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G. Zanlonghi, La regia teatrale del secondo Novecento. Utopie, forme e pratiche, Roma, Carocci, 2009., Prove d'esame di Storia del Teatro e dello Spettacolo

Riassunti dettagliati del libro di Zanlonghi per l'esame di storia della regia tenuto dal professor Giangiacomo Colli per il corso di studi in DAMS

Tipologia: Prove d'esame

2017/2018

Caricato il 18/12/2018

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federico_carfagno 🇮🇹

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Scarica G. Zanlonghi, La regia teatrale del secondo Novecento. Utopie, forme e pratiche, Roma, Carocci, 2009. e più Prove d'esame in PDF di Storia del Teatro e dello Spettacolo solo su Docsity! La Regia Teatrale del Novecento - Giovanna Zanlonghi CAPITOLO 1 - La Deflagrazione Teatrale. Il Living Theatre Judith Malina. Tappa fondamentale della sua formazione fu la frequentazione della scuola di Piscator, dal quale riconosce di aver imparato due cose: • L’idea di teatro totale • La necessità dell’impegno dell’attore Il Living infatti fu attivamente impegnato a livello politico. Durante la sua vita fu detenuta per aver partecipato a manifestazioni pacifiste. Julian Beck. Durante le lezioni di geologia all’università di Yale si accorge che questo non era quello che voleva fare, che era un artista e come tale doveva comportarsi. Fra il 1943 e il 1944 inizia a frequentare la galleria di Peggy Guggenheim, punto di riferimento e di incontro per grandi artisti di primo piano. Conosce Motherwell, Rauschenberg, Ernst, Breton, Dalì; è accolto nella scuola newyorkese dell’espressionismo astratto, Pollock, Hoffman sono le maggiori fonti di ispirazione per Beck. L’incontro fra Judith e Julia avviene al Genius Incorporated, un club per attori, grazie alla mediazione di una conoscenza comune. Avevano gli stessi desideri, entrambi patteggiavano per un’arte “vera”, avevano il medesimo sguardo utopico, entrambi immaginavano uno svecchiamento del linguaggio teatrale, aspiravano ad un nuovo teatro, a nuove forme di teatro, attraverso una rottura completa con il passato e la tradizione. Sempre presente in loro vi è la matrice ANARCHICA ed EBRAICA. Il rapporto con John Cage che consiglia loro di promuovere il loro Living Theatre nei teatri. Dall’incontro con Artaud la trasgressione politica diviene trasgressione poetica. La battaglia del Living diviene infatti una battaglia per la società, per la comunicazione e per la pace, una sfida che mette alla prova la teoria. E infatti dalla fondazione del Teatro della Quattordicesima Strada (13 Gennaio 1959), dove si respira un’atmosfera comunitaria e dove lavora un gruppo volontario di amici e di artisti, escono i lavori che sono destinati a lasciare una traccia indelebile nella storia del teatro novecentesco. La storia del Living apparare, nonostante le sue quattro fasi, tendenzialmente continua; l’unica vera e traumatica cesura nella storia del Living è stata la morte di 1 Julian Beck (1985), che non è tuttavia coincisa con il disfacimento del gruppo, ma al contrario con una rinascita. La fondazione di un teatro stabile nell’aprile del 1989, il matrimonio di Judith con Hanon Reznikov, membro storico del Living, hanno segnato una rinnovata presenza del gruppo nella storia del teatro contemporaneo. Contro il teatro di velluto L’idea era di andare contro quel teatro americano che a loro sembrava tanto stupido. Il fascino veniva dal teatro estremo. “Come posso lavorare nel teatro di Broadway avendo in mente questi ideali? Come posso diventare un’attrice di Broadway e lavorare nel teatro ufficiale quando la mia idea è del tutto differente da questa insensatezza commerciale, che non ha niente a che fare con il mio lavoro?” - Malina “Abbiamo bisogno di andare nelle strade! Dobbiamo distruggere questa architettura che separa gli uomini. Dobbiamo andare verso l’uomo nella strada per fargli conoscere le sue possibilità di essere”. Il teatro come rituale La nozione che meglio di tutte raccoglie le molteplici indicazioni sui caratteri e sulle funzioni del nuovo teatro pare essere quella di un “rituale”. Dove l’attore offre il suo corpo in una simbolica immolazione collettiva, nella quale il pubblico partecipa direttamente e con “sentimento”, senza dubbio il teatro promosso dal Living Theatre può essere considerato ritualistico. Non più spettacolo, ma evento. • “Recitare come azione” - The Connection Quando il teatro della Quattordicesima Strada apre il 13 Gennaio 1959, tutto concorre a fare di quel luogo uno spazio per gli incontri e per la vita, a cominciare dal caffè nel foyer dove gli spettatori possono incontrare gli attori intorno ad una fontana zampillante, fino alla sala priva di qualsiasi quadro di scena. La società entra nel teatro attraverso “iniziative collaterali”, quali letture pubbliche, Reading poetici, happening, concerta, ma soprattutto, attraverso la scelta di allestimenti e degli spettacoli. The Connection - appello alla liberazione dalla schiavitù: musicisti neri insieme ai bianchi che condividono vite di altro genere. Iperrealistico, scena dell’overdose, sbilanciando il rapporto fra realtà e finzione a vantaggio della seconda. Eccesso di realismo provoca autocritica di Beck. • “Cambianmento: Aumento della Consapevolezza” - The Brig Rappresentato per la prima volta nel ’63. Oltre il teatro poetico e il teatro nel teatro ->si passa al teatro della crudeltà. 2 B. L’identificazione di nuove metodologie di lavoro C. Creazione di vera e propria filosofia teatrale D. Cospicua mole di ricerche parateatrali E. Nuovo terreno di ricerca nella fase del teatro delle fonti Qual è l’idea di attore di Grotowski? Grotowski chiama l’attore ad andare oltre se stesso. La via consiste nella comprensione del rapporto tra impulso-azione-gesto. Intendere il teatro grotowskiano come “teatro del corpo” è un equivoco che si sfata da solo nel momento in cui si prende in considerazione il lavoro meticoloso sul testo scritto. Grotowski chiede di ripeter il testo mentalmente dando un segnale nel momento in cui è momento di farlo diventare voce. In questo modo l’attore è in grado di riprendere il testo da qualsiasi momento. Per conservare la purezza del testo e della voce, Grotowski escogita l’espediente di non cominciare dall’inizio ma da un punto qualsiasi in modo che non scattino a priori meccanismi automatici. Se è il principio portante della poetica del “teatro povero” l’incontro fra l’attore e lo spettatore, la ricerca sullo spazio è un momento altrettanto cruciale. Lo spazio deve essere luogo vivo che si fa protagonista quanto gli attori e il pubblico. SPETTATORE Lo spettatore viene reinterpretato come spettatore testimone. Grotowskij sostiene infatti che paradossalmente più lo spettatore viene coinvolto nella rappresentazione meno si immerge nel teatro. Lo spettatore è immerso in una stanza dove si avverte una forte sensazione di vicinanza fisica. L’attore santo si offre e si dona e pertanto si pone in relazione con un “testimone” che partecipa alla sua immolazione. L’ATTORE Lottando contro il teatro come illusione, alla ricerca di un atto vero e totale, il Teatr Labortorium non potevo non porre al centro del suo lavoro l’attore. Ogni attore costruisce la sua espressione facciale, senza trucco, una maschera di pelle che consente la tipizzazione e l’universalizzazione. Il rapporto fra attore e regista è fondamentale. Il regista deve saper spingere oltre le barriere fisiche l’attore, selezionando i momenti di verità del suo lavoro e allineandoli in una linea coesiva e coerente. Il training che viene attuato dagli attori si basa su: • Respirazione • Voce • Equilibrio • Acrobazia 5 L’”andare oltre” preteso da Grotowski spinge l’attore a superare la propria fatica senza mollare comprendendo che i blocchi non provengono dal corpo ma dalla mente. Il concetto della statua come metafora dell’attore che supera i propri blocchi. SPETTATORE Tanto il Training è diretto all’attore, quanto il montaggio è diretto allo spettatore. Serve a focalizzare l’attenzione su determinati dettagli. Suoni più o meno intensi, la comparsa di una luce, la durata e intensità, il lavoro sul testo sono quell’invisibile senza il quale non c’è arte, ma un prodotto commerciale. Il montaggio è un momento cruciale del lavoro. Nella scelta del montaggio infatti non si opera solo per ellissi o aggiunte, ma si tratta ogni volta di ristrutturare la totalità. Spesso il montaggio riguarda il lavoro che si accumula con le improvvisazioni. Procedendo via vegationis (statua), occorre sbarazzarsi delle banalità, dei comportamenti da caffè. Occorre molto seriamente partire dalla questione della connessione e disconnessione. Le ultime osservazioni conducono a riprendere in considerazione il lavoro del gruppo. Se infatti, come è vero l’ultimo spettacolo fa perno soprattutto sull’improvvisazione e porta il regista a virare nella direzione maieutica della stimolazione dell’attore, ciò è stato reso possibile dalla presenza di una scuola che, pur fra crisi e riprese, è sempre stata devota al Maestro. CAPITOLO 3 - Un Tappeto e una Storia. Peter Brook Peter Brook è un regista che ha attraversato molti generi teatrali. É stato regista cinematografico, ha lavorato sia per istituzioni prestigiose (come la Royal Shakespeare Company) sia al di fuori di qualsiasi circuito ufficiale, ha fatto tanto teatro da boulevard quanto genuina sperimentazione. Inizialmente, ai tempi ancora della Royal Shakespeare Company, Brook era ancora concentrato su una maniera di fare teatro che apparteneva agli anni precedenti, ossia la concezione di teatro che separa lo spazio dello spettatore da quello dell’attore e lo scopo dell’illusione scenica. Dieci anni dopo altre esperienze lo condussero gradualmente a capire che se gli attori condivido intimamente uno spazio con il pubblico l’esperienza che si offre è infinitamente più ricca di quella di uno spazio suddiviso in due ambienti separati. 6 Brook crede in un teatro capace di andare oltre le divisioni di genere, il cui modello era quello elisabettiano, l’unico della tradizione europea in grado di raccogliere gli spettatori, in tutta la loro diversità, all’interno della stessa esperienza. La ricerca di Brook si sviluppa intorno alla ricerca di un linguaggio comune che vado oltre a barriere quali il linguaggio, la cultura, la tradizione. La rappresentazione non è un’imitazione o una descrizione di un evento passato. Una rappresentazione nega il tempo, abolisce le differenze fra ieri e oggi. Prende l’azione di ieri, la fa rivivere in tutti i suoi aspetti senza perdere di immediatezza. In altre parole una rappresentazione è esattamente ciò che dichiara: rendere presente. “Un tappeto come palcoscenico e scenografia”. Fondamentali sono il pavimento e il fondo che vengono animati dalla presenza di un tappeto che condensa l’azione e rimanda alla tradizione del racconto, della parola orale narrata e drammatizzata, al cantastorie che si trova all’origine delle culture umane. Elemento multietnico antropologicamente originario. L’importanza sul lavoro del non-verbale è innanzitutto lavoro sulla soggettività. Il regista e l’attore, per quanto possano aprirsi, non possono mai uscire dai loro panni. L’unico modo per incontrare l’altro è rimanere fedele a se stessi e riconoscere che questa dialettica tra interno ed esterno cresce attraverso lo scambio. É lavoro sul silenzio, lavoro sul corpo, lavoro sulla percezione, e infine lavoro sulla parola. La vita umana è ricca e mai sufficientemente esplorata. Il teatro autentico ne cerca la pienezza e il mistero. Un’esperienza importante nella biografia artistica brookiana sia stata la partecipazione a The Connection del Living Theatre, uno scioccante spettacolo sul confine tra realtà e finzione. Come si può dare al testo la densità dell’esperienza? Shakespeare ci riusciva a rendere il suo palcoscenico un concentrato esistenziale, un distillato di ciò che la vita è. Come è impostato il rapporto attore-personaggio in questo contesto interpretativo? Il lavoro sul personaggio deve essere un lavoro di sottrazione piuttosto che di costruzione. La nascita del personaggio può accadere solo con l’eliminazione degli ostacoli. Il teatro gode del privilegio di essere luogo di incontro tra le grandi questioni dell’umanità. 7 La convenzione piatta e naturalistica è estranea. Improvvisazione ritenuta anacronistica. I nuovi elementi della scena sono: • L’ambiente • Gli oggetti • L’attore Idea di teatro totale inteso come creazione complessa in cui gli elementi della composizione rimangono eterogenei. Kantor parla del suo spazio non di laboratorio ma di ATELIER, sostenendo che l’idea che vi sta dietro, al contrario del laboratorio, è il luogo dove un gruppo di artisti svolge un lavoro collettivo, aperto al pubblico. Il prodotto naturale di questa rivoluzione è la poetica dell’oggetto, l’happening e l’imballaggio. (L’imballaggio evita di trasformare l’oggetto in feticcio e ne conserva l’inconoscibilità e l’impenetrabilità). Kantor rivendica l’autonomia del teatro che non è un apparecchio per riprodurre la letteratura ma una realtà complessa dove suono, oggetto e movimento, senza alcuna pretesa di illustrazione reciproca, si integrano casualmente e non razionalmente. Manifesto del teatro zero. Interpretazione in sordina, automatismo dei gesti, dissolvimento del contenuto, allentamento dei legami logici sono caratteri di questo “grado zero” del teatro. Contemporaneo alla sperimentazione dell’imballaggio è l’happening. Sappiamo quanto questo genere di performance fosse di attualità negli anni ’60-’70. L’approccio kantoriano risente della poetica degli oggetti appena delineati. Happening e imballaggio sono due parenti stretti, congiunti. Sono entrambi filiazioni della medesima posizione assunta nei confronti della realtà quotidiana: l’artista deve sottrarre la dimensione della funzionalità e dello scopo, ridare autonomia alla materia, ipostatizzarla, trasformare la sua gravità in un’opera d’arte, creare legami invisibili fra le cose, fra gli attori e la realtà, svelare le infinite possibilità, teatralizzare l’inanimato. La matrice generativa è quell’ossimorica identificazione fra la vita e il nulla, fra il vivente e il mortale. L’inanimato può vivere perchè nel vivente si agita un fondo mortifero. Su questa transitivi Kantor costruisce la stessa possibilità di fare teatro. Gli attori “marionettizzati”, i manichini si fanno interessanti e percepibili ai vivi perchè destano sorpresa. Onorati e respinti perchè altri ed estranei, sono percepiti come oggetti. L’identificazione fra morte e vita è il terreno su cui si impunta la necessità dell’attore-oggetto, fisso, immobile, interscambiabile con il non-vivente, esso stesso ridotto a manichino. Kantor interpreta la poetica della SUPERMARIONETTA come l’espressione di un omaggio alla morte. L’idea di eliminare l’attore vivo per introdurre la marionetta non 10 è condivisa da Kantor che super tale idea in virtù della poetica della “realtà pronta” che mette in moto l’immaginazione. L’utilizzo della Supermarionetta, del manichino non è votato alla sostituzione dell’attore, bensì ad essere considerato come modello che incarna e trasmette un sentimento profondo della morte e della condizione dei morti. Modello etico ed estetico. Il non essere è insediato nel cuore stesso di ciò che chiamiamo vita. La maschera mortuaria del manichino è l’altra faccia dell’attore vivo: li connette la vita stessa. L’oggetto con cui si muove inseparabilmente l’attore è un oggetto spoglio. Più spoglio è più puro. L’oggetto diviene esso stesso attore. Si crea una simbiosi fra l’attore e l’oggetto tanto che l’oggetto assume la nozione di bio-oggetto. Esso si carica dell’umanità del personaggio diventando metonimia del passato, del ricordo. La metafisicizzazione del divenire ha la sua cifra artistica nel grottesco, una delle chiavi di accesso alla produzione kantoriana. Gli esistenziali sono drammatizzati attraverso atti comici, parodistici, circensi. Nel teatro kantoriano non vi è un metodo per la recitazione, l’attore è gettato in qualche elemento teatrale. Questo elemento è definito ma non è definito il modo di nuotare. L’oggetto è dominante, dà forma all’attore. Il metodo di lavoro assegna la npriorità all’intuizione creativa. Lo spazio non è un vuoto da riempire, ma un volume definito dai corpi, dagli oggetti, dalle cose. Kantor propone soluzioni anche sul problema della luce. La logica combinatoria del collage interiore non è mai esaurita. Ogni singola rappresentazione ha subito delle modifiche elidendo in tal modo la separazione e l’irreversibilità di prova e spettacolo. Non si dimentichi d’altra parte che il regista considera le emozioni come vissuti psichici che sono costruiti dagli oggetti e, a loro volta, li costruiscono. La mobilità degli elementi della scena rispecchia la mobilità degli elementi emotivi. In questo senso quella kantoriana è una scena apost-moderna. (Sintesi finale pag. 144) CAPITOLO 6 - La Regia come Lavoro sulla Luce. Robert Wilson Robert Wilson è riuscito a elaborare uno stile del tutto personale, come il conio dell’espressione “alla Wilson” testimonia. 11 La ricerca di un teatro “totale” nel quale si sintetizzano parola, danza, opera, arti visive, performance, cinema, canto, vaudeville in un’unità di segni e di senso, sono state riassunte nella definizione del teatro wilsoniano come TEATRO IMMAGINE. Definito anche quello di Wilson Teatro Terapia. Wilson con la tecnica del collage impasta fra loro non solo immagini e oggetti ma anche musiche di ogni genere: ballate, spirituals, brani jazz, blues. Il teatro si configura ai suoi occhi come VIAGGIO. Le fasi di costruzione di uno spettacolo sono riconducibili a tre tappe di un work in progress: • Lavoro sullo spazio • Lavoro sul movimento • Inserimento del testo - L’operazione sullo spazio-tempo è guidata dalla ricerca di una sigla di astrazione, che si identifica con il rifiuto della sommissione oggettuale e il trionfo del vuoto e del non-determinato Creazione di corrispondenze visuali. Collage visivo di immagini e attività che ricorrono a strati, orizzontalmente, in zone della scena chiaramente definite. Dissociazione del pensiero e del movimento. Effetto slow-motion, rallentamento esasperato che concede allo spettatore il tempo di riflettere, di addormentarsi anche contribuire egli stesso quindi alla rappresentazione. Strettamente collegato con il rallentamento del gesto è la dilatazione del spazio che percorso in una estrema quantità di tempo viene relativamente allungato o ristretto. Lo spazio è percepibile attraverso la luce. La luce crea l’atmosfera onirica, dematerializza, scolpisce, dona apertura o clausura, sussurra ciò che le parole non possono dire. Più spazio c’e intorno ad una cosa più questa diviene importante. Più si fa vuoto più si attiva l’apertura sensoriale e percettiva. - Il lavoro sull’attore rifugge ogni psicologismo e procede secondo una rivisitazione anti-psicologica del metodo delle azioni fisiche Il primo lavoro richiesto agli attori consiste nella capacità di mettersi in relazione con lo spazio. Wilson procede in maniera inversa rispetto alle indicazioni di Stanislavskij rifiutandosi di partire dal personaggio e lasciando totale libertà al pensiero. Non propone alcuna interpretazione ma pretende un grande rigore corporeo, concentrazione, senso del ritmo, e tensione costante. L’attenzione al movimento e al suo dipanarsi nel tempo è la declinazione wilsoniana alla centralità del processo. La valorizzazione del gesto non per ciò che significa ma per ciò che è. Inizialmente Wilson propone tutto su carta poi inizia un’attività maieutica con gli attori. La voce contribuisce a costruire tale atmosfera con un lavoro assai raffinato che Wilson conduce chiedendo improvvise accelerazioni e rallentamenti progressivi fino alla pausa 12 L’omissione: la vita di un corpo in scena è il frutto di un lavoro per sottrazione. Come il regista di un film procede tagliando la pellicola e incollando gli spezzoni scelti, così il regista lavora sul “film” delle azioni dell’attore. Il principio dell’equivalenza è l’esatto contrario dell’imitazione. Secondo l’equivalenza la realtà viene resa attraverso un suo sistema corrispondente. É possibile vedere l’equivalente fisico di parole quali dio, dea, divino. Barba addestrata i suoi attori all’uso dei risonatori della voce che indicava man mano con la mano. Avvicinava la mano e l’allontanava dalle labbra per far loro modificare il volume. Per colorare la voce la associava ad elementi naturali. Le immagini decidevano la qualità della voce. Quattro sono le fasi progressive del training: La prima. Consta nell’apprendimento di esercizi imposti dall’istruttore e nella scoperta di un nuovo modo di pensare il corpo. La seconda. Contrassegnata dall’inserimento di esercizi personali e dall’inizio della lotta contro gli automatismi. La terza. Si iniziano ad impostare le prime sequenze e le prime partiture fisiche. La quarta. Il percorso drammaturgia si fa completo nel passaggio da un tema all’invenzione di testi, musiche, costumi, luce, sequenze di azioni, danze. All’Odin Teatret l’apprendimento avviene per imitazione. L’utilizzo dello slow-motion conduce al superamento dell’equilibrio entropico della vita quotidiana. Una tappa fondamentale è quella dell’improvvisazione. Ne esistono almeno tre tipi: • Improvvisazione con elementi fissi (data una catena di azioni si improvvisa l’ordine delle parti) • Improvvisazione all’interno di un principio (si fanno azioni all’interno di una cornice di regole) • Improvvisazione a partire da un tema Le improvvisazioni sono riprese da una telecamera alla sola presenza del regista. Queste vengono poi analizzate e imitate. 15 CAPITOLO 8 - La Ricerca dell’Interiorità e della Storia. Ariane Mnouchkine Il tetaro, arte stregata per eccellenza in quanto luogo della non-permanenza, ha alle proprie origini il sogno di essere espressione di un gruppo. Il gioco del teatro non tollera la solitudine. É l’agosto 1970 quando Christian Dupavillon segnala a Ariane Mnouchkine che il ministro della Difesa francese ha deciso di restituire i beni dell’esercito ai loro antichi proprietari e quindi la Cartoucherie alla Città di Parigi. La corsa all’Hotel de Ville la richiesta dell’autorizzazione a utilizzare il sito per il teatro. Il luogo ha tutte le caratteristiche necessarie per essere eletto da Ariane Mnouchkine a sede ideale: semplice, spazioso. Sembra lo spazio adatto alla cooperativa fondata nel 1964, nella quale tutti i membri sono su un piano di parità professionale ed economica. La storia del Soleil non inizia con l’insediamento alla Cartoucherie. Il debutto va collocato nel quinquennio compreso fra il 1964 e il 1969, quando Ariane organizza, con u gruppo di giovani entusiasti e inesperti quanto lei, la cooperativa. Il metodo di lavoro era quello della “messa nello spazio” piuttosto che la messa in scena. L’interesse per la storia vista con gli occhi del popolo, la ricerca del gesto autentico, l’opzione estetica e politica della creazione collettiva, diventano le sigle di uno “stile” che intende coniugare teatro, politica ed etica in un trittico. La regia doveva essere per Ariane un ruolo pedagogico e alla pari con gli attori, tuttavia vi era una struttura gerarchica nel riconoscimento del rapporto maestro- allievo. Giunta alla maturità Ariane opta per il testo. La scena non può essere mera imitazione, deve raccontare più di quanto non si veda. L’attore deve entrare nell’anima del personaggio. Mnouchkine è convinta che il rapporto attore-personaggio debba essere capovolto: l’attore non deve andare incontro al personaggio cercandolo nel testo e fuori di sé, quanto piuttosto dentro di sé. L’attore deve vedere, ricevere, lanciare. Deve essere al contempo concavo e convesso; prendere e ridare; ascoltare e guardare per poi fare. Il gioco nasce da questo movimento basculatorio e ciò è tutt’altro che ovvio, scontato facile. Sono richieste doti, allenamento, etica professionale. Il personaggio può nascere solo se l’attore dichiara guerra permanente al proprio ego e a qualsiasi atteggiamento narcisistico. Teatro come gioco sacrificale. 16 Ariane parte nel 1963 per un viaggio in Oriente. Osserva, guarda la gente, incontra persone, immagazzina immagini, sensazioni. Riflessione su tragici greci, portatori di universalità e sul teatro orientale. Se l’Occidente ha visto nascere i grandi testi, l’Oriente ha visto nascere l’arte dell’attore. Due infanzie che Ariane vuole coniugare. Importanza della musica come nell’antica Grecia.. Lo spazio è pensato in modo da mettere in comunione il pubblico con l’attore, come nella tragedia greca. Gli attori sono molto liberi. L’unica vera regola è la puntualità. Teatro inteso come un gioco dei bambini … che “giocano a..”. Gli attori vedono e scelgono il proprio personaggio. La teoria del teatro è credere in ciò che si recita. La regia non può che avere una funzione maieutica. Ariane è convinta che i costumi abbiano un magico influsso sull’attore. La musica naturalistica è rifiutata. Importante è il lavoro sulla maschera. CAPITOLO 9 - Il Teatro Verticale di Anatolij Vasil’ev Veramente daccapo è tornato Anatolij Vasil’ev con il suo teatro, ancor prima della morte di Grotowski. Nulla è stato ripreso dall’esperienza grotowskiana pedissequamente sera indagare sempre ex novo le ragioni del fare teatrale e le sue modalità. Fino al 1986 Vasil’ev non ha la possibilità di lavorare in uno spazio proprio, per trovare poi uno spazio autunno e indipendente. Nella materialità degli spazi si incarna un’intera antropologia poetica. Si tratta di una scuola con lo statuto giuridico di un teatro, un luogo di studio. Vasil’ev a “studio” preferisce la parola “laboratorio”. Il legame tra attore e regista è un legame di empatia, persino d’amore. L’attore deve essere una personalità capace di scoprirsi e di manifestarsi e il compito del regista consiste nell’accompagnare tale processo. Per Vasil’ev l’attore è un dipintore di icone: agisce e fa, per svelare una verità metafisica. Sullo sfondo delle stesse nozioni di “sacrificio”, “atto totale” si muove un percorso verticale che trapassa l’immanenza e fa del teatro non solo un “veicolo” per rivelare l’essere umano ma una corrente di trasmissione fra Dio e l’uomo. Se per Grotowski il testo non era che il trampolino che dà la possibilità, il mezzo, all’attore di esprimersi, per Vasil’ev esso è il portatore di una verità sepolta che richiede di essere ascoltata e successivamente portata alla luce. Da qui l’amore per il testo che si accompagna all’amore per l’attore. Il testo è raggiungibile inseguito ad un lavoro di impossessamento ovvero di lettura, scavo, scomposizione e ricomposizione. 17
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