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G. DORFLES Ultime tendenze d'arte oggi. Dall'informale al neo-oggettuale, Appunti di Storia dell'arte contemporanea

capitoli: 6 arte neoconcreta, cinetica e programmata, op art; 8 la pop art; 10 minimal art e strutture primarie; 11 arte concettuale; 12 arte ecologica.

Tipologia: Appunti

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Scarica G. DORFLES Ultime tendenze d'arte oggi. Dall'informale al neo-oggettuale e più Appunti in PDF di Storia dell'arte contemporanea solo su Docsity! 3. Arte neocontreta, cinetica e programmata, Op Art Se la prima opera “concreta” si debba considerare l’acquerello dipinto nel 1910 da Kandinsky è probabile che questo dipinto presenti ancora evidenti tracce di figuralità. Il conflitto tra concretismo (o astrazione geometrica) e astrattismo non geometrico doveva esplodere con tutta la sua violenza soltanto negli anni cinquanta. Infatti nel periodo tra le due guerre il “fronte astratto” aveva ogni interesse a mantenersi compatto contro lo strapotere della pittura figurativa; e infatti una sorta di fratellanza di tutti gli artisti “non figurativi” era ancora evidente: ciò che allora contava era il fatto di dar vita a delle opere che non fossero naturalistiche e non avessero riferimento con la realtà del mondo esterno. In un secondo tempo invece la scissione si fece netta e drammatica. D’altro canto oggi si tende a dimenticare l’importanza dei movimenti concretisti del periodo tra le due guerre e immediatamente successivi alla seconda guerra. In quest’epoca infatti trionfavano in Europa e al di là dell’Atlantico gli epigoni (discepolo, successore) del cubismo, del futurismo e del surrealismo e gli artisti concretisti rappresentavano forse gli unici che si fossero resi conto dell’importanza di tendere ad un genere di creazione artistica svincolata da quelle sintassi già in via di cristallizzarsi e di trasformarsi in manierismi frigidi e sterili. Si deve proprio alle correnti concretiste se un deciso rinnovamento della pittura e della scultura poté effettuarsi. Né si dimentichi che in molti artisti di questa tendenza esisteva ancora una precisa volontà di collaborazione con gli architetti e la fede che l’avvenire prossimo delle arti visuali dovesse consistere in un’integrazione di pittura concreta, scultura e architettura. Il movimento MAC Nel 1948, a Milano, si costituisce il ”movimento per l’arte concreta” (MAC) (fondato da Atanasio Soldati, Bruno Munari, Gianni Monnet e Gillo Dorfles) che stava a denotare una ricerca di purezza formale e di nuovo internazionalismo estetico. In Italia il movimento ebbe solo una breve fioritura dopo aver raccolto le adesioni di un folto gruppo milanese, fiorentino, romano e alcuni artisti torinesi e napoletani, proprio per il suo ampliarsi numerico a scapito di una selezione qualitativa. Analogamente in Argentina nasce il gruppo Buena Vision, in Francia il gruppo di Denise René, groupe espace. La mostra dell’arte concreta del 1960 Già attorno al 1950 apparve evidente che il concretismo come tale era in crisi. I suoi esponenti più interessanti come Fontana, Poliakoff, Pasmore, Dorazio, Munari, ecc., erano passati ad altre esperienze o si erano liberati dal suo eccessivo rigorismo. Eppure, mentre venivano prendendo sempre più vigore i movimenti informali, è interessante notare come facessero nuovamente capolino delle formazioni “neoconcretiste”, e che, attorno al 1958-60, perseguivano degli scopi e delle mete analoghe a quelle del precedente decennio. Questi tentativi trovarono un punto d’appoggio e una possibilità di manifestazione programmatica e sapientemente organizzata in una grande mostra apertasi a Zurigo nel 1960 sotto lo svizzero Max Bill, il quale tentò di restituire un valore al movimento attraverso un duplice meccanismo: quello di “storicizzare” la mostra facendole percorrere alcune tappe a partire dall’acquerello di Kandisky del 1910, attraverso le prime opere astratte (concrete) di Frank Kupka (1911) e di Itten, fino a quelle futuriste più decisamente concrete di Balla, Delaunay, Arp,del gruppo neoplasticista, a quelle di continuatori di Bauhaus sino alle ultime leve. Per dare inoltre maggior peso all’impostazione metodologica e teoretica il catalogo della mostra riportava il “manifesto dell’arte concreta” di Van Desburg del 1930 e tentava di far rientrare nel concretismo alcune personalità che solo parzialmente avevano diritto di cittadinanza. Doraziono e Pasmore Bisogna ricordare l’opera di due artisti che hanno avuto la loro stagione più rigorosa attorno agli anni sessanta, essendo partiti da ricerche inizialmente assai diverse, l’inglese Victor Pasmore e l’italiano Piero Dorazio. Pasmore ha preso parecchi elementi stilistici dal più anziano suo conterraneo Ben Nicholson, ma se ne è differenziato per un abbandono netto dell’elemento paesaggistico e in genere figurativo, e per uno sconfinamento, spesso totale, nell’area tersa e distillata del costruttivismo geometrico, contrastante, in parte, con la sua natura essenzialmente lirica e romantica. Dorazio, partito da un’impostazione concreta e dopo alcuni esperimenti plastici in rilievi lignei, adottò per lunghi anni un suo peculiare universo pittorico basato sopra la costruzione di “textures” variegate e di raffinatissima fattura, dove il gioco della luce e il rigore compositivo raggiungevano effetti di sorprendente intensità. Dopo molto tempo negli USA la sua opera si è modificata verso un genere di stesure più intense e marcate e ha abbandonato la ricerca tissulare per una più libera e più composita creazione cromatica. Op art e neoconcretismo Un’altra importante corrente sviluppatasi in quegli anni che fu battezzata, negli USA, “op art”- quasi a contrapporla all’allora fiorente pop art. “Stringenz”, “Kalt Kunst”, “Gruppo N”, “Gruppo T” E’ del periodo attorno alla metà degli anni Sessanta una netta ripresa d’un genere di pittura che mirava contrapporsi nettamente tanto ai giochi informali e tachisti come a quelli della pop art mediante una più mediata ricerca dei valori essenziali della percezione visiva. Alcuni gruppi come quelli tedeschi della Stringenz e del Gruppo Zero, quello svizzero della Kalt Kunst, quello italiano Gruppo N, e Gruppo T, quello jugoslavo delle Nove tendencije, hanno riproposto degli esperimenti che non si distaccano granché da quelli dei concretisti precedenti. La rigidità compositiva , la ricerca di colori esclusivamente timbrici, hanno lasciato il posto a quelle che potremmo chiamare ricerche di “gradienti strutturali” (texture gradient), ossia il tentativo di riuscire ad ottenere, attraverso trame strutturali diverse , degli effetti che sono di carattere piuttosto psicologico che estetico. La pittura “monocroma” Il fatto di valersi d’una pittura monocroma non costituisce che uno degli aspetti di quest’arte; in realtà si tratta di una corrente indirizzata in netta opposizione al tachismo dilagante, e che raggruppa personalità asssai distinte tra loro. I nomi più importanti erano quelli di Fontana, Rothko, espressione, quale fu coniata da Leslie Fiedler per indicare le espressioni della cultura di massa del “mid-cult”: fumetti, cartoons, e altri prodotti dei mass-media. Si sogliono indicare Robert Rauschenberg e Jasper Johns come i veri iniziatori della pop art, anche se in molti li considerano i continuatori dell’ action painting. In realtà i rappresentanti più tipici e “puri” del pop dovrebbero essere considerati gli Oldenburg, i Wesselman, i Rosenquist, gli Indiana , i Kienholz, e i Lichtenstein; e questo perché Rauschenberg e Johns sono legati alla “bella pittura” o quanto meno a dei valori pittorici e plastici, cioè pur immettendo nelle loro opere oggetti e frammenti eterocliti ed eterogenei (bottigliette di coca-cola, bandiere, lattine di birra fotografie, animali impagliati, ecc..)questi due artisti avevano conservato una sensibilità plastica e cromatica. Quello che costituisce il carattere dominante dell’arte pop è il fatto di avere, per la prima volta “riscattato” l’oggetto di consumo, sia nel senso d’una sua assunzione entro il dipinto, il ”combine painting”, l’assemblaggio, sia nell’averne fatto il protagonista dell’immagine pittorica o plastica. Tale riscatto non va inteso come glorificazione surrealista o cubista dell’oggetto, ma deve essere inteso come una demistificazione e, spesso, un’ironizzazione della civiltà consumistica. Il peso assunto dalle sollecitazioni della pubblicità luminosa -del night scape- delle nostre metropoli, il peso sempre più massiccio delle pubblicità, dei supermarket, dei juke-box; di tutti i differenti gadgets che affollano la civiltà dei consumi erano, coscientemente e inconsapevolmente, sottolineati nell’opera di quasi tutti i pop. Basta pensare alle pseudo-sculture di Oldenburg: al suo tubo di dentifricio gigante; alla sua macchina da scrivere “morbida”; ai diversi elementi meccanici o naturalistici, riprodotti in materiali plastici, e grossolanamente “imitati” secondo una tecnica abilissima e deformante; e si pensi alle opere di Jim Dine riproducenti una parte della vita di molte situazioni comuni dell’ambiente americano, con la ricostruzione o il trasferimento di peso di oggetti d’uso comune, entro l’ambito di una parete di galleria o di un museo. Lo stesso vale per le serigrafie di Leichtenstein tratte dai più noti comics americani; dove l’ingrandimento, l’isolamento , la riproduzione manuale di alcuni particolari più significativi del fumetto, dava a questi ultimi un valore semantico prima non riconosciuto e- proprio per la loro decontestualizzazione e per l’ambiguità della loro “magnificazione”- li elevava al rango di opere d’arte di élite, sottraendoli al limbo della loro condizione di “arte di massa”. Non è possibile tener conto che dei maggior rappresentanti di questa tendenza , anche perché dopo la grande mostra degli assemblage e dopo la mostra del padiglione americano di Venezia, il movimento assunse ben presto una dimensione mondiale, diffondendosi in quasi tutte le nazioni dell’occidente Un caso a parte è costituito dall’inglese Joe Tilson (uno dei pochissimi ad avere sottolineato l’aspetto “sanamente” artigianale del pop) che ha dato vita a numerose opere aventi un chiaro riferimento a momenti della vita quotidiana o ad antichi simboli ma senza smarrire la loro efficacia plastica e pittorica; e dall’altro l’inglese Richard Hamilton- uno dei più intelligenti utilizzatori del riporto fotografico- che ha immesso la sua vena beffarda e duchampiana nell’esecuzione di acute composizioni pop. Rauschemberg L’artista americano ha avvertito l’urgenza di far vivere una tranche de vie fissandola nei suoi dipinti; e di farla vivere in una precisa situazione esistenziale, esposta com’è allo sgretolamento dell’esistenza, al rapido dilapidamento dovuto al tempo. Quest’opera di fissazione, che isola e immobilizza alcuni elementi prescelti a “durare”, è alla base di quasi tutte le sue creazioni e questo significa: isolare una situazione oggettuale, cristallizzarla,e dare a chi osserva la possibilità di partecipare alla vicenda d’un “evento lucido”, d’una creazione che è anche gioco, d’una contemplazione che è anche un messaggio. In molti dei combine paintings di Rauschenberg c’è il rispetto delle grandi regole compositive, c’è la ricerca di una strutturazione cromatica e plastica , c’è una robusta visualizzazione dell’elemento spaziale: un copertone di gomma nera che scandisce una tela; una cravatta che ondeggia, una catenella appesa a un cucchiaio rende evanescente il Tronphy II; un quadro di latta lucente si contrappone al bituminoso sgocciolio nel k.24768; un pezzo di pesante lamiera accresce il tenebroso alone di Forge solcato da cravatte e pennellate nere; o l’emblema di legno cruciforme e sarcastico cui sovrasta un disco arrugginito: cupa decorazione del Diplomat. Ma c’è soprattutto il riscatto dell’elemento consumato, la continua ricerca d’arrestare il transeunte, il disprezzo del mero edonismo pittorico, del grazioso e del piacevole che anticipa certe posizioni assunte in seguito dai seguaci dell’Arte Povera. Altrettante doti plastico-pittoriche troviamo nell’altro “grande” Jasper Johns, specie nel suo Target, nelle sue “bandiere”, nelle sue “carte geografiche”, che anticipano alcune delle posizioni assunte da certa arte concettuale. Warhol Partito da esperienze ancora informali, e dopo un breve periodo dedicato ai dipinti veri e propri (la serie dei “fiori”), Andy Warhol è stato l’autore di un vasto gruppo di opere in cui l’elemento di riporto fotografico è stato utilizzato secondo una successiva stesura serigrafica, per costruire delle ampie composizioni in cui dominava sempre l’interazione compulsiva dell’immagine. Sono celebri le sue serigrafie basate del volto di Marilyn Monroe, sull’incidente automobilistico, sull’impiccagione, sull’incendio. Tutte opere in cui la violenza delle scene ritratte, e il loro esaltarsi attraverso l’interazione e la serializzazione dell’immagine, denunciano una situazione di disagio esistenziale e di denuncia della società americana contemporanea. Ma quello che ha dato maggior peso alla sua opera è stata la creazione di numerosi film underground (Chelsea Girls, Trash, The Naked Lunch,ecc.) che dovevano costituire i prototipi di un nuovo modo di filmare divenuto poi comune negli anni Sessanta e seguito da diversi altri artisti underground americano ed europeo (Brakhage, Markopoulos, Maciunas, e in Italia Schifano, Pistoletto, Nespolo). Il pop italiano L’esplosione pop in Italia fu localizzata quasi esclusivamente a Roma, dove oltretutto erano state più vivaci le precedenti esperienze della nuova figurazione anche perché in quegli anni erano più stretti i legami culturali tra la capitale italiana e quella americana; e per la presenza di Cy Twombly (artista molto legato ai pop newyorkesi). Degli artisti romani si può ricordare innanzitutto Pascali, une delle figure più rappresentative di quegli anni che in alcune sue fantasiose composizioni (come il “mare”, gli spazzoloni, le giraffe e altri animali costruiti con sagome di tela e ritagliati secondo un’assurda anatomia) e in molte altre sperimentazioni figurali, e grottesche, aveva creato un genere del tutto personale della pop art. un altro artista la cui influenza è stata decisiva in questo settore, è stato il greco romanizzato Kounellis; e ancora le opere di Mario Schifano, di Marotta, di Giosetta Fioroni, di Fabio Mauri, di Franco Angeli (la serie del “dollaro”, della svastica e di altre figurazioni emblematiche), di Tano Festa (che, a differenza di suo fratello Lo Savio precursore del “minimalismo”, si dedicò ad una ionizzazione dell’atmosfera neoclassicheggiante); di Renato Mambor e Claudio Cintoli; di Sergio Lombardi; di Aldo Mondino; di Elio Marchegiani e Renato Volpini. Il Nouveau Réalisme Nello stesso periodo sorge in Francia, come una breve appendice della pop art, il Nouveau Réalisme detto anche “novorealismo” di cui fu assertore e profeta Pierre Restany. Si tratta di un gruppo di artisti che, secondo modi diversi ma non opposti a quelli statunitensi, riaffermarono l’importanza d’una figuralità spesso basata sul riporto fotografico (in seguito la corrente sfociò nella cosiddetta”mec-art” ossia arte meccanica) e sull’utilizzazione di elementi oggettuali simili a quelli del pop americano; tra questi artisti ricordiamo: Arman e Raysse, Niki de St. Phalle, gli italiani Bertini (dopo l’adesione al MAC milanese e il suo periodo informale, fu il portabandiera della mec-art) e Mimmo Rotella (uno dei più singolari e caustici “collagisti”, anzi de-collagisti [in quanto spesso le sue opere erano basate sull’utilizzazione di manifesti strappati e variamente assemblati]);i francesi Villeglée e Dufrene (pur essi utilizzatori di manifesti strappati) e altri artisti come Tinguely, Spoerri e Yves Klein (solo parzialmente aderenti al movimento). Per quanto riguarda la mec-art e i suoi riflessi italiani bisogna ricordare alcuni artisti che si sono valsi soprattutto del riporto fotografico come Mariani, Tagliaferro e Di Bello. Minimal art e strutture primarie La logica confluenza da un lato del concretismo e dello strutturalismo, dall’altro del rifiuto dell’edonismo pop, si può rinvenire in quella corrente che prese il nome di minimal art che trionfò soprattutto attorno alla metà degli anni Sessanta. Le sue caratteristiche sono riassumibili in una precisa volontà di “understatement estetico”; ossia di “riduzione al minimo” della ricerca di decorativismo, di piacevolezza, di complicazione formale. Si tratta quasi sempre di forme elementari, geometriche, squadrate, costruite con materiali semplici e spesso rozzi e non sofisticati (acciaio, ferro, alluminio, plexiglass, legno, ecc.) e di dimensioni il più delle volte grandi o grandissime. Anzi la grandezza delle loro stesure alle volte vale da sola a conferirgli una potenza e un’importanza che altrimenti non potrebbero raggiungere ( Judd, Serra, Morris, LeWitt,ecc.). Spesso quindi si tratta di elementari moduli geometrici, sia isolati che ripetuti e moltiplicati, destinati a creare una scansione spaziale, attraverso il loro contrappuntarsi con l’ambiente, interno o esterno, che li ospita; e spesso interessati anche ad altri parametri oltre a quelli della mera visualità, come quelli del peso, della composizione chimica, della dimensione, ecc. Tra i maggiori esponenti di questa corrente ricordiamo Donald Judd (con le sue imponenti strutture seriali), Carl Andre (che ideò tra l’altro delle sagome da pavimento: pesanti lastre di rozza lamiera percorribili), Robert Morris (che oltre al metallo si è servito del legno e delle materie plastiche), Tony Smith (nel 1970 il MoMA ordinò una sua grande mostra) e che si distingue per la sobrietà e la purezza delle sue costruzioni. operazioni inesistenti o la cui esistenza rimane sine materia ed è esclusivamente legata al fatto di essere stata “attivata” dall’artista e come tale resa pregnante e significativa. Se questo si può considerare il punto di partenza del concettualismo “puro” o “freddo” occorre osservare che già in precedenza diversi artisti avevano dato prova di un nuovo atteggiamento di ribellione verso l’arte tradizionalmente intesa, che consisteva nel presentare non tanto le opere quanto informazioni, progetti, diagrammi, sviluppi nel temp; operazioni sulla natura; in una parola modi-di-essere-nel- mondo, piuttosto che risultatiti definitivi e immutabili. Quando Richard Serra, ad esempio, presentava un frammento di piombo fuso, spiaccicato direttamente sul suolo (“splashing”) o Robert Morris lasciava pendere o suoi feltri per forza di gravità, o quando Carl Andre presentava i suoi “pavimenti” percorribili o Calzolari le sue concrezioni di stagnola e di legni amorfi; quando Kounellis esibiva elementi presi di peso dalla natura “vivente” (il pappagallo, i cavalli, posti in una galleria romana) o Zorio e le sue reazioni chimiche, le sue impronte stampate sulla pelle; Anselmo i suoi cubi sbilanciati; Merz i suoi igloo, i suoi grafiti sul muro, Pistoletto le sue palle di carta straccia, le sue candeline accese; ecc, ecc.. si trattava pur sempre di una presa di coscienza di una situazione sviluppata nel tempo, modificata da eventi , ma non della creazione o della “scoperta” di oggetti definibili e assaporabili esteticamente come tali. Non tutte le ricerche concettuali si esaurivano nell’elencazione di dati, nella messa a punto di diagrammi, nell’esibizione di formule logiche o matematiche, o di pagine di dizionari fotocopiate. C’era chi ad esempio andava alla ricerca di indagini più sottili e costruttive (Dan Graham) riusciva a polarizzare l’attenzione del pubblico sopra un’azione di percezione del flusso temporale; c’è chi preferisce agire direttamente attraverso il medium del proprio corpo, come i diversi appartenenti alla cosiddetta body art. molti artisti hanno rivolto la loro attenzione a problemi spazio-temporali indagati con metodi nuovi e ancora inediti. Sulla scia di questi “ricercatori” si sono mossi altri americani e europei, chi ponendo l’accento sulla realizzazione “epigrafica” di alcune massime più o meno lapidarie e spesso fine a se stesse, chi esaltando il valore logico-matematico delle proprie operazioni, chi sottolineando alcuni aspetti ironici e parodistici, chi sconfinando nel settore della poesia visiva. A questo proposito non si dimentichi la nota querelle tra poeti visivo-concreti e concettualisti “puri”: mentre nei poeti visuali si è di solito mirato ad ottenere un risultato “estetico” di piacevolezza visiva, nei concettuali “puri” il più delle volte in tali ricerche basate sul linguaggio scritto o stampato, l’aspetto estetico è di solito trascurato, o addirittura esplicitamente evitato. Per quanto poi concerne la poesia visiva può essere distinta in tre principali tronconi: • “poesia concreta”che giunge alle compatte schiere di concretisti “classici”; • “poesia tecnologica” per i suoi agganci con l’elemento appunto tecnologico e pop per poi confluire nel grande raggruppamento della poesia visiva vera e propria • Con partenza più rigorosamente concretista , ma con agganci duchampiani, entro cui si possono includere alcuni artisti come Ugo Carrega, Mirella Bentivoglio, Emilio Isgrò (quest’ultimo certamente il più efficace realizzatore d’un trait-d’union tra poesia visiva e concettualismo, specie con i suoi “cancellati”). Beuys Joseph Beuys è forse il più significativo rappresentante del concettualismo europeo. La sua opera è nota e apprezzata anche per i lavori appartenenti al periodo oggettuale, nonché per i suoi happening, quasi sempre impostati sopra una “Selbstdarstellung” (mettersi in mostra); ma la sua fama si è ampliata e la sua figura si è imposta con il suo lento procedere in un cammino più prossimo a quello della body-art, e dell’art-language. La stessa personalità fisica dell’artista (alto, scarno, dai penetranti e un po’ allucinanti occhi azzurri, indossante spesso una sorta di giubbotto di fustagno con in testa l’immancabile cappellaccio marrone) fa parte dell’opera (o della messa in scena). Beuys si vale molto abilmente del suo corpo con azioni pubbliche dove il suo gestire, il suo chinarsi, il suo partecipare con comportamenti vari all’azione, aiuta la comprensione dello spettatore. Ma l’aspetto più singolare dell’operazione consiste nella deliberata missione “predicatoria”. Beuys agisce come un sacerdote laico che, con le sue parole mira a persuadere il suo uditorio di alcuni principi etico-estetici e politico-spirituali, senz’altro interessanti e nuovi, ma pervasi da una carica di sincera e profonda convinzione. Beuys ha scelto questo metodo diretto per lottare contro la mercificazione dell’arte e contro un’impostazione o eccessivamente marxista o eccessivamente capitalistica della stessa, attraverso la difesa dei valori “spirituali” e valendosi di un’indiscutibile qualità teatrale e esibizionista. Possiamo ricordare alcuni artisti la cui opera evade dal concettualismo freddo per accostarsi maggiormente alla body art; molti tra questi basano le loro operazioni su atteggiamenti e azioni in cui sono essi stessi i protagonisti o i deuteragonisti e il più delle volte rivelano una spiccata componente auto-erotica, narcisistica, masochistica, che dà alle loro operazioni una tinta surrealisteggiante e “letteraria” molto lontana dall’atmosfera del concettualismo freddo. Così come per Hermann Nitsch, il creatore dell’Origen und Mystherien Theater, dove gli spettatori s’imbrattano il corpo con interiora sanguinanti strappate ad animali (soprattutto agnelli) uccisi in una messa nera alla Gilles de Rais; così come le operazioni castratorie (non in senso metaforico, ma addirittura “fino alla morte” come nel caso di Schwarzkogler), o masturbatorie (come quelle di Vito Acconci); ecc.. Che tali creazioni possono essere incluse piuttosto nell’ambito di certo teatro underground o di quello di certa letteratura “nera” non avrebbe importanza se troppo spesso le stesse non fossero manifestazioni di ingenui rituali basati su deviazioni libidiche ormai superate capaci di trovare credito soprattutto in seguito alla loro abile publicizzazione da parte del mercato artistico. Un discorso a parte meritano alcuni artisti sudamericani, in prevalenza argentini, che costituirono il gruppo cosiddetto “arte de sistemas” i quali il più delle volte operarono contro l’oppressione dei regimi militari sudamericani, contro le ingiustizie sociali, valendosi di schemi, statistiche, grafici esplicativi , nonché di azioni sul terreno, di proiezioni topografiche ed ecologiche in parte memori dell’arte povera in parte simili alle azioni della land art. molto vicini a questi esperimenti sono anche quelli del gruppo OHO di Lubiana, e di altri gruppi belgradesi e artisti isolati come (Zoran Popovic; Marina Abramovic, Radomir Damnjanovic, damnjan) ecc., tutti più o meno agenti nel senso della land art, della body art e dell’arte povera, ma spesso con sviluppi autonomi di notevole interesse. In un momento di corsa feticista verso l’oggetto e verso l’acquisto forsennato di “merci”economicamente pregiate, l’arte concettuale, insieme all’arte povera , alla land arte alla body art, ha indubbiamente avuto un effetto fustigatrice del costume , e anche di irrisione più o meno consapevole verso la tendenza accaparratrice di certo collezionismo internazionale basato su posizioni essenzialmente snobistiche. Non solo, ma mettendo in evidenza l’aspetto teoretico, noetico, mentale versus quello fattuale, tattile, edonistico della pop, e dell’arte cinetica e programmata, queste tendenze hanno rivalutato la funzione gnoseologica così spesso calpestata e rifiutata dell’arte visuale. L’avvento dell’arte concettuale agli inizi degli anni Sessanta, e il suo declino, sta a denotare un momento di crisi, ma anche di effervescenza e di ribollimento, in cui si è venuta a trovare la creazione artistica in questo preciso periodo. L’inflazione degli oggetti doveva necessariamente portare ad una fase an-oggettualizzante (e addirittura an-estetizzante); una fase di rifiuto del piacevole, dell’edonistico, del ludico, per qualcosa di più percettivo, anzi ideativo. Il che conduceva a una serie di manifestazioni anti-oggettuali dove prevaleva l’idea sulla realizzazione della stessa; il progetto, sull’oggetto, il concetto espresso nella sua forma linguisticamente più scarna. Arte ecologica (land art e earth art) La particolarità della land art è stata quella di un intervento sulla natura e nella natura, non a scopo edonistico e ornamentale, ma per quello che potremmo definire una presa di coscienza dell’intervento dell’uomo su elementi che presentano un ordine naturale e che, da tale intervento, sono sconvolti e incrinati. Tracciare un solco sopra un fiume ghiacciato; scavare una fossa nel terreno e riempirla di altra terra presa altrove, non porta ad un risultato “estetico”, ma ad un risultato quasi esclusivamente intellettuale, di consapevolezza d’un telos raggiunto. Il più delle volte queste opere rimangono affidate esclusivamente alla ripresa fotografica o cinematografica delle stesse o alla loro descrizione e catalogazione attraverso tracciati, carte topografiche, parole scritte, e in tal modo vengono a perdere buona parte della loro efficacia; non solo, ma si traducono in una nuova mercificazione di opere che avrebbero in partenza voluto evitarla a tutti i costi. Quando ad esempio (nel caso di Richard Long) si giunge al punto di concepire addirittura l’operazione solo per la sua riproduzione fotografica, è facile comprendere che la mercificazione di tali reperti fotografici è totale; giacché ben poco non solo di “artistico”, ma anche della primitiva volontà creativa sarà conservato in una fotografia riprodotta in 500 copie venute ad alto prezzo per il solo fatto di essere dichiarate “opera artistica”. Bisogna riconoscere che le azioni compiute oggi da questi artisti sono d’un genere del tutto diverso da quelli del passato; e questo per due ragioni essenziali: • perché mai prima d’oggi l’uomo si era trovato di fronte a una situazione di “snaturalizzazione” totale come ai nostri giorni : la civiltà tecnologica ha per la prima volta distrutto e sconvolto il normale rapporto unomo-natura, ed era logico che qualche artista ne avvertisse il disagio e il pericolo; • e perché dopo l’eccesso oggettualizzante della pop e dell’op, l’artista avvertiva il bisogno di far ritorno ad un oggetto naturale o quanto meno ricavato direttamente dall’ambito naturale.
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