quanto allo staff. LA CULTURA I cambiamenti più importanti riguardano la sua cultura organizzativa, cioè il modo in cui lo staff e la sua direzione lavorano, prima, durante e dopo la conference. Il complesso e multiforme campo relazionale messo in tensione dalla conference e quindi reso esplorabile è ciò che nella tradizione del Tavistock viene chiamato relatedness. La cultura delle GRC implica inoltre lo studio dei confini, quelli legati al compito stabilito per ogni specifico evento, quelli legati al tempo, quelli legati al territorio; si colloca in questo contesto l’enfasi che viene posta sulle dinamiche dell’autorità e del potere, della leadership e della followership, della delega e della rappresentanza, intese come funzioni cruciali della vita dei gruppi e delle organizzazioni. La chiarezza della mappa dei confini, dei ruoli e dei compiti e l’affidabilità della loro gestione è ciò che rende la conference un contenitore istituzionale sufficientemente sicuro da permettere a staff e partecipanti di tollerare l’esplorazione di processi ad alta temperatura emotiva. Un altro elemento di questa cultura sistemica è la consapevolezza dell’interdipendenza tra persone, gruppi e parti del sistema-conference. Centrali per questa cultura della conference sono la funzione della governance, che si sostanzia nella gestione dei confini, dei compiti e dei ruoli, e della funzione della consulenza. L’apprendimento del ruolo consulenziale è in parte inevitabilmente affidato all’intuito, all’osservazione, al buon senso, all’imitazione di qualche modello, ma molto lasciato alla fantasia e alla creatività della persona, il che è fonte di grande ansia. Ogni gruppo è unico e merita una risposta originale da parte del consulente, il che lo costringe a muoversi su un terreno di imprevedibilità e di incertezza con la sola guida dell’esperienza immediata. Lawrence elenca 5 punti focali che individuano la funzione del consulente: - L’esplorazione della relazionalità - Una funzione di tipo maieutico - L’offerta al gruppo di una guida ‘orientata al lavoro’ - L’esigenza di lavorare ‘con la propria soggettività’ - La costruzione di ‘ipotesi di lavoro e interpretazioni’ Quanto alla questione delle interpretazioni, esistono anche qui alcuni punti condivisi: - L’oggetto di attenzione da parte dei consulenti sono le group relations e ad esse si rivolgeranno gli interventi dei consulenti - Di questo campo relazionale fanno parte i fenomeni di transfert-controtransfert - In ogni caso ipotesi e commenti non verranno mai rivolti a un particolare membro del gruppo infine, la cultura gruppale della conference si differenzia per molti aspetti da altri approcci fondati sulle dinamiche di gruppo, come il T-Group e il Gruppo terapeutico, che pure le hanno fornito importanti contributi fin dalle fasi fondative. 12. CONSULENZA AL RUOLO Pratica formativa/consulenziale individuale, con sviluppi rilevanti anche a livello gruppale, basata sulla relazione di aiuto e centrata sull’apprendimento del rapporto persona-ruolo all’interno di un’organizzazione -> indicata come sistema. LA COLLOCAZIONE DELLA CONSULENZA AL RUOLO Coaching Counseling Consulenza al ruolo Sulla base delle considerazioni fatte si pone il concetto secondo cui la consulenza al ruolo si posizioni la consulenza al ruolo in una condizione intermedia tra coaching e couseling. Queste pratiche sono accomunate dal fatto di avere come principale destinatario non la persona in quanto tale e neppure l’organizzazione in quanto sistema, ma il ‘ruolo’ e più precisamente la ‘persone nel ruolo’ e l’esperienza che, nel proprio ‘mondo interiore’, la persona ha del complesso degli oggetti che popolano la sua ‘organizzazione nella mente’. Le finalità che l’organisational role analysis presuppone di questo tipo di metodo è  fornire a leader e manager un contesto professionale in cui: - Esaminare in modo approfondito la propria esperienza lavorativa; - Analizzarla direttamente nell’ambiente organizzativo - Cogliere l’opportunità per una ricerca, una costruzione e un’effettiva messa in azione del proprio ruolo organizzativo - Così da trasformare il proprio contributo al perseguimento degli scopi dell’istituzione di appartenenza. IL RUOLO, OGGI La consulenza al ruolo nasce come risposta alle domande suscitate dall’esperienza organizzativa. Per quanto riguarda il concetto di ruolo ci sono stati contributi di cultura psicosociale che affermavano:  La necessità di considerare il ruolo come risposta del soggetto organizzativo al sistema di aspettative emesse dai suoi ‘emittenti di ruolo’  La distinzione tra una componente ‘prescrittiva’ e una ‘discrezionale’ che dà la possibilità al soggetto stesso di esprimere il proprio giudizio e la propria creatività. apprendimenti acquisiti. Se la consulenza è richiesta privatamente dal cliente, la definizione del numero di incontri dipende dalla motivazione. La durata degli incontri può essere estesa nei casi in cui la sede operativa del cliente sia molto distante da quella del consulente e la presenza vis-a-vis sia comunque preferita a quella in remoto. LA CONSULENZA AL RUOLO: PROBLEMI DI TECNICA Indicazioni di tipo metodologico-tecnico Narrazione Rappresentazione e metaforizzazione  Il raccontare e il raccontarsi, nella relazione duale sono notevolmente facilitati dai tentativi di rappresentazione della propria esperienza Ascolto, contenimento e reverie  l’ascolto del committente è la prima forma di contenimento del cliente e della sua comunicazione inconscia. Un ascolto attivo, empatico, attento all’altro, alla sua domanda, ma anche alla domanda non fatta. Un ascolto basato sulla piena accettazione dell’altro è condizione della possibilità che il nostro aiuto venga riconosciuto e accettato. Mancanza, capacità negativa, progettualità  esiste sempre la possibilità, per una persona che ricopre un determinato ruolo, di volgere condizioni avverse in condizioni favorevoli. L’essere umano, a causa della sua condizione neotenica, di dipendenza quasi assoluta dall’ambiente è caratterizzato dalla mancanza. L’intero processo di crescita ed emancipazione in direzione della condizione adulta si confronta con le difficoltà e le ansie connesse all’attraversamento ricorsivo della condizione di autonomia e di dipendenza. Il soggetto adulto continua a rivivere le dinamiche della mancanza  la CaR si deve far carico di ciò  lo fa se il consulente riesce ad accogliere lo stato di incertezza che il cliente gli porta in seduta, se riesce ad attivare in sé e nel cliente la capacità negativa ( capacità di accogliere preoccupazioni e usarle per comprendere ciò che accade, capacità di stare nel qui e ora senza farsi prendere dall’ansia del fare o non fare, ma mantenendo in equilibrio stabile le tre dimensioni: i propri bisogni, i desideri e la capacità di fare per raggiungere l’obiettivo) Integrazione e percezione del ‘tutto’  l’affermarsi e il consolidarsi nel cliente della capacità progettuale va di pari passo con il rafforzarsi della funzione di integrazione del suo monto interno e della sua capacità di visione d’insieme e di comprensione della sua condizione come un tutto di cui sentirsi parte responsabile. La logica di percorso propria della CaR dà la possibilità di riprendere a distanza di tempo i problemi iniziali, e di riconsiderare da differenti punti di vista un evento e una preoccupazione portata dal cliente in una precedente sessione. Compito del consulente è di accompagnare il cliente nel processo di scoperta dell’importanza del fil rouge che si riesce gradualmente a svolgere per connettere fatti e sentimenti apparentemente distanti tra loro. Eventi e insight  la narrazione è anche una tecnica di elaborazione delle situazioni problematiche che il cliente incontra nel processo di assunzione del ruolo e del conseguente emergere di pensieri nuovi che possono mettere in discussione significati già acquisiti e consentire sviluppi impensati dalla trama finora intrecciata. Messa a punto dagli psicosocioanalisti in setting gruppali. La fonte di tali elementi è sempre l’ascolto.
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