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Garcilaso de la Vega, Prima Egloga, Appunti di Letteratura Spagnola

Appunti e traduzione della prima egloga di Garcilaso de la Vega

Tipologia: Appunti

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Scarica Garcilaso de la Vega, Prima Egloga e più Appunti in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! GARCILASO DE LA VEGA – EGLOGA 1 La prima egloga di Garcilaso viene composta intorno agli anni 30. Compone 3 egloghe: la prima e la seconda sono del 34 e la terza è del 36. Esse fanno parte della produzione matura di questo autore che vive poco. Sappiamo molto poco della sua vita, ma sappiamo che nasce intorno al 1501 a Toledo e muore nel 1536 → vive solo 36. Le egloghe sono tra gli ultimi componimenti di una produzione che in generale è molto ridotta: scrisse poco. Però Fernando de Herrera (che è una generazione dopo Garcilaso anche lui poeta e autore di una edizione dell’opere di Garcilaso in cui lui si mette ad annotare l’opera di Garcilaso) scrive: la sua più breve produzione ha fatto fare un giro alla letteratura, in particolare alla poesia spagnola e non solo. È un personaggio molto rinascimentale: ebbe a che fare con la guerra, veniva da una famiglia dell’alta aristocrazia e fin da molto giovane comincia ad essere al fianco di Carlo V, che è il nipote dei re cattolici per lato di madre e quello che diventerà l’imperatore del sacro romano impero con il nome di Carlo V. → Garcilaso era presente all’incoronazione dell’imperatore a Roma nel 1530. È un poeta giovane. Che canta solo l’amore → non troviamo altri temi: la guerra non entra mai nei suoi versi nonostante si dedichi tutta la vita alle armi. Nella sua produzione ridotta troviamo: - 3 egloghe; - 2 elegie; - 1 epistola; - 5 canzoni; - 38 sonetti. EGLOGA → è un componimento poetico caratteristico della poesia pastorale. La poesia pastorale è una poesia che mette in scena un ambiente campestre, di semplicità rustica fatto di pastori che però è idealizzato, non è assolutamente reale. Passiamo ad un genere letterale diverso (poesia vs teatro, narrazione) ma anche ad una tonalità completamente diversa. Con l’egloga 1 siamo nella lirica, nell’idealizzazione della poesia pastorale /mentre con la Celestina eravamo nel realismo verosimile). L’egloga è spesso in forma dialogica: già dall’antichità perché è un genere che era già presente nella letteratura latina e infatti le più note bucoliche di Virgilio sono delle egloghe. Egloga può essere un sinonimo di bucolica e rimanda a questo tema pastorale. Una poesia caratterizzata da temi e motivi fissi: come l’amore (che può essere felice o non felice), la semplicità rustica, la spontaneità, il contatto spontaneo con la natura. Altra caratteristica fissa è la tonalità lirica: il termine lirico deriva dallo strumento lira che accompagnava presso i greci il canto poetico, e quindi è una poesia in cui predomina l’elemento e il tono affettivo, sentimentale, cioè l’emozione di cui che parla/si esprime. Altro elemento fisso è la dialogicità: spesso c’è un dialogo tra pastori. Dal pdv della struttura siamo di fronte a 30 strofe (che possiamo anche chiamate stanze perché la stanza è la strofa della canzone) di 14 versi ciascuna. In ogni strofa si trovano 2 tipi di versi: - l’endecasillabo; - il settenario. Lo schema delle strofe è il seguente: 1° verso → 11 sillabe 2° verso 11 sillabe 3° verso → 11 sillabe 4° verso → 11 sillabe 5° verso → 11 sillabe 6° verso → 11 sillabe 7° verso → 7 sillabe 8° verso → 7 sillabe 9° verso → 7 sillabe 10° verso → 11 sillabe 11° verso → 11 sillabe 12° verso → 11 sillabe 13° verso → 7 sillabe 14° verso → 11 sillabe Rime → ABCACCDEE Questa strofa così organizzata è uguale per tutte e 30 le strofe (c’è solo una piccola divergenza) → molto regolare. Strofe tenute insieme da una serie di coerenze formali e metriche che lo rendono un testo perfetto. Questa è la prima delle 3 egloga → l’egloga si può considerare come sinonimo di bucolica (le Bucoliche di Virgilio venivano spesso chiamate egloghe). È un poema non molto lungo. Indica un certo tipo di ambientazione: i pastori/contadini, un ambiente campestre, sempre idealizzato, dove ci sono delle caratteristiche fisse. Troviamo espressa/esplicita quella che chiamiamo dedica. Il personaggio a cui questo poema è dedicato: al Virrey de Nápoles (è viceré dal 32 al 53) ovvero Don Pedro de Toledo → il quale è il primo marchese di Villa Franca, uomo illustre della corte di Carlo V a cui fu affidato questo incarico. Si recò a Napoli nel 1532 e ci rimase fino al 1553 e in un momento del suo vireinado porterà con sé anche Garcilaso, del quale è mecenate. Il regno di Napoli dagli inizi del 500 è diventato uno dei territori di questa corona e di questo impero che si sta espandendo non solo nel continente ma anche nel nuovo continente. Contro l’esercito di Carlo V riesce a strappare questo territorio (quello che diventerà Virreinado de Napoles) ai francesi che pure lo ambivano e poi, nel corso dei secoli d’oro, diventerà come una continuità territoriale e culturale quella di Napoli molto importante e prestigiosa. A partire dal 500 tutti i grandi poeti volevano seguire la corte nella sua versione napoletana proprio per impregnarsi della cultura italica, in particolare napoletana. ↓ degli attributi umani, cioè la personificazione delle pecore; ma anche un’iperbole perché addirittura queste pecore si dimenticano di mangiare perché preferiscono ascoltare il lamento dei due pastori. (v.4) Sabroso = sinestesia → 2 campi sensoriali distinti: quello della voce (cantare) e del gusto. (vv.5-6) “Escuchando los amores” = Metonimia → discorsi/lamenti dei pastori sono indicati con una parte del loro contenuto che è quello dell’amore. Sempre dal pdv della disposizione, notiamo el encalvacameinto, cioè enjambement = rottura/frammentazione del discorso distribuendolo su più versi. (v.6) Inizia la DEDICA. → Tu vocativo che si ripete nella dedica. Il poeta si rivolge al suo mecenate tirando anche fuori temi topici di questo tipo di testo. Questi topici sono: si tratta di un uomo d’azione non un ozioso, si è guadagnato pure un grado, si riferisce al prestigio sia guadagnato nel campo sia aristocratico. Agora forma antica per dire ahora. Estado albano → senza virgola è un sinonimo di stato/regno di Napoli. 2° STROFA. Adesso da preoccupazioni e dai negozi (contrario di ozi) libero, per fortuna puoi andare a caccia montando il monte con un cavallo di razza. → Celebrare un aristocratico con il topico del cortigiano che si dedica alla caccia → attività in cui altrettanto trionfa. I cervi sono intimoriti e invano rimandano la loro morte. Aspetta, che prima di essere restituito all’ozio ormai perduto (quindi prima di tornare alla tua attività), vedrai esercitare la mia piuma (cioè vedrai come attraverso la mia poesia potrò commemorare sommamente le tue virtù e le tue famose opere) prima che questa piuma si consumi offendendoti; tu che in tutto sei il migliore del mondo → C’è una captatio benevolentiae fusa alla dedica. = La captatio è un modo per ripagare la protezione che il signore dà al poeta. 3° STROFA. Nel mentre che vedo arrivare questo momento in cui posso togliermi un po’ dei debiti che ho nei tuoi confronti (un debito che hanno tutti, non solo mio/generale di qualsiasi ingegno pellegrino che celebra ciò che è degno di memoria) la sua testa/fronte è cinta da una corona d’edera/d’alloro. Questa edera si pianta sotto la tua ombra e cresce poco a poco. Edera → viene nominata anche dopo e nei lamenti di Salicio e di Nemoroso ed è anche simbolo della fedeltà. Poiché adesso si va a cantare quello che ti ho detto, ascolta il canto dei miei pastori. Caccia → è un’attività tipica dell’aristocrazia dell’epoca. Il signore è sempre vincente, le prede hanno poca vita perché lui è un grande cacciatore. La caccia è un topico, qualcosa che si ripete sempre: anche con Gongora nella dedica c’è un riferimento al fatto che questo signore è un grande cacciatore, che le prede hanno paura di lui e che è maestoso con il suo cavallo che lo porta a caccia. 4° STROFA. La prima delle strofe narrative insieme alla 17° e all’ultima. C’è una descrizione del tempo e dello spazio in cui andremo ad ascoltare, in cui sono ubicati i pastori protagonisti. È una strofa narrativa perché appunto ci dà il contesto. → Il contesto temporale è l’alba: il sole mandava raggi nell’altezza del monte, mandava come delle onde di fuoco → perifrasi metaforica per dire che è l’alba. Quando Salicio appoggiato ai piedi di un alto faggio nella verdura per la quale un acqua chiara che gorgoglia (descrizione sonora dell’acqua che passa tra il verde e indicazione di un fresco e verde prato), con un canto si lamentava cosi dolcemente e mollemente (il termine dulce ritorna anche dopo). Abbiamo il prato verde e fresco, il gorgoglio del ruscello, il canto degli uccelli. Ci riferiamo al LOCUS AMENUS → Luogo ameno che viene descritto dal poeta nelle parti narrative. Questa perfetta simmetria viene descritta anche da Salicio alla fine del lamento e da Nemoroso all’inizio del suo lamento. ↓ ➢ 16° strofa → ritroviamo un prato verde, l’acqua chiara. ➢ 17° strofa → una delle strofe narrative. Siamo alla fine del lamento di Salicio. Blanda Filomena → è il nome poetico dell’usignolo. La blanda Filomena, afflitta e mossa dalla compassione, dolcemente risponde al suono piangente. La natura è in sintonia con l’uomo, ascolta il suo lamentare e partecipa alla sofferenza del pastore. ➢ 18° strofa → troviamo le acque cristalline, gli alberi che popolano il luogo, il verde prato che ha la possibilità di luoghi di ombra, quindi la freschezza, l’ombra, la possibilità di ristoro. ➢ 30 strofa → si riprende la descrizione del paesaggio. Nelle prime strofe narrative si descrive l’alba, mentre qui si descrive il tramonto. I lamenti hanno una durata che corrisponde al movimento/circolo del sole, durano una giornata. Immagine dell’ombra che sopraggiunge sulle montagne. L’ombra si vedeva venire correndo di fretta ormai per la falda spessa dell’altissimo monte, svegliandosi come se fosse stato un sogno e terminando il fuggitivo sole ormai scarso di luce, portano via il loro gregge e si ritirano piano piano. ↓ È una struttura perfetta sia dal pdv di disposizione dei versi sia anche tematico e l’insistenza su questo locus amenus fatto di: prati, alberi che proporzionano l’ombra/fresco ai pastori, il gregge che sta pascolando. I pastori che si lamentano per i loro amori tragicamente determinati con questo gorgoglio dell’acqua del ruscello che scorre. Il cielo e gli animali ascoltano. Una natura umana e naturale che tutta protesa verso l’ascolto e la compassione, nel senso di soffrire insieme ai pastori. 5° STROFA. Prima strofa del lamento di Salicio. Nessuno in tale stato da te abbandonato, io mi vergogno e chi mi vede ha vergogna di me. Di un’anima ti sei sdegnata di essere la signora/padrona, anima dove sempre sei rimasta, non potevi neppure lasciarmi per un’ora. Si ricorda di quando Galatea gli era fedele. 6° STROFA. Mette in contrapposizione dell’attività degli uomini e degli animali che continuano la loro vita di sempre con la situazione di tremendo dolore che soffre colui che sta cantando (quindi Salicio). Il sole tende i raggi della sua luce verso i monti e verso le valli, svegliando gli uccelli, gli animali, la gente. (v.80) DO → forma poetica per dire donde. Sempre è in pianto quest’anima meschina (di Salicio, colui che canta) quando l’ombra il mondo copre (il momento del tramonto o quando la luce si avvicina, cioè l’alba) → per dire che lui dalla mattina alla sera è sempre piangente e sofferente. Si tratta sempre di un linguaggio iperbolico che caratterizza molti degli agenti del lamento, fino a trasformarsi n alcuni casi in quelle che sono figure retoriche di esempi impossibili: quelle che si chiamano impossibilia oppure adynaton. 8° STROFA. Il ritornello è lo stesso per tutte le 12 stanze pronunciate da Salicio. → sin duelo cioè senza compassione, rivolto alle lacrime che sono personificate, come se le lacrime lo ascoltassero. Si ha di nuovo l’evocazione del locus amenus che però è un ricordo: ricorda i tempi in cui Galatea lo corrispondeva. Per te il silenzio della selva ombrosa, per te la ritrosia e la solitudine del solitario monte mi davano piacere → questo paesaggio aveva senso perché tu ne facevi parte insieme a me. Per te la verde erba, il fresco vento, il bianco giglio, la colorata rosa → ci sono dei riferimenti colorati, il paesaggio non è solo verde. Quanto era diverso ciò che nel tuo falso petto si nascondeva → segno premonitore che precede quello che sarà n sogno premonitore nella strofa successiva (cioè il volo degli uccelli, un elemento classico nell’antichità: s’interpretava il volo degli uccelli come simbolo di cattivo o buon augurio). 9° STROFA. Quante volte dormendo nel bosco, vidi il mio male in sogno, sfortunato. Sognavo che durante l’estate portavo a bere nel Tajo il mio gregge. → Il Tajo è il fiume che passa per Toledo e, spingendo nell’interpretazione biografica, questo fiume è della città natale di Garcilaso, ma è anche un fiume che arriva in Portogallo, dov’era la sua amata. Questa descrizione della natura che si intenerisce non solo per il contenuto, ma anche per il modo di raccontarlo: quindi è il canto di Salicio che intenerisce la natura → come nella mitologia Orfeo: la natura e gli animali ascoltavano il suo canto. Abbiamo una natura antropomorfa che ascolta il canto doloroso del pastore. Tu sola ti sei indurita contro di me, neppure hai volto lo sguardo verso quello che hai fatto/verso il passato. 16° STROFA. L’epilogo del lamento di Salicio è che lui lascia quel luogo ameno dove c’era un equilibrio tra natura/uomo e amore/natura, lo lascia perché: Visto che non mi viene a soccorrere in questo annegare delle mie lacrime, non abbandonare il luogo che tanto hai amato, che ci potrai venire al sicuro da me. Io lascerò il luogo in cui mi hai lasciato, vieni se è solo per questo che ti tieni alla lontana (perché c’è lui). Vedi qui il prato pieno di verzura, la vegetazione spessa, l’acqua chiara che in altri tempi mi era cara, al quale mi lamento di te con lacrime; forse qui incontrerai colui che può togliere tutto il mio bene (l’amante), poiché gli lascio il bene, non fa niente se gli lascio anche il luogo. → la prospettiva dell’andarsene dal locus amenus e lasciarlo alla sua amata e al suo nuovo amante; quindi, l’alternativa della morte come sola soluzione al dolore della perdita dell’amata. Un dolore terreno perché l’amata è ancora in terra, ma non è più con lei. Morte → soluzione ad una vita che non ha più senso. 17° STROFA. Strofa narrativa posta tra i due lamenti. Bisogna sottolineare la presenza dell’eco: il canto di Salicio fa eco grazie alle montagne → è la maniera con cui la natura/paesaggio compatisce il pastore sofferente. Blanca Filomena → usignolo che canta quasi con voce dolente. Filomena è il nome mitologico dell’usignolo perché è una fanciulla che viene trasformata dalla divinità in un usignolo per sfuggire al suo violentatore che le aveva tagliato la lingua, invece la sorella Propine viene trasformata in rondine. v.235 → s’introduce il prossimo lamento di Nemoroso con un’invocazione tipica del poema classico delle muse le Pieridi che è uno degli epiteti con il quali ci si riferisce alle muse → il poeta si rivolge alle muse per farsi dare l’ispirazione per il canto. 18° STROFA. Nemoroso anziché terminare con il locus amenus, inizia nell’incipit. Primo verso petrarchesco (v.239). Io ero talmente lontano dalla gravità del male che invece adesso sento, mi dilettavo/trovavo piacere nella vostra solitudine. → Questo locus amenus oltre ad esse un luogo idealizzato è anche un luogo incantevole e piacevole, una dimensione privata in cui attraverso la poesia l’uomo rievoca sentimenti personali/intimi, non c’è una dimensione di gruppo/di società, è un luogo lontano dalla società/civiltà. Chi pensava quando ero così spensierato e felice in questo luogo a cosa mi sarebbe successo. Riposavo con un dolce sogno in questo locus amenus, pensavo, riflettevo/parlavo con il pensiero e trovavo solo pensieri/memorie pieni di allegria → era felice. 19° STROFA. In questa stessa valle, dove ora soffro e mi affatico, vivevo nel riposo/ero contento e riposato. Caducità, vanità e fretta con cui scorre/se ne va. Mi ricordo che mentre stavo dormendo, svegliandomi vidi Elisa al mio lato. O miserabile fato! O tela delicata (la tela della vita che si è spezzata prima del tempo) data agli acuti fili della morte! Questa era una sorte che si addiceva di più agli affaticati anni della mia vita, perché l’amore per te è più forte del ferro perché infatti non l’ha spezzato la tua partenza. → vv.263-265 = questo lamentarsi dell’ingiustizia con cui si manifesta la morte, che arriva prima del dovuto → Pleberio. Il verso 263 in realtà dovrebbe essere un endecasillabo, ma invece è un settenario. 20° STROFA. Occhi chiari, mani bianchi, i capelli oro, il petto bianco → la descriptio puellae: tutto quello che conviene alla bellezza rinascimentale, qui è ancora più sviluppato rispetto alla descrizione di Salicio. Dove sono adesso quegli occhi chiari che trascinavano la mia anima ovunque essi si volgessero? Dov’è quella bianca mano delicata? Dove sono i capelli che guardavano con disprezzo l’oro come fossero di un tesoro inferiore (perché loro erano di un oro ancora più prezioso)? Dov’è la colonna che sosteneva con graziosa presunzione il dorato tetto (cioè i capelli dorati). → Queste domande retoriche sono domande che si chiedono dov’è quest’anima/donna che non è più in terra. Proprio in questa strofa capiamo che l’assenza è dovuta alla morte. Tutto ora si chiude per sventura mia, nella fredda, deserta e dura terra. → queste domande sono una sorta di meditazione della morte e anche sulla fugacità della vita. Questo è un tema molto ricorrente nella letteratura dei secoli d’oro, che si può nominare il topos dell’Ubi sunt (= dove sono?) → topos della fugacità della vita che si trova declinato in molta letteratura dei secoli d’oro in 2 principali conclusioni: - da un lato abbiamo la possibilità angosciante, la meditazione nostalgica dell’essere che non c’è più; - l’altra possibilità con cui si può declinare questo topos dell’Ubi sunt è la reazione più vitale che si svolge attraverso lo sviluppo dell’immagine del carpe diem. Perché la vita è fugace e breve, la raccomandazione è quella di approfittarne fino all’ultimo. In queste ultime due strofe, si trovano le 2 sole eccezioni di questo schema così perfettamente cesellato di stofe composte da 14 versi in questa successione: 3 endecasillabi, 3 settenari, 3 endecasillabi, un settenario e un endecasillabo. 1. Nella strofa 20 ci sono 15 versi invece che 14; 2. mentre in quella precedente, la 19, il v.263 in realtà dovrebbe essere un endecasillabo, ma invece è un settenario. 21° STROFA. Chi avrebbe mai detto, Elisa, quando in questo paesaggio (in cui si trova ancora Nemoroso) passeggiavamo raccogliendo teneri fiori che avrei dovuto vedere con una lunga solitudine, il triste solitario giorno che avrebbe dato amara fine al nostro amore. Il cielo nel farmi male caricò talmente la mano/ci andò pesante tanto da condannarmi ad un pianto eterno e a un triste solitudine. Quello che mi fa più soffrire è vedermi legato alla pesante vita che non ha più senso/la vita è un peso: perché è solo, indifeso, cieco (la luce si è spenta) in un carcere pieno di tenebre. → La luce si è spenta. Con Salicio le attività umane, degli animali, dell’universo continuavano quasi accelerate mentre lui non poteva far altro che piangere, qui invece è calata la notte su tutto il mondo. La vita non ha più senso perché è solo, non c’è più luce. 22° STROFA. È patente la differenza dalla strofa di Salicio, dove descrive la frenetica attività con cui ancora il mondo continua a muoversi, nonostante il suo dolore. Dopo che ci hai lasciato, non pasce più il bestiame, né il contadino si reca al campo a lavorare; non c’è bene che non si converta in male. La cattiva erba affoga il grano e la posto suo nasce un’infelice avena; la terra che con buona lena ci produceva fiori che soltanto a vederli ci alleggerivano la vita adesso produce questi sterpi (=abrojos) che ormai sono duri/pieni di spine intrattabili. Io questi frutti miserabili (sterpi, spine, avena al posto del grano) li faccio crescere con le lacrime che mi scendono dagli occhi. → le lacrime aumentano gli sterpi. 23° STROFA. Questa è una strofa chiave nel lamento di Nemoroso composta da una comparazione che la suddivide in due parti. Come quando il sole se ne va e cresce l’ombra e cadendo il tuo raggio s’innalza la nera oscurità che copre il mondo. Da dove vene il timore che ci spaventa e la paurosa forma nella quale si offre quella che la notte ci copre finché non viene poi riscoperta la forma del mondo dal sole con la sua luce e bellissima. → Questo procedimento della notte e del girono condensa tutto: i 2 elementi sono come 2 quadrati tra 2 momenti che sono quello dell’alba e del tramonto e questo è una condensazione di questo processo. La partenza di Elisa è come una tenebrosa notte nella quale sono rimasto tormentato dall0ombra e dal timore finché la morte, che il tempo determina, non mi incammini (iperbato: verbo alla fine) a vedere il desiderato sole della tua chiara vista. La notte è scesa nel mondo di Nemoroso → morte associata alla notte e la morte di Elisa è anche associata al tramonto: quindi Elisa era il sole.
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