Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Frankenstein educatore, Prove d'esame di Storia Della Pedagogia

Frankenstein educatore di Philippe Merieu

Tipologia: Prove d'esame

2017/2018
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 06/02/2018

eleonora-battistini
eleonora-battistini 🇮🇹

4.4

(88)

14 documenti

1 / 20

Toggle sidebar
Discount

In offerta

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Frankenstein educatore e più Prove d'esame in PDF di Storia Della Pedagogia solo su Docsity! 1 FRANKENSTEIN EDUCATORE di Philippe Merieu CAPITOLO 1 FRANKENSTEIN O IL MITO DELL’EDUCAZIONE COME FABBRICAZIONE 1 L’EDUCAZIONE NECESSARIA L'uomo non deve a se stesso la propria origine, nessuno può darsi la vita, anche se acquisisce, o crede di acquisire progressivamente, la capacità di dirigerla senza condizionamenti e di conservarla il più lungo possibile. Nessuno può darsi la vita e nemmeno essere l'artefice della propria identità. Siamo indubbiamente obbligati a riconoscere che viviamo introdotti nel mondo da adulti che, “fanno presentazioni “. Il piccolo d’uomo viene al mondo provvisto di potenziali mentali che sono consolidati solo in minima parte. L'uomo si caratterizza per la sua straordinaria capacità di apprendimento, però il rovescio della medaglia è che il bambino dovrà imparare tutto da colui che gli permetterà di vivere con i suoi simili. Alla nascita non sa niente: deve familiarizzare con una moltitudine di segni, accedere ad una lingua “materna”, inserirsi in una collettività, imparare a identificare e rispettare i riti, i costumi e i valori. Questo è quello in cui l'uomo si distingue dall'animale, tutti gli uomini devono scegliere loro valori, tanto in campo morale, quanto in campo sociale e politico. Tutti Gli uomini vengono al mondo completamente impreparati e per questo devono essere educati, con una pratica educativa che accompagna il bambino nella sua entrata nel mondo. Si può anche prendere in considerazione il fatto che, la difficoltà dell'impegno è tale da compromettere la possibilità stessa che un bambino possa inserirsi nella società umana, se non vi è stato introdotto molto presto e con gradualità. Per esempio nel “Libro della giungla”, Mowgli é circondato, tramite il simbolismo animale, da adulti che gli dischiudono uno spazio dove possa fare le sue esperienze di vita, lo spingono verso certi rischi e, nello stesso tempo lo proteggono. Il bambino ha bisogno di essere accolto; ha bisogno che degli adulti lo aiutino a consolidare, progressivamente, le capacità mentali che gli permetteranno di vivere nel mondo. Sin dai primi giorni di vita l'attitudine dei genitori e determinante: il sorriso con cui la madre risponde al nervosismo del bimbo gli permette di disporre di un riferimento stabile nell'universo, le parole ripetute con regolarità stimolano la sua attenzione, i ritmi della vita quotidiana consentono di costruire i primi rapporti di causa ed effetto, la presa di coscienza che non è necessario rifare sempre le stesse esperienze e che la memoria delle proprie azioni permette di guadagnare tempo ed efficacia. In seguito, attraverso il linguaggio elaborato, diventeranno possibile gli scambi, nel dialogo potranno essere costruite vere e proprie abitudini intellettuali. La discussione, in occasione delle situazioni più insignificanti della vita quotidiana, potrà invitare il bambino a riflettere, anticipare e pianificare. Educare non significa solo sviluppare un intelligenza formale, capace di risolvere i problemi di gestione della propria vita quotidiana o di affrontare difficoltà in ordine matematico. Educare significa anche sviluppare un intelligenza storica in grado di sapere in quali radici culturali ci inseriamo. 2 Significa anche introdurre un universo culturale, l'universo in cui gli uomini sono arrivati ad addomesticare con la passione e la morte, un mondo in cui resta qualche opera alla quale riferirsi, semplicemente per sapere che non si è del tutto soli. Fino a ieri le differenze tra una generazione e l'altra erano minime. I rapporti tra generazioni si sono “strumentalizzati” , non si parla più veramente, si scambiano dei servizi :” tu resti a badare a tua sorella e noi ti diamo la paghetta che ci hai chiesto”. In queste condizioni, quando lo scarto tra le generazioni aumenta, e la trasmissione culturale é sacrificata, si scoprono degli adolescenti BOLIDI, senza radici nè storia, senza accesso alla parola, dedicati interamente alla soddisfazione dei loro impulsi primari. Alcuni potrebbero diventare preda di un fanatismo senza passato ne futuro, interamente assorbiti da un ideale funzionale che permette loro di esistere all'interno di un gruppo e di ritrovare un'identità collettiva, rinunciando a qualunque ricerca di identità sociale. 2 PIGMALIONE L'uomo è "fatto" da altri e c'è sempre qualcuno che si occupa della sua educazione. Chi è responsabile dell'educazione altrui deve metterci tutta la propria energia, dare all'altro gli strumenti migliori perché possa, nel momento in cui dovrà affrontare il mondo da solo, assumersi al meglio la responsabilità delle scelte personali, professionali e politiche che dovrà affrontare. Bisogna ricordarsi che, meno di un secolo fa, le difficoltà intellettuali dei bambini erano in gran parte considerate come deficienze mentali congenite è incurabile. Oggi molti educatori si applicano precisamente alla “rieducazione” di coloro una volta erano ritenuti esclusi per sempre dall'accesso al linguaggio è alla cultura. Altri bambini, vittime di gravi traumi psicologici e sociologici, venivano rinchiusi per moltissimi anni senza che si tentasse veramente di risolvere i loro problemi. Psicologi ed educatori, oggi li seguono con la convinzione che un'azione educativa e terapeutica ben condotta possa permettere loro di ricostruire gli equilibri fondamentali. L’educatore moderno mette tutte le sue forze e la sua intelligenza in un'opera che ritiene possibile, grazie ai saperi educativi ormai fissati, perché riguarda quello di più prezioso che abbiamo : l'uomo. L'educatore materno vuole fare dell'uomo un opera, la sua opera. Gli psicologi e gli psicologi sociali evidenziano quello che chiamavamo l' “effetto aspettativa”, sottolineano fino a che punto l'immagine che ci si può fare di qualcuno e che gli si comunica, il più delle volte involontariamente, determina i risultati che si ottengono da lui e la sua evoluzione. Se si comunica ad alcuni insegnanti che questo è quello alunno hanno grandi capacità intellettuali, ci sono tutte le possibilità che ne ottengono risultati eccellenti. in effetti, convinti del loro capacità, questi insegnanti si rivolgeranno a tali alunni in modo diverso, con un'attitudine molto benevola che, sostenendo i loro sforzi e attribuendo le loro difficoltà ad una debolezza passeggera facilmente rimediabile, con tutta probabilità li renderà più sicuri di sé. Tuttavia è vero anche il contrario: c'è proprio un modo di interrogare che uccide la risposta corretta, cioè quello da cui non ci si aspetterebbe niente di buono cade veramente in basso, timoroso di smentire un'opinione formulata in modo così sentenzioso o solo perché non si sente sostenuto nei pochi sforzi che cerca di fare, si sente in dovere di realizzare la predizione. Rosenthal e Jacobson si sono serviti del mito di Pigmalione intitolano la loro opera proprio “Pigmalione in classe”. 5 Per l'educatore la vera soddisfazione sarebbe che, colui il quale ha educato lo salutasse da uomo libero e lo riconoscesse come il suo educatore senza essere suo vassallo. Ecco la vera ingiunzione paradossale : ci piacerebbe molto che l'altro aderisse a quello che ci proponiamo, ma accettiamo ugualmente che vi rinunci. Ci piacerebbe ma accettiamo ugualmente. Leit-motiv che spesso commuove per la banalità e la buona volontà del educatore che non ha rinunciato al principio dell'educazione come fabbricazione e che si trova in un vicolo cieco. Ci piacerebbe dal momento che lo riteniamo giusto da tutti i punti di vista logico, perché pensiamo sia la cosa migliore e perché abbiamo la responsabilità dell'educazione dell'altro. Ma accettiamo ugualmente, perché nella maggior parte dei casi non possiamo fare altrimenti e poi perché bisogna vivere bene e la nostra energia non è inesauribile. 5 FRANKENSTEIN E LA SUA CREATURA Frankenstein non è il mostro, ma il suo creatore, avido di conoscenze e desideroso di rubare agli Dei un segreto fondamentale. La creatura è opera di Frankenstein, il suo corpo difforme che il suo autore ha realizzato più grande di quello degli un essere umano per motivi di comodità e perché rendeva più semplice il lavoro chirurgico di fabbricazione, questo corpo “E’ “Frankenstein, perché il dottore ci ha messo tutto il suo sapere, tutta la sua energia e tutta la sua volontà : lo ha voluto, non ha voluto che quello. Ha creduto di realizzare un'opera e ha senza dubbio sperato che al termine del suo lungo e difficile compito si potesse dire “un Frankenstein” proprio come si dice “un Rubens” o “un Vermeer”. Speranza di farsi riconoscere attraverso la propria creazione, di sopravvivere in essa e di arrivare ad una forma particolare di clonazione che conferisca l'immortalità. Ma un Rubens e un Vermeer si contemplano in un museo. Il pittore lo scultore in segreto sognano di fondare una scuola e di avere dei discepoli che siano imitatori fedeli, ma imperfetti, fedeli per riverenza ma imperfetti per deferenza. Ma le opere una volta eseguite il loro creatore se ne disfa. Come per dire il mio lavoro mi appartiene, ma non è veramente mio poiché posso barattarlo con del denaro. Nel dottor Frankenstein la sua opera non sarà consegnata ad un ipotetico pubblico, la sua opera resta sua: la creazione è una paternità nervosa e possessiva, lui vuole vincere su tutti i fronti, vuole essere padre e essere creatore nello stesso tempo, conciliare la soddisfazione di dare la vita un uomo con quella di fabbricare un oggetto nel mondo, vuole la riuscita materiale e riconoscimento dell'opera stessa. Così Frankenstein si vuole padre, e non stupisce che la creatura, come tutti i bambini, assomiglia stranamente a suo padre a dispetto di quelle differenze generazionali, la creatura infatti condivide con suo padre il gusto per la solitudine e grandi spazi deserti e ostili di alta montagna. Frankenstein non avrà pace finché non avrà creato un essere vivente, e la creatura non avrà pace finché non avrà un con una compagna a sua immagine con cui condividere il proprio destino. Quando Frankenstein avrà rinunciato, in un soprassalto di lucidità a creare questa compagna, allora si realizza la terribile maledizione del “figlio”. Poiché il mostro non ha avuto diritto ad una compagna, neanche il dottore potrà avere questa gioia. La confusione tra Frankenstein e il mostro non è il semplice frutto di un errore di comprensione, ma il contrario, sottolinea una dimensione fondamentale del romanzo del mito, cioè inscrive il mimetismo nel cuore del rapporto di filiazione, mimetismo ineluttabile e infernale allo stesso tempo. 1 ineluttabile perché nessuno deve essere stesso la propria origine e ciascuno porta su di se le tracce, formalizzati dall'educazione, di colui o di coloro che l 'hanno introdotta nel mondo. 2 mimetismo infernale perché “non si può essere in due, identici o simili, per uno stesso posto” e la violenza è inevitabile quando la somiglianza è tale che ciascuno pretende di poter occupare questo posto e poi soprattutto per quelli che non possono liberarsi dal 6 rapporto di fabbricazione e restano prigionieri della dialettica del Signore del servo. Non si può spiegare meglio la violenza che si impossessa ineluttabilmente di quelli con che confondono l'educazione e l'onnipotenza, che non sopportano che l'altro sfugga e che vogliono controllare completamente la sua fabbricazione. 6 LO SPAVENTO DEL DOTTOR FRANKENSTEIN Una volta effettuata l'operazione e realizzato il sogno tanto agognato, il dottor Frankenstein è colto da una profonda inquietudine e cade in un sonno popolato da terribili incubi. E’ in preda da un terrore immenso, è spaventato da quello che ha appena fatto e di cui non si rende ancora bene conto. Al suo risveglio scopre l'orrore che gli ispira la sua creazione: ha commesso l’irreparabile . In quel momento la fuga gli appare l'unica possibilità. La creatura nasce profondamente buona, piena di sentimenti di compassione, è nata chiedendo solo di essere amata. Sarebbe un uomo profondamente buono, lontano dalle depravazioni sociali e dai pregiudizi culturali, un uomo che non chiederebbe che di essere utile, di servire, di essere amato e stimato. Però abbandonata dal suo creatore, la creatura cercherà di fare la “sua educazione”. Poco a poco e all'inizio senza l'intervento degli uomini la creatura si civilizza, costruisce la sua intelligenza in quella che oggi chiameremmo interazione con il mondo e acquisisce un certo numero di conoscenze essenziali attraverso il metodo naturale. Con l'incontro con la famiglia De Lacey, rifugiata in uno chalet, la creatura scoprirà i costumi degli uomini e per primo il linguaggio. La creatura impara a parlare con facilità e per testimoniare la sua gratitudine, ai suoi involontari benefattori, di notte rende loro piccoli servizi. L'arrivo di una ragazza, alla quale si deve insegnare a leggere, fornisce la creatura l'occasione di perfezione la sua cultura e di integrarsi ancora di più nella comunità degli uomini. Senza farsi vedere segue le lezioni che un ragazzo dà alla sua amata e scopre la storia degli uomini, i valori morali e sociali ai quali aderisce spontaneamente. Il mostro medita anche sul proprio destino, così il dubbio comincia a nascere nella creatura che non chiedeva che di amare e di essere amata. Il dubbio, l'inquietudine, la collera e in fine la rivolta, perché aver creato un Essere e averlo abbandonata a se stesso in mezzo a uomini che non possono riconoscerlo come uno di loro? Perché averlo messo al mondo? Perche rinunciare a educarlo e ad aiutare gli uomini ad abituarsi a lui? Fabbricare un uomo e abbandonarlo significa assumersi il rischio terribili di farne un mostro, poiché la creatura è un mostro solo per il fatto di essere stata abbandonata da suo padre. Ha la possibilità di scoprire il mondo grazie ai sensi ma manca qualcosa di ancora più essenziale. La creatura impara molto, ma nessuno fa la sua educazione. Così la creatura cerca di farsi adottare dal vecchio cieco dalla famiglia De Lacey. Riesce nel suo intento fino all'arrivo del resto della famiglia che terrorizzata, le si lancia contro e le sferra colpi violenti ai quali la creatura si rifiuta di reagire, poi il malinteso che si trasforma in tragedia: la creatura salva un bambino che stava annegando e gli uomini convinti che sta tentando di affogarlo lo ringraziano con un colpo di fucile. Con la rabbia nel cuore la creatura si mette alla ricerca del suo creatore, il creatore è un uomo che senza saperlo ha innescato un processo, ha commesso un errore imperdonabile confondendo fabbricazione e educazione . Ha creduto di poter mettere un essere al mondo senza accompagnarlo nel mondo, considerando il suo lavoro finito quando era terminato il montaggio e costruito il corpo. Ma un corpo d’uomo è ben diverso dalla semplice carne, è il luogo di un soggetto che si costruisce, che si proietta e prolunga ben al di là della sua fabbricazione qualcosa come uno sviluppo di umanità. 7 7 FRANKENSTEIN, OVVERO L’EDUCAZIONE TRA PRAXIS E POIESIS Qualunque impresa educativa è profondamente influenzata dall’ opposizione tra PRAXIS e POIESIS . La POIESIS si caratterizza per il fatto che si tratta di una fabbricazione che termina una volta raggiunto il suo scopo. L 'oggetto che si pone come fine rende necessaria la messa in opera di mezzi tecnici, sapere e saper fare, di capacità e competenze che producano un risultato definitivo, che si stacca dal suo autore e che non riguarda più quest'ultimo.La poiesis è un'attività non è un atto. La PRAXIS si caratterizza per il fatto che si tratta di un'azione senza altro fine che se stessa, qui non ci sono più oggetti da fabbricare, ma un atto da compiere nella sua continuità, un atto mai veramente concluso perché non comporta alcun fine esteriore a se stesso, e stabilito a priori. L'educazione non può essere mai davvero poiesis, anche se comporta inevitabilmente aspetti di costruzione che rinviano a un'immagine di conformità sociale e stabilità in anticipo. Ridurre l'educazione una poiesis significherebbe trattare il soggetto educato come una cosa di cui si potrebbe dire prima di intraprendere il processo educativo cosa deve essere e cosa dovrebbe diventare in corrispondenza del nostro progetto iniziale. Significherebbe negare l'educazione , l’educato deve assomigliare all'educatore, ma questa somiglianza implica che come lui disponga di una libertà che gli consente proprio di essere diverso da quello che si è in progetto per lui. Indubbiamente Frankenstein riduce l'educazione a una poiesis, per lui l'azione si conclude con la fabbricazione. In un certo senso Frankenstein non è veramente una vittima: Sicuramente sa che non funziona così e che un soggetto è tutt'altra cosa rispetto ad un collage di elementi fisici e psichici. Tuttavia questo lo spaventa poiché dovrebbe riconsiderare le sue convinzioni più intime e il suo rapporto con le conoscenze scientifiche. L'educazione è sempre piena di “calamita” : I bambini sono maleducati e fanno la linguaccia invece di dire gentilmente buongiorno alla signora. L'educazione è piena di calamità perché è un'avventura imprevedibile nella quale sì costruisce una persona e che nessuno può programmare. Non c'è mai sicurezza ed è comprensibile che Frankenstein non abbia voluto impegnarsi, facendo finta di credere che la creazione ponessi fine all'educazione e che la Poesies potesse permettersi di fare a meno della Praxis. Nella speranza di risparmiarsi le prove dell'imprevedibilità dell'educazione, si è infitto le prove della lotta provocata tra letteratura e il suo creatore. Una storia attraverso la quale un uomo ne introduce un altro nel mondo e l'aiuta a costruirsi nella sua diversità, si è impegnato in un progetto infernale di dominio e abbandono che poteva solo condurre lui e la sua creatura nella corsa verso la morte. 10 6 VERSO LA CONQUISTA DELL AUTONOMIA Introduciamo la conquista dell'autonomia, con la definizione di sfera di autonomia, che rinvia alla specificità dell'istituzione alla quale ci troviamo e delle competenze particolari degli educatori che vi lavorano: per esempio l’ infermiera si pone come obiettivo l'autonomia delle persone nella gestione di farmaci che assumono. La scuola deve porsi come obiettivo l'autonomia degli alunni nella gestione dei loro processi di apprendimento: gestione dei metodi e degli strumenti, di tempi, dello spazio e delle risorse, gestione delle interazioni sociali nella classe come “collettività discente” e gestione della progressiva costruzione di se nel mondo. Il livello di autonomia, deve essere definito a partire dal livello già raggiunto da una persona : deve rappresentare un livello superiore e tuttavia accessibile, l'autonomia sviluppata, al fine di gestire il ripasso per una verifica che verte su un trimestre, può costruirsi solo se prima è stata raggiunta l'autonomia nell'apprendimento di una lezione e nel ripasso del programma di un mese. Lo Sviluppo dell'Autonomia richiede di porre in essere mezzi specifici e un sistema di aiuto e di guida che sarà alleggerito gradualmente. Per diventare autonomo nel suo comportamento a scuola, un alunno deve poter disporre di elementi di sostegno, di organizzazione individuale e collettiva del lavoro. Devo utilizzare un sistema di sostegni, che all'inizio è necessariamente fornito dall'adulto, e poi ritirato in maniera ragionata e negoziata, man mano che l'alunno può appropriarsene da solo. Quindi la sesta esigenza della rivoluzione copernicana in Pedagogia consiste nell'inserire nel cuore di qualunque attività educativa e assolutamente non nella sua conclusione, la questione dell'autonomia del soggetto. In ogni attività, l'educatore deve sforzarsi di rendere il soggetto autonomo. Non supporlo già autonomo, ma organizzare un sistema di aiuti che gli permetta di raggiungere gli obiettivi che si fissa, prima di portarlo a fare progressivamente a meno di questi aiuti e da applicare per conto suo, di sua iniziativa, in altri situazioni quello che ha acquisito. Portarlo in questo modo a strutturarsi e aiutarlo poi ad affrontare il mondo, prima con il nostro aiuto e poi abbandonando poco a poco la nostra mano e affrontando da solo le situazioni nuove. Processo mai realmente concluso e in cui la rottura non avviene in maniera complessiva e repentina, ma si persegue lungo l'intero corso dell'esistenza di ognuno, via via che nella sua vita aiuti di ogni genere intervengono e poi spariscono. E’ durante tutto il corso dell'educazione che si guadagna dall'autonomia, ogni volta che una persona si appropria di un sapere, che lo fa suo, lui utilizza in modo indipendente e lo reinveste altrove. Questa operazione di appropriazione/riutilizzazione non è un supplemento d'anima che verrebbe ad aggiungersi ad un insegnamento effettuato secondo la trasmissione tradizionale, e sta e ciò che deve presiedere all'organizzazione stessa di ogni impresa educativa . È per essere precisi ciò che rende una transazione umana educativa. 7 PERCHÉ LA PEDAGOGIA È INCESSANTEMENTE PUNITA NELL'AMBITO DELLE SCIENZE UMANE. La creazione ufficiale, nel 1967, delle Scienze dell'Educazione all'interno dell'Università francese ha dato luogo a numerosi dibattiti e suscita ancora oggi molte polemiche. Il fatto è, che per molti le scienze dell'educazione e la pedagogia sono la stessa cosa. La 70esima divisione del Consiglio Nazionale delle università (le scienze dell'educazione) riunisce insegnanti, ricercatori e studenti, il cui obiettivo è un approccio interdisciplinare alle questioni educative. All'interno della 77a divisione esistono più tipi di lavoro. Molti attingono dalle metodologie tradizionali delle scienze umane e dipendono dalle epistemologia delle discipline di supporto. 11 La ricerca pedagogica, anche se effettuata in modo istituzionale all'interno dei dipartimenti universitari di scienze dell'educazione, deve far propria l'imprevedibilità costitutiva della praxis pedagogica, il fatto che si tratta di un'attività che pone la libertà dell'altro al centro delle sue preoccupazioni, e non può, quindi, avere la pretesa di predire alcunchè con certezza scientifica. La ricerca pedagogica si propone di produrre dei discorsi che aiutino gli esperti ad accedere alla comprensione della loro pratica. Tuttavia il discorso pedagogico è nella sua essenza, e attraverso tutta la sua tradizione , un oggetto di dibattito perfino di polemiche. Si può dire che la settima esigenza della rivoluzione copernicana in pedagogia consiste nell'accettare l'insostenibile leggerezza della pedagogia. Perché l'uomo vi riconosce la sua impotenza sull'altro, dal momento che ogni incontro educativo è inevitabilmente singolare, e che il pedagogista agisce solo sulle condizioni che permettono a colui che egli educa di agire in prima persona e non può costruire un sistema che gli permetterebbe di racchiudere la sua attività in un campo teorico di certezze scientifiche. La nozione stessa di dottrina pedagogica non può che essere un’ approssimazione consapevole della sua fragilità e del carattere precario delle sue affermazioni. Oggi si vorrebbe ridurre la pedagogia ad un assemblaggio di conoscenze derivate dalle scienze umane. La pedagogia è la speranza attiva dell'uomo che verrà; prima di passare all'atto bisogna ricordarsi che, gli uomini ci hanno tramandato almeno altrettanti piani di mondi immaginari che di città concrete, e che l'esame dei loro sogni non è privo di insegnamento. Dalla Città del Sole di Campanella alla terribile visione di Londra che ci presenta Orwell in 1984, Tutti ci consegnano lo stesso mito della città che prolunga nello spazio collettivo il progetto infernale di Frankenstein: il controllo dei suoi abitanti in uno spazio, in cui ogni uomo occupa il posto che gli ha destinato : l'operaio in fabbrica, l'alunno nel suo banco. Forse però, esiste Un altro mondo, un'altra città, un'altra scuola possibile. Per fortuna, in realtà questa specie di scuola è la sola che esista veramente, purché degli uomini e delle donne sappiano accompagnarvi il bambino ed esservi sorpresi come lui, purché vi si impari ad accogliere l'imprevisto, per osservarlo con occhio curioso, con quella mescolanza di ingenuità e serietà che alcuni chiamano poesia. Purché percorsi non siano tutti tracciati, ma ci si possa interrogare, il più spesso possibile, sulle direzioni da prendere: “per favore, chiese Alice, in quale direzione devo andare? E il gatto a rispondere : Questo dipende da dove tu voglia andare.” (Carrol) Perché in fondo è sufficiente che in questa specie di scuola ci siano molto semplicemente, e all'insaputa dei grandi amministratori e dei potenti gestori, qualche il gatto e dei pedagogisti. 12 CAPITOLO 3 LA PEDAGOGIA CONTRO FRANKENSTEIN, OVVERO I PARADOSSI DI UN'AZIONE SENZA OGGETTO : " FARE PERCHÉ L'ALTRO FACCIA " 1 “FARE TUTTO NON FACENDO NIENTE” J..J. ROUSSEAU Rousseau nell'Emilio dice che il principio basilare di una “pedagogia delle condizioni” è organizzare l'ambiente di vita affinché il bambino sia stimolato il più possibile, tanto dal punto di vista sensoriale, quanto da quello intellettuale. Qui si tratta di considerare il bambino come un soggetto che apprende liberamente, secondo i principi della propria natura, attivando la sua volontà, ma in una situazione costruita e controllata dall' educatore. Il principio Rousseauiano, “fare tutto non facendo niente” non implica l'astensione pedagogica. Rousseau sa bene che rispetto non vuol dire in alcun modo "astensione pedagogica" e ancora meno "abbandono del bambino ai suoi capricci". Ha compreso perfettamente che, giacchè il bambino non è educato, non può scegliere cosa imparare e tantomeno decidere ciò che è importante per lui. Ed è proprio questa la vera differenza tra un bambino e un adulto: un bambino deve essere educato, cioè si deve scegliere per lui quello che deve imparare (anche se in seguito lo si lascia a prendere "liberamente") . Un adulto può continuare a imparare, ma può scegliere da se quello che impara : nel senso letterale del termine, non deve, non può essere educato. Dunque fare tutto non facendo niente significa esercitare pienamente la propria autorità di educatori. Non per agire direttamente sulla volontà del bambino, che significherebbe ingaggiare con lui una prova di forza da cui non si sarebbe certi di uscire indenni, ma utilizzando delle mediazioni, cioè delle situazioni nelle quali viene posto l'educato e che gli permettono di diventare progressivamente un "artefice della propria educazione". Si tratta di mettere a disposizione del bambino oggetti comprensibili e alla sua portata : di metterli in condizione di poter sperimentare senza rischi l'uso di questi oggetti e di fare in questo modo delle scoperte, tanto nell'ambito dell'azione sulle cose, quanto in quello dell'interazione tra le persone. Il materiale pedagogico di Maria Montessori o “il muro delle smorfie” di Hubert Montagner corrispondono a tale progetto. Nel contesto scolastico, questo stesso progetto serve da principio organizzatore di quelle che noi chiamiamo “situazioni-problemi” : l'allievo deve svolgere un compito nel quale investe il proprio desiderio ma, per riuscirci, deve inserirsi in un sistema di limitazioni e risorse che gli permettono di conquistare nuove competenze. Qui si tratta dunque, di rinunciare a chiedere semplicemente alla allievo di elaborare, bisognerebbe impiantarlo automaticamente con la formulazione di un compito preciso da svolgere e assicurarsi che ciascuno abbia una rappresentazione mentale sufficiente di questo compito per poterlo intraprendere e per sapere quando lo ha portato a termine. Ma a scuola il compito non è mai fine a se stesso : non si fa un esercizio di fisica, un tema, non si scrive un articolo per il giornalino semplicemente per il piacere di portare a termine il compito o di ricevere dei complimenti. A scuola tutto questo si fa per prima cosa per crescere, producendo un dato risultato, si deve essere portati a costruire e a consolidare nuovi saperi e nuove abilità. Raggiungere nuovi obiettivi svolgendo un compito che gli appare desiderabile e accessibile nello stesso tempo, un compito per il quale dispone già di qualche competenza e che gli permetterà di acquisirne di nuove fa in un certo qual modo del nuovo con il vecchio. (vedi esempio pagina 100-101) (pagina 101-103) Secondo Albert Jacquard , " la condizione umana è il dono che gli uomini fanno ai loro simili”. Un dono : qualcosa che si dà senza imporre, né pretendere ringraziamenti, qualcosa che si offre. 15 Si tratta di una cosa che va da sè, non mandiamo i nostri figli a scuola solo perché imparino a riuscire a scuola. Ogni educatore supponi che resterà qualcosa, che verrà investito più tardi, altrove, in situazione ampiamente imprevedibili. Infatti, non abbiamo la certezza di essere capace di trasferire altrove e senza difficoltà ciò che abbiamo imparato in una data situazione su contesti specifici. Verosimilmente non esiste una capacità generale di valutazione che potremmo vestire e svestire a piacere con contenuti diversi a seconda dei contesti. Il trasferimento delle conoscenze non è un fatto così accertato così come si crede. Può sembrare strano attribuire più importanza alla necessità che all'esistenza, ma è lo statuto dell'atto pedagogico che lo impone: la pedagogia si interessa per prima cosa di quello che deve fare accadere quello che serve al suo scopo. È questa la fondamentale differenza dalla psicologia : lo psicologo cerca di sapere se il trasferimento esiste. E, il pedagogista afferma che è necessario che esista e che bisogna farlo esistere affinché le attività di insegnamento sia emancipatrice, poiché si sia capaci di associare circostanze, conoscenze per essere più liberi e più forti nel mondo. Una tale esigenza richiede, quindi, la costante preoccupazione di creare dei ponti tra quello che viene appreso in classe e la realtà psicologica, sociale, tecnica e culturale nella quale i giovani vivono. Creare ponti non vuol dire confondere gli ambienti, ma identificare le rive come universi distinti. Quello che viene appreso in classe obbedisce a una logica programmata che è diversa dalla logica della vita : a scuola le difficoltà sono presentati in ordine di complessità crescente. Nella vita le cose si presentano sempre in modo disordinato e noi siamo incalzati all'urgenza. Secondo Witold Gombrowicz, se la vita è un “caos” la scuola deve essere un “Cosmos” organizzato dall'intelligenza dell'uomo, dove la relazione tra le cose e gli esseri devono poter essere pensate secondo l'ordine della ragione. La vita è disordinata; gli apprendimenti scolastici devono essere ordinati. Ma il Cosmos ordina il caos. Il compito a scuola è trasformare il caos in Cosmos, lavorare per ordinare il disordine, per capirlo e averne il controllo all'esterno della scuola. Tuttavia succede il contrario : la scuola costruisce un Cosmos che si giustappone al caos e l'allievo vive tra due culture che coesistono senza integrarsi. E, da un lato si inserisce in un mondo dominato dai media, in cui regnano i fenomeni specifici della cultura giovanile. E, dall'altro per ragioni utilitaristiche fa qualche concessione facendo finta di interessarsi alla cultura scolastica da cui si aspetta, in realtà benefici meramente materiali, in termini di tranquillità e di diploma. Si tratta di non fossilizzarsi nella cultura scolastica e in profitti scolastici destinati solo alla riuscita nella scuola e incapace di mettere in discussione la vita di colui che apprende, di arricchirlo in tutte le dimensioni della sua persona e di permettergli di costruirsi comunque lo soggetto colturale. È più efficace reinserire le conoscenze della loro Genesi storica, ricordare, in questa occasione, le questioni fondatrici di cui abbiamo parlato; Per gli allievi è più interessante di inquadrare quest'ultime, nella loro genesi epistemologica, con le conoscenze che vengono presentate loro e di cui potranno comprendere le condizioni in cui sono venuta alla luce. In breve è fondamentale permettere loro di accedere al significato propriamente umane dei sapere che vengono insegnati. Una volta effettuato questo lavoro, è più interessante chiedere agli alunni di mettersi alla ricerca da soli di situazioni, mestieri, problemi nei quali questa conoscenza possa essere utilizzata, reinvestire e combinata con altre conoscenze per acquisire nuovi saperi e abilità. Così dalla materna all'università sono in corso delle esperienze in cui si chiede agli allievi di cercare gli usi dei saperi che vengono loro insegnati, oppure si chiede di tornare in classe con esempi precisi che dimostrino ciò che si può fare nel mondo con quello che hanno imparato e in cosa questo permette di capire questo mondo e di orientarcisi meglio, nonché di esservi più liberi. E Così interviene il ruolo essenziale, del processo di appropriazione emancipatrice dei saperi, di quella che chiamiamo la metacognizione. 16 La metacognizione consiste nel ritornare sul proprio processo di apprendimento e nel mettere in discussione, in qualche modo e con l'aiuto dei propri pari dei maestri, la dinamica stessa del trasferimento di conoscenza. È un modo di lavorare su questo trasferimento senza essere più nel processo ma di fronte al processo. È un modo di sfuggire completamente al potere dell'educatore mettendosi a distanza e interrogandosi sul rapporto che si stabilisce tra i sapere la propria vita. “certo non controllo tutto. Ma attraverso il mio pensiero mi elevo al di sopra delle situazioni scolastiche e, nelle situazioni sociali. Non controllo completamente tutto e forse non lo controllerò mai, ma capisco il rapporto che sussiste tra le mie conoscenze e le mie esperienze. E faccio della padronanza del rapporto tra le mie conoscenze e le mie esperienze una delle scommesse fondamentali della mia esistenza”. Il ruolo dell'educatore è proprio quello di assecondare questo processo senza controllarlo. 4 "FARE COME SE..." OVVERO L'EDUCAZIONE COME SFORZO INSTANCABILE PER ATTRIBUIRE AD UN SOGGETTO I SUOI ATTI. In fondo nessuno sa davvero quando e come un bambino diventi responsabile dei propri atti. A dire il vero nessuno sa nemmeno se a un adulto si debba far assumere la responsabilità di tutto ciò che fa : perché è sempre possibile ricostruire a posteriori una catena casuale e far apparire la più piccola delle nostre azioni come la conseguenza di un insieme di influenze e di determinazioni nel quale non c'è posto per la volontà di un soggetto o l'espressione di un'ipotetica libertà. È qui che il pedagogista deve ancora preferire la necessità all'esistenza : in realtà, lui non sa mai se il bambino è libero, né se lo porta a diventarlo veramente. Non so se esiste, esisterà mai una libertà pura. E, potrà addirittura pensare, che non sarà mai possibile descrivere e neppure dimostrare un fenomeno che si lascia cogliere solo per essere negato. Ma è suo compito far accadere questa libertà che costituisce colui che gli è affidato nella sua umanità . L'educatore ha il ruolo di attribuire instancabilmente al bambino i suoi atti senza tuttavia accusarlo, quando si smarrisce. Attribuire senza accusare : la necessità non è semplice, ma essenziale. Poichè non attribuire significa impedire la libertà di emergere, e accusare significa supporre questa libertà già costituita, quando invece bisogna farla ancora concretizzare. In qualche modo, l'educatore onora una libertà con la convinzione che questa emergerà pian piano dall'atto che istituisce. Perché la libertà e la volontà che la sostiene sono in un soggetto, una risposta, un modo di riconoscere la considerazione nella quale si è attenuti. Tuttavia ci può essere come una sorta di ingiustizia nel imputare un bambino la cui formazione non si è ancora conclusa e che dipende soprattutto dagli adulti che lo circondano, la responsabilità delle sue azioni. Lui può nutrire quindi del risentimento, avendo l'impressione di “pagare per qualcun altro” ; Poichè il bambino ha ceduto alle pressioni dei genitori o ha subito le conseguenze di una loro decisione. Per esempio, come attribuire l'iniziativa di portare il velo islamico a ragazze giovani che, in tutta evidenza, non fanno altro che sottomettersi a un ingiunzione parentale? Ora, è proprio qui che bisogna uscire dalle tradizionali schemi di pensiero : capire l'altro non significa deresponsabilizzarlo. Significa riconoscere le influenze a cui è soggetto e le determinazioni che lo imprigionano, e così fornirgli i mezzi per mettersi a distanza da quello che vive : “la decisione non dipende del tutto da te. Ma sei tu ad avere il potere di decidere, un giorno, quando ti sentirai abbastanza forte e contando allora sul mio aiuto, di obbedire o disobbedire a quelli che decidono per te”. La questione è quella dello statuto dell’ attribuzione nell'impresa educativa. 17 Non attribuiamo un atto, un risultato a qualcuno solo perché questo è un modo affinchè se la attribuisca lui stesso o da lì prenda in qualche maniera possesso della propria persona. È un modo per dirgli : assumiti le responsabilità di ciò che fai. Poichè comunque si rivendichi responsabile delle proprie azioni può assumere le conseguenze. È per questo che la sanzione in se non ha alcun Potere educativo. Quando invece è inserita in un processo di responsabilizzazione ed è intesa come segno di fiducia e come opportunità, la sanzione può diventare un trampolino essenziale nello sviluppo di un soggetto. È per questo che è ben più formativo il modo nel quale la funzione è applicata, piuttosto che il suo contenuto formale. Stabilità, all'inizio dell'elaborazione collettiva del regolamento interno con gli alunni, inscritto nel quadro di un contratto stipulato tra l'allievo e l'educatore, discussa in un consiglio, con tutte le garanzie che rappresenta la presenza di un rituale di mediazioni efficace, e di un maestro attento a non umiliare né escludere le persone, la sanzione può costituire una transazione educativa essenziale. La stessa cosa avviene per la valutazione scolastica : prima di porsi tutte le consuete domande funzionali sulla sua esattezza o sul ruolo del processo di apprendimento, è necessario interrogarsi sulla sua funzione di attribuzione. (vedi esempi pagina 122-124 ). 5 "FAR COSTRUIRE LA LEGGE" , OVVERO LA NECESSITÀ DEI RITUALI Nonostante il suo sconfinato desiderio di avere una compagna, la creatura di Frankenstein e resterà sola fino alla fine. Attraverso la lettura e osservando la vita quotidiana degli uomini scopre le regole che reggono le comunità. I suoi sentimenti pacifici e la sua inclinazione per la pace sociale, non dureranno a lungo quando scoprirà di suscitare solo errore agli occhi degli uomini. Qui la creatura illustra perfettamente un fenomeno confermato dalla storia recente, che la convinzione morale, per quanto radicata nel culto della cultura classica, non può in nessun caso sostituire la costruzione della legge e la determinazione etica. Osserviamo questo fenomeno nella quotidianità delle nostre classi quando vediamo cerchi alunni, incapaci di resistere ai loro impulsi immediati, che umiliano deliberatamente un compagno, un insegnante, che lasciano sfuggire, come per sbaglio, una bestemmia, un insulto, un pugno, che cadono in preda ad attacchi di collera che nessuno è in grado di contenere. Quotidianamente, da quando si avventurano fuori dalle tacite regole di apparente sottomissione, tanti insegnanti si scontrano con un gruppo di allievi in cui regna il tumulto, in cui non è possibile alcuna disciplina basata sulla parola, in cui si finiscono nella richiesta del silenzio , prima di fare appello al ricatto più banale : per esempio, se non vi calmate torneremo ai metodi che si sono già dimostrati validi, oppure prendete un foglio interrogazione scritta. Ma la scuola e i comportamenti degli alunni non possono essere trasformati per decreto. Un gruppo di bambini e di adolescenti non può essere rispettosa delle persone solo perché un adulto lo chiede o cerca di imporlo con la forza ; certo può succedere che si ottengano dei momenti di calma, perfino di dialogo. Ma se non si costruisce la legge, la violenza riemerge da un'altra parte, nei corridoi, nel corso o nella classe di un collega . I rituali pedagogici che permettono ai soggetti di mettersi in gioco, di liberarsi dal immaginario di scoprire di potere liberatorio
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved