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G. Dematteis, C. Lanza, F. Nano, A. Vanolo, Geografia dell’economia mondiale, Sintesi del corso di Geografia Economico Politica

Capitoli: 1. Lo spazio geo-economico: territorio, regioni, reti 2. Il sistema mondo 3. Economia e ambiente naturale 4. Popolazione, lavoro, migrazioni, società, culture 7. Le filiere industriali 10. Le città, centri dell’economia

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

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Scarica G. Dematteis, C. Lanza, F. Nano, A. Vanolo, Geografia dell’economia mondiale e più Sintesi del corso in PDF di Geografia Economico Politica solo su Docsity! GEOGRAFIA DELL'ECONOMIA MONDIALE - G. DEMATTEIS, C. LANZA, F. NANO, A. VANOLO CAPITOLO 1: LO SPAZIO GEO-CONOMICO: TERRITORI, REGIONI, RETI Obiettivi: - Saper spiegare in che cosa consiste il valore economico del territorio. - Conoscere il rapporto tra economie esterne, infrastrutture e rendita urbana. - Conoscere i principali criteri per l'individuazione dei vari tipi di regioni economiche. - Spiegare la differenze tra strutture regionali polarizzate, gerarchiche e policentriche. - Spiegare il processo di formazione delle strutture reticolari interconnesse. - Conoscere sistemi locali territoriali, le loro componenti e il loro ruolo nei processi di sviluppo dei territori. Concetti chiave. - Spazio geo-economico. - Relazioni orizzontali e verticali. - Territorio. - Organizzazione territoriale. - Economiediscala - Economie esterne, di agglomerazione, di urbanizzazione. - Infrastrutture. - Rendita urbana. - Regione geografica. - Regione economica. - Regione formale, funzionale. - Regione programma. - Strutture regionali gerarchiche, polarizzate, policentriche. - Sistematerritoriale locale. - Capitale territoriale. Introduzione: concetti di base che fungeranno da chiavi di lettura degli spazi geo-economici. Lo spazio geografico non è una cosa (fiumi, città), ma un insieme di relazioni, alcune delle quali riguardano l'economia e permettono di capirne il funzionamento alle diverse scale geografiche, in relazione alle varie forme di organizzazione territoriale. Il territorio svolge un ruolo cruciale nell'economia tramite le infrastrutture, che offrono a imprese e abitanti vantaggi variamente distribuiti nello spazio geografico e traducibili, tramite il mercato, in varie forme di rendita del suolo. Il combinarsi delle relazioni spaziali da origine a diversi tipi di aggregazioni territoriali, cioè a regioni geografiche e, in particolare, a regioni economiche, sia di tipo formale (individuate in base all’omogeneità di certe caratteristiche), sia di tipo funzionale (individuate in base ai movimenti di persone e merci). La varietà delle forme regionali è classificabile in base alla loro capacità di dare origine a strutture territoriali più o meno equilibrate: gerarchiche, polarizzate, reticolari, policentriche interconnesse, ciascuna delle quali corrisponde a modi diversi con cui l'economia si organizza e si sviluppa nello spazio geografico. I sistemi territoriali locali sono l'anello di connessione tra risorse in movimento nelle reti globali e capitale territoriale: insieme di risorse immobili naturali, culturali e sociali, dalla cui valorizzazione dipende il funzionamento dell'economia. Le relazioni geografico-spaziali e l’organizzazione del territorio. La geografia non si occupa di singoli oggetti (fiumi, fabbriche, città), ma delle relazioni che legano tra loro tali oggetti sulla superficie della Terra. L'insieme delle relazioni che legano tra loro oggetti e soggetti localizzati sulla superficie terrestre costituisce lo spazio geografico. Se in questo spazio isoliamo le relazioni relative all'economia, otteniamo lo spazio geo-economico. Tali relazioni economiche si dividono in: - Orizzontali: relazioni geografico-spaziali che intercorrono tra i soggetti, tra le diverse sedi di questi soggetti. Relazioni di scambio e circolazione: merci, persone, denaro, informazioni, decisioni. - Verticali: circa il rapporto delle singole attività economiche con le caratteristiche dei luoghi in cui risiedono (clima, risorse naturali, caratteri demografici). Nella geografia economica queste relazioni sono contemporaneamente presenti: per estrarre un minerale non basta un giacimento (verticale), ma serve un collegamento tra l'impianto e i luoghi dove il minerale verrà commercializzato e/o (orizzontale). L'insieme formato dalle relazioni verticali e orizzontali e dagli oggetti e soggetti legati da tali relazioni prende il nome di territorio. Quando parliamo di organizzazione territoriale ci riferiamo all’ordine complessivo che tali relazioni assumono in un territorio. L'organizzazione territoriale viene analizzata considerando tre ordini di fatti: ioni naturali di luoghi e regioni. joni ereditate, sia materiali (vie di comunicazione) che socio-economico-culturali (livello sviluppo). c) Organizzazione attuale: economico-sociale, politica e amministrativa. Le condizioni naturali e storiche sono condizioni oggettive, mentre i fatti dipendono in larga misura dalle scelte dei soggetti: non è possibile definire oggettivamente l’ordine (organizzazione) spaziale ottimale di una regione. Lo si può fare con riferimento a certi obiettivi, nell’ambito di scelte soggettive. Il determinismo geografico spiegava la geografia economica ricorrendo a fattori e regolarità geografico-naturali (a e b); secondo il possibilismo geografico, invece, ogni territorio offre diverse possibilità di sviluppo e organizzazione territoriale, che le popolazioni scelgono a seconda delle loro capacità tecniche ed economiche e dei loro orientamenti culturali e politici. Il prevalere di tali fattori soggettivi portò poi al determinismo storico, secondo cui il cammino di sviluppo del territorio è fortemente condizionato dalle caratteristiche che esso ha assunto nelle precedenti fase storiche (path dependance). Oggi si tende a pensare che le soluzioni possibili in ogni territorio, in una data situazione storica e politica, sono sì molteplici, ma sempre limitate da potenzialità e vincoli che derivano dalla natura e dalla storia. Il valore economico del territorio. Nelle società pre-mercantili e pre-industriali il valore del territorio dipendeva principalmente dalla sua attitudine a soddisfare consumi locali, derivanti da bisogni primari e simbolico-culturali (riti, feste). Soddisfatti tali bisogni, non era importante se la terra potesse produrre di più: non aveva valore economico in senso moderno, né era considerato un bene che si potesse vendere, ma un mezzo indispensabile. Con lo sviluppo dei rapporti commerciali a lungo raggio, chi possedeva un territorio adatto era indotto a produrre più del necessario per accumulare denaro. Il denaro accumulato costituiva capitale, investibile in nuovi terreni o per migliorare i posseduti. La terra, da bene di uso comune del gruppo, diviene un bene di chi, possedendo capitale, poteva acquistare la proprietà per accrescere il capitale stesso. Tale processo segnò l’inizio della società capitalistica, nella quale il terreno acquista valore di scambio. Tale valore, inizialmente legato alla fertilità del suolo o alla ricchezza del sottosuolo, venne poi a dipendere dalla posizione. In queste economie diviene fondamentale organizzare il territorio in modo tale da ottenere dal capitale terra la maggior resa economica possibile (costruire strade, canali d'irrigazione). Finché l’uso del suolo rimane agricolo, esso non può essere reso produttivo oltre un certo limite, nemmeno investendo o aggiungendo lavoro. Inoltre, il mercato agricolo si satura molto in fretta. Tali limiti del capitalismo agrario furono superati allorché il meccanismo dell’accumulazione capitalistica di mercato si applicò all'industria: l'aumento della produttività del lavoro umano era incrementabile con le macchine. Su ogni unità di spazio si otteneva più profitto, e quindi più capitale da investire nel ciclo (spirale dello sviluppo economico capitalistico). Dal punto di vista geografico, il modo di produzione capitalistico-industriale ebbe come principale conseguenza la concentrazione dello sviluppo economico in poche aree: la concentrazione spaziale del lavoro accresce la produttività dei fattori impiegati. In un mercato concorrenziale il capitalista acquista fattori produttivi a un prezzo stabilito dal mercato e produce merci il cui prezzo è stabilito dal mercato; i profitti dipendono da come impiega i fattori, e da dove li impiega, poiché costi di produzione e valore del prodotto non sono uguali ovunque. Esistono luoghi e condizioni territoriali in grado di accrescere profitti (miniera vicino a giacimento). Stesso vale per il lavoro: chi ha bisogno di personale qualificato si localizza dove esso è facilmente reperibile. Inoltre, in certe fasi di sviluppo, i costi decrescono se il lavoro viene diviso in tante operazioni affidate a lavoratori diversi: chi concentra lavoro e macchine in grandi stabilimenti otterrà questi vantaggi, detti economie di scala, di cui non dispone chi opera in piccole unità sparse. Chi invece necessità di manodopera non qualificata, può delocalizzare dove il costo del lavoro è più basso. Economie esterne e infrastrutture. | vantaggi ottenuti grazie alle condizioni favorevoli presenti dove si opera sono detti economie esterne o esternalità positive, in quanto sono effetti utili che l'impresa non piò produrre al suo interno, ma che ottiene dall’esterno se si localizza dove l’organizzazione del territorio offre condizioni favorevoli. Quando la localizzazione è dannosa, si parla di diseconomie esterne o esternalità negative. La geografia economica delle attività economiche è data essenzialmente dalla distribuzione geografica delle condizioni che possono diventare economie o diseconomia esterne. Ogni attività economica ha una sua localizzazione dipendente da specifiche esigenze di esternalità. Fu Marshall a indicare questi effetti utili col nome di economie esterne: utilità non derivanti dall’organizzazione interna, utilizzabili a costo zero o pagandole meno dei vantaggi che se ne ricavano. Una parte di tali vantaggi sono un effetto collaterale del mercato. Si tratta delle economie di agglomerazione, cioè degli incrementi di produttività che le imprese realizzano concentrandosi in certe aree (meno costi e più profitti). Ciò rende maggiormente competitive le imprese agglomerate, e col crescere dell’aggiomerazione le economie esterne possono aumentare fino a che il meccanismo agglomerativo si autoalimenta. Le economie di agglomerazione sono una componente delle economie esterne dette di urbanizzazione, derivanti da: 1) Opere di urbanizzazione primaria (infrastrutture tecniche) che consentono l'insediamento delle imprese. 2) Facilità di scambi di merci, info e servizi tra imprese agglomerate. 3) Formazione di un sempre più vasto e qualitativamente differenziato mercato della forza lavoro. 4) Servizi pubblici per formazione e riproduzione della forza lavoro e per elaborazione e circolazione delle info. 5) Sviluppo parallelo di servizi privati per le famiglie (negozi) e di servizi per le imprese. - Polarizzate: presenti soprattutto nel Sud del mondo, ma anche in Europa, quando un centro (Parigi, Lazio, Piemonte) funge da polo principale, concentrando attorno a sé una quota rilevante di attività produttive e terziarie del paese. È presente anche a livello UE (Pentagono: Londra, Parigi, Milano, Monaco, Amburgo). L’eccessiva concentrazione in un polo provoca diseconomie di agglomerazione, che respingono nuove attività e influiscono negativamente su quelle presenti. Si avvertono soprattutto nei servizi pubblici (ospedali, scuole), più costosi da gestire quanto più aumentano gli utenti. Ciò fa sì che il costo della vita cresca con la dimensione urbana, e parallelamente accresce il degrado ambientale. Le diseconomie possono portare all'arresto della crescita polarizzata o a fasi di depolarizzazione, così che popolazione e servizi si ridistribuiscano prima nei dintorni del polo (suburbanizzazione), poi in un raggio più vasto (periurbanizzazione). Deconcentrazione e nuove strutture regionali a rete. Regioni polarizzate e gerarchiche furono forme di organizzazione territoriale tipiche del primo XX, quando fattore trainante dell'economia era la grande industria manifatturiera. Dai ‘70 notevoli trasformazioni economiche incisero profondamente sull’organizzazione del territorio: le grandi agglomerazioni industriali tendono a frazionarsi. Ne derivano schemi localizzativi nuovi e flessibili: fasi di lavorazione, abitazioni e servizi si distribuiscono in territori vasti. Si è andata formando una struttura regionale policentrica interconnessa, in cui popolazione e attività si distribuiscono in cari centri minori, connessi tra loro e coi principali. La città, grande agglomerazione produttiva, distribuisce in reti vaste anche centinaia di KM funzioni prima polarizzate al suo interno, mantenendo al suo interno quelle direzionali. AI contempo, una struttura reticolare si forma nei territori economicamente più forti. Tali strutture reticolari policentriche sembrano più adatte a favorire lo sviluppo delle aree forti, soprattutto grazie all'aumento della velocità dei trasporti, che accorciano le distanze. Tali regioni dipendono sempre meno dai loro rapporti interni e sempre più da quelli col resto del mondo: nell'economia odierna le reti orizzontali (flussi di capitale e informazioni) diventano elementi e fattori decisivi dello sviluppo regionale. Sistemi territoriali locali. Uno degli effetti della globalizzazione economica è quello di mettere in competizione vari territori, in quanto sedi di risorse potenziali. Tale competizione riguarda soggetti privati e misti che, vivendo nello stesso territorio, hanno una identità territoriale comune. Se coordinati sotto una buona leadership, possono elaborare e condividere un progetto di sviluppo rispondente a interessi comuni e cooperare per realizzarlo. Così facendo formano una rete locale che, ai fini dello sviluppo del territorio, si comporta come attore collettivo, col compito di creare nuovo valore combinando le risorse che circolano nelle reti globali. L'insieme di potenzialità di un territorio è detto capitale territoriale (milieu territoriale). Fa leva sulle caratteristiche che nel tempo si sono sedimentate in un territorio e che possono costituire delle prese per il suo sviluppo. Si tratta di condizioni naturali (clima, morfologia) che nel corso della storia si sono combinate coi prodotti dell’azione umana (materiali, culturali, sociali e istituzionali). Il milieu è un patrimonio a cui attinge la rete locale dei soggetti come attore collettivo; è un tipico caso di combinazione di relazioni orizzontali (collegamenti in rete tra soggetti) e verticali (rapporto della rete col capitale territoriale), che da vita a strutture territoriali. L'ambito territoriale delle reti e dei milieu è geograficamente delimitabile e costituisce quindi una microregione. A tale struttura regionale si dà il nome di sistema territoriale locale; un esempio tipico è il distretto industriale, ma funzionano come tale anche le città e i loro quartieri. Possono coincidere con regioni politico-amministrative, ma più dovente sono aggregati spontanei e volontari, non istituzionali. Il sistema territoriale locale è una regione programma: costruzione volontaria che esiste solo se e quando certi soggetti attivano certe relazioni tra loro e con l'esterno (orizzontali), e certe relazioni con il milieu territoriale (verticali). Lo sviluppo locale è anche globale. La competizione indotta dalla globalizzazione tende a frammentare le unità territoriali che, per conservarsi o ricostituirsi a livelli diversi, devono reagire creando al loro interno una trama di relazioni cooperative forti. Quest'opera di costruzione regionale non può prescindere dall’esistenza di reti globali, i cui nodi e flussi sfuggono al controllo territoriale diretto, e schiacciano i sistemi locali che non riescono a reagire tramite il milieu. Ma le reti globali hanno bisogno dei sistemi locali: questi fungono da serbatoi potenziali delle esternalità di cui esse necessitano per essere competitive nel mercato globale. | sistemi locali possono fungere da mediatori passivi (favorire l'insediamento di un nodo nel proprio territorio), o da mediatori attivi (comportarsi come attore collettivo formando una rete locale). | sistemi locali autorganizzati hanno buone possibilità di mantenere la loro identità nell'interazione con le reti globali e sono visti come risorsa su cui far leva nelle politiche di governo del territorio. CAPITOLO 2: IL SISTEMA MONDO. Obiettivi: - Definire il processo di globalizzazione ed evidenziare come muta lo spazio geografico. - Collocare la globalizzazione nello spazio e nel tempo. - Definire le relazioni fra aspetti culturali, sociali ed economici del fenomeno. - Interrogarsi sui meccanismi tramite i quali la globalizzazione produce e riproduce squilibri materiali. - Conoscere le figure chiave e gli attori del processo di globalizzazione dell'economia. - Introdurre le problematiche connesse al fenomeno. Concetti chiave. - Globalizzazione. - Globalizzazione come processo sociale. - Compressione spazio-temporale. - Divisione internazionale del lavoro. - Fondo monetario internazionale, Banca mondiale, organizzazione mondiale per il commercio. Introduzione. Con globalizzazione si intendono una serie di processi che hanno determinato e determinano profondi mutamenti nelle relazioni umane e geografiche, che sembrano espandersi, accelerarsi, interconnettere luoghi enormemente distanti. Soggetti e società locali sono sempre più interconnessi in reti e sistemi di portata globale. La globalizzazione e l’idea di un sistema mondo. Dal punto di vista geografico la globalizzazione è un cambiamento di scala nell’organizzazione di molti fenomeni (ambientali, economici, geopolitici), che appaiano sempre meno locali. In questo senso, la globalizzazione tende a ridurre l’importanza della distanza, ma non implica l'annullamento dello spazio geografico fisico. Piuttosto, amplia, intensifica e accelera le relazioni fra soggetti localizzati in diverse aree del mondo. La crescente interconnessione delle economie nazionali, tuttavia, non rappresenta una novità: tutto il ‘900 è stato caratterizzato da una crescente integrazione internazionali tramite flussi commerciali, finanziari e tecnologici. Per tale ragione, molti autori ipotizzano l’operare di svariate globalizzazioni, individuando il periodo della Pax britannica (XIX) come prima globalizzazione. AI di là della terminologia, il riferimento alla natura storica di tale processo introduce una riflessione significativa: il termine globalizzazione è utilizzato sia con riferimento a una condizione data, sia a un processo sociale, e tale ambiguità finisce col confondere cause ed effetti. Dal punto di vista geografico, assumerla come un processo permette di introdurre alcune prospettive di analisi centrali: - Il processo evolutivo della globalizzazione prende forma in maniere geograficamente squilibrate. -. La globalizzazione è un'esperienza sociale. Harvey introduce l’espressione compressione spazio-temporale: la vita media dei prodotti si è accorcia e le dinamiche di mercato evolvono in maniera rapidissima. Mode e tecnologie rendono gli oggetti obsoleti in tempi ristretti; parallelamente, l'espansione delle filiere consente trasforma la nostra percezione dello spazio e del tempo, favorendo la costruzione di un immaginario globale: coscienza di vivere in un pianeta fortemente interconnesso. - Poiché è un processo in costruzione, è possibile formulare ipotesi sulla sua evoluzione. Neoliberismo, privatizzazione dei servizi pubblici e liberalizzazione del commercio non sono naturali o inevitabili, ma il risultato di scelte economiche e politiche. Neoliberismo. Corrente politica e ideologia socio-economica basata sull'idea che le forze del libero mercato siano in grado, da sole, di generare crescita economica e sviluppo sociale equo. Diffusosi in America Latina, US e GB, ha assunto soprattutto la forma di deregolamentazione del mercato, privatizzazione dei servizi pubblici, riduzione tasse e abbattimento barriere al commercio, per limitare l’ingerenza dello Stato nel privato e massimizzare l'iniziativa personale. Criticato nelle scienze sociali, poiché la riduzione dello stato sociale ha determinato spesso situazioni di esclusione sociale e povertà. In particolare, la sua diffusione avrebbe costituito uno strumento politico per mantenere una struttura geopolitica mondiale che vede alcuni paesi in una posizione di potere ed egemonia economica: nuove forme di imperialismo economico. I molteplici aspetti della globalizzazione. Le compressioni dello spazio-tempo non si limitano all'economia, ma si estendono all'insieme delle attività umane: - Globalizzazione del sapere scientifico-tecnologico: sapere globale a cui ogni realtà attinge. - Globalizzazione ambientale: nota come global chance, la cui manifestazione più nota è l’effetto serra. - Globalizzazione culturale: omologazione culturale, scomparsa di modi di vita e produzioni locali. - Globalizzazione geopolitica: crescente interdipendenza di decisioni e avvenimenti politici dei diversi paesi. L’idea di un sistema mondo e la “vecchia” divisione internazionale del lavoro. La tradizione economica considera ogni paese orientato a specializzarsi nella produzione rispetto alla quale risulta naturalmente incline, e in questo senso il libero commercio internazionale avrebbe assicurato un ruolo adeguato a ogni paese. A partire dai ‘60 tale approccio viene messo in luce critica, soprattutto dalla corrente marxista, che richiama l’idea di divisione internazionale del lavoro, relativa alla distribuzione delle attività economiche e produttive nello spazio mondiale. Analizzava le modalità e le ragioni per cui determinati settori industriali o fasi del ciclo produttivo si concentrano in determinate regioni geografiche; in particolare, le relazioni commerciali squilibrate che prendevano forma a livello mondiale. Era evidente che paesi ricchi e poveri si specializzavano in esportazioni di natura differente: - Poveri: materie prime o semilavorati semplici. - Ricchi: prodotti industriali ad alto contenuto tecnologico. Tale sistema basato sulla divisione internazionale del lavoro non produceva equità e sviluppo; anzi, accentuava le differenze e le disuguaglianze. Wallerstein distingue tre spazialità assunte dal capitalismo nel sistema mondo: - Centro: paesi dominanti. Caratterizzato da intense relazioni funzionali che consentono efficacemente scambio e circolazione di idee, servizi e informazioni, favorendo l'evoluzione della struttura produttiva. Tali zone sono le maggiori aree di mercato e consumo per la produzione mondiale. - Periferia: insieme vasto e differenziato di territori, che si colloca in posizione di subordinazione economica rispetto al centro. Caratterizzato da relazioni economiche semplici, sporadiche e da arretratezza tecnologica. - Semiperiferia: aree di più recente industrializzazione o caratterizzare da situazioni di transazione economica. Dipendenza tecnologica, finanziaria e decisionale nei confronti del centro; relazioni meno complesse. Paesi del centro e della periferia possono passare a una posizione semiperiferica: il sistema mondo è dinamico. Tale linea di pensiero sposta la responsabilità del sottosviluppo dai singoli paesi al sistema economico complessivo; dal Il dopoguerra, i paesi poveri erano considerati colpevoli della loro situazione e le politiche di sviluppo erano permeate di paternalismo: i paesi del Nord avevano l'obbligo morale di aiutare il Sud. La prospettiva critica sostiene invece che l'economia globale non è scindibile in un mosaico di paesi, ma si presenta come unico sistema-mondo dove i circuiti dell'economia prendono forma alla scala mondiale, ed è la struttura stessa dell'economia capitalistica mondiale che colloca determinati paesi in posizioni di marginalità, dove il sottosviluppo di alcuni rappresenta lo sviluppo di altri. La “nuova” divisione internazionale del lavoro. A partire dagli ’80 si sviluppano elaborazioni teoriche relative all’affermarsi di una nuova divisione internazionale del lavoro. Il mondo contemporaneo non è descrivibile nei termini di un centro industriale contrapposto a una periferia fornitrice di materie prime; piuttosto, la NDIL è caratterizzata dalla frammentazione dei processi produttivi a scala mondiale. Dagli ’80 si registrano infatti numerosi processi di decentramento territoriale di attività industriali dal Nord al Sud del mondo, essenzialmente per utilizzare manodopera poco costosa per lavori privi di competenze. Le ragioni tale cambiamento di scala sono: 1) Disponibilità di un bacino di lavoratori industriali di livello globale. Iniziata nei ‘50 con la rivoluzione verde (trasferimento di tecnologie agricole dal Nord al Sud), che ha liberato migliaia di persone da una vita di pura sussistenza, trasformandole in fattore-lavoro per la realizzazione di cicli del capitale a livello mondiale. 2) Frammentazione dei processi produttivi. Conseguenza della divisione tecnica in compiti specifici a partire dal fordismo. Dagli ’80 si assiste ad una rilocalizzazione spaziale connessa ai processi di parcellizzazione, grazie soprattutto alle nuove tecnologie (PC) e alle possibilità di trasporto e comunicazione. 3) Reti ditrasporto e comunicazioni efficienti. Dal dopoguerra, costi e tempi per lo spostamento di persone e merci si sono notevolmente ridotti. L'affermazione dell'impresa multinazionale ha ridisegnato questo quadro. La divisione del lavoro non è più collegata al potere o alle scelte dei governi nazionali, ma è effettuata direttamente dalle imprese sulla base di scelte tecniche, cioè di valutazioni sull'opportunità di localizzare fasi della produzione in un luogo piuttosto che in un altro. Inoltre, le filiere produttive diventano sempre più transnazionali, per cui diviene impossibile definire cosa produca ogni singolo paese, dacché ogni prodotto è il risultato di fasi industriali localizzate in molti luoghi. Tale realtà cambia i meccanismi di squilibrio, differenze e sfruttamento. L’industrializzazione si è diffusa ovunque, ma permangono centri e periferie; al contempo, le società sono sempre più liquide, caratterizzate da confini incerti e categorie ibride. Ad esempio, Cina e India non sono più catalogabili come periferici: sebbene presentino situazioni di povertà, sono indubbiamente dei centri dell'economia mondiale. | recenti approcci teorici della geografia, pur denunciando squilibri a livello mondiale, criticano l’uso di apparati teorici per interpretare gli spazi del Nord e quelli del Sud. Non esiste una geografia del sottosviluppo; in questo senso, l’idea del sistema-mondo di Wallerstein riveste grande attualità: non esiste un solo sistema globale e, per comprenderne le traiettorie evolutive, occorre analizzare i molteplici meccanismi di funzionamento della globalizzazione. L’ambiente, il geosistema e il problema ecologico. Il termine ambiente indica l'insieme delle relazioni e delle condizioni che permettono la vita degli essere viventi sulla superficie terrestre, nel suo insieme o su parti di essa. Si compone di caratteristiche fisiche (temperatura, piogge) e di esseri viventi, tra cui l’uomo. Non è qualcosa di statico, ma un sistema in continua evoluzione, in cui i cambiamenti possono essere conseguenza di cause naturali, o possono essere dovuti all'intervento dell’uomo. L’ecosistema è il sistema degli organismi di ciascun ambiente, con le loro relazioni reciproche e le relazioni che li legano all'ambiente stesso. È cioè un insieme di vegetali e animali, collegati tra loro e all'ambiente fisico da una trama di relazioni necessarie per la loro sopravvivenza. È l'insieme degli organismi viventi (fattori biotici) e della materia non vivente (fattori abiotici) che interagiscono in un determinato ambiente costituendo un sistema autosufficiente e in equilibrio dinamico. Anch'esso è soggetto a cambiamenti: la scomparsa di una specie può compromettere il sistema. Anche il nostro pianeta è un insieme di parti legate tra loro da flussi di materia ed energia e funziona come un sistema, che è detto geosistema, in cui coesistono ambienti diversi. Di norma, il geosistema si comporta come un sistema aperto: riceve dall'esterno sia limitati apporti di materia sia consistenti flussi di energia, derivanti dalla radiazione solare. Energia solare, e in parte l'energia endogena della terra, sono il motore della circolazione di materia inorganica; il sole è inoltre la fonte di tutte le trasformazioni energetiche che permettono la vita sulla terra (fotosintesi). Il geosistema è mantenuto in equilibrio da una serie di cicli, coordinati tra loro, che ne assicurano il funzionamento. Il sistema economico mondiale, come insieme di elementi materiali e di relazioni intersoggettive per la produzione e lo scambio di beni, è un sottosistema dell'ecosistema terrestre, con cui ha intense relazioni in entrata (produzioni alimentari, materie prime, fonti energetiche) e in uscita (trasformazioni delle biosfere, crescita demografica, emissione di rifiuti), e può avere un comportamento contrastante col sistema di cui fa parte. Esso alimenta una circolazione di materia, energia e informazione secondo modalità diverse da quelle dell’agire naturale dell'ecosistema stesso, e per questo provoca delle alterazioni dell'ambiente. Tali alternazioni possono essere: - Reversibili: essere riassorbite da retroazioni riequilibratrici. - Irreversibili: allontanano definitivamente l’ambiente dai suoi equilibri, con effettivi distruttivi a breve e lungo termine. | sistemi economici delle società preindustriali hanno portato all'ambiente alterazioni in gran parte reversibili: le trasformazioni ambientali procedevano lentamente, il che permetteva sia il riequilibrio naturale, sia la possibilità di rendersi conto dei danni e di limitarli. Oggi, i tempi dell'economia e delle trasformazioni ecologiche da essa provocata sono molto più brevi dei processi di riequilibrio naturale: azioni vantaggiose nel breve periodo possono produrre gravi danni ambientali nel lungo, non considerati di norma dal calcolo economico che riguarda sempre tempi brevi. Da questa contraddizione deriva il problema ecologico che è forse il più grave problema di sopravvivenza che l'umanità ha incontrato nella storia. I cicli del geosistema. Pur formando un unico sistema dinamico il geosistema si articola in diversi cicli: - Rocce: orogenesi, erosione dei rilievi, sedimentazione dei materiali asportati sui fondali, orogenesi. Acqua: evaporazione, precipitazioni atmosferiche, specchi d'acque, di nuovo evaporazione. - Carbonio: scambi tra atmosfera e vegetali (fotosintesi, traspirazione). Azoto: scambi tra atmosfera e processi metabolici di organismi viventi. Le alterazioni dell’ecosistema e l'impronta ecologica. L'economia mondiale negli ultimi vent'anni è entrata in una fase in cui, ai danni ambientali limitati e localizzati, si sono aggiunti squilibri globali che minacciano la vita dell'intero pianeta. Tale cambiamento è definito global change. L'opinione pubblica del Nord del mondo fu messa di fronte alla realtà di un mondo che funziona come unico sistema in occasione del disastro di Cernobyl dell’86. Oggi il problema ecologico è diventato uno degli aspetti più rilevanti e inquietanti della globalizzazione, da affrontare con accordi internazionali che assicurino il rispetto di norme da parte di tutti i paesi. Tra i danni ecologici all'ambiente gli inquinamenti sono i più evidenti. Con le prime concentrazioni urbane e con l'avvento delle industrie e della civiltà dei consumi, aumentò moltissimo la quantità di rifiuti prodotti, e molti di essi divennero non labili naturalmente (plastica). Inoltre, le attività umane riversano nell’atmosfera sostanze che ne alterano la composizione, che possono determinare nell'ambiente una serie di reazioni a catena il cui risultato non è prevedibile (polveri sottili). Il fenomeno ha risvolti geografici inquietanti: immissioni diffuse attraverso la circolazione di correnti atmosferiche, marine e fluviali (acqua). Altro danno ecologico legato all’azione dell’uomo è l'eccessivo consumo di risorse naturali. La sopravvivenza della specie umana è legata alle risorse naturali presenti nel geosistema (suoli, flora, fauna), che debbono essere fruite senza determinarne la sparizione. Lo sfruttamento di suolo, materie prime e fonti energetiche è aumentato enormemente negli ultimi secoli; nell'economia capitalistica si tratta di un processo cumulativo che si autoalimenta: un aumento di produzione aumenta la capacità di investimento e consumo e ciò richiede nuove produzioni, con più consumo di materie prime ed energia. L’eccessivo sfruttamento di risorse naturali è un problema ecologico che coinvolge l’intero geosistema. Il problema nasce dalla diversa scala temporale dei processi: quelli brevi dei prelievi e dei consumi, legati ai tempi economici, quelli lunghi di ripristino e riequilibrio, legati ai tempi geologici. Questa forte differenza nelle due scale temporali determina un'alterazione irreversibile del geosistema. Lo squilibrio ambientale che oggi crea le maggiori preoccupazioni a livello globale è quello dell'aumento della temperatura dell'atmosfera, detto global warming, attribuito alla forte crescita di alcuni gas derivanti dalle attività umane, in particolare del CO., le cui emissioni aumenterebbero l’effetto serra. Tra le alterazioni dell'ecosistema che superano la soglia di reversibilità vi è inoltre la perdita di biodiversità, cioè del numero di specie animali e vegetali esistenti. Un’elevata biodiversità è una ricchezza poiché accresce le probabilità di durata della vita, e in termini economici perché l'utilizzo di risorse rinnovabili vegetali e animali dipende dalla varietà del patrimonio genetico disponibile. L’effetto serra e il global warming. I raggi solari forniscono calore alla Terra. In assenza di atmosfera, riflessi sulla superficie terrestre, disperderebbero la loro energia nello spazio e il nostro pianeta sarebbe molto freddo (media -19°). Alcuni gas contenuti nell'atmosfera ostacolano la riflessione, funzionando come vetri che ricoprono una serra e vi trattengono il calore. Di qui l’espressione effetto serra per indicare quel fenomeno naturale per cui i gas dell'atmosfera fanno salire la temperatura media della terra intorno al valore di 15°. Un aumento eccessivo di tali gas (85% CO-) può contribuire ad aumentare l’effetto serra e dunque far salire la temperatura del pianeta, modificando il clima. Nel suo ciclo naturale il CO: (biossido di carbonio) è prodotto dagli esseri viventi attraverso la respirazione, ma si va aggiungendo a questo quello derivante dall’attività umana, in particolare dalla combustione di carburanti fossili. | cambiamenti climatici legati al CO; sono studiati dall’88 dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), che ha messo in evidenza una stretta relazione tra attività umana e produzione di gas serra, e una relazione tra incremento delle concentrazioni di tali gas e aumento della temperatura. L'istituto presenta scenari catastrofici: - Fusione dei ghiacci polari e innalzamento del livello dei mari. - Deviazione grandi correnti marine e alterazioni climatiche rovinose per alcune aree continentali (EU NO). - Aumento fenomeni estremi (siccità, inondazioni, cicloni). Sebbene gli scienziati concordino sul fatto che le attività umane contribuiscano al riscaldamento dell’atmosfera, vi sono divergenze sulle cause dell’aumento globale della temperatura e su quanto possano essere affidabili le previsioni: - l tempi considerati dall’IPCC sono troppo brevi rispetto alla storia del pianeta. - Il cambiamento climatico si verificherebbe comunque, ma a una scala temporale accelerata. - IPCC non considera le variazioni cicliche a breve termine delle correnti marine. L’economia e il problema ambientale. Tutte le risorse indispensabili per la vita umana provengono dalla terra e dall'energia solare, pertanto devono essere utilizzate senza determinarne la sparizione. Occorre tuttavia distinguere tra risorse: - Rinnovabili: si riformano dopo essere state consumate (risorse agricole, acqua, vento). - Nonrinnovabili: si trovano nella crosta terrestre in quantità limitate e, una volta utilizzate non si riformano, o si riformano in tempi geologici (minerali, petrolio, ecc.). Il problema principale è legato alle risorse non rinnovabili, già rare, ma anche alcune risorse rinnovabili sono in pericolo, per l'aumento dei consumi o per sprechi e inquinamenti (acqua). Lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali è un problema ecologico, che coinvolge non solo i paesi ricchi (principali consumatori), ma l’intero geosistema, e nasce dalla diversa scala temporale degli eventi legati ai tempi economici e geologici. In un sistema economico infatti i risultati dipendono dalla produttività dei fattori, cioè dal rapporto tra quantità (fisica o in valore) di beni e servizi prodotti e le corrispondenti quantità dei fattori impiegati: - Fattore terra: insieme delle risorse (suolo, materie prime, energie naturali) dei servizi naturali e, in genere, ciò che il sistema economico preleva dal geosistema, eccetto il lavoro umano. - Lavoro umano: fattore particolare, a sé stante, in quanto erogato dagli stessi soggetti a vantaggio dei quali si svolge il processo produttivo. - Capitale. La relazione storica uomo-ambiente si può ridurre alla storia di come l’uomo abbia cercato di aumentare la produttività del proprio lavoro attraverso una crescente mobilitazione del fattore terra. Tale mobilitazione ha riguardato materie prime destinate a fabbricare macchine, utensili e impianti in grado di moltiplicare i mezzi naturali e le fonti di energia di cui l’uomo in origine disponeva, grazie a cui l’uomo ha accresciuto enormemente l'energia naturale del suo corpo, e accrescendo in tal modo la produttività del loro lavoro, ha ridotto la produttività del fattore terra, intervenendo sulla geografia dei cicli biologici. Con l’addomesticazione di animali prima, e con la rivoluzione industriale poi, siamo arrivati a una condizione in cui ogni abitante del pianeta, pur lavorando in media meno dei nostri antenati in epoca pre- industriale, ha a sua disposizione in media una maggior quantità di beni e servizi, disponendo però di minori riserve naturali. L'efficienza del sistema economico è cresciuta, ma si è ridotta quella del sistema ecologico complessivo. Il sistema economico mondiale non è in grado di riequilibrare questa progressiva perdita di produttività del sistema terrestre. Occorre ridurre i consumi ed effettuare interventi correttivi per migliorare la compatibilità tra sistema economico e geosistema. I tempi dei cicli del geosistema. | diversi cicli nei quali si articola il geosistema si compiono in scale temporali diverse: - Il ciclo delle rocce segue tempi geologici: decine o centinaia di milioni di anni. - L’evoluzione biologica si compie in tempi dell'ordine di milioni di anni. - Il ciclo dell’acqua si compie in tempi dell'ordine di anni. - Il ciclo della materia organica ha tempi da annuali a decennali. In questi cicli si inseriscono quelli delle società umane trasformatrici dell'ambiente, con scale temporali diverse: - I tempi lunghi della storia solo dell'ordine massimo di alcune migliaia di anni. - I tempi delle grande trasformazioni ambientali sono di due secoli. - I tempi della vita umana sono brevi, e ancor più lo sono quelli dei bilanci economici delle imprese. Dal contrasto tra tempi lunghi dei cicli naturali e brevi dei cicli economici moderni, nasce il problema ambientale. In sintesi, esso consiste nel fatto che il geosistema terrestre non è in grado di riequilibrare le trasformazioni indotte dal sistema economico moderno. L’impronta ecologica. Il consumo di risorse è molto diseguali tra i vari paesi ed è maggiore nei paesi industrializzati e più ricchi. Le differenze sono messe in evidenza da un indicatore denominato impronta ecologica. Si tratta di calcolare l’area del fattore terra, cioè di terra produttiva e di mare necessaria per produrre tutte le risorse che consuma ciascun paese e per assorbirne i rifiuti che produce. Per valutare l'impronta ecologica di un paese si aggiungono alle sue produzioni interne le importazioni e si sottraggono le esportazioni, tenendo conto anche del bilancio energetico (rapporto tra energia prodotta localmente e consumata). Viene espressa in unità di area, corrispondenti a quanto si può produrre in media con un ettaro di terreno. Il risultato, diviso per il n. di abitanti di un paese fornisce l'impronta ecologica media di quella popolazione, confrontata poi con la terra produttiva pro capite disponibile nel paese. Dal 1960 ad oggi si evidenzia una continua crescita dell'impronta ecologica a livello mondiale, con 3 scenari possibili nel periodo 2003-2010: - Mantenimento attuale del trend. - Moderata riduzione dei consumi. - Rapida riduzione dei consumi. Lo sviluppo sostenibile. Per sviluppo sostenibile si intende uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri (ONU). Da tale definizione emergono 2 principi fondamentali - La soddisfazione dei bisogni estesa a tutti gli abitanti della Terra, senza escludere i più poveri. - La responsabilità verso i posteri, ai quali bisogna poter consegnare uno stock di riserve adeguato e un ambiente senza gravi squilibri. Implica inoltre di considerare non solo reddito economico e quantità di beni prodotti, ma anche qualità dell'ambiente e quindi quella della vita, che comprende condizioni sanitarie, culturali e sociali in genere della popolazione. Si basa quindi su tre principi fondamentali: - Integrità di sistema: mantenere geosistema ed ecosistemi integri, limitando emissioni ed evitando alterazioni irreversibili. - Efficienza economica: in senso ecologico, considerano costi e vantaggi di breve e di lungo periodo. È efficiente un sistema che massimizza produzione e consumi compatibilmente con gli equilibri ecologici. - Equità sociale: riferita a due scale temporali: >» Intra-generazionale: all’interno di ogni comunità umana in un determinato momento storico. >» Inter-generazionale: riferita alle generazioni future. | modi di intendere la sostenibilità variano tra quanti hanno accesso alle risorse (paesi avanzati) e quanti ne fruiscono (paesi svantaggiati), che ridurrebbero i consumi dei ricchi. Vi sono due interpretazioni del principio di equità intergenerazionale: > Sostenibilità debole: è possibile sostituire il capitale naturale col capitale prodotto dall'uomo. Ogni generazione può impoverire l’ambiente naturale, purché compensi il degrado accrescendo valore e qualità dell'ambiente prodotto artificialmente. > Sostenibilità forte: si deve lasciare alle generazioni future l’intero stock di capitale naturale, insostituibile. Il concetto stesso di sostenibilità è molto ampio. Si individuano i seguenti aspetti dell'idea di sviluppo sostenibile: - Sostenibilità ambientale: focus sull’integrità dell'ecosistema terreste e sulla qualità dell'ambiente, intesa come bene che concorre a migliorare la qualità della vita e quindi lo sviluppo. L'ambiente va preservato da La distribuzione della popolazione mondiale. Le differenze nella crescita e nella composizione demografica, in quanto frutto di una diversa evoluzione storica, si riflettono sulla ineguale distribuzione dell’umanità sulla superficie terrestre. Esistono zone interamente disabitate e ostili all'insediamento umano, indicate come anecumene (Antartide, Groenlandia, Siberia); il resto della superficie terrestre, abitata, è detta ecumene e presenta densità di popolazione fortemente variabili. Le prime differenze sono a scala continentale: il continente più popolato è l'Asia, poi l'Europa, entrambe con una media ab/km doppia rispetto alla media mondiale (42 ab/km); i valori minori sono in Oceania e America meridionale. 1% dell'umanità vivono in Eurasia. Vi sono marcate differenze anche all’interno di ogni continente tra: - Regioni con la maggior parte della popolazione mondiale. Sono nell’emisfero settentrionale e sono di due tipi: = Quelle derivate da una secolare colonizzazione agricola di zone fertili, nella fasce tropicale e sub-tropicale. Vi appartiene la vasta regione asiatica compresa tra pianure alluvionali cinesi (N) e arcipelago indonesiano (S), e tra pianura del Gange (E) e Filippine (W). Vi si concentra quasi la metà della popolazione mondiale (2,5 mld). Qui la densità di popolazione favorisce l'agricoltura intensiva, ma rappresenta una grande disponibilità di manodopera a basso costo. = Quelle la cui densità di popolazione è derivata dallo sviluppo industriale moderno. Vi appartengono le grandi aree industriali-urbane. Nell’Europa centro-occidentale si individua un’ampia fascia densamente popolata che comprende Inghilterra, regione parigina, Italia e Germania. Regioni simili si trovano negli USA, in America Latina (S. Paolo) e nell'Asia orientale (Giappone, Corea S, parte della Cina). Si differenzia per un reddito medio più alto e per una manodopera più qualificata. - Vaste aree scarsamente popolate: popolamento discontinuo, concentrato soprattutto nelle aree urbane. Le migrazioni. Dal rapporto annuale dell’International Organization for Migration (IOM), nel 2008 vi erano 200 mln di migranti, il 3% della popolazione mondiale, che aveva lasciato per scelta o per forza il paese d'origine. | fattori generali dei movimenti internazionali di popolazione sono molteplici: - Transizione demografica: accanto a paesi nel regime moderno, ve ne sono molti nella prima fase di transizione (forte crescita). - Differenza nel reddito: quindi nella qualità della vita, che spinge i cittadini delle aree diseredate a trasferirsi. - Mondializzazione dei trasporti: e delle comunicazioni, che riduce le distanze chilometriche e culturali. In forte crescita negli ultimi decenni sono i rifugiati politici, espulsi per motivi politici o fuggiti da guerre in corso, e i profughi ambientali, migrati a causa di fenomeni legati all’innalzamento della temperatura e alle sue conseguenze. Un tipo particolare di migrazione è quella intellettuale, persone legate al mondo della cultura che si trasferiscono da paesi in cui le proprie competenze non vengono valorizzate (fuga dei cervelli). È positiva se si accompagna a un analogo flusso in entrata: si trasforma in uno scambio detto brain exchange, che arricchisce il panorama conoscitivo. L'Italia ha un bilancio di scambio negativo, USA e Australia estremamente positivo. Nel tempo le diverse parti del mondo hanno visto mutare completamente i loro rapporti col fenomeno migratorio: - l'Europa da focolaio di emigrazione riceve ora forti flussi immigratori e ospita il maggior numero di immigrati da tutte le parti del mondo. Inoltre, dalla caduta del Muro di Berlino, si sono intensificate le migrazioni interne. - La Russia da paese di emigrazione (inizio XX) è ora paese di immigrazione. - 1 flussi che si verificavano nell'Atlantico ora si verificano nel Pacifico tra USA, Giappone e SE asiatico avanzato. Altra direttrici importanti hanno direzione Nord-Sud: da Africa a Europa (Mediterraneo) e da America Latina a USA. Ha direzione est-ovest quella che collega l'Africa coi paesi petroliferi mediorientali. Il maggior numero di emigrazioni (temporanee o definitive) avviene per /avoro. La migrazione per lavoro: - Paesi poveri: rimedio contro disoccupazione e sottoccupazione, costituisce un vantaggio economico portato dalle rimesse degli emigranti e da quanti ritornano in patria investendo. - Paesi ricchi: gli immigrati del Sud rappresentano manodopera poco costosa, adatta a lavori spiacevoli, faticosi o pericolosi, rifiutati dai lavoratori locali. Tuttavia, l’intensificarsi dei flussi ha creato forti preoccupazioni nei paesi accoglienti sulle conseguenze economiche, sociali (sicurezza) e culturali (perdita identità). Le misure restrittive adottate da molti paesi europei e dagli USA hanno evidenziato che coloro che vogliono emigrare sono molti di più di quanti ne possano accogliere i paesi di immigrazione. Con rimesse degli emigrati si intende il denaro guadagnato da emigrati all’estero e inviato in patria. In alcuni casi procurano entrate pari alle esportazioni; in Egitto e Turchia, rappresentano il 60% delle entrate. Immigrazione in Italia. Fino alla prima metà del XX l’Italia era esportatrice di manodopera. Dai ‘70, divenne paese di immigrazione, prima come luogo di passaggio per i paesi dell'Europa centrale, poi come residenza definitiva (90). Fattori che hanno favorito il flusso immigratorio sono: vicinanza al Mediterraneo e differenza socioeconomica coi paesi di provenienza. Tra il 2007 e il 2008 si verificò il più elevato incremento registrato nella storia italiana, dovuto soprattutto ai rumeni. Quasi la metà dei residenti stranieri (1.6 mIn) proviene dall’Est europeo; il 63% risiede al Nord, 25% Centro e 12% Sud. La popolazione come forza produttiva. La popolazione di ogni paese può considerarsi importante risorsa economica, tanto da essere indicata come capitale umano. Si definisce popolazione attiva l'insieme di persone in età lavorativa, che lavorano o cercano lavoro, e varia in ogni paese a seconda della struttura per età (troppi anziani o bambini: meno pop. attiva). Comprende i disoccupati, cioè coloro che pur essendo in età lavorativa non lavorano. La disoccupazione è diffusa in tutti i paesi del mondo. Nei paesi del Nord la percentuale di disoccupazione fisiologica è il 3% circa, anche in periodi di crescita economica. In periodi di crisi o ristrutturazione economica, può sfiorare il 10% (Italia fine XX). In questi paesi è legata alle politiche del lavoro: una deregolamentazione del lavoro ne determina maggior flessibilità e di conseguenza fa aumentare il numero di assunzioni, ma non garantisce certezza ai lavoratori. Bisogna considerare che le rilevazioni sono sfalsate dalla presenza del lavoro sommerso, e dal lavoro dei bambini, diffuso soprattutto nel Sud del Mondo. Caratteristiche sociali della popolazione. Due caratteristiche della popolazione che importanti sia dal punto di vista sociale che da quello produttivo sono: - Sanità: esistono ancora forti differenze tra Nord e Sud, anche se dalla metà del XX il divario rispetto agli elementi essenziali della sopravvivenza si è notevolmente ridotto. Oltre il 60% dei paesi del Sud dispone di assistenza sanitaria, la speranza di vita media ha raggiunto quella del Nord (84%) prima del ’90. La mortalità infantile si è dimezzata e il numero di bambini vaccinati sale dal 30 al 70%. Esistono ancora vaste zone in Africa dove la situazione sanitaria è ancora precaria. - Istruzione: fondamentale per l'economia di un paese. Nella società moderna o aspirante ad esserlo, un certo grado di istruzione è richiesto a tutti, per partecipare alla vita civile e politica, accedere ai servizi, inserirsi nel mondo del lavoro; esiste perciò un livello di istruzione di base garantito dalla scuola pubblica. L’accesso a tale servizio non è però ugualmente garantito ovunque, e nei paesi del Sud dove le scuole sono poche c’è ancora un diffuso analfabetismo (Burkina Faso, Niger, Somalia). La povertà e il problema alimentare. La distribuzione geografica della povertà, che secondo la FAO conta il 16% della popolazione mondiale (1.2 mld) mette in evidenza forti squilibri tra i paesi ricchi dell’Europa e dell’America del Nord e quelli dell’ Africa subsahariana e l'Asia meridionale. Inoltre, nei paesi più poveri permangono le maggiori diversità di reddito, e la maggior parte delle persone vive al limite della sussistenza. Una delle più gravi conseguenze dello squilibrio di reddito all’interno e tra i paesi è la fame o malnutrizione, ovvero la carenza di alcuni alimenti indispensabili. Benché dai ‘70 la disponibilità di alimenti sia aumentata, in alcuni paesi africani la situazione di sotto alimentazione è peggiorata: a scala mondiale, la sovrapproduzione agricola coesiste con la denutrizione. Fame e malnutrizione sono presenti per tre ordini di motivi: - Molti contadini di ambienti rurali vivono di agricoltura di sussistenza, ma non producono abbastanza peri loro bisogni per cause naturali o per l’uso di tecniche arretrate. -. In ambiente cittadino vi sono persone troppo povere per acquistare alimenti, anche se questi sono disponibili. - Circa 30 milioni di persone soffrono di fame e carestie dovute alle guerre, e dipendono da aiuti internazionali. La FAO intendeva dimezzare il numero di persone sottoalimentate entro il 2015 (690 min nel 2019, UNICEF). L’indice di sviluppo umano (ISU). Per misurare la qualità della vita confrontandone il livello nei vari paesi, è stato introdotto l'indice di sviluppo umano, un indice complesso calcolato annualmente dall’ONU e pubblicato nell’Human Dvelopment Report. Ha valori compresi tra 0 e 1edèilrisultato della combinazione di tre dati: -. Speranzadivita alla nascita: riflette le condizioni sanitarie e alimentari. - Alfabetizzazione: legato alla diffusione dell'istruzione. - PIL pro capite reale: PIL per abitante, corretto in base al potere di acquisto locale. Ciascun dato è calcolato in funzione dello scarto tra il massimo e il minimo mondiale. Utilizzando e combinando più variabili tra loro, questi indici complessi permettono di rappresentare numericamente, con buona approssimazione, fenomeni complessi dipendenti da fattori economici e sociali quali lo sviluppo umano. Le regioni culturali. Caratteristica fondamentale che differenzia la popolazione mondiale è il tipo di cultura: insieme di conoscenze, stili di vita, credenze religiose, istituzioni, abitudini, espressioni linguistiche e artistiche che caratterizzano una popolazione distinguendola dalle altre. Storicamente le culture si differenziano su base geografica e ancora oggi a scala mondiale continuano a corrispondere ad alcune grandi aree o regioni culturali: - Europa: culturalmente omogenea nonostante gli oltre 30 stati e le 50 lingue diverse: governi democratici, alto sviluppo industriale, medio-alto livello di vita, alta scolarizzazione. Luogo d'incontro di popoli, religioni, culture diversi, ha dato origine a una civiltà multietnica e complessa, protagonista per secoli della storia mondiale: la colonizzazione esportò lingue, religioni, tecnologie e modi di produzione. Negli ultimi decenni, l'incremento dell’immigrazione da Africa, Asie e America ha introdotte nuove culture diverse. America Anglosassone: corrispondente all'America del Nord senza Messico. Colonizzata dal XVI dagli inglesi, che vi portarono lingue e tradizioni europee e sopraffecero popolazioni e culture locali. Col passare deltempo, alle popolazioni anglosassoni si aggiungono Africani, Asiatici e latinos, dando origine a una cultura particolare. Oggi, questa regione composta solo da USA e Canada, ha superato la madrepatria Europa per tecnologie e sviluppo, e rappresenta un modello per il mondo. America Latina: comprende Messico e America del Sud, dove le popolazioni autoctone si opposero ai conquistatori conservando parte del patrimonio di conoscenze e credenze. Oggi tuttavia le lingue spagnola e portoghese e la religione cattolica, importate dai colonizzatori europei, sono importanti elementi di coesione. Nella regione, che conta 35 stati, convivono 4 razze diverse in condizioni generali di marginalità economica. In questa regione vi sono forti tensioni sociali, che sovente sfociano in guerriglie o colpi di stato. Area dell’Islam: si estende dall'Africa settentrionale (Bianca) fino a parte della subsahariana, ad India ed Indonesia, lungo la fascia tropicale e subtropicale. La sua popolazione (800 mln) comprende arabi, berberi, turchi, persiani e altri ancora, che nonostante differenze linguistiche e sociali sono uniti culturalmente dalla religione musulmana. Oggi però il mondo musulmano è diviso in molti stati separati da rivalità politiche ed economiche. In campo religioso si sono differenziate alcune correnti, spesso contrastanti (sciiti e sanniti). Asia meridionale e orientale: luogo d'origine di antichissime civiltà (indiana, cinese), per lungo tempo lontana dall'influenza europea, che quindi conserva tradizioni religiose e modo di vita. Area densamente popolata, in cui si parlano lingue diverse e in cui convivono islamismo, buddismo, induismo e confucianesimo. Dal punto di vista economico, ci sono forti contrasti tra aree intensamente industrializzate (Giappone, Sud Corea, grandi città cinesi e indiane, Singapore e Hong Kong) e altre legate all’agricoltura, ma in via di industrializzazione. Africa Subsahariana: o Africa nera, isolata fino all’età moderna. Nonostante la progressiva penetrazione della religione musulmana, conservò a lungo un tipo di vita legato ad antiche tradizioni e una società di tipo tribale, che praticava religioni animiste. Nel secolo scorso gli europei estesero il loro dominio sulla parte interna del continente, delimitando arbitrariamente i territori delle colonie e favorendo le loro lingue e il Cristianesimo. Con la decolonizzazione si formarono stati privi di unità etnica e sociale, soggetti a contrasti interni, in cui l’unico collante era la lingua dei colonizzatori. Si è formata una regione multirazziale, a maggioranza nera ma con una buona percentuale di bianchi. | due gruppi si differenziano per condizioni sociali e tenore di vita e sono accomunati dalla lingua inglese. Australia e Nuova Zelanda: zone colonizzate dagli inglesi, che vi esportarono lingua e religione, sopraffacendo ed emarginando le popolazioni locali. A causa della distanza dall'Europa, sviluppò un modo di vita peculiare, dando origine a un tipo di cultura particolare. L'elemento indigeno continua ad avere un peso considerevole nell’Oceania insulare. CAPITOLO 7: LE FILIERE INDUSTRIALI Obiettivi: conoscere: Definire e classificare le relazioni industriali. Analizzare le relazioni fra attività industriale e territorio, partendo dal concetto di economie esterne. Osservare le relazioni fra dispersione e concentrazione di attività d’impresa nello spazio geografico. Evidenziare la compresenza di strutture d'impresa molto differenti, come piccole imprese e multinazionali. Introdurre il concetto di reti d'impresa e di filiere globali. Evidenziare la natura geografica e sociale delle reti d'impresa. Concetti chiave. Filiera e filiera globale. Economie interne ed esterne. Decentramento produttivo e territoriale. Impresa multinazionale. Reti d'impresa. Introduzione. La strutturazione dell'attività industriale è un elemento di enorme impatto nella costruzione dello spazio geografico e nella modificazione dell’ambiente umano e naturale: molti autori vedono la rivoluzione industriale come un momento di importanza radicale dal punto di vista geologico. Vediamo la struttura geografica dell'attività industriale partendo dai concetti di industria, manifattura, relazioni tecnico-funzionali e filiera e alloro rapporto con lo spazio geografico. Nello specifico, vedremo la localizzazione dell'attività manifatturiera (concentrazione, diffusione e decentramento) e analizzeremo le reti e le relazioni economiche fra imprese che permettono il funzionamento delle filiere produttive. Infine, vedremo le logiche geografiche delle imprese multinazionali, cercando di trarre le conclusioni di ordine globale circa l'articolazione del fenomeno industriale. Le dimensioni delle imprese e le strutture reticolari. Il concetto di impresa comprende realtà economiche assai differenti: - La grande impresa è in grado di attuare strategie di sviluppo che travalicano i confini di un’area ristretta, e di dialogare con soggetti molto differenti. Le decisioni sono assunte da un gruppo di individui preposti all'attività esecutiva. - la piccola impresa, possedendo modeste potenzialità tecnologiche e finanziarie, esprime limitata capacità di azione strategica verso il mercato e gli altri soggetti economici. Le decisioni sono assunte da un solo soggetto, il proprietario-imprenditore. Secondo l’OCSE le imprese sono distinte dimensionalmente in rapporto al numero di occupati: grandi più di 500, medie dai 50 ai 500, piccole meno di 50. Si tratta di una distinzione generica che non tiene conto dei caratteri intrinseci delle varie imprese. Per lunghi decenni il sistema industriale ha teso a essere dominato dall'impresa di grandi dimensioni, che ha finito per assumere un’organizzazione nazionale o multinazionale. L'affermazione della grande impresa in Occidente iniziò a fine ‘800 e si consolidò con la IGM, soprattutto nei settori in cui la tecnologia consentiva volumi elevati (auto e siderurgico). Si affermò un modello secondo cui giganti industriali incorporavano molteplici unità produttive, prima nel territorio di origine poi al livello internazionale, assicurandosi il controllo delle fonti di approvvigionamento delle materie prime, dei fornitori di semilavorati, della distribuzione dei prodotti. La grande impresa assume tipicamente una struttura reticolare, coordinando le attività di più stabilimenti industriali distribuiti su scala regionale, nazionale e sovranazionale, e realizzando così una divisione funzionale del lavoro fra sede centrale e unità operative. Spesso, questa struttura si sovrappone a una divisione spaziale del lavoro all’interno della grande impresa reticolare, ove funzioni diverse sono demandate a paesi e regioni differenti: - Decisione pianificazione strategica, ricerca e sviluppo: concentrati in pochi grandi centri metropolitani. -. Funzioni produttive che richiedono personale qualificato e infrastrutture specifiche (trasporti, energia, scuole professionali): si localizzano in aree intermedie, con solide basi industriali ma costi di esercizio inferiori. -. Produzione standardizzata a basso contenuto tecnologico: necessita di manodopera abbondante, si localizza vicino alla fonti di materie prime o per imporre presenza sui mercati finali. Vediamo il modello tradizionale di organizzazione spaziale della grande impresa industriale: x PAESE (A) PAESE (B) L'impianto centrale (paese A) comprende la sede e il centro di innovazione principale, ed è destinato alla definizione di PRIN —- strategie d'impresa e allo sviluppo di tecnologie. Fra questo e gli altri si instaurano rapporti gerarchici. Il primo a beneficiare della diffusione di tecnologie è lo stabilimento localizzato ancora nel paese della sede centrale (paese 8). L'impianto PAESE SEMIPERIFERICO PAESE PERIFERICO semiperiferico utilizza un mix di tecnologie vecchie e recenti, (e) © ) O Le imprese industriali multinazionali. Le tendenze descritte (grandi imprese reticolari, gerarchiche e decentrate) non hanno determinato l'affermazione di un singolo modello industriale, ma il proliferare di strutture d’impresa differenti. Volendo però identificare una peculiarità della storia economico-industriale recente, occorre considerare l'impresa multinazionale. Da un punto di vista geografico, è un’organizzazione economica col potere di coordinare operazioni in più paesi. Ha tre caratteristiche: 1) Coordinamento e controllo di varie fasi di produzione localizzate in paesi diversi. 2) Trae vantaggio dalle differenze geografiche nella distribuzione di fattori produttivi e politiche nazionali. 3) Flessibilità: mutare e intercambiare forniture e operazioni fra le varie località geografiche. Per quanto antico (colonialismo: recupero materie prime da imprese del Nord), il fenomeno diviene evidente dai ‘60, con l’internalizzazione delle imprese statunitensi (Ford, General Motors). L'espansione oltre i confini nazionali fu resa possibile da una serie di trasformazioni storico-economiche: 1) Nuove condizioni istituzionali dello scenario mondiale: libero commercio e deregolamentazione dei movimenti dei capitali. 2) Importanti innovazioni tecnologiche: parcellizzazione del lavoro, tecnologie nei trasporti e nelle comunicazioni. Il processo di scomposizione dei cicli produttivi e le mutate condizioni descritte hanno consentito il decentramento di funzioni industriali verso il Sud del mondo, in particolare delle attività standardizzate a elevata intensità di lavoro. Dal punto di vista geografico, il fenomeno determinò cambiamenti nell’articolazione gerarchica del sistema-mondo: - Concentrazione in Asia di un nuovo cuore dell’accumulazione capitalistica (Giappone, Cina, Tigri asiatiche). - North Carolina, regione più povera degli USA, fu oggetto di decentramenti della produzione. Schematizzando le traiettorie evolutive del mondo industriale, si può affermare che dal ‘60 alla crisi petrolifera (’73) si assiste a un'eccezionale crescita della grande impresa: la divisione internazionale del lavoro come espressione dei rapporti economici fra paesi cedette il posto alla divisione tecnico-funzionale del lavoro realizzata nell’ambito delle imprese (nuova divisione internazionale del lavoro). Con gli ’80 la strategia di queste imprese muta profondamente in conseguenza alle rapide trasformazioni tecnologiche e alla crescente concorrenza internazionale. Gli investimenti in R&D e l’accorciamento della vita media dei prodotti ha indotto le imprese a ridefinire le proprie strategie relative all'ampliamento e alla differenziazione delle attività, alla penetrazione nei mercati e alla ricerca di partnership con altre imprese. In simili condizioni, alla tradizionale struttura industriale tesa a internalizzare le funzioni decentrando le attività standardizzate nel Sud, si sostituisce la tipologia dell'impresa multinazionale globale, geograficamente differenziata e incentrata sulla ricerca di alleanze e accordi. A una struttura rigida si sostituisce una notevole flessibilità organizzativa, che mette in discussione le gerarchie verticali di comando e di organizzazione della produzione. Le filiali estere non rappresentano più unità di secondo livello, bensì centri più o meno autonomi, diffusi a rete su tutti i contenuti. La presenza congiunta di alte tecnologie e produzioni standardizzate di massa implica l'adozione di logiche e strategie localizzate estremamente differenziate. Dal punto di vista geografico, la geografia delle sedi e delle affiliate straniere continua a rivelare come le strutture centrali rimangano essenzialmente radicate nei paesi a economia avanzata (inerzia localizzativa). Il panorama delle multinazionali comprende però realtà molto differenti; le maggiori imprese al mondo sono localizzate prettamente in USA, Europa e Giappone, con la progressiva ascesa di spazi prima periferici; considerando le 100 maggiori del Sud del mondo, 76 sono nel Sud Est asiatico; nessuna in Africa nord sahariana e Asia centrale. La globalizzazione dell’economia e l’articolazione dello spazio mondiale. Con l’espressione Global commodity chain la letteratura si riferisce a un insieme complesso di ramificazioni in cui una moltitudine di attività, oltre alle relazioni input-output, prendono parte al processo di circolazione del capitale: servizi, fornitori, logistica, distribuzione, lavoro, tecnologie. La ramificazione su scala planetaria di tali relazioni industriali non implica necessariamente un maggior coinvolgimento dei paesi nella costituzione del valore aggiunto, al contrario la distribuzione del profitto è altamente differenziata nello spazio, secondo logiche molto selettive. AI contempo, la struttura della catena globale è dinamica (concorrenza) e le imprese che cooperano in un certo luogo possono rappresentare competitori in un altro. Le trasformazioni nella geografia dello spazio possono essere drammatiche (chiusura stabilimenti) o concretizzarsi in relazioni di sub-contratto e sub-fornitura che travalicano i confini nazionali. Tale sistema si articola nello spazio in processi di: - Compressione: /e economie esterne determinano la formazione di concentrazioni industriali. - Dispersione: i rapporti di fornitura e subfornitura si estendono in tutto il pianeta. Il coordinamento di una filiera così ramificata è spesso organizzato da multinazionali, che strutturano filiera e processo industriale (producer-driven chain), soprattutto nel caso di beni complessi, e in cui la sede centrale presenta un elevato controllo sulle tutte le relazioni industriali (fornitura e subfornitura). | profitti dipendono dalla gestione dei processi. In caso di prodotti di consumo a elevata intensità di lavoro, il coordinamento è guidato da imprese che si limitano ad acquistare merci (buyer-driven chain). La generazione del profitto riguarda il combinare design, vendita e marketing, o la capacità di connettere produttori e consumatori finali. Infine, tutto il global commodity chain prende forma in differenti quadri istituzionali; alla luce di tutto ciò, è evidente come le relazioni tra imprese non comportino la semplice transazione di una merce, ma coinvolga una fitta rete di relazioni sociali che connette produzione e consumo. Il prezzo di un prodotto riflette il costo di una serie di fattori produttivi, ma non dice nulla delle relazioni sociali occorse alla sua produzione. Al contrario, l'acquisto di un prodotto corre il rischio di disconnettere produttore e consumatore, incoraggiando una abdicazione di responsabilità da parte del cliente nei confronti delle modalità con le quali una data merce è stata prodotta. Perché investire in Cina? Tra le ragioni della rapidissima ascesa economica cinese, cuore degli attuali processi di decentramento, vi sono: 1) Recente apertura del mercato cinese e conseguente esplosione di investimenti. 2) Basso costo del lavoro e delle materie prime, poche tutele del lavoro e dell'ambiente. 3) Alto tasso tecnologico nelle principali aree metropolitane. 4) L'enorme popolazione (1.4 mld) rappresenta un importante mercato da penetrare. 5) La popolarità degli investimenti in Cina è altissima. CAPITOLO 10: LE CITTA’, CENTRI DELL'ECONOMIA Obiettivi: - Distinguere la città municipale dalla città estesa e conoscerne le tipologie. - Conoscere il significato, il ruolo e la diversa portata delle funzioni urbane. - Distinguere ruoli e modi di distribuirsi tra le città di servizi per famiglie, collettività e imprese. - Conoscere la localizzazione delle attività quaternarie e il loro ruolo nell'economia del territorio. - Trattare criticamente il tema della creatività urbana, in relazione alle condizioni dei contesti urbani. - Conoscere come evolvono le città attraverso la crescita e le trasformazioni della base economica. - Conoscere come avviene la distribuzione degli usi del suolo nelle città e le varie forme spaziali a cui dà origine. Concetti chiave. - Sistematerritoriale urbano. - Periurbanizzazione. - Area metropolitana. - Megacittà (distinta da megalopoli). - Funzioni urbane. - Reti urbane. - Sistemi territoriali policentrici. - Città globali (megalopoli). - Servizi per famiglie, collettività, imprese. - Settore quaternario. - Città creativa. - Moltiplicatore urbano. - Modello di uso del suolo urbano. Introduzione. La geografia economica considera le città sia come /uoghi di forma e dimensioni particolari, sia come società locali, cioè attori collettivi che hanno un ruolo nei processi di concezione, produzione e distribuzione del valore. Tali aspetti interagiscono: lo spazio fisico urbano si dimensiona e si struttura per adattarsi alle esigenze dell’azione e questa sarà estesa ed efficace a seconda di come gli attori urbani hanno saputo strutturare lo spazio. Partendo dalla forma e dalle dimensioni dello spazio fisico, spiegheremo come il mercato dei suoli ne modelli le destinazioni d’uso in funzione dell’accessibilità al centro e ai nodi infrastrutturali periferici. Il suolo della città come attore economico farà riferimento alle attività che le permettono di svolgere funzioni di produzione, servizio, direzione e controllo entro ambiti territoriali, passando dalle piccole città alle metropoli globali. Analizzeremo i tipi di servizi, alle famiglie, alla collettività (infrastrutture sociali) e alle imprese. Approfondiremo il ruolo creativo delle città, che consiste nell’attrarre, elaborare, accumulare e diffondere cultura e conoscenza, mediando tra risorse /ocali e globali. Infine, vedremo il ruolo delle attività urbane nell’evoluzione quantitativa e qualitativa dei sistemi urbani. Le città: spazi fisici e attori economici. In merito a forma e lensione la città ha subito negli ultimi 2 secoli trasformazioni che l'hanno dilatata enormemente e ne hanno reso i confini meno netti. In Europa, con la rivoluzione industriale la città è dilagata nella campagna trasformandosi da città nucleare a città estesa. Ciò ha condotto le città ad essere regioni, ovvero sistemi territoriali articolati in una rete di centri vicini e legati da forti relazioni orizzontali. Oggi con città intendiamo quindi un sistema territoriale urbano (o metropolitano) esteso attorno al comune centrale che le dà il nome. Attorno alle prime città industriali si formarono agglomerati continui e compatti che col tempo si fondo tra loro, dando luogo a spazi urbanizzati più ampi detti conurbazioni. Fenomeno che continua oggi nel Sud del mondo, dove poche grandi città attraggono folle dalle campagne dando vita a megacittà di 20 min di abitanti (Shangai, Mumbai, San Paolo). Nei paesi ricchi, lo sviluppo dell’auto induce parte della popolazione a insediarsi in cinture urbane del raggio di pochi KM attorno ai vecchi centri. A tale suburbanizzazione segue negli ultimi decenni la periurbanizzazione: distribuirsi di popolazione e atti economiche e di servizio lungo le strade e attorno a villaggi e città minori, in una regione urbana (o città-regione) del raggio di alcune decine di KM attorno ai principali agglomerati. In Italia tale fenomeno prende il nome di città diffusa (Milano e Laghi; medio Veneto; Firenze, Pisa e Livorno). Il dilatarsi delle strutture urbane fino a comprendere decine di municipalità pone il problema di come governare queste città estese. In alcuni paesi si incentivano cooperazione, consorzio e coordinamento tra comuni, in altri si sono istituiti enti sovracomunali, dette aree metropolitane. Oltre ad enti amministrativi, sono regioni funzionali urbane connesse al loro interno da relazioni orizzontali particolarmente intense. - Qualità e quantità delle relazioni col resto del mondo. - Presenzadi istituzioni ad hoc capaci di rafforzare il tessuto scientifico-culturale di base. - Vivacità del milieu culturale e intellettuale locale, che dev'essere aperto, differenziato e libero. In sintesi, il milieu creativo urbano è un ambiente stimolante, sito soprattutto nelle grandi città, non sempre tranquillo né confortevole, anzi strutturalmente instabile: sede di competizione e rischi. Infine, lo spazio urbano è creativo se strutturato fisicamente in modo da favorire la mobilità fisica e conoscitiva, e se dispone di spazi adeguati per università, imprese e istituzioni. Infine, la cultura è per l'economia non solo un bene collettivo, ma una fonte di risorse intangibili, materia prima dell'industria della cultura e del turismo. La crescita delle città: il moltiplicatore urbano. L’analisi funzionale è utile per studiare la dinamica urbana, cioè come la città cresce ed evolve nel tempo. La causa principale dell’addensarsi della popolazione in certi luoghi è il concentrarsi di certe attività e funzioni che evolvono. Esiste un rapporto causale fra occupazione e popolazione. Le componenti dell’occupazione urbana sono: - Attività di base (OB): o esportatrici, rivolte a soddisfare una domanda di beni e servizi esterni alla città. - Attività locali (OC): o al servizio della città, producono beni e servizi per la domanda interna (popolazione). Quindi: - L’occupazione totale (OT) si ricava dalla somma tra occupazione nelle attività di base (OB) e occupazione nelle attività locali (OC): OT=0B+0C. - Poiché esiste un rapporto diretto tra attività e popolazione, ogni nuovo posto di lavoro produce un incremento di m abitanti, dove m comprende l'addetto al nuovo posto e le persone inattive del suo nucleo. La popolazione urbana (PT) è data quindi dal prodotto tra me OT: PT=mOT e quindi m=PT/OT - Il coefficiente m è il moltiplicatore della popolazione urbana e deriva da un moltiplicatore n dell'occupazione urbana, in quanto l'occupazione totale (OT) cresce solo se cresce l'occupazione nelle attività di base (OB): OT=n0B e quindi n=0T/O0B Infatti, le attività locali crescono quando aumenta la domanda locale, che aumenta solo se la crescita delle attività di base avrà fatto prima aumentare il n. di famiglie e imprese in città (domanda locale). Nelle varie realtà urbane, i valori dimen variano parecchio, in relazione soprattutto al tasso di attività della popolazione (rapporto fra PT e OT), al tasso di disoccupazione, alla pressione migratoria. Nelle realtà mediamente sviluppate variano tra 1,5 e 2,5. Il moltiplicatore urbano funziona in negativo nei casi di crisi in cui si riduce l'occupazione nelle attività di base. Esso descrive però solo possibili traiettorie lineari e reversibili, nella realtà storica si osservano comportamenti complessi e imprevedibili. Come gli organismi biologici, la città si evolve e modifica la sua struttura, interrompe lo sviluppo nelle fasi di crisi e riprende il cammino in una nuova direzione, correlata alla nuova struttura assunta dalla città, e così via. Le fasi di crisi: catastrofi, biforcazioni, autopoiesi. Le principali strade per formalizzare i processi evolutivi delle città sono: - Teoria delle catastrofi di Thom: /a variazione continua di una variabile, raggiunto un valore critico, può determinare mutamenti improvvisi nello stato del sistema (interpretazione deterministica) e modificarne la struttura funzionale, indirizzando lo sviluppo cittadino verso nuove direzioni. Ad esempio, l’università compare raggiunta una certa soglia di popolazione, e favorisce poi lo sviluppo locale. - Teoria dell’auto-organizzazione di Soudy: a/ crescere della dimensione urbana, si superano certe soglie che garantiscono l'efficienza di certe funzioni o tipi di attività, e quindi le condizioni della loro possibile comparsa (o scomparsa se si supera la soglia superiore di efficienza). Superata la soglia di efficienza, la città può entrare in una fase di sviluppo cumulativo o di declino. Lo scenario dipende in parte dalla capacità dei soggetti urbani di organizzarsi in modo flessibile e rispondente. Modelli come questi semplificano relazioni molto complesse, descritte dal modello dell’autopoiesi. In questo modello i sistemi sono funzionalmente aperti (scambiano materia, energia e info con l'esterno) ma operativamente chiusi, cioè non dipendenti da input esterni per trasformazioni interne al sistema (auto-organizzazione). Nei sistemi autopoietici l'input esterno funziona solo come stimolo che induce perturbazioni nello stato del sistema; questo reagisce mutando la propria struttura, ma non in base a regole generali (deterministiche): la trasformazione avviene attraverso un’interpretazione interna dello stimola e una risposta anch'essa interna, coerente coi principi organizzativi e le norme di comportamento del sistema. La risposta non dipende dallo stimolo, ma dal range di comportamenti consentiti in ogni sistema. Il sistema non si adatta all'ambiente: adatta alle proprie esigenze gli stimoli provenienti dall'ambiente, conservando autonomia e identità. Valore e uso del suolo urbano. Abbiamo visto che la rendita urbana consiste nell’appropriazione, da parte del proprietario del suolo, di un valore monetario corrispondente a vantaggi (economie esterne di urbanizzazione) di cui godrà chi intende costruire, comprare o affittare un immobile. Tale rendita, espressa in valore unitario del suolo, varia a seconda della posizione, i cui vantaggi derivano generalmente dall’accessibilità. Questa è massima nel centro dell’aggiomerazione e decresce allontanandosi da esso (funzione inversa della distanza dal centro). A fronte della forte domanda insediativa, l'offerta di spazi centrali è limitata, per cui il loro prezzo sarà elevato, e con l’allontanarsi dal centro diminuirà. Si forma così una geografica di valori del suolo e degli immobili, una geografia della rendita urbana modellata sull’accessibilità. Come si collocano i vari soggetti in questa geografia? - Le imprese saranno disposte a pagare un prezzo al m? tanto più alto quanto più alti sono i vantaggi che potrà ricavare da una posizione più centrale. Chi sfrutta tali posizioni può pagare prezzi elevati, gli altri si distribuiranno in posizioni sempre meno centrali, commisurate ai vantaggi che ne possono ricavare in termini di accessibilità e di quantità di spazio necessaria. Per alcuni tipi di impresa l'esigenza di accessibilità è minore e potranno localizzarsi più distanti dal centro (finanza alta esigenza, commercio media, industria bassa). - Nelcaso delle famiglie, il mercato non premia chi fa fruttare la centralità, come nel caso delle imprese, ma chi ha più soldi da destinare all'abitazione. Il soggetto residenziale persegue due obiettivi che di norma si limitano a vicenda: vicinanza al centro e dimensioni dell'abitazione. Dovrà decidere se acquistare una casa grande in periferia (costo al m? minore) o limitare la pendolarità, ma ridurre lo spazio abitativo. Un modello concentrico del valore e dell’uso del suolo mostra il funzionamento del mercato del suolo urbano, ma rimane lontano dalla reale geografia del suolo. Serve abbandonare l’isotropia e considerare realisticamente come l'accessibilità aumenti lungo le maggiori arterie che si irradiano dal centro: il cerchio si trasforma in qualcosa di simile ad una stella, con tante punte quanti sono gli assi di grande comunicazione, lungo i quali si formano settori radiali con determinate specializzazioni funzionali. Si tratta del modello per settori ra di Hoyt, riscontrabile oggi in forme ancor più evolute e complesse. Lo spazio urbano non è infatti omogeneo; natura e storia hanno introdotto differenze significative con effetti sul prezzo del suolo. Ci sono aree favorite da caratteri ambientali o storico-architettonici, e aree di degrado, inquinamento, segregazione razziale. Tali condizioni ecologiche incidono sul valore del suolo. L’area urbana può infine presentare una struttura policentrica dovuta alla progressiva espansione, prima suburbana poi periurbana. Nella sua crescita ingloba centri preesistenti, in prossimità dei quali si avranno innalzamenti nelle curve di rendita. Negli spazi ancora più esterni (periurbani) si formano altri subcentri simili, soprattutto attorno ai grandi nodi infrastrutturali. Su queste basi, Harris e Ullman propongono un modello di uso del suolo urbano che combina cerchi concentrici, settori radiali e nuclei periferici, in cui il CBD (Central Business District) si localizza sempre al centro.
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