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Frankenstein, Sintesi del corso di Italiano

frankestein

Tipologia: Sintesi del corso

2014/2015

Caricato il 29/08/2015

antonella227
antonella227 🇮🇹

4.5

(8)

20 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Frankenstein e più Sintesi del corso in PDF di Italiano solo su Docsity! Riassunto del libro “Mary Shelley - Frankenstein” LETTERA I (11/12/17--) La prima lettera è scritta da Walton alla sorella; sta per intraprendere con una nave un viaggio verso le terre del nord, per scoprire una nuova via che colleghi quelle terre o studiare altri fenomeni come il magnetismo, e quindi offrire alle ultime generazioni molti benefici. Questa spedizione è stata il suo sogno sin da bambino, e l’agitazione che aveva all’inizio della lettera ora si è allentata. Fin da bambino era appassionato dei libri sui viaggi di esplorazione, anche se suo padre non era d’accordo. Si era preparato molti anni per affrontare questo viaggio. Partirà per Pietroburgo, e poi da un’altra cittadina noleggerà una nave e inizierà la sua avventura. Passeranno mesi o anni prima di rincontrare sua sorella, o forse non la vedrà mai più. Termina la lettera benedicendola. LETTERA II (28/03/17--) Nella seconda lettera Walton, ormai giunto a buon punto nella sua impresa, si lamenta con la sorella di non avere un amico con cui condividere il successo o la delusione della sua avventura. Le racconta la storia del suo nostromo di animo gentile che, alcuni anni prima, si era innamorato di una giovane russa di modeste origini, che il giorno del matrimonio, gli confessò di essere innamorata di un altro uomo, che suo padre non voleva che sposasse. Il nostromo la lasciò andare, e siccome aveva già acquistato una fattoria e aveva alcuni soldi da parte, li lasciò tutti al suo rivale. Si rassicurò, infine, che la donna andasse in sposa a colui che effettivamente amava. Riprende il discorso sul viaggio che nel frattempo è stato rinviato per la rigidità dell’inverno. Termina la lettera salutando teneramente la sorella. LETTERA III (07/07/17--) In questa lettera, Walton scrive alla sorella durante il viaggio; non è successo nulla di strano, a parte un paio di burrasche e una falla non degna di note per i marinai. È più che convinto a coronare il suo sogno, e termina la lettera salutandola. LETTERA IV (05/08/17--) In questa lettera, Walton racconta alla sorella uno strano episodio accadutogli. Erano rimasti incagliati con la nave in mezzo ai ghiacci e nella nebbia. Quando le nebbia si era dissolta, avevano intravisto una figura umana gigantesca attraversare con la slitta quelle terre. Verso sera, a causa del mare agitato, la nave si liberò, e il mattino dopo trovarono lì vicino una slitta con sopra una persona diversa da quella che avevano visto in precedenza. Lo caricarono a bordo e ci vollero alcuni giorni prima che si ristabilisse, viste le condizioni pessime di salute. Il secondo della nave, chiese allo sfortunato perché si era avventurato fin lì, e l’uomo rispose che stava inseguendo uno che fuggiva: era la strana figura che era già stata avvistata. A quella notizia, l’uomo, nonostante il rigore delle temperature, voleva stare sul ponte per scorgere la presenza del mostro. Fu convinto dal capitano ad essere avvertito dalle guardie se qualcosa fosse stato avvistata. Walton si era affezionato al signore caricato sulla nave, e un giorno gli spiegò che avrebbe sacrificato la sua esistenza pur di riuscire nell’impresa. L’uomo scoppiò a piangere, e gli disse che gli avrebbe raccontato la sua storia. Alcuni giorni dopo, l’uomo era pronto a raccontarla, e Walton si ripromise di trascrivere giornalmente, se possibile, tutta la storia dell’uomo e di farla pervenire alla sorella perché era una storia che pur strana e dolorosa valeva la pena di essere letta in futuro. CAPITOLO I Un signore di origine ginevrina, Alphonse Frankenstein, ricopriva cariche amministrative molto importanti e aveva onore e stima di tutti. Uno dei suoi amici era Beaufort, un commerciante in condizioni floride che, a causa di un susseguirsi di sfortune, cadde in miseria. Dopo aver pagato tutti i suoi debiti, si rifugiò con sua figlia nella città di Lucerna, dove rimase povero e sconosciuto. Alphonse impiegò dieci mesi per trovare il posto dove si era rifugiato, ma quando arrivò, trovò solo miseria e disperazione: Beaufort aveva una piccolissima somma di denaro, che gli sarebbe bastata solo per qualche mese e si era anche ammalato, e così non poteva fare niente; allora, la figlia Caroline, che lo curava con molta tenerezza, si procurò dei lavori umili, che le permisero di continuare a tirare avanti. Suo padre peggiorò, e così lei lo curava ancora di più, ma sfortunatamente morì. Caroline era disperata, e così Alphonse la portò a Ginevra e la affidò ad una parente. Due anni dopo, Caroline diventò sua moglie. Dovettero recarsi in Italia per il suo clima favorevole e per cercare una medicina per il fisico indebolito di Caroline, poi visitarono la Germania e la Francia. A Napoli ebbero il primo figlio, Victor. Una volta, fecero una gita sul lago di Como, oltre la frontiera italiana, e quando Alphonse andò da solo a Milano per motivi di lavoro, Caroline e Victor andarono in un caseggiato di contadini. Essa vide che fra i bambini che lavoravano c’era una bambina che chiaramente era di “ceppo” diverso. Infatti, era figlia di un nobile milanese: la madre morì quando la partorì e del padre non si sapeva che fine avesse fatto, così venne adottata da questa famiglia che prima era in condizioni migliori. Caroline convinse questa famiglia ad affidarle la custodia, e scoprirono che il suo nome era Elizabeth Latenza. Così, quando il padre tornò da Milano, vide Victor e Elizabeth giocare assieme: erano più che fratello e sorella, e si volevano molto bene. CAPITOLO II Victor ed Elizabeth andavano sempre d’accordo. I loro genitori ebbero un altro figlio, che era più giovane di Victor di sette anni, e da quel momento in poi si stabilirono nel loro paese natale, la Svizzera: avevano una casa a Ginevra e una in campagna, a Belrive, nella quale vi abitavano quasi sempre. Victor non strinse molte amicizie con i compagni di scuola, ma con uno in particolare, Henry Clerval, figlio di un mercante di Ginevra. Henry aveva la passione di scrivere romanzi cavallereschi e poemi eroici, mentre a Victor non interessava la politica, l’ordinamento degli stati, ma la sostanza apparente e lo spirito delle cose. Victor avrebbe avuto un carattere molto violento se non ci fosse stata Elizabeth, che gli trasmetteva un po’ della sua gentilezza d’animo. Victor, visitando in altre case, si rese sempre più conto che i suoi genitori non erano visti come dei tiranni, ma come fautori delle molte delizie di cui lui poteva godere. Vuole soffermarsi a raccontare alcuni particolari della sua fanciullezza, perché non vengano dimenticati: quando aveva tredici anni, andò con i suoi genitori a fare una gita di piacere ai bagni di Thonon, il brutto tempo li costrinse a rimanere in una locanda e gli capitò fra le mani uno scritto di Cornelio Agrippa; le teorie esposte mutarono la sua indifferenza in entusiasmo ma, riferendo la sua scoperta al padre, scoprì che gli insegnamenti esposti erano stati superati. In realtà, le sue teorie erano state invalidate ed erano state ormai superate. Quando tornò a casa, Victor si procurò tutti gli scritti di questo autore. Alla fine, divenne discepolo dei concetti espressi in questi libri, ma però rimaneva quasi sempre insoddisfatto dai suoi studi: siccome suo padre non aveva interessi scientifici, era l’unico bambino di una scuola di Ginevra che era assetato della conoscenza di uno studioso. Per molto tempo, si occupò di teorie ormai superate e sperimentava quello che gli autori affermavano, e se questi esperimenti non gli riuscivano, non attribuiva la colpa alla mancanza di verità di quegli scritti, ma alla sua inesperienza. Un altro episodio cambiò il corso delle sue idee: quando aveva quindici anni, andò nella sua casa a Belrive, e durante un temporale, un fulmine squarciò una quercia, che era stata spezzata in sottili strisce di legno. Da quell’episodio in poi, Victor giudicò i suoi studi precedenti inutili e si interessò alla matematica e alle sue branche, perché basate su fondamenti sicuri e degni della sua considerazione. Fu come un grande sforzo dello spirito del bene e pensò anche che lui fosse impotente davanti alla grande forza del destino, che aveva provocato la sua totale e terribile distruzione. CAPITOLO III Elizabeth si era ammalata: aveva contratto la scarlattina in forma grave ed era in pericolo di vita. Sua madre, quando seppe che la vita di Elizabeth era minacciata, non si diede tregua; infatti, Elizabeth guarì, ma la madre dopo tre giorni si ammalò e morì. Prima della morte, disse ai figli che era molto dispiaciuta di lasciarli e che li avrebbe poi rivisti in un altro mondo. Victor era disperato per la morte della madre, ma la sua vita doveva continuare ugualmente. All’età di diciassette anni, i suoi genitori decisero di iscriverlo all’università di Ingolstadt e a causa della morte della madre, la partenza fu rinviata di qualche settimana. Il giorno della partenza, Victor rimase fino a tardi con Clerval, il suo ex compagno di scuola, che aveva tentato invano di ottenere il permesso di suo padre per andare all’università con lui. Victor salutò Elizabeth, Clerval e suo padre e fece varie riflessioni. Ad esempio, pensò di essere sempre stato chiuso fra le mura domestiche, e quindi aveva paura di incontrare volti nuovi, come quelli dei nuovi compagni, e di fare amicizia. Quando arrivò all’università, passò la sera come più gli piaceva; la mattina seguente, consegnò le sue lettere di presentazione e incontrò alcuni professori importanti, tra cui quello di filosofia naturale, Monsieur Krempe. Monsieur Krempe fece molte domande a Victor, e lui gli rispose che aveva letto i racconti di Paracelso e di Cornelio Agrippa. Anche il professore disapprovò questa scelta, perché libri superati e inutili. Victor gli spiegò che anche lui non era stato soddisfatto della lettura di questi giudici erano sul punto di condannare Justine, Victor uscì di corsa dall’aula, e pensò che era stata tutta colpa sua se l’avevano incriminata. Il giorno dopo, Victor tornò in tribunale, e scoprì che i giudici avevano condannato Justine, perché aveva confessato. Victor, sbalordito da questa notizia, tornò a casa e lo disse ad Elizabeth, che pensò che Justine li aveva traditi tutti e che aveva finto la sua innocenza. Justine aveva precedentemente chiesto di ricevere la visita di Elizabeth. Lei e Victor andarono nella sua cella, e lei disse loro che aveva sottoscritto una falsa confessione, perché non sapeva cos’altro fare. Elizabeth le promise l’avrebbe fatta uscire. Victor era disperato, perché era lui l’artefice di quella situazione. Justine ed Elizabeth si salutarono e, nonostante i suoi appelli, Justine venne mandata al patibolo. CAPITOLO IX Victor era disperato, perché aveva compiuto dei terribili orrori; non poteva consolare i suoi cari, perché aveva i sentimenti molto confusi. In quel periodo, si trasferirono nella casa di Belrive, dove Victor si sentiva più libero, perché non venivano chiuse le porte della città; per questo motivo, andava di notte in barca, cercando disperatamente di soffocare il suo senso di colpa. Victor era arrabbiatissimo e voleva scaraventare il mostro, e pensò anche che questa creatura stesse preparando un altro misfatto. La salute di Alphonse era peggiorata, ed Elizabeth era disperata e confusa. Mentre Elizabeth cercava di consolare Victor, ella si accorse che Victor aveva un’espressione di vendetta sul suo viso, e allora gli disse di liberarsi da queste sofferenze. Per cercare di soffocare questi sentimenti atroci, Victor intraprese un viaggio verso la valle di Chamonix, che aveva già visitato quand’era più piccolo. La prima parte del viaggio, quando la strada era piana, utilizzò il cavallo, mentre per i sentieri aspri, utilizzò un mulo. Mentre saliva la montagna, tutte le sue sofferenze svanivano e vide che c’erano castelli arroccati sulla roccia, baite, molti fiumi e il panorama maestoso del ghiacciaio. Dopo aver oltrepassato il passo di Pélissier, Victor entrò nella vallata di Chamonix, e vide il magnifico Monte Bianco, che sovrastava su qualsiasi altra cosa. Victor era molto contento, e vedendo alcuni particolari della montagna, si ricordò della felicità durante la sua adolescenza. Alternati a questi momenti di piacere, riaffiorava tutta la sua infelicità, ma Victor cercava di respingerla spronando la sua cavalcatura. Infine, Victor giunse al villaggio di Chamonix, e si addormentò sul letto vedendo i lampi sopra il Monte Bianco e sentendo lo scrosciare del fiume Arve. CAPITOLO X Il giorno dopo, Victor vagò per la vallata, e gli sembrava di essere in paradiso. Quando andò a dormire alla sera, sognò il paesaggio che aveva visto di giorno; ma il mattino seguente, Victor era di nuovo malinconico, e il tempo non era fra i più belli: pioveva e c’era molta nebbia. Nonostante questo, partì con il suo mulo per il Montanvert, ricordandosi l’effetto di estasi che gli aveva procurato la vista del ghiacciaio del Monte Bianco. La salita era particolarmente ardua e molto pericolosa. Quando arrivò sulla cima, era quasi mezzogiorno, e siccome il vento dissolse la nebbia, Victor scese sul ghiacciaio. Il ghiacciaio aveva una superficie molto irregolare, e ci impiegò circa quattro ore per attraversarlo. Al di sopra di questo ghiacciaio, si ergeva il Monte Bianco. Mentre guardava il paesaggio, Victor vide arrivare il mostro che aveva creato, e così si arrabbiò moltissimo. Victor lo voleva uccidere, ma il mostro gli disse che se lui adempiva i suoi doveri verso di lui, il mostro lasciava stare in pace i suoi cari. Victor, in preda alla rabbia, cercò di colpirlo invano. Il mostro ripeté a Victor che lui era la sua creatura, e che per questo lui la doveva rispettare. Victor gli disse di andarsene, se no avrebbe lottato sino alla morte di uno dei due. Il mostro disse a Victor che si era dovuto rifugiare sui ghiacciai perché nessun essere umano lo rispettava, e gli chiese di ascoltarlo e poi di decidere se ucciderlo o no. Victor maledisse il giorno in cui la creatura aveva visto la luce, e gli disse di andarsene. Il mostro gli chiese di nuovo di ascoltare la sua storia e, siccome la temperatura del ghiaccio non era adatta per raccontarla, scesero nella capanna della creatura. Una volta entrati, il mostro iniziò a raccontare la sua storia. CAPITOLO XI Il mostro raccontò a Victor che, appena lo aveva creato, non sapeva bene usare i cinque sensi; scese le scale del suo appartamento, e la luce gli diede fastidio. Così andò nella foresta di Ingolstadt, dove c’era più ombra e vicino ad un ruscello, per riposarsi dalla fatica che gli era venuta camminando. Ad un certo punto, gli venne fame e sete; allora, mangiò delle bacche e si abbeverò al ruscello, poi si addormentò. Quando si svegliò, era buio, e lui aveva molta paura; dopo un po’ di tempo, vide nel cielo la luna, che gli servì per andare a prendere delle altre bacche. Aveva molto freddo, ma per fortuna trovò un mantello. Era ancora nella foresta quando arrivò il giorno. Il mostro riuscì a trovare un fuoco lasciato acceso, e allora fu confortato dalla piacevole sensazione di calore. Col passare del tempo, imparò che materiale bisognava usare per mantenere il fuoco acceso, e così poi si addormentò di nuovo, sperando che non si spegnesse la fiamma. Il mattino seguente, controllò se il fuoco era ancora acceso e imparò che il fuoco serviva anche per far luce e per cuocere i cibi, quelli lasciati per terra dai viandanti. Siccome il cibo scarseggiava, il mostro, dopo tre giorni di cammino, raggiunse l’aperta campagna. Vedendo una capanna, si avvicinò ed entrò: un contadino stava facendo colazione e, alla sua vista, scappò a gambe levate. Il mostro notò che nella capanna non poteva cadere la pioggia, mangiò i resti della colazione e poi si addormentò. Quando si svegliò, decise di cambiare posto, e così si incamminò. Al tramonto, si trovava in un villaggio; entrò in una casetta; così i bambini strillarono e una donna svenne. Sentendo quei rumori, tutto il villaggio andò in subbuglio e le persone lanciarono pietre e spararono contro il mostro. Ferito, il mostro andò in aperta campagna e si rifugiò in un capanno. Il mattino seguente, guardò intorno se non ci fosse qualcuno che poteva disturbare la sua quiete. Così decise di abitare lì, finché qualcuno o qualcosa gli avesse fatto cambiare parere. Sentì dei passi: da una fessura, intravide una ragazza che portava un secchio, e al ritorno, questo secchio era pieno di latte; dopo un po’ di tempo, il mostro vide anche un giovane, che aiutò la ragazza a portare il secchio. Da una finestra della capanna chiusa da assi di legno, c’era una fessura dalla quale il mostro poteva vedere una stanzetta, in cui c’era un signore anziano. Questo signore si mise a suonare uno strumento, e poco dopo rientrò il ragazzo con un carico di legna, da mettere sul fuoco. Dopo, i due giovani andarono nell’orto, mentre il signore anziano era rimasto pensieroso, ma quando tornarono, il vecchio era di nuovo allegro e tutti insieme mangiarono la cena. Quando calò la notte, il mostro si meravigliò dell’accensione delle candele per illuminare la stanza. Dopo un po’ di tempo, tutti andarono a dormire. CAPITOLO XII Il mattino seguente, si svegliarono tutti; la ragazza preparò il cibo, e poi il giovane partì. Quel giorno passò come il precedente e il mostro, all’inizio, non capiva perché erano tristi e infelici, anche se avevano il fuoco per riscaldarsi, il cibo e i vestiti. Alla fine, il mostro capì che si trattava della povertà; infatti, il loro nutrimento consisteva in verdure dell’orto e di latte di mucca, che non erano sufficienti. I due giovani lasciavano spesso più cibo al vecchio, e questo gesto fece commuovere il mostro, che da quel momento in poi, non rubò più le loro provviste. Fece anche un gesto per aiutarli: siccome aveva imparato rapidamente l’uso degli strumenti, una notte il mostro andò nella foresta per prendere la legna, e così la ragazza al mattino si trovò già tutta la legna accatastata davanti alla porta. A poco a poco, il mostro riuscì a capire qualche parole di quello che dicevano i ragazzi e il vecchio, come latte, fuoco, legna e i loro nomi: il vecchio si chiamava padre, la ragazza Agatha e il giovane Felix. La ragazza ascoltava con rispetto, e certe volte le venivano le lacrime agli occhi, mentre Felix era molto più triste della sorella. Felix spazzava via la neve davanti alla porta prima che Agatha si svegliasse e poi lavorava tutto il giorno in un’altra fattoria nelle vicinanze, oppure coltivava l’orto, mentre quando era inverno, Felix leggeva ad alta voce al vecchio e alla ragazza. Il mostro così capì che i segni che leggeva erano le parole che lui pronunciava; a poco a poco, il mostro fece dei progressi, ma non era ancora in grado di conversare; infatti, si era promesso di farsi vedere a loro soltanto quando avrebbe saputo bene padroneggiare la lingua. Un giorno, il mosto vide la sua immagine riflessa in una pozza d’acqua, e allora si spaventò del suo aspetto orribile. Poi la neve si sciolse, e così Felix aveva ancora più da lavorare, perché nascevano nuove piante nell’orto, e così i segni della fame sparirono. Il signore anziano faceva sempre una passeggiata a mezzogiorno assieme al figlio, quando non pioveva; infatti, pioveva molto spesso, ma il vento asciugava subito il terreno. Il mostro passava la sua giornata a guardare quello che facevano i giovani e il vecchio, e quando non li vedeva dormiva; di notte, andava nella foresta a prendere le bacche e la legna da accatastare davanti alla loro porta, e spazzava via la neve. Adesso che l’attività del suo pensiero era aumentata, voleva conoscere i motivi dell’infelicità di Felix e della tristezza di Agatha; non vedeva l’ora di farsi conoscere, però aveva molta paura che non lo avessero accettato. Era arrivata la primavera, e il mostro esultava alla vista della natura rigogliosa: per lui, era come una rinascita. CAPITOLO XIII La primavera era arrivata ed un giorno il mostro notò come l’espressione di Felix fosse incredibilmente malinconica. Alla domanda del padre di quale fosse la causa di quella malinconia, lui rispose allegramente, ed il padre si rimise a suonare. Qualcuno bussò alla porta: era una signora a cavallo dalle belle sembianze, e Felix sembrò andare in estasi quando la vide. La signora entrò in casa, e quando cominciò a parlare, il mostro si accorse che parlava una lingua diversa dalla loro; la sua presenza portò un po’ di felicità. Presto, a causa del frequente ripetersi dei suoni, il mostro capì che la donna stava imparando alcune parole della loro lingua, ed egli ne approfittò per apprenderne delle nuove. La mattina dopo, Felix andò a lavorare, e quando Agatha terminò le sue faccende, la donna araba si sedette ai piedi del vecchio, che con la sua chitarra eseguì delle melodie così incantevoli che fecero piangere il mostro. Poi, anche Agatha cantò, ma la sua voce non era così melodiosa. Passarono le giornate, e i volti delle persone erano sempre più felici; il mostro cercava di impegnarsi per imparare più parole possibili. Il mostro imparò anche la scienza della scrittura, e grazie all’aiuto di Felix, anche la conoscenza della storia dei diversi imperi esistenti al mondo. Ad ogni conversazione, gli si aprivano nuovi orizzonti e sentimenti contrastanti. Si convinse che c’era solo un mezzo per superare le sofferenze, e capì che era la morte. Sentì parlare della differenza fra i sessi, della nascita e crescita dei bambini, e si rese conto che nessuno aveva vegliato su di lui e che tutta la sua vita passata era un punto oscuro. Si domandava spesso che cos’era, ma riceveva in risposta solo gemiti. Preferiva, quindi, parlare della storia degli abitanti del casolare, che egli definiva suoi protettori. CAPITOLO XIV Il vecchio della casa si chiamava De Lacey, discendeva da una buona famiglia francese, ed abitava a Parigi, confortato da ogni bene e da una discreta fortuna. La causa della sua rovina fu il padre di Safie, la donna araba. Egli, per qualche motivo, era malvisto dal governo francese, e fu mandato in prigione; fu condannato a morte probabilmente per la sua religione e ricchezza, e il giorno del suo processo, in aula era presente Felix che, indignato dalla condanna, si ripromise di aiutarlo ad uscire di prigione. Felix si recò di notte nella cella del turco, il quale gli ripromise una sostanziosa ricompensa, che Felix rifiutò. In un’altra occasione, quando vide la faccia di Felix davanti a quella di sua figlia, si accorse che Felix se ne era innamorato. Nei giorni successivi, Safie scrisse diverse lettere a Felix per ringraziarlo dell’aiuto e lamentarsi del proprio destino. Safie era figlia di un’araba cristiana, catturata come schiava dai turchi, che aveva conquistato il cuore di suo padre. Ella istruì la figlia nei principi della sua religione, e dopo la sua morte, Safie era angosciata dall’idea di ritornare in Asia e venire sepolta tra le mura di un harem. Invece, l’idea di sposare un cristiano e di occupare un posto in società, le sembrava un sogno. Il giorno dell’esecuzione fu fissato ma, grazie a Felix, il turco fuggì e tutti lasciarono la Francia per raggiungere Livorno, in attesa di un passaggio su una nave per la Turchia. Poiché il turco era ancora nelle mani del suo liberatore, anche se questo non era il suo desiderio, non ostacolava l’intimità fra sua figlia e Felix. Il governo francese riuscì a scoprire il complotto, e così Agatha e suo padre furono mandati in prigione. Felix abbandonò il turco, con la promessa che se avesse trovato la nave per la Turchia, avrebbe lasciato Safie in un convento; partì per Parigi per consegnarsi alla legge e liberare il padre e la sorella. Felix rimase in prigione cinque mesi prima del processo, e il risultato fu che la sua famiglia venne privata dei beni e condannata all’esilio perenne dalla Francia. Felix apprese che il turco alla notizia fuggì con la figlia e mandò una misera somma di denaro a Felix per il suo futuro sostentamento. Venuto a conoscenza della disgrazia di Felix, il turco ordinò a sua figlia di tornare al suo paese natale ma, alcuni giorni più tardi, saputo che il governo francese lo aveva scoperto, il turco fuggì dall’Italia e lasciò la figlia sotto la custodia di un servo fidato con la promessa di raggiungerlo in un secondo tempo. Safie non ubbidì e, raccolto un po’ di denaro e di gioielli e dopo varie sventure, raggiunse la casa dell’innamorato. CAPITOLO XV Una notte il mostro, durante la sua solita visita nel bosco, trovò una sacca di pelle con all’interno alcuni libri e del vestiario. I libri erano: “Il paradiso perduto”, “Le vite di Plutarco” e “I dolori del giovane Werther”. La lettura dell’ultimo libro produsse uno strano effetto sul mostro, tanto da indurlo a porsi tutta una serie di domande a cui lui non era in grado di rispondere. Mentre con questo libro aveva appreso i concetti di disperazione e tristezza, Plutarco gli insegnò cose che andavano oltre la sua comprensione ed esperienza. Lesse di uomini che governavano e massacravano la loro specie; era quindi portato ad ammirare personaggi pacifici come Numa e momento in cui fu trovato il corpo di Henry, Victor era sulle isole Orcadi. Dopo quindici giorni, Victor era libero, anche se preferiva rimanere in prigione pur di non commettere qualche terribile atto di violenza. Alla fine, si rese conto che era meglio tornare a Ginevra per vegliare sulla vita di coloro che amava. Partì febbricitante e, sulla nave che lo conduceva a Parigi, ripensò a tutta la sua vita e, verso mattina, fece un incubo ma, risvegliandosi alla vista del padre, si tranquillizzò. CAPITOLO XXII Victor sbarcò a Parigi; suo padre usava metodi sbagliati per tranquillizzarlo: spesso, Victor diceva di essere la causa della morte di Justine. Alcune volte, Alphonse sembrava desiderasse una spiegazione, altre volte considerava questa frase frutto del delirio. Victor non poteva svelare il suo segreto, e il padre si convinse che la sua mente fosse sconvolta. Passò del tempo, e Victor cominciò a calmarsi; alcuni giorni prima di lasciare Parigi, ricevette una lettera da Elizabeth, che gli descriveva come aveva passato i mesi senza di lui e che era preoccupata per l’infelicità che lo accompagnava, e gli chiedeva inoltre se aveva un’altra donna. Gli confessò che lo amava, e che il suo desiderio era che la scelta di sposarsi con lei fosse frutto della sua volontà e non del volere dei suoi genitori. Leggendo quella lettera, Victor pensò alla vendetta del mostro e alle varie situazioni che si fossero create se egli fosse morto per primo o avesse sconfitto il mostro. Decise che il matrimonio si doveva celebrare il più presto possibile, per la felicità di tutti. Scrisse ad Elizabeth, dicendole che ogni suo dubbio era infondato, e che dopo il matrimonio le avrebbe svelato un segreto. Il matrimonio fu organizzato in una decina di giorni: Victor fingeva un’allegria insolita, anche se l’ansia dilaniava il suo cuore. Fu stabilito che dopo la cerimonia avrebbero iniziato il viaggio via acqua per poi fermarsi ad Evian e proseguire il giorno dopo per Como. La gita sull’acqua fu incantevole ma, appena sbarcati, le preoccupazioni di Victor si riaccesero. CAPITOLO XXIII I due sposini sbarcarono quando ormai era sera; cominciò a piovere e Victor, che era rimasto calmo per tutta la giornata, iniziò a preoccuparsi. Invitò Elizabeth a riposarsi, mentre lui cercava il luogo dove potesse essersi nascosto il mostro. All’improvviso, sentì un urlo, si precipitò nella stanza e trovò Elizabeth morta strangolata. Mentre la osservava, vide il viso del mostro che lo guardava dalla finestra; gli sparò contro e l’eco del colpo fece accorrere altre persone. Victor, aiutato, cercò il mostro per acqua e per terra, ma invano. Pensò, quindi, di tornare velocemente a Ginevra per proteggere i suoi cari; la notizia della morte di Elizabeth fu fatale per il padre, che poco dopo morì. Victor perse ogni tipo di percezione e si recò dal magistrato riferendo la sua storia e denunciando il mostro, ma il magistrato gli rispose che non sarebbe stato facile accontentarlo. Victor si arrabbiò perché il magistrato aveva rifiutato la sua richiesta, frutto secondo lui del delirio; uscì e, furibondo, si ritirò per meditare su un altro piano d’azione. CAPITOLO XXIV Victor decise di lasciare Ginevra per sempre, raccolse un po’ di denaro e i gioielli della madre e la sua prima preoccupazione fu di procurarsi qualche indizio per ritrovare il suo nemico. Iniziò a girovagare e, a sera, si ritrovò all’entrata del cimitero dove riposavano William, Elizabeth e suo padre. Si inginocchiò per terra e invocò gli spiriti dei morti per chiedere il loro aiuto. Una diabolica risata gli rispose: era il mostro che all’improvviso fuggì a velocità sovrannaturale; Victor lo inseguì lungo i meandri del Rodano, sino alla Russia, patendo fame e freddo. Aveva degli spiriti che lo proteggevano e gli permettevano di portare a termine il suo compito. Il mostro gli lasciava delle tracce persino sulle cortecce degli alberi; un giorno, lo avvisò che stava andando verso nord. La fatica si faceva ogni giorno più pesante, ma lo spirito di vendetta sosteneva Victor. Si era procurato una slitta con dei cani per proseguire il viaggio più velocemente. Ad alcuni abitanti di una casa isolata, il mostro aveva rubato le scorte per l’inverno e una slitta con i cani, e si era diretto verso una terra che non portava in alcun posto. Victor cambiò la slitta, perché non adatta al suolo ghiacciato, e viaggiò alcune settimane; un giorno, notò a distanza la figura del mostro adagiato sulla sua slitta. A fatica lo raggiunse ma, avvicinandosi, il mare si gonfiò sotto di lui e il ghiaccio, staccandosi, li divise. Victor era in pericolo di vita, quando riuscì con un pezzo della slitta a raggiungere una nave che stava passando da quelle parti. Voleva una barca per completare la sua missione, ma la rotta della nave era a nord. Chiese inoltre al capitano che nel caso in cui lui morisse, egli avrebbe dovuto continuare la sua ricerca e, in nome dei suoi cari, uccidere il mostro. WALTON (CONTINUANDO – 26/08/17--) Walton si rivolge alla sorella per chiederle se questa storia non sia terrificante. Se non fosse perché ha avvistato il mostro e letto le lettere le lettere di Felix e di Safie, non ci crederebbe. Le conversazioni fra Victor e Walton non si limitano al racconto della storia, ma affrontano qualsiasi argomento di cultura. Victor, quando era giovane, era pieno di ambizioni, ma ora è sprofondato nello sconforto e finché non avrà raggiunto il suo scopo, non potrà morire. 02/09/17-- Walton scrive alla sorella perché la nave è in una situazione difficile, e solo le parole dell’uomo caricato a bordo gli danno un po’ di conforto. 05/09/17-- La situazione si fa sempre più difficile. Il freddo è tremendo e la salute di Victor peggiora di giorno in giorno; alcuni marinai chiedono di visitare Victor in cabina e, in presenza del capitano, gli chiedono di fargli una promessa: se la nave si fosse liberata dai ghiacci, avrebbero fatto ritorno a casa verso sud. Victor li esortò a proseguire nella spedizione per non disonorare il capitano e tornare in patria come eroi che hanno combattuto e vinto. 07/09/17-- Alla fine, il capitano promette che se il ghiaccio glielo avesse permesso, sarebbero tornati indietro. 12/09/17-- Finalmente il ghiaccio cominciò a muoversi, e Victor, che nel frattempo era peggiorato, alla notizia balzò in piedi, ma le forze vennero meno. Victor morì e un giorno, mentre Walton scriveva alla sorella, dovette interrompersi perché sentì dei rumori provenire dalla stanza dove giaceva Victor; entrò e vide il mostro che tentava di fuggire ma, al richiamo del capitano, si fermò. Il mostro continuava ad accusarsi per la morte di Victor, e spiegò al capitano che dopo la morte di Clerval, solo al pensiero che Victor potesse essere felice con una donna, cosa a lui non permessa, faceva scattare il lui la molla della vendetta. Il capitano lo sgridò perché per lui la sua non era pietà, ma un lamento perché la sua vittima si era sottratta al suo potere. Il mostro gli spiegò che in tutti quegli anni, mentre distruggeva tutte le speranze di Victor, non soddisfaceva i suoi desideri, e che nessuno aveva mai odiato Felix per averlo cacciato o il contadino per averlo ferito quando lui aveva tentato di salvare la bambina. Il capitano potrà odiarlo per tutto il male che lui ha commesso, ma il disprezzo che il mostro ha per sé stesso è ineguagliabile. Così dicendo, tranquillizzò il capitano, dicendogli che non commetterà più nessun crimine e che andrà verso nord con la sua zattera finché la morte non sopraggiungerà e le sue ceneri saranno disperse dal vento nel mare. Balzò fuori dalla finestra e scomparve nell’oscurità, trascinato dalle onde.
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