Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

"Francis Ford Coppola" - Vito Zagarrio, Sintesi del corso di Storia Del Cinema

Riassunto completo del libro "Francis Ford Coppola" - Vito Zagarrio

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 07/02/2021

EmanueleCellini
EmanueleCellini 🇮🇹

4.4

(333)

223 documenti

1 / 60

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica "Francis Ford Coppola" - Vito Zagarrio e più Sintesi del corso in PDF di Storia Del Cinema solo su Docsity! Francis Ford Coppola Vito Zagarrio Coppola tra “New Hollywood” e “New New Hollywood” Coppola soffre spesso della sindrome del dittatore, si identifica in fondo con il delirante Kurtz nel suo capolavoro Apocalypse Now. Parlare di Coppola significa parlare di tre decenni del cinema americano, dalla sua crisi degli anni Sessanta alla “rinascita” della “nuova Hollywood”, dall'affermazione dell'era elettronica alla cosiddetta “New New Hollywood”, cioè al legittimarsi di una ennesima leadership mondiale del cinema statunitense. I termini epocali di queste ere cinematografiche sono quasi sempre scandite da un film di Coppola: 1. si pensi a The Godfather, inizio dei grandi sequels ma anche prima affermazione di un ritorno in grande stile di Hollywood dopo le crisi del decennio precedente; 2. si pensi ad Apocalypse Now, opera di svolta tra un modo di produzione e un altro nel panorama industriale e nell'immaginario collettivo occidentale; 3. si pensi a One from the Heart, primo bellissimo esperimento di commistione tra pellicola e mezzo elettronico. C'era una volta la New Hollywood, dunque. Una nuova generazione, dopo un intenso apprendistato nelle università, da un lato, e sui set delle serie televisive, si affaccia alla ribalta dell'industria cinematografica. È la nuova golden age degli Scorsese, dei Bogdanovich, degli Altman, dei De Palma, del primo Spielberg e di Coppola. Possiamo dare due date, un termine a quo e ad quem, di questa età aurea della New Hollywood: il 1969 come anno spartiacque dal punto di vista politico, e il 1979, che chiude emblematicamente il decennio con Apocalypse Now. Questo film è l'opera cerniera, dopo la quale il cinema non sarà più come prima. Da quel momento, bisogna parlare di una nuova Hollywood. Anche nella datazione di questo periodo, Coppola ha un ruolo e una responsabilità centrali: • speculare ad Apocalypse, Gardens of Stone identifica una prima fase; • insieme a Platoon di Stone offre agli ultimi, glaciali sussulti del film sul Vietnam; • Bram Stoker's Dracula può guidare all'interno degli anni Novanta, datti di remakes colossali, di vampirismi letterari, di realtà ormai solo virtuali. Il connubio bestiale di Dracula è anche metafora di una “unione contro natura”, di un orrido amplesso tra cinema e tv. Già alla svolta degli anni Ottanta, la televisione ha prodotto una frammentazione della visione, una confusione di testi, una commistione di generi: si vedano Cotton Club, voluto pastiche di generi classici, e Rumble Fish, esplosione della visione tradizionale, universo obliquo e daltonico, come il suo protagonista. Quello di Coppola è l'esempio più alto della grande mutazione in atto nella “New 1 Padrino è qualcosa che va al di là della traduzione fedele del best seller di Puzo: Coppola vi riversa le dinamiche psicologiche della sua famiglia reale, e in particolare il rapporto con suo padre, cui il ritratto di Marlon Brando, il vecchio padrino, è dedicato. L'esempio del padre come stimolo e deterrente, ha evidentemente contato qualcosa per Francis, il quale spesso si riferisce a se stesso e alla propria carriera con metafore musicali. Quando dichiara che il vero lavoro creativo nel film è quello della scrittura, parla del regista come di un direttore d'orchestra, l'interprete di un'opera d'altri. La sceneggiatura è la vera e propria opera d'arte, l'ispirazione originaria, la creazione autonoma. In questo senso il musicista è la figura di artista che più si avvicina al lavoro multiplo e complesso del regista che Francis ha in mente. Subito dopo viene il riferimento allo scrittore. Stavolta l'esempio familiare viene dal fratello più anziano, professore di letteratura contemporanea e scrittore di racconti. Il padre e il fratello sono i termini di riferimento e di competizione per Francis, le fonti della sua aggressività e del suo efficientismo. Lo scrittore e il musicista; manca ancora un termine che sarà compito di Francis aggiungere alla tradizione familiare: l'uomo di potere e di denaro. Perché il denaro di Francis è il più importante dei suoi film. Musica, denaro, scrittura sono i vertici di un sacro triangolo della personalità e del cinema di Coppola. Per la musica si pensi al valore assoluta che il tema e l'effetto musica rappresentano, in Apocalypse Now. Oppure al riferimento competente al musical in Sulle ali dell'arcobaleno e al privilegio che hanno il suono e la sua possibilità riproduttiva nella Conversazione. Va sottolineato l'omaggio che Francis rende al padre, prima facendolo collaborare, nel Padrino, con l'autore per eccellenza, quel Nino Rota che viene automaticamente associato al nome di uno degli autori per antonomasia del cinema europeo, Fellini; poi affidandogli le musiche di Apocalypse Now. La ricostruzione che Coppola fa delle sue origini culturali, convince sempre più dell'esistenza di un mito europeo profondamente diffuso nei giovani cineasti americani operanti alla fine degli anni Sessanta. Francis adotta Ejnenstejn come modello di stile e decide di frequentare la scuola di teatro per avere una formazione più completa. Verso la fine del suo corso nella scuola teatrale di Hofstra, dove ha imparato l'arte dell'allestimento scenico e studiato i testi sacri, il cinema irrompe con forza: diventa un'esigenza di vita; il teatro gli sta stretto. Ha bisogno di misurarsi con la tecnica filmica. Si compra una 16 millimetri e comincia a girare uno short, mai portato a termine. Il soggetto è interessante in quanto il regista cerca di sperimentare la possibilità di vedere le cose in due aspetti diversi, cerca di mostrare la prospettiva della realtà. C'è già qui il presupposto teorico ed essenziale della Conversazione. 4 Altra informazione da non scordare, a proposito dell'esperienza di Francis a Hofstra, è la sua abbondante pratica di commedie musicali e la sua conoscenza dello stage teatrale: tornerà utile per capire la mano sicura del giovane regista sul set di Le ali dell'arcobaleno. Ma l'esperienza determinante è quella del college, Coppola si iscrive al cinema department della UCLA nel 1960 e lavora con l'insegnate di regia Dorothy Arzner. Dal punto di vista umano l'università si rivela una delusione e Francis si ritrova abbastanza isolato anche perché deve scontare un certo ostracismo dei giovani compagni che sognano in cinema genuinamente anticommerciale e vedono con sospetto la sua disponibilità verso il sistema produttivo tradizionale. Coppola in un'intervista attaccherà la chiusura mentale di certi colleghi della UCLA che credono di fare la rivoluzione rifiutando l'industria cinematografica. Il Godard su cui punta Francis è quello che usa i soldi di Ponti e di Levine per realizzare un film a modo suo. Bisogna dire che non è una formula peregrina; è una sorta di entrismo cinefilo: percorrere sino in fondo le strutture del cinema mercificato, stare dentro il Sistema per realizzare prodotti che si collocano fuori dei suoi schemi storici. Coppola è uno che è sempre stato dentro: dentro la famiglia, dentro le regole della merce e del consumo, dentro le majors. La sua politica è quella di acquistare potere sufficiente per poter fare film completamente liberi, per realizzare quei progetti che veramente gli stanno a cuore. Se si leggono le dichiarazioni programmatiche del '68 e si confrontano con la gestazione e la realizzazione di Apocalypse Now, si vede come il progetto coppoliano si è sviluppato in maniera coerente sul doppio binario merce/ideologia, commerciabilità/autore: questa strategia del ragno è stata tessuta con quell'incredibile tenacia ed efficientismo che contraddistingue le gesta del nostro. Si può dire che nel '68 quei pronunciamenti utopici, quei progetti disincantati di lavoro suonavano cinici e ambigui in bocca a un ex studente della UCLA non ancora trentenne: sembravano un alibi teorico per poter lavorare liberamente nell'industria di sempre, per vendersi con una formale presa di distanza in tasca. Viste col senno di poi degli anni Settanta quelle impostazioni strategiche non sono così difficilmente etichettabili. Assumono uno spessore teorico e una dignità progettuale, nel momento in cui propongono un percorso dentro le istituzioni alla ricerca di un potere personale e di una forza d'urto politico-culturale che consentono poi l'affermazione, in totale autonomia, dell'Autore. L'impatto col genere povero, Coppola lo deve alla scuola di Corman, Corman lo chiama quando ha bisogno di un aiuto che costi poco: assistente alla regia, tecnico del suono, direttore dei dialoghi, regista della seconda unità, sceneggiatore. Senza conoscere il russo scrive i dialoghi di un film sovietico girato a ruota del lancio dello Sputnik, che Corman rimonta e 5 distribuisce con il titolo di Battle Beyond the Sun. Nello stesso anno, 1963, tocca un'operazione simile a un altro film russo. È poi direttore dei dialoghi di The Tower of London,tecnico del suono di Young Racers e addetto alla produzione di The Terror. Una vasta attività di uso a tutti livelli del mezzo immagine. Non disdegna nemmeno il cinema commerciale per antonomasia: il porno; si pensi al film porno di 15 minuti che si chiama Tonight for sure. Ancora ispirato al cinema pornografico è lo short The Peeper, un gag basato su un anziano voyeur che tenta di spiare le modelle fotografate vicino casa sua. Lo short ha una storia complicata in quanto la casa che ne sfrutta i diritti ha un altro film da smerciare, un western, una sorta di vedo nudo di bassa lega. Questo film viene montato e tagliato insieme a The Peeper. Il risultato finale è The Wide Open Spaces. Con questo bagaglio tecnico, Coppola realizza il suo primo film. Durante le riprese di The Young Racers, Francis è in Irlanda con la troupe di Coran. Qui incontra la futura moglie Eleanor e si fa in quattro per realizzare un progetto di cui ha soltanto l'intuizione originale. Che non è poi altro se non la politica di Corman di perseverare in un prodotto di cassetta, di realizzare film con scarti di un altro. Strappa a Corman un finanziamento di 20mila dollari, dati a condizione che il film porti un titolo commerciale e sia realizzato rapidamente. Francis scrive la sceneggiatura in tre giorni e mezzo. Gli attori saranno gli stessi del film di Corman, Luana Andrews e Patrick Magee. Nel frattempo l'abile cineasta riesce a vendere a un produttore inglese che abita a Dubino i diritti della distribuzione del film in Inghilterra: sono altri 20mila dollari, che raddoppiano il budget del film. Dementia 13 /Terrore alla tredicesima ora, ora si può fare. Il risultato finale è il film più divertente che Coppola abbia mai fatto, secondo quanto il regista confessa, ma certamente non un capolavoro. Nello stesso anno di Dementia 13 ottenne il suo primo premio: è il Samuel Goldwin per la migliore sceneggiatura originale, vinto con Pilma Pilma, una sceneggiatura che non sarà mai filmata. Ma intanto il nome di Coppola inizia ad affermarsi come sceneggiatore di prestigio. Gli Studios iniziano a cercarlo. La Seven Arts lo assume a 375 dollari a settimana. Francis fa un po' di tutto. Soprattutto riesce a rimettere in piedi un soggetto a cui nessuno si sentiva più di mettere mano: il racconto di Carson McCullers Riflection in a Golden Eyes, che la Seven Arts ha opzionato per 50mila dollari. La Seven Arts è soddisfatta dal lavoro del giovane e gli commissiona la prima sceneggiatura, insieme a Vidal, del film di Clement, Is Paris Burning?. SI tratta di un terzetto stranamente assortito, cui si aggiungono due sceneggiatori francesi di grido, Aurenche e Bost. La doppia dipendenza della produzione americana e della committenza francese è troppo forte per consentire qualche spazio creativo al nostro. Il gruppo è costretto ad autocensurarsi per paura di De Gaulle, e lo stesso Clement è succube del produttore Graetz. Francis riesce a trarre qualche vantaggio dal rapporto 6 Warner-Seven-Arts non capivano perché questo scrittore e regista girovago volesse fare quell'eccentrico film, così personale; ma siccome pretendeva solo 750 mila dollari, era meno della metà dei soldi che avevano pensato di dagli per Mame, gli firmarono l'assegno. Nasce così Non torno a casa stasera, oggi uno dei cult movies della New Hollywood, il film che tocca uno dei vertici più alti dalla parte dell'autore. L'ideologia antihollywoodiana sale a una temperatura che ritornerà solo con il napalm espressivo di Apocalypse Now. Esplode l'Europa e il mito del regista consacrato alla critica alta. Si ribadisce la ribellione dello star system. Ci troviamo di fronte ad un transitional, uno strumento della storia, un segno del cambiamento profondo tra la vecchia e la nuova Hollywood; una ribellione che passa attraverso i circuiti stesso dell'apparato iconico statunitense e che conduce il cinema americano a un nuovo standard produttivo, a un nuovo livello, a un nuovo ciclo. Il ruolo che ha Coppola come agente storico di un processo di trasformazione di Hollywood è quello di innestare elementi anormali nel senso stesso di quel sistema e nel segno della continuità. Non torno a casa stasera è il massimo vertice della rottura con Hollywood e insieme un prodotto pilota cui guarderà come modello non tanto il cinema d'avanguardia quanto la Hollywood degli anni Sessanta. Quindi l'oscillazione di Coppola, in continuo conflitto tra i film personali e i film commerciali non ha ragion d'essere, o almeno viene risolto dalla storia di quest'ultimo decennio. Se la analizziamo sincronicamente la filmografia coppoliana oscilla ritmicamente tra il personale e il commerciale; vista diacronicamente la forbice si chiude in una unitaria tensione di sintesi dei due fattori, che saranno poi le due chiavi caratterizzanti l'intero riciclaggio hollywoodiano degli anni Settanta. L'odissea delle riprese di Non torno a casa stasera, è un'esperienza produttiva irripetibile nel panorama del cinema americano, anche in quel genere ormai classico cui si potrebbe accostare, quel road movie psicologico e ideologico che ha prodotto negli anni Settanta alcuni capolavori. L'unico rapporto che non funziona è con l'attrice principale, che infatti resta un'apparizione isolata nell'universo filmico coppoliano. Della troupe fa anche parte George Lucas. Non torno a casa stasera è un grosso insuccesso, tanto quest'opera personale eppure dotata di tutti i presupposti di una nuova spettacolarità anticipa i tempi. Il film rappresenta una cesura anche nella biografia coppoliana. Dopo quel film Francis rifiuta Hollywood e si sposta a San Francisco, per costruire un proprio Studio. Si conclude così un itinerario storico-mitico che porta dal vecchio al nuovo continente, poi dalla East alla West Coast e infine dalla disumana Los Angeles all'europea San Francisco. Dall'Europa all'America e poi di nuovo all'Europa, perché San Francisco guarda all'Europa e guarda all'Oriente, che palpita nelle sue pagode e nelle 9 sue collezioni d'arte. La cultura europea e quella orientale, insieme, hanno prodotto il fenomeno storico dell'avanguardia americana, della beat generation di Kerouac, Ferlighetti, Ginsberg. L'America con le sue tecnologie sofisticate e i suoi miti della strada, l'Europa con le sue tradizioni intellettuali e la sua disperazione quotidiana, l'Asia con i suoi riti arcani e la sua lezione di autocoscienza, si fondono a San Francisco. E poi c'è il Vietnam, dove storia americana, ideologia europea e introspezione asiatica si fondono. Coppola non può che approdare lì e la stampa guarda con stupore al suo gran rifiuto di Hollywood. L'edificio di Folsom Street diventa una meta di pellegrinaggio per gli studenti di cinema, acclamato come un porto franco dalla critica d'avanguardia. Nasce l'American Zootrope, un nome destinato a diventare famoso: significherà anche la vita e il movimento del nuovo cinema americano. L'American Zoetrope diventa un polo di aggregazione di molte intelligenze del cinema anglofono. Molti i progetti in ponte, ma uno solo viene realizzato:è THX-1138, che segna l'esordio di Lucas nella regia, l'ennesimo caso di un fiasco che sarà rivalutato, sino a diventare un cult movie. Ma intanto la Warner prende a pretesto il disastro economico del film di Lucas per sciogliere tutti gli impegni con la Zoetrope. I biografi di Coppola parlano di un “Black Thursday”, il giovedì nero, quando la Warner boccia THX-1138. Da questo momento la Warner rifiuta le varie proposte che vengono dai giovani della Zoetrope: un soggetto di Milius su una squadra di berretti verdi operanti ai confini della Cambogia, che Lucas vorrebbe dirigere e che si chiama Apocalypse Now, una proposta di Katz e Huyck; un progetto di Robins e Barwood, Stingray. A un periodo di grandi entusiasmi e di ambiziosi progetti produttivi, subentra uno dei tipici cicli bassi di Coppola. È, ancora una volta, un momento di intensa riflessione teorica sul mondo dei media: Coppola aggredisce unitariamente il fronte dei mass media, quell'universo iconico che si sta trasformando a ritmi vertiginosi e a livello planetario, trascinando con sé lo stesso cinema, con i suoi rapporti ormai datati pubblico-sala buia. L'American Zoetrope entra nel giro della pubblicità televisiva e apre una sezione specializzata in film didattici ed educativi. Coppola sa fare di necessità virtù. Questa fase di stretto approccio alle tecnologie elettroniche e alle nuove tecniche di veicolazione dell'informazione ha certo contato molto nel successivo sviluppo del suo cinema. Si veda l'uso del videotape e delle tecniche di riproduzione elettronica in genere in Il Padrino e in Apocalypse Now. La tecnica del videotape e dell'improvvisazione registrata era stata già inaugurata, soprattutto per ragioni di risparmio in sede di riprese, ai tempi di Buttati Bernardo!. Al di là dell'esperienza teorica la barca di Coppola & C. rischia di affondare. Così Coppola torna al Sud, nella Hollywood tentatrice: la Paramount gli ha chiesto di dirigere Il Padrino. Anche nei 10 confronti di questa nuova chance produttiva, Francis gioca al rialzo. Non torna a Hollywood col capo cosparso di cenere, inizia anzi un braccio di ferro con Evans per ottenere più soldi, più giornate di lavorazione e alcune garanzie: la scrittura di Marlon Brando e Al Pacino, e la collocazione di parte delle riprese in Sicilia. La Paramount dapprima risponde di no a tutte le richieste, e Evans si chiede seriamente se non sia il caso di affidare il film a un altro regista, poi poco alla volta cede. L'alleanza tra Coppola e Puzo, autore del bestseller che ha venduto 14 milioni di copie e cosceneggiatore del film, ormai marcia a gonfie vele. Finisce così che il film viene a costare 6 milioni e 200 mila dollari, rispetto ai due milioni e mezzo preventivati, che Brando e Pacino entrano nel cast, che si gira anche in Sicilia. Persino certi impedimenti di tipo politico vengono superati e risolte anche le ultime questioni finanziarie. Il film è il trionfo del prodotto e anche della qualità. Il colossale monumento allo star system è un saggio di grande dignità formale. L'importante è che Coppola sia riuscito ancora una volta a condurre in porto un progetto che minacciava di saltare. Vince anche l'ultima questione, quella della lunghezza del film, che dura tre ore contro le due e mezzo massime che la Paramount gli aveva concesso: stavolta, è lo stesso Evans che, visto il montato, è talmente entusiasta da proporre di allungare la versione finale. È un colossal anche nella durata, che rompe la lunghezza canonica del film, ma suggerisce con i suoi tempi diversi anche un diverso rapporto tra la audience e lo schermo, quale sarà praticato negli anni successivi. Il successo del Padrino è incredibile: guadagna 200 milioni di dollari, un buon 6 per cento dei quali va a Coppola. La maschera di Brando sfonda a livello mondiale e persino la musica di Rota diventa un successo internazionale. Alla premiazione del '73, Il Padrino avrà tre Oscar: miglior film, miglior attore protagonista e migliore sceneggiatura non originale. Le azioni della Paramount salgono dai nove dollari del 1970 ai 33 e mezzo del '73. Coppola è milionario e può orientare la sua vita a piacimento, realizzare i progetti nella molteplicità dei suoi ruoli, il regista, lo sceneggiatore, il produttore. Quest'ultima parte è quella più seducente: la figura del producer-director è quella destinata a prevalere nel nuovo panorama hollywoodiano, è il ruolo che consente il potere personale, il patrocinio degli affiliati, il controllo stesso e l'indirizzo di una politica culturale. È infine una scelta nella continuità col maestro Corman. Può imporre facilmente alla Universal la distribuzione di American Graffiti del suo pupillo Lucas, e firmare con la Paramount un contratto a rischio ma con la percentuale di lusso per il seguito del Padrino. Nei soli primi 4 mesi del 1975 Il padrino parte II guadagnerà 22 milioni e 800 mila dollari: a parte una ritenuta della Paramount sul milione e 200 mila dollari, la Coppola Company ha un netto di almeno un milione e 728 mila dollari. Coppola diventa il rifondatore di una delle grandi majors hollywoodiane, 11 Intanto la sua azione e il suo controllo si estende a varie branche del mondo della finanza e dei media in particolare. Poi un'attività frenetica di investimento in campo edilizio, con qualche attinenza con l'arte. Poi un nuovo sconfinamento in altri settori mediologici, radio televisione e stampa. Infine un tentativo importante nel campo della distribuzione; entra, con un cospicuo pacchetto di azioni, nella Cinema 5 di Rugoff, una società di distribuzione che ha un certo peso nel mercato delle importazioni. Si tratta di un primo passo per il controllo, oltre che della produzione, anche della distribuzione: un altro rischio, stavolta calcolato, da manager navigato e da giocatore di borsa; un attacco indiretto al sistema coercitivo e masochistico delle majors. Coppola trova anche il tempo di dedicarsi all'arte, allestendo un paio di regie teatrali gratificanti e poco impegnative. Coppola è diventato il Sultano di San Francisco. E da questo suo solido feudo può partire per la progettazione di quel piano storico che è Apocalypse Now. Perché Apocalypse Now è un progetto a lungo termine di rifondazione del cinema americano, di ridefinizione dei rapporti con l'Europa, di ridiscussione degli elementi costitutivi del medium cinema. La fase che possiamo definire come progetto Apocalypse punta alla realizzazione di un film che deve costituire una tappa obbligata nella storia del cinema, un prodotto che deve essere la summa delle tensioni artistiche e degli sforzi produttivi precedenti. Il fan di Blow Up e il manager appoggiato dalla Gulf si uniranno in uno slancio per fare di Apocalypse un inno all'Autore Superstar. Ma il corpo fisico del film è anche un pretesto per innescare un macroscopico meccanismo produttivo: di immagini, di ideologia, di potere. Attraverso Apocalypse e attraverso la sua assunzione in un empireo artistico e in un pantheon della memoria storica, Coppola potrà porsi come centro motore di un rifondato meccanismo produttivo internazionale. Apocalypse deve vincere a Cannes per dare al nuovo tycoon quell'aura mitica che lo porrà come polo possibile del cinema mondiale, punto di riferimento e agente in un ciclo di profondo rivolgimento. Apocalypse sarà la garanzia culturale e la consacrazione intellettuale che potrà eliminare lo storico complesso di inferiorità del cinema americano nei confronti delle cinematografie più colte. Una volta creato Apocalypse, si possono fare i conti con Kurosawa, Wenders, Syberberg, i mostri sacri del cinema d'autore euroasiatico, di cui Coppola sarà padrino e sponsor. Per realizzare questo piano ci vogliono cinque anni. Dopo aver accantonato un progetto accennato in un'intervista, Coppola rivolge tutta la sua attenzione al vecchio progetto di Milius, che un tempo avrebbe dovuto essere girato dal fedele Lucas. A suo tempo, Coppola aveva consigliato a Milius e Lucas, che gli chiedevano come dare più corpus alla fragile struttura del racconto, di ricorrere a Cuore di tenebra di Conrad. Sarà l'idea vincente, quella che riuscirà a fare del Vietnam del film un Vietam dell'anima. 14 Comincia così la lunga odissea di Apocalypse Now, che la moglie Eleanor segue passo passo in un diario, poi pubblicato dopo l'uscita. Il costo inusitato (30 milioni di dollari), le disgrazie, i cataclismi naturali rendono leggendario il film molto prima della sua uscita. C'è solo un film, in epoche recenti, in cui l'organizzazione, i tempi, i modi della produzione e del set siano famosi almeno quanto il corpo finale del film: Novecento. Apocalypse è un film dell'eccesso. Anche la sua gestazione ha qualcosa di eccessivo. Diventa un film-mito per il pubblico che lo aspetta, e una sabbia mobile per Francis, che affonda sempre più nella sua impotenza creativa e produttiva. Ha messo quattro anni della sua vita in questo film, è completamente ossessionato da questa sua creazione. Per Coppola, Apocalypse è più di un film , è la vita stessa. Vi riversa tutta la sua vena autodistruttiva. In questo fosco travaglio interiore si inserisce anche un episodio che va segnalato. Nell'aprile 1977 Coppola sta girando per il secondo anno nelle Filippine. Scrive un lungo memorandum ai suoi impiegati e soci americani in cui sfoga tutte le sue ansie e le voglie di abbandonare. Si sono chiuse le illusioni della Zoetrope, è finito i paradiso di un circolo amicale dove si progetta il cinema degli anni Ottanta. Critica fortemente le majors e le distribuzioni, dicendo che hanno solo una cosa che serve ai cineasti: il capitale. Il testo contiene tutti i conflitti di Coppola, le contraddizioni del suo carattere: la generosità mediterranea e il sospetto di essere sfruttato, la smania artistica e il complesso del ricco, il rifiuto dell'establishment e la riproduzione delle sue regole di potere. Ne viene fuori la sicurezza estrema e la patologica insicurezza che convivono nella sua personalità, fatta di slanci vitalistici e di depressioni cliniche. Il memorandum non resta ad uso interno dei collaboratori, ma viene pubblicato a sorpresa su Esquire. Il press book di Apocalypse Now e il libro di Eleanor sono una fonte esauriente per ricostruire le vicende di questo colossal. Già la scelta del protagonista è difficile; poi la giungla. Come attore viene scelto Martin Sheen, incontrato casualmente all'aeroporto di Los Angeles. Vengono scelte le Filippine perché somigliano al Vietnam e perché l'esercito locale ha in dotazione gli stessi elicotteri di quello americano. Le riprese iniziano il 26 aprile nell'isola di Luzon e durano fino al 15 maggio. Il 18 maggio il tifone Olga distrugge scenografie e materiali tecnici: un milione e 300 mila dollari di danni. La troupe ritorna negli Stati Uniti. Fine luglio: riprendono le riprese in un villaggio vicino Manlia. Il 7 agosto si gira la sequenza del Ponte di Do Lung, una delle più costose del film: il pinte deve essere ricostruito per poter esser distrutto con gran spreco di dinamite. (…). Il 21 maggio 77, un anno e due mesi dopo l'inizio, le riprese si concludono e inizia un'altra tormentosa fase di montaggio e di edizione, che dura sino a pochi giorni prima del Festival di Cannes. 15 Coppola fa di Cannes uno straordinario trampolino di lancio e insieme un test per se stesso e per il pubblico: presenta infatti, caso senza precedenti, due versioni del finale del film. La prima alla serata ufficiale dei film in concorso, la seconda in maniera più clandestina e ufficiosa. 1. Nella prima Willard, il capitano mandato in missione per uccidere il fanatico colonnello Kurtz, esegue l'incarico ed elimina il mostro; poi abbandona il villaggio dei seguaci di Kurtz e torna alla civiltà. 2. Nella seconda versione il capitano uccide si il colonnello deviante, ma in qualche modo lo sostituisce rimanendo al villaggio come nuovo dio e capo. Tagliare la scena del ritorno alla civiltà significa cambiare il senso del finale, e un finale al posto dell'altro stravolge il senso complessivo del film, ne cambia il significato. Coppola si presenta con tutte le sue irrisolte incertezze d'autore. Fa di questo dubbio espressivo una ragione produttiva e un motivo di fascino. Resteranno in circolazione i due finali possibili. Al pubblico la scelta. La non scelta dell'autore è cosa senza precedenti per le regole distributive storicizzate. Ma l'autore è la superstar; in questo caso è anche il padrone del film, in senso letterale perché ne possiede il negativo. La United Artists ha solo i diritti di distribuzione, non possiede il film. Il producerdirector ha infranto così l'ultimo tabù, l'autore è anche il proprietario. Il padrino Coppola è anche il padrone dei suoi tormenti creativi come degli incassi. A Cannes Apocalypse vince la Palma d'oro ex aequo con il film Il tamburo di latta. La giuria adotta una decisione salominca che scontenta tutti ma mette sullo stesso piano la qualità europea e il capitale americano sbarcato sulla Croisette. Dopo si apre il dibattito: Apocalypse Now è l'argomento dell'anno. Il film consacra se stesso come caso storico e il suo autore come rigeneratore di un cinema che si credeva ormai morto. Di quel cinema rinascente, Coppola si è fatto paladino: a distanza di un anno dalla Cannes di Apocalypse, al Festival del 1980 Kurosawa vince (ex aequo) con il suo Kagemusha; il film è finanziato da Coppola e Lucas. I cahiers du cinema celebrano la famiglia “Coppola”, sanciscono l'alleanza tra la nuova Hollywood e il nuovo cinema europeo. Coppola può essere soddisfatto: è riuscito a coniugare studios Hollywoodiani e autonomia creativa, commerciale e personale; è riuscito a fare delle sue schizofrenie una forza. Attorniato da collaboratori che provengono dalla cultura cinematografica più che dall'industria, circondatocome una grande famiglia dai giovani che ha lanciato, Coppola tenta di collegare le intelligenze più vive del cinema mondiale, di saldarle su un piano di rifondazione del mezzo cinematografico, in nome dell'Autore. Un sogno lungo un giorno, come suona il titolo del suo film: e in questo clima di rinnovato amore si ricompone la famiglia di Coppola. II film (1963-1979). 16 Bernardo. Anche lui alla ricerca di un'identità; anche lui pieno di rabbie e di violenze represse che devono prima o poi esplodere. “Hi mom saluta De Niro nell'ultima inquadratura, ripreso dalla televisione. E pare salutare, come Bernardo, la mamma vera e la grande mamma, la civiltà delle immagini, l'opulenta società del benessere. De Palma però vi irride con un ultimo gesto dissacratorio. Coppola concilia. Ed è questo compromesso, il ritorno alle rassicuranti certezze, la sintesi pacifica dopo le fratture dolorose, che vuol significare il finale di Buttati Bernardo: Bernard ed Amy, che ormai l'ha conquistato, visitano una fabbrica di biscotti; e l'happy end si conclude su un'immagine simbolica di biscotti impastati che si allacciano e si annodano come cuori dei due innamorati. La famiglia trionfa di nuovo, il nuovo nucleo si salda su nuovi valori. Anche nel film successivo la saga familiare continua, incarnandosi nella figura mitica di Fred Astaire, vero cadavere nell'armadio della Hollywood classica. “Sulle ali dell'arcobaleno è una delle più brutte commedie musicali mai girate. Coppola mette in mostra una incapacità totale di filmare anche il più minuscolo dei balletti e impiega il solito trucco: da un piano all'altro si cambia di posto, e infine tutti si mettono a camminare mentre la macchina effettua un movimento spettacolare”. Si fa il confronto col musical omonimo di Lane e Harburg da cui i film è tratto, un successo di Broadway nel 1947, famoso sia per le musiche che per le tematiche sociali avanzate. E il film esce distrutto. Il film è stato girato senza voglia e senza gusto, attualizzando la sensibilità negra nel modo in cui la gente ha vissuto troppo a lungo a Beverly Hills immagina sia, viene detto. Ricordiamo che questo è il successo commerciale che consentirà a Coppola di fare il primo grande balzo di carriera. Bisognerà chiedersi quali siano le ragioni del disgusto della critica. Effettivamente si tratta di un brutto film: datato, fastidioso, ridicolo in alcuni suoi eccessi. Un prodotto ibrido, che non soddisfa l'amante del genere hollywoodiano e non contenta chi vuole rivoluzionare Hollywood, così evidente è il marchio della Warner Bros. La strategia che Coppola ha chiamato una volta è “alla Hitler” (rivoluzionare il sistema ripercorrendolo dall'interno) per mostrare la corda. Ma come si spiega il successo posteriore del film? Bisogna dire che il fascino del film deriva proprio dal suo ibrido, dalla sua miscela kitsch, da sapore dubbio. Un musical che si traveste da film engagé, una fiaba danzante che assume i toni di film orrorifico. Il clima cambia rapidamente: l'orrore diventa un gioco esotico. È proprio l'elemento freak che può interessare oggi. Perché il vecchio divo, decadente, e con gli occhi rossi, è una sorta di zombie, di immagine ingombrante ma amata del vecchio cinema hollywoodiano. Coppola tenta di coniugare i canoni della vecchia Hollywood con la freschezza delle idee della nuova generazione. Sulle ali dell'arcobaleno è un film stridente, senza la bella confezione del vecchio musical, tutto è finto, la messinscena e la mdp sono spesso rivelate. 19 In più c'è l'ideologia. Non tanto quella datata del vecchio musical di Lane e Harburg, quanto quella più attuale della generazione di Coppola: oltre ai sit-in ricorrenti si segnala il poliziotto, ormai una maschera ricorrente. C'è anche un'ideologia per assenza. Meno appariscente, e forse inconsapevole, è la sottile critica al mondo delle merci e allo stesso sistema hollywoodiano. Così, almeno, si può leggere tra le righe: nel lungo colloquio ideologico tra Finian e Og, che sostituisce l'originale pezzo cantato del vecchio musical. L'oggetto della discussione è l'oro, o meglio il feticcio che esso rappresenta. Nell'ultima sequenza Finian-Astaire se ne va verso la favolosa Glocca Morra. Ha compiuto la sua funzione, ora non serve più. Con lui, se ne va la vecchia Hollywood. All'orizzonte, sui titoli di coda, un arcobaleno e un'autostrada: sembra una calcolata premessa alla strada su cui si muoveranno i protagonisti di Non torno a casa stasera, la strada che percorrerà Coppola, su un pulmino in giro per l'America, a praticare le sue Utopie produttive ed espressive. Non torno a casa stasera viene girato per reazione contro Sulle ali dell'arcobaleno, Coppola era furioso di essere stato obbligato a lavorare negli Studi per questo film e per quella atmosfera alla Warner. Coppola ha tagliato il cordone ombelicale con gli Studi Hollywoodiani. Gira per cinque mesi l'America, a fare il suo film più personale. Il risultato è un film forte e delicato insieme, che inserisce nel canovaccio aperto del travel movie i motivi psicologici e psicoanalitici del dramma borghese. L'occhio della mdp è come una sonda che scava dentro i protagonisti, li accompagna nei loro viaggi personali alla ricerca di un trauma originario. Questa è la storia di una serie di traumi, personali e sociali, che coinvolgono tutti. Il fascino di Non torno a casa stasera sta, oltre che nello scarno plot narrativo, in una tecnica personalissima maturata nell'ammirazione del cinema europeo. Il film è risolto alla moviola di più che in sede di riprese, scatta stilisticamente nel montaggio ricco di sequenze alternate. La dimensione della memoria ha lo spessore di una narrazione parallela alla trama del film: le storie dietro emergono e sopraffanno la storia reale. Si veda il vagare di Natalie prima dell'incontro con Killer. In macchina, sul tergicristallo bagnato di pioggia, le immagini sfocano in scene da un matrimonio, gli esterni del presente si alternano agli interni del passato. E la realtà già vissuta appare come in un acquario. Il titolo originale significa “La gente della pioggia”, a indicare uno stato d'animo sfuggente, instabile, un'esistenza senza senso. Durante la prima sosta nel motel la memoria è la protagonista, il presente è fatto di silenzi, di chiaroscuri contrasti, di effetti soffocati. Tutta la prima parte dl film è fondata sui silenzi, sui dettagli, sugli indizi della realtà scoperti casualmente della mdp. In qualche modo ugualmente sommersi, come sottovuoto, sono i frammenti di memoria che affiorano durante la ricostruzione del passato recente di Killer. Gli accostamenti del montaggio risentono molto dell'Europa. Vari altri sono gli 20 elementi europei del girato: il lungo pianosequenza, senza soluzione di continuità, in primo piano, della telefonata del marito. Durante la nuova sosta nel motel Coppola fa un piccolo saggio sulla tradizione europea del doppio: la sequenza inizia con l'immagine di Natalie allo specchio che si sdoppia improvvisamente, si triplica; e nello specchio appare il suo doppio, quel suo altro che la naiveté di Killer rappresenta. Davanti allo specchio comincia uno snervante gioco sadomasochistico tra i due. Il gioco del mago dice, infatti, in cui Natalie fa ubbidire Killer e lo tortura sottilmente provocandolo col corpo, non è altro che la prima verifica della potenza della donna e sulla sottomissione dell'uomo. Infine, in una scena di festa, nel paesino dove i due sono capitati, Coppola pare adattare alle atmosfere americane alcune suggestioni rosselliniane, il perdersi della folla e il trovarsi. Il film è pieno di spunti narrativi eccellenti. I personaggi sono diafani, come i fantasmi di cui parla killer in macchina. Così è la “gente della pioggia” di cui si parla nel film: “La gente della pioggia è fatta di pioggia, così che, quando piange, sparisce”. La macchina da presa indugia su piccoli dettagli della vita quotidiana. In questo clima rarefatto di favola, si muovono e si incontrano le coppie di fantasmi di Coppola: Natalie e Killer, attratti da un legame di dipendenza reciproca, sempre più coinvolti in un rapporto viscerale fatto di gelosie e di fughe, come possibili amanti e come madre-figlio. Gordon e Rosalie, un altro rapporto padre-figlia complicato di gelosie e possessi. Rosalie e Killer, la bestia e la bambina. L'unico legame con la realtà è ancora una volta il telefono. Solo nelle telefonate emergono le tracce della storia reale. Non a caso, la gelosia di Killer esplode davanti al telefono: dopo aver a lungo disturbato la telefonata di Natalie al marito toglie la linea. E Gordon recupera l'approccio amoroso dicendo: “così mi piace, è come se parlassimo al telefono”. Come se parlare per telefono volesse significare il recupero di una conversazione altrimenti impossibile. Proprio alla Conversazione, Non torno a casa stasera si lega intimamente. Non solo perché i due film sono pensati all'incirca nello stesso periodo, ma anche perché vi si respira un'aria europea molto diversa dalla grande restaurazione commerciale e spettacolare dei Padrini. Ambedue i film potrebbero porre sotto un segno d'autore: quello di Antonioni. La filiazione è del resto dichiarata: Coppola ha in mente la Vitti per Non torno a casa stasera, mentre La conversazione è riconosciuto come il Blow Up americano. Come il cinema di Antonioni, i due film di Coppola affrontano gli incubi dell'incomunicabilità, della casualità che regola i destini umani, del bisogno di fuga, della volontà di rottura col presente e col quotidiano. L'Europa plaude al film “europeo” di Coppola. Non torno a casa stasera vince il primo premio europeo del regista, quello di San Sebastiano. Nei botteghini americani è un disastro, i critici sono divisi, con una 21 l'interno della chiesa, convenzionale e rituale, è montato alternatamente con l'esterno, ritualizzato dalla morte. Diane Jacobs analizza la sequenza iniziale delle nozze: l'oscurità dell'ufficio del Don è giustapposta alla luminosità del piazzale dove si svolge la festa: nel montaggio alternato lo studio diventa più chiaro ed emerge dal buio il volto del Don. Poi i due mondi si fondono e Don Vito “esce dalle sue stanze cavernose”. Luce e ombra danno l'immagine di un'ambiguità morale, di una sospensione del giudizio, del grande padrino Corleone come del promettente padrino Coppola; al di là del bene e del male. Lo stile del film è quindi deliberatamente classico e semplice: “Non vi si trovano movimenti di macchina complicati né zoom, una semplicità destinata in parte a evocare i film degli anni Quaranta, ma anche a lasciare la tecnica in disparte per permettere agli attori una maggiore libertà di espressione”. Classico è dunque anche il cinema hollywoodiano con cui Coppola si misura, senza timori edipici. Anche lui fa i conti, come Mike Corleone, con il padre, che si presenta stavolta anche nei panni di Cagney e del gangster film. Hollywood incombe come immaginario del disastro: nell'episodio di Los Angeles e in quello di Las Vegas. Nel primo episodio c'è una Hollywood ancora superba, seppure insanguinata e morente; nel secondo c'è un'immagine sclerotizzata di corruzione e di sfascio de mondo dello spettacolo. È significativo come l'episodio di Hollywood, così pesante nel libro di Puzo sia stato ridotto ai minimi termini. Hollywood è presente si, nel film, ma in modo quasi sublimale, come una visione attraente e repellente insieme; come una memoria di immagini già viste. I generi e l'autore si incontrano di nuovo forse nella sintesi estrema, coppola ha saputo malgrado tutto conciliare le proprie visioni personali con l'anonimato della grande produzione di genere; nel Padrino Coppola ha quasi riconciliato gli impulsi artistici e commerciali esistenti nelle sue opere. Due anime che restano nel suo cinema; la riprova è che a questa epica Via col vento segua la sommessa e introversa Conversazione: un altro film noir e un nuovo apologo morale. Incastrato fra due prodotti colossali, La conversazione è un piccolo gioiello di semplicità nella struttura narrativa e per forza drammatica. Allude agli avvenimenti reali nel Watergate, intuisce in anticipo sui tempi il costume di un'epoca. L'istinto del poeta precede la realtà e dimostra come sia vero il paradosso di Oscar Wilde secondo il quale la vita imita l'arte. In effetti, se è vero, come afferma Coppola, che la sceneggiatura risale al periodo '66-'69, si deve notare una sconcertante somiglianza dei casi-limite narrati nel film con lo scandalo vero delle intercettazioni del passato alla storia come “affare Watergate”. Ma il film pone problemi di altro genere. Anzitutto la sconcertante capacità di Coppola di passare dal musical di cassetta ai toni delicati della gente della pioggia, dalla megaproduzione del Padrino a questo film con pretese d'artista. 24 Si è già detto che La conversazione nasce con una formula produttiva singolare. Bisogna aggiungere che l'autonomia produttiva porta il regista a misurarsi senza intermediari con le esigenze dell'autore. Si ribadisce la figura del Coppola producer-director, che fa i conti con l'arte. Il film vince la Palma d'Oro bruciando sul filo di lana altri eccellenti prodotti del nuovo cinema americano. Il sospetto della critica europea verso il regista del Padrino è grande, ma il film alla lunga fa sbiadire comunque ogni polemica di corridoio. La tattica hitleriana di Coppola sembra dare i suoi frutti: percorrere sino in fondo le vie del capitale in modo strumentale e con in testa una strategia diversa, alternare il film che si deve fare a quello che si vuole fare. Ancora una volta il regista riesce a coniugare il genere americano con la poetica europea: l'esempio più lampante di una cinefilia eurocentrica è il riferimento a Blow Up; come nel film di Antonioni, La conversazione, la realtà è costruita attraverso i suoi frammenti, i suoi indizi. Come il fotografo londinese sviluppa e ingrandisce un particolare insignificante per ricavare la realtà fattuale o una prospettiva di essa, così il bugger di San Francisco filtra e amplifica i suoni per interpretare la realtà da una certa angolazione, da un certo punto di vista. Sin dalla prima sequenza, l'occhio della macchina impone un suo obbligatorio angolo visuale: da un campo lunghissimo plongé dall'alto sulla piazza affollata, la macchina cala con estenuante suspence sino a suggerire i primi particolari nella folla; un mimo, le facce della gente, una coppia; poi, in campo medio, la macchina vira bruscamente dalla sua lenta panoramica verticale e scopre l'intercettatore al lavoro. Contemporaneamente al precisarsi dell'angolo visuale, anche i suoni prendono corpo. Da questo momento, per tutto il film, la realtà è vissuta da una sola angolazione, quella di Harry, che proietta ed espande la sua lettura nel mondo sulla realtà esterna. Tanto che tutto il film, al limite, potrebbe essere una proiezione immaginaria del protagonista, una condensazione dei suoi incubi. Coppola gioca con questa ambiguità, al punto che non rivela sino in fondo se le tracce del delitto sono reali o solo immaginati dal panoramico protagonista. Le voci minacciose, le impronte di sangue, il water traboccante di sangue sono immagini troppo pletoriche per essere verosimiglianti. La violenza e la morte nascoste nella stanza d'albergo, apparentemente innocente, forse esistono solo nella testa di Harry, come del resto tutta la vicenda. L'eccesso di realtà conduce al suo opposto, così l'iperrealismo della Comversazione travalica il limite e sconfina nel surrealismo. Per questo, la sequenza del sogno è forse la più debole del film, perché è la più pretenziosa, la più confessatamente europea, con un tentato ricalco bermaniano: Harry sogna un dialogo tra se stesso e la vittima presunta, in cui confessa i suoi traumi infantili, le sue colpe nascoste e vive la scena del delitto ancora da consumare. Ma il sogno non 25 regge di fronte a un film che è tutto basato sulla mescolanza di sogno e vissuto, di realtà soggettiva e oggettiva. La dimensione onirica in questo film one view, visto dal solo angolo di ripresa del protagonista, potrebbe anche essere l'unica. Lo spettatore non sa mai più di quanto scopra via via Harry, si identifica nella formazione di questo puzzle di voci e di suoni la cui struttura finale nessuno conosce in anticipo. Anche tecnicamente, la prospettiva del pubblico si identifica con lo spazio d'azione e di riflessione di Harry; la macchina si muove con una grammatica piana e grigia, così come il grigio protagonista. Solo una volta la mdp si anima: è la sequenza in cui Harry, appoggiato alla colonna, di fronte a Meredith, si abbandona alle sue debolezze e insicurezze affettive. La mdp, con un movimento appariscente e fastidioso, panoramica dall'uno all'altro, da un campo a un controcampo e reitera lo spostamento tre volte. Un effetto che stona con la generale pulizia della confezione. La tensione eccedente l'immagine fornisce in questo caso l'indizio della tecnica esterna che la sta riproducendo. Insomma il giallo potrebbe essere vissuto solo negli intimi recessi di Caul. Coppola del resto suggerisce spesso un'identificazione del privato con l'inconscio. Tutto il film si basa sulla violazione del privato, messo a nudo, come suggerisce l'allegoria finale dell'appartamento spogliato, ridotto al suo stato naturale. Oltre a una metafora psicoanalitica, comunque il privato è anche una metafora sociologica: è una moderna immagine della middle class, la maggiore evocatrice degli incubi sociali contemporanei, materializzati da Caul col suo private eye. Un occhio privato, come quello del detective, sul mondo. Forse per questo La conversazione ha il ritmo di un thriller, alla Psyco che, come quelli di Hitchcock conduce lo spettatore a identificarsi con l'assassino piuttosto che con la vittima. L'angolazione prospettica del film ricorda del resto molto da vicino Rear Window. Anche qui l'obiettivo adotta l'orizzonte del protagonista, limitante ma anche stimolante, capace di evocare una realtà possibile. Hitchcock e Antonioni fanno uno strano melange; forse una miscela esplosiva. Fatto sta che Coppola riesce a conciliare i due mondi, innestando l'Europa nell'immaginario americano. Europeo è l'atteggiamento filosofico dell'autore; il dubbio, la sospensione del giudizio, l'epokè. Anche il linguaggio a volte ha il respiro europeo. L'eroe-antieroe di Coppola diventa definitivamente adulto: esce dallo stadio infantile e si accorge di come funziona il mondo. L'età dell'oro è finita, come è finita la stessa innocente fiducia nella tecnica. Durante il montaggio della conversazione incisa, il sofisticato registratore diventa personaggio, con tanto di campo-controcampo alternato tra l'attore e la macchina, come se si trattasse di un dialogo. È una macchina capace di ricreare la realtà. Hackman è l'America violenta o ingenua e scanzonata, o grigia, come nella Conversazione; senza speranze comunque, senza via d'uscita se non la morte o l'alienazione. A differenza di Caan, Brando, Duvall, Cazale, non è uno dei volti ricorrenti del cinema di Coppola, e a maggior ragione la sua 26 focloristico, dotato anzi di una vis drammatica originale, quasi che il siciliano fosse l'archetipo linguistico dell'umanità, un allegorico esperanto. Nel tempo espanso ed esploso del film, un luogo ricorrente ed ossessivo è quello della Festa, che si allarga a sua volta sino a diventare una metafora volutamente ripetitiva della società dello spettacolo contemporanea. Il tema era già presente nel primo Padrino: l'aria natalizia che fa da sfondo al lungo episodio del ferimento del Don pare continuare per tutto il film, tanto che la New York notturna riproduce le esili luminarie delle feste di paese siciliane; e le due feste di nozze scandiscono il film dandogli un sapore di celebrazione della memoria. Nel Padrino Parte II, invece la Festa ha perso la sua aura, si è ingigantita e sclerotizzata: la festa del battesimo di Anthony è coreografata a tavolino. La festa danzante notturna è carica di tensioni nevrotiche. Cuba è tutta una festa, un contenitore della società dello spettacolo: feste in locali notturni, parties mafiosi, la festa melodrammatica di fine anno, la festosa esplosione popolare della rivoluzione. Festa e morte si saldano, in questo secondo Padrino: lo ribadisce la lunga sequenza della gesta del santo patrono della New York inizio secolo, in cui Vito uccide Fanucci. Anche il frammento con Caan è la memoria di una festa. È l'unica simbolica presenza di un'epoca rimossa da tutto il film: quella che sta appunto tra la giovinezza di Don Vito e la maturità di Mike. Il secondo Padrino non sarebbe una prosecuzione del primo, ma un prolungamento in tutte le direzioni, anche quelle più profonde, una riflessione sull'America delle origini e su quella contemporanea; un film- saggio sul Padrino e le sue metafore. Questa lettura ideologica del Padrino Parte II è possibile. C'è indubbiamente una quantità di ideologia maggiore. Nel primo film c'erano alcuni accenni espliciti Mafia=America. Ora gli accenti sono più pesanti: “Senatore, siamo due facce della stessa ipocrisia” dice Mike a Geary; poi, colpito da un gesto di eroismo di un guerrigliero Castro, confessa a Roth: “Queste cose fanno riflettere...i ribelli possono vincere”. È la stessa conclusione che fa Kurtz nel raccontare a Willard un episodio di fanatico coraggio vietcong. I viet non hanno scelta, non possono tornare indietro: o muoiono o vincono. Si respira aria di Vietnam. Si intravede già Kurtz in questo Mike tenebroso e riflessivo, che dona la morte o il perdono, che decide il bene o il male. È già Apocalypse Now. In una sequenza di Apocalypse Now c'è un'inquadratura che rende protagonista lo stesso pubblico: è appena morto Clean, il negretto adolescente, e Chief, l'anziano capo dell'equipaggio, guardando in macchina, tende le mani verso lo spettatore e le ritira, con sgomento, rosse di sangue. Quel sangue sono l'orrore del sociale contemporaneo. Ma un orrore freddo, congelato dalla messa in scena della violenza e della morte, ibernato dalle consuetudini allo spettacolare quotidiano che uccide la Storia. La società contemporanea è un grande spettacolo, un museo di orrori. La Storia dopo aver introdotto con forza i miti che la percorrevano 29 nel mondo contemporaneo, è stata esorcizzata, scacciata dalla nostra vita, ridotta a sua volta in mito; questa storia esorcizzata di una società in via di congelamento lento o brutale, festeggia sugli schermi la sua grandiosa resurrezione. Essa è il nostro referente perduto, vale a dire il nostro mito. E come tale prende il posto dei miti sullo schermo. La Storia è uno scenario retrò. La Storia è morta, è un cadavere che si può mettere in scena come quello del negretto Clean un fossile che può essere rappresentato e simulato. La storia fa il suo ingresso trionfale nel cinema a titolo postumo. Questa sua riapparizione non ha un valore di presa di coscienza, ma di nostalgia di un referente perduto. Uno di questi referenti perduti è proprio il Vietnam, mito generazionale dell'America dei campus, divenuto oggetto retrò e dunque nuovo genere possibile. Il Vietnam viene rapidamente bruciato, surgelato e serializzato nella logica del revival. Bisognerebbe notare semmai che la scoperta della storia avviene anche in maniera diversa: nel senso che esiste anche un genuino recupero, come campo cui attingere in modo nuovo e originale. Che la si intenda come un cadavere o come un oggetto ancora attivo la Storia irrompe anche nel cinema di Coppola. Attraverso un repertorio di temi che vanno dalla società dei consumi al problema razziale, dalle contraddizioni del capitale al Vietnam, dal Watergate alla rivoluzione cubana, Coppola offre uno spaccato d'America e da la temperatura dei suoi conflitti. Il tutto offerto su un piatto d'oro e con una strizzatina d'occhio all'Europa. Per questo, due percorsi dalle origini culturali tanto diversi, come il cinema europeo e il cinema hollywoodiano del Nostro, possono incontrarsi in una comune messa in scena della Storia, rappresentata nella sua immagine odierna, la catastrofe. Non una storia degli uomini, ma storia dell'umanità. Non un film di catastrofe come film. Fine del mondo, diluvio universale, cosmo nel suo morire. Una sentenza memorabile, che potrebbe essere usata a epigrafe di AN. In ambedue i film entra la Storia; in tutti e due, se si vuole, nella forma congelata, fossile, di cui parla Baudrillad; sotto vetro, come la Black Maria. In entrambi i film irrompe il soggetto, motore ideologico, perno produttivo e cifra stilistica di Coppola come Syberberg. Sia l'uno che l'altro convergono in un progetto di sintesi tra cinema europeo e cinema hollywoodiano, attorno a un asse principale Germania-Stati Uniti. Coppola si impadronisce dei riti e dei miti europei e li amplifica con il capitale finanziario e culturale della macchina hollywoodiana. Una tale dichiarazione teorica si può rintracciare in molte sequenze di AN. Ma la spia più evidente sta nella parte del film, l'episodio centrato sul villaggio di Kurtz. Lì c'è la vera e propria rivelazione. Perché il viaggio sul fiume, pur essendo la parte più bella del film, costituisce solo la premessa spettacolare agli enunciati teorici rivelati dal demiurgo Coppols nell'antro di Kurtz. Il fiume Lung oltre ad essere l'ultimo confine con le tenebre del 30 cuore e dell'Averno è anche la barriera estrema tra America e Europa, il limite, lo spartiacque tra due modi di produzione fondati l'uno sui generi, l'altro sull'autore. Alla fine del percorso, alla conclusione del viaggio sinuoso tra la giungla Coppola espone le fonti. Alcune di esse sono sottolineate dallo stesso regista, con un vezzo intellettuale; nel santuario di Kurtz la mdp indugia su alcuni dettagli significativi: le medaglie di Kurtz, le foto familiari, poi alcuni libri; e l'obiettivo si sofferma sulle costole dei volumi: la Bibbia, From Ritual to Romance, The Hollow Men. Lo stesso titolo del film appare sotto forma di graffito. The end, la fine, come canta Jim Morrison, altro mito utopoco degli anni Sessanta e altra fonte culturale e ideologica del film. Camuffato tra gli effetti della colonna sonora c'è anche Hendrix, col suo stridente inno americano distorto dalla chitarra elettrica. Per il resto, le fonti di questo cocktail filosofico del film sono varie: c'è il richiamo, anche se un po' banalizzato, a Nietsche, c'è la teoria del romance di Frye, Il ramo d'oro di Frazer, Totem e tabù di Freud. C'è tutto il vasto repertorio di fonti sul rapporto e sul conflitto padre-figlio, che Kurtz e Willard rappresentano. Per l'ennesima volta Coppola tenta di esorcizzare il suo edipo mettendolo in scena: mentre Mike esautora progressivamente il vecchio Corleone, succhiandogli quasi il potere e la vita, così Willard sostituisce e uccide, in un rito cannibalesco, il padre-Kurtz. Il simbolico scettro del potere, o la lama del coltello sacrificale mimano il pene paterno. Inutile ricapitolare gli scontati riferimenti psicanalitici. Un tema, quello edipico, che fa necessariamente i conti con la grande tragedia greca. Mentre altri riferimenti storici e letterari sono il libro biblico dell'Apocalisse; il millenarismo medievale di Gioacchino da Fiore e dei flagellanti, quell'attesa della fine del mondo e di un Millennio rinnovatore. Un motivo questo, adattato all'oggi tramite le attuali teorie delle catastrofi e anche attraverso tutta la letteratura popolare sulla fine del mondo ritornata di moda dopo la riscoperta di Nostradamus. Altre sorprese interessanti si potrebbero avere leggendo Le radici storiche dei racconti di fate di Propp, dove si ritrovano alcuni luoghi comuni del film, tipici anche della struttura narrativa classica della fiaba: l'isolamento del re, l'equipaggiamento dell'eroe che si mette in cammino, il rito dell'iniziazione, la foresta, i cacciatori, gli diede da bere e da mangiare, il cavallo alato, calvi e ricoperti da una guaina, la testa del morto, sul vascello, il combattimento, l'uccisione del re, il ponte di corda, la marchiatura dell'eroe; sono capitoli proppiani che potrebbero titolare anche alcuni episodi del film. A proposito di fiabe esistono referenti possibili nella stessa avanguardia americana, della San Francisco di Coppola: se si legge il libro dei sogni di Kerouac, si trovano racconti di sogni incredibilmente simili alle situazioni di AN . Qualche esempio: Oh! Gli orribili viaggi, una tremenda saga familiare, una grande e strana guerra, un grande incendio ha distrutto, grossi aerei in fiamme che cercano di atterrare, disastri aerei, 31 con ossessiva ritualità: la grande allucinazione transepocale del Vietnam e quella cosmica di Hitler. Verso l'Europa sono rivolti anche gli sguardi in macchina di AN. Soprattutto nella sequenza dell'investitura, c'è una logica di ripresa basata sugli sguardi in macchina. Il montaggio trasgredisce le regole acquisite del campo-controcampo. Con inquietante insistenza i tre personaggi fissano la platea. Sheen, che invece risponde guardando come si conviene a lato della mdp, volta ad un tratto lo sguardo, gli occhi penetrano il pubblico educato allo stile anonimo del tv movie. Anche Chief a un tratto guarderà in macchina in direzione del pubblico; tenderà le mai verso il cadavere. Quel cadavere al di qua dello schermo è anche il Cinema. L'Autore Coppola aveva bisogno di ucciderlo, come ha fatto la cultura europea. Ma anche questo è un rituale, un mito tribale ed un'esecuzione edipica. Perché il taumaturgo Coppola riuscirà a far resuscitare il cinema. Non sarà un rassicurante Lazzaro, ma lo zombie spettrale dell'immaginario elettronico. E il Cinema doveva essere sacrificato ai satelliti e ai videogames, come l'agnus dei levato in volo dopo la battaglia, come il toro immolato, insieme a Kurtz, ai fasti dell'orrore contemporaneo. Kurtz-Coppola è il grande stregone, il demiurgo, forse anche ciarlatano ma non per ciò meno capace di affascinare con i suoi ipnotismi e i suoi trucchi; il mago che miscela e controlla agenti chimici diversi ed esplosivi, che si ritaglia addosso un ruolo cosmico di rifondazione del mezzo immagine di fronte all'apocalittico stravolgersi dell'apparato mediologico. Oltre che un Kurtz, Coppola è anche un Willard in cerca di una traccia, su un cammino tortuoso e difficile; un cammino costellato di tappe di spettacolo in cui l'autore brucia ogni volta le sue riflessioni sui vari generi hollywoodiani e attua i suoi confronti con i referenti europei. Come Willard, Coppola è alla ricerca di se stesso, su una strada che porta alla conoscenza interiore, che apre le vie dell'inconscio e conduce per un verso o per l'altro alle origini lontane, all'Europa del mito e dei riti fondamentali; un continente uterino, fonte e radice primaria. Come Willard Coppola alterna l'introspezione intimistica ai momenti di esplosione della realtà esterna. Per il capitano in missione sul fiume, i momenti di solitario studio della personalità dell'altro, attraverso i fascicoli riservati, scandiscono il percorso della conoscenza e della progressiva identificazione, appunto con l'altro. In maniera simile si potrebbe disegnare per Coppola una linea filmografica oscillante con ragionata geometria tra prodotti di qualità e prodotti commerciali, tra il momento di puro uso dello spettacolo e il momento di fondazione di una propria poetica e visione del mondo. Da Dementia 13 all'opera che pretende e riesce in parte a superare la dicotomia merce/arte – AN – Coppola sembra pianificare consapevolmente quel compromesso intelligente che qualche volta i cineasti europei hanno tentato di praticare. 34 Coppola vacilla mercurially tra il desiderio di fare film personali e l'esigenza di battere Hollywood sul suo stesso terreno. Un'oscillazione mercuriale, che è anche specchio della nuova Hollywood come della nuova America. Questo strano paese, dove i movie brats diventano presto padrini; dove il ruolo di ribelle può conciliarsi con quello di nuovo, ultimo e indiscusso tycoon. Il cinema di Coppola (Parte II). Da Apocalypse Now a Dracula. Apocalypse Now è il viatico per un nuovo immaginario, per la cultura del post-moderno. In questo senso è d'obbligo il riferimento a Jameson, che con il suo The political Uncounscious, è diventato uno dei perni del dibattito sul postmodernismo. Jameson, mescolando insieme Adorno, Focault, Deleuze e Derrida, teorizza un pastiche critico, di riflesso a quelli imposti dalla frammentata realtà contemporanea. Di questo doppio pastiche de linguaggi e della teoria, dei testi e delle analisi testuali, uno dei più chiari esempi è il recente cinema di Coppola. Coppola non solo è il prodotto e riflesso delle convergenze e delle commistioni che avvengono nell'universo iconico occidentale, ma è anche un lucido teorico della propria opera, un consapevole programmatore del proprio essere autore attraverso operazioni culturali e piani teorici precisi che non si esauriscono nello spazio di un singolo testo. Tanto che si può parlare degli ultimi quattro film di Coppola, dopo AN, dome di un unico grande testo. Un sogno lungo un giorno, The outsiders, Rusty il selvaggio, Cotton Club costituiscono un percorso lineare mirante a fondare una nuova ipotesi di realtà filmica. E insieme costruiscono un discorso sul cinema, costituiscono un continuum di film-saggio, dei successivi avvicinamenti, degli spostamenti progressivi verso un cinema totale: gelido ma emozionale, self conscious e naif, classico e d'avanguardia, reazionario e rivoluzionario insieme. Coppola si pone si pensa come mago e demiurgo della realtà riproducibile, maieuta di un discorso sul cinema come interpretazione del mondo. Autore ed esegeta, ambizioso critico di se stesso, offre prodotti di consumo e contemporaneamente propone la chiave del piano teorico sotteso. I suoi portavoce, le sue menti, sono Tom Luddy, ex direttore del Pacific Film Archive, e il fratello August, cui è dedicato Rusty il selvaggio; dunque due intellettuali, che suggeriscono la non umile immagine di Coppola come architetto di una nuova cultura e di una nuova realtà postmoderna. Ma al di là delle presunzioni personali si può dire che l'evoluzione dell'ultimo Coppola tende a un progetto ambiziosissimo: la rifondazione del cinema. Una rifondazione del mezzo a partire dai suoi fattori costitutivi, l'immagine (un sogno lungo un giorno), il suono (Rysty il selvaggio), l'apparato, il rapporto con il pubblico (Cotton Club) la visione filmica, lo schermo (tutti e quattro i fil, ma anche il Napoleon di Gance), per finire alle sue possibili letture e interpretazioni. L'autoriflessività del mezzo. Questo non vuol dire che al progetto Coppola corrispondano sempre 35 prodotti di pari perfezione. Non tutte le stazioni di questo tragitto progettuale sono capolavori. Dei quattro film dopo apocalisse, solo uno è un'opera d'arte. In principio c'era stato Apocalypse, film X, prodotto totalizzante, viaggio negli inferi, nel cuore di tenebra della cultura occidentale. La giungla come realtà quotidiana e viceversa, i livelli del reale e del fantastico fusi e confusi, la storia implodente e irruente come un cadavere eccellente, e quindi come mito. AN era stato la conclusione di un primo ciclo del percorso di Coppola da Corman alla palma d'oro, dalla serie B alla santificazione come Autore, attraverso tutte le tappe della new Hollywood e dei nuovi media. Con Apocalypse Coppola siglava la fine degli anni Settanta e fissava il punto d'arrivo della nostra industria hollywoodiana: la trasformazione della generazione dei movie brats in quella dei nuovi moguls, il ritorno alla vecchia Hollywood degli Studios, passando per una riappropriazione del mito europeo. Coppola inventava nuovi modi di produzione e nuove tecniche e contemporaneamente risuscitava il cinema classico; rispolverava i miti, sognava il ritorno del formato classico dello schermo; reinventava uno studio system. E mentre si cimentava con le tecniche elettroniche più sofisticate e puntava a un'onnipotenza produttiva da golden age, rendeva al tempo stesso omaggio al cinema d'Autore, partecipando alle operazioni di Napoleon, Hitler, Ein Film Aus Deutschland, Kagemusha. Questa è la fine, suona Jim Morrison. Ma è anche la fine del viaggio, il punto di arrivo estremo. Che fare di più dopo il traguardo di Apocalypse, dal punto di vista del potere del regista, del progetto culturale, del successo professionale? Che fare se non reinterpretare il mondo, reinventare la realtà sensibile? Ecco che si apre il secondo ciclo dell'iter di Coppola, il Progetto. Un sogno lungo un giorno è la prima tappa di questa nuova fase e di questo nuovo iter, Cotton Club l'ultima. In mezzo quei due film siamesi seppur opposti, I ragazzi della 56esima strada e Rusty il selvaggio. La prima di Un sogno lungo un giorno si celebra a New York nel Radio City Music Hall, il vecchio picture palace che festeggia nel 1982 il suo cinquantesimo anniversario; al Radio City Coppola è affettivamente legato. Non era mai successo, nella storia di Hollywood, che un regista mostrasse il proprio film direttamente al pubblico senza consultare la casa distributrice. E scoppia subito la polemica tra l'autore e la casa. La storia delle disavventure finanziarie del film ha riempito le cronache cinematografiche dell'anno precedente l'uscita del film. Il modo di produzione stesso del film era un dramma a suspense; il bugdet che balza da 15 a 23 milioni di dollari, Coppola che ipoteca la villa di Napa Valley, la Paramount che viene in soccorso con un prestito personale di 500'000dollari; e poi la nuova rottura: la Paramount che si rifiuta di pagare 36 pastiche, al patchwork, al puzzle di frammenti di culture e di eredità iconiche, il cui collante è l'immagine elettronica. Plastica, colore irrealista, accentuazione iperrealista della fissità, luci al neon, decor campo, costituiscono lo spazio architettonico di un universo postmoderno. Anche in questo caso l'operazione è perfettamente conscia. Per bocca del suo consigliere Luddy, Coppola accredita l'ipotesi di un film postmoderno, all'insegna del neo e del neon. E così facendo si inserisce in un dibattito che impegna i maggiori teorici americani. L'autore offre la chiave di lettura della propria opera, compresa nel biglietto d'acquisto. Ma sta forse in questo eccesso di dichiarazione progettuale certa freddezza del risultato globale. Un sogno lungo un giorno è una grande ma frigida performance visuale, un grande esperimento in vitro, con qualcosa di asettico e di sterile dentro. C'è un filo rosso che collega Cotton Club a Un sogno lungo un giorno, dal punto di vista dell'operazione, delle forme e del modo di produzione. Sia a livello di show business sia di piano culturale, i due casi hanno storie simili: ambedue hanno alle spalle una vicenda finanziaria tormentata, ambedue propongono un progetto ambizioso di restaurazione rivoluzionaria dell'immagine filmica, ambedue tentano di conciliare il grande entertainment hollywoodiano con un disegno artistico di alta qualità; ambedue in qualche modo falliscono l'ambizioso obiettivo lasciando l'amaro in bocca di un'opera incompiuta. Anche per Cotton club si può dire che la trama più complessa sia quella dello stesso iter produttivo del film. La vicenda del film inizia nel 1979 quando Evans comincia a metter su una produzione da 20 milioni di dollari sul proibizionismo visto attraverso il leggendario jazz club di Harlem. I protagonisti dovrebbero essere Pacinoe Pryor, la sceneggiatura è di Puzo; ed Evans tenta di avere il controllo economico dell'intera operazione, regia compresa. Ecco perché passano anni dal progetto iniziale e si arriva al 1983, già con dei debiti ma senza ancora una sceneggiatura che funzioni né un regista che la metta in scena. E qui entra in scena Coppola, che ha già collaborato con Puzo ed Evans ai tempi del Padrino, prima in veste di sceneggiatore, poi in veste di regista, con la promessa del controllo creativo sul prodotto. Coppola eredita Gere e Jines come protagonisti, e riscrive la sceneggiatura con Kennedy, mentre si costruisce il set ai vecchi Astoria Studios a Queens, New York, e mentre i costi del film si aggirano sui 13 milioni di dollari, senza che siano iniziate le riprese. Le quali durano un anno per vari problemi contrattuali che causano un balletto di fughe e di capricci. Il controllo di Cotton Club film è pari a quello di Cotton Club locale, tali sono le trame doppie e triple che si intersecano nel suo backstage. Quando finalmente il film è finito costa sui 47 milioni di dollari, uno sforzo finanziario enorme, come Un sogno lungo un giorno. Ma a differenza di quel film i soldi non si vedono. La bellezza e lo sfarzo delle immagini e del set non giustificano la spesa da capogiro. L'osservazione non vuole essere 39 moralistica. Serve solo per notare come il modo di produzione del film faccia pensare a un Coppola non integro e non libero, incapace di usufruire del controllo totale del film e quindi di esprimere ai livelli pi alti la sua dimensione progettuale. Resta immutata l'arte di Coppola, perfetto compositore e orchestratore di immagini. Ma è un'arte congelata, vuoi dai suoi retroscena produttivi, vuoi dal suo piano cerebrale. Le premesse e le promesse sono quello che lo stesso Time involontariamente azzecca quando conia due metatitoli per definirlo: Puclic Enemy Goes to 42nd Street e The Godfather Gets One from the Heart. Il primo titolo definisce la convergenza tra due generi classici del cinema hollywoodiano e in particolare del periodo aureo dello studio system: il musical e il gangster film. Nelle mani di Coppola lo sciatto progetto di Puzo è diventato un progetto di film saggio sul cinema e sulla teoria contemporanea. Sarà forse un film finalmente senza citazioni, ma è certamente un omaggio consapevole, cinefilo ma ragionato, allo spettacolo di Hollywood e di Broadway, all'immaginario cinematografico, alla visione filmica e alle teorizzazioni possibili su quel complesso apparato modo di produzione-schermo-pubblico che è il cinema. La seconda definizione del Time centra un altro livello, consapevole o meno, dell'operazione di Cotton Club: all'interno di una più ampia combinazione di generi e delle trame narrate, il film propone un rimescolamento e un ripensamento sullo stesso cinema di Coppola. Cotton club è davvero Il padrino più Un sogno lungo un giorno, o meglio il primo riletto attraverso il secondo e viceversa. Gli stereotipi del crimefilm e della detective story vengono scossi e attivati dalle dinamiche del musical. L'avanguardia visiva e il dinamismo di tipo futurista o vorticista di Un sogno lungo un giorno si impasta con l'affresco popolare di Il padrino, creando un puzzle geniale. Il risultato di questa doppia convergenza di generi del cinema classico e di livelli del cinema coppoliano è un'implosione dei topoi narrativi e una trasgressione della sintassi filmica, che fa al contempo di Cotton Club un film della restaurazione cinematografica e un pamphlet della rivoluzione mediologica. Gli stereotipi del gangster film tradizionale vengono continuamente messi in crisi e in discussione. Il film è disseminato di indizi del genere: soluzioni di montaggio, interruzioni gratuite del ritmo narrativo, espansione e accorciamenti bruschi del plot che in qualche modo distraggono lo spettatore e gli impediscono di immergersi pienamente nel gorgo delle immagini e dei suoni. Dunque il montaggio parallelo tra le sequenze gangsteristiche e i numeri musicali, è in realtà minato dall'interno. E la sintesi da variety show – di segmenti di puro intrattenimento e di segmenti narrativi sono contemporaneamente avallate e rifiutate. Gere e Lane incarnano una delle linee del film, quella forse più tradizionalmente cinematografica; i fratelli 40 Hines mettono in gioco l'altra linea, quella appartenente anch'essa alla tradizione, ma rivissuta con le esperienze dei film-concetto degli anni Sessanta e Settanta. Ripensate in questo modo, le due linee di convergenza del film si possono chiamare anche in altro modo: New York, Hollywood. New York vuol dire Broadway, la East Coast, un tipo di spettacolo più raffinato e di cultura più europea. New York vuol dire anche l'avanguardia; gli indizi, in questo caso, sono la presenza di due volti/corpi tipici dell'avanguardia teatrale e cinematografica: Beck, santone del Living Theatre. Hollywood vuol dire lo studio system, la catena di montaggio produttiva, uno spettacolo destinato al mercato e al consumo; vuol dire anche un certo eros della visione privata, un certo affetto del moviegoer verso i personaggi cari. Un impercettibile indizio è la presenza intravista di Woody Strode, eroe di tanti film di genere. È su queste presenze sintomatiche che bisogna riflettere, più che sulle confesse apparizioni di Swanson, di Chaplin e di Cagney. New York e Hollywood significano il viaggio coast to coast, quello mitico e quello produttivo. È in questo senso che va letta la carriera di Dixie,dal Cotton Club a Hollywood. Da questa molteplice intersecazione di livelli prende corpo anche l'intreccio più interessante e più ambizioso: quello tra realtà e fantasia. In Coppola realtà e fiction, oggettività rappresentata e spettacolarizzazione di quella realtà presunta tendono a confondersi, in un ampio progetto di ridiscussione del significato di realismo nel nuovo universo multimediale. Due sono le chiavi del discorso: una è l'uso reiterato delle montage sequences, l'altra è il gran finale del film. Le sequenze di montaggio sono un espediente narrativo classico per giustificare logicamente un passaggio temporale o geografico, un cambiamento di stato d'animo e sono tradizionalmente basate su una serie di frammenti di realtà intersecati tra loro attraverso la tecnica della dissolvenza incrociata. L'insistenza di Coppola su queste ministorie che condensano la storia sociale nello spazio di pochi secondi, da un lato esplicita l'omaggio ai gangster film della Warner Bros, a quel misto cioè tra mito del fuorilegge e denuncia sociale incarnato dai Cagney, dai Muni, dai Robinson; dall'altro è una traccia di un minisaggio sul rapporto tra storia e cinema, tra realtà documentaria e immaginario popolare. Le sequenze di montaggio del film fanno pensare a una rivisitazione del topos narrativo con i mezzi più sofisticati dell'elettronica, in modo tale da preparare e anticipare il finale rivelatore. Il finale di Cotton Club è infatti la chiave rivelatrice, la lucida postfazione a tutto il discorso perseguito lungo il film. Nella lunga sequenza conclusiva si incrociano e vengono al pettine tutti i nodi narrativi, tutte le linee intersecatesi nel processo del film. Mentre le varie storie d'amore vanno verso l'happy ending e i vari personaggi partono, al Cotton Club la coreografia prevede un balletto ferroviario, ambientato in una stazione. Al locale piroettano dunque dei ballerini/ferrovieri e capistazione, 41 Indicativo è in questo senso il rapporto che essi stabiliscono con il mercato: I ragazzi viene distribuito in tutta l'America, esce a pioggia in tutte le sale di provincia, è costruito come una merce da vendere; Rusty apre ufficialmente al New York Film Festival dell'83, esce solo nelle capozona più importanti e nelle città più cinefile, è pensato come un'opera autonoma al boxoffice, il cui fallimento commerciale è preventivato. Torna la forbice premeditata film commerciali/film personali che Coppola ha teorizzato. È come se l'irrequieto Francis, metà americano, metà europeo, metà manager, metà autore, dicesse: eccovi due prodotti. Uno è come lo vuole il mercato, l'altro è come lo voglio io e come potrei fare i cinema se fossi fuori dal mercato. Fanno parte di uno stesso unico mega testo, e il primo, che a una prima lettura appare decisamente mediocre, viene in qualche modo rivalutato dal secondo. I ragazzi è un film convenzionale, nel senso che sfrutta appieno le convenzioni cinematografiche, punta a una sorta di artigianato industriale, rispetta le regole del prodotto medio in una sintassi che recupera gli stereotipi degli anni Cinquanta attraverso uno stile televisivo. I ragazzi è una specie di Rebel without a cause rifatto con Happy days, il mito rifatto col look. È un omaggio al cinema già visto, alla tradizione schematica di Ray e di Fuller, di uno studio system, della serie B da cui lo stesso Coppola proviene. È significativa certa insistita naiveté delle situazioni e dei meccanismi narrativi. Così come sono significativi certi cliché tematici del cinema hollywoodiano classico, come la solidarietà virile e l'amicizia. La mdp scompare, annullata dalla medietà dell'mmagine e della grammatica, da certe ovvietà dell'inquadratura e del montaggio, ma ci sono piccole e significative trasgressioni, veri e propri indizi della poetica del film successivo: una macchina di sangue nella fontana, un'inquadratura ai piedi di Greasers, con sullo sfondo la macchina dei Socials, un paio di inquadrature sghembe di Johnny e Danny all'ospedale, piccole tracce che tornano in mente dopo aver visto Rusty. Tracce disseminate volutamente da Coppola, oppure piccoli lapsus, tracce d'autore suo malgrado Rusty fa paradossalmente pensare allo stesso film, ma ridigerito e corroso, risognato dall'autore, riscritto in stato d'allucinazione. Se I ragazzi era sgargianti colori anni Cinquanta e in schermo panoramico, Rusty è nel formato classico quadrato e in severo bianco e nero. Il bianco e nero lascia spazio per un attimo alla felicissima intuizione poetica dei pesci colorati. In tre inquadrature quando compaiono i rumble fishes, emerge il colore. È come se il colore irrompesse nell'immaginario, un rigurgito, un'improvvisa piega nella dimensione temporale che divide i due mondi. Se I ragazzi rendeva omaggio agli anni Cinquanta, Rusty ritorna indietro a Citizen Kane e, attraverso Welles, alle origini del cinema: ai sovietici, all'espressionismo tedesco, al surrealismo. La mdp stavolta viene ossessivamente rivelata e scoperta, le inquadrature sono spesso sghembe, deformate, le prospettive distorte, l'obiettivo è assetato di ombre, di 44 controluce, di effetti teatrali. La realtà è continuamente destrutturata e ricomposta, non un singolo fotogramma/frammento di realtà è normale o medio. C'è sempre un'ansia di sperimentazione, sull'immagine, sul suono, sulla costruzione del set, sulla recitazione, sul montaggio. Come in Un sogno lungo un giorno, il plot viene usato solo come pretesto, come archetipo, contenitore delle storie e delle sperimentazioni possibili, ma assume ben presto altro spessore. In questo caso l'elemento preistorico è il rapporto mitico, di amicizia, competizione e sacrificio che si stabilisce tra i due fratelli. Motorcycle Boy incarna i miti del dominio, della veggenza e insieme della liberazione impossibile. In I ragazzi la complicità maschile, la solidarietà del gruppo, erano banalizzate a livello di valori etici. Ora il rapporto tra Rusty e Motorcycle assume uno spessore più profondo, si radica nella fiaba e nel mito. Ritorna, in maniera diversa, il rapporto di scontro incontro, di adorazione competizione, alla fine di annullamento e sacrificio, di continuità che avevamo visto nel rapporto tra Kurtz e Willard in AN. Rusty James fugge con la moto dall'apocalisse verso la California, verso un regno impossibile. Rusty continuerà la lezione di Motorcycle Boy: Kurtz reigns. I ragazzi e Rusty sono due remakes. Ma il primo è un remale tutto esterno, epidermatico, confezionato; l'altro è un remake dello spirito. Uno freddo, l'altro caldo. Rusty ripropone tutta l'elaborazione culturale fatta nel primo ciclo con i modi formali e le tecnologie sperimentate nel secondo ciclo. Così che Rusty non reinventa la realtà in provetta, ma nell'anima. Non sperimenta su una zero story, ma su una storia forte, seppur semplice, densa di tutti i significati dell'uomo. Il selvaggio motociclista diventa, con uno scarto di culture, un antieroe brechtiano che fa mutare, con la sua solo presenza, i rapporti tra gli esseri e lo stato delle cose. Rusty vomita la nostalgia di I ragazzi e insegue l'utopia, la poesia, l'arte. Rispetto al film gemello, Rusty, cambia radicalmente soggetto enunciatore, punto di vista. Non solo perché è ribaltato il rapporto tra i due fratelli, ma perché è ribaltato il punto di vista. In I ragazzi il punto di vista è il mercato; in Rusy il punto di vista è l'America e si esprime attraverso tre sub-punti di vista formali. Il film è visto da tre angolazioni che ne informano l'estetica e gli danno la sua dimensione tridimensionale: quella di Motorcycle Boy, quella di Rusty, quella di Steve. Steve appunta continuamente il resoconto dei fatti un diario personale: l'intero film potrebbe essere la sua prospettiva, la cronaca, il documento rielaborato dall'autore. Motorcycle Boy è daltonico: la sua prospettiva dalla realtà deformata, come viene vista dall'esterno, fuori dal tempo e dallo spazio, in una dimensione in cui tempo e spazio si sono contratti. Rusty James è ferito due volte, anzi tre. La sua prospettiva è quella delirante e febbricitante della malattia, dello stato di allucinazione. Come nella sequenza iniziale di Apocalypse, in cui Willard percepisce il mondo 45 sotto l'effetto della droga, qui la realtà oggettiva è distorta in maniera lancinante dallo stato anormale di Rusty. Si spiega così l'universo sghembo del film, l'ossessivo uso di inquadrature dal basso e in basso, ad altezza di cane, l'insistenza sui dettagli, in primo luogo i piedi che camminano. Si spiega anche così la contrazione del tempo reale. Dove più agisce il punto di vista di Rusty non è tanto nell'ottica diversa, ma nella diversa sonorità del film. Come in altered state il suono e il rumore emergono a protagonisti centrali di Rusty. Il suono è a volte ovattato, a volte fastidioso, stridente. La musica è spesso sopratono oppure scompare nel sottofondo ed emergono dettagli sonori improbabili e apparentemente insignificanti, che contribuiscono a creare l'atmosfera di disagio e di incombente disastro del film. Rumore di passi, di vento, voci inidentificabili, frammenti di battute senza senso, tengono il tempo di questo day after della condizione umana. Tre sequenze sono illuminanti in questo senso: la passeggiata di Rusty con Motorcycle Boy e Steve lungo la strada principale; l'altra camminata dei due fratelli prima del furto della moto; la sequenza del biliardo. Ma il punto di vista di Rusty si impone anche in modo diverso, e si identifica con quello dell'autore, avviene già nella sequenza in cui Rusty si scorpora e si guarda dall'esterno, come se fosse morto. Questo guardarsi da fuori, questo assumere un altro punto di vista, è in fondo l'angolo visuale di Coppola stesso, che si sdoppia: offre il suo testo e, guardandosi dal di fuori, ne propone anche la poetica e l'esegesi. Per po reincarnarsi nel testo, nel corpo del film e dei suoi rischi teorici. Da questi molteplici ma unici punti di vista, oltre che dalle numerose eredità culturali che vi sono alle spalle, viene il magnifico impasto del film. Un pastiche di livelli di percezione della realtà e di forme espressive, un riciclaggio maturo di lasciti artistici, una sintesi di due possibili ipotesi del postmoderno: quella futurista, supertecnologica, tutta neon e polyestere, e quella neomedievale, regressiva, da dopobomba. A Tulsa, universo futuribile e Medioevo prossimo venturo si congiungono come nella Los Angeles di Blade Runner. Anche Rusty è un film di fantascienza popolato di replicanti tristi. Rusty è il massimo punto di arrivo del nuovo ciclo di Coppola. L'unica opera compiuta in cui si coniugano i piani multipli del mega Piano di Coppola. E qui il giudizio è assolutamente soggettivo, intuitivo. Qui il critico deve tornare naif come gli antichi cacciatori. Perché Cotton Club, pure perfetto tecnicamente, persino nei suoi voluti lapsus, persino nelle sue bruttezze e aritmie, pure brillante e intrigrante per il piano che sottende e persino per il suo gelo, non è un capolavoro? Forse perché non è una chiave di volta, perché non è sino in fondo prodotto e agente di una mutazione, come invece è Rusty. I mutanti, i replicanti di Rusty testimoniano anche di una trasformazione, chimica e culturale, del cinema. Ma non c'è nessuna prova scientifica che possa spiegare questo piccolo miracolo. Bisogna fidarsi 46 con l'incarnare tutti i valori di cui si diceva sopra ed accompagnarli alla fossa, insieme alle salme dei morti in Vietnam. Con l'interramento nel giardino, si affossa anche una certa America, si assiste al tramonto di una civiltà, che scompare coi suoi vessilli e i suoi stendardi, come nel film di Kurosawa. Nella bellissima sequenza centrale, la mdp osserva una cerimonia; ma lo a in modo distante, un forzato distacco. La mdp spesso distante, discreta, quasi volesse registrare delle emozioni in punta di piedi, con enorme pudore. È il pudore di Coppola, che nasconde la macchina, la fa dimenticare al pubblico, scegliendo una regia apparentemente mediocre. Non esistono i movimenti mozzafiato di AN, gli effetti speciali di Un sogno lungo un giorno, la realtà ridisegnata di Rusty il selvaggio e Cotton Club. C'è un nuovo pudore di fronte alla realtà delle cose e di fronte alla morte che fa pensare a un'implosione delle emozioni, piuttosto che all'esplosione degli altri film. Si sa dalle cronache che Coppola ha perso un figlio durante le riprese del film. Nel risultato finale, ci coglie questa tragedia, ma è come se il regista avesse timore di esibirla, reprimesse l'urlo di dolore in una sofferenza più privata e quindi più interna e terribile. Da qui anche il senso di claustrofobia che da il film, il suo universo circoscritto e senza sbocco. Tutto il film è sepolcrale. Lo è dall'inizio, in cui si assiste al funerale di Willow. È lo stesso Willow, attraverso l'ultima lettera ad Hazard, a parlare, dando il via alla narrazione ma anche offrendo ad essa una voce off che viene dall'oltretomba. È il morto che narra la sua storia, dando sin dall'inizio una chiave sepolcrale. La stessa regia e scenografia esasperano questa chiave di chiusura. Si veda la presentazione del personaggio Willow, attraverso cui si presentano anche gli altri copratogonisti; gli incontri tra Willow e gli altri militari avvengono in uno spazio angusto e segmentato, in un labirinto di ufficibox; la mdp osserva da fuori una porta, una parete, uno scaffale, ponendo tra sé e i personaggi ostacoli, inscatolati, incorporati, già sepolti forse in un microuniverso che mima la forma della bara. Anche l'ascensore può diventare una basa. Spesso i volti sono incorniciati accentuando l'impressione di soffocamento. Si esce dall'esterno del cunicolo solo nel giardino; ma l'unico esito possibile è la morte. E di fronte alla morte, nel giardino, anche la mdp si anima, seppur in modo sinistro. In poche carrellate, lunghe e snervanti, sulle tombe; oppure con la lunghissima inquadratura fissa del finale vista in soggettiva da Hazard e Nelson. I due sergenti diverranno gli interpreti di questo sguardo disincantato ma non asettico sulla storia e sulla realtà. Uno sguardo volutamente retrò: la Vecchia guardia dell'esercito è anche la vecchia guardia della nostalgia, quella stessa di Peggy Sue, che guardava il mondo con occhio adulto seppur con animo adolescente. La vecchia guardia è anche quella del cinema, quella di una sex new Hollywood ormai scavalcata dalla generazione cresciuta all'ombra della videomusic. E certo in Giardini di 49 Pietra c'è la stessa nostalgia di cinema classico che si percepiva in Peggy Sue Got Married. Anche qui Coppola usa i nuovi generi per svuotarli dall'interno e usarli come pretesti per una osservazione matura dell'universo. In Peggy Sue era il nuovo filone del ritorno assoluto; qui è il filone Vietnam, che ha potuto diventare quasi genere grazie a quella sorta di imbalsamazione e di congelamento della Storia di cui ha parlato Baudrillard. Diventato rapidamente epos e mitos, sedimentatasi la storia in tempi brevissimi, entrata in crisi l'ideologia, il Vietnam irrompe nell'immaginario contemporaneo; diventa, in epoca di riciclaggio veloce delle mode e della cronaca, un po' come il western. E come quasi genere statuisce i suoi personaggi e identifica i suoi sottogeneri: il Vietnam come punto d i forza per un issue film, un film di messaggio; il Vietnam come ambientazione per un canonico film di guerra o per un'avventura postmoderna; il Vietnam come pretesto per un cinema alto; è la linea iniziata dallo stesso Coppola con AN, continuata da Cimino con The Deer Hunter, conclusa da Kubrick con Full Metal Jacket. Analizzando queste varie linee di tendenza, si può ribadire l'impossibilità di una descrizione realistica del Vietnam: un film come Hamburger Hill di Irvin scopre tutti i suoi difetti, proprio perché pretende di ricostruire realisticamente magari con qualche crudezza di troppo un avvenimento storico in Vietnam. Molto meglio ribaltare le convenzioni iconiche, inventare, al posto della giungla, un Vietnam urbano, come fa Kubrick nella sequenza finale di Full Metal Jacket, un Vietnam che assomiglia a un videoclip neobarocco di Boy George. Oppure meglio asportare il Vietnam e trasferirlo nella memoria storica, nell'inconscio collettivo, come fa Coppola. In tutti i casi Coppola si discosta dal quasi genere, parte da esso solo come base per un percorso autoriale. Un percorso simile a quello di Kubrick è verso il cinema caldo, esplosivo, sopra le righe. Quello di Coppola è verso un cinema, almeno in questo film, freddo, implosivo, sotto le righe. Ambedue geniali e folli. Perché oltre il giardino c'è un sottile, ma inarrestabile, vena di schizofrenia. Coppola attinge ai grandi temi di Frank Capra, si identifica con lui e i suoi eroi. Ma al tempo stesso arricchisce l'universo narrativo e utopico di Capra con quella carica stilistica, con quel tocco che il vecchio, riscoperto, maestro non ha mai avuto. È come se Coppola volesse riabilitare il mesocosmo capriano, valorizzando l'aurea mediocrità del personaggio simbolo, ma sostituendo alla medietà della messa in scena una tensione e un impianto estetici di impegno primario. Capra è come se venisse riletto con lo stile di Welles; il tutto con l'imprimatur di Lucas. Il debito di Coppola verso Capra è persino tropo ovvio e già notato: Tucker rievoca le epopee dei Jefferson Smith e dei George Bailet, dei piccoli eroi in lotta contro il mondo corrotto, in nome di un sogno americano; solo che il sogno di Coppola è anche un ben altro progetto di cinema, sia dal punto di vista 50 produttivo che da quello estetico. È il sogno di una rifondazione della realtà filmica cominciato con Un sogno lungo un giorno, Rusty il selvaggio e Cotton Club, che passa necessariamente per una rifondazione dei modelli produttivi, del sistema cinematografico. E qui è destinato a fallire. Come Tucker, battuto dalle grandi compagnie dell'industria automobilistica, anche Coppola viene ridimensionato dalle majors di Hollywood. Alla macchina cinematografica americana, serializzata e standardizzata, ha tentato di contrapporre un modo di produzione autonomo e creativo; al sistema ha cercato di rispondere con il ritorno a uno studio system ripensato in modo originale e democratico; all'indiscriminato immaginario cinetelevisivo occidentale ha reagito con un'approfondita sperimentazione elettronica e insieme con un ripensamento complessivo dello standard cinematografico. Il risultato è un buco di sei milioni di dollari, il ritorno a Canossa, la minacciosa prospettiva di fare un terzo Padrino. Coppola deve prendere atto della sua vita senza la Zoetrope, come dichiara nel suo ultimo film newyorkese: Life without Zoe(trope), ma nonostante tutto, sopravvive si risolleva come gli eroi capriani, si ostina a percorrere il suo sogno. Con l'operazione Tucker Coppola tira i fili dell'american dream, dal new deal all'era di Reagan, e annoda insieme le speranze e le frustrazioni di due generazioni di italoamericani; quella che ha lasciato la terra d'origine e ha rimosso le proprie radici, come nel caso di Capra, e quella che si è riappropriata dei luoghi e dei motivi ancestrali, è il caso di Coppola. Orchestrata dagli italiani Carmine e Vittorio, si svolge così la fiaba di Tucker, con i suoi ovvi richiami capriani. L'affresco di una storia tutta mediata dal protagonismo del singolo: Tucker inizia con un collage storico che sintetizza le gesta dell'avventuroso imprenditore prima del progetto della sua auto. In questa sequenza, fiction e repertorio si mescolano; si sfogliano le pagine di un album, che è quello di una memoria privata e collettiva; realtà fittizia e realtà storica, documento di fantasia propongono sin dai titoli di testa allo spettatore un viaggio attraverso quella linea di confine che sarà il film, sospeso tra film biografico, dichiarazione autobiografica e parabola sociale. Il film è compreso tra due parentesi di realtà: quella caotica dei titoli di testa, puzzle appariscente e coinvolgente e quella dei titoli di coda, raffreddata e imbalsamata, dove le foto del vero Tucker danno allo spettatore l'idea di ripercorrere, in modo più mediato e distante, le vicende già viste nel film. Se pensiamo ai film di Capra, troviamo una sequenza corrispondente all'inizio d Tucker in La vita è meravigliosa: è la montage sequence che descrive con un'ampia sintesi cronologica e la maturità di Bailey e gli anni della guerra. Dall'annuncio della prima gravidanza della moglie alla notizia della decorazione del fratello, un rapido montaggio mette insieme scene di repertorio appositamente girate, attiva trasparenti su cui si riflette una 51 entrambi sono due artigiani; ma dietro l'artigianato di Capra c'è il mestiere di Hollywoodi, c'è una gavetta che porta alla serialità, alla medietà dell'impianto registico, e poi dritto alla televisione; dietro l'artigianato di Tucker, c'è n progetto di autore, un piano più ambizioso. Capra aveva conquistato il suo nome above the title, ma solo perché la sua fama superava quella della star al botteghino, non per una presunzione intellettuale. Coppola rivendica il suo carisma di autore, si distingue dalla mediocrità delle regole e delle estetiche. E se dunque l'equazione tra Coppola e Capra sottolinea con bonarietà il mestiere hollywoodiano, l'ottimistica fiducia nel fare dell'uomo e del cineasta, d'altro canto punto a un universo eccentrico e un po' sghembo, come tante inquadrature dei suoi ultimi film. Si vede così perché Coppola riabilita la medietà della messa in scena capriana, innestando nelle tematiche e nelle caratterizzazioni di Capra uno stile, una firma d'autore che rivalorizzano il buon manufatto, l'oggetto onesto. È anche in termini stilistici che va conclusa l'indagine su Tucker. Un film che ha una cifra singolare ed ossessiva: l'inquadratura in grandangolo basso. C'è una sorta di estetica del/dal basso, che enfatizza i personaggi, sottolinea i momenti retorici, esalta le utopie ed allarga i soffitti e i cieli. Dal basso è girato tutto il processo. In Tucker la mdp avvolge i personaggi; parte dal basso e poi improvvisamente si alza in dolly a suggerire voli della fantasia e dell'entusiasmo; oppure parte dall'alto, quasi a schiacciare i protagonisti e poi scende in modo plastico sino a terra spiazzando la prospettiva dello spettatore e quasi mozzandogli il fiato, alla maniera dell'ultimo De Palma, ma senza esibizionismi. Gli esempi di questa dinamica basso/alto sono innumerevoli nel film. C'è la sensazione di un progressivo schiacciamento della realtà e insieme di uno attaccamento morboso alla terra come in Ozu, ma l'obiettivo è un grandangolo e un panfocus come in Welles. Il baricentro di Coppola è verso il centro della terra o verso il cuore della platea che partecipa di questa prospettiva sghemba che è oramai lo stilema di Coppola. La messa in scena è formalistica, ma senza compiacimento. La regia riattiva la potenzialità dello Studio, del teatro di posa. Sono frequenti le invenzioni scenografiche. Coppola mette in moto la macchina cinema, muove la cinepresa ma riorganizza anche lo spazio del teatro di posa, proseguendo nel progetto di rifondazione del set chiaritosi con Cotton Club. È forse per questa riappropriazione di un cinema-cinema, che il metalinguaggio è particolarmente importante in Tucker. Accanto ai protagonisti principali e secondari del film c'è un vero e proprio coro costituito dai massmedia: le riviste patinate e piene di foto, la radio attorno a cui ci si raccoglie e che va sostituendo il caminetto di casa, anticipando la televisione; le mdp che registrano minutamente la cronaca e 54 la storia; popolano gli angoli delle strade, davanti alle stazioni di polizia e ai tribunali, assistono fedelmente ai cimenti automobilistici, e poi perdono l'attimo giusto per uno scoop irripetibile. La riproduzione tecnica domina sovrana, a partire dal suo elemento base, la fotografia, che spesso coincide con la realtà fattuale. La fotografia fa da ponte alla pubblicità e dunque allo spot cinematografico e già pretelevisivo. In una sequenza significativa, tutto il team assiste alla proiezione del filmato pubblicitario sulla macchina, quando lo schermo si increspa e la realtà si sovrappone all'immagine proiettata attraverso l'apparizione di un volto familiare. Coppola cita anche due generi cinematografici:l'horror e la fantascienza, che tornano nella sequenza di Howard Hughes. La figura di Hughes incombe ambigua nel film, come un'ombra positiva e negativa insieme, portatrice com'è di quella grande trasformazione mediologica, economico-politica, morale e artistica che il film svela. Hughes è lo specchio e insieme l'altro di Tucker e dello stesso Coppola, a metà tra il truffatore e il sognatore, tra il materialista e l'utopista. Hughes è il doppio di Coppola; come lui è infantile e adulto; come lui specula, in senso finanziario e filosofico. Sospeso tra i suoi due sogni, Hughes può davvero incarnare l'intero mito americano, con i rapporti di odio amore che innesca, può configurare i conflitti di un certo modo di produzione occidentale (capitalistico e hollywoodiano); e può forse anche ergersi a simbolo dell'uomo contemporaneo, condannato alla ricerca delle sue verità e delle sue identità davanti al mondo. La riflessione sulle identità propria e del proprio cinema si elabora con compiutezza negli ultimi film a tutt'oggi: Il Padrino III e Dracula di Bram Stoker. Ma prima bisogna fermarsi un attimo su un minifilm che si situa tra Tucker e l'ultimo Padrino. Si tratta dell'episodio firmato da Coppola all'interno di New York Stories, diretto insieme a Scorsese e Allen (La vita senza Zoe). Delle tre storie, quella del Nostro è quella che resta meno nella memoria. Memorabile il gustoso episodio di Allen; interessante quello di Scorsese. Coppola si prende sul serio, ma senza credere nel film: la storia di Zoe, che aiuta i genitori a riappacificarsi e a recuperare anche un gioiello nell'ambito di un improbabile plot di genere, non ha sale. Il piccolo film è sin troppo raffinato, nelle scenografie, nei costumi, nel decor, ma non ha un'anima. Le uniche cose da notare sono il consueto album di famiglia di Coppola, l'uso di Giancarlo Giannini nel ruolo del padre, e forse il nome Zoe: che non ammicchi alla Zoetrope? Se tutto bisogna osservare l'operazione di New York Stories, che legittima Coppola, Scorsese e Allen come i tre grandi della ex Nuova Hollywood. Tre ragazzi che sono diventati maestri e insieme colossi finanziari, registi che possiedono il potere necessario, per sbarcare sui mercati internazionali e per fare il cinema che vogliono, senza mediazioni. È la storia di una generazione di vincenti, nonostante le loro evidenti nevrosi. 55 A dinamica losers/winners ci riporta agli eroi negativi del Padrino III e Dracula. Corleone e il Conte Dracula, personaggi negativi in partenza finiscono col diventare eroi universali, personaggi shakespeariani accomunati dalla tragedia: Pacino, nel Padrino III, urla tutta la sua disperazione, con in braccio la figlia uccisa sulle scale del teatro Massimo. Il grido munchiano di Micheal è tragicamente muto. Gary Oldman, nei panni di Dracula, trova il cadavere dell'amata moglie suicidatasi (avendolo creduto morto) e scarica il suo urlo contro il mondo, trafiggendo con la sua spada la croce di Cristo. Tanto che, il mafioso e il vampiro, diventano delle varianti, ugualmente commoventi, di un King Lear. Con questi due personaggi Coppola finisce con l'identificarsi: con il marine Willard, alla ricerca della verità alle prese col dominio e l'altro marine Hazard, solo di fronte alla morte e alla fine delle ideologie, con lo sconfitto Caul e 'l'imprenditore sfortunato Tucker, con il perdente utopico Motorcycle Boy e il vincente di talento Dixie Dwyer. A maggior ragione si lascia irretire dalle panie dell'autobiografismo nel Padrino III: ha perso davvero un figlio, un fratello, un padre amatissimi, come Michael Corleone, è diventato un mogul della finanza cinematografica e non, con alterne vicende, attraverso picchi alti e bassi secondo le più tipiche saghe di Puzo; è eternamente in dubbio, sempre a una svolta della sua vita, ma anche capace di mordere i suoi nemici e di risorgere, ogni volta dalle sue ceneri. Il padrino III consente finalmente al regista di uscire dalle enormi difficoltà finanziarie in cui lo avevano cacciato i suoi progetti, culturalmente ambiziosissimi, ma commercialmente rischiosi e spesso fallimentari. È la solita oscillazione mercuriale, che è diventata via via poetica, modalità resistenziale. Dracula incarna i sogni e le contraddizioni di Coppola, il coacervo di bene e di male che ha finito col rappresentare con la sua vita e il suo cinema, la sete di potere, l'amore e la morte coniugati insieme con un grande spleen di fondo, un'eterna angoscia del vivere. C'è forse anche un'altra metafora più sottile e inquietante del vampirismo del conte: quella della società dello spettacolo, del cinema che succhiano il sangue e il cervello a spettatore e autore, in cambio di una stregoneria affascinante: la produzione di immaginario, la ricreazione della realtà fenomenica, cioè il potere assoluto sul mondo. Detto questo, bisogna riconoscere i limiti di alcuni segmenti dell'ultimo cinema di Coppola, Il padrino III presenta dei grossi scompensi: un uso eccessivo della cronaca ne fa a volte un instant movie di bassa qualità; gli attori impegnati nei cameo roles, invece di arricchire il film di sotterranei riferimenti cinefili, danno ogni tanto tristezza e senso di decadenza; le situazioni sembrano a volte ripetitive e senza rischio rispetto ai già collaudati precedenti Padrini. Ma ci sono sempre degli elementi di grande interesse. 56
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved