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G. Sabbatucci, V. Vidotto, Il mondo contemporaneo. Dal 1848 a oggi, - Dalla Seconda Internazionale alla fine della Prima Guerra Mondiale, Schemi e mappe concettuali di Storia Contemporanea

Riassunto dai partiti socialisti alla fine della Prima Guerra Mondiale

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2017/2018

Caricato il 19/12/2018

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Scarica G. Sabbatucci, V. Vidotto, Il mondo contemporaneo. Dal 1848 a oggi, - Dalla Seconda Internazionale alla fine della Prima Guerra Mondiale e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! I Partiti Socialisti e La Seconda Internazionale (1889 – 1916) In tutti i Paesi europei sorsero partiti socialisti che volevano organizzarsi sul piano nazionale, e furono proprio loro a proporre la formula del partito di massa che si affermò nelle democrazie europee. Il primo e più importante di questi partiti fu quello socialdemocratico tedesco, nato nel 1875, sulle orme della dottrina marxista. L'affermazione della dottrina marxista e del modello organizzativo socialdemocratico si rivelarono più difficili in quei paesi in cui il movimento operaio aveva una più antica tradizione. Tra di questi, la Francia nella quale, dopo varie lotte interne, si affermò la Sezione Francese dell'Internazionale Operaia nel 1905. In Gran Bretagna, i dirigenti delle Trade Unions decisero di creare un fronte politico che fosse espressione del movimento operaio. Nacque così, nel 1906 il Partito Laburista che si fondava sull'adesione collettiva ai sindacati ed era privo di un'ideologia radicalmente definita. Tutti si proponevano il superamento del capitalismo e la gestione sociale dell'economia, ispirandosi ad ideali internazionalisti e pacifisti. Tutti cercarono di crearsi una base di massa tra i lavoratori per coinvolgerli attivamente nella lotta politica e tutti facevano capo ad un'organizzazione socialista internazionale, erede della Prima Internazionale. La nascita della Seconda Internazionale si fa risalire al 1889, quando numerosi rappresentanti di tutti i partiti socialisti europei si riunirono a Parigi e approvarono le linee guida della nuova organizzazione, tra le quali la riduzione della giornata lavorativa ad 8 ore e l'istituzione del 1 maggio come giornata internazionale dei lavoratori. La ricostruzione dell'Internazionale fu sancita al Congresso di Bruxelles del 1891, dove vennero formalmente esclusi gli anarchici e coloro che si rifiutarono di partecipare alla lotta politica. La Seconda Internazionale fu una federazione di partiti autonomi e sovrani, a differenza della Prima. Essa adottò il marxismo come dottrina ufficiale. Ben presto all'interno dei vari congressi si formarono due schieramenti opposti: da una parte la tendenza a prendere atto dei mutamenti della società, valorizzandone l'aspetto democratico e riformistico. Dall'altra, il tentativo di recuperare l'impostazione rivoluzionaria del marxismo. Portavoce della prima corrente, il tedesco Bernstein, che elencò una serie di fatti che erano andati contrariamente alle previsioni di Marx: – il proletariato non si impoveriva, ma migliorava lentamente le sue condizioni – il capitalismo aveva la capacità di evolversi e superare la crisi – lo Stato borghese diventava Stato democratico In questa situazione la classe operaia doveva collaborare con le forze progressiste e tutto ciò sarebbe sfociato in una graduale trasformazione in società socialista, anche grazie al lavoro delle organizzazioni sindacali. Le tesi di Bernstein, definite revisioniste, furono respinte da tutti i sostenitori del marxismo classico. Negli stessi anni in cui si dibatteva sulle tesi revisioniste, nascevano movimenti di estrema sinistra, che contribuirono allo sviluppo della socialdemocrazia russa, il cui leader, Lenin, ebbe un ruolo fondamentale nello sviluppo della società sovietica. Egli contrapponeva alla socialdemocrazia tedesca un partito nuovo, votato alla lotta che formasse “rivoluzionari di professione”. Il partito di Lenin, costretto in clandestinità nell'autocrazia russa, ricevette molti consensi al Congresso di Londra del 1903 dove si spaccò in due correnti: bolscevichi e menscevichi, i primi in maggioranza, guidati da Lenin. In Francia intanto, un ampio dibattito detto sindacalismo rivoluzionario, prendeva piede: contrariamente a quanto accadeva negli altri Paesi della Seconda Internazionale, in Francia il movimento sindacale si muoveva su una linea anarchico-rivoluzionaria. I sindacati si impegnavano cioè a dare inizio alla lotta operaia contro la società borghese. Il sindacalismo rivoluzionario non riuscì a piantare però solide radici nei partiti socialisti, al di fuori di quelli francesi. I cattolici e la “Rerum Novarum” La Chiesa, oltre a condannare ogni mutamento sociale avvenuto all'epoca, dalla società borghese ai socialisti, cercò di adeguarsi per andare in aiuto ai cattolici del “nuovo mondo”. Sul piano delle pratiche religiose, ciò che prima veniva dato dalle società rurali alla collettività (santi patroni ecc) venne sostituito con un rapporto più individuale e meglio controllato dalla gerarchia ecclesiastica, come ad esempio la Madonna di Lourdes o il Sacro Cuore di Gesù. Sul piano sociale, la Chiesa fu una delle poche istituzioni che riuscì a tenere uniti i lavoratori cattolici, tramite parrocchie e movimenti di azione cattolica. L'impegno dei cattolici si era manifestato già dal pontificato di Pio IX, ma ebbe una spinta decisiva durante quello di Leone XIII (1878 – 1903), che favorì il riavvicinamento tra classi dirigenti e cattolici. Incoraggiò inoltre la nascita di nuovi partiti in Belgio (nel 1884) e in Austria (nel 1887). Il documento più rilevante, simbolo di questo sforzo, fu l'enciclica Rerum Novarum emanata da Leone XIII nel 1891. L'enciclica ribadiva la condanna del socialismo, ma indicava, per raggiungere la concordia tra classi, il rispetto delle gerarchie sociali e chiedeva agli imprenditori, che retribuissero giustamente la laboriosità degli operai. Ma la parte più innovativa dell'enciclica era l'associazione tra lavoratori, che doveva compiersi attraverso la fondazione di società artigiane e operaie ispirate da principi cristiani. In questi anni in Italia e Francia venne emergendo una nuova corrente politica definita democrazia cristiana, che mirava a conciliare la fede cattolica con la prassi e gli istituti della democrazia. La nascita di questi movimenti portò ad una nuova corrente religiosa, il modernismo, che si incaricava di interpretare la dottrina cattolica in chiave moderna. Sia la democrazia cristiana che il modernismo ebbero pochi anni di tolleranza: nel 1903, con il pontificato di Pio X, le correnti innovative non furono accettate, le democrazie-cristiane furono richiamate all'ordine e il modernismo fu colpito da scomunica nel 1907. Il Nuovo Nazionalismo Tra il 1815 ed il 1870 il nazionalismo aveva ispirato movimenti di liberazione in tutta Europa. Esso si era collegato alla sovranità popolare e ai concetti di liberalismo e democrazia. Ma, con l'avvento dell'unione tedesca “con il ferro e con il sangue”, dell'imperialismo coloniale e del socialismo, il nazionalismo si era spostato a destra e veniva spesso inteso come un concetto razzista con la distinzione di razze superiori e inferiori. Con le teoria eugenetica e il Saggio sull'Ineguaglianza delle razze umane di Gobineau (1855), ci si fondava su concetti pseudoscientifici di origine positivistica, nascondendo antichi pregiudizi e credenze. Da questo insieme di correnti di pensiero e avvenimenti storici, si delineò il nuovo nazionalismo. In Gran Bretagna, il diffuso consenso alla causa imperiale nelle colonie, non suscitò movimenti di opposizione nei confronti delle istituzioni liberali. In Francia, il nazionalismo si manifestò come terreno di incontro tra movimenti di diversa origine contro la classe dirigente repubblicano-moderata che non era in grado di tutelare gli interessi del Paese. In realtà il nazionalismo francese fu rivolto verso “nemici interni”: immigrati, ebrei, protestanti. In Germania, la componente antiebraica e antisemita era forte e si basava su presupposti apertamente razzisti. In Germania si sviluppò il mito della “razza ariana” incarnazione più pura del popolo tedesco. Il mito del popolo unito dallo stesso sangue sotto la sua terra d'origine riviveva grazie alle composizioni del noto musicista Richard Wagner e queste convinzioni fornirono la base per i movimenti pangermanisti, che auspicavano la riunificazione di tutti gli Stati tedeschi, compresi quelli rimasti fuori dal Reich. Questi movimenti, guidati dalla Lega Pantedesca fondata avvenne nel 1906. I sostenitori di Dreyfus ebbero partita vinta sul terreno politico. L'esito delle elezioni del '99 consentì la formazione di un “governo repubblicano” con un esponente socialista, Millerand. 1905: I repubblicani e i radicali sciolsero oltre cento congregazioni religiose, determinando la definitiva separazione tra Stato e Chiesa. 1906 – 1910: I radicali, dopo le rivincite iniziali contro il clero e i monarchici, iniziarono ad avere problemi nella gestione dello Stato: non riuscirono a far passare un progetto di tassazione in base al reddito e dovettero scontrarsi con una protesta della classe lavoratrice che meno aveva beneficiato della legislazione sociale messa in atto dai governi. L'allontanamento dell'organizzazione sindacale Sfio aggravò la situazione, dividendo i socialisti dai radicali e dando spazio ai repubblicani-moderati. 1912 – 1914: I repubblicani-moderati, messa da parte la sconfitta nel caso Dreyfus, tornarono al potere, iniziando una serie di riforme atte al rafforzamento dell'esercito. GRAN BRETAGNA: Governi Liberali e Questione Irlandese Dopo l'esaltazione imperialistica, la guerra contro i boeri e la fine dell'età vittoriana, la Gran Bretagna fu governata dalla coalizione fra conservatori e liberali. I governi conservatori-liberali cercarono di approvare delle riforme sociali nelle colonie, tali da non intaccare seriamente i privilegi delle classi dirigenti. A mettere in crisi i governi conservatori-liberali fu l'introduzione del protezionismo, sotto forma di tariffa imperiale (comune a tutti i paesi dell'Impero Britannico), cambiando un assetto libero scambista che durava da mezzo secolo. 1906: alle elezioni entrò alla Camera un gruppo di deputati laburisti. I governi liberali con la loro partecipazione adottarono una politica fortemente progressiva, mirante a colpire soprattutto i grandi patrimoni. Il tentativo si scontrò con la Camera dei Lords, che aveva il diritto di respingere le leggi votate dalla Camera dei Comuni. 1909: I liberali della Camera dei Comuni si scontrarono con gli aristocratici della Camera dei Lords. I liberali presentarono un progetto di legge parlamentare, Parliamentary Bill, che negava la possibilità ai Lord di respingere le leggi approvate dalla Camera dei Comuni. 1911: I Lords, dopo molte lotte interne e due elezioni anticipate, si piegarono ad accettare il Parliamentary Bill, sollecitati dal re Giorgio V. Il successo politico dei liberali non portò però tranquillità nel paese. Iniziarono una lunga serie di scioperi, a stento controllati dalle Trade Unions. Alle agitazioni operaie si univano quelle delle suffragette e quelle dei nazionalisti irlandesi, che avevano rappresentanti alla Camera dei Comuni. 1911: la questione irlandese portò al governo un progetto di Home Rule, che prevedeva l'Irlanda semiautonoma, con un proprio governo e un proprio Parlamento, pur sempre legata alla corona britannica. La soluzione proposta si scontrava sia con i nazionalisti, che volevano la piena autonomia, che con la minoranza protestante in Irlanda del Nord, che non voleva l'autonomia e che organizzò un movimento clandestino armato. Il progetto fu però approvato dalla Camera nel 1914, e sospeso a causa dello scoppio della guerra. GERMANIA: la Coscienza Nazionalista e la Socialdemocrazia L'Imperatore Guglielmo II aveva annunciato di voler inaugurare una politica del “nuovo corso”, incentrata su un'impostazione autoritaria e sull'esercizio personale del potere. I cancellieri succeduti a Bismark non ebbero la capacità di imporsi sul potere imperiale, ma continuarono a governare “al di sopra dei partiti” e a render conto all'imperatore. La Germania portò avanti in questi anni la politica mondiale, che contribuì a ad accentuare la coscienza di classe degli Junker, che, consci della loro superiorità come classe dirigente, svilupparono tendenze nazionaliste e imperialiste. Da qui la volontà della Germania di porsi aggressivamente per modificare a proprio vantaggio la situazione internazionale, diventando la potenza antagonista ed isolata rispetto alle altre. L'unica forza di opposizione al corso degli eventi fu il movimento della socialdemocrazia, che rimase in isolamento, nonostante il numero sempre crescente di iscritti. Tuttavia, anche la socialdemocrazia finì con l'ammorbidirsi e cedere alla politica aggressiva della classe dirigente tedesca. Alla base di questa scelta c'era la volontà del movimento di non venir apostrofato come i conservatori volevano che fosse, come un nemico interno da combattere. Quella del movimento socialdemocratico fu un'integrazione negativa, che non comportò cioè alcun prezzo politico per la classe dirigente. AUSTRIA – UNGHERIA: I conflitti di nazionalità L'Impero Asburgico dovette affrontare, negli anni precedenti alla guerra, i contrasti sempre crescenti fra le diverse nazionalità. A livello economico-sociale, l'Austria-Ungheria era un paese arretrato, dominato da immobilismo sociale e dalle tradizionali istituzioni della Chiesa e dei grandi proprietari che controllavano il mondo contadino. Mentre l'Impero tedesco trovava nella componente nazionalista un motivo di unione, i conflitti per le diverse nazionalità in Austria- Ungheria portavano al logoramento dell'Impero. Dal 1867 era stata approvata la soluzione dualistica che vedeva da una parte gli austriaci e dall'altra i magiari, il gruppo nazionale più forte nella parte sud-ovest dell'Impero. Ma in questi anni si rafforzarono i nazionalismi di coloro che erano stati esclusi dal compromesso con l'Impero, gli slavi del Sud (serbi e croati) e i cechi. Negli ultimi decenni dell'800 si affermò il movimento dei giovani cechi, che si batteva contro la politica di “germanizzazione” di Vienna, e altri movimenti nazionalisti degli slavi del Sud, serbi e croati, sotto il dominio ungherese ma influenzati dal Regno di Serbia. In questa situazione di tensione, l'arciduca ereditario Francesco Ferdinando aveva proposto una soluzione trialistica, che avrebbe compreso tedeschi, magiari e il polo degli slavi del sud. Questa proposta si scontrò con l'opposizione degli ungheresi e con i nazionalisti serbi e croati, che miravano alla costituzione di uno Stato slavo indipendente. Essi avevano l'appoggio della Serbia, protetta dalla Russia. Da questa situazione di tensione scoppiò, nel 1914 la Prima Guerra Mondiale. RUSSIA: Industrializzazione e Rivoluzione (1905) La Russia, alla fine dell'800, era l'unica potenza europea a reggersi su un sistema autocratico. Sotto i successori di Alessandro II (Alessandro III e Nicola II), ogni tentativo di occidentalizzazione veniva accantonato. Furono anzi ridotti i poteri dei governi locali, fu rafforzato il processo di “russificazione” delle minoranze ed il controllo sulle istituzioni. Negli anni '90, la Russia compiva il suo primo decollo industriale, con la costruzione di ferrovie, grazie all'apporto di capitali stranieri (soprattutto francesi). L'industrializzazione risultò però come calata dall'alto e fortemente concentrata, sia per la dislocazione geografica che per le dimensioni delle imprese. Pertanto, anche la classe operaia era poco numerosa, concentrata nelle poche città industriali (Pietroburgo, Mosca, distretti minerari degli Urali) e in minoranza rispetto alla popolazione attiva, per il 70% impiegata nell'agricoltura. In questa situazione di arretratezza e tensione, il malcontento nella popolazione crebbe in tutti i settori. La classe operaia si appoggiava al partito socialdemocratico (che nel 1903 si divise in Menscevichi e Bolscevichi) che protendeva per l'adozione della strategia marxista, mentre i contadini si appoggiavano al partito socialista rivoluzionario, nato nel 1900, che si auspicava il socialismo agrario legato alle tradizioni russe. 1905: la guerra russo-giapponese fece salire immediatamente i prezzi e la tensione sociale. Un corteo si diresse così a Pietroburgo, verso il Palazzo d'Inverno, residenza dello zar, per presentare una petizione per migliorare le condizioni delle classi popolari. Questo fu accolto dall'esercito a fucilate, nella domenica di sangue. La brutale repressione dell'Impero contribuì a scatenare altre proteste in tutto il Paese. La Russia cadde in uno stato di semi-anarchia, che favorì la creazione di organismi rivoluzionari, i soviet, rappresentanze popolari create nelle fabbriche e sui luoghi di lavoro che operavano con un metodo di democrazia diretta ispirandosi alla Comune di Parigi. Il più importante di questi, il soviet di Pietroburgo, assunse la guida del movimento rivoluzionario. In Ottobre lo zar parve disposto a cedere qualche libertà politica, ma nello stesso tempo le autorità incoraggiavano la formazione di movimenti paramilitari di destra, le Centurie Nere, che organizzavano pogrom antiebraici e spedizioni punitive. Fra Novembre e Dicembre, conclusa la pace con il Giappone, il governo passò alla controffensiva chiudendo il soviet di Pietroburgo e reprimendo le rivolte scoppiate a Mosca. Una volta ristabilito l'ordine, lo zar convocò un'assemblea rappresentativa, la Duma, che calmò i menscevichi, speranzosi in maggiori libertà politiche. I bolscevichi, al contrario, non avevano nessuna fiducia nelle “istituzioni borghesi”, e credevano che la rivoluzione dovesse partire dai proletari. 1906: Fu eletta la Prima Duma, che si rivelò dotata di pochissimo potere per condizionare l'esecutivo e fu sciolta poche settimane dopo. Un anno dopo fu eletta la Seconda Duma, che subì la stessa sorte, riportando la Russia nel normale assetto zarista. Nel 1906, Il Primo Ministro, Petr Stolypin, dopo aver attuato una durissima repressione di ogni opposizione politica e, per guadagnare consensi, avviò una riforma agraria che liberò i contadini dalla comunità del villaggio e li rese proprietari di terra. Lo scopo era creare una classe di piccola borghesia rurale, che fosse fattore di modernizzazione. La riforma creò sì una classe di contadini ricchi, i kulaki, ma non provocò la stabilità sperata. Verso la Guerra: Le Guerre Balcaniche Due furono i principali punti di frizione: il focolaio balcanico e il Marocco, ultimo degli Stati africani indipendenti, oggetto delle mire francesi e proprio per questo scelto dalla Germania per contrastare il potere delle altre potenze in abito coloniale. Sia nel 1905 che nel 1911, il contrasto franco-tedesco sul Marocco sembrò portare ad una guerra, ma alla fine la Francia, aiutata dagli alleati, riuscì ad ottenere il protettorato, e la Germania ottenne invece una striscia del Congo francese. Nella zona balcanica invece, la crisi dell'Impero Ottomano creava un'area di tensione. 1908: Avvenne la rivolta dei giovani turchi, movimento composto da intellettuali e ufficiali che volevano trasformare l'Impero in una moderna monarchia costituzionale. Con la rivolta di questo movimento il sultano fu costretto a concedere una Costituzione e a lasciare il trono per Maometto V. Il nuovo regime tentò di modernizzare lo Stato, ma le sue manovre portarono ad un deterioramento della presenza turca in Europa. Repubblicano. In questo anno gli Stati Uniti ebbero l'autorizzazione dal governo della Colombia, di costruire un canale sull'istmo di Panama, che avrebbe aperto un passaggio fra l'Oceano Pacifico ed il Mar dei Caraibi. Il canale di Panama avrebbe garantito all'America un enorme controllo commerciale. 1903: Il Parlamento Colombiano, in un sussulto di orgoglio nazionale, rifiutò di ratificare l'accordo e Theodore Roosevelt mise in atto la cosiddetta politica del big stick. L'America organizzò una sommossa a Panama e Roosevelt minacciò un intervento armato per impedire la reazione del governo colombiano. Panama divenne, come Cuba, una Repubblica indipendente, ed il canale fu aperto nel 1914. Theodore Roosevelt: politica interna Imperialista e aggressiva all'estero, la politica interna di Roosevelt si caratterizzò con l'attenzione ai problemi sociali che i precedenti governi non avevano avuto. Si dovettero a Roosevelt i primi tentativi di legislazione sociale e l'affermazione del diritto di intervento, da parte dello Stato, nell'economia. Roosevelt cercò di limitare il potere dei grandi trusts, accontentando la piccola e media borghesia urbana, i piccoli produttori e i sindacati operai. 1908: Roosevelt lasciò la carica (un Presidente non poteva ricoprire lo stesso mandato per più di due mandati consecutivi), e il Partito Repubblicano si spaccò in due fronti: l'ala più progressista non si riconobbe nella politica più conservatrice del successore Taft. 1912: Durante le elezioni presidenziali, la divisione fra i repubblicani favorì il successo dei democratici: salì alla presidenza Woodrow Wilson. Wilson riprese l'impegno sociale di Roosevelt e, come da tradizione del Partito Democratico, fu contrario ad ogni limitazione dell'autonomia degli Stati dell'Unione. Mentre Roosevelt aveva lasciato inalterata la politica economica protezionista, Wilson ridusse considerevolmente i dazi doganali. In politica estera fu più cauto di Roosevelt anche se, paradossalmente, fu il Presidente che condusse gli Stati Uniti nella Prima Guerra Mondiale, nel 1917. AMERICA LATINA: La Rivoluzione Messicana (1910) I Paesi dell'America Latina conobbero uno sviluppo economico notevole, basato sull'esportazione di materie prime e di prodotti agricoli verso l'Europa. Questo favorì la nascita di grandi centri urbani (Buenos Aires, Rio de Janeiro, Città del Messico), ma non mutò però la subalternità economica dei vari Paesi, soggetti alla dipendenza degli investimenti stranieri. Anzi, questa fu favorita proprio dall'esportazione, che portò all'adozione della monocoltura (caffè, grano, canna da zucchero) per adeguarsi alla volontà del mercato internazionale. Questa dipendenza favorì inoltre la persistenza del latifondo, con conseguente rapporto contadino- padrone estremamente arretrato. L'oligarchia terriera finì con l'essere la caratteristica dominante della vita sociale e della lotta politica. Dal punto di vista istituzionale, i Paesi latino – americani erano retti da regimi parlamentari e repubblicani (l'ultima monarchia del Sud America, quella brasiliana, fu rovesciata da un colpo di stato nel 1889). Questi erano solo regimi di facciata, la realtà era ben diversa: gli Stati vertevano in condizioni di totale corruzione ed esclusione delle masse alla vita politica. Negli anni immediatamente precedenti la guerra, questa relativa tranquillità fu interrotta: Argentina e Messico, i due Stati più popolati, si ribellarono ai poteri. Nel caso dell'Argentina si trattò di un rivolgimento pacifico. 1912: Fu introdotto il suffragio universale, che mandò al potere l'Unione Radicale, partito che esprimeva il voto delle classi medie di orientamento progressista. In Messico il cammino per la democrazia fu percorso con lo scoppio di una Rivoluzione. 1910: Gruppi liberal-progressisti guidati da Francesco Madero, si ribellarono alla semi-dittatura del presidente Porfirio Diaz. La rivolta iniziata da Madero coinvolse presto masse di contadini guidati da capi di rivoluzione quali Emiliano Zapata e Pancho Villa. 1911: Diaz abbandonò il Paese, e Madero venne eletto presidente. A questo punto però nel fronte rivoluzionario si delinearono due schieramenti: da una parte i borghesi, che volevano la liberalizzazione delle istituzioni politiche, dall'altra i contadini, che premevano per una riforma agraria. 1913: Madero fu eliminato da un colpo di Stato, e il comando passò al generale Huerta. Ebbe inizio una violentissima guerra civile che si protrasse, tra colpi di Stato e rivolte, fino al 1920. 1921: Il Presidente progressista Alvaro Obregon, varò una Costituzione democratica e laica, aperta alle riforme sociali. L'ITALIA GIOLITTIANA La Crisi di Fine Secolo Dopo la caduta del Secondo Governo Crispi (1896), andò al potere il conservatore Rudinì, il cui governo vide la tendenza dei conservatori a unirsi contro i “nemici delle istituzioni”, socialisti e repubblicani. Questa tendenza si espresse tramite due azioni politiche: – la proposta Sonnino, del 1897 che prevedeva di tornare ad una interpretazione restrittiva dello Statuto (che si tornasse quindi a ritenere il Governo sottoposto al sovrano, lasciando alle Camere solo compiti legislativi). – Una ripresa dei metodi repressivi crispini, in materia di ordine pubblico, volti a sedare ogni rivolta sociale. 1898: la tensione esplose a causa di un improvviso aumento del prezzo del pane, che fece nascere una serie di rivolte in tutto il Paese. Erano manifestazioni spontanee, con grande partecipazione delle masse operaie. Rudinì si comportò come se avesse a che fare con un moto rivoluzionario: dichiarò lo stato d'assedio e fece intervenire le forze di polizia. La repressione raggiunse il suo culmine a Milano, dove le truppe guidate dal generale Bava Beccaris spararono sulla folla e arrestarono capi socialisti, radicali e repubblicani (lo stesso Turati fu messo in carcere), con l'accusa di aver diretto il moto. Una volta ripristinato l'ordine i gruppi conservatori cercarono di dare una base legislativa alle azioni di repressione del Governo. Rudinì si dimise nel giugno del '98 per contrasti con il re, e anche il suo successore cercò di portare avanti la sua politica. I gruppi di estrema sinistra risposero a queste proposte con l'ostruzionismo, che consisteva nel prolungare le discussioni alla Camera, paralizzando l'azione politica. 1900: Le elezioni, a seguito dello scioglimento della Camera, portarono al potere molti deputati dell'opposizione, provocando le dimissioni del Presidente del Consiglio. Intanto Umberto I cadeva vittima di un attentato, per mano di un anarchico. A lui successe il figlio Vittorio Emanuele III. La Svolta Liberale: il Governo Zanardelli – Giolitti (1901 – 1903) 1901: Il re chiamò alla guida del Governo il leader della sinistra liberale Zanardelli, che affidò il Ministero degli Interni a Giolitti. Il governo Zanardelli – Giolitti condusse in porto alcune importanti riforme. Furono estese le norme, varate da Depretis, che limitavano il lavoro minorile femminile nell'industria. Fu migliorata la legislazione sociale, per quanto riguardava le assicurazioni per la vecchiaia e per gli infortuni. Fu costituito il Consiglio superiore del lavoro, organo consultivo per la legislazione sociale. Furono municipalizzati i servizi pubblici. Giolitti si mantenne neutrale nel settore privato, purché le agitazioni che questo poteva provocare non degenerassero in manifestazioni violente. Gli effetti di questo governo favorirono la nascita di molte organizzazioni sindacali, ridotte alla clandestinità nel 1898. Nel Centro-Nord si ricostituirono le Camere del Lavoro e, fenomeno tipicamente italiano, nacquero le organizzazioni contadine. Queste erano dette leghe rosse ed erano formate da braccianti o mezzadri, e concentrate nelle province padane. Le leghe rosse si riunirono in questo anno nella Federazione Italiana dei Lavoratori della Terra. Obbiettivo finale delle leghe rosse era la “socializzazione della terra”, aumenti dei salari, riduzione degli orari di lavoro ecc. La diffusione delle leghe rosse e dei sindacati provocò un'impennata negli scioperi, che portò ad un aumento dei salari che si protrasse per tutto il primo quindicennio del 900. Decollo Industriale e Progresso Civile La costruzione di una linea ferroviaria, a partire dagli anni della Destra, favorì enormemente il decollo industriale italiano. La scelta protezionistica del 1887 aveva poi reso possibile la creazione di una moderna industria siderurgica. Inoltre, il riordinamento del sistema bancario (a seguito della crisi della Banca Romana) aveva creato una struttura finanziaria efficiente. Particolare importanza ebbe la costruzione, nel 1894, della Banca Commerciale e del Credito Italiano, grazie all'incoraggiamento dello Stato e all'apporto di capitali tedeschi. I settori industriali che fecero registrare maggiori progressi furono il siderurgico (con le Acciaierie di Terni), l'industria tessile (soprattutto nell'industria cotoniera) e il chimico-meccanico (materiale ferroviario, navi e armamenti per lo Stato, industria automobilistica → Fiat di Torino, 1899). Il decollo industriale fece sentire i suoi effetti anche sul tenore di vita della popolazione. Il reddito pro-capite aumentò, consentendo ai cittadini di destinare una quota crescente all'acquisto di automobili e prodotti della moderna tecnologia. La diffusione dell'acqua corrente nelle case ed il miglioramento reti fognarie riuscirono inoltre a diminuire il tasso di mortalità per malattie infettive (colera, tifo ecc) . Questi progressi non riuscirono tuttavia a colmare il divario tra gli Stati più industrializzati e l'Italia. L'analfabetismo era ancora elevato, l'emigrazione era un fenomeno molto diffuso in tutte le regioni italiane, ma soprattutto nel Mezzogiorno. L'emigrazione del Mezzogiorno era spesso permanente, si dirigeva verso il Nord America e costituiva una fonte di sostentamento per l'Italia: le famiglie degli immigrati del Mezzogiorno infatti ricevevano le rimesse, ossia i risparmi inviati in patria dal lavoratore. Queste, sebbene alleviassero il disagio economico, erano il simbolo di una parte del Paese molto debole in termini di forza-lavoro ed energia intellettuale, e non facevano che ricordare all'Italia che la questione meridionale era ancora un problema pressante. La Questione Meridionale Gli effetti del progresso economico avevano interessato soprattutto il settore del triangolo industriale, che aveva come vertici Milano, Torino e Genova, perciò il divario tra Nord e Sud si accentuò notevolmente. Inoltre, non solo il settore industriale, ma anche la produzione agricola finì con il concentrarsi a Nord, soprattutto nelle aziende della Pianura Padana. Da questa situazione derivavano i mali storici della società meridionale: la disgregazione sociale, potere politico avevano piede libero, grazie all'arretratezza e ai problemi più pressanti. Su questi aspetti si fondarono le critiche a Giolitti: socialisti rivoluzionari e cattolici democratici accusavano Giolitti di far opera di corruzione all'interno dei rispettivi movimenti e cercando di spostarli su un piano moderato e trasformista, mentre i liberali – conservatori, come Sidney Sonnino, non accettavano il sistema giolittiano del venire a patti con i nemici delle istituzioni, come i socialisti di Turati. I meridionalisti lo accusavano invece di ignorare il malcostume politico imperante nel Sud (Salvemini lo chiamò ministro della malavita) e di favorire le industrie del Nord “oligarchie operaie”, ostacolando lo sviluppo del Sud. A causa di queste critiche Giolitti dovette fare i conti con una crescente impopolarità, sintomo di interna debolezza del sistema, oltre che di distacco fra classe dirigente e opinione pubblica. Socialisti e Cattolici nell'età giolittiana Socialisti: Riformisti e Rivoluzionari Il grande sviluppo delle organizzazioni operaie e contadine sembrò dar ragione al punto di vista di Turati, che si auspicava una collaborazione con le forze progressiste per dare il via ad un periodo di riformismo, sempre mantenendo la propria autonomia di classe. Ai socialisti riformisti di Turati si accostavano i socialisti rivoluzionari. I due schieramenti si incontrarono al Congresso di Bologna del 1904, dove le forze rivoluzionarie riuscirono a strappare la guida del partito ai riformisti. Pochi mesi dopo, la reazione proletaria ad una protesta di minatori in Sardegna sedata dallo Stato, portò al primo sciopero generale nazionale. Giolitti lasciò che la protesta si esaurisse da sola, in quanto male organizzata e senza un organo che la potesse controllare. A tal proposito, nacque nel 1906 la CGL, Confederazione Generale del Lavoro, controllata da riformisti. La corrente rivoluzionaria, a seguito della nascita del sindacato, fu allontanata dal PSI l'anno dopo (nel 1912 si sarebbe staccata anche dalla CGL, formando l'USI, Unione Sindacale Italiana). Nel 1912, durante il Congresso di Reggio Emilia, i rivoluzionari riuscirono ad espellere dal PSI i riformisti di destra, che diedero vita al Partito Socialista Riformista Italiano. La scissione ridusse i riformisti al Congresso di nuovo in minoranza, e la guida del partito tornò agli intransigenti (rivoluzionari). Tra questi emerse Benito Mussolini, agitatore romagnolo che aveva protestato per la guerra in Libia, che fu messo a dirigere il quotidiano del partito, l' “Avanti!”. Cattolici: Democratici Cristiani e Clerico – Moderati All'inizio del secolo si affermò il movimento democratico – cristiano guidato da Romolo Murri. Nei primi anni del 900 i democratici cristiani furono operativi nella fondazione di circoli politici, riviste e unioni sindacali cattoliche. L'iniziativa cattolica, appoggiata da Leone XIII, fu particolarmente osteggiata dal successore Pio X. Questi, temendo che l'Opera dei Congressi potesse cadere in mano ai democratici, non esitò a scioglierla (1904), creando tre organizzazioni distinte, dipendenti dalla gerarchia ecclesiastica che furono poi riunite nella Direzione Generale dell'Azione Cattolica. Murri fu sconfessato e sospeso dal sacerdozio. La condanna di Murri non impedì al movimento di espandersi. Crebbe il numero di leghe bianche, che nel 1909 fondarono il primo sindacato nazionale cattolico. Il movimento contadino cattolico arrivò fino in Sicilia, con l'aiuto di Don Luigi Sturzo. Il papa e vescovi, preoccupati dell'espansione del movimento democratico, appoggiarono le tendenze clerico-moderate, in opposizione alla crescita delle sinistre e incoraggiate dallo stesso Giolitti. Questi, pur adottando il metodo di Stato e Chiesa come “due rette parallele”, vide nei cattolici una base che poteva arricchire la sua maggioranza. Il non expedit fu sospeso e alle elezioni del 1909 fu possibile presentare candidature dichiaratamente cattoliche (secondo la formula “cattolici deputati sì, deputati cattolici no”). La linea clerico-moderata ebbe piena consacrazione nelle elezioni del 1913, quando il conte Ottorino Gentiloni, presidente dell'Unione elettorale cattolica, invitò i militanti ad appoggiare quei candidati liberali che si impegnassero a rispettare il programma che prevedeva la tutela dell'insegnamento privato, l'opposizione al divorzio, il riconoscimento delle organizzazioni sindacali cattoliche. Molti candidati anche anticlericali, per avere voti, promisero di attenersi a questo programma. Questo, definito il Patto Gentiloni, fu duramente criticato dai democratici cristiani e aprì ai cattolici posizioni di potere all'interno dello Stato, che si era proclamato laico. LA PRIMA GUERRA MONDIALE IL 1914 1914: Il 28 giugno, uno studente bosniaco uccise l'erede al trono d'Austria, l'arciduca Francesco Ferdinando e la moglie, mentre attraversavano Sarajevo, capitale della Bosnia. L'attentatore faceva parte di un'organizzazione irredentista che operava in Serbia, dove era largamente tollerata. Il 23 luglio l'Austria mandò un ultimatum alla Serbia, coperta dalla protezione della Russia. La Serbia accettò solo in parte l'ultimatum, escludendo la clausola che prevedeva la presenza di ufficiali austriaci per l'indagine sull'attentato. L'Austria giudicò la risposta insufficiente, ed il 28 luglio inviò una dichiarazione di guerra alla Serbia. La reazione del governo russo fu immediata e fu ordinata la mobilitazione delle forze armate. La mobilitazione fu interpretata dalla Germania come un atto di ostilità, ed il 31 luglio il governo tedesco inviò l'ultimatum alla Russia, intimandole la sospensione dei preparativi. L'ultimatum non ebbe risposta, e la Germania dichiarò guerra alla Russia. Subito dopo, la Francia (legata alla Russia da un trattato) mobilitò le truppe. La Germania, dopo aver inviato invano un ultimatum alla Francia, dichiarò guerra. La Germania soffriva da tempo di un complesso di accerchiamento, ritenendosi soffocata nelle sue ambizioni internazionali. Altre erano le motivazioni di ordine militare: la strategia dei generali tedeschi si basava infatti sulla rapidità e sulla sorpresa. Il piano di guerra che adottarono i tedeschi, detto “piano Schlieffen” dal nome del capo di Stato maggiore, prevedeva una guerra su due fronti: da una parte un attacco massiccio e rapido alla Francia, che doveva avvenire facendo passare l'esercito per il Belgio (nonostante questo fosse neutrale) e mettendola fuori combattimento entro poche settimane; dall'altra un attacco alla Russia, il cui esercito era numeroso ma lento nell'azione. Il 4 agosto le truppe tedesche invasero il Belgio, per arrivare a Parigi. La violazione della neutralità belga scosse l'opinione pubblica europea e la Gran Bretagna, preoccupata di una vittoria tedesca, non poteva tollerare l'aggressione di un Paese che si affacciava sulla Manica. Il 5 agosto l'Inghilterra dichiarava guerra alla Germania. La dichiarazione di guerra dagli inglesi provocò grande shock nell'opinione pubblica tedesca: il richiamo del patriottismo invase anche quegli schieramenti che di solito non lo accoglievano, risultando in un uniforme consenso alla guerra. Anche i partiti socialisti non riuscirono a sottrarsi all'unione sacra e votarono a favore dei crediti di guerra, motivando la loro scelta con una preoccupante vittoria zarista. Analogo atteggiamento fu assunto dai socialisti austriaci, francesi e dai laburisti inglesi. Solo in Russia e in Serbia i socialisti rimasero in ferma opposizione, ma ciò non bastò a contenere il crollo della Seconda Internazionale, che cessò praticamente di esistere. I tedeschi ottennero inizialmente una serie di successi, arrivando a fermarsi lungo il corso della Marna, vicino a Parigi, costringendo gli avversari a ritirarsi. Il governo francese e milioni di civili, lasciarono la città. Contemporaneamente i tedeschi bloccarono i russi che cercavano di entrare in Prussia, nelle battaglie sui Laghi Masuri. L'offensiva russa mise però in difficoltà gli austriaci, costringendo i tedeschi ad inviare rinforzi e ad arretrare sulla Marna, facendo fallire il piano Schlieffen. Alla fine del 1914, nessuno dei due schieramenti aveva ottenuto significative vittorie. La guerra di movimento basata sulla manovra offensiva e sugli spostamenti rapidi auspicata dai tedeschi, si trasformò ben presto in guerra di usura o logoramento, che vedeva due schieramenti immobili affrontarsi in una serie di attacchi inframezzati da lunghi periodi di stallo. La guerra fu infatti combattuta nelle trincee, ossia fortificazioni difensive in forma di fossati scavati nel terreno. Esse da punti di riparo dal fuoco nemico, si trasformarono nella sede permanente dei reparti di prima linea, allargate, dotate di ripari e collegate fra loro per mezzo di camminamenti. Le sorti della guerra si poggiavano quindi sul ruolo della flotta inglese e sulla superiorità numerica russa. La guerra tra grandi potenze divenne MONDIALE quando anche gli Stati minori, preoccupati di venir sacrificati nella nuova sistemazione dell'assetto mondiale, si schierarono per una o per l'altra parte: 1914 – Giappone (Intesa) 1915 – Italia, Portogallo, Romania (Intesa), Bulgaria (Alleanza) 1917 – Grecia, Stati Uniti, Cina, Brasile, Repubbliche latino-americane (Intesa) ITALIA: Dalla neutralità all'intervento L'Italia entrò in guerra nel maggio 1915, a fianco dell'Intesa contro l'Impero Austro-Ungarico e la Germania. Fu una decisione difficile, sulla quale classe politica e opinione pubblica si divisero. Allo scoppio della guerra, il governo Salandra si dichiarò neutrale. La decisione era in linea con il carattere difensivo della Triplice Alleanza, in quanto l'Austria non era stata attaccata e non aveva avvertito l'Italia prima di attaccare la Serbia. Inizialmente tutta la classe politica aveva accettato la decisione ma gradualmente iniziò ad essere popolare un'iniziativa italiana contro l'Austria, antico nemico nazionale. A provocare questa linea interventista furono i gruppi della sinistra democratica (repubblicani, garibaldini, radicali e associazioni irredentiste). Sul fronte politico opposto, erano favorevoli all'intervento i nazionalisti e i gruppi liberal- conservatori che facevano capo al pensiero di Salandra e Sonnino, che credevano di dover garantire all'Italia il suo posto tramite la partecipazione alla guerra. Nello schieramento opposto si trovavano i neutralisti, che vedevano in Giolitti il loro punto di riferimento. Giolitti intuiva che la guerra sarebbe stata lunga e logorante e non riteneva il paese pronto ad affrontarla. Era inoltre convinto che l'Italia avrebbe ottenuto dagli Imperi Centrali buona parte dei territori che le spettavano, garantendo la sua neutralità. Tra i neutralisti c'erano anche i cattolici, con il nuovo papa Benedetto XV, che si mantenne su una linea pacifista, preoccupato che l'Italia si schierasse con la Francia Repubblicana e anticlericale, contro la cattolica Austria. Un'altra posizione di condanna alla guerra venne dal PSI e dalla CGL. L'unica defezione fu quella di Benito Mussolini, che dopo una campagna per la neutralità assoluta, si schierò improvvisamente con gli interventisti. Ciò gli costò l'espulsione dal partito e dal giornale. Mussolini fondò nel 1914 un nuovo giornale, il Popolo d'Italia, polo dell'interventismo di sinistra. Nonostante i neutralisti fossero in netta prevalenza, il fronte interventista era molto compatto, unito nell'odio per l'Austria e nella volontà di porre fine alla “dittatura giolittiana”. Gli interventisti erano in maggioranza studenti e piccola e media borghesia (insegnanti, impiegati ecc), sensibili ai provvisorio decise di attaccare gli austro-tedeschi in Galizia, l'esercito non rispose agli ordini (molti soldati – contadini abbandonarono il fronte, altri elessero capi militari e decisero di rispondere solo ai loro comandi). I tedeschi approfittarono per penetrare nell'ex Impero zarista e l'Intesa, non ancora aiutata dall'America, sembrava in svantaggio. In novembre un colpo di Stato rovesciava il governo provvisorio russo, e Lenin si inseriva al potere con i bolscevichi. Nei Paesi dell'Intesa si intensificarono manifestazioni di insofferenza e ammutinamenti delle truppe, e anche negli eserciti degli imperi centrali si vedevano segni di stanchezza. Particolarmente delicata era la situazione dell'Impero Austro – Ungarico, dove le questioni di nazionalità non erano state risolte. Alla costituzione di un governo cecoslovacco seguì un accordo tra croati, sloveni e serbi per la costituzione di uno Stato indipendente (poi Jugoslavia). Il nuovo imperatore Carlo I avviò i negoziati segreti per una pace separata, per fronteggiare la delicata situazione interna. Le sue proposte furono tuttavia respinte dall'Intesa. Non ebbe maggior fortuna la richiesta di pace senza annessioni di Benedetto XV. Circa un mese dopo il crollo dell'Impero zarista gli Stati Uniti decidevano di entrare in guerra contro la Germania, che aveva ripreso la guerra sottomarina indiscriminata, nel tentativo di infliggere un colpo alle economie dei Paesi dell'Intesa. Il Presidente americano Woodrow Wilson entrò in guerra in aprile, dichiarando che gli Stati Uniti non avrebbero combattuto per acquisire territori, ma per mantenere la pace e difendere i diritti delle nazioni. ITALIA: il 1917 e la disfatta di Caporetto Fra maggio e settembre Cadorna ordinò una serie di offensive sull'Isonzo, che risultarono in pochi guadagni e perdite maggiori. Tra i soldati le manifestazioni di protesta si fecero più frequenti, come aumentò lo scontento dei cittadini che vedevano aumentare i prezzi dei generi alimentari. In agosto, a Torino le proteste si trasformarono in un moto insurrezionale, con forte partecipazione operaia. In questa situazione l'esercito austro – tedesco decise di attaccare, approfittando delle truppe provenienti dal fronte russo: il 24 ottobre un'armata austriaca attaccò le linee italiane nei pressi del villaggio di Caporetto. L'esercito invase il Friuli, cogliendo di sorpresa gli italiani che si videro costretti ad abbandonare le posizioni. L'esercito italiano riuscì ad arrestarsi e ricomporsi sul Piave, lasciando in mano al nemico una porzione enorme di territorio. Prima di essere rimosso dal comando e sostituito da Armando Diaz, Luigi Cadorna incolpò i suoi stessi soldati di essersi arresi senza combattere. Ma gli italiani dimostrarono il contrario, fermando gli austriaci e i tedeschi sul Monte Grappa e sul Piave, impedendo che l'avanzata nemica prendesse il controllo dell'intera Pianura Padana. Trovando l'esercito nemico così in profondità nel territorio, gli italiani furono invasi da un'ondata patriottica, al fronte come nel Paese. Intanto, al nuovo governo di coalizione nazionale, presieduto da Vittorio Emanuele Orlando, le forze politiche sembravano più unite, perfino Turati e i socialisti appoggiarono il nuovo governo e la resistenza. Inoltre, dall'anno dopo, fu istituito un servizio di propaganda al fronte, Servizio P con il quale ci si sforzò di presentare la guerra come lotta per un più giusto ordine internazionale. La guerra democratica fu così rilanciata, sia dagli interventisti di sinistra che dal presidente americano Wilson. IL 1918 1918: La Russia di Lenin firmò l'armistizio con gli Imperi Centrali a Brest-Litovsk. La Russia dovette accettare le durissime condizioni imposte dai tedeschi, che comportavano la perdita di una buona parte dei territori dell'Impero russo. In gennaio Wilson precisò il programma della sua politica nei famosi quattordici punti. In questo documento, oltre ad invocare l'abolizione della diplomazia segreta, il ripristino della libertà di navigazione, l'abbassamento delle barriere doganali e la riduzione degli armamenti il Presidente formulava alcune proposte circa il nuovo assetto europeo: piena reintegrazione del Belgio, della Romania e della Serbia, evacuazione dai territori russi occupati dai tedeschi, restituzione alla Francia dell'Alsazia – Lorena, autonomia per i popoli soggetti all'Impero Austro-Ungarico e turco, rettifica dei confini italiani. Inoltre Wilson aveva proposto la creazione di un organismo internazionale, la Società delle Nazioni, che assicurasse il mutuo rispetto delle norme di convivenza tra popoli. Intanto sul fronte occidentale continuava la guerra: i tedeschi riuscirono ad avanzare in territorio francese, di nuovo fin sulla Marna. L'ultimo attacco sulla Marna fu affrontato dai francesi grazie all'apporto delle forze inglesi e americane, che respinsero i tedeschi. Sul fronte italiano, gli austriaci furono nuovamente respinti sul Piave. In luglio, gli alleati dell'Intesa attaccarono i tedeschi nella battaglia di Amiens, e inflissero ai tedeschi la prima grande sconfitta sul fronte occidentale. Questa sconfitta portò ad una crisi politica in Germania, che mise al governo una coalizione democratica che affrontò le durissime trattative per la pace. Gli alleati della Germania crollarono dall'interno: dalla Bulgaria alla Turchia, che chiedeva l'armistizio. Infine, anche l'Austria – Ungheria fu costretta a cedere a causa dei movimenti indipendentisti interni. Cecoslovacchi e Slavi del Sud diedero vita ad altri Stati e gli italiani approfittarono della crisi per attaccare sul Piave. Con la vittoria nella battaglia di Vittorio Veneto, gli italiani accettarono l'armistizio austriaco di Villa Giusti il 3 novembre. Intanto in Germania si assisteva ad una vera e propria rivoluzione: la flotta tedesca e gli operai diedero vita a consigli rivoluzionari, ispirati ai soviet russi. Il moto si propagò in Baviera e a Berlino ed il Keiser fu costretto a fuggire in Olanda. I tedeschi firmarono l'armistizio a Rethondes, l'11 novembre, accettando le durissime condizioni imposte dai vincitori: consegna dell'armamento pesante, ritiro al di qua del Reno dell truppe, annullamento dei trattati con Romania e Russia, restituzione dei prigionieri. I TRATTATI DI PACE 1919: A gennaio si aprì la Conferenza di Versailles per la pace, con la guida dei quattordici punti di Wilson, che però si rivelarono problematici da attuare. A partecipare alla conferenza furono le maggiori potenze vincitrici: l'americano Wilson, l'inglese Lloyd George, il francese Clemenceau e l'italiano Orlando. Le trattative di pace cercarono di essere democratiche, risultando però punitive nei confronti della Germania. I francesi non si accontentavano dei territori ricevuti (Alsazia, Lorena) ma volevano spostarsi di là dal Reno, dove si trovavano le più popolose e ricche zone tedesche. La loro richiesta vide l'opposizione di Wilson e quella degli inglesi, contrari ad uno Stato egemone in Europa. Clemenceau dovette quindi rinunciare ai territori in più, in cambio di una garanzia anglo-americana delle frontiere franco-tedesche. Il trattato di pace con la Germania fu imposto, sotto la minaccia di un'occupazione militare e di un blocco economico. Dal punto di vista territoriale, il trattato prevedeva oltre alla restituzione dell'Alsazia-Lorena, il passaggio alla Polonia di alcuni territori tedeschi, tra i quali il corridoio polacco, che portava a Danzica, una città sul mar Baltico che venne dichiarata “libera”. La Germania perse inoltre le colonie. La parte più pesante del trattato era però quella economica e militare: la Germania, indicata come responsabile della guerra, doveva ripagare i vincitori, a seguito dei danni subiti nel conflitto. Fu inoltre costretta ad abolire il servizio di leva, rinunciare alla marina, ridurre l'esercito e lasciare smilitarizzata la valle del Reno, che sarebbe stata presidiata da truppe francesi, inglesi e belghe. L'Austria fu ridotta notevolmente e dichiarata Repubblica. Inoltre l'indipendenza austriaca sarebbe stata affidata alla Società delle Nazioni (che serviva a impedire una possibile unione alla Germania). L'Ungheria, costituitasi in repubblica nel '18, perse non solo tutte le regioni slave dipendenti da Budapest, ma anche alcune regioni magiare. I polacchi della Galizia si unirono alla nuova Polonia, che conteneva territori russi e tedeschi, i boemi e gli slovacchi confluirono nella Repubblica di Cecoslovacchia, che comprendeva una minoranza di tedeschi, i Sudeti. Gli Slavi del Sud si unirono a Serbia e Montenegro per dare vita alla Jugoslavia. Il nuovo assetto dei Balcani era completato dalla Romania, dalla Bulgaria e dall'estromissione in Europa dell'Impero Ottomano, che si trasformava in Stato Nazionale Turco. Le potenze vincitrici non riconobbero inoltre la Repubblica Socialista russa, e cercarono in tutti i modi di ostacolarla. Furono riconosciute invece le Repubbliche Baltiche e la Finlandia. La Russia fu così circondata da un cordone sanitario di stati-cuscinetto, tutti ostili e pronti a fermare l'espansione dell'ondata socialista. A questi nuovi stati si sarebbe aggiunto nel 1921 lo Stato libero d'Irlanda, con l'esclusione dell'Ulster protestante. Ad assicurare questo nuovo assetto la Società delle Nazioni, che fu ufficialmente accettata. 1920: La nuova istituzione però nacque minata da gravi contraddizioni: il Senato americano, influenzato dall'opinione pubblica, non accettò l'adesione degli Stati Uniti alla Società. Ciò comportò la non garanzia dei confini franco-tedeschi. Wilson, gravemente malato, non si presentò alle presidenziali di quell'anno ed i repubblicani vinsero. Cominciava per gli Stati Uniti una stagione di isolazionismo. La Società delle Nazioni finì con l'essere egemonizzata da Francia e Inghilterra e non prevenne nessuna delle crisi tra le due guerre.
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