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fu mattia pascal analisi, Sintesi del corso di Italiano

fu mattia pascal analisi completa

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 28/07/2019

Hshsjwjsj
Hshsjwjsj 🇮🇹

4.7

(17)

10 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica fu mattia pascal analisi e più Sintesi del corso in PDF di Italiano solo su Docsity! IL FU MATTIA PASCAL PUBBLICATO NEL 1904 È la storia paradossale di un piccolo borghese, imprigionato nella trappola di una famiglia insopportabile e di una misera condizione sociale che, per un caso fortuito, si trova improvvisamente libero e padrone di sé: diviene economicamente autosufficiente grazie ad una vincita e apprende di essere ufficialmente morto, in quanto la moglie e la suocera lo hanno riconosciuto nel cadavere di un annegato. Mattia si costruisce un’identità nuova e soffre perché la sua identità falsa lo costringe ad essere escluso dalla vita degli altri. Decide pertanto di rientrare nella sua vecchia identità tornando in famiglia ma scopre che la moglie si è risposata ed ha avuto una figlia da un altro. Non gli resta che adattarsi alla sua condizione, consapevole di non avere identità e di non essere più nessuno. CAPITOLO I /PREMESSA Nella prefazione Mattia Pascal, sostiene di essere stato protagonista di un evento eccezionale e di voler raccontare la sua strana vicenda in un manoscritto che potrà essere letto solo 50 anni dopo la sua terza, ultima e definitiva MORTE. Mattia per 2 anni si è occupato della Biblioteca che un monsignore ha lasciato al Comune, con la speranza che il suo lascito possa accendere nell’animo dei paesani l’amore per lo studio. In realtà, sostiene Mattia, questo non è mai successo. Inizialmente anche Mattia Pascal nutre scarso interesse per i libri e per la scrittura ma è indotto ad iniziare a raccontare la sua vicenda per iscritto perché ritiene che il suo caso sia davvero strano e inconsueto: “Io sono morto, sì, già due volte, ma la prima per errore, la seconda…sentirete!” CAPITOLO II /PREMESSA SECONDA Mattia, nel comporre il suo manoscritto, ha seguito il consiglio del suo amico, il Reverendo don Eligio. Scrive nella chiesa sconsacrata dove si trova il lascito di Monsignore, in attesa che il reverendo cataloghi e riordini i libri. Mattia cita Copernico e lo maledice: la sua scoperta ha rovinato l’umanità. Da quando l’uomo è consapevole del fatto che la terra è un’invisibile trottolina, un granellino di sabbia impazzito che gira e gira senza sapere perché, tutto acquista un’importanza relativa, anche le più gravi calamità. Don Eligio osserva tuttavia che l’uomo si distrae facilmente e dimentica senza difficoltà la sua fragile natura: Mattia è d’accordo su questo e sostiene che gli uomini sono capaci di dimenticare rapidamente la loro natura terrena e di “azzuffarsi per un pezzettino di terra “ Mattia vuole dunque raccontare la sua storia: alcuni fatti non gli faranno onore, ma a lui non importa: EGLI SI PUÒ GIÀ CONSIDERARE INFATTI FUORI DALLA VITA, SENZA OBBLIGHI E SCRUPOLI DI SORTA. CAPITOLO III:LA CASA E LA TALPA Mattia ha 4 anni e mezzo quando il padre muore. Questa morte improvvisa è la rovina per i Pascal. La famiglia, che risiede a Miragno, un paese immaginario della Liguria, e composta dalla moglie e da due figli, Mattia e Roberto. La moglie, debole, incapace, negata per gli affari, affida infatti il patrimonio del marito all'amministratore MALAGNA, che lucra sulle disgrazie della famiglia per avere il proprio tornaconto. Mattia e Roberto, una volta cresciuti, non tentano nemmeno di recuperare gli averi perduti e di contrastare Malagna: conducono una vita oziosa e dissipata, non frequentano la scuola, ma ricevono un’istruzione sommaria da un istitutore di nome PINZONE. CAPITOLO IV/FU COSI’ Il capitolo inizia con l’impietosa descrizione di Malagna: grasso, rozzo, tozzo, sempre sudato, dalla voce” molle e miagolante”, in perenne conflitto con la moglie Guendalina. Malagna desidererebbe un figlio ma la moglie deperisce di giorno in giorno finché muore, Malagna piange la morte della moglie e la pensa con devozione ma un bel giorno si prende in casa e sposa una ragazza giovane e robusta, OLIVA, che Mattia aveva conosciuto in precedenza: una ragazza onesta, spigliata, bella, giovane e fresca. Malagna sperava di avere figli da lei ma, ritenendo la moglie responsabile dell’infertilità, comincia a maltrattarla. Roberto e Mattia hanno un amico, POMINO, che ha la caratteristica di “cangiare con meravigliosa facoltà scimmiesca”, a seconda che si trovi con Berto o con Mattia. Un giorno Pomino parla a Mattia di una ragazza di nome ROMILDA che lui ha adocchiato. Romilda, figlia della VEDOVA PESCATORE, è nipote di Malagna; sembra che Malagna abbia messo gli occhi su Romilda e quindi Pomino prega Mattia di intervenire per salvare la ragazza dalle grinfie del perfido amministratore. Il giorno dopo Mattia, con la scusa di una cambiale, va a casa della vedova Pescatore e qui trova Malagna e Romilda. Sospetta che ci sia effettivamente una relazione clandestina fra zio e nipote. Mattia rimane colpito dalla bellezza e dalla grazia di Romilda (“occhi cupi, intensi, occhi notturni…”) e cerca di convincere Pomino a sposare la ragazza, prospettandogli una felice vita matrimoniale. Gli consiglia di scrivere una lettera. Perché Mattia si dà tanta pena per Pomino? Solo per il gusto di stordire l’amico, di far restare Malagna con un palmo di naso, per salvare la ragazza. Ma alla fine Romilda si innamora di Mattia. I due iniziano una relazione clandestina. Un giorno Romilda, disperata, getta le braccia al collo di Mattia e lo scongiura di portarla via, lontano. Nei giorni seguenti Mattia riflette sulla proposta e sta quasi per annunciare il fidanzamento alla propria madre quando riceve una lettera da Romilda che gli chiede seccamente di non occuparsi più di lei e di considerare finita la relazione. Lo stesso giorno Oliva, disperata, racconta a Mattia che il marito Malagna ha scoperto che lui può avere figli (Romilda è incinta) e vuole divorziare. Mattia rivela a Oliva che in realtà lui ha avuto una relazione con Romilda e quindi lui è il padre e come prova le mostre la lettera di addio che gli ha inviato Romilda. Inizia una relazione clandestina con Oliva. Anche Oliva rimane incinta: Malagna, che pensava di ripudiare la moglie perché non riusciva a dargli un erede, rimane con lei, e costringe Mattia a sposare Romilda. La madre di Romilda, la vedova Pescatore, non si dà pace per questo. Ma improvvisamente Mattia ha un’illuminazione “Ero morto, morto, non avevo più debiti, né moglie, né suocera: nessuno! Libero! Libero! Libero! Mattia rinuncia a risalire sul treno, si procura un altro giornale per rileggere con calma e tranquillità l’articolo. Si sente “paurosamente sciolto dalla vita, superstite di sé stesso, sperduto, in attesa di vivere oltre la (fittizia) morte, senza intravvedere ancora in quale modo.” Nell'articolo si parla della “tremenda costernazione e dell’inenarrabile angoscia” che tormenta moglie e suocera”, della “vedova sconsolata che piange il diletto marito”, della “stima dei concittadini”. Mattia prende la sua decisione e si sente sollevato. CAPITOLO VIII: ADRIANO MEIS Mattia costruisce gradualmente la propria identità, “non solo esteriormente, ma anche nell’intimo. Mattia ormai è “solo, sciolto da ogni legame, nuovo e assolutamente padrone di sé, senza più il fardello del suo passato, con un paio d’ali”, artefice del suo nuovo destino. Mattia si propone di sfuggire agli aspetti sgradevoli della sua nuova vita, di ricercare “belle vedute, ameni luoghi tranquilli”, di trasformarsi in modo da poter dire “non solo di aver vissuto due vite ma di essere stato due uomini”. Mattia modifica il suo aspetto fisico, accorciandosi la barba, e sceglie un nuovo nome dopo aver ascoltato casualmente una conversazione in treno: Adriano Meis. All'inizio Mattia si sente pervaso da una fresca letizia infantile e assapora la gioia della novella libertà. “Oh levità deliziosa dell’anima, serena, ineffabile ebbrezza!!!”. L’idea della libertà sconfinata e unica gli procura un’improvvisa felicità, un beato stupore. L’aria è di una meravigliosa trasparenza e Mattia si sente così inebriato dalla nuova libertà che teme quasi d’impazzire. Mattia si libera perfino della fede matrimoniale. Mattia deve anche costruirsi nei minimi particolari un passato. Egli immagina di essere figlio unico, di essere nato in America, in Argentina, di essere ritornato in Italia in tenerissima età, di aver avuto i genitori morti quando lui era in tenera età, di avere avuto perfino un nonno che lo ha cresciuto. Per creare l’immagine del nonno Mattia osserva a lungo i vari vecchietti incontrati nel suo peregrinare di città in città, coglie di ognuno un aspetto particolare “Oh, di quanti nonnini veri si compose il nonnino mio!” Per ricostruire l’infanzia fittizia Mattia osserva decine di ragazzini dai 5 ai 10 anni, studia le loro mosse, i loro giochi, le loro espressioni. Mattia vive la sua nuova vita senza avere quasi relazioni con gli altri e, dopo un po’ di tempo, comincia a sentire il peso della sua nuova condizione: è senza documenti, non può lavorare e dunque deve razionare i suoi risparmi, non ha compagnia. Un giorno in particolare si rende conto di quanto tiranna sia la sua libertà: vorrebbe comperare un cagnolino, ma si rende conto che non può. Dovrebbe pagare una tassa, ma è impossibilitato a farlo perché ufficialmente non esiste. CAPITOLO IX: UN PO’ DI NEBBIA Il primo inverno è trascorso; inizia il secondo e la magia legata alla ritrovata libertà inizia ad appannarsi. Mattia comincia a pensare di trovarsi una fissa dimora ed invidia le persone normali che non conoscono quel senso di penosa precarietà che ormai caratterizza la sua vita. Mattia si deve privare anche degli oggetti, gli oggetti che si caricano di significati particolari per il loro proprietario, che suscitano emozioni e ricordi. Mattia non può possedere nulla, costretto come è ad alloggiare in camere d’albergo, con la valigia in mano. Mattia immagina sé stesso che torna a casa per Natale, con il panettone sotto il braccio. “Buongiorno, io sarei il defunto marito della signora Pascal, vengo lesto lesto dall’altro mondo per passare le feste in famiglia, con licenza dei superiori” Mattia pensa:” Ci sono altre persone sole al mondo”, ma è anche vero che la condizione di queste persone sole può sempre cambiare mentre la sua no, è destinata a rimanere tale per sempre. Mattia sarà per sempre un forestiero della vita. Mattia ha fatto amicizia con un signore, vicino di tavolo in trattoria, un certo Cavalier Tito Lenzi. Quando i cavalieri comincia a porre domande a Mattia sul suo passato, questi si sente a disagio, si ritrae. Al termine della conversazione si rende conto inoltre che il nuovo amico mente e Mattia si sente avvilito: si chiede come mai l’uomo menta, se non è costretto a mentire. Mattia, da parte sua, obbligato ad una vita di finzione, si sente “torcere l’anima dentro “mentre è condannato a mentire. Mattia si rende conto che non potrà mai avere un vero amico, ma solo relazioni superficiali, che dovrà vivere per sempre mascherato. La vita, osservata da spettatore esterno, gli sembra senza scopo e senza senso. Il frastuono, il fermento della città in perenne movimento lo stordiscono: “Perché gli uomini si affannano a rendere più complicato il congegno della loro vita?? Perché tutto questo stordimento di macchine? Che farà l’uomo quando le macchine faranno tutto?” Si accorgerà allora che il progresso non ha nulla a che fare con la felicità?” Mattia torna in albergo immerso nei suoi cupi pensieri e si mette a parlare con un canarino in gabbia, illudendosi che questo gli risponda. Mattia è convinto che l’uomo pensi che la natura in qualche modo gli parli, comunichi, trasmetta messaggi. ma forse la natura non ha la minima percezione di noi e della nostra esistenza. La conclusione di Mattia, al termine di queste amare riflessioni:” Io dovevo vivere, vivere, vivere…” CAPITOLO X. ACQUASANTIERA E PORTACENERE Mattia decide di stabilirsi a Roma: la città gli piace ed inoltre gli sembra la più adatta ad ospitare, tra tanti forestieri, un forestiero come lui. Il ragazzo trova una stanza in affitto presso una famiglia discreta, composta dal signor Paleari, la figlia Adriana, il cognato di Adriana Terenzio, al momento fuori città. Adriana lo informa che in casa vive un’altra inquilina, Silvia Caporale, un’insegnante di pianoforte sola, infelice, distrutta dall’alcool, arrabbiata con la vita: viene ospitata gratuitamente in casa poiché in passato ha affidato i suoi risparmi a Terenzio che li ha investiti in un affare non andato bene. Adriana è una donna minuta, timida, seria, che sembra portare sulle sue fragili spalle tutto il peso della gestione della famiglia. La sorella è morta sei mesi prima. Il padre – nota Mattia – appare un tipo eccentrico, “con il cervello di spuma”, dedito a strane letture di teosofia, ossessionato dal pensiero della morte, interessato al paranormale: ha scoperto nell’inquilina Silvia straordinarie facoltà medianiche. Adriana è molto religiosa e soffre per le pratiche medianiche del padre. Sopra il comodino nella camera di Mattia è appesa un’acquasantiera. Una notte Mattia la utilizza distrattamente come portacenere. Il giorno dopo l’acquasantiera non c’è più e sul comodino è appoggiato un portacenere. Mattia si rende conto di non essere più entrato in chiesa per pregare e di non aver riflettuto a lungo sul pensiero della morte: ma l’ossessione di Paleari alla fine contagia anche lui. Paleari parla sempre e solo di morte e riflette sul concetto di materia. Se tutto è materia, esistono comunque diversi gradi di materia: “Nel mio stesso corpo c’è l’unghia, il dente… e c’è il finissimo tessuto oculare!” La Natura ha faticato migliaia di secoli per far evolvere l’uomo dallo stadio di verme a quello attuale, per arrivare a “questa bestia che ruba, questa bestia che uccide, questa bestia bugiarda che pure è capace di scrivere la DIVINA COMMEDIA… e tutt’a un tratto, paffete, torna zero? Diventerà verme il mio naso, il mio piede, non l’anima mia, perbacco!” Paleari osserva che deve pur esserci una vita oltre la vita: “Se mi provano che, dopo aver faticosamente vissuto per anni, tutto finisce lì, ma io la mia vita la butto via oggi stesso!” “Sarebbe la cosa più assurda e atroce se tutto dovesse consistere IN QUESTO MISERABILE SOFFIO CHE È LA NOSTRA VITA TERRENA: 50, 60 anni di noia, di miserie, di fatiche: perché?... Non possiamo comprendere la vita se non ci spieghiamo la morte.” “Se manca la lampadina della fede ci aggiriamo nella vita come ciechi.” Paleari non si cura di indagare sulla vita di Mattia. Solo una volta gli chiede perché si trovi a Roma. Non capisce perché il ragazzo abbia scelto una città triste, morta, chiusa nel sogno del suo maestoso passato, indifferente al formicolio che si agita intorno a lei. Roma giace con il suo “grande cuore frantumato”: i papi ne avevano fatto un’acquasantiera, gli Italiani l’hanno trasformata in un posacenere. CAPITOLO XI: DI SERA, GUARDANDO IL FIUME Man mano che cresce la familiarità con i padroni di casa, cresce il disagio di Mattia. Egli si sente un intruso, con un nome falso, un’esistenza fittizia e ripete continuamente a sé stesso che non deve accostarsi troppo alla vita altrui. La sera si affaccia alla finestra ad osservare il fiume nero e silente e ad immaginare il suo percorso tortuoso fino alla foce. Spesso vede Adriana intenta ad annaffiare i fiori e spera che lei sollevi lo sguardo verso di lui. Spesso Mattia girovaga di notte per le vie spettrali di Roma. Una sera si trova coinvolto in una rissa e riesce a salvare una donna dall'aggressione di 4 uomini. I due poliziotti intervenuti lo invitano a denunciare il fatto alla stazione di polizia ma Mattia si schermisce, poiché non ha documenti. “Eroe non potevo più essere davvero!” La Signorina Caporale ogni tanto rivolge domande sulla vita privata di Mattia: questi si rassegna e mente in continuazione. Man mano che racconta cose mai avvenute Mattia diventa sempre più abile:” Meravigliavo io stesso di aver accolto, viaggiando, tante impressioni, che il silenzio aveva quasi sepolte in me, e che ora, parlando, resuscitavano, mi balzavano vive dalle labbra. Mattia, dallo sguardo e dal rapimento con il quale la signorina Caporale lo ascolta, capisce che lei è innamorata di lui. Ma Mattia prova invece una strana attrazione per Adriana, una “pura soavissima ebrezza.” “Le anime hanno un loro particolar modo d’intendersi…, mentre le nostre persone sono impacciate nel commercio delle parole comuni, nella schiavitù delle esigenze sociali”. Una sera Mattia assiste ad una scena che lo turba: sente una voce di uomo provenire dal terrazzino di casa dove spesso si trattiene con le due donne a chiacchierare. Si tratta di Terenzio Papiano, il cognato di Adriana, marito protezione della legge? Io ero fuori d’ogni legge. Chi ero io? Nessuno!!! Non esistevo io, per la legge. E chiunque ormai, poteva rubarmi; e io, zitto!” Mattia riesce a calmare Adriana e a farle promettere che per il momento non divulgherà la cosa. Rimasto solo Mattia è preso dallo sconforto: non è nessuno, non può neppure denunciare un furto. “Mi è sembrata una fortuna l’essere creduto morto? Ebbene, sono morto davvero. Sono vivo per la morte e morto per la vita.” Mattia prende in considerazione l’idea di andarsene: con il lutto nel cuore si sarebbe allontanato da quella casa dove aveva trovato un po’ di requie, in cui si era fatto il nido, e di nuovo per le strade, senza meta, senza scopo, nel vuoto …solo, diffidente, ombroso. Cosa resta di Mattia Pascal? La sua ombra. CAPITOLO XVI: IL RITRATTO DI MINERVA Tornato a casa Mattia trova la famiglia in subbuglio e scopre che Adriana ha informato i familiari del furto. Si pensa che il ladro sia il fratello di Terenzio, Scipione, che è infermo ed incapace di intendere e volere. Mattia, che vuole mettere a tacere la questione, informa tutti che ha ritrovato il denaro che pensava rubato, nel portafoglio. Adriana non crede alla versione e si allontana sconvolta. Terenzio informa i presenti che già prima del supposto furto aveva preso la decisione di far ricoverare il fratello in un istituto, di concludere un affare per poi restituire il denaro al suocero. La famiglia ha un appuntamento a casa del Marchese Giglio d’Auletta. Qui Mattia si avvicina a Pepita e conversa con lei per far dispetto ad Adriana: egli vorrebbe in qualche modo evitare di illudere ancora la ragazza, che non lo merita. Dopo un po’ di tempo arriva, in ritardo, il pittore Bernaldez che ha l’incarico di eseguire il ritratto di Minerva, la cagnolina di Pepita. Mattia entra in conflitto con il pittore, ritiene di essere stato offeso e lo vuole sfidare a duello. Va alla ricerca di due padrini in un gruppo di ufficiali ma viene preso in giro. Mattia si allontana sconvolto e disperato, con l’anima “frustata da quel dileggio, piena di una plumbea tetraggine angosciosa.” “Tutta la mia vita si spegneva, ammutoliva con quella notte.” Mattia, camminando, si trova su Ponte Margherita. Improvvisamente trova una soluzione alla sua disperazione: decide di far credere di essersi suicidato, lasciando sul ponte il suo berretto, il suo bastone ed un biglietto con il nome Adriano Meis. Tornerà a Miragno, si vendicherà di moglie e suocera che hanno fatto finta di riconoscerlo nel cadavere di uno sconosciuto e così si libererà per sempre di quella menzogna che lo sta uccidendo lentamente da due anni, di quel “tristo, odioso fantoccio” che lui stesso ha creato con le sue mani. Dopo aver lasciato biglietto, cappello, bastone Mattia si allontana furtivamente. CAPITOLO XVII Mattia si reca alla stazione e sale sul treno per Pisa, dove ha intenzione di fermarsi un paio di giorni prima di riprendere il treno per Miragno. Mattia si sente sollevato “Finalmente libero! Non dover più mentire, non dover più temere di essere scoperto! Come mi ero illuso che potesse vivere un tronco reciso dalle sue radici?” Mattia fa delle congetture su ciò che si potrà dire di Adriano Meis nel momento in cui si saprà del suicidio. Perché Adriano si è suicidato? Per via del duello imminente? Per un furto? A causa di una relazione sentimentale? “Domande, supposizioni, pensieri, sentimenti, tumultuavano in me, mentre il treno rombava nella notte e non mi davano tregua.” È soprattutto il pensiero di Adriana che angustia Mattia. Il giorno dopo compare sul giornale la notizia del suicidio di Adriano, che ha lo stesso risalto di un normale fatto di cronaca. Mattia, tranquillizzato, può partire per Oneglia, dove ha intenzione di far visita al fratello Roberto. Berto rimane stupefatto quando vede il fratello, lo abbraccia e lo informa che la moglie Romilda si è sposata con Pomino; se Mattia torna a casa il secondo matrimonio verrà annullato per legge. Mattia decide di partire per Miragno la sera stessa. CAPITOLO XVIII Mattia in treno è preso dall'ansia e dalla rabbia. Arrivato a Miragno, si reca di corsa a casa di Pomino. Alla sua vista Pomino, la suocera e Romilda sono terrorizzati e lo guardano come se vedessero un fantasma. Mattia scopre che Romilda ha avuto una bambina da Pomino. Segue un’accesa discussione al termine della quale Mattia afferma che non intende ritornare a vivere con la moglie: il matrimonio con Pomino non verrà quindi annullato. Mattia se ne va. Si stabilisce presso la zia Scolastica e riprende il suo lavoro di bibliotecario. A chi gli domanda come si chiami lui risponde: "IO SONO IL FU MATTIA PASCAL". RIASSUNTO Trama Mattia Pascal vive a Miragno, dove il padre ha lasciato in eredità la miniera di zolfo alla moglie e ai due figli. Batta Malagna, un disonesto amministratore, si interessa di gestire il patrimonio. Questi sposa Oliva, ragazza che Mattia conosce bene e con la quale intraprende una relazione adultera al fine di fare un dispetto all'amministratore che, non riuscendo ad avere eredi, attribuisce la colpa ad Oliva, senza pensare che invece sia lui stesso il "problema". Alla fine Oliva rimane incinta di un bambino, figlio di Mattia. L'amico Pomino dice al protagonista di aver scambiato una discussione con una serva, scoprendo così che Malagna sta tramando qualcosa con la cugina, Marianna Dondi, vedova Pescatore; questa gli avrebbe rimproverato di non riuscire ad avere un figlio, conseguenza dovuta al rifiuto di sposare Romilda, figlia della vedova e nipote di Malagna, di cui Pomino è innamorato. Ora lo zio si sarebbe pentito di non aver accontentato la nipote. Mattia e Pomino temono che l'uomo stia combattendo con la cugina per avere un figlio da Romilda. Pascal aiuta l'amico, e, giusto per stordirlo un po', gli dice che, per salvare la giovane, Pomino potrebbe sposarla. Con la scusa di una cambiale, Mattia si reca a casa di Marianna Dondi, dove trova anche Malagna. Conosce Romilda. Si trattiene poco a casa della vedova Pescatore, per poter tornare ancora da Romilda e dalla madre, che, però, non sembra contenta dell'annuncio di una sua prossima visita. Nonostante il giovane le parli di Pomino, Romilda si innamora di Mattia, e lui ricambia l'amore. Un giorno, la ragazza, rimasta sola con lui dopo che la madre si è allontanata, gli chiede di portarla via. Romilda viene messa incinta da Mattia e lui, in seguito al loro rapporto sessuale, pensa come preparare la madre alla notizia del suo inevitabile matrimonio. Riceve, però, una lettera da Romilda, in cui lei gli dice che non devono più vedersi. Mattia non comprende il motivo che ha spinto la giovane a chiedergli una cosa simile. Oliva si reca a casa sua per sfogarsi con la madre di Mattia per la disperazione cagionatale dal marito. Batta Malagna ha annunciato il prossimo arrivo del suo tanto atteso figlio. Mattia, compresa la ragione per cui Romilda gli ha detto che non avrebbero dovuto più vedersi, si sente ingannato da lei. Si reca così a casa di Oliva e le mostra la lettera. La ragazza capisce che Malagna non è il vero padre del bambino che aspetta Romilda, ma Mattia le dice che lei deve far credere al marito che lui può veramente avere un figlio e la mette incinta. Malagna scopre il tradimento della moglie, va da Mattia e gli dice che ha disonorato la nipote e che deve rimediare a quello che ha fatto. Il protagonista capisce che Romilda non ha fatto nulla di male per far credere a Malagna di essere il padre del bambino che lei aspetta. La ragazza, infatti, sostiene che quando ha rivelato alla madre l'amore che ormai la legava indissolubilmente a Mattia, Marianna Dondi è andata su tutte le furie, e le ha detto che non avrebbe mai acconsentito a farla sposare con uno «scioperato». Giunto Batta Malagna, la vedova Pescatore lascia sola Romilda con lui. La giovane gli rivela la sciagura che le è capitata e gli chiede di opporsi alla madre e di "indurla a più giusti consigli", dato che lei voleva restare fedele a Mattia. L'uomo si intenerisce, ma non troppo; le dice che, essendo Romilda minorenne, è ancora sotto la potestà della madre e che potrebbe anche agire giudiziariamente contro Pascal ma giunge ad un compromesso accettando come suo il figlio che sarebbe nato da Romilda. Ora però che anche la moglie è incinta dovrà fare da padre al bambino che Oliva aspetta da Mattia. Mattia quindi è costretto a sposare Romilda che è invidiosa del figlio che sarebbe nato ad Oliva tra gli agi, al contrario del suo che verrà al mondo nell'incertezza del domani, e "non può vedere Mattia". Per salvare il podere della Stia col mulino, i Pascal devono vendere le case, e la madre del protagonista va a vivere con il figlio. Ma questo non basta. Pascal cerca di trovare un'occupazione, ma non ci riesce. La vedova Pescatore e Romilda non si dimostrano gentili con la madre di Mattia, e lui teme che, irritate dalla guardia che il giovane fa alla madre, la trattino male. Zia Scolastica, membro nubile della famiglia, presentata ad inizio dell'opera, la porta via. Un giorno, verso sera, Pascal incontra per caso Pomino. Egli è adirato con Mattia per il suo tradimento, ma il protagonista cerca di convincerlo che è stato Pomino a tradirlo, dato il sacrificio che deve compiere vivendo con Romilda e la vedova Pescatore. L'amico gli trova un lavoro: suo padre, entrato nel municipio, dice che la biblioteca di Boccamazza è in misere condizioni, e colui che se ne occupa è fisicamente debole. Grazie a Pomino, Mattia diventa bibliotecario. Un giorno, gli giunge notizia che la moglie sta per dare alla luce il bambino. Lui si precipita a casa, dove Marianna Dondi gli dice di andare a cercare un medico. Dopo aver girato invano, Mattia, esausto, torna a casa, e vi trova il dottore. Pascal vede che sono due bambine quelle che Romilda gli sta dando: una è già nata, l'altra sta per venire al mondo. Una delle figlie muore a pochi giorni dalla nascita, l'altra quando ha quasi un anno. Con la piccola viene a mancare anche la madre di Mattia, nello stesso giorno e quasi nella stessa ora. Una notte intera Mattia vaga per il paese e le campagne, e alla fine si ritrova nel podere della Stia, presso la gora del mulino. Viene aiutato da un vecchio mugnaio di nome Filippo, che lo fa sedere sotto un albero e gli parla della madre e del padre del protagonista. L'uomo lo consola, gli dice che non deve piangere e disperarsi così, perché la figlia è stata accolta nel «mondo di là» dalla sua nonna, che le parlerà sempre di lui e non l'abbandonerà mai. Dopo una delle consuete liti con Romilda e la vedova Pescatore, che dopo la morte della sua bambina e della madre lo disgustavano, non riuscendo più a resistere alla sua miserabile vita, Mattia fugge dal paese. Strada facendo, pensa di recarsi a Marsiglia , da cui avrebbe potuto partire per l'America. Ma giunto a Nizza si ferma davanti ad una bottega, dove sono esposti opuscoli che pubblicizzano il gioco della roulette. All'inizio si allontana dalla bottega, ma poi vi entra e, per curiosità, compra un opuscolo. Quindi parte per Montecarlo. Arrivato qui, si ferma a giocare alla roulette, e, con sua sorpresa, vince. persona inesistente per lo Stato. Si sente così ridotto ad un’ombra. Sfidato a duello da un pittore spagnolo per questioni di gelosia, Adriano Meis, alias Mattia Pascal, in quanto privo di identità non è neanche in grado di procurarsi i padrini necessari per battersi, decide quindi di abbandonare Roma e Adriana e di far perdere le sue tracce facendo credere ad un suicidio per annegamento. Nei capitoli conclusivi, XVII e XVIII, il protagonista cerca quindi di rientrare nella sua vecchia identità, “risorgendo” come Mattia Pascal. Torna al suo paese natale, Miragno, ma scopre che la moglie si è formata una nuova famiglia, si è risposata ed ha avuto una figlia con il suo amico Pomino, da sempre innamorato di Romilda ed a cui Pascal l’aveva portata via. Rinuncia allora a vendicarsi della moglie e ad avvalersi della legge in base alla quale è ancora lui il marito legittimo, ma in tal modo non gli resta altro che adeguarsi a vivere una condizione sospesa di “forestiere della vita”, “come fuori della vita”, che osserva gli altri dall’esterno, cosciente di non essere più “nessuno”, o meglio, di essere “fu Mattia Pascal”. Aspettando la terza definitiva morte, si accontenta di vivere nella biblioteca in cui aveva svogliatamente lavorato da giovane, scrivendo la propria storia. Incipit L’incipit del romanzo vede Mattia Pascal dichiarare di avere un’unica certezza quella di chiamarsi Mattia Pascal ma di non essere Mattia Pascal. Emerge in questa dichiarazione l’inettitudine del personaggio, cioè la sua incapacità di liberarsi della “zavorra” dell’identità, e conseguentemente delle convenzioni e della forma, nonostante ne abbia avuto l’occasione, grazie al duplice colpo di fortuna di una vincita consistente al casinò di Montecarlo e la sua presunta morte. Nonostante abbia scoperto che il nome è una triste convenzione sociale, una maschera vuota ed una gabbia soffocante che imbriglia il flusso vitale, Pascal commette l’errore di darsi una seconda identità, chiudendosi in un’altra trappola. rivela di aver conservato tutto il suo carattere piccolo borghese, il bisogno della casa, del tepore della famiglia. Conclusione Il romanzo si chiude con un paradosso: morto due volte e senza più la possibilità di avere un’identità sociale, il protagonista può vivere solo come “il fu Mattia Pascal”, cioè come un defunto, una persona morta, scomparsa per sempre. Alla fine, dopo aver capito che la vita è una finzione alienante e tragica e che la realtà non è riducibile a un’unica prospettiva e a un unico significato, il protagonista deve accettare di vivere la condizione del “forestiere della vita”, ossia in una condizione di passività ed accettazione, nella stasi totale. Ha intuito infatti che un’identità vera non esiste e neppure può essere conferita da norme sociali false che riducono l’uomo a un nome e a una maschera. Il fu mattia pascal: i personaggi Analizzando poi i personaggi principali de “Il fu Mattia Pascal” vediamo che ognuno di questi ha una sua particolare importanza. Mattia Pascal / Adriano Meis: si tratta di un personaggio dimesso, insignificante salvo lo strabismo che lo rende particolare. Levandosi questo difetto con l’intervento diventa irriconoscibile e uguale a tutti gli altri allo stesso tempo. Fondamentalmente, a parte una grande pigirizia, è un uomo buono. La sua igniavia cambia quando deve fare qualcosa per salvarsi dalla situazione in cui si trova. Mattia però non riesce a superare tutte le difficoltà perchè non riesce a rinunciare veramente alla sua identità. Zia Scolastica: è la zia di Mattia, una sorta di coscienza che aiuta sia la cognata che il nipote nei momenti di difficoltà cercando di aprire gli occhi ad entrambi. Romilda: personaggio evidentemente insoddisfatto della sua condizione. Diventa infelice da subito dopo il matrimonio anche a causa della madre. Oliva: una semplice ragazza di paese, molto onesta, sposata con Malagna. Mattia la corteggia e i due iniziano una relazione sessuale e Oliva, che non riusciva ad avere figli con il marito, resta incinta di Mattia Pascal, ma il figlio verrà cresciuto da Malagna come se fosse suo, regalando così una piccola rivincita alla povera Oliva. Gianbattista Malagna: l’amico di vecchia data del padre di Mattia, amministratore delle ricchezze della famiglia Pascal dopo la morte. Uomo crudele con chi lo circonda, grasso, con lunghi baffi e pizzo, detto “La Talpa”. Malagna è un uomo egoista come nel caso di Oliva, ragazza che Mattia amava, ma che Malagna sposa e che poi viene maltrattata perchè non riesce, almeno in un primo momento, a rimanere incinta. Anselmo Paleari: uomo completamente avulso dalla realtà, dedito all’esoterismo. Si affeziona a Mattia (Adriano Meis in quel caso) perchè ne percepisce la diversità e la stranezza. Anche lui è fuori dalla realtà. La Vedova Pescatore: personaggio antagonista nella storia di Mattia Pascal in quanto tormenta la sua vita sentimentale. Cugina di Malagna viene chiamata “La Strega”, anche se il suo vero nome è Marianna Dondi. Non ama Mattia, per niente, e quando diventa sua suocera si scatena con mille cattiverie. Terenzio Papiano: uomo spietato e pronto a fare qualsiasi cosa per i soldi, cognato di Adriana, cerca di sposarsi con lei quando muore la sorella per non perdere i soldi della dote. Durante la seduta spiritica è proprio lui infatti a rubare i soldi a Mattia. Gerolamo Pomino: amico d’infanzia di Mattia Pascal, molto affezionato a Romilda Pescatore nonostante poi Mattia la prenda in sposa. Pomino non è arrabbiato, anzi, aiuta sempre Mattia. Quando dopo il periodo di sparizione, Mattia ritorna a casa, Pomino ha sposato Romilda. Pinzone: Mattia Pascal, nel racconto ci dice che tutti lo chiamavano Pinzone ed era l’insegnante dei Pascal e complice nelle loro avventure. Era un maestro particolare, diciamo, in quanto faceva tutte filastrocche, sonetti e indovinelli. I personaggi Mattia Pascal / Adriano Meis È il protagonista e narratore della vicenda. Sul nome del protagonista, Pirandello stesso ci ha suggerito un'ipotesi interpretativa attraverso le parole di Roberto Pascal, fratello di Mattia: « Mattia, l'ho sempre detto io, Mattia, matto… matto! Ma no! Matto!». Anche il cognome Pascal non sembra una scelta casuale. Il cognome Pascal, tipico dell'area piemontese-ligure, allude infatti alla resurrezione. Tuttavia, secondo alcuni studiosi, Pirandello nella scelta del cognome Pascal si sarebbe ispirato a un filosofo francese, Théophile Pascal le cui opere sono presenti nella biblioteca del personaggio Anselmo Paleari. Il personaggio si dimostra essere un attento osservatore della realtà e della società che lo circonda narrando fatti accaduti che riguardano altre persone che fanno parte della sua vita, infatti ad ognuna di esse offre una caratterizzazione fisica e psicologica. Egli è intollerante ai comportamenti della suocera, la vedova Pescatore, Marianna Dondi, ed ella è una delle numerose cause che condurranno Mattia alla decisione di fuga; essa infatti si può considerare l'antagonista di Mattia, e dunque tormentatrice della sua vita coniugale. Da un punto di vista fisico si può dedurre che egli non è un bell'uomo, di corporatura robusta e porta i capelli molto corti e la barba ben curata, la sua particolarità e ciò che marca il suo aspetto è lo strabismo dell'occhio sinistro. Nelle vesti di Adriano Meis egli porta i capelli lunghi che lo fanno assomigliare ad un "filosofo tedesco", è sbarbato e col tempo si fa correggere il suo difetto all'occhio con un'operazione chirurgica. (p. 92) Il protagonista narra che il nome di "Adriano Meis" gli fu offerto in treno, partito da poche ore da Alenga per Torino, viaggiando con due signori che discutevano animatamente di iconografia cristiana. Accadde che uno dei vecchi ripeté il nome "Adriano", tante volte, sempre con gli occhi rivolti a Mattia, e in seguito ad una domanda pronunciò "Camillo de Meis". Mattia credette che gridasse a lui quel nome e ripetendo meccanicamente il nome "Adriano", alla fine buttò via quel "de" e tenne il "Meis". Gli parve che questo nome quadrasse bene con il suo aspetto e si battezzò "Adriano Meis". Per quanto riguarda la caratterizzazione culturale e socio- economica (p40) di Mattia, essa è pessima in quanto egli stesso narra, rivolgendosi anche a Berto (suo fratello): "Fummo due scioperati; non ci volemmo dar pensiero di nulla, seguitando, da grandi, a vivere come nostra madre, da piccoli, ci aveva abituati". Dunque la madre non ha mai voluto mandarli a scuola e così un tal Pinzone divenne il loro precettore, il quale allevò i due con false citazioni di autori inventati, per cui Mattia aveva ricevuto una educazione che rasentava l'analfabetismo. Da un punto di vista economico, egli possiede dei poderi, ma spesso parla di una mancanza di qualsiasi capacità, quindi di un'inettitudine da parte di Batta Malagna, una persona avida, che contribuisce a creare i problemi economici del Pascal. Quando il padre era ancora in vita, la famiglia Pascal godeva di una posizione sociale privilegiata e di una discreta disponibilità economica; dopo la morte del padre, la famiglia Pascal subì dei torti da parte di Batta Malagna e Mattia Pascal dovette andare a lavorare come bibliotecario. Da un punto di vista psicologico, Mattia assume atteggiamenti negativi e mostra rancore nei confronti di Batta Malagna, persona avida, la vedova Pescatore, persona gelida, Terenzio Papiano, sembra voglia approfittarsi di Adriana; dunque Mattia è anche una persona a cui stanno a cuore le persone a lui care, infatti mostra empatia, dunque compassione nei confronti della madre e dunque verso Adriana, la quale è una persona debole e istigata da Terenzio Papiano. Mattia è una persona molto malinconica, questo anche perché si trova in solitudine, dunque ciò mostra anche un'inaspettata forza. Mattia discute di forti contrasti esistenziali che lo assillano, con il signor Anselmo Paleari, come la vita, la morte, e anche la cosiddetta "lanterninosofia". La madre di Mattia Mattia ha un particolare rapporto di devozione e di affetto nei confronti della donna che l'ha messo al mondo. È una donna molto gracile, ha una voce nasale e viene definita da Mattia stesso una "bambina cieca" che non si accorge di ciò che la Talpa (Batta Malagna) sta facendo. È sempre stata molto buona con i figli e non ha mai fatto mancare loro niente, neanche nei periodi nei quali, per colpa di Batta Malagna, la famiglia era sommersa dai debiti. La donna è inoltre succube del comportamento iroso e maleducato della suocera di Mattia, che riversa la sua delusione per il matrimonio della figlia proprio sulla povera donna, nel periodo in cui per i noti dissesti finanziari la coppia l'aveva ospitata per qualche tempo a casa, prima che si trasferisse da sua cognata, la zia Scolastica. Mattia ha una vera e propria devozione nei riguardi di sua madre, il rapporto fra i due è di tenerezza e stima. È molto pacata, placida, quasi infantile. È molto gracile e spesso malata dopo la morte del marito, anche se non si lamenta mai dei propri mali. Ciò che probabilmente più la preoccupa è la sorte dei suoi figli, rimasti praticamente senza nulla dopo la morte del padre e dopo che la stessa signora Pascal aveva lasciato tutte le sue ricchezze e proprietà sotto l'amministrazione di Batta Malagna. Non accorgendosi degli imbrogli fatti alle sue spalle può solo facilitare la sua rovina. Quando Mattia si sposa con Romilda non riesce a sopportare la vicinanza della violenta e bisbetica vedova Pescatore e Lo stile di Pirandello è assolutamente lineare e longilineo, l'usualità del linguaggio e le sue "invenzioni" e licenze poetiche rendono i suoi romanzi e tutte le sue novelle scorrevoli e di piacevole lettura. Una componente curiosa dello stile di Luigi Pirandello sono le immagini emblematiche e narrative che spesso sono presenti nei suoi romanzi e novelle. Le immagini ricorrenti nell'universo pirandelliano facilitano la comprensione dei suoi stessi scritti; a volte vuole sottolineare quel nichilismo strisciante che sta alla base di molte filosofie, altre volte vuole evidenziare la problematica dell'apparenza che ricopre l'essenza. La polivalenza e la variabilità dei temi e degli elementi testuali sono i caratteri principali che distinguono l'opera pirandelliana da qualsiasi altro scritto. Indubbiamente Luigi Pirandello è uno dei più grandi maestri di stesura del testo, stile e particolarità letterarie, filosofia, uso di archetipi e immagini emblematiche che la letteratura e la cultura in genere abbia mai conosciuto. Ambientazione Luoghi e tempi non sono molto bene specificati, in quanto la storia è un enorme flashback. Possiamo tuttavia identificare dei luoghi chiave (come la Via Ripetta a Roma, Oneglia (Imperia), Nizza e Montecarlo). Possiamo inoltre immaginare che il periodo sia a cavallo tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento (periodo in cui è vissuto Pirandello), anche se questo romanzo è incredibilmente attuale. La storia non ha una durata precisa però possiamo affermare che vi è un periodo di tempo in cui si svolge il clou della storia (cioè due anni e mezzo circa). Gli ambienti: Il paesaggio è sempre stato un elemento fondamentale e caratterizzante delle opere letterarie di qualsiasi periodo storico; Omero e Virgilio diedero vita, nei loro capolavori, al "paesaggio ideale" con cui era possibile esaltare le gesta di Achille ed Ettore, Ulisse o Enea; questo tipo di ambiente si potrebbe definire "ambiente narrativo", perché è costruito dallo scrittore ai fini della narrazione. I decadenti e i simbolisti (Charles Baudelaire e il mondo come una foresta di simboli) idearono il paesaggio come forma e frutto di una visione soggettiva dell'esistenza e delle relazioni umane; questo metodo di costruzione del paesaggio narrativo si può riconoscere anche in Pirandello, in un capitolo de "Il fu Mattia Pascal", più precisamente in "Acquasantiera e portacenere, in cui il siciliano espone la propria ideologia storica, politica e sociale al riguardo dell'evoluzione dell'ambiente della città di Roma. Come le opere classiche, "Il fu Mattia Pascal" ha una straordinaria varietà di luoghi, essi sono spesso determinanti ai fini dello svolgimento delle azioni e quindi della narrazione. Prendiamo in considerazioni due tipologie di ambientazione della scena: - Miragno, paese natale di Mattia Pascal; - Roma, città in cui Adriano Meis ha vissuto per qualche mese. Miragno è un tranquillo paesino ligure immerso negli uliveti, uno di quei paesi dove gli abitanti si conoscono tutti, si vedovo tutte le domeniche a Messa nella piccola chiesetta del paese, si trovano spesso la sera al bar della piazza con le carte da briscola in mano, si aiutano a vicenda, nella raccolta delle olive, sotto il sole dell'inesorabile estate; potrebbe sembrare un luogo in cui regna la pace e l'armonia, ma non è così. Anche a Miragno esistono le codardie dei grandi proprietari terrieri, i latrocini dei ricchi contro i meno abbienti, gli intrighi amorosi... Di tutto questo Mattia Pascal ne è conoscenza soprattutto perché ha dovuto subirlo sulla propria pelle. Un ambiente di questo tipo fa pensare che sia stato costruito proprio per evidenziare l'idea centrale della filosofia di Luigi Pirandello: la contraddittorietà della vita, l'apparenza (in questo caso beata ed armonica) che nasconde l'essenza (in questo caso demoralizzante e sostanzialmente brutta). Ecco, anche in Pirandello, forte e ben visibile, "l'ambiente narrativo". Roma è definita "acquasantiera e portacenere" da Anselmo Paleari e Mattia Pascal durante una delle loro passeggiate per la città, "andavamo o sul Gianicolo o su l'Aventino o su Monte Mario, talvolta sino a Ponte Fomentano...". Roma è un'acquasantiera quando il papato aveva un ruolo basilare per l'esistenza stessa di Roma, è divenuta un portacenere allorché la borghesia assunse rilievo ed importanza. "D'ogni paese siamo venuti qua a scuotervi la cenere del nostro sigaro, che è poi il simbolo della frivolezza di questa miserrima vita nostra e dell'amaro e velenoso piacere che essa ci dà." Anselmo Paleari (Luigi Pirandello) vuole dire che l'edonismo egoistico dell'uomo può ridurre la più gloriosa città del pianeta, che un tempo era chiamata "il centro del mondo", a luogo di ritrovo di biechi funzionari, a cumulo di spazzatura causata del turismo di massa; dice edonismo egoistico perché Roma è stata modificata senza prendere in considerazione sufficiente il suo passato e solo ai fini dell'economia di mercato che ha fatto deturpare la città da industrie fumose e terribili condomini di cemento e vetro. "Roma giace là, col suo gran cuore frantumato, a le spalle del Campidoglio." Il narratore Il narratore della vicenda è lo stesso Pascal, che in prima persona ricorda le vicende passate e in terza persona descrive le ambientazioni e i personaggi (si dice che il narratore è autodiegetico). Il tipo di focalizzazione è interna. Fabula e intreccio Fabula e intreccio non coincidono. Infatti il libro è costituito da due cornici: la prima, che corrisponde all'inizio e alla fine della storia, si svolge nella biblioteca; la seconda, invece, è una lunga analessi e corrisponde agli eventi principali del romanzo. Luogo I due luoghi principali dove si svolge la vicenda sono Miragno, suo paese natale, e Roma, dove risiede presso la famiglia Paleari. Durante la narrazione Mattia compie molti viaggi visitando sia città estere che italiane, come Milano, Torino, Pisa e Nizza Tempo L'autore non riferisce precisi elementi che riescano a determinare l'anno preciso dell'ambientazione dell'opera, ma, grazie alle informazioni che dà di Roma, ormai diventata capitale del Regno d'Italia, si sa che si svolge tra il 1870 e l'inizio del Novecento. Si può dedurre anche dal fatto che ci sono i treni e l'elettricità e il Ponte Umberto I a Roma. Viene anche specificato da Anselmo Paleari che durante la permanenza a Roma di Adriano Meis il papa è Leone XIII. La storia narrata dura sicuramente più di 2 anni (due anni e mesi, Cap. XVIII), che sono quelli trascorsi da Mattia Pascal-Adriano Meis girovagando per l'Italia e l'Europa. Tematiche Il Fu Mattia Pascal è il romanzo allegorico della crisi dell’uomo moderno e ciò emerge dalle varie tematiche che affronta: La famiglia, viene vista sia come un nido, riferita alla famiglia originaria, soprattutto nel rapporto di tenerezza con la madre, sia come una prigione da cui evadere, relativamente al rapporto coniugale e con la suocera; Il relativismo espresso attraverso il gioco d’azzardo che mette in rilievo la casualità degli eventi e il potere della sorte, e sottolineando i limiti della volontà e della ragione confermano la teoria della relatività della condizione umana affermata da Pirandello; e lo spiritismo, raccontato nell’episodio della seduta spiritica del Cap.XIV (evento presente anche nella Coscienza di Zeno di Svevo), serve per sottolineare la crisi del razionalismo positivista e affermare che il potere della ragione umana è limitato. L’inettitudine. Come i personaggi di Svevo anche Mattia Pascal è un inetto incapace di adattarsi alla vita e dalla quale sogna un’evasione impossibile, è uno sconfitto dalla vita ed un anti-eroe che finisce con il guardarsi vivere e con l’adeguarsi ad accettare l’estraneità nei confronti della vita e di se stesso. La crisi dell’identità. Mattia Pascal non riesce a rapportarsi non solo con la propria anima ma anche con il proprio corpo, ne è un sintomo il suo occhio strabico che guarda sempre altrove. La perdita dell’identità viene evidenziata anche attraverso il tema del doppio: vi è un brano del libro in cui l’ombra del protagonista viene posta in primo piano come doppio di Adriano Meis, rappresenta infatti la memoria e l’anima di Mattia Pascal, da cui il protagonista non riesce a staccarsi e di cui anzi è prigioniero. Tutto il romanzo è improntato sulla duplicità, sul raddoppiamento delle situazioni: Mattia Pascal seduce sia Romilda che Oliva; finge due volte il suicidio; si dà due diverse identità, Adriano Meis e poi Fu Mattia Pascal, ecc. La maschera e la negazione dell’identità sociale. L’identità è una necessità sociale, ognuno di noi indossa una maschera per rapportarsi agli altri, non mostra la sua vera persona e quando Mattia Pascal prende coscienza di ciò capisce di essere passato da una situazione di maschera a quella di maschera nuda, consapevole dell’impossibilità di qualsiasi identità, si limita a guardarsi e guardare gli altri vivere. Perchè Mattia Pascal rappresenta l'inetto? Perché non è in grado di sostenere fino in fondo la condizione di libertà assoluta, a cui idealmente aspirava, dal peso delle convenzioni e dalla trappola della forma; Mattia Pascal si rivela non all’altezza delle proprie ambizioni, è destinato al fallimento. Infatti la conclusione è negativa: Mattia Pascal si riduce a vivere una non-vita, rassegnandosi ad una condizione di paralisi e stasi. Pur non essendo morto fisicamente, di fatto vive in una condizione di estraneità alla vita, con l’atteggiamento distaccato di chi ha capito come funziona il gioco ed assiste dall’esterno al meccanismo della finzione ed alla messinscena della vita. Il fu Mattia Pascal, temi La famiglia, nido o prigione: Il nido è la famiglia originaria, fondata sul rapporto di tenerezza fra Pascal e la madre; la prigione è il rapporto coniugale con Romilda e quello con la suocera, la terribile vedova Pescatore; Il gioco d'azzardo e lo spiritismo: Pirandello rappresenta minuziosamente il casinò di Montecarlo, nei pressi di Nizza, dove Pascal vince alla roulette diventando improvvisamente ricco. Il gioco d’azzardo affascina Pirandello perché l’importanza del caso e il potere della sorte contribuiscono a rafforzare la sua teoria della relatività della condizione umana, sottolineando i limiti della volontà e della ragione. Nella stessa direzione va l’interesse per lo spiritismo (seduta spiritica al cap. 14); L’inettitudine: Con i personaggi di Tozzi, di Svevo o di Kafka, anche Pascal è un inetto che sogna un’evasione impossibile e che alla fine si trasforma consapevolmente in un antieroe, reso inadatto alla vita pratica dalla sua stessa tendenza allo sdoppiamento, dalla sua propensione a vedersi vivere. Lo specchio, il doppio, la crisi di identità: Mattia Pascal ha un rapporto difficile non solo con la propria anima ma anche col proprio corpo. Ha difficoltà ad identificarsi con se stesso. Spia di questo malessere è l’occhio strabico, che guarda sempre altrove. La crisi d’identità dipende soprattutto: - dalla sua duplicità, rappresentata dalla sua predisposizione a sdoppiarsi - dalla sua inclinazione a porsi davanti allo specchio - dalla ripetizione della stessa situazione, che si raddoppia continuamente: Mattia seduce prima Romilda, poi Olivia; finge di essere morto per due volte; per due volte si dà una nuova personalità: prima come Adriano Meis e poi come “fu” Mattia Pascal
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