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GABRIELE PALEOTTI, ULISSE ALDROVANDI E LA CULTURA A BOLOGNA NEL SECONDO CINQUECENTO, Dispense di Storia dell'Arte Moderna

GABRIELE PALEOTTI, ULISSE ALDROVANDI E LA CULTURA A BOLOGNA NEL SECONDO CINQUECENTO di Giuseppe Olmi e Paolo Prodi

Tipologia: Dispense

2021/2022

Caricato il 08/04/2022

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Scarica GABRIELE PALEOTTI, ULISSE ALDROVANDI E LA CULTURA A BOLOGNA NEL SECONDO CINQUECENTO e più Dispense in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! GABRIELE PALEOTTI, ULISSE ALDROVANDI E LA CULTURA A BOLOGNA NEL SECONDO CINQUECENTO di Giuseppe Olmi e Paolo Prodi In una lettera pastorale del 1576 indirizzata ai fedeli della sua diocesi in occasione dell’avvicinarsi di una epidemia di peste, il vescovo di Bologna Gabriele Paleotti invocava la protezione di Dio, che fino a quel momento aveva concesso alla città di Bologna, arricchendola e aumentando le arti e illustrando le scienze. Sono gli anni, questi, in cui prende piede l’offensiva rigorosa della Chiesa cattolica controriformata e Bologna, essendo la seconda città dello Stato pontificio, inevitabilmente risente di questa posizione. Tuttavia, sarebbe sbagliato pensare alla cultura bolognese del XVI come una cultura in crisi, infatti non è un mondo intellettuale appiattito su posizioni conformistiche e incapace di elaborare proposte originali. Anzi, quella antica tradizione di ricerca e di dibattito che aveva caratterizzato la vita del centro emiliano grazie al suo Studium riesce a sopravvivere, seppur con qualche difficoltà, anche grazie al cardinale Paleotti. La sua attività episcopale inizia nel 1566 e sin da subito mette in mostra la volontà di avviare, sia tra il clero sia tra i laici, un profondo rinnovamento dei costumi e della vita religiosa. Partecipò attivamente all’ultima fase del concilio tridentino, e fu uno dei più convinti assertori di una riforma spirituale e organizzativa della Chiesa condotta non per mezzo di interventi di tipo censorio e coercitivo, ma attraverso l’esempio personale. Elementi essenziali della sua attività diventano il contatto diretto e il colloquio quotidiano con il clero e il popolo tramite la predicazione e le visite regolari alle parrocchie e alle città del contado. Caratteristica dell’organizzazione diocesana di Bologna è una particolare insistenza sull’aspetto sociale della vita cristiana, quindi tutti i fedeli sono chiamati a riunirsi secondo le varie categorie sociali e professionali per collaborare attivamente con il clero, per aiutarlo a promuovere nuove iniziative in campo assistenziale e caritativo, quindi aiutarlo nell’assistenza spirituale e materiale agli infermi, ai carcerati, ai vagabondi ecc., quindi in poche parole a tutte le fasce più deboli ed emarginate della società. Intraprese un’aspra battaglia contro la disonestà diffusa fra gli amministratori di ospedali e ricoveri; inoltre, un’altra iniziativa fu rilevante sul piano sociale, cioè quella relativa all’istituzione catechistico- religiosa dei fanciulli delle classi popolari. Questi elementi spinsero i contemporanei a vedere in lui una fig. di vescovo-pastore. Il potenziamento delle scuole della dottrina cristiana non rappresentava che un aspetto più generale del rinnovamento culturale che il vescovo si sforzò di promuovere nell’ambito del suo progetto di riforma religiosa. Una grande attenzione venne da lui dedicata allo Studium, al quale si sentiva legato sia perché lì aveva ottenuto il dottorato in diritto civile e canonico sia perché lì aveva insegnato prima di intraprendere la carriera ecclesiastica. Negli anni universitari aveva stretto profonde amicizie con quelli che sarebbero diventati due docenti di grande prestigio, cioè lo storico Carlo Sigonio e il naturalista Ulisse Aldrovandi. Nei confronti dell’università, Paleotti si muove in modo equilibrato e graduale, lontano da un atteggiamento repressivo tipico dell’Inquisizione. Egli è convinto di poter unire la pietà cristiana con la scienza, di spingere gli intellettuali ad impegnarsi direttamente nel campo della vita religiosa, senza che esso porti ad una subordinazione della ricerca razionale. Infatti, in lui vi è una piena consapevolezza della netta distinzione esistente tra il mondo della natura, che deve essere indagato con la ragione e i sensi, e il mondo soprannaturale, la cui conoscenza deriva dalla fede. Con l’aiuto di Sigonio, il cardinale favorisce la nascita di una associazione degli studenti avente lo scopo di promuovere gli studi ecclesiastici, infatti, lo scopo di Paleotti è far sì che i giovani abbinino agli studi universitari anche una solida preparazione religiosa. Egli crede che il vero pericolo per gli intellettuali non risieda tanto nel fascino che su di essi esercitano dottrine più o meno eterodosse, ma nell’indifferenza e nel distacco dalla vita religiosa. Per quanto riguarda la situazione dello Studium bolognese, essa nel ‘500 non poteva dirsi peggiore di quella di tante altre università nella penisola, anche se alcune decisioni prese dal governo pontificio risultarono dannose per il libero pensiero dell’Università, come al decisione presa del legato Pier Donato Cesi di dotare Bologna di una nuova sede universitaria, che porta all’erezione, nel 1562-3, dell’Archiginnasio. Questa decisione portava al concentramento di tutti gli insegnamenti in un unico edificio, e quindi comportava una maggiore e più facile sorveglianza sugli scolari, sui lettori e sugli insegnamenti. Non mancarono altri tipi di provvedimento, tesi a privare gli studenti delle libertà di cui godevano sin dall’età medievale e i freni posti alla libera circolazione delle idee dall’attività della congregazione dell’indice. Nonostante queste, la vivace tradizione intellettuale dello studio rimase, anche grazie alla persona stessa di Paleotti, il quale spesso intervenne in prima persona a favore di persone inquisite per scagionarle dalle accuse o per mitigare la loro condanna; ad ex, solo grazie al suo aiuto personalità come Sigonio e Aldrovandi, caduti in sospetto, poterono evitare dure sanzioni. La sensibilità del vescovo nei confronti della cultura sembra manifestarsi anche nel momento in cui veniva pubblicato a Bologna l’Indice dei libri proibiti, manifestando la sua perplessità circa il ritiro dei più diffusi manuali scolastici o testi di studio utilizzati dall’Università. Tra le personalità più eminenti dello studium c’era sicuramente storico modenese Sigonio, il quale nel corso dei 21 anni di permanenza a Bologna, non si limitò ad esplicare la sua funzione di docente, ma entrò da protagonista nel dibattito culturale cittadino. Da Paleotti ricevette l’incarico di scrivere la storia di Bologna, inoltre insieme al fratello del cardinale, il senatore Camillo Paleotti, fu il direttore scientifico di una “Società tipografica bolognese”, avente lo scopo di introdurre una stamperia di libri, con l’obbiettivo di stampare libri di ogni genere, disciplina e lingua. Ma è soprattutto grazie all’attività in campo scientifico che l’Università riesce a ritardare il suo declino, soprattutto lo studium si fa portavoce di un nuovo modo per investigare il mondo animale e vegetale, caratterizzato dall’osservazione diretta della realtà e il ricorso massiccio alla raffigurazione delle forme studiate. In questo contesto, emerge la personalità del naturalista Ulisse Aldrovandi, la cui attività si svolge tutta all’insegna di un perfetto equilibrio tra le esigenze di ricerca espresse all’interno dello studium e un forte impegno civile. Egli, dopo aver intrapreso studi di umanità, diritto, logica, filosofia, matematica e medicina all’Università di Bologna e di Padova con maestri del calibro di Bocchi, Alciato e Catena, l’Aldrovandi viene processato dall’ Inquisizione nel 1549 quale presunto seguace di dottrine antitrinitarie. Dopo aver superato questa prova, egli orienta i suoi interessi verso le scienze naturali e inizia una lunga attività di studioso, destinata a durare circa mezzo secolo, nel corso della quale imposta una sistematica e analitica indagine della realtà naturale che per buona parte si svolge in sintonia con l’attività del Paleotti. Nel corso del suo lungo insegnamento egli non venne mai meno al principio ispiratore della sua attività di osservatore della realtà, cioè egli rifiuta un metodo di indagine fondato sull’isolamento e la segretezza che caratterizza tante fig. di maghi-scienziati del ‘500, infatti si fa carico dei problemi culturali e sociali della sua città. Il settore nel quale si impegnò particolarmente fu quello della riqualificazione dell’arte medica e farmaceutica, e più in generale, dell’assistenza pubblica. Così, Aldrovandi fonda nel 1568 e poi dirige il primo orto botanico di Bologna. La ragione che lo spinge a dar vita a questa istituzione non è quella di offrire ai suoi concittadini un luogo di svago, bensì di fornire a studenti, medici e speciali un vero e proprio laboratorio di istruzione e di ricerca. La presenza dell’orto rendeva possibile la coltivazione di piante medicinali provenienti da tutte le parti della terra, quindi, dotava la città sia di un potente strumento di aiuto agli studi botanici sia una inesauribile fonte di prodotti terapeutici. L’impresa alla quale lo scienziato consacrò tutta la sua esistenza era la creazione di un dettagliatissimo catalogo della realtà naturale, così passò gran parte della sua esistenza alla raccolta dei materiali necessari. Avrebbe potuto prendere le informazioni su animali, piante e minerali dagli appunti presi da lui stesso nel corpo dei suoi viaggio, o dai dati che gli comunicavano i numerosi studiosi italiani e stranieri che erano in contatto con lui, inoltre, anche dai numerosissimi volumi, circa 3.500, che costituivano la sua biblioteca. Ma per uno scienziato come lui, che proclamava di non aver mai descritto alcuna cosa senza averla prima vista con i suoi occhi, toccata e accuratamente sezionata, notizie di questo tipo, indirette e legate a lontani ricordi, non potevano essere assolutamente ritenute soddisfacenti. Un formidabile campo di osservazione delle essenze vegetali era rappresentato dall’orto botanico, ma accanto a questa struttura creò privatamente nel suo studio un ricco museo da lui chiamato teatro di natura/ microcosmo di natura. Rispetto a tante collezioni italiane e europee del tempo, caratterizzate da una commistione tra artificiali e naturalia, quello dello scienziato nasce e si accresce sulla base di un progetto ben definito, cioè volge la sua attenzione prevalentemente ai prodotti di natura. Gli esemplari che egli collezione costituiscono uno strumento utile pe’ studiosi, atto cioè a favorire la ricerca e a rendere più semplice la didattica. Questa funzione pubblica del museo viene da Aldrovandi orgogliosamente ricordata e ribadita nel testamento con la decisione di lasciare, dopo la morte, quanto faticosamente raccolto e ordinato alla sua città. Anche in questo campo, nuovamente, emerge chiaro il suo rifiuto alla segretezza del sapere, infatti opera con la volontà che i risultati della sua ricerca scientifica diventino un effettivo patrimonio del genere umano. Sappiamo che per arricchire di continuo il suo museo egli poteva contare non solo sull’aiuto si numerosi studiosi, ma anche su quello di principi appassionati di storia naturale come i Granduchi di Toscana, Francesco I e Ferdinando I de Medici. Nonostante questo, ottenere esemplari dalle terre lontane e in part. dalle Americhe era sempre molto difficile e i sistemi di conservazione non erano ancora ben studiati per essere in grado di garantire la buona conservazione di piante e animali; quindi, per poter conoscere tutte le forme dei tre regni della natura e per poterle documentare anche visivamente nelle sue opere, lo scienziato raccolse, e soprattutto fece direttamente eseguire circa 8.000 fig. di animali, piante e minerali. Alla realizzazione del dettagliatissimo corpus iconografico aldrovandiano contribuirono parecchi artisti, infatti, attorno al naturalista si venne a creare una sorta di “bottega artistica” altamente specializzata nella produzione di soggetti naturalistici e formata da artisti con mansioni diverse e ben specifiche. Tre erano le fasi di lavorazione e altrettante, quindi, le fig. operanti sotto la guida di Aldrovandi: pittori, disegnatori e incisori. I primi lavorarono in mondo intenso durante i primi 30 anni di attività del naturalista eseguendo fig. a tempera o all’acquarello, gli altri entrarono in azione a partire dal 1590, cioè quando si trattò di mandare alle stampe la sua Storia naturale e di corredarla, quindi, di immagini. Ai disegnatori spettò il compito di Innegabile, in Passerotti, fu lo studio del corpo Umano, testimoniato da diversi disegni che rappresentavano una Lezione di anatomia. Più evidenti sono i suoi interessi verso il mondo della natura anche per le numerose raffigurazioni di ritratti di botanici, speziali, medici ecc; ma anche, e soprattutto, nei particolari di suoi numerosi quadri in cui emergono dettagli con fiori, piante, animali ecc. che ad esempio ritroviamo nel Ritratto di botanico (Galleria Spada) o nel Ritratto della famiglia Perracchini (Galleria Colonna). Per non parlare, poi, dei numerossissimi cani, ossessivamente presenti accanto all’uomo in numerosi ritratti, di volta in volta scelti sulla base di precise caratteristiche razziali per creare un adattamento con la fisionomia del padrone. La carrella sulle curiosità d’ordine naturalistico non può poi escludere l’Andromeda liberata da Perseo, opera in cui, nell’angolo in basso a dx, si apre un ritaglio improvviso di natura, il pittore ha permesso un improvviso squarcio di forme naturali vere e palpitanti. Vicino alla mano di Andromeda si trova un piccolo giardino botanico che fiorisce, poi conchiglie e l’allucinante mostro marino, fantastico ma molto simile a quello visivamente documentato nei fogli aldrovandiani. Che sia avvenuto uno scambio di idee a proposito del mostro è lo stesso Aldrovandi a darcene notizia, infatti nel momento in cui sta pubblicando l’immagine, afferma che è stato proprio il pittore a fornirgli una coppa ricavate dalla vertebra di una balena mostruosa. Non è un caso che il naturalista, nell’unico caso in cui cita i Carracci, afferma di non avere nessuna familiarità con loro, mentre sono molto frequenti i nomi, tra le sue carte, di rapporti quotidiani con pittori legati alla maniera. Infatti, il ritorno alla natura e alla storia dei tre Carracci è un’impresa autonoma e complessa, in cui ovviamente si possono cogliere trasposizioni dei resoconti scientifici dell’Aldrovandi che quindi fanno parte della ultura dei tre cugini, però i Carracci guardano al vero e al naturale in un modo nient’affatto scientifico. Essi osservano la realtà però poi la riassemblano attraverso la loro immaginazione.
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