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Gabriele Paleotti, Ulisse Aldrovandi e la cultura a Bologna nel Cinquecento: riforma spiri, Dispense di Storia dell'Arte Moderna

La figura di gabriele paleotti, vescovo di bologna nel secondo cinquecento, e di ulisse aldrovandi, naturalista e storico, e il loro ruolo nella cultura e nella riforma della chiesa e dell'università di bologna. Il documento mette in evidenza la loro amicizia e la loro collaborazione nella promozione di una riforma spirituale e organizzativa della chiesa, nonché della promozione degli studi di storia ecclesiastica e della ricerca scientifica all'interno dell'università. Vengono descritte le loro iniziative, come la fondazione del primo orto botanico e la riforma dello studio, e il loro atteggiamento verso la natura e l'arte, in particolare la pittura.

Tipologia: Dispense

2022/2023

Caricato il 28/12/2023

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Scarica Gabriele Paleotti, Ulisse Aldrovandi e la cultura a Bologna nel Cinquecento: riforma spiri e più Dispense in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! Gabriele Paleotti, Ulisse Aldrovandi e la cultura a Bologna nel secondo Cinquecento G. Olmi, P. Prodi Giuseppe Olmi - Paolo Prodi (1932-2016) → professori di storia moderna all’UNIBO e nelle principali università italiane. Riforma protestante (o scisma protestante) → nelle sue correnti principali della Riforma luterana e della Riforma calvinista, è il movimento religioso di separazione (Scisma) dalla Chiesa Cattolica avvenuto nel XVI secolo, con risvolti politici di tipo rivoluzionario, che ha portato alla nascita del cosiddetto "cristianesimo evangelico". Figura centrale alla quale si attribuisce la nascita del movimento protestante è l'ex-frate agostiniano Martin Lutero. Concilio di Trento (1545-1563) → il concilio di Trento o concilio Tridentino fu il XIX concilio ecumenico della Chiesa cattolica, convocato per reagire alla diffusione della riforma protestante in Europa. L'opera svolta dalla Chiesa per porre argine al dilagare della diffusione della dottrina di Martin Lutero produsse la controriforma. Il concilio di Trento si svolse in tre momenti separati dal 1545 al 1563 e durante le sue sessioni a Roma si succedettero cinque papi (Paolo III, Giulio III, Marcello II, Paolo IV e Pio IV). Produsse una serie di affermazioni a sostegno della dottrina cattolica che Lutero contestava. Con questo concilio la Chiesa cattolica rispose alle dottrine del calvinismo e del luteranesimo. Il concilio non riuscì nel compito di ricomporre lo scisma protestante e di ripristinare l'unità della Chiesa, ma fornì una risposta dottrinale in ambito cattolico alle questioni sollevate da Lutero e dai riformatori. Venne fornita una dottrina organica e completa sui sacramenti e si specificò l'importanza della cooperazione umana e del libero arbitrio nel disegno di salvezza. Riforma Cattolica → per Riforma Cattolica si intende quell'insieme di misure di rinnovamento spirituale, teologico, liturgico con le quali la Chiesa cattolica riformò le proprie istituzioni dopo il Concilio di Trento. Furono in particolare i pontefici successivi al concilio ad attuare e portare a compimento il processo di riorganizzazione della Chiesa. Il primo di essi è papa Pio V, eletto nel 1566, che promulgò il Catechismo Romano, l’uniformità della liturgia nella chiesa occidentale e l'adozione universale del rito romano nella sua forma tridentina. Nel 1571 Pio V istituì inoltre la Congregazione dell'Indice, con il compito di mantenere aggiornato l'Indice dei libri proibiti e la facoltà di effettuare speciali dispense. Arte della controriforma → L'arte della Controriforma, che fu una conseguenza del concilio, influenzò l'intera Europa a partire dalla seconda metà del XVI secolo. I princìpi generali sulla liceità dell'uso delle immagini furono rivisti e subito dopo il concilio la tendenza alla magnificenza del manierismo e alcune licenze formali vennero abbandonate, almeno in campo religioso. La Chiesa romana introduce il controllo delle opere da parte delle autorità religiose locali. Le opere devono essere vagliate con attenzione e in esse vi deve essere chiarezza, verità, aderenza alle scritture. La piena leggibilità, il decoro, devono essere caratteristiche imprescindibili; le deformazioni, i lussi e i viluppi e le disinvolture del Manierismo sono condannati senza appello. In una lettera pastorale del 1576, in occasione dell’avvicinarsi di un’epidemia di peste, il vescovo di Bologna Gabriele Paleotti non perdeva l’occasione per ricordare, di fronte al pericolo imminente, la protezione che Dio aveva sino a quel momento concesso alla città (mantenendola in pace, aumentando le arti ed illustrando le scienze). Nel momento in cui il vescovo forniva tale quadro, in tutta la penisola → si stava avviando l’offensiva rigorista della Chiesta cattolica post-tridentina. L’opinione paleottiana potrebbe da alcuni esser interpretata come “di parte”, essendo quest’ultimo un membro dell’alta gerarchia ecclesiastica. Tuttavia, risulta semplicistico parlare di una cultura bolognese in crisi e vedere il mondo intellettuale della città appiattito da posizioni conformiste ed incapace di elaborare proposte originali. Iniziando l’attività episcopale nel febbraio del 1566, Paleotti, aveva messo subito in mostra la decisa volontà di avviare, tra clero come tra i laici, un profondo, radicale rinnovamento dei costumi della vita religiosa. Dopo aver partecipato attivamente a quest’ultima e decisiva fase del concilio Tridentino, Paleotti fu infatti, con altri vescovi dell’Italia settentrionale, tra i più convinti assertori di una riforma spirituale e organizzativa della Chiesa condotta avanti non per mezzo di interventi di tipo censorio e coercitivo, ma attraverso l’esempio personale, un’attenta e sensibile mediazione e il coinvolgimento di tutte le forze laiche ed ecclesiastiche della diocesi. L’impegno alla residenza continua da lui immediatamente assunto quale principio necessario e fondamento stesso di un pieno esercizio della funzione episcopale, il contatto diretto, il colloquio stabilito quotidianamente con il clero e il popolo tramite la predicazione e le visite regolari alla parrocchie della città/ del contado → vanno sicuramente annoverati fra quei tratti caratterizzanti della sua azione pastorale. La forte carica di novità delle sue iniziative e la natura della riforma da lui proposta (tutta sul piano spirituale e sociale) incontrarono numerosi ostacoli = resistenze del clero, delle confraternite laicali, delle autorità cittadine a livello locale + intromissioni nel governo della diocesi da parte del governatore (rappresentante diretto del Pontefice nella città). Non è comunque questa la sede per ripercorrere tutte le tappe della sua azione pastorale. Basterà ricordare come in studi di logica, diritto, matematica, medicina nelle università di Bologna e Padova – viene processato dall’Inquisizione nel 1549 quale presunto seguace delle dottrine antitrinitarie di Camillo Renato. Superato tale inconveniente, egli orienta i suoi interessi verso le scienze naturali e inizia una lunga attività di studioso, destinata a durare circa mezzo secolo, nel corso della quale imposta una sistematica indagine della realtà naturale. Dal 1556 egli divenne inoltre docente universitario, e, nel corso del suo lungo insegnamento, lo scienziato bolognese non venne mai meno al principio ispiratore della sua instancabile attività di osservazione della realtà: la continua utilizzazione in chiave pubblica dei risultati della sua ricerca scientifica, la finalizzazione del proprio lavoro al miglioramento delle condizioni dell’uomo → egli rifiutò sempre infatti quel metodo di indagine basato su segretezza e isolamento. Il settore in cui Aldrovandi si impegnò particolarmente fu infatti quello dell’assistenza pubblica, nonché quello della riqualificazione dell’arte medica e farmaceutica. Inoltre, appoggiò moltissimo la riforma dello Studio tentata dal Paleotti, come emerge anche da un memoriale a lui inviato in cui si richiede maggiore spazio all’insegnamento universitario delle scienze naturali. Altra iniziativa importante: la fondazione del (primo) orto botanico della città, tramite il quale l’Aldrovandi dotò studenti, medici e speziali di un laboratorio di istruzione/ ricerca. Qui si potevano coltivare molteplici specie di piante provenienti da tutto il mondo = strumento di aiuto agli studi botanici + fonte di prodotti terapeutici. L’Aldrovandi fu poi autore di un’opera molto importante: l’Antidotarii Bononiensis ... epitome = prima farmacopea del centro emiliano, mediante la quale si potevano stabilire i farmaci legittimi e i criteri della loro preparazione. Comunque, la più vera e grande impresa dello scienziato bolognese, fu sicuramente la stesura di un completo e dettagliato catalogo dell’intera realtà naturale. Per fare questo, ovviamente non si accontentò dello studio di manuali o di informazioni che numerosi studiosi gli comunicavano, questo perché la sua voleva essere un’innovativa ricerca, all’insegna della continua osservazione della realtà. Per riuscire bene in questo intento = orto botanico + il suo “teatro di natura”. Per “teatro di natura” si intende il suo personale studio, caratterizzato da una enciclopedica commistione di artificialia e naturalia, una sorta di “campo di gara” fra arte e natura, all’interno del quale è possibile approdare alla conoscenza universale. Gli esemplari che colleziona, tra minerali, animali e piante, arrivano al numero di 18.000 pezzi e costituiscono uno strumento di ricerca/ di semplificazione didattica. Questa funzione pubblica del suo personale museo, viene da lui costantemente ricordata e ulteriormente ribadita nel testamento = rifiuto della segretezza del sapere, volontà di operare al fine di migliorare l’effettivo patrimonio del genere umano. Conoscere la natura per lui significa non solo vederla di continuo, ma anche FARLA VEDERE. Le difficoltà relative al suo ambizioso progetto furono molte. Sappiamo che, per arricchire di continuo il suo museo, egli poteva contare sull’aiuto di moltissimi studiosi e principi appassionati alla storia naturale. Nonostante ciò, ottenere esemplari dalle terre lontane (ed in particolare dalle Americhe) era sempre molto difficile. Per poter conoscere tutte le forme dei regni della natura e per poterle documentare anche visivamente, lo scienziato raccolse, ma soprattutto fece direttamente eseguire circa 8000 figure di animali, piante e minerali. Solo in tal modo riuscì a raggiungere lo scopo di formare un immenso archivio della natura. Alla realizzazione del dettagliatissimo corpus iconografico aldrovandiano contribuirono parecchi artisti = pittori, disegnatori, incisori = formazione di una vera e propria bottega artistica specializzata nella produzione di soggetti naturalistici = tali artisti ebbero un notevole ruolo quando si trattò di mandare alle stampe la Storia Naturale dell’Aldrovandi, corredata ovviamente da immagini. Artisti che strettamente si legarono allo scienziato: Giovanni de’ Neri, Cornelio Schwindt, Cristoforo Coriolano. Questo stretto contatto con gli artisti, fecero nascere in lui riflessioni sul significato e sul valore delle arti. Le raffigurazioni delle “cose di natura” rappresenta per lo scienziato bolognese un mezzo estremamente idoneo per raggiungere la loro conoscenza e per poterne poi effettuare un’esatta descrizione. Egli aveva quindi bisogno di copie assolutamente fedeli della realtà, eseguite cioè da artisti disposti a lavorare “dal vero” e a lasciarsi guidare da lui, rinunciando ad ogni velleità di tipo estetico. La conseguenza di ciò = mortificazione delle capacità creative degli artisti alle sue dipendenze + adozione di un metro di giudizio, nelle sue teorizzazioni sulle espressioni figurative, tutto all’insegna di un realismo quasi ossessivo. Certamente il suo giudizio circa la pittura era positivissimo: “arte nobilissima, la più bella, la più honorata” = tuttavia, tale giudizio entusiasta viene da lui dato esclusivamente perché la pittura offriva ottime possibilità nella riproduzione “al vivo il prodotto della natura” = il vero significato della pittura risiede nella sua utilità, nell’aiuto che essa offre per documentare l’intera realtà naturale. Tale visione strumentale dell’arte rende difficile l’attribuzione di un influsso troppo diretto circa lo sviluppo della pittura bolognese del secondo Cinquecento all’Aldrovandi. Tuttavia, se l’analisi scientifica del naturalista viene considerata semplicemente come uno dei fenomeni inseriti nella vita culturale bolognese, essa finirà per apparirci non del tutto estranea a taluni orientamenti pittorici che si stavano manifestando in quel periodo nella città emiliana. In tal senso il primo concreto elemento da tenere in considerazione è quello costituito dalla fitta rete di rapporti intrattenuti dall’Aldrovandi con l’ambiente artistico bolognese. Infatti, se molti artisti gli “servirono” per le sue immagini naturalistiche, altri pittori furono da lui ingaggiati per l’esecuzione di opere normali, a carattere sia sacro che profano = Camillo Procaccini, Cesare Aretusi, Mario Sabatini (figlio di Lorenzo). Vari altri artisti poi avevano una diretta conoscenza dello studio-museo dell’Aldrovandi: Bartolomeo Passerotti, Prospero e Lavinia Fontana, Lorenzo Sabatini. Ovviamente le occasioni di incontro con questi artisti non si limitavano all’ambiente del suo studio-museo = sappiamo ad esempio che il naturalista era amico e frequentatore delle case dei Fontana (Malvasia). Probabilmente, fu anche grazie a tali contatti che l’Aldrovandi riuscì ad acquisire le giuste credenziali per entrare a far parte di quel gruppo di esperti ai quali il Cardinale Paleotti era solito sottoporre i singoli capitoli in via di stesura del suo Discorso intorno alla immagini sacre e profane. Oltre a questo, si ricordi ovviamente che Aldrovandi-Paleotti erano molto amici = questa forte amicizia deriva, tra le altre cose, anche dal loro comune interesse per le cose naturali. L’indagine naturalistica in Paleotti non era solo frutto di un proprio interesse personale, anzi, era anche molto legata al suo impegno religioso → su esortazione dell’Aldrovandi infatti, egli iniziò a comporre il Theatrum biblicum naturale = ossia una historia naturalis del mondo biblico che, come tale, rappresentava un mirabile tentativo di penetrare nella Scrittura con il nuovo metodo classificatorio delle scienze della natura. Interessanti sono delle epistole fra questi due eruditi circa l’origine e l’essenza della pittura: anche in tal caso l’Aldrovandi cade in una serie di luoghi comuni, assegnando alla pittura l’unico compito di fornire immagini fedeli alla realtà. Il forte rapporto Aldrovandi-Paleotti, emerge moltissimo nel trattato paleottiano, ove emergono echi della quotidiana consuetudine dell’Aldrovandi con il mondo naturale: • Capitolo XII, primo libro (dedicato alle immagini profane) → qui si affida alla pittura (anche) il compito di favorire l’esplorazione sistematica dei tre regni della natura, poiché è solo grazie ad essa che diventa possibile avere la vera notizia di piante, uccelli, pesci ecc.; • Passi in cui Paleotti rivendica alla pittura la capacità di rendere “le cose presenti agli uomini, se bene sono lontane”. = i due quindi, pur partendo da motivazioni diverse (scientifiche nell’uno, religiose e morali nell’altro), finiscono per esprimere giudizi e proposte assai convergenti. Quale fu l’impatto del Discorso sull’ambiente artistico bolognese nel suo complesso [si tralascerà in questa sede il complesso problema dell’influsso sui Carracci e del naturalismo di Ludovico]? Certamente ricca di implicazioni e sostenuta da prove inconfutabili, è la costatazione che il trattato paleottiano non rappresentava un prodotto intellettuale isolato, spuntato dal nulla. Il Cardinale infatti, non solo intendeva rivolgersi in modo specifico alla sua città, ma aveva anche cercato, come si è detto, l’approvazione di vari personaggi (Sigonio, Aldrovandi, Fontana, Tibaldi). Inoltre, si Circa i possibili contatti con l’attività aldrovandiana, due sono i pittori le cui opere attirano una particolare attenzione: Prospero Fontana, Bartolomeo Passerotti: • Circa il primo artista → di un rapporto Aldrovandi-Fontana ce ne parla il Malvasia. Inoltre, grazie alle ricerche di Vera Fortunati, sono emersi in alcuni dipinti di Prospero, i segni di un interesse botanico non del tutto casuale = dietro ad esso si potrebbe tranquillamente leggere un’utilizzazione di precise indicazioni fornite da uno scienziato. Si pensi in tal senso alla Deposizione di questo artista, oggi alla Pinacoteca di Bologna, e soprattutto alle foglie “scientificamente” disegnate. Si pensi anche all’Orazione nell’orto, alla Galleria Davia Bargellini, e a quel mirabile tappeto erboso sopra cui è inginocchiato Cristo. • Riguardo il Passerotti invece → palesi sono le sue aperture/ curiosità verso il mondo della natura. Indizi interessanti in tal senso = la frequenza con cui nei suoi vari ritratti ricorrono botanici, medici, speziali e così via + il quadro con un giovane nero vicino a un vaso di fiori, che potrebbe esser stato commissionato da un cultore di botanica attorno al 1580 (questo secondo le fonti) + i particolari di numerosi quadri, raffiguranti soprattutto fiori molto dettagliati (ex. Ritratto botanico, Galleria Colonna, Roma; Ritratto di famiglia, Vienna) + frequente presenza di animali, soprattutto cani, entro i suoi dipinti. In alcune di queste composizioni si può probabilmente leggere un influsso della pittura veneta, prettamente di Jacopo Bassano. Del Passerotti ricordiamo poi l’Andromeda liberata da Perseo. In questa opera, la totale esclusione del dramma e la tragicomica positura dei due protagonisti, valgono a ricondurre l’impianto generale del quadro entro l’aurea tradizionale della Maniera. Tuttavia, ai piedi e sotto la mano dell’eroina, è tutto un piccolo giardino botanico che fiorisce; poi conchiglie e l’allucinante essere marino, fantastico sì, ma tanto simile ai molti visivamente documentati nei fogli dell’Aldrovandi. Il Passerotti conosceva quest’ultimo e ne visitava il museo, ma i modelli o l’’ispirazione per i suoi quadri poteva anche trovarli più a portata di mano: la sua stessa bottega era infatti un vero e proprio museo, una Wunderkammer, contenente le stampe più rinomate, rilievi romani, antiche medaglie, tantissimi libri, “mostri secchi e conservati, animali, frutta ed altre cose impietrite, idoletti, camei e simili curiosità”. Dopo quanto si è detto, risulta possibile risolvere il problema dei riscontri avuti dall’opera aldrovandiana all’interno dell’ambiente artistico bolognese. Non è probabilmente per caso che il naturalista, nell’unica volta che nomina i Carracci, sostenga di non avere con loro “nessuna famigliarità”, mentre di contro ricorrenti sono, fra le sue carte, le prove di quotidiani rapporti con pittori legati alla Maniera. Se infatti si vogliono indicare in Bologna degli artisti che potevano largamente identificarsi e trovare pieno appagamento nell’universo aldrovandiano, questi sono proprio i vari Fontana e Passerotti. Non è nel ritorno alla natura e alla storia dei Carracci – di Ann e Ludo soprattutto – in una tal complessa e autonoma impresa intellettuale che si può pensare di cogliere trasposizioni dei scientifici resoconti del reale cari all’Aldrovandi. Le indicazioni scaturenti dalla ricerca di quest’ultimo quindi, sono sì parte della cultura dei tre cugini, ma senza mai determinare nelle loro opere spiccati momenti di prosa scientifica. Ben altra è invece la posizione dei manieristi bolognesi. Tutto il mondo legato all’Aldrovandi infatti, costituiva per pittori come Pas e Fon una possibilità davvero unica di sviluppare ulteriori e diverse forme di espressione da incastrare fra le tradizionali in loro possesso, senza in queste mai diluirle o confonderle. È proprio da tale minuta curiosità, da un SIMILE GROVIGLIO, PER L’APPUNTO MANIERISTICO, di interessi disparati che trae origine quel pluralismo stilistico di questi artisti ed è nell’Aldrovandi che essi trovano una “giustificazione teorica” al loro approccio alla realtà. Certamente, se si analizzano le opere di tutti gli artisti di un certo nome operanti nella Bologna del tardo cinquecento, è impossibile trovarne qualcuno che abbia prodotto una pittura in pieno aderente ai dettami aldrovandiani e dunque qualificabile come vera imitazione delle cose della natura. Tuttavia, è difficile escludere che al naturalista abbiano potuto guardare anche gli ambienti artistici bolognesi.
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