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Differenza tra linguaggio umano e comunicazione animale: indipendenza creativa, Sintesi del corso di Psicologia Del Linguaggio E Della Comunicazione

Sulla differenza tra il linguaggio umano e la comunicazione animale, con particolare riferimento alle argomentazioni di cartesio e chomsky. Il testo mette in evidenza come l'uso creativo del linguaggio sia un attributo decisivo per distinguere le capacità verbali umane dalla comunicazione animale. Chomsky introduce la teoria della grammatica universale per spiegare le capacità innate alla base del processo di produzione, comprensione e apprendimento del linguaggio umano.

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

In vendita dal 21/02/2024

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Scarica Differenza tra linguaggio umano e comunicazione animale: indipendenza creativa e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Del Linguaggio E Della Comunicazione solo su Docsity! Francesco Ferretti; Ines Adornetti, Dalla comunicazione al linguaggio. Scimmie, ominidi e umani in una prospettiva darwiniana Capitolo 1 I pappagalli (e tutti gli altri animali) non producano espressioni linguistiche in senso proprio; cioè non mettono in connessione il linguaggio con il pensiero. A ridurla al suo aspetto essenziale, la questione alla base del linguaggio umano è la connessione tra la fisica dei suoni e la psicologia dei significati: l'opinione comune è che i pappagalli riproducano soltanto la meccanica del suono ma non il significato che tali suoni rappresentano perché per avere significati nella testa occorre essere in grado di pensare. Cordemoy paragona il caso del pappagallo al fenomeno dell’eco: restituisce le stesse parole che gli vengono dette nello stesso ordine. Cartesiani di ieri In una lettera scritta a Henry More nel febbraio del 1649, Cartesio definisce l'idea che gli esseri umani siano distinti da tutti gli altri animali a causa di una differenza qualitativa dovuta al possesso dell'anima razionale. Cartesio aveva in mente il problema delle “altre menti”, la questione cioè di come poter riconoscere se qualcuno che è in tutto e per tutto uguale a noi rispetto al suo corpo, possa davvero essere un umano come noi. Diversamente dagli animali (governati dall’istinto) che agiscono in maniera meccanica e istintiva, gli umani riescono a far fronte a problemi nuovi perché dispongono della ragione (flessibilità e agire libero e creativo). Dunque la differenza tra umani e animali dipende dalla relazione tra pensiero e linguaggio. Cartesiani di oggi In uno dei saggi più influenti con cui Chomsky presenta negli anni Sessanta del Novecento il proprio modello del linguaggio, il linguista americano fa riferimento esplicito alle argomentazioni di Cartesio e Cordemoy in favore della distinzione tra il linguaggio e i sistemi di comunicazione animale. Alla base di tale distinzione è l'uso creativo del linguaggio: la possibilità degli umani di parlare in modo indipendente da stimoli esterni e interni. Questo grado di indipendenza da stimoli esterni e interni conferisce al linguaggio libertà e creatività, gli attributi decisivi per distinguere le capacità verbali umane dalla comunicazione animale. Negli animali, infatti, la comunicazione è controllata completamente dagli stimoli (interni o esterni). La comunicazione animale è così assimilabile a quella di una macchina. L’idea di Chomsky è che per capire cosa caratterizzi nello specifico il linguaggio umano bisogna guardare a ciò che lo distingue dalla comunicazione animale, non ciò che a essa lo accomuna. Chomsky tira in ballo Wallace per dimostrare che la tesi dell’avvento improvviso del linguaggio non è in contrasto con la teoria dell’evoluzione. Tuttavia il riferimento a Wallace appare del tutto inappropriato; perché il modello chomskiano non si accorda con il gradualismo darwiniano. Ciò che spinge Chomsky a rifiutare il gradualismo si ritrova nel modello teorico che porta avanti: la Grammatica Universale. La competenza linguistica umana è retta dai principi della Grammatica Universale (conoscenze innate alla base dei processi di produzione, comprensione e apprendimento del linguaggio umano). La Mettrie riconosce a Cartesio il merito di aver considerato gli animali come macchine, ma se gli umani sono animali e gli animali sono macchine, allora anche gli umani sono macchine. Da ciò La Mettrie dice che le scimmie, pur avendo un grado superiore di intelligenza rispetto ai pappagalli, non parlano perché non hanno gli organi adeguati al proferimento della parola. Questo però non significa che sono del tutto inabili al linguaggio. Dunque per lui dagli animali all’uomo non c’è un passaggio brusco. Questi studi vennero utilizzati dai neocartesiani per dimostrare che il linguaggio umano risponde a principi totalmente diversi da quelli della comunicazione animale. A imprimere una svolta è la via di ricerca aperta da Sue Savage-Rumbaugh Confrontando i risultati di Washoe con quelli di suo figlio Shane, non poteva fare a meno di rilevare alcune sostanziali differenze. Una soprattutto generava le sue perplessità: le capacità di comprensione dei bambini vanno molto al di là delle loro capacità espressive. Era scettica che questo potesse accadere anche alle scimmie. La difficoltà di valutare in modo scientifico le capacità di comprensione e l'insistenza riservata da Fouts alle abilità produttive di Washoe, portarono Savage-Rumbaugh a lasciare gli studi sulla comunicazione animale. LANA Project Un progetto iniziato allo scopo di studiare le capacità linguistiche degli scimpanzè alle prese con un codice artificiale di lessigrammi denominato Yerkish. I dubbi erano relativi al fatto che quando Savage-Rumbaugh chiedeva qualcosa alla scimmia, utilizzando le stesse parole che Lana usava per chiedere qualcosa (espressioni del tipo: “Please, machine give piece of orange” o “Please machine make music”), la scimmia non era capace di rispondere in modo appropriato. La tesi di Savage-Rumbaugh era che Lana fosse competente sul piano della produzione ma non sul piano della ricezione (non era in grado di comprendere ciò che le veniva detto). Savage-Rumbaugh dunque cambiò paradigma teorico: l’idea alla base della sua proposta era che fosse necessario spostare l’attenzione dalla “frase” alle “parole”. In una prospettiva di questo tipo, l'essenza del linguaggio, più che della sintassi (come i simboli si relazionano tra loro), veniva a dipendere dalle proprietà simboliche delle parole (come i simboli si riferiscono alle entità che designano). Il riferimento alla realtà esterna è un elemento cruciale della natura simbolica del linguaggio umano. Il caso più famoso a tale riguardo è costituito dai richiami d'allarme dei cercopitechi verdi. Questi animali producono richiami diversi a seconda dell’animare a cui si riferiscono e la cosa interessante è che ogni richiamo è associato a una specifica risposta comportamentale. Quello dei cercopitechi non è un caso isolato: anche altre specie di scimmie sono in grado di produrre vocalizzazioni acusticamente distinte in risposta ai diversi eventi esterni. Come le scimmie reso studiate da Gouzoules. Il comportamento delle scimmie, piuttosto che determinato dal contenuto informativo delle vocalizzazioni, dipenda dallo stimolo visivo della scena osservata. Per escludere ciò Gouzoules e colleghi hanno portato avanti degli esperimenti in cui si facevano sentire questi richiami in assenza di una scena visiva corrispondente. I risultati di questi esperimenti hanno confermato che le scimmie producono comportamenti di risposta anche quando non sono fisicamente presenti l'individuo che emette il grido e il suo aggressore. Conclusione: le grida delle scimmie possono essere interpretate come “rappresentazioni che si riferiscono agli oggetti e agli eventi esterni”. È l’associazione tra l’espressione proferita e l’entità designata che spiega la comunicazionale animale A rendere simboliche le espressioni umane sono due fattori: - Fattore interno alla mente. Deacon, utilizzando la nozione di “interpretante” di Pierce, sostiene che le parole non sono semplici suoni. Ad attribuirgli la capacità di riferimento è un processo di interpretazione che avviene nella mente; - Fattore esterno alla mente. Occorre chiamare in causa il carattere sistemico dei simboli: alla base dello statuto simbolico dei simboli è il fatto che, per riferirsi al mondo, le parole devono potersi riferire tra loro (le parole sono in relazione con tutte le altre della stessa lingua). Solo gli esseri umani sono capaci di utilizzare i simboli in senso proprio (perché parlano una lingua): le scimmie non sono in grado di farlo perché non dispongono delle strutture cognitive adeguate, ma soprattutto perché nelle loro comunità non esiste un sistema simbolico preesistente alla loro nascita che possono utilizzare dopo averlo appreso. Sherman e Austin. L'obiettivo di Savage-Rumbaugh era quello più generale di capire se le scimmie fossero in grado di utilizzare i simboli in senso proprio. Il punto teorico della questione è di provare a raggiungere l'essenza del linguaggio: la capacità di comunicare all'altro qualcosa che non conosce insegnando a Sherman e Austin a usare, tra loro, l'uso referenziale dei simboli così come accade nella comunicazione umana in senso proprio. Per capire se le scimmie comprendono davvero il significato dei simboli di cui si servono occorre capire se sono in grado di utilizzare i simboli in modo spontaneo e non come risposte meccaniche a stimoli determinati. Un primo modo per rispondere alla domanda fa perno su una duplice capacità d'uso dei simboli: l'uso richiestivo e l'uso nominale. L’uso richiestivo è interpretabile nei termini dell’associazione meccanica tra parola e oggetto La capacità di una scimmia di utilizzare il simbolo giusto non è ancora un criterio sufficiente per sostenere che la scimmia conosce il nome dell'oggetto (solamente la scimmia sa cosa fare per ottenere quell’oggetto). Sherman e Austin hanno dimostrato di sapere la differenza tra il chiedere qualcosa e la semplice associazione di un simbolo con qualcosa. Quindi riconoscono la distinzione tra la comunicazione finalizzata al raggiungimento dei propri fini e la comunicazione che sfrutta le proprietà delle unità del sistema. Gli scimpanzè sono dunque capaci di nominare gli oggetti sfruttando le relazioni che i simboli hanno con gli altri simboli. E quindi sono in grado di usare i simboli in quanto simboli, ovvero comprendono effettivamente ciò che dicono Savage-Rumbaugh ha insegnato a Sherman e Austin a comunicare tra loro. Il primo nodo da sciogliere in questa direzione era verificare se le scimmie erano in grado di comprendere il significato veicolato dal lessigramma (simboli astratti che corrispondono a diverse parole). In una prima serie di esperimenti veniva utilizzato un lessigramma per informare la scimmia del tipo di cibo nascosto in un contenitore e l’animale riceveva il cibo solo se utilizzava il lessigramma appropriato. Il punto rilevante della questione è che la scimmia poteva selezionare il lessigramma giusto in due modi molto diversi: 1. riproducendo, per imitazione meccanica, lo stesso lessigramma prodotto dallo sperimentatore 2. selezionando il lessigramma per averne compreso il contenuto informativo, questo modo di produrre lessigrammi appropriati richiede che la scimmia sia capace di leggere le intenzioni comunicative dello sperimentatore Sherman e Austin manifestavano “sorpresa” e “disappunto” nel caso in cui ricevevano dallo sperimentatore un'informazione sbagliata. Lo scambio comunicativo tra gli scimpanzè e lo sperimentatore debba essere interpretato in riferimento alla comprensione del contenuto informativo veicolato dai lessigrammi. Il secondo passo della ricerca era provare a far interagire le scimmie con scambi comunicativi reciproci. Nei test sperimentali una delle due scimmie osservava lo sperimentatore mentre nascondeva il cibo e doveva dire all’altra, che non aveva assistito alla scena, il tipo di cibo nascosto dallo sperimentatore, attraverso la Keyboard. L'idea di base dell'esperimento era che la scimmia che aveva assistito al nascondimento del cibo comunicasse l'informazione giusta all'altra. Ora, poiché la scimmia che aveva assistito alla scena avrebbe potuto sfruttare tale informazione esclusivamente a proprio vantaggio, tuttavia, il compito richiedeva che, per ricevere il cibo nascosto, entrambe le scimmie dovessero utilizzare il simbolo giusto. gli scimpanzè oltre a comunicare tra loro comunicano sapendo di comunicare. Per provare che le due scimmie erano in grado di usare simboli in senso proprio, Savage-Rumbaugh ideò una nuova situazione sperimentale. Privata della Keyboard con cui era solita comunicare, una delle due scimmie veniva portata in una stanza in cui assisteva al nascondimento del cibo da parte dello sperimentatore. A prova del fatto che le grandi scimmie non sono capaci di riconoscere atti altruistici di comunicazione, Tomasello e colleghi hanno proposto un esperimento in cui uno sperimentatore aiutava lo scimpanzè a scegliere il contenitore con il cibo indicandoglielo. Le scimmie non seguivano l’indicazione. Lo sperimentatore ora gareggiava con la scimmia per cercare il cibo, cercando di raggiungere un contenitore posto in alto. In questo caso la scimmia comprendeva il comportamento umano, ed è come se inferisse qualcosa del tipo: “Quello vuole afferrare il secchio; allora dentro dovrà esserci il cibo”. Ma rimaneva comunque incapace di inferire che lo sperimentatore volesse fargli avere questa informazione. Il linguaggio umano è fortemente legato all'atto “altruistico”. Poiché le grandi scimmie sono guidate da un atteggiamento competitivo, esse sono in grado di fare richieste agli altri, ma non riescono a offrire l'informazione descrittiva utile alle esigenze degli altri: le loro espressioni, in altre parole hanno un carattere imperativo ma non dichiarativo. Gli umani mettano in atto attività cooperative condivise, ovvero guidate da un fine congiunto È possibile attribuire agli scimpanzè attività di cooperazione di questo tipo? Tomasello pensa di no e fa l’esempio della caccia degli scimpanzè al colobo rosso nella foresta Tai: ogni scimmia lavora per sé, in una modalità I-mode (senza rispettare il fine congiunto). A riprova di ciò è il fatto che questi animali siano incapaci di uno sguardo che, permettendo una visione d’insieme delle relazioni cooperative, consente ai partecipanti lo scambio reciproco dei ruoli. In linea con Darwin, Tomasello considera l’altruismo un fatto biologico; ma tipico ed esclusivo della biologia umana. Mentre è disposto a riconoscere nelle scimmie antropomorfe forme di altruismo relative ai “beni” e ai “servizi”, le scimmie non sono capaci, infatti, è lo scambio di informazioni altruistico. Per valutare il modello di Tomasello bisogna capire se davvero la cooperazione condivisa è un carattere specifico della natura umana. 1. La prima considerazione da fare è che c'è molto più altruismo fuori dall’Homo sapiens di quanto Tomasello sia disposto a concedere 2. La seconda considerazione da fare è che c'è molto più egoismo dentro l’Homo sapiens di quanto Tomasello non sia disposto ad ammettere: gli esseri umani sono, a suo avviso, i rappresentanti di una specie prepotente. Da queste due considerazioni di ordine generale emerge con chiarezza che nella nostra mente convivono sistemi di elaborazione che ci rendono pronti a collaborare con gli altri e sistemi che ci spingono costantemente a sospettare degli altri e a competere con loro. Gli esperimenti su Sherman e Austin permettono di dire che l’altruismo informativo sia posseduto anche dalle scimmie. Utilizzando 7 bonobo e 4 scimpanzè che avevano partecipato a progetti specifici di comunicazione con umani, e 6 scimpanzè che avevano solo avuto contatti con umani relativamente a compiti sulla risoluzione di problemi cognitivi, un primo risultato della ricerca è che le scimmie allevate in un ambiente culturale comunicativo avevano prestazioni migliori nella capacità di utilizzare l'informazione che gli veniva fornita per risolvere un determinato compito: un risultato del genere contrasta con la tesi di Tomasello secondo cui gli scimpanzè non riescono a utilizzare l'informazione che gli viene offerta perché non si aspettano che qualcuno possa fornirgliela. Utilizzando i dati della Greenfield sullo sviluppo del linguaggio nei bambini e quelli di Savage- Rumbaugh con le grandi scimmie, è stato mostrato che in un contesto appropriato e con il giusto tipo di insegnamento le grandi scimmie utilizzate nella ricerca condividevano con gli umani la capacità di utilizzare frasi dichiarative. La capacità di produrre-comprendere asserzioni è una questione di grado e non di qualità (ogni tentativo di operare una cesura netta tra umani e grandi scimmie è votata al fallimento). Le prestazioni delle grandi scimmie nei compiti di comunicazione dipendono, oltre che dai sistemi cognitivi di cui dispongono questi animali (l’”ingegno superiore”), anche dal particolare ambiente culturale in cui queste scimmie sono state allevate. I neoculturalisti sono portati a dover presupporre il linguaggio come un'entità che preesiste alle menti individuali (l’invasione del codice simbolico nella mente avviene sia per le scimmie sia per gli esseri umani). Una posizione di questo tipo ha ricadute dirette sul tema dell'origine del linguaggio: i neoculturalisti sono portati a dar conto dell'avvento del linguaggio nei termini di un fatto improvviso e inaspettato. Tuttavia, in una prospettiva in cui si studia il passaggio dalla comunicazionale animale a quella umana, dire che la differenza tra queste due dipende dall’avvento improvviso di una capacità qualitativamente differente da tutte le altre contrasta sia con i principi darwiniani sia con il buon senso epistemologico.
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