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Francesco Bausi MACHIAVELLI E LA COMMEDIA FIORENTINA DEL PRIMO CINQUECENTO , Appunti di Letteratura Italiana

Riassunto del saggio di Francesco Bausi MACHIAVELLI E LA COMMEDIA FIORENTINA DEL PRIMO CINQUECENTO

Tipologia: Appunti

2017/2018

In vendita dal 23/01/2018

giovanni_mazzei
giovanni_mazzei 🇮🇹

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Scarica Francesco Bausi MACHIAVELLI E LA COMMEDIA FIORENTINA DEL PRIMO CINQUECENTO e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Francesco Bausi MACHIAVELLI E LA COMMEDIA FIORENTINA DEL PRIMO CINQUECENTO Com’è noto, due – Ferrara e Firenze – sono i centri nei quali vede la luce, al principio del ’500, quel genere “nuovo” che è la commedia “regolare” italiana; probabile che il primato cronologico debba andare a Firenze, se l’Amicitia di Jacopo Nardi fu scritta e rappresentata, come sembra, già nel 1502, sei anni prima della ariostesca Cassaria in prosa. Eppure, a differenza del teatro ferrarese, la commedia fiorentina primo-cinquecentesca anteriore e contemporanea a Machiavelli1 è stata a lungo dimenticata dagli studiosi, che solo in anni recenti hanno ripreso e riaperto un discorso critico. Pressoché tutti i commediografi fiorentini del primo Cinquecento provengono dall’ambiente degli Orti Oricellari: intento a portare avanti un programma di integrale e rigorosa imitazione classi - cheggiante, con l’intento di riprodurre fedelmente, in italiano, i principali generi della poesia greco- latina. La sistematica “riforma” classicistica promossa dai frequentatori degli Orti non trascurò, ov- viamente, il teatro, toccando sia la tragedia che la commedia. Sia il volgarizzamento dell’Andria che la Mandragola ci riportano agli anni delle frequentazioni oricellarie di Machiavelli; è probabile, insomma, che la sollecitazione a tradurre Terenzio [scrisse una traduzione dell’Andria] sia venuta all’ex segretario proprio dall’ambiente oricellario, dove era vivo l’interesse per il teatro antico e per la sua moderna trasposizione in volgare. La Mandragola è in realtà un testo – dominato piuttosto, come si sa, dalla componente terenziana e da quella boccacciana [rispetto a quella aristofanesca di cui invece sarebbe pregna una commedia andata perduta, da titolo le Maschere]. La datazione delle tre opere consentirebbe di stringere in un medesimo e circoscritto giro d’anni la traduzione dell’Andria, la Mandragola e appunto le Maschere, facendo di tutte e tre il variegato e articolato contributo machiavelliano alla rinascita del teatro classico in forme moderne promossa dagli umani- sti degli Orti all’indomani della restaurazione medicea (mentre la più tarda ed isolata Clizia abban- donerà lo sperimentalismo oricellario per ripiegare su una più tradizionale e fedele imitazione plau- tina). Avremmo dunque, fra 1517 e 1520 circa, il Machiavelli terenziano dell’Andria, quello aristo- fanesco delle Maschere e quello “contaminato” e “sperimentale” (fra Terenzio e Boccaccio, con prevalenza di quest’ultimo) della Mandragola. Tornando alla Mandragola, la commedia fiorentina primo-cinquecentesca sembra lasciarvi qualche traccia evidente. È noto che lo scherzoso espediente con cui, nella scena decima dell’atto quarto, Machiavelli, per bocca di fra Timoteo, informa gli spettatori che l’infrazione dell’unità di tempo cui stanno per assistere (giacché lo scioglimento della vicenda viene rinviato al giorno seguente) è solo apparente (in quanto, durante quella notte, nessuno dei personaggi – per motivi diversi – dormirà), era già stato messo in atto nei Due felici rivali di Jacopo Nardi (del 1513), dove il servo Strobilo giustifica in modo del tutto analogo il rinvio all’indomani della conclusione della commedia e la re- lativa “infrazione”. Ma simili “giustificazioni” compaiono anche in altri testi coevi, a documentare la particolare e precoce sensibilità dei commediografi fiorentini dell’epoca per il necessario rispetto dell’unità di tempo. Machiavelli e altri commediografi fiorentini Il protagonista della strozziana Commedia in versi risponde al nome di Camillo, un Camillo (Cal- fucci), amico di Callimaco, compare anche nella Mandragola, in cui, per di più, il parassito Ligurio sembra derivare il suo nome da quello di Saturio, parassito del plautino Persa e della commedia strozziana, nonché dei nardiani Due felici rivali ma, come rilevò Sergio Bertelli, un parassito di 1 Mi attengo qui alla datazione tradizionalmente proposta per la Mandragola (1518-20), pur ritenendo degna della massima attenzione e considerazione l’ipotesi alternativa (che riconduce la commedia al 1504). nome Ligurio compare già in una commedia senza titolo – nota come Il geloso gabbato di France- sco Leoni. Un’analogia significativa si riscontra poi tra la Mandragola e la Iustitia del Bonini: se nella comme- dia del Machiavelli, infatti, il falso medico Callimaco, per far colpo su messer Nicia, non manca – secondo il costume dei medici – di disquisire in latino sulle cause della sterilità e sulle caratteristi- che dell’urina femminile (e in questi passi, come è stato dimostrato, Machiavelli cita piuttosto fedel- mente diffusi trattati medici), già nella Iustitia venivano introdotti tre medici (convocati per guarire il protagonista dalla cecità) che facevano il loro ingresso sulla scena parlando in latino. E come nella Mandragola lo scambio di saluti in latino, fra Callimaco e Nicia («Bona dies, domine magister»; «Et vobis bona, domine doctor») è interrotto dall’impaziente Ligurio («Se voi volete che io stia qui con voi, voi parlerete in modo che io v’intenda»), così nella Iustitia il dialogo latino fra i tre «phisici» è troncato dal brusco intervento del «cerusico», che li richiama dalle astrattezze teori- che del latinorum alla concretezza “volgare” della «pratica». Già dicemmo d’altronde che fra i personaggi della commedia del Leoni si trova un Ligurio parassi- to; aggiungo che, nel quarto atto di questa commedia, il giovane Argirippo, parlando di Pindaro (il grammatico cui egli sta per sottrarre la giovane moglie con la complicità del parassito), afferma: «Io veggio che Ligurio ben l’uccella», con parole molto simili a quelle che Callimaco – in un’identica situazione – pronuncia nella scena I dell’atto I: «Messer Nicia tien con lui una stretta dimestichezza,e Ligurio l’uccella». La Commedia del geloso è ambientata a Pisa; e chissà che Ma- chiavelli non pensasse a questo testo scrivendo, alla fine della prima stanza del prologo della Man- dragola. «Quest’è Firenze vostra; un’altra volta sarà Roma o Pisa, / cosa da smascellarsi per le risa». A Roma, come si sa, è ambientata la Calandria. Mandragola, interpretazione allegorico-politica Spostiamo l discorso su un altro piano, quello, assai dibattuto, della possibile interpretazione del ca- polavoro comico machiavelliano in chiave di allegoria politica. Alessandro Parronchi suggerì di ve- dere in Callimaco il giovane Lorenzo Duca d’Urbino, in Lucrezia la città di Firenze e in messer Ni - cia l’ex gonfaloniere a vita Pier Soderini. La legittimità di una simile lettura è oggi negata dalla maggior parte dei critici, i quali, ritengono che ancorare la Mandragola a precise intenzioni encomiastico-politiche (di indirizzo mediceo, per di più) nuoccia alla grandezza assoluta e quasi metatemporale della commedia; commedia, se mai, “della politica” ma non, banalmente, commedia “politica”. Eppure la dimensione allegorico-politica era pressoché d’obbligo nelle commedie fiorentine del pri- mo Cinquecento (dai Due felici rivali di Jacopo Nardi alla Iustitia di Eufrosino Bonini), quel che non convince, piuttosto, è l’identificazione di Nicia col Soderini, che nel 1518 era ormai da anni fuori dai giochi della politica fiorentina. Sembra dunque preferibile vedere nello stolto messere la proiezione del vecchio ceto oligarchico, della quale viene satireggiata da Machiavelli – soprattutto attraverso la sapiente caratterizzazione linguistica di Nicia – la miopia, l'arretratezza culturale, l’angusta chiusura municipale, l’arroganza e l’inettitudine; cosicché l’auspicio della commedia sa - rebbe quello di veder sottratto il governo di Firenze a questa incapace classe politica, a tutto vantag - gio del “combattente” e giovane Callimaco. Machiavelli lancia dunque un chiaro messaggio ai Medici e all’intera città: solo l’apertura in dire- zione “nazionale” e “antimunicipale” può salvare Firenze da un destino di irreversibile decli- no, di immiserimento insieme politico e culturale. Affinità politiche tra Commedia in versi, Milesia e Mandragola Proprio sul terreno dell’allegoria politica sembrano spiegabili le affinità – troppo strette per essere casuali – riscontrabili fra la strozziana Commedia in versi, la Milesia del Giannotti e la Mandrago- la, tutte e tre risalenti alla seconda metà del secondo decennio del XVI secolo. In queste commedie, infatti, vi sono personaggi e situazioni singolarmente analoghe: un vecchio impotente (nell’ordine,
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