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Transizione dal Feudalesimo allo Stato Assoluto: Parità e Diritto Internazionale, Appunti di Diritto Internazionale

Della transizione dallo stato feudale allo stato assoluto moderno e la relativa parità tra stati, il diritto internazionale e la sovranità. La concezione classica del diritto internazionale, il ruolo della convenzione di vienna e la definizione di trattati internazionali. Vengono anche introdotti i concetti di prova della consuetudine e controversie internazionali.

Tipologia: Appunti

2012/2013

Caricato il 15/02/2013

m.jessica
m.jessica 🇮🇹

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Scarica Transizione dal Feudalesimo allo Stato Assoluto: Parità e Diritto Internazionale e più Appunti in PDF di Diritto Internazionale solo su Docsity! ORIGINI, CARATTERI E STRUTTURA DELLA MODERNA SOCIETÀ INTERNAZIONALE LA NOZIONE DI DIRITTO INTERNAZIONALE La definizione di diritto internazionale dipende ovviamente dalla teoria del diritto cui si aderisce. Come definizione preliminare si puà parlare del diritto internazionale pubblico come di insieme di regole di condotta i cui soggetti portatori di pretese e di obblighi sono gli stati. Diritto internazionale privato è invece l'insieme delle norme di un determinato ordinamento giuridico disciplinanti i conflitti di leggi e giurisdizioni derivanti dalla coesistenza di più sistemi giuridici nazionali e distinti. Nel passato i giuristi per indicare le regole giuridiche disciplinanti i rapporti fra enti sovrani e indipendenti usavano il termine ius gentium e ius naturale che veniva così man mano a perdere il significato originale di diritto privato comune dei diversi popoli soggetti all'impero romano. Fu l'inglese Zouche che per primo utilizzò il termine ius inter gentes (feciale) per differenziarlo dallo ius gentium così carico della originale romanistica significanza. Oggi la dizione diritto internazionale si è ormai imposta anche se effetivamente essa non è indicativa dei soggetti che tale diritto riguarda e per ciò sono state proposte altri termini come quello di diritto interstatuale, tra potentati, etc. Un punto fondamentale è che il concetto di diritto internazionale presuppone necessariamente l'esistenza di una società internazionale, l'esistenza della pluralità di soggetti cui imputare obblighi e pretese. LE ORIGINI DELLA MODERNA SOCIETÀ INTERNAZIONALE: VARIE TEORIE La parte maggiore della dottrina concorda nel'individuare l'origine della società internazionale nel periodo fra il XV e XVII secolo, ossia nel passaggio dallo stato patrimoniale allo stato assoluto con il consolidamento di una pluralità di monarchie nazionali in particolar modo in Europa. Tale configurazione di diverse sovranità, combinatasi con lo sviluppo delle comunicazioni fra le nazioni che diventerà sempre più necessario tanto più si realizzerà la trasformazione dell'economia da agricola pastorale a industriale, renderà naturale il verificarsi di stabili rapporti frà le diverse comunità. Tutto ciò in un preciso quadro culturale che prende atto di tale situazione (o le dà impulso) costituito dal pensiero politico di tanti fra i quali Bodin, Machiavelli, Hobbes. E' il passaggio dallo stato patrimoniale feudale allo stato assoluto moderno con la sua sovranità (potestà di comando suprema, originaria e indipendente) che si lascia alle spalle il problema medioevale del rapporto fra stato e chiesa e della lotta per le investiture. Lo lascia alle spalle non perchè abbia avuto un esito tale scontro, ma perchè col passare del tempo il problema stesso perdeva di interesse visto che l'unità del cristianesimo era venuta meno (grande ruolo della riforma). Quasi paradossamente l'ultimo tentativo di salvare la potestà universale rappresentato dal Sacro Romano impero degli Asburgo termina in un atto che testimonia la nuova realtà. Nella spinta controriformistica e nel tentativo di riaffermare l'impero ci si imbarcò nella grande guerra dei trent'anni che ebbe fine con la pace di Westfalia del 1648 la quale non è altro che una conferma della ormai sorta comunità di stati sovrani e assoluti, una conferma del nuovo mondo moderno. Altra parte della dottrina invero ha cercato di fare risalire le origini della società internazionale all'alto medioevo, considerando la evoluzione dal feudalesimo allo stato assoluto come un processo di continuità nell'ambito di una originaria comunità cristiana. Ma rimane una differenza essenziale che è poi un punto di svolta. Prima il rapporto è sempre gerarchico (e la grande lotta fra stato e chiesa è per stabilire il primato assoluto), poi il rapporto diviene paritario. E' con tale rapporto paritario che veramente si può parlare di comunità internazionale di tipo moderno. Infatti altrimenti bisognerebbe risalire fino all'antichità classica perchè i rapporti fra imperi vi sono sempre stati (si pensi ai rapporti fra le polis grche). Ma fra questi tipi di rapporti e l'odierna realtà internazionale non si potrebbe rintracciare alcun nesso di continuità. -il giudice non può pronunziare la sentenza se tutti i litiganti non gli hanno conferito la giurisdizione, ossia le parti non siano d'accordo a rimettere la decisione a quel terzo -non esistono organi di tipo esecuitivo. Da tali elementi è sorto il problema di stabilire se effettivamente un sistema così primitivo sia o meno un ordinamento giuridico. La risposta ovviamente dipende dalla definizione di ordinamento giuridico. Classico argomento a favore della giuridicità dell'ordinamento internazionale è l'effettività delle sue norme (quasi tutti gli stati osservano quasi tutte le regole) D'altra parte il rapporto paritario dei membri della società internazionale è sancito direttamente dalla Carta delle Nazioni Unite dove si afferma che la Organizzazione è fondata sul principio della sovrana uguaglianza di tutti i membri. Uguaglianza tradotta in una dichiarazione del '70 ove si specifica il suo significato in vari punti: -gli stati sono uguali dal punto di vista giuridico - ogni stato gode dei diritti inerenti alla piena sovranità - ogni stato ha l'obbligo di rispettare la personalità degli altri stati -l'integrità territoriale e l'indipendenza politica dello stato sono inviolabili -ogni stato ha diritto di scegliere e sviluppare liberamente il suo sistema politico, sociale, economico e culturale - ogni stato è tenuto ad adempiere pienamente e in buona fede i suoi obblighi internazionali e a vivere in pace con gli altri stati In realtà la dottrina ha sottolineato che tale parità si è tramutata in un equilibrio instabile fra punti di forza impari, fonte di ulteriore ostacolo alla pace e alla uguaglianza delle nazioni. A tale proposito si ricorda il ruolo svolto nella comunità internazionale dalle grandi potenze nella gestione degli affari internazionali, inevitabile conseguenza della indipendenza fra le nazioni e della mancanza di un apparato politico istituzionale dedicato. Tale squilibrio si è riflesso persino in sede di Consiglio di sicurezza sulle questioni non procedurali (sostanziali) dove nella Carta allo art. 27 su di un totale di 15 voti richiesti, sono necessari 9 voti favorevoli nei quali siano compresi quelli dei cinque membri permanenti (Cina, Francia, Unione Sovietica, Regno Unito, Stati Uniti). IL DIRITTO INTERNAZIONALE NELLA SCIENZA GIURIDICA LA DOTTRINA CLASSICA DEL DIRITTO INTERNAZIONALE Si tratta del pensiero maturato a partire dal XV secolo che ha la sua radice nel patrimonio giuridico romanistico e in particolare nei suoi concetti di ius naturae o naturale e di ius gentium. Lo ius commune gentium esprimeva l'idea di un fenomeno giuridico caratterizzato da norme comuni e adottate presso tutte le genti in tutti i paesi (quo iure omnes gentes utuntur). Esso poteva riguardare anche i comportamenti dei reges e dei principes superiorem non riconoscentes. Lo ius naturae ovviava alla mancanza di autorità superiori alle singole sovranità imponendosi come ordine razionale naturale. Esso non veniva inteso come insieme di precetti costruiti dalla filosofia morale ma come vivente nei rapporti fra pari (le sovranità nazionali). Ugo Grozio, il famoso autore del De iure bellis ac pacis, afferma la giuridicità di quello che noi oggi diremmo diritto internazionale come rispondente al diritto, al dovere essere, imposto dalla razionalità comune a tutti gli uomini. L'affermazione più nota è quella che il diritto naturale esisterebbe anche se Dio non esistesse. Centro del suo pensiero è la razionalità. Un secolo dopo Jean Jacques Burlamaqui vede nel diritto regolante le relazioni tra stati come riflesso di una società analoga a quella che naturalmente stringe gli uomini. Ma se il diritto des gentes o Lois des Nations nasce dalla razionalità umana esso, come la ragione umana, è immutabile. Immutabilità che va attenuandosi nel pensiero successivo. Vanno comunque ricordati Francisco de Vitoria, Alberico Gentili e Richard Zouche, che si soffermano sui soggetti dello ius inter gentes qui superiorem non habent, mentre l'analisi da astratta si fa sempre più concreta verso gli effettivi soggetti di imputazione dell'ordinamento. Anche se non mancano elaborazione teoriche giusnaturalistiche di carattere squisitamente filosofico come quelle di Samuel Pudendorf e Christian Wolff. Ad avviso degli autori colui che condensò e catilizzò il pensiero della dottrina classica fu Johann Jacob Moser, ormai nel XVIII secolo, che accentrò la sua attenzione sulla fonte principale del diritto internazionale: la consuetudine che fonda uno ius commune contrapposto allo ius particulare scaturente dai trattati stipulati dai singoli paesi. Ma lo stesso ius particolare trova la sua giustificazione ancora nello ius commune: pacta sunt servanda. IL POSITIVISMO STATALISTICO E IL POSITIVISMO CRITICO Punti cardine di tale dottrina sono la centralità dello stato come unica fonte sovrana di diritto e la coercibilità come elemento caratterizzante il fenomeno giuridico. Esemplare John Austin per il quale il diritto positivo consiste in quelle norme che un superiore politico pone e impone a tutti coloro che sono a lui subordinati. L'imperatività deontologica è essenziale al diritto. In questa concezione trova poca ospitalità il diritto consuetudinario che vede indiretto riconoscimento solo in quanto riportabile alla volontà di uno stato sovrano. Perciò per Austin le norme internazionali non sono vere norme giuridiche, mancando quel superiore politico che le possa imporre. Altri positivisti ammisero invece la giuridicità solo delle norme derivanti da trattati. Diversamente Heinrich Triepel e Dionisio Anzilotti individuarono quel superiore politico nella collettività di stati, cui ogni stato nella sia singolarità è subordinato. Il centro dell'attenzione dottrinale è dunque il trattato, vera fonte del diritto internazionale, in cui al limite anche la consuetudine si risolve come fattispecie tacita. Ma il pensiero del Triepel fu sempre negatore della unicità del diritto internazionale che invece si risolverebbe in una pluralità di sistemi, tanti quanti i trattati. Sempre nell'ambito del positivismo (e del neo Kantismo dal puntoo di vista filosofico) si collaca una linea di pensiero assai diversa: quella di Hans Kelsen. Egli riconosce le due principali fonti del diritto internazionale come la consuetudine e il trattato, qust'ultimo poggiato sulla suprema norma consuetudinaria pacta sunt servanda. Ne consegue il carattere particolare del diritto pattizio internazionale vigendo le sue norme non per tutti gli stati ma solo per gruppi. Si parla allora di diritto internazionale convenzionale particolare e di diritto internazionale consuetudinario generale come di due diversi livelli di una Stufenbau che viene ad integrarsi poi alle norme giuridiche dei c.d. tribunali internazionali. Stufenbau che ha al vertice chiaramente la consuetudine in quella norma che la autoimpone alle comunità. Certo si tratta di un diritto primitivo: le conseguenze della violazione del diritto internazionale sono la rappresaglia e la guerra. Ma si tratta per Kelsen dell'inizio di uno sviluppo. A questo punto Kelsen pone la unicità del diritto internazionale come postulato gnoseologico, necessità epistemologica della scienza del diritto, contro le dottrine dualistico pluraliste. Si deve prendere atto del diritto internazionale come si presenta componendo le antitesi normative... Per operare tale unificazione Kelsen analizza il rapporto reciproco di due o più sistemi normativi. Due complessi di norme possono costituire un sistema unitario in 2 sensi: un ordinamento è subordinato all'altro in quanto uno trova nell'altro il fondamento della sua validità e quindi la sua norma fondamentale; oppure nel senso che entrambi gli ordinamenti sono equiparati fra loro, ossia reciprocamente delimitati nella loro sfera di validità. Ma in questo secondo caso Degno di nota che nella carta non solo si bandisce l'uso della forza, ma anche della minaccia attuata con la forza. Non solo la guerra dunque. Salvo il caso del ricorso al diritto di autotutela. Non solo: viene condannata anche l'organizzazione di forze irregolari, di bande armate o di mercenari in vista di incursioni sul territorio di un altro stato, o atti di guerra civile sul territorio di altri stati, di terrorismo, e in ogni caso le acquisizioni territoriali ottenute con la minaccia o l'uso della forza in generale. Le risoluzioni delle Nazioni unite definiscono nei particolari cosa si debba intendere per aggressione (invasione od occupazione anche temporanea, bombardamento con qualsiasi arma, blocco dei porti o delle coste, l'utilizzo indiretto di forze armate stanziate in altri paesi, l'invio di bande di mercenari, terroristi etc.) A tale proposito può ricordarsi la condanna degli Stati Uniti d'America nella sentenza del 1986 della corte internazionale di giustizia sulla controversia sulle attività militari e paramilitari in Nicaragua e contro il Nicaragua. IL MANTENIMENTO DELLA PACE E DELLA SICUREZZA INTERNAZIONALE SECONDO LA CARTA DELLE NAZIONI UNITE Il sisema della Carta delle Nazioni Unite affida al Consiglio di sicurezza la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, ai sensi dello art. 24. Il Consiglio : -ha funzioni conciliative -di accertamento dell'esistenza di minacce alla pace -potere di effettuare raccomandazioni e di decisioni sulle misure da prendere per mantenere o ristabilire la pace. Per es. interruzione totale o parziale delle relazioni economiche e delle comunicazioni ferroviarie, amrittime, aeree e postali etc. oltre alla rottura delle relazioni diplomatiche. -può invitare i membri delle Nazioni Unite ad applicare tali misure (art. 41). Se queste di mostrano insufficienti il Consiglio può intraaprendere con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione dhe sia necessaria per mantenere o stabilire la pace e la sicurezza internazionale (art. 42). La complessa struttura organizzativa prevista dalla carta per intraprendere le azioni militari necessarie per mantenere o ripristinare la pace e la sicurezza internazionale ex art. 42 non ha visto la luce. In particolare non è stato attuato il Comitato di Stato Maggiore previsto all'art. 47. In taluni casi eccezionali il Consiglio di sicurezza e l'Assemblea Generale hanno deciso l'invio di peace keeping forces -i caschi blu -con compiti di supervisione al cessate il fuoco, di assistenza e di verifica di ritiri di truppe e di cuscinetto fra forze armate contrapposte. Benchè effettuati tali interventi tramite truppe militari essi non comportano l'uso della forza se non per legittima difesa e richiedono il consenso delle parti in conflitto. Anche i recenti avvenimenti della guerra del golfo difficlmente si inquadrano nelle previsione degli art. suddetti. LA COOPERAZIONE PER SVILUPPO ECONOMICO Nella Carta delle Nazioni unite si pone anche il fine di conseguire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere economico, sociale, culturale e umanitario. In particolare allo art. 55 si pongono obiettivi come un più elevato tenore di vita, il pieno impiego della manodopera, e condizioni di progresso e di sviluppo economico e sociale. Anche il mantenimaento della pace può essere assicurato attraverso una azione di natura economica. Sarebbe assai difficile mantenere la pace in una società internazionale dove esistano marcati squilibri di condizioni economiche. E' il caso si approfondire una tendenza che sottolinea come per garantire la uguaglianza sostanziale fra tutti i membri della comunità internazionale sia necessaria una correttiva diseguaglianza formale. Ossia promuovere un sistema di norme apertamente diseguale proprio perchè diretto a compensare mediante opportune misure la situazione dei paesi meno progrediti. Si parla a proposito di ineguaglianza compensatrice. Su questo principio si fonda la critica a quella regola internazionale che subordina la nazionalizzazione dei beni e delle attività di imprese straniere al versamento di un indenizzo pronto. adeguato ed effettivo. Tale obbligo di indenizzo penalizzerebbe gli stati più deboli in via di sviluppo che mirano a riacquistare il controllo delle loro risorse naturali ma che non hanno le possibilità finanziarie per la nazionalizzazione. Per ciò si sono proposte regole diverse per l'indenizzo. Al proposito la Carta dei diritti e doveri economici degli stati prevede che ogni stato ha diritto di nazionalizzare, espropriare o di trasferire la proprietà dei beni stranieri contro un adeguato indenizzo, tenuto conto delle sue leggi e regolamenti e di tutte le circostanze che esso giudica pertinenti. In tutti i casi in cui la questione dell'indenizzo sia controversa questa sarà regolata conformemente alla legislazione interna dello stato che nazionalizza e dei tribunali di tale stato, a meno che le parti di aomune accordo non convengano di rimettere la decisione a terzi. Estensione del concetto di sovranità al potere di disporre autonomamente e liberamente delle proprie risorse naturali. I SOGGETTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE IL CONCETTO DI STATO AI FINI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE Si dice che gli stati sono i soggetti di diritto del diritto internazionale. Per soggetti di diritto si intende gli enti cui fanno capo i diritti e gli obblighi discendenti dall'ordinamento giuridico. In altri termini la soggettività giuridica va intesa come capacità giuridica, ossia la capacità di un soggetto di essere titolare di diritti e di obblighi. Se i soggetti di diritto internazionale sono gli stati, il termine stato non ha una definizione univoca. Parte della dottrina identifica lo stato nella comunità di uomini, nel popolo che organizzandosi entro un territorio ne determina la costituzione. Secondo una diversa concezione lo Stato come soggetto del diritto internazionale va identificato esclusivamente nell'apparato governativo, negli organi che identificano lo stato persona e dunque in un ristretto nucleo di persone detentirici del potere politico, sia attraverso un mandato di rappresentanza politica del popolo sovrano, sia che il potere sia consolidato in modo antidemocratico. Dal punto di vista del diritto internazionale va senza dubbio la preferenza alla seconda accezione che rispecchia la stessa genesi storica del diritto internazionale come rapporto fra entità sovrane, originarie e indipendenti di principes superiorem non reconoscentes. E per quanto sia mutata la situazione, per quanto riguarda i caratteri e la posizione dei protagonisti della vita internazionale non si riscontrano modificazioni di fondo rispetto alla società internazionale dei secoli precedenti. Tuttavia rimane forte la suggestione in molti autori di ritenere destinatari delle regole di un unico e universale ordinamento giuridico sempre e comunque individui umani, e non stati, di cui si nega persino l'esistenza anche come entità sociologiche. Ciò sia da parte di coloro che si rifanno alla dottrina pura del diritto che concependo lo stato come ordinamento giuridico no lo può ritenere in quanto tale destinatario di norme, sia da parte di moderne correnti come quella della cosiddetta dottrina solidarista. A proposito Scelle: "la società internazionale risulta non dalla coesistenza e dalla giustapposizione degli stati, bensì al contrario dall'impenetrazione dei popoli attraverso il commercio internazionale". Il diritto internazionale come diritto mondiale di cui sono soggetti i singoli individui. LE VARIE TEORIE SULLA PERSONALITÀ GIURIDICA DELLO STATO La formazione di uno stato è un fenomeno essenzialmente politico e pregiuridco. Essa avviene con l'affermarsi stabilmente e di fatto nelle relazioni internazionali di una autorità politica sovrana e indipendente con un determinato ambito di validità spaziale e personale. Sono state tuttavia proposte in dottrina varie teorie che fanno dipendere il sorgere di uno stato da una norma di diritto internazionale, e quindi superiore. Ad avviso degli autori si tratta di tentativi che sono destinati a fallire per il fatto che vogliono spiegare sulla base di norme giuridiche un fatto indipendente dal diritto. Si tratta principalmente delle seguenti teorie : I TEORIA : IL RICONOSCIMENTO COSTITUTIVO La teoria del riconoscimento costitutivo che, come dice il nome, valorizza come fattispecie costitutiva, la pratica del riconoscimento di nuovi stati, questione che fu estremamente importante soprattutto, nel passato, nei rapporti fra l'Inghilterra e le sue colonie secessioniste del nord America. Il quadro teorico entro il quale è maturata tale tesi è quello che vede il diritto internazionale come il prodotto di una volontà collettiva degli stati, scaturente dai reciproci accordi. Certo è che se il riconoscimento è configurato come accordo il fatto rimane che esso deve avere valore solo nell'ambito dello stato preesistente che abbia effettuato il riconoscimento, che invece un altro stato può continuare a negare. L'effetto del riconoscimento è relativo. Proprio da qiesto punto di vista, la relatività e la mancanza di effetti erga omnes, tale teoria mostra i suoi limiti, andando in pratica a negare il diritto internazionale come fenomeno unitario, che invece si risolverebbe nei singoli accordi e atti fra i singoli stati. Altra conseguenza rilevante di tale teoria è che se lo stato non riconosciuto non esiste, il suo territorio è res nullius. Una applicazione di tale teoria può essere vista in una nota sentenza del Tribunale di Bolzano del 1971, al quale, non essendo allora riconosciuta dall'Italia la Repubblica democratica Tedesca sancì la inesistenza dei suoi tribunali dichiarando la inesistenza di un ottenimento di divorzio all'estero della parte convenuta. Qual la vera natura del riconoscimento allora? Esso è solamento un mero atto giuridico dichiarativo di un dato di fatto duplice: (1) la venuta ad esistenza di una autorità sovrana in un determinato ambito spaziale e personale la quale, in quanto tale, (2) abbia stabilito relazioni internazionali con gli stati preesitenti. D'altra parte la stessa nostra Corte di Cassazione con la sentenza numero 468 del 1975 ha dichiarato che , al fine di stabilire l'efficacia in Italia di un atto di diritto privato formato all'estero è irrilevante che lo stato mantenga o meno normali rapporti diplomatici con quello cui appartiene la norma di diritto internazionale privato da applicare o che quest'ultimo non sia stato riconosciuto dal primo. Ancora significativo è che nell'opera di codificazione del diritto internazionale nell'ambito degli stati americani sia stata approvata a Montevideo nel 1933 una convenzione sui diritti e doveri degli stati nella quale si dice che l'esistenza politica di uno stato è indipendente dal riconoscimento da parte degli altri stati e che, anche prima del riconoscimento lo stato gode in diritto internazionale di tutto un insieme di diritti. Ancora in una risoluzione dell'Institut de droit international del 1936 si ribadisce il carattere dichiarativo del riconoscimento internazionale, così come nella Carta dell'Organizzazione degli Stati Americani, adottata a Bogotà il 30 aprile 1948. In realtà il vero significato del riconoscimento è politico. II TEORIA : LA SOGGETTIVITÀ DELLO STATO COME QUALITÀ CONFERITA DA UNA APPOSITA REGOLA INTERNAZIONALE GENERALE Esisterebbe quindi una norma internazionale (per alcuni non scritta o consuetudinaria ma per altri anche primaria o costituzionale) che determina le fattispecie che devono verificarsi affinchè uno stato acquisti personalità giuridica nei confronti degli altri. La fattispecie o presupposto di fatto per la venuta ad esistenza di un nuovo stato si ricollegano in genere a quelli che sono gli elementi fondamentali di tale ente: popolo, territorio, sovranità. Se è pacifico che tali elementi sono essenziali al concetto di stato non è però pacifica l'esistenza di una norma che, come schema qualificativo, ricolleghi a tali elementi l'assunzione di personalità giuridica internazionale da parte dell'ente che li possegga. Gli autori dubitano in generale della giuridicità di una norma avente la funzione specifica di designare i destinatari delle altre norme giuridiche dell'ordinamento. III TEORIA : LA SOGGETTIVITÀ DELLO STATO COME QUALITÀ RISULTANTE DALL'INSIEME DELLE REGOLE INTERNAZIONALI GENERALI Si tratta della teoria che, con le debite precisazioni, è la più persuasiva ad avviso degli autori. Si nega la necessità di specifiche regole attributive della personalità giuridica affermando che la determinazione di quali CIò che bisogna premettere è l'assenza nell'ordinamento giuridico internazionale di una norma che identifichi i soggetti giuridici dell'ordinamento (come già si è visto in tema di capacità giuridica internazionale) e che determini le condizioni affinchè tali soggetti vengano meno o sorgano. Esiste invece un'altra norma di diritto internazionale rivolta al problema della continuità degli stati che ha trovato varie formulazioni ed è confermata dalla prassi : mutata regimins forma non mutatur ipsa civitas. Si tratta di una regola generale statuente la continuità nei rapporti giuridici internazionali tra lo stato in cui è intervenuto un mutamento rivoluzionario e gli altri stati. Conferme nella prassi : -protocollo del 19 febbraio 1831 dei plenipotenziari delle maggiori potenze europee riuniti a Londra per discutere della cirisi del Belgio in cui si dispone che secondo un principio di ordine superiore i trattati non perdono forza, quali che siano i mutamenti intervenuti nell'organizzazione interna dei popoli, mutamenti che non autorizzano quello stato a ritenersi sciolto dai suoi impegni anteriori. -sentenza arbitrale del 1901 nella controversia fra Cile e Francia in cui è affermata la continuità nella titolarità dei rapporti stabiliti qualsiasi mutamento, anche profondo, intervenuto. -sentenza arbitrale del 1923 fra Gran Bretagna e Costarica (governo di Tinoco anche se usurpatore i suoi atti sono vincolanti. Il governo restaurato è vincolato dagli impegni assunti dal governo usurpatore, come dimostrato dalla storia da Luigi XVIII e Luigi Filippo che indennizzarono le perdite causate da Napoleone. Certo non mancano prese di posizione contrarie come quella della Cina del 1983 per cui il governo cinese non riconosce i debiti esteri contratti dai cessati governi cinesi e non ha alcun obbligo di pagarli. Infine va ricordato che la regola generale sulla continuità nei rapporti giuridici internazionali in caso di mutamenti rivoluzionari intervenuti nella struttura politico istituzionale dello stato va coordinata con altre regole generali, come quella che prevede l'estinzione dei trattati per effetto del mutamento fondamentale delle circostanze. IL MUTAMENTO NEL TERRITORIO DEGLI STATI Ancora più complessi i problemi in tema di continuità dei rapporti giuridici internazionali qualora intervengano mutamenti nel territorio degli stati. Le situazioni che in astratto si possono verificare sono : 1. trasferimento di una parte del territorio di uno stato ad un altro. E' tale solo se il mutamento territoriale incida in modo marginale sulla consistenza complessiva dello stato. Altrimenti incorrono fattispecie diverse come le seguenti. Esempio di semplice trasferimento è la compravendita dell'Alaska. 2. unificazione o fusione. Ossia la unione di due o più stati preesistenti che si estinguono nella loro precedente individualità e formano un unico nuovo stato che spesso nella prassi è uno stato federale (ad es. La Repubblica Yemenita dall'unione dello Yemen del nord e del sud). 3. dissoluzione o smembramento che comporta la estinzione di uno stato preesistente e la formazione di due o più stati nuovi (per es. l'estinzione dell'Impero Austro Ungarico e quella del Reich germanico del '45). 4. incorporazione o annessione che comporta l'estensione della autorità di uno stato preesistente al territorio di un altro stato che si estingue. Laddove ciò avviene con la forza si parla di annessione (es. Anshluss dell'Austria, ma anche la formazione dell'Italia è configurabile come annessione da parte della Sardegna degli stati preunitari, completamente pacifica invece la incorporazione rappresentata dal trattato di unificazione di Berlino del 31 agosto 1990 con cui la Germania federale ha aggiunto ai suoi undici Lander i cinque della democratica). 5. separazione o secessione che comporta il distacco di parte del territorio di uno stato preesistente, che permane, e la formazione di uno stato nuovo (ad es. le colonie inglesi del Nord America o quelle spagnole e portoghesi in Sud America, ancora la separazione del Belgio dai Paesi Bassi del 1831, il distacco della Grecia dall'impero ottomano del 1830, la separazione della Norvegia dalla Svezia del 1905, la secessione dell'Islanda dalla Danimarca del 1940). 6. nuova indipendenza nel caso su un territorio dipendente da uno stato che permane, e avente la responsabilità delle sue relazioni internazionali, sorge un nuovo stato indipendente (è il caso del distacco dei domini coloniali e dei protettorati dalle potenze europee di questi ultimi decenni). LA SUCCESSIONE DEGLI STATI IN MATERIE DIVERSE DAI TRATTATI Per successione degli stati si intende la sostituzione di uno stato ad un altro nella responsabilità delle relazioni internazionali di un territorio. A tale proposito di incontrano due iniziative di codificazione ad opera delle Nazioni Unite : l'apertura alla firma della convenzione sulla successione degli stati rispetto ai trattati di Vienna, 23 agosto 1978 I SOGGETTI DI DIRITTO INTERNAZIONALE : LE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI ORGANIZZAZIONE GIURIDICA E ORGANIZZAZIONE ISTITUZIONALE DELLA COOPERAZIONE FRA STATI Da alcuni decenni a questa parte gli stati non sono più i protagonisti esclusivi della vita di relazione internazionale, essendo affiancati da un insieme di strutture istituzionali che sono denominate nella pratica e nella dottrina organizzazioni internazionali o organizzazioni intergovernative o rectius organizzazioni istituzionali della cooperazione internazionale. Si tratta di appositi enti o istituzioni destinati ad assolvere determinati compiti nel campo della cooperazione internazionale e capaci di manifestare una propria volontà e di svolgere una propria attività, distinte e separate da quelle dei governi contraenti. Genesi storica : E' evidente che il fenomeno della collaborazione internazionale è sempre esistito, anche in modo organizzato. Si trattava però di una organizzazione prevalentemente giuridica, e non anche di una organizzazione istituzionale della cooperazione internazionale. Era infatti solita la conclusione di trattati internazionali, generalmente bilaterali, spesso non bilanciati nel predisporre i rapporti obbligatori ( i c.d. trattati ineguali stipulati dalle nazioni europee con i paesi poveri). Persino i grandi trattati di pace conclusi dopo guerre che avevano visto impegnate molte nazioni, a cominciare dalla pace di Westfalia del 1648, vennero concepiti non come un unico atto internazionale, ma come un fascio di accordi bliaterali fra le diverse coppie di stati intervenuti. Solamente nel corso di questo secolo è intervenuta una orgainzzazione istituzionale della cooperazione fra stati, come sviluppo e integrazione rispetto alla precedente organizzazione puramente giuridica. Continuità testimoniata dal fondamento pur sempre esclusivamente volontario o pattizio alla base di entrambi i sistemi. LE PRIME MAINFESTAZIONI DI UNA PERIODICA COOPERAZIONE TRA STATI IN MATERIA POLITICA : IL CONCERTO EUROPEO Dal punto di vista storico la prima, embrionale, periodica cooperazione tra stati in materia politica, fu il Concerto europeo o Direttorio europeo che si ebbe fra le grandi potenze europee dopo il congresso di Vienna del 1815. In esso dapprima fu fissato l'impegno delle potenze vincitrici su Napoleone di riunirsi periodicamente per discutere degli interessi comuni. D'altra parte già nel 1818 ad esse si aggiunse la Francia e nel 1856 la Sardegna. Da quel momento fu consolidata la pratica delle potenze di concertarsi con relativa frequenza sulle più delicate questioni internazionali. Il meccanismo di funzionamento era quello del semplice congresso diplomatico. LA SOCIETÀ DELLE NAZIONI Il primo conflitto mondiale si concluse con il trattato di pace di Versailles e con altri trattati, nella parte prima dei quali (fatta eccezione quello con la Turchia) si inserì un covenant o patto istitutivo della Società delle Nazioni. Siamo nel 1919. Esso fu accompagnato da grandi speranze e illusioni (non mancò che volle configurarla come un superstato o stato degli stati. In realtà l'impronta non fu rivoluzionaria ma in linea di continuità con la politica di cooperazione precedente. Certo teso alla pacifica convivenza fra i popoli attraverso un complesso di diritti e doveri peraltro volontariamente assunti. Struttura : -Assemblea -Consiglio -Segretariato Ma non si deve assolutamente credere che Assemblea e Consiglio avessoro qualcosa a che vedere con un organo legislativo e rispettivamente esecutivo. Si trattava nient'altro che di conferenze diplomatiche, una generale ed una ristretta, a voto singolo per ciascun stato (anche se i suoi rappresentanti erano tre). La vera ragione della distinzione fra Assemblea e Consiglio era quella di distinguere le grandi potenze dalle altre nazioni. Peraltro neppure le rispettive competenze dei due organi erano delineate distintamente, con uno storico prevalere di un organo sull'altro a seconda dell'interesse della grandi potenze stesse. Tuttavia l'assemblea era di principio paritaria con il meccanismo di voto visto (1 nazione 1 voto). La novità consisteva : -fu la creazione di un sistema universale -la stabilità e la periodicità delle riunioni -la preventiva accettazione da parte dei membri dalla società di alcuni obblighi sul funzionamento della organizzazione stessa. LE NAZIONI UNITE L'organizzazione della Società delle Nazioni fu travolta dalla seconda guerra mondiale. Ma proprio dagli eventi bellici e dalla riflessione sul tragico bilancio di vite del secolo XX nacque una nuova organizzazione, che nel suo preambolo dichiara di volere : salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all'umanità. Lo statuto delle Nazioni Unite, detto Carta di San Francisco, fu adottato nella omonima città il 26 giugno 1945, prima dunque della totale conclusione della guerra, dagli stati vincitori. Da quel momento gli stati aderenti si allargarono fino a comprendere la quasi totalità delle nazioni. Affinità con la Società delle Nazioni: ancora più accentuta l'attenzione sulla esigenza di pace ex art. 1 (pag. 124) ancora suddivisione in tre organi: Assemblea Generale, Consiglio di sicurezza con cinqe membri permanenti (Cina , Francia, Regno Unito, USA, CSI) e dieci non permanenti, eletti per un periodo di due anni dalla Assemblea, e infine il Segretariato. L'art. 7 dello statuto annovera anche tra gli organi principali il Consiglio Economico e Sociale, il Consiglio per l'Amministrazione fiduciaria e la Corte internazionale di giustizia, che costituisce il principale organo giurisdizionale delle Nazioni Unite. I primi due hanno compiti di decentramento. Differenze con la Società delle Nazioni: -ripartizione delle competenze marcata all'interno della organizzazione, competenza generale alla Assemblea, responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali al Consiglio di sicurezza; -attribuzioni del Segretariato più estese; -soprattutto il metodo di voto: abbandono del principio della unanimità per quello di maggioranza (art. 10 e 27 della Carta). A qusto riguardo, l'interesse delle grandi potenze ad evitare il rischio di trovarsi in posizione di minoranza rispetto a delibere di organi delle Nazioni Unite è stata tutelato in un duplice modo: sottolineare come la organizzazione sia fondata sul principio della sovrana uguaglianza di tutti i suoi membri e che nessuna disposizione del presente statuto autorizza le Nazioni Unite ad intervenire in questioni che appartengono essenzialmente alla competenza interna di uno stato, nè obbliga i membri a sottoporre tali questioni ad una procedura di regolamento di applicazione del presente statuto. Ciò è sufficiente per contestare quell'orientamento dottrinale che attribuisce all'organizzazione internazionale un carattere pubblico, in quanto gli enti visti costituirebbero le prime basi o frammenti di una strutturazione nuova e superstatale dell'organizzazione internazionale. In realtà una attenta analisi mostra come tali enti siano portatori ancora e semplicememente di interessi comuni autonomamente scelti delle varie nazioni e non interessi pubblici. E' vero invece che il fenomeno della organizzazione internazionale ha comportato in numerose sue manifestazioni un allargamento della sfera dei protagonisti della vita internazionale stessa. Ciò senza modificare l'assetto della stessa come basato su pluralità di enti sovrani (gli stati) superiorem non riconoscentes. Senza dubbio infatti tali enti organizzati di cooperazione internazionale vanno considerati soggetti di diritto aventi capacità giuridica internazionale, ossia destinatari delle regole del diritto internazionale, anche se in misura più limitata di quanto avviene per gli stati. Tale limitazione non trova ragione nel fatto che il diritto internazionale generale ponga limiti alla capacità di questi soggetti, ma per l'essenza diversa di tali enti ripetto a quella degli stati. Si possono ricordare le parole dei pareri consultivi della Corte internazionale di giustizia : un'organizzazione internazionale è al pari di uno stato, un soggetto di diritto internazionale, ma dotato di una capacità giuridica internazionale ristretta e soprattutto, a differenza di uno stato, è un soggetto di diritto internazionale privo di qualsiasi bene territoriale. Analoghi concetti sono espressi dalla Corte internazionale di giustizia in tema di riparazione dei danni subiti al servizio delle Nazioni Unite, a proposito della capacità di agire delle stesse per mezzo di reclamo internazionale contro il governo responsabile per la riparazione dei danni subiti da un agente delle Nazioni Unite nell'esercizio delle sue funzioni. E ancora lì si precisa che avere la capacità giuridica non significa costituire un superstato. Capacità giuridica esercitabile anche nei confronti degli stati non membri. IL DIRITTO INTERNO DELLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI Le organizzazioni internazionali sono indispensabilmente dotate di regole di condotta interne che presentano una propria marcata autonomia. Queste trovano la loro fonte negli accordi internazionali istitutivi degli enti in questione, dove si dispongono le c.d. norme costituzionali dell'ente. Ovviamente una volta stipulato l'accordo istitutivo dell'ente secondo una certa organizzazione interna gli stati firmatari hanno solo l'obbligo di concorrere alla costituzione dell'ente nelle forme sancite, dopo di che gli stati istituenti rimangono estranei all'organizzazione interna dell'ente, dipendente esclusivamente dal proprio ordinamento giuridico interno. Il diritto interno delle organizzazioni internazionali si presenta quindi come separato sia dal diritto internazionale che dai diritti interni degli stati membri dell'organizzazione. GLI ORGANI DELLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI Avendo già più volte sottolineato l'assetto della contemporanea vita internazionale come basato sulla giustapposizione di stati sovrani e indipendenti è chiaro il modello sottinteso ad ogni organizzazione: quello della conferenza diplomatica. Tale modello si riflette in un organo proprio dell'organizzazione creata (e ciò lo differenzia dalle normali conferenze diplomatiche) e non è quindi un mero aggregato di organi di una pluralità di stati. E' comunque, in analogia alla comune conferenza diplomatica, composto dai rappresentanti di tutti gli stati membri. Denominazioni usuali: assemblea, assemblea generale, consiglio, consigio generale, c. dei governatori, conferenza, congresso. Competenze: le più importanti deliberazioni, a cominciare da quelle sulla ammissione o esclusione dei membri, approvazione dei bilanci etc. A tale organo se ne aggiunge in genere un altro a composizione più ristretta, in cui sono rappresentati alcuni soltanto tra i membri dell'organizzazione, eletti di norma dall'istituzione di base per un limitato numero di anni. Denominazioni: consiglio esecutivo, consiglio direttivo, consiglio di amministrazione, comtitato esecutivo, commissione esecutiva, etc. Si tratta di un organo che si riunisce molto frequentemente, se non addirittura di un organo permanente, sovrintendendo all'esecuzione delle decisioni dell'organo collegiale più ampio, predisponendone l'ordine dei lavori, esercitando i poteri da quello delegati, adottando decisioni d'urgenza. Talora, come nel caso del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è direttamente investito si particolari e delicati poteri di decisione e di azione. La stessa periodicità di riunione dei due organi visti richiede la esistenza di un terzo apparato, capace di assicurare la continuità e la regolarità di funzionamento degli altri due e di svolgere l'ingente mole di lavoro amministrativo ed esecutivo connesso. Denominazioni: segretariato o ufficio, comprendente il personale della organizzazione e la persona preposta allo stesso (segretario generale, amministratore delegato, etc.). Spesso quest'ultima ha una notevole importanza anche politica. associazioni nazionali omogenee (che vanno dalla natura religiosa e di assistenza a quella culturale e sporitiva). La loro personalità è riconosciuta solo nell'ambito di un ordinamento giuridico nazionale, di norma quello dello stato ove si trova la loro sede, ed emerge sul piano internazionale nella misura in cui un accordo internazionale fra stati ne faccia oggetto di specifiche disposizioni. Di particolare importanza fra le organizzazioni internazionali non governative ha la Croce Rossa Internazionale (CRI), associazione che coordina l'operato di numerose entità costituitesi secondo diversi ordinamenti nazionali e sulla base di principi fondamentali comuni (umanità, imparzialità, neutralità, indipendenza, volontariato, unità e universalità). Diversi trattati internazionali prevedono, in varie circostanze, un intervento della CRI o di sue componenti. Ad es. nel protocollo addizionale del 1977 alle convenzioni di Ginevra del 1949, relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali, dispone che, in mancanza della designazione di una potenza protettrice, le parti ad un conflitto devono accettare senza ritardo l'offerta del comitato internazionale della CRI o di un'altra organizzazione che presenti ogni garanzia di imparzialità e di efficacia di agire in qualità di sostituto di tale potenza. QUESTIONI SULLA SOGGETTIVITÀ INTERNAZIONALE DI ALTRI ENTI Dopo aver visto gli stati e le organizzazionoi internazionali come soggetti giuridici del diritto internazionale vanno mezionati altri enti ai quali è attribuita personalità giuridica internazionale. Si noti tuttavia che la personalità giuridica internazionale va intesa diversamente dalla personalità giuridica definita in base ad un ordinamento giuridico interno di uno stato. In entrambi i casi si tratta della capacità di essere tiolari di diritti e obblighi ma nell'ordinamento giuridico interno essa è una qualità attribuita dall'ordinamento giuridico stessa attraverso una sua norma specifica. Abbiamo invece visto che nel diritto internazionale manca una predeterminazione giuridica, attraverso una norma, della propria sfera soggettiva. Individuare i soggetti giuridici internazionali è quindi una questione di analisi sociale, fattuale o di effettività, individuando materialmente e storicamente i protagonisti della vita di relazione internazionale. LA SANTA SEDE Fra gli enti che si sono posti sin dall'origine della vita internazionale fra i suoi protagonisti ed è sempre stata considerata soggetto di diritto internazionale al pari degli stati è la Santa Sede o Sede Apostolica. Essa è la suprema autorità di governo della Chiesa Cattolica. Per il fatto che essa è anche la suprema autorità politica dello Stato della Città del Vaticano (e prima dello Stato Pontificio) si potrebbe pensare che la sua soggettività dipenda dall'essere stato sovrano al pari di tutti gli altri stati. E' invece significativo che essa abbia continuato ad essere soggetto internazionale anche nel periodo che va dalla occupazione di Roma da parte dell'Italia (1870) allo stabilimento dello Stato della Città del Vaticano in virtù dei patti lateranensi del 1929. Con il trattato del Laterano l'Italia riconosce la sovranità della Santa Sede nel campo internazionale come attributo inerente alla sua natura, in conformità alla sua tradizione ed alle esigenze della sua missione nel mondo. Inoltre l'Italia riconosce alla Santa Sede la piena proprietà e la esclusiva ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana sul Vaticano, com'è attualmente costituito, con tutte le sue pertinenze e dotazioni, creandosi per tale modo la Città del Vaticano per gli speciali fini e con le modalità di cui al presente trattato. Rilevante è poi che la Santa Sede si pone anche come suprema autorità di Governo della Chiesa Cattolica, concepita come una società interindividuale, una societas perfecta allo stesso modo delle società nazionali, dotata di un suo ordinamento giuridico, il diritto canonico, distinto e separato dagli ordinamenti nazionali. Proprio i concordati, che così presentano delle analogie innegabili con i trattati fra stati, hanno per lo più il compito di regolare la coesistenza di due ordinamenti giuridici nello stesso ambito di validità spaziale e personale. Dal punto di vista diplomatico poi la Santa Sede in Italia gode di tutte le prerogative degli altri stati, con nunzi e ambasciatori che esercitano il diritto di legazione attivo e passivo secondo le regole del diritto internazionale, con organi che godono dei privilegi e delle immunità che spettano agli stati esteri. IL SOVRANO MILITARE ORDINE DI MALTA -SMOME' un ordine religioso sorto nel XII sec. che in passato ha esericitato la sovranità territoriale su Rodi (dal 1310 al 1522) e su Malta (dal 1530 al 1798). Oggi, tuttavia (e da quasi due secoli) non governa alcun territorio. Se in passato poteva essere considerato un soggetto di diritto internazionale oggi non più. Infatti esso non gode di indipendenza. Come sottolineato da una sentenza del Tribunale Cardinalizio della Santa Sede del 1953 va considerato come ordine religioso dipendente completamente dalla Sacra congregazione dei religiosi. Il suo appellativo di sovrano e le sue particolari prerogative che di regola spettano solo agli enti sovrani sono un reliquato storico e trovano loro giustificazione con i suoi fini e attività religiose. Le diverse convenzioni stipulate dall'ordine con aluni stati riguardano settori molto specifici (soprattutto in materia di assistenza ospedaliera e di servizio postale) e non possono considerarsi significative ai termini della soggettività internazionale. Per quanto attiene ai rapporti con l'Italia troviamo diversi trattati di cui uno solo pubblicato e mancanti di legge di autorizzazione alla ratifica. Proprio per questo, e per il contenuto degli stessi limitativo della sovranità nazionale italiana senza che a tale riguardo sussistesse un obbligo internazionale, si dubita della legittimità costituzionale dei suddetti trattati. Essi prevedono a carico dell'Italia la conferma di una serie di trattamenti a favore dello SMOM, solitamente attribuiti solo ad enti sovrani (viene trattato come stato sovrano con tutte le prerogative e guarentigie diplomatiche, sia relativamente ai suoi organi che alle sedi nel territorio italiano, oltre al riconoscimento della personalità giuridica delle sue istituzioni). Mentre tale analisi mostra che lo SMOM non è un soggetto di diritto internazionale bisogna ricordare invece la tendenza giurisprudenziale, non condivisa dagli autori, per cui viene considerato un soggetto di diritto internazionale con immunità dalla giurisdizione nazionale (par in parem non habet Jurisdictionem) con relativa immunità tributaria e delibazione in Italia delle sentenze rese dal tribunale magistrale. Ma oltre che contro l'analisi della situazione si tratta di un giudizio fatto sulla base di un accordo mai reso esecutivo dal parlamento, mai pubblicato e probabilmente incostituzionale. I GOVERNI IN ESILIO Anche ai governi in esilio va esclusa la attribuzione di soggettività giuridica internazionale. Si tratta dei governi che si trasferiscono o si costituiscono sul territorio di uno stato amico a seguito di invasione bellica o di conflitti interni avvenuti sul territorio che essi intendono governare (ad es. i governi costituitisi a Londra durante la II guerra mondiale -Olanda, Grecia, Norvegia, Polonia, Lussemburgo etc.-). Cosa senza dubbio lecita in tempo di guerra, rientrante nelle misure che uno stato belligerante può adottare nei confronti dell'avversario. Tuttavia il governo in esilio, benchè organizzato, è privo di effettivo controllo sul territorio e sulla popolazione (è privo di effettivo ambito di validità spaziale e applicazione delle norme di diritto umanitario internazionale nel conflitto, ancora gli insorti possono venire a contatto con stati esteri (per es. per il trattamento dei cittadini stranieri che si trovano nel territorio controllato dagli insortia). Condizioni per parlare di soggettività internazionale degli insorti: 1. gli insorti siano organizzati sotto un comando responsabile; 2. riescano ad esercitare effettivamente un potere di governo su un territorio; 3. intraprendano numerose relazioni paritarie con altre entità indipendenti. Da tenere comunque presente che in ogni caso la soggettività giuridica internazionale degli insorti ha carattere temporaneo in quanto la situazione deve evolversi o nello scioglimento degli insorti oppure nella loro trasformazione da insorti a nuovo stato (o nell'annessione del territorio controllato dalgi insorti in uno stato preesistente). Vanno ricordati a proposito di insorti i trattati di codificazione del diritto internazionale di guerra. In particolare nelle quattro convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 nel caso di conflitto armato non internazionale sul territorio dello stato parte, le parti del conflitto (cioè lo stato e gli insorti) devono applicare almeno alcune norme elementari di diritto umanitario. Ancora al trattamento umanitario da garantire agli insorti si riferisce il secondo protocollo addizionale alle convenzioni di Ginevra del 1949. I MOVIMENTI DI LIBERAZIONE NAZIONALE La differenza con il fenomeno della insurrezione sta nella finalità perseguita. In tale caso si tratta dei popoli stessi che prendono le armi per la propria autodeterminazione contro regimi coloniali, razzisti o stranieri. Si tratta di una distinzione di cui hanno preso atto i citati protocolli addizionali alle convenzioni di Ginevra i quali offrono agli insorti , con il secondo protocollo, una protezione di diritto umanitario più limitata ripetto a quella dei movimenti di liberazoine nazionale (primo protocollo). In particolare l'autorità che rappresenta un popolo impegnato contro uno stato parte in un conflitto di liberazione nazionale può impegnarsi ad applicare il protocollo e le convenzioni di Ginevra del 1949, indirizzando una dichiarazione unilaterale al depositario del protocollo. Con tale dichiarazione le convenzioni e il protocollo prendono immediatamente effetto per tale autorità, in quanto parte al conflitto, ed essa diviene titolare degli stessi diritti ed obblighi spettanti alle parti contraenti. Nell'ambito del sistema delle nazioni unite vi è la pratica corrente di invitare i movimenti di liberazione nazionale riconosciuti dall'unità africana o dalla lega degli stati arabi a partecipare, quali osservatori, alle sessioni dell'assemblea generale, delle agenzie specializzate e delle altre organizzazioni del sistema, oltre che ai lavori delle conferenze convocate sotto gli auspici di tali organizzazioni. Da tenere presente che si tratta di materia controversa per cui taluni stati hanno deciso di non ratificare il primo protocollo. Per quanto riguarda la nascita dei movimenti di liberazione nazionale è illuminante una sentenza arbitrale del 1989 su un caso africano (Guinea Bissau e Senegal). Il punto importante è stabilire non il momento preciso in cui è sorto ma quello in cui ha assunto una portata internazionale. E ciò avviene nel momento in cui a causa dell'attività del movimento, il governo costituito è obbligato a prendere misure eccezionali per cercare di dominare gli avvenimenti, mezzi che non sono quelli che si impegnano normalmente per fare fornte a disordini occasionali. Due esempi di movimenti di liberazione nazionale: Il Fronte Polisario (Fronte popolare per la liberazione del Sakiet-El-Hamra e del Rio de Oro) è un movimento che lotta per l'indipendenza del Sahara occidentale, prima colonia spagnola, poi dal '75 occupato dal Marocco come parte integrante del territorio nazionale. Numerose risoluzione delle Nazioni Unite definiscono il Fronte Polisario come l'ente dhe rappresenta il popolo del Sahara occidentale e ne raccomandano la partecipazione a qualsiasi soluzione politica definitiva circa l'assetto di tale territorio. Vi sono elementi sufficienti per parlare di movimento di liberazione nazionale (accordo del '79 con la Mauritania in forza del quale questa ha rinunciato ad ogni pretesa sul territorio in questione, conduzioni di operazioni militari contro il Marocco, controllo di una parte del territorio e governo di una comunità stanziata in Algeria). Tuttavia non si può ancora parlare di costituzione di nuovo stato (che vorrebbe essere la Repubblica Araba Saharoui Democratica RASD) in conseguenza di una dichiarazione di indipendenza del '76. Neppure è decisivo il fatto che oltre 60 stati abbiano formalmente riconosciuto la repubblica e che nel '82 sia stata ammessa all'Organizzazione della Unità Africana. Infatti il territorio controverso non ha ancora una stabile condizione e la stessa ammissione del RASD all'OUA ha causato notevoli spaccature (per es. il Marocco ne è uscito). L'Organizzazione per la liberazione della Palestina. Da anni al centro dell'attenzione mondiale partecipando ampiamente alla vita di relazione Tali comportamenti sono qualificati come crimini internazionali dell'individuo, sia relativamente a quelli compiuti da persone che sono in posizione di autorità o di organo nell'apparato dello stato, sia da persone cittadini comuni. Il rpoblema primo è quello del tribunale competente a giudicare i crimini internazionali dell'individuo. Varie sono le soluzioni prospettate: -creazione di tribunali internazionali -attribuzione di competenza universale o comunque ampia ai giudici di tutti gli stati, correlata all'obbligo di estradare ad altro stato richiedente il presunto responsabile, qualora lo stato ove esso si trovi non intenda perseguirlo Fatto storico importantissimo nella affermazione della nozione di crimine internazionale fu l'accordo di Londra del 1945 tra Francia, Regno Unito, Stati Uniti e Unione Sovietica per il giudizio e la punizione dei principali criminali di guerra dell'Asse Europeo, cui ha fatto seguito la sentenza resa a Norimberga il 30 settembre 1946 dal Tribunale Militare Internazionale, costituito con l'accordo. Nella Carta del Tribunale vennero previste tre categorie di crimini : crimini contro la pace, crimini di guerra, crimini contro l'umanità Il principio per il quale il tribunale dichiarò essere legittimato a giudicare fu il diritto internazionale, e non quello dell'esercizio arbitrario del potere da parte delle nazioni vittoriose. Presupposto esplicito del giudizio è che gli individui hanno obblighi internazionali che trascendono gli obblighi nazionali di obbedienza imposti dal singolo stato. Chi viola le leggi di guerra non può ottenere immunità perchè abbia agito sulla base della autorità dello stato, se lo stato che autorizza l'atto va oltre la sua competenza secondo il diritto internazionale. Definizioni simili si ritrovano nella carta del tribunale militare internazionale per l'estremo oriente del '46 (processo di Tokyo del '48). Dopo le sentenze di Norimberga e di Tokyo ci si mosse verso la codificazione del diritto internazionale in materia con l'incarico alla Commissione del diritto internazionale di predisporre un progetto di codice dei crimini contro la pace e la sicurezza dell'umanità. Lavoro tuttora in corso. I progetti finora realizzati definiscono i crimini internazionali indipendentemente dal diritto interno dei singoli stati, che devono o giudicare o estradare le persone imputate che siano loro cittadini. Si tratta inoltre di crimini imprescrittibili. Per quanto attiene ai fatti compiuti da subalterni questi non escludono la responsabilità dei superiori che sapevano o non hanno previsto e impedito il crimine. Neppure esonera dalla responsabilità il ruolo di capo di stato o di governo. Tuttavia il procedimento di codificazione non è ancora vicino al termine visto che l'elenco dei crimini internazionale è lungo e comprende casi sui quali non vi è unanimità di consenso. Particolarmente importante e problematica la creazione di un tribunale penale internazionale di carattere permanente in collegamento con il sistema delle Nazioni Unite, proposta dalla Commissione. A proposito sono possibili tre alternative: -giurisdizione esclusiva del tribunale internazionale -giurisdizione concorrente con quelli nazionali -giurisdizione internazionale limitata alla revisione delle sentenze nazionali Definizioni di crimini internazionali da parte del Tribunale di Norimberga e degli attuali lavori di codificazione della Commissione del diritto internazionale. Crimini di guerra: le violazioni delle leggi o consuetudini di guerra, includenti l'uccisione, il maltrattamento o la deportazione per lavoro forzato o per ogni altro proposito di popolazioni civili di o in territori occupati, l'uccisione o il maltrattamento di prigionieri di guerra o di persone in mare, l'uccisione di ostaggi, il saccheggio di proprietà pubbliche o private, la distruzione indiscriminata di città o villaggi o la devastazione non giustificata da necessità militare (CTN). Serie divergenze si sono invece verificate in tema di legittimità dell'uso di armi di distruzione di massa e, in particolare delle armi nuceari, delle armi chimiche e batteriologiche. Crimini contro la pace: la pianificazione, la preparazione, l'inizio e la condotta di una guerra di aggressione, o di una guerra in violazione di trattati, accordi o impegni internazionali, o la partecipazione in un piano o complotto comune per il compimento di uno qualsiasi degli atti suddetti (CTN). Si tratta di un crimine caratteristico dell'uomo politico. Anche gli attuali lavori di codificazione si sono soffermati sui crimini contro la pace ricomprendendovi non solo l'aggressione (secondo la nota definizione ex risoluzione 3314 del 74 dell'Assemblea delle Nazioni Unite) ma la semplice minaccia di aggressione, l'intervento negli affari interni o esterni di uno stato, il finanziamento o l'assistenza a gruppi terroristici. Ugualmente la Commissione del diritto internazionale ha ricompreso nei crimini contro la pace il terrorismo internazionale, il suo appoggio per il finanziamento e addestramento. Crimini contro l'umanità: l'uccisione, lo sterminio, la riduzione in schiavitù, la deportazione e altri atti disumani commessi contro la popolazione civile, prima o durante la guerra; o le persecuzioni sulla base di motivi politici, razziali o religiosi in esecuzione di, o in connessione con, ogni crimine rientrante nella giurisdizione del tribunale, siano o meno tali atti in violazione del diritto interno del paese ove essi sono stati compiuti (CTN). Il più tipico e grave atto contro l'umanità è il genocidio, contro il quale il 9 dicembre 1948 fu aperta alla firma una convenzione in cui tale reato è definito come : ciascuno degli atti seguenti, commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale: (a) uccisione di membri del gruppo; (b) lesioni gravi all'integrità fisica o mentale di membri del gruppo; (c) sottoposizione deliberata del gruppo a condizioni di esistenza che comportano la sua distruzione fisica, totale o parziale; (d) misure miranti a impedire le nascite all'interno del gruppo; (e) trasferimento forzato di bambini da un gruppo all'altro. Pure si ritrova la condanna dell'apartheid come crimine contro l'umanità secondo una specifica convenzione di New York del 1973. Nei lavori di codificazione si possono ritrovare ancora lo schiavismo, il lavoro forzato, l'espulsione o il trasferimento forzato di popolazioni dal loro territorio, lo stabilimento di coloni in territori occupati, il danneggiamento grave e volontario di un bene vitale per l'umanità, il traffico internazionale di stupefacenti, la pirateria, il mercenariato, la presa di ostaggi, il terrorismo. Si può invece ricordare come, molto sorprendentemente, i lavori di codificazione non abbiano finora insistito sulla tortura quale crimine contro l'umanità, mentre esistono alcune sentenze per fatti avvenuti nel Paraguay e in Argentina. Al di là dei lavori di codificazione non univocamente accettati e appoggiati si può concludere che per considerare un determinato comportamento , in un certo momento, come un crimine internazionale dell'individuo non sono sufficienti i trattati internazionali che si limitano a stabilire le forme di collaborazione fra gli stati contraenti per prevenire e reprimere un determinato reato. Senbra invece necessario desumere che quel determinato comportamento è generalmente avvertito come un crimine internazionale del''individuo. LA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI NORIMBERGA La maggiore obiezione opposta dagli imputati del processo di Norimberga fu quella che nessuna norma di diritto internazionale vigente al momento in cui i fatti erano compiuti prevedeva la fattispecie penale del crimine contro la pace. Nullum crimen sine lege, nulla poena sine lege. La possibile risposta dei giudicanti consistette o nel sostenere la esistenza si norme consuetudinarie al tempo della commissione dei fatti, oppure (caso Eichmann del '62) nell'asserire la mancanza di giuridicità come regola di diritto internazionale consuetudinario del principio nullum crimen sine lege, nulla normativo specifico l'idoneità a creare regole generali. Questo fatto può essere considerato l'accordo tacito dei membri della società internazionale oppure la sintesi di elemento materiale e psicologico classico della consuetudine stessa (usus e opinio iuris ac necessitatis). la teoria preferita dagli autori sostiene che per l'esistenza di regole generali del diritto internazionale sia giuridicamente irrilevante il modo della loro formazione, la loro esistenza va dedotta puramente e semplicemente dal fatto che tali regole si possano constatare presenti ed operanti nella vita di relazione internazionale, quali regole di osservanza obbligatoria. Constatare usus e opinio iuris per le norme internazionale, il semplice usus per la cortesia internazionale o comitas gentium. IL FATTORE TEMPO NELLA FORMAZIONE DELLA CONSUETUDINE Come prova della irrilevanza di particolari procedimenti per il venire in essere o per la abrogazione di regole del diritto internazionale generale va sottolineata la irrilevanza del fattore temporale ai fini della esistenza delle regole in questione, ribadita anche dalla Corte internazionale di giustizia. Diverse regole internazionali generali sono venute, infatti, ad esistenza nell'arco di pochi anni. Ad es. la regola generale che dispone l'irradiazione della sovranità territoriale dello Stato sullo spazio atmosferico sovrastante il suo territorio, quella che dispone relativamente alla irradiazione della sovranità territoriale dello Stato marittimo sulla cosiddetta piattaforma continentale, ancora quella relativa alla libertà degli spazi extra atmosferici. LA PROVA DELLA CONSUETUDINE Non sembra che possa parlarsi di un vero proprio onere della prova del contenuto e dell'esistenza delle regole generali del diritto internazionale, a carico dello stato che le invoca nei confronti di un altro. Per altro in genere le controversie non vertono sulla esistenza di regole ma bensì sul loro contenuto, sulla loro interpretazione. Come accertare la esistenza di una regola generale di diritto internazionale ? Non è sufficiente che uno stato od alcuni si conformino ad essa o affermino la sua esistenza. Neppure è necessario accertarne l'accoglimento da parte di tutti e ciascuno dei membri della società internazionale. Per il procedimento di induzione occore una analisi della vivente società internazionale nella prassi dei suoi gruppi politici - economici. Una regola consuetudianria potrà allora dirsi universalmente riconosciuta soltanto se risulta seguita non solo da un adeguato numero di stati, ma anche dai principali gruppi di stati. Riguardo al contenuto del diritto internazionale generale esso è principalmente teso ad assicurare la coesistenza, ad evitare urti fra gli stati, a delimitare le rispettive sfere di autorità. Gli è in genere estraneo invece il compito di promuovere la collaborazione fra stati (tipico come vedremo del diritto internazionale pattizio). GLI INTERVENTI VOLONTARI NELLA FORMAZIONE ED EVOLUZIONE DELLE REGOLE CONSUETUDINARIE Nella pratica contemporanea divengono sempre più frequenti i comportamenti e le manifestazioni di opinione per mezzo dei quali gli stati si propongono lo scopo di influire sul processo di formazione del diritto internazionale consuetudinario, tanto più che tale processo si è visto può essere molto veloce. Può trattarsi di comportamenti materiali (es. passaggio di flotte in determinate zone marittime), emanazione di leggi e altri provvedimenti interni, dichiarazioni, obiezioni etc. L'es. riportato è una dichiarazione del primo ministro canadese Trudeau del '70 che intendeva giustificare una norma del diritto statale interno che contrastava con il diritto consuetudinario allora vigente disponendo l'estensione a 100 miglia dalla costa l'ambito spaziale di applicazione delle norme canadesi relative alla prevenzione dell'inquinamento marino nella regione artica. LO STATO OBIETTORE PERSISTENTE Con l'obiezione persistente si intende un intervento volontario nella formazione della legge consuetidinaria internazionale con il quale lo stato obiettore persistente, pur non intendendo necessariamente ostacolare il sorgere di una norma consuetudinaria in formazione, persegue tuttavia lo scopo di sottrarre se stesso alla applicazione di tale norma, ossia mira a creare una eccezione alla applicabilità solitamente generale delle norme consuetudinarie internazionali. Si sostiene infatti che se una regola consuetudinaria nel corso della sua fase formativa viene fatta oggetto di obiezioni in modo persistente e inequivoco da parte di un determinato stato (obiettore persistente o recalcitrante), la regola stessa, una volta affermata, non può essere fatta valere nei confronti dello stato in questione. La spiegazione del fenomeno non va ricercata secondo gli autori in una concezione consensualistica della consuetudine , bensì in una situazione di temporanea e limitata frantumazione della società internazionale. Lo stato obiettore persistente si pone con il suo atteggiamento al di fuori dell'ambiente ove siforma la nuova regola, la quale verrebbe pertanto a nascere, non dissimilmente dalle consuetudini particolari, da un gruppo e per un gruppo particolare di stati. Nella prassi però si osserva che raramente l'atteggiamento di obettore persistente ha portato i frutti desiderati allo stato che lo ha adottato. Basta citare i tentativi vani di alcuni stati (ancora sul finire degli anni '70) di sottrarsi alla applicazione della regola che consente agli stati di avere un mare territoriale al massimo di dodici miglia. LE CONSUETUDINI LOCALI O PARTICOLARI Accanto alla consuetudine universale o generale o consuetudine tout court ora vista esistono anche consuetudini particolari, o locali, o regionali, interno e con le norme degli ordinamenti nazionali; le regole particolari entrano invece nel merito della collaborazione fra gli stati (e vedremo poi le influenze sul diritto interno degli stessi); 3. da ricordare inoltre la mancanza di regole generali che provvedano in ordine alla composizione obbligatoria delle controversie internazionali IL DIRITTO INTERNAZIONALE PARTICOLARE COME DIRITTO DELLA COOPERAZIONE FRA STATI Sono però diverse regole generali che conferiscono agli stati il potere di autoregolamentare essi stessi la loro vita di relazione attraverso il cosiddetto diritto dei trattati, che può anche integrare il diritto generale, operarvi modifiche e precisazioni, provvedendo alla codificazione delle regole consuetudinarie. Ora, la regolamentazione giuridica della cooperazione fra stati nei più diversi settori appare rimessa interamente o quasi alla volontà degli stati interessati attraverso lo strumento del trattato. I RAPPORTI FRA REGOLE CONSUETUDINARIE E REGOLE PATTIZIE Per il fatto che i trattati internazionali sono posti in essere mediante un procedimento previsto da norme consuetudinarie, da un punto di vista logico il diritto consuetudinario riveste una posizione prioritaria rispetto a quello pattizio. Non così però per l'efficacia normativa, equivalente ed autonoma. Soltanto in tempi recenti, con la convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati, ha cominciato a prendere terreno l'idea che, in casi determinati e limitati, ossia eccezionali, una ristretta categoria di norme consuetudinarie, caratterizzate dal loro contenuto imperativo (ius cogens), abbia efficacia normativa pervalente si norme pattizie, così da rendere nullo un trattato che sia in conflitto con tali regole imperative del diritto internazionale generale. Ma si tratta di casi eccezionali e soprattutto la preminenza è in quei casi stabilita pur sempre dalla convenzione di Vienna e dunque da un trattato. Per quanto attiene ai criteri che si possono invocare nei casi di conflitto fra regole consuetudinarie e regole pattizie presenta caratteri di notevole delicatezza. Non è sufficiente il criterio lex posterior derogat prioris se non coordinato con quello lex specialis gerogati generalis. Anzi quest'ultimo è quello applicato nella maggioranza dei casi (dove la norma speciale è quella pattizia e quella generale è consuetudinaria). Le regole di diritto consuetudinario sono però utili al fine di colmare possibili lacune del trattato o determinare il significato di termini non definiti nello stesso, quindi per la interpretazione e l'applicazione. Talvolta però il criterio della specialità non viene rispettato. Si tratta dei casi in cui in tempi brevi successivi all'accordo viene a formarsi una nuova regola consuetudinaria. Per es. in materia del diritto del mare nuove regole consuetudinarie consentono allo stato costiero di esercitare diritti sovrani in materia di pesca entro 200 miglia marine dalla costa. Tali norme hanno abrogato norme pattizie in materia di pesca che erano fondate sul presupposto del limite delle 12 miglia. La materia però rimane delicata in quanto una decisione del 1977 del Tribunale arbitrale per la delimitazione della piattaforma continentale tra Francia e Gran Bretagna ha adombrato una spiegazione dell'abrogazione della norma pattizia come dipendente da un tacito accordo tra le parti attestato dall'emergere della nuova consuetudine. Altre spiegazioni inoltre potrebbero esprimersi per l'aborgazione derivante da un mutamento fondamentale delle circostanze. I PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO Sul processo spontaneo di formazione del contemporaneo diritto internazionale consuetudinario hanno giocato un ruolo fondamentale una serie di principi generali che altri non erano se non i principi generali del diritto romano o del diritto interno delle singole società nazionali del tempo, in particolare del cosiddetto diritto comune. Il loro ruolo è poi venuto man mano regredendo con l'affermazione delle nuove regole di relazione internazionale. E' avvenuta comunque una trafusione dai diritti nazionali al diritto internazionale, ad es. in materia di diritto dei trattati, di responsabilità internazionale, di modi di acquisto della sovranità territoriale, etc. Ancora oggi una trasfusione di principi generali dai diritti nazionali a quello internazionale è possibile a patto che una regola pattizia disponga a proposito con indicazione di modalità e di limiti della trasfusione stessa. Per es. lo art. 38, par. 1 c dello statuto della Corte internazionale di giustizia prevede che la corte applichi, nel decidere in base al diritto internazionale le controversie che le sono sottoposte, anche i principi generali del diritto riconosciuti dalle nazioni civili (anche se il tenore letterale sembra riferirsi anche ai principi generali del diritto internazionale l'intenzione originaria era proprio in riferimento a quelli interni delle nazioni). Da escludere invece ogni riferimento a principi metagiuridici di giustizia, di equità, di diritto naturale. E' vero che al par. 2 dell'art. 38 stesso si ammette che la corte possa anche decidere una controversia ex aequo et bono, ma subordina rigorosamente tale potere all'esplicito accordo tra le parti in tale senso. La ragione di tale norma non va vista nel volere dare uno strumento per dirimere sempre una controversia (non ve n'è bisogno) ma nel conferire alla Corte una maggiore libertà per quanto attiene alle premesse giuridiche. Va però notato che la Corte non ha finora esercitato il potere conferitoLe dall'art. 38 par. 1c. dello statuto. Si assiste invece spesso nella pratica all'inserimento di clausole nei contratti fra stati e persone fisiche o giuridiche straniere che rinviano ai principi generali del diritto con varie formule. Ma anche in assenza di tali clausole varie decisioni arbitrali nel dirimere le controversi hanno fatto uso di tali principi. A parere degli autori il ricorso a tali principi è possibile solo se, e nel limite, dell'esplicito riferimento fatto dal trattato. Solo in caso di esplicito rimando del trattato ai principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili si potrebbe parlare di tali principi come di una fonte materiale di regole del diritto internazionale. Contro però parte della dottrina, che non ritiene necessario l'esplicito rimando del trattato in virtù di una regola generale del diritto che, a seconda delle teorie, incoporerebbe o autorizzerebbe il ricorso ai principi. Regola che però non è attestata in alcun modo dalla pratica anteriore alla creazione della Corte permanente di giustizia internazionale. TRATTATI MULTILATERALI E LEGISLAZIONE INTERNAZIONALE L'importanza dei trattati internazionali multilaterali deriva dal fatto che la società internazionale è una società priva di legislatore e quindi priva di regole generali di natura legislativa. Si comprende dunque come, su proposta della Commissione del diritto internazionale, L'Assemblea generale delle nazioni unite abbia deciso che lo strumento più appropriato per dare attuazione all'opera di codificazione e do sviluppo progressivo del diritto internazionale sia quello del trattato a carattere collettivo, aperto alla partecipazione di tutti gli stati. LE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI E ILDIRITTO INTERNAZIONALE Le numerose organizzazioni intergovernative dotate di propria individualità e con una capacità non dissimile a quella riconosciuta agli stati, hanno introdotto alcuni elementi nuovi nei processi di formazione spontanea e pattizia del diritto internazionale. In particolare svolgono un ruolo importante nell'iter formativo di numerosi trattati multilaterali fra stati, attraverso la convocazione di conferenze diplomatiche aventi per oggetto i testi dei trattati, o Assemblea delle nazioni unite come i cosiddetti codici di condotta soprattutto in materia economica: conferences marittime, pratiche commerciali restrittive, trasferimento di tecnologie, società transnazionali. Ma anche tali strumenti rimangono non vincolanti giuridicamente fino a che non siano trasfusi in accordi o si sia verificata, anche per loro stimolo, la creazione spontanea di regole generali consuetudinarie. ATTI GIURIDICI UNILATERALI E ACCORDI Nella categoria degli atti giuridici internazionali si distinguono atti unilaterali e atti bilaterali o plurilaterali (accordi). Atti unilaterali internazionali: manifestazioni della volontà di enti aventi capacità giuridica internazionale assunte a presupposto di determinati effetti giuridici del diritto internazionale. La loro efficacia può dipendere o da regole generali o da regole particolari. E' evidente che non costituiscono atti unilaterali nell'accezione ora definita le ratifiche di adesione ad un trattato e gli atti di annessione di un territorio altrui o nullius, in quanto o manifestazioni da coordinarsi con altre di altri soggetti per integrare un accordo, oppure elementi di fattispecie più complesse. ATTI UNILATERALI CONTEMPLATI DA REGOLE PATTIZIE Denuncia o recesso di uno stato rispetto ad un trattato per eliminare nei suoi confronti l'efficacia dell'accordo; Richiesta (requete) di uno stato per mettere in moto il procedimento per il regolamento giudiziario delle controversie che deve essere stato previsto da un trattato di cui siano parti lo stato che fa la richiesta e quello da convenire. ATTI UNILATERALI CONTEMPLATI DA REGOLE GENERALI Riconoscimento: è la manifestazione unilaterale da parte di uno stato avente come contenuto la volontà di considerare esistente e non contestare una situazione venutasi a creare in un altro stato, come per es. la sua creazione o modificazione rivoluzionaria del governo, ma anche una modificazione del territorio o l'istituzione di un vincolo di dipendenza tra stati, etc. E' ammesso che il riconoscimento sia sottoposto a condizioni e che possa cessare per revoca. Rinuncia: è l'atto con il quale uno stato manifesta la volontà di non avvalersi di un diritto soggettivo spettantegli, nei confronti di un altro stato, a seguito di una regola, generale o pattizia, del diritto internazionale. Essa ha come effetto l'estinzione in capo all'altro stato dell'obbligo giuridico corrispondente al diritto soggettivo rinunciato. La rinuncia in ogni caso non si presume, neppure qualora uno stato desista dal proseguire nell'azione giudiziaria. E' invece possibile che riconoscimento e rinuncia vengano manifestati per mezzo di un comportamento concludente che nel caso può anche consistere nel silenzio. Si noti che però non è possibile che uno stato desuma il consenso di un altro stato ad un certo comportamento dal mero fatto che quest'ultimo non abbia dato risposta entro un certo termine ad una proposta fatta dal primo stato. Il silenzio come comportamento concludente prende nome di acquiescenza, la preclusione è detta estoppel. Per evitare che altri intepretino il proprio comportamento come riconoscimento uno stato può utilizzare lo strumento della protesta, manfestazione unilaterale di volontà avente come effetto, secondo il diritto internazionale generale, di impedire che il comportamento passivo dello stato, di fronte ad un fatto lesivo di suoi diritti o interessi o che comunque non vuole accettare, possa valere come acquiescenza. Promessa: è senza dubbio un atto vincolante per il diritto internazionale generale, come anche attestato da varie sentenze della corte internazionale di giustizia (ad es. sugli impegni unilaterali francesi di non continuare esperimenti nucleari). Non può farsi rientrare invece negli atti unilaterali la notificazione, avente natura di partecipazione di conoscenza ma mancante di una manifestazione di volontà, ciò nulla togliendo alla sua rilevanza giuridica. di essere estremamente sottoposte a fattori squisitamente politici. In altri casi ancora l'induzione di regole generali è così difficile da sembrare impossibile sulla base dei documenti esistenti, come per esempio in materia di determinazione dell'ammontare e dell'indenizzo che deve essere pagato a seguito di misure di nazionalizzazione disposte da uno stato rispetto ai beni di persone appartenenti ad altro. Le accanite controversie dipendono essenzialmente da termini come "pronto, adeguato ed effettivo", "pieno", "giusto", "equo", "adeguato tenendo conto di tutte le circostanze pertinenti", suscettibili evidentemente di varie interpretazioni. In definitiva ogni conclusione circa la esistenza o meno di una norma generale e il suo contenuto è sempre la risultante di una critica considerazione di insieme, talvolta molto difficile. FORNTI DI COGNIZIONE DELLA PRATICA INTERNAZIONALE Abbiamo detto quali siano le manifestazioni della pratica che costituiscono anche la fonte di cognizione delle regole internazionali. Un problema interessante è quello relativo alle manifestazioni della pratica non accessibili. Cosa che risulta talvolta quando in occasione di controversie giudiziarie o arbitrali internazionali, gli stati rendono noti elementi reperiti in tali fonti. Tuttavia non si deve pensare che il diritto consuetudinario rilevabile attraverso la prassi internazionale accessibile sia radicalmente diverso dal diritto consuetudinario che emergerebbe con una analisi che comprendesse anche quello non accessibile. Va ricordato infatti che ai fini della consuetudine rileva solo ciò che è conoscibile da tutti (come si desume dagli elementi stessi della consuetudine: usus e opinio iuris). Diverso invece il caso in cui vengano presentati accordi che erano segreti, il che è perfettamente legittimo perchè non esiste alcuna norma del diritto internazionale che vieti gli acoordi segreti. L'ESPANSIONE DELLA SOCIETÀ INTERNAZIONALE E LA CODIFICAZIONE DEL SUO DIRITTO Negli ultimi decenni la società internazionale ha visto moltiplicarsi i suoi membri, sopratturro in conseguenza del fenomeno della decolonizzazione. Da qui l'interesse e l'importanza dell'opera di codificazione , tenuto presente che molti nuovi stati sono riluttanti a sentirsi vincolati a regole alla cui formazione essi non avevano contribuito ed anzi nate nel periodo storico in cui i membri della società internazionale che le ha create erano proprio gli stati dalla cui dominazione si sono liberati. LA CODIFICAZIONE DOTTRINALE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE L'idea della codificazione del diritto internazionale vigente non è nuova e in passato singoli studiosi, istituzioni scientifiche private e pubbliche, governi e organizzazioni internazionali hanno cercato di dare forma scritta al diritto internazionale generale consuetudinario, non scrittto. Ma l'opera più importante è stata quella compiuta negli studi e nei progetti predisposti da alcune istituzioni scientifiche internazionali e nazionali: l'Institut de droit international, l'international law association, la Harward law school, l'American law institute (specifico per le relazioni internazionale degli Stati Uniti). Molto importante tenere presente che l'accezione con cui si parla di codificazione nel presente scritto è particolarmente ampia. In senso stretto per codificazione si intende una determinazione completa e autoritativa atta ad imporre l'osservanza nell'ambiente sociale cui è destinata. Ciò per il diritto internazionale è impossibile data l'assenza di un legislatore. L'unica via efficace è quella allora che è attuata tramite il procedimento dell'accordo fra stati. Codificazione in senso stretto Codificazione in senso lato = strumento dell'accordo Codificazione impropria, rectius consolidazione dottrinale LA CODIFICAZIONE NELLA SECONDA METÀ DEL SECOLO XIX E NEL PRIMO TRENTENNIO DEL XX Il settore del diritto internazionale sul quale in primis si concentrò lo sforzo di codificazione fu quello del diritto internazionale bellico e della neutralità. A partire dalla dichiarazione firmata a Parigi nel 1856 sulla guerra marittima, dalla convenzione di Ginevra del 1864 sul miglioramento delle condizioni dei militari feriti in guerra.Ma il primo massimo sforzo furono le conferenze internazionali sulla pace dell'Aja del 1899 e del 1907. Da questo momento si incontrano diverse convenzioni aventi ad oggetto il trattamento delle navi ospedale in tempo di guerra, l'assistenza dei militari e feriti in tempo di guerra, la proibizione dell'impiego in guerra di gas asfissianti, tossici o simili e di mezzi batteriologici. In particolare degne di menzione le due Convenzioni di Ginevra del 1929 relative al miglioramento della sorte dei feriti e malati nelle forze armate in campagna e al trattamento dei prigionieri di guerra, convenzioni rivedute da un'altra Conferenza tenutasi anch'essa a Ginevra nel 1949 che adottò quattro convenzioni: -trattamento dei feriti e malati nelle forze terrestri; -trattamento dei feriti, malati e naufraghi delle forze navali; -trattamento dei prigionieri di guerra, protezione dei civili in tempo di guerra. Tali convenzioni furono a loro volta integrate da due protocolli relativi alla protezione delle vittime dei conflitti internazionali e non internazionali di Ginevra del 1977. In ambito diverso dalla guerra troviamo meritevole di menzione la VI Conferenza dell'Avana del 1928 sulle seguenti materie: condizione giuridica degli stranieri, diritti e obblighi degli stati in casi di guerra civile, diritto dei trattati, agenti diplomatici, agenti consolari, neutralità marittima, diritto di asilo. Importante sottolineare che i risultati conseguiti dalla Società delle Nazioni, che intraprese una vasta e ambiziosa opera di codificazione a partire dal 1924, furono ben poco incoraggianti. Si sarebbe dovuti arrivare alla Conferenza per la codificazione del diritto internazionale del 1930. In tale conferenza non si riuscì neppure ad adottare un testo convenzionale su due dei tre temi prescelti, la commisione speciale per il tema della responsabilità degli stati per i danni causati nel loro territorio alla persona o ai beni degli stranieri non riuscì a sottoporre alla Assemblea alcuna conclusione. Neppure si riuscì ad arrivare ad una convenzione sul regime giuridico del mare territoriale. LE NAZIONI UNITE E LA CODIFICAZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE Nonostante gli esiti della Società delle Nazioni, il suo sforzo apportò comunque una somma di esperienze utili per il futuro. Con le Nazioni Unite la attenzione si concentra subito sulla codificazione tant'è che l'Assemblea attribuì alla organizzazione nella Carta di San Francisco la funzione, tra le altre, di intraprendere studi e fare raccomandazioni allo scopo si incoraggiare lo sviluppo progressivo del diritto internazionale e la sua codificazione. Per assolvere tale compito l'Assemblea Generale ha creato (risoluzione n. 174 del '47) un apposito organo sussidiario a carattere permanente : la Commissione del Diritto Internazionale, approvandone lo statuto. che potesse ottenere l'accordo di tutti (come la predisposizione in itinere di testi di negoziato, ossia di progetti informali di convenzione). Pur se non è stato possibile procedere fino alla fine con il metodo del consenso, e il testo è stato approvato il 30 aprile 1982 mediante votazione a causa di grave divergenze rispetto al progetto di convenzione, l'esperienza procedurale della III convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare costituisce un precedente molto importante. RISULTATI E PROGRAMMI DELL'OPERA DELLA COMMISSIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE Nel corso degli anni vari trattati sono stati adottati, sia per quanto attiene la codificazione che lo sviluppo del diritto internazionale grazie all'opera della Commissione del diritto internazionale: -quattro convenzioni sul diritto del mare di Ginevra del 1958 (mare territoriale e zona contigua, alto mare, pesca, conservazione delle risorse biologiche dell'alto mare); -convenzione sulle relazioni diplomatiche di Vienna del 1961; -convenzione sulla riduzione dei casi di apolidia si New York del 1961; -convenzione sulle relazioni consolari di Vienna del 1961; -convenzione sul diritto dei trattati di Vienna del 1969; -convenzione sulla successione degli stati nei trattati di Vienna del 1978; -convenzione sulla successione degli stati nei beni pubblici, negli archivi e dei debiti pubblici di Vienna del 1983; -convenzione sul diritto dei trattati tra Stati e organizzazioni internazionali o tra organizzazioni internazionali di Vienna del 1986. Cospicuo è inoltre l'arco delle questioni facenti parte del programma attuale dei lavori della commissione del diritto internazionale (responsabilità degli stati, usi dei corsi d'acqua internazionali diversi dalla navigazione, codice dei crimini contro la pace e la sicurezza dell'umanità). Il quadro dei successi ottenuti dalle Nazioni Unite nella loro opera è in complesso positivo, anche se in taluni campi si hanno difficoltà, come per esempio la convenzione di Vienna del 1975 sulla rappresentanza degli stati nei loro rapporti con le organizzazioni internazionali che non è ancora entrata in vigore per l'atteggiamento critico di stati che ospitano le sedi di organizzazioni internazionali (che poi dovrebbero essere i destinatari delle norme), le convenzioni sul diritto del mare del 1958, benchè in vigore per un notevole numero di stati sono in parte obsolete e destinate ad essere sostituite dalla convenzione del 1982. Quest'ultima è stata aperta alla firma a Montego Bay nel 1982 ma al 31 dicembre del '90 aveva ottenuto solo 45 delle 60 ratifiche necessarie per la sua entrata in vigore. Il successo di una convenzione di codificazione non si può misurare solo con riferimento al numero delle ratifiche e delle adesioni, certo è auspicabile che l'adozione di un trattato sia seguita, senza eccessivi ritardi, dalle ratifiche o dalle adesioni del numero di stati necessario alla entrata in vigore, con attenzione non solo al numero delle ratifiche ma anche alla loro qualità (per es. grandi potenze). LA CODIFICAZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE E I SUOI RIFLESSI SUL DIRITTO INTERNAZIONALE GENERALE Indipendentemente dal successo di una convenzione in termini di adesioni, infatti, l'opera, anche incompiuta, ha riflessi importantissimi in ambito delle regole generali. Per esempio la Corte Internazionale di Giustizia ha ritenuto di potere tenere conto anche di opere non culminate nel testo definitivo di convenzione e rimaste allo stadio di progetto. Da esse si possono ricavare norme che sono già parte del complesso delle norme consuetudinarie vigenti, da qui l'importanza di distinguere quali parti di una convenzioni di codificazione rappresentino una codificazione in senso stretto e quali sviluppo progressivo. A tale fine la Corte internazionale di giustizia ha proposto un modello concettuale di rapporti tra convenzioni di codificazione (indipendentemente dal loro vigore come trattati internazionali) e diritto consuetudinario. Secondo questo modello, dovrebbero distinguersi tre casi: 1. quello della convenzione come codificazione di una regola consuetudinaria preesistente; 2. quello della convenzione come cristallizzazione di una regola consuetudinaria emergente, e in tal caso la inclusione nella convenzione di regole consuetudinarie ancora in fase formativa può considerarsi testimonianza e riconoscimento della conclusione di tale fase; 3. quello della convenzione come fattore generatore di una nuova regola consuetudinaria, che non appartiene ancora alla classe delle regole generali ma che costituisce comunque un modello di comportamento, venendo col tempo a dare origine a nuove regole generali. IL DIRITTO DEI TRATTATI IL DIRITTO DEI TRATTATI E LA SUA CODIFICAZIONE Da un punto di vista quantitativo la parte di gran lunga preponderante delle regole di diritto internazionale è costituita da regole di natura pattizia o convenzionale. L'opera di codificazione a riguardo compiuta dalle Nazioni Unite ha avuto inizio in ambito della Commissione del diritto internazionale che dalla sua prima sessione (1949) aveva incluso nell'ordine del giorno dei suoi lavori il diritto dei trattati. Tuttavia la sua attenzione si concentrò su di essi solo a partire dal 1961, adottando in particolare nel '66 un progetto di articoli trasmesso alla assemblea generale. L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con risoluzione del '66 decise di convocare una apposita conferenza diplomatica, la Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto dei trattati, sulla base del progetto elaborato dalla commissione. La conferenza si tenne a Vienna in 2 sessioni dal '68 al '69 adottando con votazione a maggioranza (ampia) il testo di una convenzione sul diplomatici della disponibilità delle parti. Gli stati estranei al negoziato possono, qualora tale eventualità dia espressamente ammessa nel testo del trattato o ciò sia accettato dalle parti già contraenti, divenire parti del trattato mediante loro atto di adesione. In genere è fissata una intesa preliminare sulla procedura da seguire nel negoziato, ma non indispensabilmente. Di solito nel quadro di grandi conferenze diplomatiche internazionali, più che in quelle bilaterali o ristrette, è sempre elaborato un regolamento di procedura o regolamento interno, in genere da parte dello stato o organizzazione intergovernativa cui si deve la iniziativa della conferenza. L'ADOZIONE DEL TESTO La fase preparatoria di formazione del trattato è di solito conclusa con l'adozione del testo del trattato da parte degli stati che hanno partecipato alla sua elaborazione. Segue la fase della stipulazione del trattato, ossia della manifestazione del consenso degli stati ad assumere come vincolanti, ciascuno rispetto agli altri, la regolamentazione del testo predisposto. L'adozione del testo, se in linea di principio richiederebbe il consenso di tutti gli stati partecipanti al negoziato (così dispone la convenzione di Vienna) può essere orientata anche a procedure di voto a maggioranza (sopratutto se è grande il numero di stati coinvolti). Ai sensi della Convenzione di Vienna l'adozione del testo di un trattato in una conferenza internazionale si effettua con la maggioranza dei due terzi degli stati presenti e votanti, a meno che questi decidano, con la stessa maggioranza, di applicare una regola diversa. LA STRUTTURA FORMALE E LA LINGUA DEI TRATTATI Elementi ricorrenti dei trattati: TITOLO : nel qual è inserita la denominazione prescelta, quale che sia (trattato, convenzione, accordo, etc.), dalle parti elaboranti. Esso serve ad indicare sommariamente la materia del trattato. Un tempo il titolo era tradizionalmente seguito da una invocazione alla Divinità; PREAMBOLO : che costituisce la parte introduttiva del testo del trattato dove, se si tratta di accordo bilaterale, si enunciano in forma concisa i motivi che hanno spinto i due stati a partecipare al negoziato, altrimenti in trattati multilaterali l'enunciazione è molto più ampia. Qualora un trattato multilaterale non sia passibile di perfezionamento senza la partecipazione di tutti gli stati che hanno partecipato al negoziato solitamente non manca mani la elencazione degli stati partecipanti, altrimenti si evita la enumerazione delle possibili parti; DISPOSITIVO : detto anche parte precettiva del trattato nel quale è specificata la regolamentazione materiale e i diritti e obblighi da essa discendenti; PARTE FINALE : ivi si raccolgono delle disposizioni dette clausole finali o protocollari relative ai tempi e modi con cui dovrà essere espresso il consenso degli stati, l'entrata in vigore del trattato, la sia applicazione territoriale e temporale, la durata o i modi per porre termine al trattato, gli stati che potranno divenirne parti (se accordo multilaterale), rserve, clausole in materia di emendamenti o di revisione, designazione e compiti del depositario, ai testi di riferimento nel caso di trattati in più lingue. Vediamo appunto il problema della lingua del testo del trattato. Alle origini evidentemente era il latino. A cominciare dal XVIII secolo prevalse la lingua francese. Da vari decenni a questa parte tali usi sono stati abbandonati. Se il trattato è bilaterale è diffuso l'uso di redigere il testo in entrambe le lingue delle parti. Se trattasi di convenzione multilaterale di predispone di solito il testo in una pluralità, tendenzialmente tutte, le le lingue degli stati coinvolti. Tutte considerate parimenti autentiche. Infatti il testo del trattato istitutivo della organizzazione delle Nazioni Unite, ad es., stabilisce che i testi cinese, inglese, francese, russo e spagnolo dello statuto fanno ugualmente fede, ed analoghe disposizioni si trovano nei trattati elaborati dalle grandi conferenze diplomatiche, con l'aggiunta degli ultimi anni dell'arabo. Ugualmente più lingue autentiche sono stabilite per gli atti delle Comunità europee, rimanendo il trattato in un unico esemplare. LA FIRMA E GLI ALTRI MEZZI DI AUTENTICAZIONE DEL TESTO Abbiamo visto che la stipulazione è l'atto conclusivo della formazione di un trattato attraverso la quale viene manifestato il consenso del singolo stato ad obbligarsi al contenuto convenzionale. Spesso tra l'adozione di un trattato e la sua stipulazione intercorre un lasso di tempo assai lungo. In questo intervallo si tempo spesso si alternano alla rappresentanza degli stati eventualmente firmatari persone diverse,e per evitare che il testo originalmente adottato subisca modifiche, e per dare assicurazione in tale senso, si procede alla cosiddetta autenticazione: Ai sensi della convenzione di Vienna il testo di un trattato è certificato come autentico e definitivo: a) secondo la procedura prevista nel testo medesimo o concordata dagli stati partecipanti alla elaborazione; b) in mancanza di tale procedura per mezzo della firma ad referendum o della parafratura da parte dei rappresentanti di questi stati. Si noti comunque che la autenticazione non è un passaggio necessario nell'iter formativo del trattato. Serve ad assicurare autenticità e definitività alla conclusione delle trattative ma non è ancora consenso o stipulazione. IL CONSENSO DELLO STATO AD OBBLIGARSI: FORME SEMPLIFICATE E SOLENNI PER LA SUA ESPRESSIONE Stipulazione: espressione o manifestazione del consenso degli stati ad obbligarsi. Dal punto di vista del diritto internazionale generale non è soggetta a prescrizioni di ordine formale e nella prassi si riscontrano varie procedure. Può esserci invece un accordo in tale senso nel trattato stesso. Non è dunque da escludere una stipulazione per comportamento concludente, confermato anche dalla giurisprudenza internazionale. La libertà di scelta è ancora confermata dalla Convenzione di Vienna laddove dispone che il consenso di uno stato ad essere vincolato da un trattato può essere espresso con la firma, lo scambio degli strumenti costituenti un trattato, la ratifica, l'accettazione, l'approvazione o l'adesione, o con ogni altro mezzo convenuto. Nella pratica delle relazioni internazionali si distinguono peraltro due principali forme di espressione del consenso ad obbligarsi ad un trattato: la forma semplificata e la forma solenne. La forma semplificata di stipulazione si realizza attraverso la firma del testo del trattato da parte del rappresentante dello stato, e talvolta la firma potrà avere duplice funzione di autenticazione e di stipulazione. Come stabilito dalla convenzione di Vienna può essere lo stesso trattato a prevedere che la firma apposta abbia tale effetto. Un'altra forma semplificata può essere quella dello scambio dei documenti. i rappresentanti accreditati degli stati ad una conferenza internazionale o presso un'organizzazione internazionale o uno dei suoi organi, per l'adozione del testo di un trattato in questa conferenza, questa organizzazione o questo organo. L'atto compiuto da persona che non può essere considerata come abilitata a rappresentare uno stato è privo di efficacia giuridica, a meno che esso sia in seguito confermata da questo stato. La ratifica è poi uno strumento spesso utilizzato dagli stati per non impegnarsi in modo aperto e formale in certe trattative politicamente delicate. LO SCAMBIO O IL DEPOSITO DELLE ESPRESSIONI DEL CONSENSO DELLO STATO AD OBBLIGARSI Nel caso di trattati bilaterali il consenso delle parti perfezionante la convenzione può avvenire: 1. al momento della firma dei plenipotenziarii 2. lo scambio di note, e allora il perfezionamento dell'accordo si ha per avvenuto nel momento in cui la nota di accettazione della proposta venga a conoscenza dello stato proponente. 3. Se la stipulazione avviene in forma solenne il perfezionamento del trattato avviene nel momento dello scambio degli strumenti di ratifica attestati da un apposito processo verbale. L'identificazione del trattato in ogni caso avviene per tradizione con la data della firma del trattato. Nel caso di trattati multilaterali è oggi usato l'espediente tecnico del deposito dell'originale del trattato presso il ministero degli affari esteri di uno degli stati che hanno partecipato al negoziato (di solito lo stato che ha ospitato la conferenza) ovvero presso la organizzazione intergovernativa sotto i cui auspici il trattato è stato adottato. Lo stesso per gli strumenti di ratifica, approvazione, accettazione e adesione, se ciò è previsto dalla procedura. Il depositario deve informare gli stati già parti del trattato e quelli aventi qualità per divenirlo degli atti, notificazioni e comunicazioni relative al trattato stesso. Si dice in tale caso che il trattato è stato aperto alla firma presso il depositario, trattato che è identificato dalla data di apertura. Il perfezionamento del trattato si ha quando al depositario pervenga l'ultima delle manifestazioni del consenso degli stati ad obbligarsi richiesta per l'entrata in vigore del trattato. L'ENTRATA IN VIGORE DEI TRATTATI Con l'espressione entrata in vigore si intende il momento iniziale di operatività e di efficacia della regolamentazione incorporata nel testo del trattato. Ai sensi della convenzione di Vienna un trattato entra in vigore secondo le modalità fissate dalle sue disposizioni o tramite accordo tra gli stati che hanno partecipato al negoziato. In mancanza di tali disposizioni o di tale accordo, un trattato entra in vigore nel momento in cui il consenso ad essere vincolato dal trattato è stato stabilito per tutti gli stati che hanno partecipato al negoziato. Nei grandi trattati multilaterali non mancano mai però le disposizioni protocollari che stabiliscono la entrata in vigore del trattato sin dal momento in cui un numero limitato e predeterminato di stati abbia prestato il consenso. Per gli stati che aderiscono in un secondo momento il trattato avrà efficacia dal momento della prestazione del loro consenso (formazione progressiva del trattato e frazionamento del tempo della sua entrata in vigore). Può darsi il caso dunque che uno stato abbia firmato un trattato ma che questo non entri in vigore prima del verificarsi di un fatto specifico. Cosa avviene se quello stato firmatario si opera affinché tale condizione non si realizzi oppure in altro modo impedisca l'efficacia del trattato ? Bisogna dire che non si può dimostrare con certezza l'esistenza di una regola di diritto internazionale generale con un contenuto simile a quello del nostro ordinamento interno sulla condizione sospensiva o altra regolamentazione con la stessa ratio. Nella convenzione di Vienna invero c'è una regola (art. 18) che sembra quindi essere non la trasposizione di una norma consuetudinaria, bensì rispondere ad esigenze di sviluppo progressivo : uno stato deve astenersi da atti che priverebbero un trattato dal suo oggetto e del suo scopo quando ha manifestato il proprio consenso anche con riserva di ratifica. Viene in mente il principio di buona defe nel comportamento di ogni contraente. Si noti infine che per i trattati che debbono essere eseguiti in particolari condizioni di urgenza può stabilirsi fra le parti l'applicazione provvisoria del trattato stesso, la quale però viene a cessare con la notifica, dello stato voncolatosi provvisoriamente, agli altri, della sua intenzione di non divenire parte del trattato. IL VALORE OBBLIGATORIO DELLE DISPOSIZIONI FINALI RELATIVE ALLE FORME DI STIPULAZIONE Ovviamente le disposizioni finali o protocollari del testo di un trattato non possono intendersi vincolanti lo stato ad esprimere il consenso ad impegnarsi. Il loro valore obbligatorio va intenso nel senso che se uno stato intende vincolarsi può farlo solamente nei modi previsti dalle disposizioni stesse. Tali disposizioni come noto possono riguardare l'autenticazione del testo, lo stabilimento del consenso, le modalità o la data di entrata in vigore, applicabili dal momento della adozione del testo. importante, laddove si tratti di un atto costitutivo di una organizzazione internazionale, salva diversa disposione dello statuto o accettazione dell'organo competente della organizzazione medesima. Si comprende da quanto detto che sussiste una presunzione di accettazione della riserva qualora non venga formulata una obiezione alla riserva stessa entro 12 mesi dalla sua notificazione. Riserve e obiezioni possono essere ritirate in ogni momento. Riguardo la procedura per la riserva, la accettazione della stessa, l'obiezione alla riserva, è richiesta la forma scritta e la comunicazione agli stati contraenti e a quelli aventi la qualità per divenire parti della convenzione. Se è formulata al momento della firma sotto riserva di ratifica deve essere confermata con questa e si dà per apposta al momento della ratifica stessa. LA REGOLA PACTA SUNT SERVANDA E I C.D. ACCORDI INTERNAZIONALI NON VINCOLANTI Con il noto brocardo si formula la regola generale consuetudinaria a fondamento del carattere obbligatorio dei trattati. La Convenzione di Vienna la riformula nel modo seguente: Ogni trattato in vigore vincola le parti e deve essere eseguito da esse in buona fede. La regola pacta sunt servanda si applica anche ai cosiddetti accordi internazionali non vincolanti ? No. Per accordi internazionali non vincolanti si intende testi non considerati obbligatori dagli stati redigenti e variamente denominati (gentleman's agreements come in seno alle Nazioni Unite i criteri di ripartizione tra gruppi geografico politici dei seggi di determinati organi, regole di fair play). Non si tratta di convenzioni giuridiche. Possono col tempo trasformarsi in norme cosuetudinarie col tempo o trasposte in trattato. I TRATTATI E GLI STATI TERZI L'efficacia della regola pacta sunt servanda è evidentemente limitata agli stati che abbiano stipulato il pactum che è entrato in vigore. Un trattato non crea nè obblighi né diritti per uno stato terzo senza il suo consenso (così la convenzione di Vienna formulando altre norme generali consuetudinarie anche espresse così: pacta non obbligant nisi gentes inter quas inita, pacta tertiis neque nocent neque prosunt). Ciò non impedisce che però nel trattato venga formulata una norma che è già in realtà presente nell'ordinamento giuridico internazionale come regola generale consuetudinaria, ma qui il suo carattere obbligatorio dipende dall'essere regola generale e non dalla convenzione fra stati. Esistono tuttavia situazioni dove si è discussa seriamente la possibilità che da un trattato provengano effetti giuridici a favore o contro uno stato terzo non parte di esso. TRATTATI CON EFFETTI GIURIDICI A FAVORE DI STATI TERZI Ad esempio lo statuto delle Nazioni Unite prevede che anche uno stato che non sia membro delle stesse può sottoporre al Consiglio di sicurezza o alla Assemblea Generale una controversia di cui esso è parte alla condizione di accettare preventivamente, ai fini di tale controversia, gli obblighi di regolamente pacifico previsti dallo statuto. Ancora settore ricco di esempi è quello in materia di comunicazioni internazionali, in particolare sulla navigazione dove talvolta si impone ad uno stato di accordare libertà di navigazione a favore di tutte le nazioni. Il problema è quello di stabilire se in capo a tali stati terzi sorgano dei diritti soggettivi internazionali (di libertà ma, abbiamo visto, anche di azione, proposizione giudiziaria) perchè in tal caso sarebbe derogata la regola generale pacta sunt servanda che fa riferimento solo alle parti contraenti il pactum. La risposta, anche della giurisprudenza internazionale è negativa. Non si crea un diritto soggettivo in capo al terzo. Gli obblighi descritti nella convenzione possono essere fatti valere solo dalle parti (nel caso specifico dello statuto delle Nazioni Unite lo stato nel decidere di rimettersi alla Corte perdeva il suo carattere di Terzo divenendo, seppure condizionatamente, parte). Affinchè un diritto soggettivo si formi in capo ad un terzo occore, dice la giurisprudenza, che non solo la volontà di creare un vero e proprio diritto in capo alterzo sia manifestato dalle parti, ma anche che tale volontà incontri la accettazione inequivoca dello stato terzo, che però, a questo punto, una volta accettato il conferimento, è esso stesso un contraente (non è più terzo). TRATTATI CON EFFETTI GIURIDICI CONTRO STATI TERZI Tanto meno possono ammettersi trattati con tale effetto. Invero taluni hanno cercato di sostenere che in talune ipotesi ciò sia possibile. Si tratterebbe di diritti localizzati su una certa porzione di territorio che assumerebbero una sorta di carattere permanente così che le parti istituenti potrebbero farli valere nei confronti di qualsiasi stato che in seguito si fosse annesso un tale territorio. Si è a proposito evocata la nozione privatistica della successione, altre volte quella della servitù reale. Ma la stessa varietà e diversità delle costruzioni dottrinali a sostegno si tali ipotesi dimostra la loro debolezza e comunque esse non sono confortate dalla prassi internazionale (vedi caso delle isole Aland per il patto di smilitarizzazione impegnante la Russia a favore di Francia e Gran Bretagna che la Svezia tentò di opporre alla Finlandia, stato successore nella sovranità delle isole). In ogni caso dunque per attribuire diritti o obblighi ad uno stato tramite trattato occore o che ne divenga parte (è l'unico modo se si attribuisce un obbligo) o che si costituisca una nuova convenzione di cui sia parte quello stato. I TRATTATI E I TERZI NELLA CONVENZIONE DI VIENNA Le conslusioni ora esposte sono state confermate dalla convenzione di VIenna sul diritto dei trattati. In essa allo art. 34 è esposto il principio generale per cui un trattato non crea né obblighi né diritti per uno stato terzo senza il suo consenso. In caso di previsione di obblighi a carico di uno stato terzo essa dispone allo art. 35 che una disposizione di un trattato può imporre un obbligo a carico di uno stato terzo soltanto se le parti al trattato intendono creare l'obbligo per mezzo di questa disposizione e se lo stato terzo accetta espressamente per iscritto questo obbligo. In caso di previsione di diritti soggettivi a favore di uno stato terzo lo art. 36 pone lo stesso principio salvo che in tale eventualità il consenso dello stato terzo si presume fintanto non vi sia indicazione contraria, a meno che il trattato non richieda necessariamente anche qui l'adesione espressa scritta del terzo. Tuttavia nella pratica è da notare che difficimente si configura la possibilità di attribuire ad uno stato terzo un diritto soggettivo assolutamente favorevole, che non comporti cioè alcun correlativo obbligo. promuovere la uniformità della applicazione del diritto internazionale stesso. Al proposito appare necessario rammentare un particolare meccanismo adottato dai trattati istitutivi delle Comunità europee. I giudici interni cui si presentino problemi di interpretazione delle norme dei trattati e del diritto da loro derivato sospendono il procedimento e sottopongono la questione alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, rimanendo vincolati alla decisione di questa. LA REGOLA GENERALE DI INERPRETAZIONE La convenzione di Vienna sui trattati distingue fra la regola generale di interpretazione (art. 31) e i mezzi complementari di interpretazione (art. 32). Regola generale di interpretazione, art. 31: un trattato deve essere interpretato in buona fede secondo il senso ordinario da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto e alla luce del suo oggetto e del suo scopo. In primis essa sottolinea il cosiddetto metodo testuale di cui si può avere esempio di applicazione nel parere consultivo della Corte internazionale di giustizia del '89 sulla convenzione in materia di privilegi e immunità delle Nazioni Unite. In tale convenzione si dispone che i membri di comitati o commissioni creati in seno alle nazioni unite godono dei privilegi e delle immunità previsti nel testo nel corso della durata della loro missione, ivi compreso il tempo del viaggio. Il problema era di stabilire se per missioni si debbano inendere sempre degli spostamenti così da escludere privilegi e immunità in assenza di spostamento. Il problema verte allora sul significato del termine mission nelle due lingue autentiche (inglese e francese). La Corte ha ritenuto di discostarsi dal significato etimologico del termine (dal latino e indicante il concetto di spostamento) per adeguarlo ad una accezione più ampia comprendente in generale qualsiasi incarico conferito. In secondo luogo si fa riferimento nella regola generale al contesto, che va inteso nel senso più ampio, comprendente, oltre al testo, il preambolo, gli allegati e anche ogni accordo (anche un protocollo interpretativo) intervenuto fra tutte le parti in occasione della conclusione del trattato. Ancora da ricordare il metodo teleologico che evidentemente si basa sullo scopo del trattato, applicato al problema del debito estero della Germania del 1953, dove si riconosce che scopo del trattato era quello non solo di rimborsare i creditori, ma di fare ciò in armonia con la ripresa economica tedesca. Ripresa economica, anzi, che venne ritenuta una finalità del trattato stesso per cui si ritenne coerente la rinuncia da parte dei creditori stranieri ad una parte importante del loro credito in cambio della fissazione delle condizioni di pagamento per le somme ancora dovute. In materia di metodo teleologico è fondamentale quanto disposto da un tribunale arbitrale del 1986, secondo il quale il posto che l'interprete deve accordare allo scopo di un trattato è eminentemente variabile e dipende in larga misura dalla natura del trattato stesso. Nei trattati normativi o istituzionali conclusi tra un numero elevato di stati e per una durata indeterminata lo scopo del trattato si distacca facilmente dalle finalità perseguite da ciascuno dei contraenti originari e acquista una autonomia oggettiva. Nei trattati bilaterali ogni parte persegue il suo proprio interesse e il fine comune delle due parti si riassume nella conciliazione di questi interessi per via di compromesso. Vi sono ancora i metodi interpretativi di tipo soggettivo per cui un termine può essere inteso in un senso particolare se è stabilito che tale era la intenzione delle parti, tenendo conto, oltre che del contesto del trattato, anche dei seguenti fattori: -di ogni accordo ulteriore intervenuto fra le parti riguardo la interpretazione del trattato o l'applicazione delle sue disposizioni; -di ogni pratica ulteriormente seguita nell'applicazione del trattato per mezzo della quale risulti l'accordo delle parti circa la interpretazione del trattato. (es. delimitazione della frontiera marittima Guinea - Guinea Bissau). Infine il metodo storico evolutivo richiamato dalla Corte internazionale di giustizia in riferimento allo art. 22 ove si parla di condizioni del mondo moderno, di benessere e sviluppo, di sacramissione di civilizzazione, termini che assumono un valore relativo in evoluzione. I MEZZI COMPLEMENTARI DI INTERPRETAZIONE L'art. 32 della Convenzione di Vienna ammette in casi determinati il ricorso a mezzi complementari o ausiliari di interpretazione, in particolare ai lavori preparatori e alle circostanze nelle quali il trattato è stato concluso, al fine di confermarne il significato. Ciò può avvenire quando la applicazione dello art. 31 lascia il significato oscuro ed ambiguo oppure conduce ad un risultato che è amnifestamente assurdo o irragionevole. Ivi per lavori preparatori (travaux préparatoires) si intende i dati (proposte, rapporti, resoconti di seduta, dichiarazioni di voto o altro ancora) relativi ai negoziati che hanno portato alla adozione del testo di un trattato. Si noti che possono venire in considerazione solo i lavori fatti a titolo ufficiale e durante i negoziati stessi e che consistano effettivamente in dati accessibili e conosciuti da tutte le parti. Non sono tali allora progetti di articoli isolati, documenti o processi verbali di riunioni segrete che non siano stati conosciuti sa tutti gli stati contraenti al momento della conclusione del trattato, non potendo servire da indizio di intenzioni comuni e di definizioni aventi l'accordo delle parti. disponga diversamente, le regole sulla conclusione e sulla entrata in vigore dei trattati enunciata nella parte seconda della convenzione di Vienna. Molto spesso è lo stesso trattato a regolare la sua revisione. In paritcolare si noti che, soprattutto quando esso contenga allegati di natura tecnica, una convenzione può prevedere due distinti meccanismi di emendamento: 1. uno ordinario per l'insieme delle sue disposizioni; 2. uno semplificato per gli allegati, che può consistere, per esempio, nell'accettazione automatica dopo un certo termine riservato ad eventuali obiezioni, delle deliberazioni di un gruppo di esperti. Ma nel caso che un trattato non disponga la convenzione di Vienna ha dettato alcune regole suppletive in tema di emendamento di trattati multilaterali, precisamente allo art. 40: ogni proposta diretta ad emendare un trattato multilaterale nelle relazioni fra tutte le parti deve essere notificata a tutti gli stati contraenti, e ciascuno di essi ha diritto di prendere parte: a) alla decisione sul seguito da dare a questa proposta; b) al negoziato e alla conclusione di ogni accordo avente l'oggetto di emendare il trattato. Infine ogni stato avente qualità per divenire parte al trattato ha ugualmente qualità per divenire parte del trattato come emendato. Capita di conseguenza nella pratica che alcuni stati che avevano aderito alla convenzione originaria non accettino la sua revisione. In tal caso essi non divengono parte del nuovo trattato ed è possibile opporgli solo il contenuto del vecchio. Inoltre in specie se uno stato diviene parte del trattato dopo l'emendamento è considerato parte del trattato come emendato nei confronti delgi aderenti alla revisione, e parte del trattato originario nei confronti degli stati che hanno rifiutato di aderire alla modificazione. E' tuttavia difficile applicare tali regole suplettive ai trattati istitutivi di organizzazioni internazionali, per le difficoltà di funzionamento di una organizzazione internazionale che applichi diverse discipline per i diversi stati. In genere esse prevedono il procedimento di emendazioni disponendo o la necessità dell'accordo unanime per la revisione (organizzazioni minori come la Comunità Europea), oppure l'emendamento a maggioranza che così approvato entra in vigore per tutti gli stati membri (organizzazioni maggiori: per le Nazioni Unite la maggioranza richiesta è quella dei 2/3, compresi tutti i membri permanenti del consiglio di sicurezza). LA MODIFICAZIONE DI UN TRATTATO MULTILATERALE TRA ALCUNE DELLE SUE PARTI E' necessario distinguere la fattispecie dell'emendamento o revisione, che mira a modificare il trattato nei confronti di tutti, salva lo loro possibilità di non aderire all'emendamento (carattere di globalità), dalla diversa fattispecie delle modificazioni dirette fin dall'inizio a variare la regolamentazione per solo alcune della parti di un trattato. Tale autonoma fattispecie è infatti contemplata distintamente dall'altra nella Convenzione di Vienna allo art. 41. Il problema riguardo tale fattispecie è quello della sua stessa ammissibilità. E' certamente ammessa tale modificazione se è lo stesso trattato a prevederla, ed è certamente esclusa se il trattato la vieta. Se il trattato infine non dispone alcunché, sia la Convenzione di Vienna al citato articolo che la prassi internazionale propendono per la ammissibilità, ad alcune condizioni: -l'accordo modificativo non porti pregiudizio al godimento dei diritti discendenti dal trattato per le altre parti, né all'esecuzione dei loro obblighi; -ancora l'accordo modificativo non si riferisca ad una disposizione la cui deroga risulti incompatibile con la piena ed effettiva realizzazione dell'oggetto e dello scopo del trattato stesso. Si ricordi ancora lo art. 58 della Convenzione di Vienna che permette alle parti di un trattato multilaterale di accrodarsi tra loro anche per sospendere temporaneamente inter se l'applicazione del trattato. LE DISPOSIZIONI GENERALI IN MATERIA DI NULLITÀ, ESTINZIONE E SOSPENSIONE DEI TRATTATI Si distingue la : nullità di un trattato (è inidoneo ab origine a produrre effetti); estinzione o sospensione del trattato (cessazione, definitiva o temporanea della idoneità del trattato a produrre effetti). A proposito la Convenzione di Vienna, nella sua parte V, stabilisce le tre situazioni in cui viene colpita la forza giuridica di un trattato, esprimendo il principio della tipicità di tali casi. Bisogna premettere che sebbene alcune di queste situazioni influenti sulla validità o efficacia di un trattato sembrino coincidere con quelle solitamente previste dal diritto privato interno degli stati (ad es. i tradizionali vizi del consenso come l'errore, il dolo, la violenza), la disciplina internazionale a riguardo non può che divergere viste le sue caratteristiche (mancanza di organi giudiziari che possano essere aditi anche in mancanza di consenso di tutte le parti e tutte le peculiarità di un ordinamento in cui i soggetti sono stati e non individui). La convenzione di Vienna affronta poi il cosiddetto problema della divisibilità dei trattati. Di regola infatti una causa di nullità, estinzione o di sospensione va invocata riguardo all'intero trattato. Tuttavia se essa riguarda alcune clausole determinate il vizio può colpire solo queste purché: 1. le clausole siano separabili dal resto del trattato per quanto attiene la loro esecuzione; 2. risulti dal trattato o sia altrimenti stabilito che l'accettazione delle clausole in questione non ha costituito per le parti una base essenziale del loro consenso ad essere vincolate al trattato nella sua interezza; 3. non sia ingiusto continuare ad eseguire quanto rimane del trattato; 4. non si tratti di nullità per violenza o per contrasto con norme imperative del diritto internazionale generale, ché in tale caso viene a cadere la convenzione tutta. Se si tratta poi di dolo o corruzione dipende dallo stato che agisce invocare la nullità dell'intero trattato o solo di una parte (in tal caso alle condizioni appena viste). Allo art. 45 la Convenzione di Vienna stabilisce poi che uno stato non può invocare una causa di nullità, di estinzione o di sospensione di un trattato, qualora, dopo avere avuto conoscenza dei fatti: a) ha esplicitamente accettato di considerare che, a seconda dei casi, il trattato è valido, resta in vigore o continua ad essere applicabile;
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