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GATTOPARDO cap.V e VI, Dispense di Lingue e letterature classiche

IL file contiene la spiegazione delle riflessioni di Don Fabrizio dopo il ballo a Palazzo Ponteleone e il colloquio con Chevalley

Tipologia: Dispense

2019/2020

Caricato il 27/12/2020

alessia-de-vincenzo
alessia-de-vincenzo 🇮🇹

3

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3 documenti

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Scarica GATTOPARDO cap.V e VI e più Dispense in PDF di Lingue e letterature classiche solo su Docsity! LE RIFLESSIONI DI DON FABRIZIO DOPO IL BALLO E IL COLLOQUIO CON CHEVALLEY In questa parte del romanzo “Il Garropardo” abbiamo il tema conduttore il pessimismo del principe, ai suoi occhi non si salva più nulla. Quando giunse il momento di andarsene Don Fabrizio preferì non tornare con la sua famiglia in carrozza al suo palazzo in citta dove arano venuti a stare per tre settimane per non dover percorrere il lungo tragitto quasi ogni sera da Donnafugata. Disse che avrebbe preferito prendere un po’ di freso che gli avrebbe fatto bene avendo un leggero ma di testa. In realtà voleva confortarsi un po’ guardando le stelle, quelle poche che erano rimaste, su allo zenith. Come sempre il vederle lo rianimò, erano i contrario degli uomini, non erano ostinate bensì docili, lontane e onnipotenti. Nelle strade cominciava ad esserci già un po’ di movimento un asinello grigio trasportava alcuni cumuli di immondizia enormi su un carro e un altro portava scoperti e accatastati i buoi uccisi poco prima e fatti a quarti al macello, con la mancanza di pudore della morte. Da una traversa intravide la parte orientale del cielo al di sopra del mare. L’umore del principe è triste e malinconico, e gli eventi del ballo lo hanno solo alimentato, tutto però nasce da quando un funzionario regio, il piemontese Chevalley, giunge in missione a Donnafugata. Chevalley è un’onesta figura di liberale: benché sconcertato dalle condizioni di arretratezza culturale e socio-economica che vede intorno a sé, appare sinceramente convinto che l’affermazione degli ideali risorgimentali estenderà anche al Sud il progresso e la modernizzazione del Piemonte. A lui Tomasi guarda con simpatia, ma non manca di evidenziare l’ingenuità del suo idealismo, che gli impedisce di riconoscere il carattere di conquista del Risorgimento in Sicilia. Il cavaliere piemontese Chevalley propone a don Fabrizio un seggio nel Senato del nascente Regno d’Italia perché pensava potesse dare una spinta alla modernizzazione della Sicilia. («lei rappresenterà la Sicilia... farà udire la voce di questa sua bellissima terra che si affaccia adesso al panorama del mondo moderno, con tante piaghe da sanare, con tanti giusti desideri da esaudire»). Al discorso del piemontese Chevalley, che crede nel progresso, nell’iniziativa umana e quindi nella possibilità di migliorare le condizioni materiali e civili della società, si contrappone dunque la visione fatalistica del principe Una visione che non contempla la speranza, permeata com’è di un sentimento di decadenza e di morte. Don Fabrizio è ormai posseduto dalla malinconia e dal pessimismo. Il principe rifiuta, fondamentalmente perché non crede che la Sicilia possa rinascere a nuova vita, e adduce al riguardo diverse motivazioni. In primo luogo una motivazione storica: «Sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori, nessuna germogliata da noi stessi, nessuna a cui noi abbiamo dato il la..., da duemilacinquecento anni siamo colonia». Anche i piemontesi, seppure armati di buone intenzioni, non sono che gli ennesimi stranieri che si propongono al governo dell’isola.
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