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futurismo, pirandello, svevo e ungaretti, Appunti di Italiano

appunti sul movimento e gli autori, molto utile per approfondire e fare bella figura

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 25/08/2023

Ross1811
Ross1811 🇮🇹

7 documenti

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Scarica futurismo, pirandello, svevo e ungaretti e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! Il futurismo È una vera e propria avanguardia. A proposito di avanguardia vedi approfondimento sulla parola chiave pag. 429). Nella stesura dei principi a cui si attiene, nella sua caratteristica, c’è non soltanto lo sguardo rivolto ad elementi di carattere letterario, ma si parlerà di un programma di intervento a livello globale perché includerà la politica, il costume, la vita quotidiana e la psicologia delle masse. Il fondatore sarà Filippo Tommaso Marinetti (pag.431). Nel mese di marzo del 1909 pubblica la redazione italiana della “nuova arte poetica” che ha per nome “fondazione e manifesto del futurismo” (pag.431). Questo manifesto era uscito un mese prima su una rivista famosa di Parigi (Figaro) che aveva dato un successo in tutta Europa. Le linee guida di questo futurismo sono: 1 l’esaltazione di tutti i simboli della modernizzazione più avanzata dell’automobile alla lice artificiale, dalle grandi industrie alle folle cittadine 2 l’estetica della macchina e della velocità 3 il culto agonistico della lotta, della forza militare, della aggressione violenta 4 la celebrazione della guerra, sola igiene del mondo 5 il disprezzo della donna Siamo davanti a futuristi che in modo perentorio rifiutano tutta la tradizione classica ma vanno anche contro il sentimentalismo romantico, in particolare concepiscono la donna come un ostacolo alla nascita di un nuovo prototipo umano, che Marinetti definisce “l’uomo moltiplicato” ponendolo in rapporto biunivoco con il regno della macchina. Il superuomo futurista infatti è quello che definisce il “centauro”, cioè l’uomo macchina inteso come uomo che non solo si serve della macchina ma vive in simbiosi con essa fino ad assorbirne la natura meccanica. In questo modo i futuristi introducono nell’arte l’estetica della macchina che si sostituì all’io inteso come centro di effusione lirica. Un altro punto cardine è la velocità sulla base della constatazione che Marinetti dice: il ritmo della vita aveva subito una vertiginosa accelerazione che doveva avere un corrispettivo nella scrittura. Comincia ad esempio a infierire contro l’uso di aggettivi e avverbi perché rallentano il ritmo, i verbi dovevano essere usati all’infinito con un valore di sostantivi. Bisognava anche bandire la punteggiatura che se mai si può sostituire con segni matematici o musicali. Così il testo veniva alleggerito e si riduceva a essere una sequenza di onomatopee e immagini che si riducono ad una via analogica (Pascoli). Una volta esaurita la fase “verbo liberista” propria degli anni di poesia, Marinetti inaugurò la stagione delle parole in libertà, che non hanno un ordine sintattico e sono disposte in modo molto casuale perché non devono più trasmettere un pensiero sistematico, ma l’immaginazione senza fili dell’autore. Il punto limite di una operazione di questo tipo è che nel momento in cui si investe unicamente sugli aspetti formali, il testo corre il rischio di essere considerato banale, superficiale. C’è anche un’altra constatazione: una volta ridotto il linguaggio ad uso di nomi, che si chiede come dare enfasi e valore alle parole? Ricorrendo alla tipografia: i futuristi fanno comporre le parole in formati corposi che hanno delle variabili di carattere: la pagina futurista diventa a macchie e a rilievi, chiaroscuri, come se un tipografo si fosse divertito a formare il testo che risulta realizzato alla rinfusa. Marinetti finisce quindi per conferire alla pagina un valore figurativo, infatti sia lui che i suoi seguaci arrivano a concepire i calligrammi (testi in cui le parole sono disposte in modo da formare un disegno: tavole parolibere) una specie di poesia visiva dov’è il linguaggio verbale e iconico finiscono per confondersi. Le tavole parolibere sono un esempio della più generale ricerca da parte dei futuristi di formare un linguaggio sperimentando tutte le forme possibili di osmosi tra le arti. Luigi Pirandello PRIMO TEMA: RELATIVITÀ DEL TUTTO A origine di buona parte delle opere di Pirandello c’è la volontà di cogliere il reale che arriva a delle conclusioni scettiche, perché la realtà pirandelliana è una continua trasformazione, ovvero caos. Perciò volerla fissare in una definizione univoca è da considerarsi una pretesa si ossa, illusoria, perché la conoscenza ontologica ə fuori dalla nostra portata, l’uomo riguardo a sé e al mondo esterno ha opinioni soggettive e anch’esse sono mutevoli, perché sottoposte a leggi del divenire. L’unica verità indiscutibile è quella per cui tutto è relativo. SECONDO TEMA: DISGREGAZIONE DELL’IDENTITÀ Se ciascuno di noi oggi è diverso da quello che è stato ieri e domani non sarà più quello che è oggi, allora attribuire una identità ad una persona è arbitrario, perciò sbaglia chiunque giudichi un altro individuo o presuma di conoscerlo perché l’idea che si è fatto dell’individuo dipende dalle circostanze particolari in cui è entrato in rapporto con quell’individuo. Allo stesso modo ciascuno di noi si inganna quando pensa di essere fatto in un certo modo e non si rende conto di trovarsi in una continua metamorfosi. Come, infatti, il corpo si modifica dalla nascita alla morte (nasce - matura - invecchia), così anche la personalità si va modificando, quindi L’unità della persona dall’esame critico di Pirandello ne esce totalmente disgregata. Il concetto di identità allora, non serve, poiché è momentaneo e potenzialmente moltiplicabile per quanti sono gli istanti della vita e i soggetti con cui veniamo a contatto. Ogni tentativo di dare ordine all’esistenza risulta inutile e anche lesivo della libertà di sottrarsi a qualsiasi interpretazione, perciò serve a soffocare la vita in una “prigione della forma” (parole di Pirandello). Nelle diverse circostanze in cui si trova, può mostrare di sé solo una maschera temporanea. Riferimento pagina 602. TERZO TEMA: DISINGANNO L’obiettivo di Pirandello è quello di disingannarci, cioè liberarci dall’illusione positivista che esista una verità immutabile, oggettiva, condivisa da tutti e nessuna realtà si possa sottrarre da un’indagine di carattere scientifica. Il suo ruolo di maestro del disincanto lo induce a dare a molte delle sue pagine un’impronta dialettica di discussione di tesi e smantellamento di pregiudizi e luoghi comuni. In genere l’autore sceglie come suo portavoce un personaggio che abbia provato su di se l’esperienza del disinganno e gli affida l’incarico di demolire tutte le convinzioni ideologiche su cui si appoggia il suo interlocutore, il quale rappresenta il punto di vista comune. Quando la storia non presenta un personaggio con cui discutere allora chi nel testo fa le veci dell’autore si pone in dialogo direttamente con il lettore a cui espone la propria teoria. Avendo scoperto l’inganno di tutte le forme e tutte le convenzioni sociali, nonché morali e intellettuali, il portavoce dell’autore esce dal teatro della vita. Questo però, non vuol dire rinunciare a vivere, ma sa che per entrare nel flusso della vita deve prendere le distanze dalla società umana, dalla prigione dei ruoli, dalla prigione dei pregiudizi, non deve lasciarsi coinvolgere dalle preoccupazioni, dai sentimenti che intristiscono gli uomini e impara in questo modo a guardare il mondo con distacco. Riferimento 605 + testo gruppo. QUARTO TEMA: IL GUSTO DEL PARADOSSALE Per attribuire alle sue dimostrazioni evidenza di verità inconfutabile Pirandello ricorre all’esempio, un esempio che esula dalla media statistica perché presenta sempre qualcosa di paradossale. Come esempio citiamo due avvenimenti improbabili che avviano io fu Mattia Pascal: la vincita milionaria fatta al casinò di Montecarlo è il clamoroso errore della moglie che aveva creduto di riconoscerlo nel povero suicida morto affogato nella gora (canale) del mulino. Per dimostrare che la vita è piena di sorprese che sfuggono alla possibilità di catturarle, Pirandello si inventa casi più strampalati come il viversi come morto in modo da non avere più obblighi con nessuno oppure il diventare un’altra persona e fingersi pazzo. Tutti questi stratagemmi sono vie di fuga dalla prigione della forma, cioè da un sistema alienante di relazioni. A farci capire tutto questo il testo pag.581 ANALISI PAGINA 581 Struttura a cornice, ha un prologo ed epilogo al presente, l’episodio centrale è al passato. Di quest’ultimo il narratore protagonista rievoca un viaggio fatto in treno e che è avvenuto due settimane prima e di qui c’è la scoperta illuminante che in quell’occasione aveva fatto sul conto della propria vita. Soltanto alla fine del testo Pirandello svela al lettore in cosca consista lo sfogo, ciò che lui chiama il suo commendatore, professore, avvocato (riga 120), si concede ogni tanto in segreto chiudendosi nel suo studio, perché nessuno nemmeno la moglie o i figli possa sorprenderlo. momento in cui riuscisse ad integrarsi nella comunità degli altri, però si rende conto del prezzo che gli costerebbe perché lo obbligherebbe a sacrificare i lati più genuini della sua personalità. D’altra parte aderire al modo di pensare e di agire di un gruppo circostante, non dipende semplicemente da una questione di volontà, perché il fattore genetico che fa del personaggio sveviano un diverso, componente che ha già in partenza, compromette ogni possibilità di adattamento. Da qui derivano tutti i tentativi di fuga, una ricerca di esistenza che non abbia estraneità ma che rispecchi quell’armonia di un habitat familiare, quindi il disagio esistenziale dei personaggi di svevo nasce da un inappagato bisogno di stima, di attenzione, di sincerità che non può offrire l’ambiente in cui si trova calato, che offre solo indifferenza e umiliazioni. Terzo tema: introspezione e psicananalisi Svevo è stato soprattutto un grande maestro dell’arte dell’introspezione, che ha saputo guardare a fondo nella coscienza del propri personaggi e ne ha indagato i meccanismi di difesa e di autoinganno messe in atto dall’io per poter far fronte alle frustrazioni dell’esistenza. Infatti nonostante continui a riflettere, la mente del personaggio di svevo appare quasi come un modo per arginare il rimorso o appare come una valvola di sfogo per i suoi desideri insoddisfatti. Sin dal suo primo romanzo “una vita” svevo è stato precursore della psicanalisi, padre del romanzo analitico. Con Svevo si supera la figura dell’eroe protagonista della narrativa ottocentesca perchè fa l’ingresso un nuovo tipo che è l’inetto, che è predestinato per natura a uscire sconfitto da tutte le competizioni che lo metteranno alla prova, perché non ha gli strumenti per tener testa agli altri. A differenza dei vinti di verga, schiacciati da un destino avverso superiore alle loro forze e che quindi finiva per essere visto come peccato di ibris (tracotanza), l’inetto di svevo non sa approfittare nemmeno delle occasioni che la fortuna gli pone davanti. La sua indole infatti non è quella del lottatore ma quella del sognatore privo di astuzia e senso pratico e per avere la meglio sugli altri bisognerebbe essere cinici, agire di istinto senza farsi troppi problemi, tutto il contrario dell’intento di svevo che è come paralizzato dalla coscienza che è incline a ragionare intorno a situazioni contingenti nel vano tentativo di poterle dominare, oppure è incline a immaginare rivincite improponibili e improbabili. Testo 8 ANALISI UNA VITA PAGINA 659 DA RIGA 118 Osservando il volo che riguarda i gabbiani e la rapidità con cui si tuffano nell’acqua per piombare sui pesci e raggiungerli in un boccone, Macario seguace delle teorie di Darwin, si improvvisa filosofo della natura e pronuncia alcune conclusioni di carattere universale (valide anche per la specie umana). Sono le seguenti: in tutti gli ordini della scala animale si ripete la situazione esemplificata nel rapporto tra pesci e gabbiani, in cui i primi finiscono in bocca ai secondi fornendo loro il cibo necessario a placare “l’appetito formidabili”, infatti questa legge suprema che regola i rapporti tra gli esseri viventi è quella per cui il trionfo del più forte si impone sul più debole e lo piega alle sue esigenze vitali. Perciò non si può sfuggire a questa legge: o si è prede o predatori. Nel regno di Darwin, non c’è posto per i buoni sentimenti perché o si mangia o si è mangiati. I gabbiani non conoscono la solidarietà perché volano solitari, la fame non si condivide, ognuno la sente per se. Come sin dal suo primo romanzo “Una Vita” del 1892, dimostra Svevo di essere stato un precursore della psicoanalisi, così come allo Svevo di “Senilità” del 1898, si deve riconoscere il merito di aver anticipato in particolare nella descrizione del delirio della protagonista, si ritrova la scoperta di Freud. COSCIENZA DI ZENO Riscatto dell’inetto = Svevo rivaluta l’essere imperfetto perché lui dice che solo chi non è contento di se stesso è indotto a migliorarsi, il successo blocca lo sviluppo. Si libera dallo schematismo di Darwin che legava l’evoluzione della specie alla selezione naturale e guardava solo agli individui dotati, condannando gli altri ad una auto esclusione. Il complesso di inferiorità proprio dei protagonisti delle prime novelle e i primi romanzi giovanili, non ha più motivo di esserci -> il futuro appartiene agli inetti, ovvero agli uomini le cui qualità sono ancora in germe, pronte a sbocciare. Viste in quest’ottica le ferite inferte dagli altri, stimolano il vinto a migliorarsi. L’imperfezione fa scaturire il desiderio di progredire e alla fine sarà questa tensione al meglio che decreterà il trionfo di Zeno su tutti i suoi antagonisti. Per Svevo maturo (non il primo), la vita somiglia alla malattia che non sopporta le cure. Tutto l’universo è soggetto a questa legge, tanto più l’uomo che si è sottratto alla legge di natura cercando fuori dal suo corpo gli strumenti necessari alla propria evoluzione. Quindi, risulta miope colui che crede di essere salvo. La coscienza di Zeno va vista come insieme di tanti reparti in cui vivono malati di diversa specie. Chi è arrivato o presume di essere arrivato all’ultimo stadio del suo sviluppo e si adagia nella convinzione di essere sano, lascia libero campo alla malattia, accelerando il proprio declino. Paradossalmente soltanto chi è convinto di essere malato, come Zeno, può avvicinarsi alla salute. ANALISI PAGINA 680 A cura di S. psicanalista di che ha tenuto in cura il paziente per sei mesi, prima dell’interrompere della cura. Diverse sono le ipotesi per capire chi sia il dottore S. Sicuramente è una figura inventata, tipizzazione di tutte le figure degli psicanalisti. Nella prefazione, l’unica che ha la sua firma, il dottore rivendica a se, oltre la professione medica, due funzioni che ha avuto sul piano editoriale: essere il committente della memoria autobiografica del suo paziente, l’altra di essere il curatore della pubblicazione, in entrambi i casi riesce a mettersi in cattiva luce, perché per un dottore non è concepibile risultare il curatore della pubblicazione (4-5). Sta violando la riservatezza del rapporto tra paziente e psicoanalista (riga 10-11) => è tale lo smacco di essere piantato in asso dal cliente e anche di aver perso gli oneri, da indurre al dottore di recuperare il signor Zeno. Svevo funge da registra nascosto in questo romanzo che ha focalizzazione interna che sin dall’inizio ci illustra un strategia narrativa critica verso la psicoanalisi, tant’è che all’ultimo capitolo vi è la liquidazione di essa. La prefazione del dottore si conclude con una nota contenutistica (riga 13), allude alla compresenza tra verità e bugie: Svevo ci dice che l’auto biografia che leggiamo è piena di menzogne, perciò bisogna saper separare bugie e verità, come? Grazie alla psicoanalisi, perché per essa tutto ciò che conferma la diagnosi edipica corrisponde al vero, tutto ciò che è il contrario è falso. ANALISI PAGINA 684 Scena finale: conferma la superiorità del figlio Zeno rispetto al padre, perché alle ultime righe il figlio costringe il padre a letto e ad obbedire terrorizzato davanti alla sua volontà. La sequenza che ritrae questa scena è costruita in verticale, sottolineando il carattere autoritario. Anche quando il padre sentendosi morire riesce a svincolarsi dalla presa del figlio e a sedere sul letto, Zeno si dice in piedi contro di lui seduto (lo ostacola nei movimenti togliendoli quasi l’aria). In questo punto, il vecchio Cosini, sentendosi mancare con uno sforzo supremo si rimette in piedi e riuscirà a sollevare la mano in alto per poi lasciarla cadere per la sola forza del peso, sulla guancia del figlio. La scena dello schiaffo del padre è un modo per ribellarsi al figlio, segnando il tentativo di rivendicare l’autorità che gli é stata negata in vita. Lo schiaffo cade simbolicamente dall’alto, non proviene dal padre reale, ma da un padre simbolico che riafferma il ruolo di genitore a cui gli si devono rispetto. ANALISI PAGINA 693 Il processo evolutivo umano, al di là dell’ordine naturale, appare a Zeno (che è il portavoce di Svevo) una crescita esponenziale, infatti qualunque sforzo di dare alla salute è vano -> non ci si deve aspettare che il progresso tecnologico riporti la salute sulla terra, perché l’uomo spinto dalla sua inguaribile malattia di accrescere la sua potenza e capacità di dominare, finirà per distruggersi. L’umanità sta andando verso un destino catastrofico perché con la tecnologia cresce il delirio di onnipotenza. Da non dimenticare che Svevo scrive “La coscienza di Zeno” all’indomani di una guerra domani che aveva lasciato sul campo circa 10 milioni di vittime e aveva fatto uso di gas asfissianti, di aerei e di altri armamenti ad altissimo potenziale distruttivo. Svevo sta profetizzando la fine del mondo ad opera di un folle che si approprierà di un esplosivo micidiale, lo porterà al centro della terra riducendo la terra ad una nebulosa. Se infatti nell’uomo di scienza, che inventa gli ordigni, sopravvivono ancora nobiltà e salute, quasi sempre mancano nell’uomo di potere, che li usa risultando il più pericoloso di tutti. Giuseppe Ungaretti PRIMO TEMA L’INNOCENZA ORIGINARIA Ungaretti quando era già avanti negli anni pubblicò la “terra promessa” nel 1950. Il titolo di ascendenza biblica, allude storicamente alla regione della Giordania assegnata al popolo. Si carica anche di un significato simbolico per il poeta, infatti, egli nacque in un paese straniero e poi costretto a fare l’errabondo senza mettere radici. La Terra Promessa diventa metafora di una patria storica ideale, che include tanto la sua appartenenza ad un determinato popolo quanto l’ispirazione a vivere in un mondo che sia sgombro di tutti i mali. Proprio perché la vita del poeta era stata contrassegnata dal nomadismo, il vagheggiare un luogo felice per se e per la sua nazione e per tutta l’umanità è evidente sin dall’Allegria di Naufragi, dove è straziato dagli orrori della guerra (combattuti in prima linea) aveva intrapreso la ricerca di un paese innocente. In tutta la sua opera, Ungaretti ha nutrito il sogno di risalire alle origini, intendendo non quelle biologiche, ma ad un luogo puro fuori dal tempo e dalla storia, per questo il nucleo centrale della poesia ungarettiana è l’inseguire la condizione iniziale di innocenza. Riferimento 272 APPROFONDIMENTO DEL TITOLO L’ALLEGRIA Allegria di Naufragi era il titolo della prima edizione 1919, successivamente mutilato in Allegria a partire dalla seconda redazione 1942. Il titolo richiama l’ossimoro, particolarmente caro al poeta, perché ama avvicinare i contrari. Allegria di naufragi ci fa pensare che non si ha raggiunto il porto desiderato, incappando in burrascose tempeste, quindi un destino avverso, perciò pensiamo ad un viaggio per mare che almeno a cominciare dall’ odissea era diventato il simbolo stesso dell’esistenza fatta di avventure, pericoli e difficoltà. Il naufragio idi cui si parla nella raccolta richiama l’epilogo negativo e quindi non c’è niente di cui poter rallegrarsi, allora l’allegria di Ungaretti viene spiegata dal suo commento sulla sua opera, per quanto possa sembrare paradossale la fonte della sua allegria è il sentimento della presenza della morte da scongiurare, significa che chi combatteva al fronte sapeva che la morte era sempre in agguato, e quindi in questa attesa della morte tutto doveva apparire ad Ungaretti nella prospettiva di un naufragio incombente. Questo destino incombente, invece che portarlo alla disperazione lo fa affezionare ancora di più alla vita il cui valore è molto più apprezzato, l’allegria di Ungaretti deriva da una reazione istintiva degli impulsi vitali, che chiedono di godere pienamente dell’esistenza per quel tanto o quel poco che sarà concesso di scampare alla morte. Nell’allegria la parola naufragio ricorre due volte: la prima nel testo eponimo (stesso nome) che è quello che apre la sezione dedicata ai naufragi, la seconda nel testo nominato preghiera che chiude la raccolta. Nella prima lirica il significato attribuito è quello della reazione istintiva, il naufragio di preghiera non è temuto ma invocato, questa lirica ci mostra Ungaretti che immaginava il momento del suo trapasso, e immagina di chiedere al signore di concedergli “il naufragio di quel giovane giorno al primo grido”: il traguardo questa volta non è la morte, ma è il paradiso, e in questi modo riesce a restituire l’innocenza delle origini. Ci lascia intendere che il naufragio di cui parla alla fine della raccolta è un naufragio mistico che lui vive nel grembo di dio è c’è lo conferma lo stesso Ungaretti: accosta questo naufragio al naufragio di Leopardi, con un valore appunto di annegamento metafisicò nel gran mare dell’essere, allora
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