Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Gadda Mauro Bersani, Sintesi del corso di Filologia italiana

Ogni capitolo del volume è centrato su un avvenimento emblematico della vita di Gadda.

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 16/01/2019

edo-vicomanni
edo-vicomanni 🇮🇹

4.5

(47)

11 documenti

1 / 18

Toggle sidebar
Discount

In offerta

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Gadda Mauro Bersani e più Sintesi del corso in PDF di Filologia italiana solo su Docsity! CORAGGIO E PAURA Maggio 1915. A Milano si susseguono manifestazioni a favore dell’entrata in guerra dell’Italia che portano in piazza circa trentamila persone. Fra i manifestanti c’è una forte componente di giovani fra cui uno studente del Politecnico Carlo Emilio Gadda. Al di là delle mille sfaccettature politiche a favore dell’entrata in guerra dell’Italia, è una tendenza che caratterizza i movimenti nazionalisti europei del primo Novecento: il culto dell’azione rispetto alla ragione, l’esaltazione della gioventù rispetto all’idea di maturità, il senso di superiorità o di inferiorità rispetto all’uguaglianza. È una reazione all’Europa industriale di cultura positivista. Per Gadda queste istanze prendevano soprattutto l’aspetto di una vocazione al tragico, che caratterizzerà tutta la sua opera di scrittore: la ricerca del dolore connessa ad un’idea di valori superiori dello spirito. Il quieto vivere diretto dall’utilitarismo è oggetto di disprezzo anche da parte di Gadda, e Shakespeare è l’autore che più di ogni altro ha rappresentato questa situazione, era l’autore prediletto di Gadda. Per Gadda la scissione interiore e i conseguenti sensi di colpa saranno una costante del suo geniale lavoro. I concetti chiave del suo pensiero, i suoi gusti, i suoi oggetti affettivi prenderanno sempre forme ambivalenti e contraddittorie. Le persone e gli ambienti più amati saranno quelli più intimamente odiati, con una catena senza fine di invettive e rimorsi. La meditazione di tante sue pagine si mescolerà con una comicità, è un fuoco di contrari, senza falso o vero, ma tutti autenticamente vissuti. Carlo Emilio Gadda era nato a Milano il 14 novembre 1893. Il padre Francesco Ippolito, industriale della seta, si era sposato una prima volta nel 1866 e sua moglie era morta di parto dando alla luce la figlia Emilia. Solo dopo il matrimonio di quest’ultima si era risposato nel febbraio 1893 con Adele Lehr. In una famiglia di alta borghesia, che annoverava anche un senatore e un ministro dei Lavori pubblici (Giuseppe Gadda, suo zio), Francesco Ippolito è un po’ l’ultima ruota del carro. Il suo fiuto imprenditoriale è scarso, non pensò di abbandonare la seta per passare all’industria elettrica o a altri settori più remunerativi, come decisero a un certo punto cugini e nipoti, negli anni Novanta, quando la crisi dell’industria serica era quasi al culmine. Inoltre, negli anni 1899-1900 Francesco Gadda per sincero amore per la campagna impegnò una somma ingente per costruire una grande casa di campagna in Brianza, compromettendo definitivamente le proprie sorti finanziarie e dando vita ad un odio anni dopo nell’animo del figlio. Nella Cognizione del dolore il protagonista Gonzalo, alter ego dello scrittore avrebbe ripetutamente maledetto la villa con la memoria del padre che l’aveva ricostruita. Gadda parlerà esplicitamente di infanzia e adolescenza vissute nella povertà, e la condizione umiliante di inferiorità rispetto all’ambiente sociale a cui apparteneva. Francesco Ippolito muore nel 1909 e Gadda resta solo con la madre. Adele Lehr è di origine ungherese, suo padre era un militare austro-ungarico di stanza in Veneto che dopo il 1860 divenne impiegato alle poste del nuovo regno d’Italia. Famiglia impiegatizia ma più colta dei Gadda. Adele studiò nelle migliori scuole femminili, si laureò in lettere, insegnò francese nelle scuole superiori e fu preside. Ricordata per la sua grande severità, è la stessa caratteristica testimoniata dal figlio Gadda fra le mura domestiche. Carlo Emilio ha messo insieme un curriculum scolastico di grande rilievo: dalle elementari al ginnasio sempre voti altissimi in tutte le materie. Però i suoi ricordi di quegli anni sono sempre connessi ad un sentimento di paura, sente vessazioni e violenze anche a scuola, da parte dei suoi insegnanti, con un’abnorme timidezza e una scarsa capacità di reagire alle imposizioni del mondo esterno. Il più radicale conflitto con la madre avviene dopo la maturità, per la scelta dell’università. La madre lo vuole ingegnere perché non sia da meno dei cugini e per le opportunità professionali e di guadagno, lui vorrebbe fare una facoltà umanistica. Non si sa quanto abbia combattuto prima di soccombere, probabilmente pochissimo, ma il rimprovero alla madre di avergli rovinato la vita con quella scelta lo ripete all’infinito. Ancora una volta, il senso di impotenza fisica di fronte al più forte. Il problema del coraggio e della paura, e c’era una cosa che Gadda desiderava anche più che fare lettere, ed era fare l’eroe. Gadda vedeva nell’ipotesi della guerra un fatto personale, un regolamento di conti con sé stesso, un mettersi alla prova per potersi dimostrare fuori dall’ambiente familiare quell’uomo coraggioso e determinato che sognava di essere. GUERRA E PRIGIONIA Nel Gennaio 1919 la guerra è finita da due mesi e Carlo Emilio Gadda tenente degli alpini, catturato dagli austriaci nei giorni di Caporetto, torna a Milano dopo un lungo periodo di prigionia in Germania. Enrico era entrato in guerra nel 5° Alpini, lo stesso reggimento del fratello, ma poi aveva chiesto il passaggio in Aviazione ed era diventato ufficiale pilota. Il 23 aprile 1918 il suo apparecchio si schianta tra Vicenza e Cittadella. Il legame fra Carlo Emilio e Enrico era sempre stato forte, per quanto i due fratelli fossero caratterialmente opposti. Il maggiore era serio, timido e impacciato, soprattutto nei rapporti con l’altro sesso, mentre il minore era estroverso, curava l’aspetto fisico, si vestiva alla moda, era abile a corteggiare le ragazze. Il primo era attento ai risparmi della famiglia, l’altro spendeva e chiedeva. Carlo Emilio si sentiva il figlio difettivo, poco amato dalla madre, mentre Enrico veniva coccolato. Enrico è il compagno di giochi ideale del fratello per tutta l’infanzia e l’adolescenza, e quando entrambi diventano grandi si pongono da leader, al centro di un gruppetto di amici. Sembra che Enrico rappresenti per il fratello tutto quello che lui non è, Carlo Emilio trascriverà più volte nel suo Giornale di guerra che la guerra prenda lui non il fratello. La notizia della morte di Enrico suona conferma in Carlo Emilio, della sua vocazione tragica. Gli opposti non possono convivere, ci sarà uno che perisce e l’altro che si mortificherà per sempre nel rimorso di essere sopravvissuto. Questi quattro anni di guerra sono per lui fondamentali perché scrive il suo primo libro, Giornale di guerra e prigionia, che è uno dei suoi capolavori. E poi perché la guerra è stata per Gadda l’unica occasione della sua vita in cui si sia sentito al posto giusto, nel momento giusto, con le qualità giuste. Si tratta però di un giudizio elaborato a distanza nel tempo, sul momento le pagine del Giornale di guerra e prigionia denunciano invece una forte insoddisfazione, una profonda disillusione rispetto alle aspettative con le quali il giovane era partito volontario. La disorganizzazione militare lo angustia, la qualità umana sia degli ufficiali lo disgusta. La macchina della guerra non gli sembra affatto costruita per gli eroi, ma piuttosto per i pasticcioni. Quello che doveva essere il resoconto di una campagna militare, diventa la testimonianza di una crescente irritazione, e poi dopo Caporetto di una cupa depressione. Così in una pagina del 21 luglio 1916. Gadda viene a sapere che la pratica per il suo passaggio di complemento era andata persa, ed è perciò costretto a rimanere ancora nella Milizia Territoriale e quindi nelle retrovie, mentre lui non vedeva l’ora di essere inviato in prima linea. “che porca rabbia, che porci italiani. Quand’è che i miei luridi compatrioti impareranno a tener ordinato il proprio tavolino da lavoro? A non ammucchiarvi le carte d’ufficio insieme al cestino della merenda, insieme al ritratto della propria nipotina, alla carta per pulirsi il culo. Quand’è che questa razza di maiali, capaci soltanto di imbruttire il mondo col disordine, sarà capace di dare al seguito delle proprie azioni un legame logico? Perché farmi perdere tre mesi se non volete passarmi di complemento. Non siete degni di chiamar i vostri figli i morti eroici. Combattere tre soldati che hanno paura di una fucilata, che se la fanno addosso al pensiero d’un pericolo lontano. L’uomo deve essere uomo e non coniglio”. L’ossessione dell’ordine e la demonizzazione del disordine, il DOVERE E FELICITA’ Gadda ha sempre idealizzato il carattere volitivo di chi sappia portare a termine un progetto con determinazione e concretezza. Ma il portare a termine qualcosa è per lui un problema spesso insormontabile. Molte delle sue opere rimarranno incompiute. A volte perché l’idea di un nuovo lavoro gli fa abbandonare quello precedente per difficoltà tecniche (nel caso dei romanzi), o per la professione di ingegnere. Nel maggio del 1929 interrompe definitivamente la sua tesi di filosofia, ultimo tassello di un percorso universitario che lo stava portando alla seconda laurea. La tesi si intitolava: La teoria della conoscenza nei Nuovi Saggi di Leibnitz. Gadda stava lavorando alla stesura della tesi e sembrava che la seconda laurea fosse una questione di vita o di morte. Stava pensando di lasciare la professione di ingegnere e di trovare un impiego nel mondo della cultura. Tecchi gli stava procurando la propria successione alla direzione del Gabinetto Vieusseux (a Firenze istituzione culturale specializzata per lo studio e le ricerche sulla cultura italiana e straniera dell’800 e ‘900), ma il posto viene affidato a Montale. Un’altra ipotesi è quella di un impiego come bibliotecario sempre a Firenze. Gadda si autoconvince che la laurea umanistica gli sia indispensabile, ma dopo un periodo di malattia e di aspettativa, va direttamente a Terni, un’azienda controllata dall’Ammonia Casale, e si rituffa negli impianti per la produzione di ammoniaca. La tesi viene abbandonata e non verrà mai più ripresa in mano. La tesi su Leibnitz corona un biennio di grande impegno saggistico, teorico e meditativo. Nel ’27 il secondo contributo gaddiano a Solaria è l’Apologia manzoniana, un saggio risalente al Cahier d’etudies in cui Gadda comincia a dire la sua sul rapporto tra etica ed estetica, sulle finalità della letteratura, sulla lingua da utilizzare per raggiungerle. Gadda si colloca con precisione in quella linea letteraria che passa dal Parini e dagli illuministi del Caffè e che ha le sue punte col Manzoni. La letteratura come analisi sociale e culturale imperniata su valori etici, la scrittura come espressione di un pensiero vivo della tradizione antiretorica e anticlassicista. La mescolanza, la contaminazione grottesca dovranno essere nella lingua in quanto sono nel pensiero e nel bizzarro imprevedibile vivere. Gadda si sofferma a lungo su un altro grandissimo lombardo: La vocazione di San Matteo, con il gusto tutto drammatico del barocco. I compagni con cui Matteo beve e gioca nella taverna sono vestiti e rappresentati come i bravi manzoniani. Ma questa atmosfera dal comando del Cristo a Matteo non è tanto soprannaturale, ma ha a che fare con un imperativo morale. Come a dire che queste energie giovanili non possono trascinarsi prive di fini. Il rapporto fra etica ed estetica è il tema profondo di un altro saggio critico: I viaggio, la morte, uno scritto ampio in cui Gadda prende in esame la poesia di Baudelaire e Rimbaud. I poeti simbolisti sono fantastici in quanto sognatori. A Gadda questo piace, però ne critica lo snobismo estetizzante, contrapponendogli un realismo tutto sbilanciato dalla parte dei morali. Gadda sente il fascino di un’oltranza sociale, un senso di dissoluzione verso l’indistinto. E questi dissoluti, amati ma rifiutati, Gadda contrappone Orazio. La Meditazione milanese è un lungo testo a cui Gadda lavora nel 1928, ed è un personalissimo trattato di filosofia fatto di ricordi autobiografici. Nel terzo capitolo intitolato La grama felicità, Gadda si scaglia contro le teorie illuministiche della felicità come modello finale della conoscenza. La felicità non è un fine, piuttosto l’adempimento di un compito. Gadda descrive dettagliatamente una centrale elettrica. La felicità del sistema totale è rappresentata dal suo buon funzionamento. Ma il fine del sistema esaminato è quello di prestare energia agli utenti. Dunque, l’uomo deve rispondere alla vocazione come San Matteo, non coincidere con la soddisfazione di un desiderio individuale. Quando si parla della tradizione illuministica in Gadda, è ostile al dare dignità ai bisogni, e ai diritti dell’individuo. Anche il suo manzonismo è molto parziale. Renzo e Lucia nell’Apologia manzoniana sono le vittime di un male collettivo, gli anelli di un’infinita catena di disgrazie e rivolgimento umani. Mai sono presi in considerazione in quanto uomini, nei loro diritti di cittadini. Che era una delle grosse novità di Manzoni. La cultura dell’individuo è uno dei principali spartiacque della modernità nella storia dell’Europa e Gadda ne rimane palesemente al di là. Uomo d’ancien regime da un lato (si pensi alle sue fantasie nobiliari), ma novecentesco dall’altro, la sua visione della società come centrale elettrica. Dell’età moderna Gadda sottoscrive il culto dell’industria e della tecnica senza mai dare l’idea di percepire i pericoli fra organizzazioni del lavoro e eliminazione dei diritti individuali. Ugualmente distinte dalle idee di progressismo è il pensiero di Gadda sul versante sociale. I sarcasmi sul padre per la sua fiducia nel miglioramento delle classi popolari, le dure polemiche con la madre per il generoso trattamento dei contadini a Longone. Nella Meditazione milanese Gadda nega che il singolo individuo abbia finalità sue. Gli piace parlare di destino collettivo, ma sono poi i casi individuali ad appassionarlo. Proprio nella Meditazione milanese Gadda scrive “la contradizione contronatura. E quando nell’apparente unità di un sistema-persona vi siano insanabili contraddizioni, il suicidio è preferibile al regresso”. Il tragico emerge con il suo sbocco letterario: l’idea del suicidio. Nell’impegno riflessivo della Meditazione milanese Gadda ha cercato sé stesso, e forse quello che ha trovato non gli è piaciuto. IL DILEMMA DEL ROMANZO Nel periodo dell’ulcera Gadda ha scritto un nuovo tentativo di romanzo, La meccanica: cinque capitoli su otto, e si tratta del romanzo meno incompiuto di tutti quelli che Gadda abbia mai scritto. La storia è collocata a Milano subito prima della guerra e durante. Ne sono protagonisti Zoraide, bellissima popolana di origine veneta, il marito Luigi Pessina, operaio socialista di volonterosa cultura autodidattica, suo cugino Gildo ladruncolo, e Franco Velaschi figlio di notaio e contessa con pochissima propensione agli studi e molta alle moto e alle automobili. Gildo corteggia Zoraide senza successo; anche Franco la corteggia, lui si corrisposto e amato. Perché bel ragazzo e perché di una diversa classe sociale. Il povero Luigi parte subito e va al fronte, dove scoprono che è tisico; Gildo invece le tenta tutte per non partire, maledicendo la guerra e chi l’ha voluta. Franco viene imboscato dalla famiglia per un po’, ma alla fine deve partire anche lui. I capitoli finali, quelli solo abbozzati, sono tre scene in cui la guerra sancisce il destino dei tre personaggi. Gildo viene ucciso come disertore, Franco prenderà un’esagerata medaglia d’argento per un modestissimo atto di eroismo, Luigi arriva all’improvviso in un paese dove si è stabilita la moglie, giusto per vederla a letto con Franco e poi morire. Nella Meccanica Gadda si misura con il tema della guerra, dominante. Nella figura di Gildo riversa tutto il rancore contro il pacifismo, il neutralismo e l’opportunismo degli italiani non interventisti. Viceversa, nelle scene di guerra, si alza il tono e la partecipazione emotiva, ma con questo romanzo Gadda descrive e racconta le classi popolari. Con atteggiamento di ribrezzo da un lato e una certa ammirazione dall’altro. C’è un disgusto fisico, immediato, ed è quello che l’autore instilla in Zoraide con Gildo, in quanto in Gildo c’è l’assenza di due idee chiave del sistema gaddiano: dovere e orgoglio. C’è infine una vena antipopolare che Gadda lascia fluire quando racconto in un lungo excursus la storia della Società Umanitaria. Fondata da un ricco industriale ebreo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo nuovo, l’Umanitaria diventò un’istituzione del socialismo milanese, centrata sull’istruzione dei meno abbienti, sull’assistenza agli emigranti, sul recupero dei delinquenti. L’ironia di Gadda va a colpire il lato utopistico del progetto ed è facile per lui trovare i singoli fallimenti. Luigi Pessina che all’Umanitaria ha imparato un mestiere, rappresenta un personaggio positivo. Il suo impegno nello studio è contrario all’insofferenza di Franco Velaschi per i libri. Il suo spirito di sacrificio è il contrario dello sperpero giovanile del ragazzo borghese. Quest’aspetto non gli porta bene, e si direbbe che un destino di classe gli impedisca di essere eroe. Zoraide invece, non ha la sconfitta a priori. Forse proprio perché cerca di uscire dal suo ambiente sociale. Le classi alte hanno il trattamento che troveranno qualche anno dopo nell’Adalgisa. La borghesia milanese dei Velaschi è sostanzialmente squallida, e anche il giovane Franco pur nel suo mescolarsi al popolo, eredita lo squallore della famiglia. Nella Meccanica c’è un po’ di incrocio delle classi, ma i destini sono già scritti. La Meccanica, in definitiva, è la storia di tre uomini in bilico fra l’andare e il non andare in guerra, e tra l’andare e il non andare con Zoraide. E poi ci sono le note in gran parte linguistiche. E poi ci sono i dialetti. Il milanese che affiora qua e là, il veneto di Zoraide, il napoletano del maggiore Lo Jodice, che stravede per Milano. Il rapporto tra romanzo e lingua è già del Gadda maturo. E cosi anche l’alternanza fra toni alti e bassi, drammatici e comici. Del Gadda maggiore è anche la non scelta fra due modelli di romanzo diversi: quello realistico ottocentesco, su tematiche sociali, narrato in forme chiuse e quello dell’io narrante fortemente soggettivo. Ci sarebbe volute poche settimane a terminare i tre capitoli finali e invece no. Il romanzo verrà pubblicato solo nel 1970 per volontà di un editore. Gadda nel 1932 tre prose diventano tre racconti nelle Novelle dal Ducato in fiamme. Nel caso della Meccanica la mancata conclusione del libro ha una giustificazione biografica. Il 20 aprile 1929 Gadda ha già scritto tutta la Meccanica, ma nel maggio dello stesso anno torna a lavorare all’Ammonia Casale dopo la convalescenza e passa quasi un intero anno (1930) in Francia, Belgio e Germania. Quando torna a Roma all’inizio del ’31 conclude un progetto che gli stava a cuore da tempo: pubblicare il primo libro. Ma non sarà la Meccanica, sarà La madonna dei filosofi. E questo libro gli sembra il passo fondamentale per raggiungere il suo obiettivo. Oltre agli Studi imperfetti (tutti) e alle Manovre d’artiglieria da campagna, sono riuniti nel libro il dittico Teatro e Cinema, e il racconto più lungo che dà il titolo alla raccolta. Teatro e Cinema sono due bozzetti comici: il primo è la rappresentazione parodistica di uno spettacolo d’opera di serie B, e alla conclusione del terzo atto il protagonista del melodramma muore; Cinema è un racconto simile, e il racconto finisce quando il film incomincia, il groviglio esplosivo è dato dalla folla in attesa di entrare al cinema Garibaldi di Milano, e la massa di persone viene descritta sinteticamente e analiticamente. La capacità di descrivere fermandosi sui singoli micro-eventi, come visti al rallentatore, ma in realtà partecipi del ritmo dell’insieme, è una delle caratteristiche della grandezza di Gadda. La realtà sconclusionata contiene soprattutto volgarità, sporcizia, violenza e possiede un fascino a cui Gadda non sa sottrarsi. L’immersione nella folla provoca in Gadda un senso di paura e orrore, ma allo stesso tempo piacere. Con il racconto intitolato La Madonna dei filosofi Gadda riprende il filo delle sue narrazioni romanzesche. Ci sono due storie che si intrecciano: quella di Maria, della nobile famiglia Ripamonti, innamorata di un giovane disperso in guerra e mai più fidanzata a nessun altro, anche se la famiglia la vorrebbe sposata al maturo commercialista Pertusella; e quella dell’ingegnere Baronfo, ipocondriaco e viaggiatore in tutta Italia per un’azienda di commercio da cui, a un certo punto, si distacca per dedicarsi agli studi di filosofia. Baronfo si occupa del sostentamento di un ragazzino che forse è suo figlio, anche se non l’ha mai riconosciuto, e non ne ha mai sposato la madre, Emma Renzi. Baronfo viene in contatto coi Ripamonti per l’acquisto di una parte della loro antica biblioteca. Si innamora di Maria e le chiede di sposarlo, ma la ragazza non ci pensa per niente. Nel bel mezzo di una gita in macchina (guida Maria) Baronfo viene assalito dalla Renzi che pretende il matrimonio. Baronfo si nega e la Renzi spara. Così finisce il racconto. Emilio il giovane amato da Maria e scomparso in guerra, è descritto autobiograficamente: figlio di un industriale della seta, taciturno, nove in latino e matematica, scrive versi e parte volontario. Chiaro che se l’Emilio del racconto è un po’ Carlo Emilio, per come finisce la sua storia è contro i milanesi viene interrotta, e il libro più urgente è quello con cui Gadda cercherà di elaborare il lutto e di liberarsi del rimorso. La cognizione del dolore non nasce dal nulla. ci sono due precedenti scritti sulla Brianza che rifluiscono nel nuovo romanzo: Villa Brianza del ’24 in cui vengono descritti sarcasticamente la villa di Longone e l’ambiente brianzolo; e i Viaggi di Gulliver, un testo scritto del ’33 come elencazione dei pregi della Brianza. Un precedente al tema del matricidio è invece Novella seconda. Questo abbozzo di racconto (1928) avrebbe dovuto narrare l’uccisione di Dejanira Classis da parte del figlio Doro, che si sentiva da lei poco amato. Oppure Doro sarebbe stato solo il testimone dell’assassinio di sua madre e se ne sarebbe accollato la responsabilità. Qualcosa di non troppo distante dall’epilogo della Cognizione, dove Gonzalo, matricida virtuale per istinto e desiderio ma materialmente innocente, fa di tutto per essere sospettato e dalla madre viene identificato come il suo aggressore nella confusione mentale dall’agonia. Dunque, i temi della Cognizione non sono inventati, ma fanno parte di quel limitato nucleo di ossessioni che Gadda si porta dietro per tutta la vita. La Brianza, l’odio per la villa, l’idea di matricidio, l’autorappresentazione come personaggio disturbato. Gonzalo è un personaggio solitario, egoista e reazionario. Odia le foto del padre, i contadini che bazzicano nella villa, odia sé stesso, soprattutto e odia la madre, ma l’odio si sovrappone a un amore disperatamente inespresso. La più lunga scena presenta l’incontro fra Gonzalo e il dottore del paese chiamato perché visiti la madre. Ma il dottore se ne accorge presto che la persona più malata è proprio il figlio, con associazioni mentali poco comprensibili, divagazioni, invettive e minacce. È il rapporto di Gonzalo col mondo ad essere nel segno dell’amore-odio, anche se l’amore inconfessato è totalmente inglobato dall’odio. Gadda ha detto che cognizione va intesa come il procedimento conoscitivo. Dopo la madre, la villa è l’antagonista principale di Gonzalo. La villa concreta, quella di Longone voluta dal padre di Gadda, ma anche l’idea-villa, simbolo di chiusura familiare e di casta, nonché di ostentazioni sociali e di censo. Da un lato Gadda vorrebbe sterminare tutte le ville della Brianza, e dall’altro vorrebbe munire la sua di mura insuperabili, a difesa della madre, della proprietà, della propria diversità. Se non c’è popolo degli umani, non resta che chiudersi sdegnosamente nel privato, l’odio contro gli altri diventa odio contro sé stesso, anche se la prima causa sono gli altri. Risultato finale: odio più vittimismo. La storia si snoda tra il ’25 e il ’33 in un immaginario paese sudamericano, il Maradagal, uscito da una lunga guerra con il vicino Parapagal. In realtà i toponimi del romanzo sono facilmente traducibili in una geografia lombarda: Pastrufazio è Milano, Lukones è Longone. Fin dalle prime pagine entrano in gioco le associazioni di guardiani notturni, che vorrebbero prendere sotto la loro protezione la villa di Gonzalo. Ovviamente Gonzalo non cede a quello che considera un ricatto e non firma il contratto di vigilanza. In queste associazioni lavorano finti mutilati di guerra, e la vicenda di queste associazioni, l’adesione alle quali è teoricamente facoltativa, ma di fatto coercitiva, può essere un segno di un avvenuto distacco dal fascismo. Queste squadre di vigilantes ex reduci sembrano una metafora delle squadre fasciste e del consenso ottenuto con la minaccia e le ritorsioni. Il principale personaggio di queste guardie si chiama Pedro Manganones e nel suo cognome si riconoscono i manganelli, strumenti e simbolo delle squadre fasciste. Dopo il prologo, la Cognizione prende a raccontare di una villa, un tempo appartenuta al poeta nazionale del Maradagal (una caricatura che incrocia le figure di Carducci e D’Annunzio), una villa che attira con particolare frequenza i più squassanti fulmini dei cieli brianzoli. Poi c’è la visita medica, la descrizione di un pomeriggio della madre, nella sua dolente quotidianità, e lo scoppio di un terrificante temporale all’arrivo di Gonzalo. Il ritorno di Gonzalo da Pastrufazio dove lavora e il suo incontro con la madre, l’entrata di un contadino per accendere il fuoco e lo scatto d’ira di Gonzalo, la cena e l’uscita in terrazzo. La cognizione del dolore pubblicata in sette puntate fra il ’38 e il ’41 sulla rivista trimestrale fiorentina Letteratura che aveva preso il posto di Solaria. Due estratti verranno ripresi nell’Adalgisa, un altro nelle Novelle dal Ducato in fiamme, con la solita tecnica dispersiva che Gadda adotta coi propri romanzi. Infine, del ’70 c’è la riedizione con due parti finali che permettono una visione quasi completa della trama. Gonzalo ascolta il contadino e la domestica descrivere alla madre un furto nella villa del finanziere Trabatta, che non accetta, anche lui, la protezione dei Nistituos: forse è l’ennesima intimidazione dei perfidi vigilantes. Dopo Gonzalo litiga con la madre e se ne va a Pastrufazio. Infine, la madre è stata aggredita e giace moribonda. Nella notte che sta per finire accorrono tutti, anche il dottore, che presta i primi soccorsi, inutili. Il romanzo inizia con i Nistituos e finisce con loro, dato che presumibilmente la violenza alla madre è opera del Manganones. Ma il senso di colpa sarà tutto per Gonzalo. Già il lessico è imponente per mescolanze di spagnolo, brianzolo, napoletano, italiano letterario, lingua scientifica, gergo burocratico. Nella sintassi da un lato la frase sembra venir fuori da strutture complesse, dall’altro c’è l’accostamento di argomenti senza subordinazione. Gadda parte con l’intenzione di dare ordine al mondo e poi si lascia attirare dal particolare, lasciando che scardini l’orditura iniziale. MILANO VISTA DA FIRENZE Tra la fine di settembre e i primi di Ottobre del ’40 Gadda si trasferisce a Firenze. È la sua prima vera casa, e ci abiterà per dieci anni. A 47 anni terminate le ultime consulenze da ingegnere, si appresta a fare lo scrittore a tempo pieno e si stabilisce nella città che è il centro letterario più importante nell’Italia di allora. Diventata romanzo a sé, la Cognizione esce dal progetto; per parallelismo esce anche San Giorgio in casa Brocchi e cosi rimangono solo le prose giornalistiche. Una soluzione che può sembrare più sensata, ma Gadda ci teneva alla mescolanza dei generi letterari e dei suoi livelli di scrittura. La prima parte delle Meraviglie d’Italia è tutta dedicata a Milano: la descrizione dei macelli cittadini, il reportage di una giornata alla Borsa, il mercato di frutta e verdura. C’è anche Una tigre nel parco, racconto rielaborato dal Fulmine sul 220 in cui Gadda rievoca i suoi giochi da bambino al Parco Sempione. La seconda parte raccoglie tre prose di rievocazione dei suoi lavori all’estero; la terza è costituita dagli appunti di un viaggio in Abruzzo, la quarta da immagini ed esempi di lavoro come le cave di marmo delle Alpi Apuane. Rispetto alle prime edizioni elimina tutti i brani del fascismo, e la retorica del lavoro fascista che Gadda riproduceva con una certa convinzione negli articoli giornalistici fra il ’34 e il ’37, viene cancellata quasi completamente per l’edizione in volume del ’39, forse anche per l’influsso dell’ambiente letterario che frequentava antifascista. Una specie di seguito delle Meraviglie d’Italia è il volume intitolato Gli anni uscito nel 1943. Si tratta di dieci prose, una è Dalle specchiere dei laghi che descrive i paesaggi brianzoli, gli angoli dell’infanzia, la stessa casa di Longone, e sono rievocati con l’affetto nostalgico di chi avrebbe voluto amare quei luoghi anziché odiarli. Se Gonzalo non è riuscito a inginocchiarsi davanti alla madre e a chiederle perdono, Gadda lo fa qui con la Brianza. Dalle specchiere dei laghi è stato scritto a Firenze, e il tema è probabilmente dovuto al trasferimento. Dopo pochi mesi dall’uscita degli Anni, Gadda pubblica anche l’Adalgisa. Il libro esce nel ’44 su Le Monnier, e i tempi non sono particolarmente favorevoli, l’Italia è in mezzo alle fasi più drammatiche della guerra, anche molti critici letterari si occupano d’altro. Dopo i pochi riscontri ottenuti dalle Meraviglie d’Italia e il silenzio sugli Anni, anche L’Adalgisa non trova considerazione che Gadda sperava. Da quando si è trasferito a Firenze come scrittore professionista, Gadda ha scritto tanto , ma la sua fama non varca di molto la zona limitrofa. L’Adalgisa è un libro composto da materiali vari, un’apertura ripresa dal vecchio Caher d’etudies e intitolata Notte di luna. Due brani della Cognizione, e poi sei disegni milanesi rielaborati del Fulmine sul 220. Questi sei racconti sono autonomi fra loro, ma con alcuni personaggi che ritornano: il lungo colloquio di Adalgisa ed Elsa risulta spezzato negli ultimi due racconti formando in realtà un blocco unico. Una formula che si rivela particolarmente adatta a Gadda, perché non lo impegna agli equilibri e ai meccanismi narrativi del romanzo. Nell’Adalgisa c’è Giulia de’ Marpioni con un suo particolare sadismo che si esprime nei negozi di merceria quando a dieci minuti dalla chiusura fa impazzire i commessi, oppure quando ghigliottina polli sul tavolo da cucina. In attesa dell’erede maschio la Marpioni ha quattro figlie, e l’ingegner Gian Maria Caviggioni, industriale del cioccolato, appassionato della più insulsa poesia milanese e partecipe di quella consuetudine di tanta borghesia nel cercare di imparare le lingue. I personaggi borghesi dell’Adalgisa sono derisi per la precisa banalità del loro decoro quotidiano, la morale dell’apparenza, la pigrizia mentale. Condividono un destino collettivo, in realtà insensato, e il caos prima di tutto è un caos delle parentele e dei nomi. La satira del clan, del gruppo sociale chiuso, selezionato e autosufficiente si intreccia con le idee gaddiane sull’ordine e sul disordine. Lo schedario del Filologico è uno strumento d’ordine, ma diventa la dimostrazione della confusione del mondo. Il disordine è figlio dell’ordine, più lo vuoi organizzare e più esplode, vero male dell’universo. Nella rappresentazione sociale di Milano, c’è anche la Milano dei vecchi mestieri e delle umili professioni, che vive in un mondo parallelo, un po’ più serio e dignitoso, senza fare del populismo. Il vecchio Zavattari lucidatore di parquet, o la Maria di Lasnigo che serve in casa Cavenaghi e che spaccia per dolori reumatici dovuti all’umidità del lavello l’essere incinta; o Bruno il garzone di macelleria. Tutta un’umanità che Gadda descrive con rispetto. L’Adalgisa è anche e soprattutto Adalgisa, all’incrocio fra i due mondi, il borghese e il popolare. Adalgisa è orfana ed ex cantante di opera nei teatri, apprezzata per la voce, ma soprattutto per il florido aspetto fisico che faceva sognare molti giovani. Carlo Biandronni, ragioniere e amministratore di case, è uno di questi ammiratori e se la sposa nonostante la forte diffidenza della famiglia. Rimasta vedova, Adalgisa vive nell’impegno educativo a suon di schiaffoni dei due figli avuto dal povero Carlo, nel ricordo del povero Carlo e nel risentimento verso la famiglia di Carlo che gliene ha fatte passare di tutti i colori. Così nell’incontro con la cognata Elsa si alternano momenti educativi con l’affezionata rievocazione delle glorie del marito, entomologo dilettante fissato nella sua passione, e gli espliciti suggerimenti alla cognata a trovarsi un amante. La complicità spaventa Elsa, turbata da certe affermazioni un po’ troppo dirette e colorite. Oltre a spingere Elsa a una sorta di vendetta contro la famiglia, nel suo monologo l’Adalgisa deve cercare di convincere la cognata, ma soprattutto sé stessa, che col povero Carlo era stato tutto differente. Lei non era andata sprecata nella sua arrampicata borghese dove aveva trovato le malelingue, ma anche un grande amore. Quanto alla lingua Gadda approfondisce quel raccontare un ambiente a partire dai modi di esprimersi dei personaggi, utilizzando e sporcando la scrittura della narrazione con la sintassi e il lessico del dialetto. Le note in questo libro si espandono e diventano un vero e proprio secondo testo, novità assoluta nella storia della narrativa italiana. Le note dell’Adalgisa riguardano glosse linguistiche, divagazioni storiche, citazioni commentate di Leibnitz e notazioni autobiografiche. Il dialogo diventa col personaggio di Adalgisa, un vero e proprio monologo teatrale. A Gadda era servita l’esperienza fatta col personaggio di Gonzalo nel dialogo-monologo col dottore, il parlare a un interlocutore che non capisce per parlare a sé stesso. Poi l’Adalgisa è stata donna di teatro e di melodramma per i suoi sospiri e i suoi acuti, che Gadda costruisce come una lingua fatta su misura. UNA BABELE DI VOCI maniera radicale, e di rimettere mano al Pasticciaccio alla luce di un rapporto con Roma più diretto e più scientifico col romanesco. ROMA VISTA DA ROMA Giugno 1957. Quer pasticciaccio brutto de via Merulana esce in volume Garzanti ed è subito un successo. Ottiene il ricco premio degli Editori e tante recensioni, interviste, lettere di antiche conoscenze che si rifanno vive o di nuovi ammiratori che lo vogliono conoscere. Gadda aveva progressivamente allargato la propria popolarità nel mondo letterario proprio nel periodo 1950-1955 quando lavorava alla Radio. Gadda entra nella sede della Rai nell’ottobre del ’50 e fa il redattore culturale al Giornale Radio fino al ’52, poi passa al Terzo Programma, e sistema i pezzi dei collaboratori, a volte li riscrive completamente, e in molti casi prepara direttamente i servizi. Redige anche un opuscolo che servirà per anni come vademecum ad uso interno: le Norme per la redazione di un testo radiofonico. Viene in contatto con buona parte del mondo culturale italiano che la Rai di quegli anni chiama a collaborare con frequenza. Dal 1953 prende alloggio nel quartiere Monteverde e fa una vita sociale piacevolmente intensa con i colleghi. La sua vena molto socievole in breve tempo lo fa diventare uno strano personaggio, ricercato compagno di conversazioni, autore di memorabili battute. Il suo collega Giulio Cattaneo le raccoglie per davvero e le pubblicherà in un divertente libro nel ’73. Queste nuove amicizie servono anche a sollecitarlo come scrittore. È infatti Cattaneo insieme ad altri colleghi a convincerlo a pubblicare Il primo libro delle Favole, aforismi, brevi apologhi morali, giochi di parole che Gadda aveva in parte scritto nel 1939. Anche quelle già edite vengono comunque tutte riviste e ampiamente ritoccate. In tutto 186 favole, 88 delle quali inedite. Le favole sono in forma breve, e il tono è quello satirico, il travestimento linguistico è quello di un fiorentino antico e i temi vanno dal privato (la propria infanzia infelice) e soprattutto alla polemica contro varie categorie umane: le donne, i presuntuosi, i letterati, i suonatori ambulanti, il duce e altro ancora. C’è una favola delle più lunghe che ha una notevolissima efficacia comica. È la 180 e racconta di un certo vescovo che ascoltando il frastornante cinguettio degli uccelli al tramonto, pensa siano ringraziamenti a Dio per la giornata trascorsa e preghiere per una notte serena. Il gigantesco litigio degli uccelli è un’occasione per mettere insieme un bel campione di insulti in quattro diversi dialetti: romagnolo, veneto, napoletano e toscano. Ma il ritmo dei botta e risposta la confusione delle voci fanno sembrare che siano ancora di più. È una testimonianza che la poetica del Pasticciaccio è sempre viva. Il primo libro delle favole è un libro poco popolare sia perché non è narrativo, sia per la lingua, sia per l’oscurità del senso in molti casi. Eppure, viene presentato al premio Strega ed arriva quinto. Nel 1953 Gadda vince uno dei grandi premi letterari italiani di allora: il Viareggio. Lo vince con le Novelle dal Ducato in fiamme in cui raccoglie i suoi racconti degli anni ’30 e ’40 fra i quali San Giorgio in casa Brocchi, L’incendio di via Keplero, tre frammenti della Meccanica, due brani della Cognizione, una scheggia dal Racconto italiano di ignoto del novecento, più Prima divisione della notte. La composizione del libro dimostra ancora una volta come Gadda non butti mai via niente. Può interrompere, accantonare, ma poi riprende, risistema e ricicla quasi tutto. Anche perché i temi, i motivi e perfino certe singole espressioni passano da un’opera all’altra con assoluta naturalezza. In Gadda i racconti diventano romanzi e i romanzi racconti, e le recensioni sono numerose e quasi tutte entusiastiche. Tutti aspettano il Pasticciaccio, e prima più pacatamente, poi in maniera sempre più autoritaria e seccata per quattro anni Garzanti chiederà a Gadda di terminare il lavoro, e mette subito sul tavolo un bel po' di soldi come anticipo. Anche per questo nel ’55 Gadda decide di lasciare la Rai e di lavorare al Pasticciaccio a tempo pieno. Lascia anche la casa di Monteverde e ne prende una sulla collina di Monte Mario. Intanto sempre nel 1955 escono due importanti libri gaddiani. A Sansoni Giornale di guerra e di prigionia fino ad allora inedito e a Einaudi tocca la riedizione di un unico volume con titolo I sogni e la folgore, della Madonna dei filosofi, del Castello di Udine e dell’Adalgisa. Nella continuazione del Pasticciaccio il nome di Ingravola viene trasformato in Ingravallo. Poi viene fatto un montaggio delle parti pubblicate in rivista, viene tolto l’ultimo interrogatorio del marito di Liliana, da cui emergevano troppi indizi nei confronti di Virginia, mettendo a rischio la suspense. Poi viene aggiunto un nuovo interrogatorio della Ines Cionini, e a casa di Camilla, un casello ferroviario sulla Roma-Velletri vengono trovati i gioielli della Menegazzi. Una delle due direzioni del giallo è praticamente conclusa, l’altra quella che deve portare all’assassino della Balducci si è persa per strada. Ingravallo va ad interrogare l’Assunta, e la ragazza nega decisamente di essere lei l’assassina. E qui si conclude il romanzo. Gadda questa volta sembra fare di tutto per finire il libro e cerca di resistere alle pressanti richieste dell’editore. Lo vorrebbe terminare per davvero, anche perché i gusti sono cambiati: il frammentismo d’anteguerra non è più visto di buon occhio, i critici e il pubblico della nuova Italia vogliono romanzi e considerano in difetto gli autori che non sanno farne. Con l’interrogatorio di Assunta, Gadda è arrivato a dieci capitoli, ritiene di poter chiudere il romanzo con altri due o tre capitoli, ma Garzanti è stufo dei continui rinvii e lo scrittore ha un’idea: pubblicare un romanzo in due volumi, il primo in dieci capitoli da far uscire subito, il secondo molto più breve che lo potrebbe seguire di pochi mesi. Il Pasticciaccio esce così troncato sull’interrogatorio dell’Assunta nel luglio 1957, e a questo punto Garzanti chiederà invano a Gadda di scrivere il secondo volume, e all’inizio lo scrittore lo annuncia pubblicamente, ma in realtà tutta l’energia e la voglia di chiudere il romanzo si sono esaurite. Nel 1955 Pasolini ha pubblicato Ragazzi di vita, un romanzo che fa grande uso del romanesco e Gadda ne apprezza la lingua, ma nello stesso tempo capisce che dopo Ragazzi di vita non può più ripresentare il Pasticciaccio con lo stesso romanesco orecchiato scritto a Firenze dieci anni prima. E allora fa un full immersion nel romanesco e riscrive con maggiore consapevolezza tutte le parti in dialetto. Il primo Pasticciaccio si svolgeva a Roma tra via Merulana e la questura, mentre le parti nuove sono un romanzo di periferie: i Colli Albani. Il mondo borghese di via Merulana, trattato con il consueto atteggiamento satirico e caricaturale, viene sostituito da un mondo socialmente basso. La malavita delle campagne degradate è immersa in paesaggi bellissimi. Torna prepotentemente il narratore, un po’ per ragione tecnica dovuta al fatto che le foltissime note di cui il primo Pasticciaccio era corredato sono state ridotte e fatte rifluire nella narrazione. E un po’ perché il narratore in terza persona può dare meglio il senso del nuovo clima sentimentale tendente al tragico-grottesco. Anche le parti divertenti sono meno di tipo satirico e più di una comicità basata su invenzioni linguistiche, oppure su associazioni mentali profonde e vorticose. Comunque, le differenze fra un Pasticciaccio e l’altro costituiscono una questione per pochi critici e filologi. La prima redazione sarà pubblicata in volume nel 1989, mentre del 1957 è quello dell’edizione Garzanti, e non molti sono in grado di accorgersi delle differenze stilistiche. Il successo del libro è immediato e notevole, può stupire che il botto lo abbia fatto con un libro obiettivamente difficile, più difficile di altri suoi, ma Gadda poteva scrivere tutte le Adalgisa del mondo, molto più leggibili e immediatamente divertenti rispetto al Pasticciaccio, ma non avrebbe ottenuto gli stessi risultati. Per ragioni linguistiche, innanzitutto. Perché il milanese è decisamente ostico ai non lombardi, mentre il romanesco, per popolarità indotta dal cinema del dopoguerra, è capito in tutta Italia. E per ragioni di simpatia. Milano che negli anni ’50 era diventata la guida del boom economico, è tendenzialmente antipatica. Le beghe della borghesia milanese non interessano quasi nessuno fuori di Milano, gli intrallazzi del romano sono uno specchio in cui da nord a sud tutti si ritrovano. Anche per tutto questo il Pasticciaccio diventa subito un classico e viene preso d’assalto dal cinema. Anche a distanza di anni per il pubblico più largo Carlo Emilio Gadda rimarrà sostanzialmente l’autore del Pasticciaccio. IL SUCCESSO E LA COLPA Il 21 maggio 1973 Gadda muore. Ma da quel famoso 1957 che ha decretato il suo successo, non ha più scritto nulla. Da allora anche le sue frequentazioni si fanno più rade, la sua casa di Monte Mario diventa un eremo dove vivere in solitudine, accudito negli ultimi anni da una governante. È innegabile che il successo non abbia fatto bene a Gadda, e le sue lettere diventano più formali, cupe, angosciate e percorse da sensi di colpa per vicende assurde. Nella riedizione del Giornale di guerra e di prigionia, la copertina scelta da Einaudi riporta Caino e Abele, e Gadda secondo la testimonianza di Cattaneo, in quell’immagine vede sé stesso e il fratello Enrico e parla di congiure e tranelli contro di lui. Uno degli amici giovanili gli scrive dandogli la notizia che un suo vecchio amico Ambrogio Gobbi è morto, e Gadda era convinto che quest’ultimo lo accusasse di essere il responsabile di quella morte. Tanto nella vita quanto nelle opere aveva meticolosamente lavorato ad un’autorappresentazione di sé come un fallito, con tutta una serie di responsabili da colpevolizzare (la madre in primis). All’alba dei 65 anni viene fuori che Gadda non è affatto un perdente, ma viceversa uno dei più importanti scrittori italiani del Novecento riconosciuto dai critici e dal pubblico. Venuti meno i suoi consueti spazi di vittimismo, nella sua mente dilaga l’idea fissa del complotto contro di lui. Anche in questa fase non mancano però alcune frequentazioni importanti che aiutano Gadda a tenere insieme i cocci della sua persona, tra cui Pietro Citati consulente della Garzanti e dell’Einaudi. A Citati Gadda lascia carta bianca nella scelta e nel riordino dei 24 saggi che formano il volume I viaggi e la morte, pubblicato da Garzanti nel 1958. Si tratta di interventi teorici sulla lingua e la letteratura. I saggi coprono un periodo di trent’anni, dal ’27 al ’57. O la parodio o l’invenzione, sono queste per Gadda le due vie della lingua, i due mezzi per fare della scrittura un meccanismo di conoscenza. I viaggi e la morte hanno poco successo commerciale, com’era naturale per un libro di riflessioni teoriche, ma raccolgono grandi elogi dalla critica e dal mondo degli studiosi. Anche dietro gli elogi vede minacce e persecuzioni. Il libro successivo è del 1961, il titolo Verso la Certosa, è una ripresa quasi integrale degli Anni più cinque prose delle Meraviglie d’Italia, più altre cinque. Due anni dopo nel 1963 escono sia gli Accoppiamenti giudiziosi (Garzanti) sia La cognizione del dolore (Einaudi). Il primo libro è un’edizione accresciuta delle Novelle dal Ducato in fiamme. Gli accoppiamenti giudiziosi inteso come racconto, è una storia di borghesia milanese tra le due guerre in cui il protagonista Beniamino Venarvaghi, avarissimo vedovo senza figli, mette in atto complicate strategie familiari e matrimoniali per evitare di disperdere il suo patrimonio. A meno di due mesi dal libro di racconti esce, per la prima volta in volume, La cognizione del dolore, nel quale si riserva di cambiare qualche nome per i suoi terrori che qualcuno possa riconoscersi e offendersi. In più aggiunge una sua vecchia poesia, Autunno, che era stata ideata a Longone e che rispecchia una certa atmosfera del luogo. L’uscita della Cognizione in volume è subito un avvenimento a livello mondiale, e a livello critico è una consacrazione addirittura superiore a quella ricevuta per il Pasticciaccio. Nel 1964 Einaudi pubblica una nuova e definitiva edizione delle Meraviglie d’Italia e Gli anni. Garzanti pubblica I Luigi di Francia, derivato dalle trasmissioni radiofoniche del ’52. Nel 1965 è la volta della riedizione del Giornale di Guerra e di prigionia (Einaudi). Nel ’67 Garzanti con l’edizione Eros e Priapo e con Il Guerriero, l’amazzone, lo spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo. È una conversazione a tre voci ideata per la radio, e il testo parla di tre personaggi: un professore adoratore di Foscolo, un irriverente diffamatore dello stesso poeta e una donna
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved