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Francesco in Piazza - Nell'ottavo centenario del sermone di F. D'Assisi a Bologna, Schemi e mappe concettuali di Storia Medievale

Riassunto dell'intero libro diviso in capitoli e sezioni.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2023/2024

In vendita dal 27/02/2024

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sonia-ricchetti-1 🇮🇹

4.7

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18 documenti

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Scarica Francesco in Piazza - Nell'ottavo centenario del sermone di F. D'Assisi a Bologna e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! FRANCESCO IN PIAZZA Nella testimonianza di Tommaso da Spalato si legge che a Bologna, nel giorno dell’Assunzione della Madre di Dio, egli vide Francesco predicare nella piazza davanti al palazzo pubblico (dove era convenuta quasi tutta la città). L’esordio del suo sermone fu angeli, uomini, demoni. Il suo discorso era costruito con argomenti utili a spegnere le inimicizie e a ristabilire accordi di pace, tanto che dopo gruppi di nobili nemici furono ricondotti a propositi di pace. Francesco tenne a Bologna il suo famoso sermo/concio (ovvero una predica a forma di arringa), pronunciato il 15 agosto. Era un appello alla pace civile. Le parole di pace furono così efficaci da tradursi in immediato riavvicinamento di famiglie reciprocamente ostili. Francesco scelse di recarsi a Bologna, una città popolosa e in grande espansione urbanistica sede di uno studium capace di attrarre studenti da ogni parte dell’Occidente. Era una città che faceva da laboratorio formativo dei ceti dirigenti sia ecclesiastici che laici. Nonostante Francesco era un illetterato che rifiutava la scienza, tra il pubblico erano presente anche persone colte. La testimonianza più dettagliata di questo evento è quella che ci fornisce Tommaso da Spalato, il quale ci informa che molti dotti furono ammirati per il sermone di un uomo illetterato. Quelle di Francesco furono parole persuasive improntate a uno stile diverso da quello abituale per un predicatore e simile a quello di un concionatore (un oratore politico). La scelta della città non era dovuta, come Domenico, a una progettualità di reclutamento. La città era una meta essenziale nella diffusione del messaggio francescano. Bologna ebbe però un ruolo di rilievo nell’esperienza francescana già da prima della concio, ma dopo questa si concretizzò tra Bologna e il frate un legame profondo tanto che, alla metà del Duecento, Francesco fu incluso tra i santi protettori della città e fu proclamata la festività nel giorno della memoria del santo. Parte 1: RELAZIONI Bologna nelle fonti francescane L’arrivo di Bernardo e dei frati a Bologna: la notizia dell’arrivo dei frati a Bologna è riferita da Gualtiero di Gisburn secondo cui i frati avevano la loro dimora alla Riccardina, in un piccolo alloggio donato loro dal grande giurista Accursio. Si tratta di una testimonianza tardiva così come quella circa l’arrivo in città di frate Bernardo negli Actus beati Francisci. Questi fu dapprima disprezzato e vilipeso in piazza, ma la sua umiltà e arrendevolezza attirarono l’attenzione di un sapiente giudice divenuto difensore e padre del frate. Questa disposizione fu un momento di svolta e da allora Bernardo fu onorato da tutti. Egli però scelse di tornare da Francesco poiché temeva che l’onore potesse fargli perdere ogni frutto spirituale. La pazienza del frate corrisponde allo stile dei primi frati, ma non si capisce però perché si sia recato a Bologna da solo quando la prassi era andare per il mondo a due a due. Si evince quasi che Bernardo si fosse recato in città con l’intenzione di impiantarvi un convento ma ciò contrasta con l’agire dei frati agli inizi. Per questo si ha l’impressione che il redattore degli Actus riprenda sviluppi e notizie da fonti anteriori. Infatti, le umiliazioni in Piazza di Bernardo sembrano ricalcare quelle dell’ingresso dei frati a Firenze (dove all’iniziale rifiuto fu seguita l’accoglienza di un uomo facoltoso). Anche l’abbandono di Bologna da parte di Bernardo pare tradurre un principio enunciato da Bonavenuta (secondo cui i frati andavano dove erano rifiutati e non onorati perché il Vangelo li aveva resi pazienti). Non si può quindi far fede al racconto degli Actus. La visita di Francesco a Bologna nel 1220: l’attestazione più antica ed esplicita di una presenza dei frati a Bologna e di un passaggio di Francesco deriva dal Memoriale di Tommaso da Celano ripresa dallo Speculum perfectionis. I due racconti coincidono anche se il redattore dello Speculum lascia cadere la notizia (riferita da Tommaso) secondo cui Francesco era giunto a Bologna provenendo da Verona. L’epoca del fatto è l’agosto del 1220, precisabile grazie al ruolo che ebbe il cardinale Ugo d’Ostia che era presente in città come legato papale nell’Italia centrosettentrionale. Francesco era in viaggio alla volta d’Assisi dopo essere sbarcato a Venezia di ritorno dalla sua spedizione nelle terre d’Oltremare. Non era ancora giunto in città quando udì che vi era stata costruita una nuova casa DEI frati di loro proprietà. Anche altre case furono costruite PER i frati ma quella di Bologna veniva considerata proprietà DEI frati e ciò fece andare Francesco su tutte le furie. Nel suo Testamento infatti scrisse poi di non accettare proprietà ma di dimorarvi da ospiti. Francesco non passò da Bologna e disse ai frati di uscire subito da quella casa, ordine eseguito alla lettera tanto che non rimasero nemmeno gli ammalati. Grazie all’intervento del cardinale Ugo d’Ostia sbloccò la situazione dichiarando che quella casa fosse sua. Il racconto di Tommaso da Celano ripreso dallo Speculum mostra come agli inizi del terzo decennio del XIII secolo, i frati si fossero insediati a Bologna. Secondo Tommaso, Francesco non mise piede in città mentre Angelo Clareno riferisce che il frate predicò e dopo la predica venne a conoscenza di quanto avvenuto. Egli sarebbe dunque entrato in città ma, dopo essersi reso conto che la casa dei frati non era conforme alla povertà, non volle entrarvi preferendo quella dei Predicatori. Qui un Predicatore lo esortò a recarsi nella casa dei Minori per correggerli e tornare indietro se invece avesse ritenuto di non poter restare con loro. Francesco acconsentì, trovò i frati pronti ad accettare la penitenza e li perdonò. Questo racconto ci dice che Francesco si fermò a Bologna nel 1220, ma pare basarsi su una tradizione orale e ci si domanda quale fiducia sia possibile assegnargli. Il racconto presenta però dei tratti realistici: i buoni rapporti tra Francesco e i Predicatori, la durezza da lui mostrata in linea con altri suoi atteggiamenti simili, il dialogo tra Francesco e il Predicatore straordinariamente ordinario. La predica di Francesco in piazza: Francesco tornerà sicuramente a Bologna dove tenne una predica memorabile alla quale ricorda di aver assistito il futuro arcivescovo di Pisa, Federico Visconti. Il racconto più dettagliato dell’evento è quello lasciatoci da Tommaso da Spalato, arcidiacono e poi vescovo della sua città. Il 15 agosto del 1222 egli era studente all’Università di Bologna e vide Francesco predicare nella piazza davanti al palazzo pubblico. Egli annota lo stile di quella predicazione che lasciava scorgere nel frate un oratore politico, un contionator più che un predicatore. La contio era un’assemblea pubblica e il contionator il comiziante che doveva fortemente impressionare l’uditorio anche tramite espressioni e gesti. Attraverso questi, Francesco riconosceva i propri errori (come quando mangiò carne e brodo durante una quaresima). Egli non seguiva le regole del genere predicatorio ma manteneva una stretta aderenza al vissuto quotidiano. Inoltre, la sua non era una predica solamente verbale ma faceva ricorso a tutti gli strumenti a sua disposizione, come la corporeità. Egli predicava anche con il corpo fino a farne una lingua, accentuandone gli aspetti drammatici. Nel racconto di Tommaso, si legge anche come tutto il mondo corresse dietro a Francesco nonostante fosse spregevole e per nulla bello. L’annuncio di un terremoto imminente: si colloca sempre nel 1222 la notizia che Tommaso da Eccleston ci ha lasciato, ripresa dai ricordi di frate Martino da Barton. Essi dicono che un frate stava pregando a Brescia il giorno di Natale e fu ritrovato illeso sotto le macerie della chiesa, durante quel terremoto che san Francesco aveva predetto e fatto annunciare in tutte le scuole di Bologna, con una lettera scritta in un latino scadente. L'accenno al pseudo-latino di Francesco pone un tassello a favore del racconto, in quanto alla metà del Duecento vi erano maestri minori che sedevano nelle cattedre universitarie e l’ignoranza del fondatore era divenuta una questione sconveniente. Non sussistono dubbi sul fatto che un terremoto scosse l’Italia settentrionale nel Natale del 1222, come ricorda anche Salimbene da Parma. Alcuni predicatori accennano a questa previsione del terremoto da parte di Francesco e ritroviamo la cosa anche tra i sermoni di Giovanni de La Rochelle, il quale dice che Francesco fu ritenuto un “veggente” perché predisse il terremoto agli studenti e il papato a Gregorio IX. È certo che la notizia di una previsione del terremoto da parte di Francesco circolasse tra i frati, così come il fatto che ne aveva dato pubblicamente l’annuncio. È anche assodato come egli fu a Bologna in più di un’occasione, in una di queste permanenze guarì l’occhio cieco di un bambino (fatto non registrato da Tommaso). La maledizione al frate che aveva impiantato lo studium: la lettera con la quale Francesco aveva avvertito gli studenti di Bologna di un futuro terremoto, non fu fatta leggere altrove e fu diffusa solo tra gli studenti. Ciò ha aperto un interrogativo poiché fa pensare che il preannuncio non fosse l’oggetto principale della lettera. Probabilmente, Francesco voleva mettere in guardia gli studenti contro i possibili rischi di un sapere fine a sé stesso. Se Francesco volle davvero mettere in guardia gli studenti contro il rischio dello studio ricordando loro che altre cose erano più importanti (e che la vita stessa era fragile ed esposta a mille fattori come uno di quei terremoti) ciò avrebbe marcato la distanza tra lui e Sant’Antonio. Per questo, nell’interpretazione dell’episodio era meglio insistere sullo spirito di profezia lasciando in sordina il resto. Testimonianze tardive riferiscono della maledizione che Francesco avrebbe rivolto al frate colpevole d’aver istituito lo studium bolognese senza averne ottenuto la licenza. Questo racconto godrà di grande diffusione. Probabilmente, fu l’esito cui portò il disagio provato dai frati nei decenni centrali del Duecento di fronte alla posizione assunta da Francesco e alla direzione imboccata dall’Ordine. Conclusione: al termine di quest’analisi delle fonti, alcuni dati restano assodati. Di certo, Francesco fu in più di un’occasione tra le mura di Bologna. Di certo predicò in piazza e la sua parola certamente produsse effetti straordinari. Bologna all’epoca del discorso di San Francesco Nei primi anni 1220 la platea communis (Piazza Maggiore) e il suo palazzo costituivano marcatori dello spazio urbano bolognese da più di due decenni, nel 1200 il Comune aveva dato inizio alle operazioni di acquisto delle case e dei terreni per aprire questo grande spazio pubblico cittadino e laico. Il risultato aveva un forte valore simbolico perché era stata creata una nuova platea tra due platee esistenti, una legata al potere ecclesiastico e l’altra espressione di un lignaggio di milites tra i più potenti della città. Il nuovo spazio fu chiamato anche “curia communis” e occupava quasi la stessa estensione dell’attuale Piazza Maggiore. Nella piazza si volle includere un palatium, struttura dal nome fortemente evocativo nella città dei giuristi che aveva riesumato le leggi imperiali (tra le quali quella che identificava la presenza del potere pubblico nel palatium). I bolognesi avevano distrutto la rocca imperiale solo un secolo prima, evento che diede inizio all’esperienza comunale. All’epoca del discorso di Francesco, in questo spazio mancavano la basilica di San Petronio, palazzo Re Enzo e il palazzo del Capitano del Popolo. Nella piazza e nel palazzo esistenti si svolgevano da due decenni i principali atti della politica cittadina. Quando Francesco ci predicò davanti, nel palazzo si riuniva da più di vent’anni il consiglio presieduto dal podestà nella sala più grande perché i membri erano aumentati. A Bologna, come in altre città, l’evoluzione delle strutture di partecipazione registrava il mutare dei rapporti di forza nella cittadinanza. Il consiglio “di credenza” era dominato dai milites ma andò difficoltà segnalata da Tommaso da Spalato che parla di un “sermone di un uomo illetterato in latino” utilizzando qui il termine “idiota”. Interessante è anche il fatto che Tommaso utilizzi la parola “sermone” poiché l’omelia era vietata ai laici, specie se idioti e nessuno ad eccezione dei sacerdoti poteva predicare. Francesco era invece un idiota che predicava, vero è che aveva ottenuto il permesso nel 1209 da Innocenzo III, ma usando il termine “sermone” Tommaso da Spalato probabilmente voleva dire una cosa precisa: quello di Francesco fu un discorso religioso su Dio. Ne è la prova l’esordio di “angeli, uomini, demoni”. Non si tratta di un vero e proprio thema (in genere era un versetto biblico posto alla base di tutto il sermone). Infatti, Tommaso usa il termine “esordio” per rimarcare il fatto che non si trattava di un tema oggetto di teologia. Egli rimarca il fatto che di questi tre spiriti trattò bene. Subito dopo aver sottolineato la proprietà teologica del discorso di Francesco, Tommaso dice che non usò lo stile di chi predica ma quello di chi conciona. Il santo parlava sì di cose di Dio, ma non alla maniera dei chierici in chiesa (predicando) ma alla maniera dei laici delle assemblee in piazza (concionando). La concione si distingue dal discorso sacro per il suo piglio popolaresco. Francesco parlava in modo speciale, cosa rimarcata anche da papa Gregorio IX che dice che usava una predicazione semplice potente della forza di Dio. Disse che superò molti uomini di scienza anche se incolto. Tommaso da Celano nella Vita beati Francisci e nella Leggenda dei tre compagni si fa riferimento a ciò. Le parole di Francesco non erano vuote o ridicole ma piene della forza dello Spirito santo, capaci di penetrare nell’intimo dei cuori e toccare gli ascoltatori. La vera svolta nella testimonianza di Tommaso da Spalato è costituita dall’osservazione che il suo discorso era costruito con argomenti utili a spegnere le inimicizie e a ristabilire gli accordi di pace. L’obiettivo dell’omelia di Francesco era portare pace e riconciliazione, per capire come mai ha scelto il tema di angeli, uomini e demoni bisogna capire chi fossero per lui queste figure (ci aiuta in ciò l’episodio di Arezzo ritratto da Giotto in copertina): • Demoni: nell’episodio di Arezzo, Francesco manda frate Silvestro a cacciare i demoni dalla città. I demoni evocati in questo racconto erano i sentimenti di divisione come rabbia, odio, disprezzo, violenza e guerra. Questi erano sia sentimenti che spiriti razionali, difficili da controllare in quanto esseri superiori che possono impadronirsi dell’anima degli esseri umani grazie al fascino del male. • Angeli: in una preghiera che probabilmente fu scritta da Francesco in un manoscritto di Madrid, si capisce come gli angeli sono quelli che annunciano la gloria di Dio e la pace agli uomini di buona volontà. Sono esseri superiori al servizio di Dio, del quale guidano le lodi. Sono anche gli annunciatori della pace di Dio. • Esseri umani: si trovano nel mezzo, una posizione sia lessicale che esistenziale. Sono più deboli rispetto agli spiriti del male ma possono ricorrere all’aiuto degli spiriti del bene che li condurranno alla pace di un Dio più potente dei demoni. Questo ci fa capire come mai il discorso di Francesco ha ottenuto successo negli ascoltatori, la forza della sua predicazione deriva dal fatto che egli viveva ciò che proclamava e la sua predicazione veniva confermata dalla sua vita. Per Francesco, la pace non era solo un’idea ma una dimensione di vita. Chi vedeva i Minori si meravigliavano perché mai avevano visto religiosi vestiti in quella maniera, essi poi annunciavano sempre la pace nelle case in cui entravano. Il riferimento esplicito alla pace si trova nella Regola non bollata, la fonte più importante per conoscere il movimento francescano delle origini. Qui capiamo che Francesco non voleva che i suoi frati rimanessero in una casa ma che vivessero sulla strada. Dovevano essere lieti quando vivevano tra persone di poco conto e disprezzate. I frati di Francesco avevano scelto una vita povera senza garanzie e avevano un saluto da dare a tutti: “pace a questa casa”. Queste parole sono una citazione esplicita del vangelo secondo Luca. Perché l’annuncio della pace fosse creduto, era necessario che la vita di chi lo annunciava fosse coerente con tale pace. La pace di Francesco era un atteggiamento personale nei confronti del male, la scelta di non resistere ai malvagi. Solo rinunciando alla vendetta, al risentimento e al desiderio di vendetta (anche dove sembrano legittimi) è possibile interrompere la spirale di violenza che genera sempre nuovi conflitti. Francesco segue l’indicazione di Paolo, non lasciarsi vincere dal male ma vincere il male con il bene. Le parole di Francesco riuscirono a suscitare sentimenti di pace in più occasioni, come ad Arezzo o ad Assisi come descritto nella Compilazione di Assisi. Il vescovo aveva scomunicato il podestà che fece annunciare un bando contro di lui, i due arrivarono a odiarsi reciprocamente. Per Francesco era una vergogna che nessuno riuscisse a rimetterli in pace e concordia. Questo scontro avvenne in un contesto comune alle città italiane del XIII secolo, lo scontro tra l’autorità dei vescovi e quella dei poteri civili. Questo era uno scontro politico. Nel mentre, Francesco aveva già composto le Laudi, infatti l’episodio di svolge nei suoi ultimi anni di vita quando era malato. Anche se malato non si diede per vinto, compose una nuova strofa da aggiungere alle Laudi: “Laudato si, mi Signore, per quelli che perdonano per il tuo amore”. Come ad Arezzo aveva chiesto a frate Silvestro di pregare contro i demoni, qui chiese ai suoi compagni di cantare le lodi a Dio perché suscitasse nel cuore degli uomini il desiderio di perdono. Il podestà si dichiarò disposto a perdonare e si gettò ai piedi del vescovo che lo prese fra le braccia. I frati e i presenti restarono colpiti constatando la santità di Francesco. Ciò mise in luce la forza delle parole di Francesco. Nel racconto di Tommaso troviamo anche l’attrazione fisica che Francesco esercitava sulle folle, le quali si sforzavano di toccarne il lembo della veste o strappare qualcosa dai suoi poveri panni (cosa che in realtà esiste ancora oggi). Anche così nacque il mito di San Francesco. Proponendo una ipotesi: forse la visita a Bologna ha cambiato non solo la folla ma anche Francesco stesso e il suo modo di pensare condizionando lo sviluppo successivo dell’Ordine dei Minori. Nel 1224 arrivò a Bologna Antonio da Lisbona, futuro Sant’Antonio da Padova che proprio a Bologna cominciò a insegnare ai frati. A lui Francesco scrisse un biglietto in cui augura a lui la salute e gli dice che ha piacere che insegni ai frati la sacra teologia, purché in questa occupazione essi non estinguano lo spirito dell’orazione e della devozione. Il “piacere” non è una formula di cortesia ma una precisa formula giuridica con cui si concede un permesso. Anche l’ultima frase è al plurale “estinguano”, si tratta di un permesso rilasciato ad Antonio e ai frati che studiavano con lui. Francesco era stato fino a quel momento prudente circa lo studio da parte dei suoi frati, ma a Bologna probabilmente si accorse che tra i chierici si sarebbe potuta accogliere una messe abbondante. Forse per questo motivo scrisse poi al frate più colto in Italia concedendogli di leggere e commentare la sacra scrittura ai frati a Bologna. Parte 2: TAVOLA ROTONDA Francesco era per la Chiesa sia un perfetto cristiano che un elemento di scandalo. La contraddizione è rappresentata dalla sua scelta della povertà insieme all’appartenenza a una Chiesa che non poteva fare la sua stessa scelta. I termini di provocazione e scandalo hanno un ruolo importante nella vicenda di Francesco e anche nella sua predica a Bologna. A Bologna, Francesco si presentò con aspetto e vesti diverse da quelle apprezzate dalla società e rivolge parole severe per indurre alla pace. Opera una scelta consapevolmente sfidante perché vuole trasformare la società, una società che affronta con la provocazione a partire dall’esperienza della povertà. Francesco fa della povertà una forza e la propone come modello a una società cittadina che sembrava non vedere i poveri, i quali a loro volta non si autodefinivano tali. Dà una nuova identità alla povertà e conferisce identità ai poveri, dopo Francesco il povero avrà una funzione attiva e acquisisce coscienza del suo stato. Francesco e i francescani proclamano la povertà come la maggiore delle ricchezze in un ambiente sociale cittadino fondato sulla ricchezza. Interviene nelle piazze come quella bolognese, piene di gente abbiente e studenti. Egli usa lo scandalo e la provocazione per scuotere le coscienze, la piazza è il luogo ideale per gettare l’amo. Le persone vogliono udire e toccare chi si esprime in termini diversi dal solito. Provocazione e scandalo si trasformano in modificazioni impensabili prima. La città diviene grande alleata di Francesco così come la curiosità di giovani intellettuali come Tommaso da Spalato. La provocazione può cambiare la storia, quel giorno di Ferragosto a Bologna (forse) si compì una svolta. Francesco oratore, Bologna 15 agosto 1223 Nel racconto di Tommaso da Spalato si parla del grande terremoto nel giorno di Natale del 1222. Grazie a ciò, tutti collocano l’episodio nella festa dell’Assunzione di Maria del 1222, ma Tommaso da Spalato non ha indicato un anno ma l’evento. Riferendosi a quel giorno, egli può far riferimento sia allo stile cronologico della Circoncisione (che fa iniziare l’anno il 1° gennaio) o quello dell’Annunciazione (che lo fa iniziare il 25 marzo). Vari elementi ci fanno escludere lo stile della Circoncisione: questo uso cronologico era assai raro prima del XVII secolo e quasi mai era usato dagli autori ecclesiastici. Tommaso era un arcidiacono che aveva studiato diritto e notariato a Bologna e probabilmente usava lo stile cronologico della tradizione notarile bolognese che faceva iniziare l’anno il 25 dicembre. Ogni volta che nella sua Historia egli riporta una data precisa, lo fa riferendosi all’anno Domini. Il giorno del grande terremoto di Brescia del 25 dicembre 1222 è il primo giorno di un anno che termina il 24 dicembre 1223. Quando parla della predica di Francesco si riferisce all’agosto successivo; quindi, si può sostenere che la data della predica non sia il 15 agosto 1222 ma il 15 agosto 1223. Questo slittamento di datazione darebbe maggior rilievo ad alcuni particolari riferiti dal racconto di Tommaso da Spalato: il tono concionatorio, l’argomento angelologico, la finalità di pacificazione sociale. Per quanto riguarda il tono concionatorio, i concionatori dovevano infiammare l’uditorio e suscitare ai cittadini sentimenti patriottici. Ma il discorso da concionatore di Francesco era volto alla pacificazione di famiglie in lotta da sempre. A questa finalità, egli dedicò i suoi ultimi interventi pubblici (Arezzo, Perugia e Bologna). Per quanto riguarda il tema angelologico, questo non era insolito per i predicatori o per gli oratori laici. L'intervento diretto delle potenze angeliche e demoniache nelle dinamiche umane era molto frequente. Che gli oratori politici si occupassero di angeli e demoni non suscitava sorpresa, mentre appariva bizzarro che un frate parlasse con tono da concionatore. Non era sorprendente che di quel tema si occupasse Francesco, che da sempre aveva una devozione per le creature angeliche come l’arcangelo Michele. Anche qui si vedono le conseguenze della nuova datazione della predica. Il 29 novembre del 1223 papa Onorio III aveva concesso la sua approvazione alla Regola, così Francesco aveva assicurato una stabilità istituzionale alla sua famiglia religiosa e poteva dedicarsi (insieme a un piccolo nucleo di frati) alla vita eremitica. Il tema del ruolo degli angeli nelle vicende umane era particolarmente congeniale a Francesco negli ultimi anni del suo percorso terreno, un tema sviluppato a Bologna il 15 agosto del 1223, ultimo intervento pubblico del santo prima della scelta eremitica. In quei decenni, l’argomento angelologico aveva piena cittadinanza, in particolare a Bologna come si vede nell’incipit del libro V degli statuti bolognesi del 1288 che ospita la legislazione straordinaria dei “ordinamenti sacrati e sacratissimi”. Era una serie di provvedimenti adottati dal consiglio del popolo per affrontare in maniera più efficace i problemi dell’ordine pubblico e contenere i sanguinosi conflitti di fazione. Il legislatore introdusse due argomenti angelologici: 1. Il rispecchiamento gerarchico tra angeli e uomini: la fonte dottrinale per l’angelologia medievale fino a San Tommaso e Dante era il trattato di Dionigi “De coelesti hierarchia” dove venivano definiti i nove ordini angelici. Si delinea una struttura gerarchica e Dionigi introdusse nella cultura occidentale il principio in base al quale l’ordine gerarchico angelico agiva da modello sull’ordinamento delle società umane, in prima istanza quella ecclesiastica. Tuttavia, né Francesco né i redattori degli statuti bolognesi conoscevano queste opere ma avevano comunque assimilato e divulgavano (inconsapevolmente) questi concetti e questo stile di pensiero di origine neoplatonica. 2. La prelatura angelica per le comunità umane: l’idea che la guida di una creatura della stessa specie risultasse più efficace in quanto più gradita a chi doveva subirla, presuppone l’idea che una comunità umana potesse essere guidata da una prelatura angelica. L'idea di prelatura angelica acquista un valore sempre più politico anche se è improbabile che i redattori statutari bolognesi attingessero a queste fonti l’espressione “prelatura” per riferirla alla figura del podestà. C'è però un testo indiziato di aver avuto questo ruolo, la lettera di Onorio III del 1218 al regno di Castiglia dove scrisse “un uomo fu posto a capo degli uomini, affinché l’identità di specie rendesse più gradita la guida”. È probabile che il notaio redattore conoscesse quel testo a cui si ispirò. Ciò però, non toglieva che gli angeli potessero comunque essere preposti alle comunità umane. Ciò che emerge nel resoconto di Tommaso da Spalato è un rinnovato contesto di armonia universale e sociale proposto da Francesco ai cittadini bolognesi come programma politico, uno scenario in cui uomini e angeli collaborano per contrastare le opposte tendenze diaboliche riuscendo a porre fine ad antichi conflitti. Francesco in piazza, appunti sulla costruzione della memoria Un dubbio: la ricchissima produzione di leggende su Francesco d’Assisi non sente l’esigenza di registrare l’episodio della predica a Bologna, si menziona solo il fatto che alcuni studenti passarono dallo studium alla fraternitas ma nessun cenno alle parole di pace rivolte alla città. Nell'angiografia francescana il tema della predicazione di pace viene sviluppato in altri memorabili racconti, come il caso di Perugia o Assisi. L’argomento in sé era ritenuto rilevante ma nessuno tra gli angiografi sente il bisogno di richiamare quanto successo in piazza a Bologna, così come Bologna non sembra prestare particolare attenzione a questo episodio. In un certo senso, si può dire che in quel giorno non accadde nulla di speciale secondo queste fonti. La testimonianza di un fuorisede: la testimonianza la si deve a Tommaso da Spalato e Federico Visconti, i quali ritennero quella giornata memorabile perché rappresentò per loro l’incontro col santo. I testimoni sono due stranieri attirati a Bologna dalla sua Università. Le loro fonti sono di diversa natura: nel passo della Historia di Tommaso da Spalato si parla anche dei Comuni italiani come modello politico ideale all’interno del quale i frati Minori giocano un ruolo preciso nel promuovere la pacificazione; quella di Federico Visconti è un breve accenno a una sua predica in cui ricorda di aver toccato il frate a Bologna. Nel racconto dei Fioretti (forse legato a un altro passaggio di Francesco in città) segnala che chi rispose alle sue parole furono due studenti marchigiani che lasciarono lo studium per entrare nella fraternitas. Se per san Domenico l’integrazione con le forze culturali dello studium fu programmatica, ben diverso era per il caso di Francesco. Il suo rapporto con lo studium fu difficile fino ad arrivare a maledire un frate che si era avventurato a studiare. La predica di Francesco in piazza si regge sulla memoria di Tommaso da Spalato, un testimone a cui si vuole credere ma che va interrogato. Va colta la cifra angiografica del testo, la sua funzionalità politica e anche la curvatura che assume la memoria di eventi lontani. Si tratta di ricordi nitidi e cristallizzati ma anche selettivi e forse falsati in alcuni punti (come sui risultati effettivi del discorso di Francesco). Erudizione e storiografia, la costruzione di un “classico”: grazie al racconto di Tommaso da Spalato, un fatto marginale diviene un episodio citatissimo nel ricordare Francesco sia in epoche più antiche che oggi passando per il Novecento. Fu nel Novecento che il passo di Tommaso da Spalato incrociò la dimensione politica/sociale della predicazione mendicante per il rinnovamento della comunicazione nelle città comunali diventando un riferimento d’obbligo, un piccolo classico. Lapidi e statue nel Novecento: nel 1982 fu costruita la lapide nel cortile del Comune di Bologna posta per l’ottavo centenario della nascita del santo in cui si ritrova un passo della Historia. Chi propose di metterla forse cercava una convergenza sul tema della pace tra un mondo cattolico e un Comune in mano al PCI (in un anno in cui visitò la città Giovanni Paolo II). Nello stesso anno fu posta presso la chiesa dell’Annunziata una statua, sul cui basamento viene celebrato Francesco e in uno dei bassorilievi si mostra Francesco che predica in piazza (dove è presente San Petronio). Si tratta della prima raffigurazione in pubblico di questo episodio, attualizzato anche negli abiti dei partecipanti, tra cui una bambina che allunga la mano per toccare il saio del santo. Ma già nel centenario del 1926 nel parco davanti la chiesa dei
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