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GENDER STUDIES - I PARZIALE, Appunti di Sociologia

Appunti per la prima prova parziale di gender studies, eseguito durante l'anno accademico 2022-2023 (appunti fino ai men's studies)

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 11/12/2022

asia.plachesi
asia.plachesi 🇮🇹

4.5

(2)

7 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica GENDER STUDIES - I PARZIALE e più Appunti in PDF di Sociologia solo su Docsity! GENDER STUDIES I PARZIALE 16 NOVEMBRE II PARZIALE 16 DICEMBRE PATRIARCATO E DOMINIO MASCHILE Sylvia Walby sociologa britannica, a lei dobbiamo una delle teorizzazioni del patriarcato più riconosciute a livello internazionale Pierre Bourdieu sociologo francese, pubblicò un libro intitolato “Il dominio maschile” Patriarcato usato nella letteratura sociologica e femminista per descrivere e spiegare le disuguaglianze di genere. In origine è stato utilizzato per indicare la dominazione del padre all’interno della famiglia, sia per le disuguaglianze di genere, della figura paterna nei confronti delle donne di casa, che di tipo generazionale, del padre rispetto ai figli. Concetto prettamente utilizzato nell’ambito familiare. Oggi può essere considerato come un insieme di pratiche e strutture che istituiscono, riproducono e legittimano la dominazione del genere maschile sul mondo e, in particolare, sulle donne e le sessualità etero divergenti. L’analisi del concetto di patriarcato proposta dalla Walby parte dalle critiche che emergono nel momento in cui usiamo il concetto nella vita quotidiana. La prima critica riguarda astroricità e universalismo= fa riferimento al fatto che il concetto di patriarcato non sia scientifico e se non spiegato bene è ricondotto al biologico e al naturale. La seconda critica rimanda ad una critica di determinismo strutturale= presentato come un qualcosa che esiste al di là del rapporto tra società ed essere umano. La terza critica riguarda l’omogeneizzazione= il concetto di patriarcato non ha senso perché va a rendere omogenee situazioni differenti familiari, parlare di qualcosa di generale porta alla conduzione di prospettive diverse. Partendo da queste critiche viene elaborata una teoria sul patriarcato, invitandoci a pensarlo come un qualcosa composto da 6 strutture. - Modo di produzione si realizza su un piano economico. Il lavoro delle donne è appropriato dagli uomini attraverso le relazioni, sia matrimoniali che generali, il quale garantisce, al massimo, alla donna un reddito di sussistenza. Questa prospettiva, di stampo marxista, la condizione di sfruttamento - Relazioni nel mercato del lavoro struttura che rimanda alla segregazione o esclusione delle donne nel mercato del lavoro; seconda struttura sul piano economico. Il trattamento della donna così va a toccare un piano che si protrae oltre la sfera economica - Stato  esclusione delle donne dalle istituzioni, dalle risorse e dai poteri statali. Può avvenire in maniera diretta o indiretta; esclusione die temi femminili dall’agenda delle istituzioni statali. Lo stato rappresenta in sé una struttura del patriarcato. - Violenza maschile  un’altra delle strutture del patriarcato. Da pensare come la possibilità della violenza maschile, non si tratta solo della violenza agita, ma la potenzialità della violenza stessa. Forma sociale regolare con conseguenze profonde a causa delle aspettative. Le donne modificando la condotta dei loro comportamenti per evitare la violenza vanno a creare la struttura. - Sessualità struttura del patriarcato in quanto va a regolare la sessualità femminile tramite una logica di doppio standard, ovvero una diseguale distribuzione di potere sulle stesse pratiche sessuali (stesso numero sessuale porta ad una visione e a un giudizio differente di uomini e donne). - Cultura si riferisce a una serie di discorsi riprodotti e diffusi, che vanno a creare una certa idea del femminile e una certa idea del maschile, producendo effetti negativi su una e sull’altra 1 Pensare al patriarcato come un insieme di strutture ci permette di spiegare perché il patriarcato è universale, che al contempo cambia nel tempo e nello spazio, di società in società, di gruppo sociale in gruppo sociale; e perché il concetto di patriarcato sopravvive nel tempo, in quanto in alcuni periodi alcune strutture sono più rilevanti di altre e perché la scomparsa o la diminuzione di una di queste strutture non implica lo smantellamento del sistema. Bisogna pensare al patriarcato come una struttura cumulativa, un sistema a tre livelli dove si ha il sistema patriarcale che è sorretto da strutture patriarcali che a loro volta sono sorretti da pratiche patriarcali, ovvero riproduzione ma anche trasformazione. Il patriarcato è quindi un prodotto cumulativo. Da dove si origina il patriarcato? Non esiste una risposta biunivoca. Per Walby è il capitalismo a generare il patriarcato - All’interno della letteratura femminista esistono una miriade di differenti approcci all’analisi del patriarcato - Differiscono soprattutto sull’origine e le strutture primarie su cui esso si basa (e quindi sulle strategie per smantellarlo) Violenza simbolica: cosa non è? Non si tratta né di violenza fisica né di violenza psicologica. Nella visione di Bourdieu abbiamo forme di violenza: - Primaria, forme di rapporti di dominazione (pugno come interazione diretta tra uomo e donna, stessa cosa per quella psicologica). - Simbolica, che prescinde dall’interazione diretta. Egli sostiene che le tre forme di violenza si alimentino a vicenda e che forme di dominazione elementare e complementare coesistano spesso. La violenza agisce con simboli di significato, indiretta, che diventa sempre più pervasiva man mano che la società condanna delle forme di violenza diretta, perché è oil modo più sicuro di controllare il dominio. In Bourdieu la violenza maschile è ideologica, dolce, si distingue per essere esercitata tramite canali simbolici di comunicazione, con la complicità di chi la subisce, in quanto è agita e subita in modo né chiaramente conscio né inconscio. Si tratta di qualcosa che va oltre le nostre categorie di coscienza o incoscienza, è qualcosa di cui non ci rendiamo conto perché l’ordine naturale è quello. Si verifica quando sistemi di simboli e significati sono imposti a persone in modo che siano vissuti come legami, abitudini sociali quotidiane che diamo per scontato, così la graduale accettazione e internalizzazione di idee diventa neutralità e naturalità della vita quotidiana. La violenza simbolica si realizza attraverso vari meccanismi: - Misconoscimento un processo che fa sì che forme di dominazione che dovrebbero essere viste come problematiche vengano in realtà camuffate, mascherate da relazioni incatenate, che le rende così legittime, naturali e conoscitiva agli occhi del dominato. Viene descritto da Bourdieu tramite la metafora del learned helpness, ovvero la capacità incompresa. Il misconoscimento porta ad acquisire un determinato habitus, un determinato modo di essere di porsi nel mondo, che appare legato a strutture naturali, ma che è frutto esclusivamente di un processo di socializzazione. - Denegazione un processo che consiste in quelle pratiche sociali in cui gruppo o soggetto, dominante, minimizza temporaneamente e simbolicamente le disparità di potere tra loro e i soggetti dominati. Si tratta di una forma di manipolazione che si realizza attraverso la prossimità relazionale, si va a ridurre tutto quello che fa apparire il dominato e il dominante distanti tra loro. Ciò consente alla persona denominata di beneficiare di un duplice canale relazionale. Crea una finta intimità col dominato, ma allo stesso tempo rinforza la gerarchia in quanto rimane sempre al vertice. (es. marito che pulisce casa ogni 5 anni, ma si presenta come un buon casalingo). Bourdieu descrive il caso di un sindaco di una provincia francese che, durante un discorso ai cittadini, parla in dialetto piuttosto che 2 rispecchia l’aspettativa del pubblico). All’interno di una società etero normata è molto più semplice definirsi etero sessuati, ma ciò non significa che la performance della persona non binaria non esista, ma semplicemente è più difficile essere riconosciuta, avendo come effetto la stigmatizzazione. Per rendere la performance più autentica possiamo utilizzare delle tecniche di performance: - Setting - Tecniche di rappresentazione - Fronte personale (appearance + manners) = tutto ciò che posso fare al mio corpo (appearance, apparenza) e tutto ciò che posso fare col mio corpo (manners, maniera). Per apparire convincenti plasmiamo l’apparenza e come ci muoviamo nelle nostre performance. GARFINKEL ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo del pensiero queer. Nel 1967 pubblicò un saggio di una ricerca sulle persone intersex, le quali avevano apparato sessuale maschile e femminile allo stesso tempo. Nell’ambito di questa ricerca conosce Agnes Torres, la quale si presenta come intersex, per poi scoprire che si tratta di una donna trans che si presenta come donna. Arriva a capire che il genere è come apprendimento ed esecuzione di comportamenti giudicati appropriati dal pubblico; inizia a pensare che non ci fosse nulla di biologico, ma semplicemente una performance. Conclude quindi come la naturalezza dei comportamenti femminili non derivi dalla base biologica naturale, ma dalla ripetizione dei comportamenti il genere appare naturale, non è naturale. In un suo scritto dice “Agnes’ appearance was convincingly female”. Esso viene colpito e resta basito dal fatto che non riuscì a capire che davanti a sé avesse una donna trans, che non si basava sulla biologia del soggetto, ma sulla sua performance. L’origine dell’ordine sociale non è esterna all’individuo, la costruzione sociale sta nella ripetizione continua di pratiche quotidiane, le stesse attraverso cui rispondiamo alle aspettative del pubblico, che possono diventare le stesse che ci permettono di sovvertire alla realtà. Il genere si crea nelle pratiche attraverso cui le persone cercano di dare prova di essere uomini o donne, in quanto richiesto dalla società. CRITICHE AL MODELLO DEI DUE SESSI Il modello dei due sessi consiste nell’idea che oggettivamente esistano due sessi, maschile e femminile, legati a differenze biologiche. Dall’antica Grecia al XVIII secolo prevaleva il cosiddetto one-sex model, dove si riteneva che le donne fossero meno di un soggetto maschile sviluppato, designato come un corpo maschile che si sviluppava verso l’interno. Ciò non era legato ad una mancanza di competenze scientifiche, si trattava di un’idea sociale associata a una spiegazione biologica. Nel XIX secolo iniziamo a nominare il corpo femminile attraverso concetti a doc. Laqueur spiega come il one-sex model non reggesse più durante l’illuminismo (XVII secolo) per distinguere le differenze biologiche perché tutti vengono considerati uguali dotati di una cittadinanza. Era necessario quindi un altro modo per giustificare le disuguaglianze, per questo viene creata la donna come essere differente da quello maschile. Le disuguaglianze iniziano ad essere “naturalizzate”, quindi spiegate sulla base di fattori sociali. DECOSTRUIRE IL SESSO Prospettiva del decostruzionismo sostiene l’idea che il corpo non esista al di fuori dell’esperienza che se ne ha, dei significati che ad esso sono attribuiti in un dato contesto sociale. TEORIA QUEER – JUDITH BUTLER Idea che il genere non deriva dal sesso in quanto esso non esiste, se esso non esiste viene a meno la base attraverso cui si crea una società ideata sulla base binaria. L’idea sostenuta da questa prospettiva è che la possibilità della logica binaria possa essere sostituita da differenze multiple, dalla possibilità di trasformazione continua in quanto dietro non c’è nulla. 5 Se il sesso non esiste, su cosa si basano le nostre differenze? Dietro c’è solo il genere – il solo è una potentissima costruzione sociale; le nostre differenze sono solo un discorso. Ma perché questa costruzione sociale esiste ancora? A cosa serve? Ciò serve a preservare l’eterosessualità come forma naturale e superiore della sessualità, mi permette di dire che l’eterosessualità è una situazione normale eteronormatività. Non possiamo capire il genere senza tener conto dell’eterosessualità. La teoria queer va a ribaltare il rapporto tra la sessualità e di genere (normalizzare nel mondo della sociologia è un’accezione negativa). L’eteronormatività mi permette di naturalizzare il desiderio eterosessuale così da: - Stigmatizzare e regolare le forme di desiderio non-etero (che possono esistere solo come deviazione della norma) – escludere forme sessuali “non produttive” - Controllare la sessualità (se deriva dal genere che deriva dal sesso è per forza stabile) – stabilizzare le relazioni affettive - Rafforzare (ancora di più) le differenze binarie – le posizioni di “donne” e “uomini” sono costruite come mutualmente esclusive. IL FEMMINISMO OCCIDENTALE Storia delle ondate femministe sviluppatesi nel contesto occidentale, si tratta di qualcosa di parziale. La storia del femminismo nel contesto occidentale è organizzata e raccontata come il susseguirsi di una serie di ondate concetto utilizzato per categorizzare queste fasi, rende l’idea di un movimento che nel momento stesso in cui fa dei passi avanti conosce anche dei momenti di ritorno indietro. Questo concetto evidenzia come nella storia del femminismo si siano alternate fasi di lotta per diritti e susseguiti periodi di immobilità e conseguenti passi indietro, che prendono il nome di backlash. È un concetto che va usato a scopo euristico per semplificare una realtà troppo complessa; va inoltre preso con le pinze in quanto nasca da una focalizzazione sulle forme di lotta più visibili sullo spazio pubblico. Il concetto di ondata si riferisce a forme di mobilitazione che coinvolgono un numero importante di persone e perché il concetto di femminismo non era ancora stato inventato PRIMA DELLE ONDATE: PROTOFEMMINISMO Usato per descrivere le forme di femminismo che si svilupparono prima dell’avvento dei movimenti femministi del XIX e XX secolo e quindi prima che il concetto stesso di femminismo si sviluppasse e circolasse. Cristine de Pizan a partire dalla propria esperienza, scrisse un libro dove spiegò le difficoltà dell’essere donna all’interno di un contesto maschile. Mary Wollstonecraft scrisse un libro in contrapposizione a Le Mille di Rousseau, scrisse la dichiarazione dei diritti delle donne LA PRIMA ONDATA Fa riferimento ai movimenti delle donne inglesi ed americane per il diritto di voto. Si tratta di un movimento che si evolve tra il 1848 e il 1920, dove fu emanato nella costituzione americana il diritto di voto riferito alle donne bianche. 1848 4 donne bianche americane impegnate a promuovere i diritti nei confronti della popolazione nera e la necessità di abolire lo schiavismo. Si recarono a Londra in una convention che promuoveva l’idea dell’abolizione dello schiavismo, ma si trovarono a non poter partecipare alla convention nonostante le loro ideologie. Si trovarono quindi a discutere sul cittadino delle cittadine americane donne e il loro accesso alla sfera pubblica. Elaborarono la “Dichiarazione dei sentimenti” ovvero ripresero la dichiarazione di indipendenza americana, e la parafrasano trasformandola in un vero e proprio testo femminista, mettendo come soggetti principali donne e 6 uomini invece che re e colonie. Ci sono anche riferimenti espliciti alla religione (usati sia per elevare la figura della donna sia per evidenziare la marcata differenza tra uomo e donna) Sempre nel 1848 viene organizzata la Seneca Fall Convention circa 300 tra donne e uomini si riuniscono a Seneca Falls a NY per sostenere la causa dell’uguaglianza tra uomini e donne, dove riuscirono ad ottenere anche la firma di circa una ventina di uomini. Altre due piccole convention vennero tenute in altri Stati americani, ed è proprio da qui che prese piede il movimento femminista americano. MOVIMENTO ABOLIZIONISTA Se ben la prima ondata fu un movimento composto da donne ambienti, quindi bianche e di classe media, molte delle sue proponenti erano anche attive nel movimento abolizionista, ciò quindi permise a donne afroamericane di trovare spazio all’interno dello stesso movimento, anche se in maniera limitante. Una figura di grande importanza fu Sojourner Truth nacque schiave ed iniziò a partecipare col movimento femminista e nel 1851 pronunciò un discorso conosciuto come “Ain’t I a woman?”, che marca il significato del movimento femminista nero e allo stesso tempo una critica sia al movimento femminista ed alla sua bianchezza, che non riusciva a riconoscere le donne nere in quanto donne, che a coloro che non erano in grado di eliminare le differenze tra uomini e donne. PRIMA ONDATA: EFFETTI Le battaglie della prima ondata si sono concentrate sulla presenza delle donne sullo spazio pubblico, dove c’era prevalentemente una richiesta, ovvero la partecipazione delle donne nel mondo politico tramite il diritto di voto. Con questa prima andata si pensava che bastasse consentire alle donne le possibilità di accesso, richiedendo di partecipare alle varie istituzioni, senza andarle a criticare. Gli effetti più evidenti si hanno sul diritto di voto: 1920 con la IX dichiarazione americana venne emanato il diritto di voto alle donne in gran parte di Paesi. Dopo il voto venne introdotto il termine “femminismo” nel linguaggio comune dopo essere stato rivendicato, nato inizialmente come insulto verso le suffragette. Successivamente a questa prima ondata femminista si assiste ad una frammentazione del movimento su più questioni: - Si inizia a parlare di diritti produttivi e aborto legale - Espansione delle opportunità educative - Miglioramento delle condizioni lavorative delle donne - Negli stati Uniti si parla anche di movimento anti-linciaggio (nel momento in cui nascono leggi antischiaviste prende piede questo movimento, sempre nei confronti della popolazione nera) BASKLASH DELLA PRIMA ONDATA  Dopo aver ottenuto il diritto al voto il movimento incominciò a perdere influenza e consistenza numerica, in quanto le donne ebbero la possibilità di partecipare alla vita politica e l’idea che la battaglia non fosse più necessaria  Molte donne si dimostrarono indifferenti all’ottenimento del diritto di voto, in quanto la volontà di partecipare alla scena pubblica non sempre corrispondeva a desiderio  Stigmatizzazione delle donne che votano e partecipano alla vita pubblica in movimenti politici  La Grande Depressione del 1929 porta all’emanazione e diffusione di leggi che andavano a ridurre la possibilità di impiego per le donne sposate, che era cresciuto durante la Prima Guerra Mondiale, riportando la donna all’interno della sfera familiare. Vennero ad esempio emanate leggi che limitavano l’orario delle donne o incentivi economici per mogli e madri per disincentivare la loro partecipazione alla vita pubblica.  In Europa iniziano a circolare le idee culturali del nazionalsocialismo e il ritorno ad un modello tradizionale di femminilità, dove la donna corrisponde all’idea di madre. 7 SNCC (= student nonviolent coordinating committee) è distese (attribuzione del documento ancora non chiara dal punto di vista storico), andando a denunciare le forme di potere che si formavano in spazi che apparentemente dovevano essere più sensibili rispetto alle condizioni di disuguaglianze di genere. Da qui iniziano una serie di riflessioni che porteranno a strutturarsi del movimento femminista radicale. Il movimento femminista radicale esprime la propria pratica politica tramite la costituzione di gruppi separatisti femministi, a cui soltanto le donne potevano partecipare, partendo dall’idea che l’uomo, anche il più ben intenzionato, all’interno di un gruppo sia comunque in grado di influenzare la capacità delle donne di percepire il loro stato di oppressione e che la comprensione piena della propria condizione subordinata all’interno della società passi necessariamente dal confronto con le proprie simili, tra donne (c’è stata un’evoluzione e la maggior parte dei gruppi femministi oggi esistenti non sono separatisti, ma inclusivi rispetto alla partecipazione maschile); questa separazione è ritenuta dalle donne femministe della seconda ondata necessaria per liberarsi della cultura maschile inculcata dalla società nelle donne stesse; tutto ciò nella pratica prende il forma nei cosiddetti gruppi di autocoscienza dove venivano raccontati episodi di esperienza personale e di vita quotidiana, per spiegare come non fossero frutto di una determinata situazione psicologia della persona e legate alla singola persona, ma si trattava di episodi ricorrenti aventi carattere sociale, incrementando l’idea di come il personale sia politico. Il femminismo radicale della seconda ondata individua il problema in una serie di istituzioni della vita quotidiana, le quali non vennero considerate all’interno della prima ondata (es. questione dell’amore romantico e relazioni sentimentali), qui invece si arriva ad elaborare l’idea che si debba partire dalla quotidianità delle esperienze raccontate per trasformare la società. Questa frangia della seconda ondata tende ad adottare una serie di pratiche politiche proprie dei movimenti sociali, quali proteste, scioperi, sit-in, forme di boicottaggio, uso di strumenti artistico-culturali (1968 boicottaggio miss America). L’attenzione si concentra principalmente temi che riguardano i canoni estetici e ipersessualizzazione delle donne; l’aborto e la contraccezione; la liberazione sessuale. IN ITALIA Nel 1944 viene formata L’Unione Donne Italiana (nel 2003 cambia nome in Unione Donne in Italia), che si descrive come femminismo istituzionale, una posizione che non rimanda a una distinzione tra femminismo liberale e radicale, che cerca di agire principalmente sulle istituzioni. In generale è una organizzazione che ha assunto progressivamente posizioni politiche più radicali tramite strumenti fortemente istituzionali. Nel 1969/1970  nasce il primo movimento femminista radicale, il Movimento di liberazione della donna, nato all’interno del partito radicale, che aveva come obiettivi principali la legalizzazione dell’aborto e la creazione di asili-nido. Emma Bonino aveva un ruolo fondamentale all’interno del movimento Nel 1970 si ha una rivolta femminile e nasce il vero primo gruppo separatista italiano, dal nome “Sputiamo su Hegel” e fortemente influenzata dalla posizione di Simone de Beauvoir. SECONDA ONDATA Si sviluppa l’idea che il personale è politico e che il dominio maschile si eserciti attraverso istituzioni personali quotidiane, come il matrimonio, la maternità e le pratiche sessuali, e che non si tratti più di una questione di leggi (la questione non poteva quindi restare solamente nelle leggi, ma in quelle istituzioni considerate intermedie tra la legge e la vita quotidiana). Le richieste si concentrarono principalmente su retribuzioni, aborto, educazione, asili e servizi di conciliazione. In questa seconda ondata possiamo notare un doppio focus: - Donne come gruppo sociale oppresso 10 - Corpo femminile come primo luogo/ strumento di questa oppressione, identità femminile legata ancora a qualcosa di oggettivo, ovvero alla capacità di generare vita (strettamente collegato alla riflessione di Simone de Beauvoir) Il femminismo della seconda ondata inizia a produrre concettualizzazioni teoriche (il femminismo della prima ondata non lo fa o lo fa in modo non del tutto esplicito), per opporsi a quella visione del mondo basata sul principio maschile che era stata prodotto attraverso le teorie elaborate dagli uomini. LIMITI SECONDA ONDATA I principali limiti rimandano alle caratteristiche sostanziali di coloro che parteciparono o che ebbero maggiore spazio all’interno del dibattito della seconda ondata; si trattava nuovamente di un gruppo particolarmente ristretto che comprendeva donne bianche eterosessuali di classe medio/alta. Ciò non significa che all’interno del femminismo della seconda ondata non partecipassero anche soggettività che non si riconoscevano in questa identità che emergeva come principale, ma è vero indubbiamente molte soggettività non riuscirono però a trovare spazio e visibilità all’interno del movimento femminista. Le critiche principali arrivarono proprio sulla questione della classe, della razza e dell’eterosessualità. Prima critica fondamentale si concentra sulla questione di classe. Sul piano della classe sociale la maggior parte delle critiche si sviluppa all’interno dell’ambito britannico, dove si era sviluppata una consolidata tradizione femminista marxista/socialista, che nasceva col tentativo di coniugare l’obiettivo della lotta di classe con quello della lotta contro il patriarcato. Nel contesto americano invece la critica alla seconda ondata sul piano della classe fu portato avanti principalmente dal femminismo nero. La seconda critica è relativa all’eccessiva eterosessualità espressa dal femminismo della seconda ondata che si sviluppa a partire dall’esperienza delle femministe lesbiche, che instaurarono un rapporto iper complesso con la seconda ondata; le femministe lesbiche aderirono alla frangia radicale fin dall’inizio e la patologizzazione di questa categoria venne interpretata come una minaccia alla libertà di tutte le donne perché il rendere la categoria lesbica una patologia serve a controllare non solo le donne lesbiche, ma tutte le donne. Venne denunciato dalle femministe lesbiche come la stigmatizzazione nei loro confronti serviva prima di tutto per controllare le donne eterosessuali. I conflitti interni tra i due gruppi emersero rapidamente. La terza critica riguarda la razza. Tra tutte le critiche interne alla seconda ondata, quella che proviene dal femminismo nero è quella che più ha impattato il movimento femminista della terza ondata; fu un femminismo in grado di creare alleanze. Nasce come una corrente interna al femminismo radicale che mira a far emergere la doppia oppressione, double jeopardy, delle donne di colore da parte del razzismo, del patriarcato e del capitale. Il principale contributo del femminismo nero al dibattito rimanda al concetto di intersezionalità rimanda all’idea che la nostra identità non abbia caratteristiche monolitiche, ma che si formi dall’intersezione di una serie di diverse identità, ciascuna delle quali può potenzialmente essere un sistema di oppressione. Le origini del black feminism sono però antecedenti alla seconda ondata, esiste un proto-femminismo nero che rimanda a ciò che le donne nere fecero durante il periodo dello schiavismo. TERZA ONDATA Fa riferimento alla fase del femminismo che trae avvio all’inizio degli anni ’90. Nasce dall’ascolto delle critiche della seconda ondata, ovvero che si trattasse di un femminismo troppo omogeneo che aveva gettato su tante categorie di donne la visione del mondo delle donne bianche eterosessuali di classe media (es. la famiglia dalle donne bianche della seconda ondata viene considerata un meccanismo oppressivo, il femminismo nero mette invece in discussione questa prospettiva). Mira a pluralizzare il concetto di femminilità e di identità femminile per promuovere una maggiore rappresentatività del movimento, promuovendo una serie di coalizioni tra soggetti 11 oppressi – creazione di rapporti col movimento lgbt - e va a considerare contemporaneamente multiple forme di oppressione. Il fatto scatenante fu un processo che si tenne nell’ottobre del 1991 tra Anita Hill e Clarence Thomas. Anita Hill, sua assistente, al tempo giudice in via di conferma della Corte Suprema americana, lo denunciò per via di molestie sessuali sul luogo di lavoro, molestie che ancora oggi molti farebbero fatica a percepire come molestie, in quanto si faceva riferimento a situazioni di micro-violenze, dove venivano portate avanti avance e commenti a fondo sessuale, ovvero delle miocroviolenze che metà della popolazione ancora non è in grado di capire quanto siano gravi. Lei si trovò a fare un esposto che non venne accettato dal procuratore, ma si andò ugualmente a processo in quanto la stampa venne a sapere di ciò. Clarence Thomas non venne condannato, ma ebbe invece l’opportunità di essere confermato alla Corte Suprema. La reazione a questo processo e a ciò che successe, in particolare il fatto che Thomas venne confermato come giudice della Corte Suprema americana diede vita alla terza ondata del femminismo. Dal testo intitolato “Becoming the Third Wave” di Rebecca Walker si inizia a parlare in maniera formale di terza ondata. In sintesi, la terza ondata del femminismo cerca di essere a proprio agio con le contraddizioni, in quanto si tratta di un’ondata fortemente plurale che cerca di tenere insieme una serie di esperienze profondamente diverse che non possono essere messe sullo stesso piano. È necessario assimilare l’idea che il patriarcato possa esprimersi in maniera differente tra diverse persone ed essere altrettanto efficace. Questa caratteristica, che è anche la principale differenza con la seconda ondata, viene individuata da Leslie Heywood e Jennifer Drake all’interno della “Third Wave Agenda”. Messi in discussione quelli che fino a quel momento erano i fondamenti della teoria femminista, la terza ondata è infatti un’ondata che ingloba in sé fortemente anche l’influenza e la teoria queer del ripensare il genere. In termini di pratiche si deve immaginare un’ondata che si manifesta principalmente sul piano culturale e creativo, che va a adottare pratiche politiche tipiche dell’evoluzione attivistica nel suo complesso; cerca di promuovere una diversa idea di cultura andando a produrre una cultura diversa (esempio di Guerrilla Girls e The vagina monologue= opera teatrale del 1995 che viene presentata a Broadway per la prima volta e si basa sull’intervista a 200 donne su sesso, relazioni e violenza sessuale. Ogni rappresentazione si compone di un numero variabile di monologhi, ciascuno dei quali prende in considerazione un aspetto dell’esperienza femminile raccontata a partire dall’intervista di base su cui si fonda. L’idea è quella di ridare voce alla versione femminile sui temi del sesso, della prostituzione, dell’immagine del corpo, dell’amore, del ciclo mestruale, della violenza. Bisogna immaginare come queste interviste coinvolgano maggiormente casalinghe, donne violentate durante i conflitti nell’est Europa; quindi, luoghi ed esperienze diverse tra di loro che nel complesso rendono l’idea di pluralità e quindi di tenere insieme realtà ed esperienze totalmente differenti tra di loro). QUARTA ONDATA Si tratta di un’ondata che si sviluppa a partire dal 2012 (per via di una mobilitazione sui diritti delle donne che tornano ad essere al centro del dibattito), ma con maggiore evidenza poi dal 2017. Manca ancora un’analisi sistematica del fenomeno in quanto è molto complesso in cui si affiancano diversi movimenti e una cooptazione del pensiero femminista da parte di una serie di realtà dominanti (es. maglietta di H&M con frasi femministe quando nella pratica non è femminista); fase difficile da valutare in quanto non è semplice capire quanto sia reale questa quarta ondata e quanto invece ci sia un’estrazione del valore femminista da parte di istituzioni (media, industria..) che sono espressione del pensiero dominante. Si tratta quindi di un concetto che deve essere preso con le pinze. Molti sostengono che ci sono differenze sostanziali tra la terza e la quarta ondata, molti invece ritengono che sia solo una prosecuzione della terza. C’è la 12 GENDER STUDIES I PARZIALE 16 NOVEMBRE II PARZIALE 16 DICEMBRE PATRIARCATO E DOMINIO MASCHILE Sylvia Walby sociologa britannica, a lei dobbiamo una delle teorizzazioni del patriarcato più riconosciute a livello internazionale Pierre Bourdieu sociologo francese, pubblicò un libro intitolato “Il dominio maschile” Patriarcato usato nella letteratura sociologica e femminista per descrivere e spiegare le disuguaglianze di genere. In origine è stato utilizzato per indicare la dominazione del padre all’interno della famiglia, sia per le disuguaglianze di genere, della figura paterna nei confronti delle donne di casa, che di tipo generazionale, del padre rispetto ai figli. Concetto prettamente utilizzato nell’ambito familiare. Oggi può essere considerato come un insieme di pratiche e strutture che istituiscono, riproducono e legittimano la dominazione del genere maschile sul mondo e, in particolare, sulle donne e le sessualità etero divergenti. L’analisi del concetto di patriarcato proposta dalla Walby parte dalle critiche che emergono nel momento in cui usiamo il concetto nella vita quotidiana. La prima critica riguarda astroricità e universalismo= fa riferimento al fatto che il concetto di patriarcato non sia scientifico e se non spiegato bene è ricondotto al biologico e al naturale. La seconda critica rimanda ad una critica di determinismo strutturale= presentato come un qualcosa che esiste al di là del rapporto tra società ed essere umano. La terza critica riguarda l’omogeneizzazione= il concetto di patriarcato non ha senso perché va a rendere omogenee situazioni differenti familiari, parlare di qualcosa di generale porta alla conduzione di prospettive diverse. Partendo da queste critiche viene elaborata una teoria sul patriarcato, invitandoci a pensarlo come un qualcosa composto da 6 strutture. - Modo di produzione si realizza su un piano economico. Il lavoro delle donne è appropriato dagli uomini attraverso le relazioni, sia matrimoniali che generali, il quale garantisce, al massimo, alla donna un reddito di sussistenza. Questa prospettiva, di stampo marxista, la condizione di sfruttamento - Relazioni nel mercato del lavoro struttura che rimanda alla segregazione o esclusione delle donne nel mercato del lavoro; seconda struttura sul piano economico. Il trattamento della donna così va a toccare un piano che si protrae oltre la sfera economica - Stato  esclusione delle donne dalle istituzioni, dalle risorse e dai poteri statali. Può avvenire in maniera diretta o indiretta; esclusione die temi femminili dall’agenda delle istituzioni statali. Lo stato rappresenta in sé una struttura del patriarcato. - Violenza maschile  un’altra delle strutture del patriarcato. Da pensare come la possibilità della violenza maschile, non si tratta solo della violenza agita, ma la potenzialità della violenza stessa. Forma sociale regolare con conseguenze profonde a causa delle aspettative. Le donne modificando la condotta dei loro comportamenti per evitare la violenza vanno a creare la struttura. - Sessualità struttura del patriarcato in quanto va a regolare la sessualità femminile tramite una logica di doppio standard, ovvero una diseguale distribuzione di potere sulle stesse pratiche sessuali (stesso numero sessuale porta ad una visione e a un giudizio differente di uomini e donne). - Cultura si riferisce a una serie di discorsi riprodotti e diffusi, che vanno a creare una certa idea del femminile e una certa idea del maschile, producendo effetti negativi su una e sull’altra 1 Pensare al patriarcato come un insieme di strutture ci permette di spiegare perché il patriarcato è universale, che al contempo cambia nel tempo e nello spazio, di società in società, di gruppo sociale in gruppo sociale; e perché il concetto di patriarcato sopravvive nel tempo, in quanto in alcuni periodi alcune strutture sono più rilevanti di altre e perché la scomparsa o la diminuzione di una di queste strutture non implica lo smantellamento del sistema. Bisogna pensare al patriarcato come una struttura cumulativa, un sistema a tre livelli dove si ha il sistema patriarcale che è sorretto da strutture patriarcali che a loro volta sono sorretti da pratiche patriarcali, ovvero riproduzione ma anche trasformazione. Il patriarcato è quindi un prodotto cumulativo. Da dove si origina il patriarcato? Non esiste una risposta biunivoca. Per Walby è il capitalismo a generare il patriarcato - All’interno della letteratura femminista esistono una miriade di differenti approcci all’analisi del patriarcato - Differiscono soprattutto sull’origine e le strutture primarie su cui esso si basa (e quindi sulle strategie per smantellarlo) Violenza simbolica: cosa non è? Non si tratta né di violenza fisica né di violenza psicologica. Nella visione di Bourdieu abbiamo forme di violenza: - Primaria, forme di rapporti di dominazione (pugno come interazione diretta tra uomo e donna, stessa cosa per quella psicologica). - Simbolica, che prescinde dall’interazione diretta. Egli sostiene che le tre forme di violenza si alimentino a vicenda e che forme di dominazione elementare e complementare coesistano spesso. La violenza agisce con simboli di significato, indiretta, che diventa sempre più pervasiva man mano che la società condanna delle forme di violenza diretta, perché è oil modo più sicuro di controllare il dominio. In Bourdieu la violenza maschile è ideologica, dolce, si distingue per essere esercitata tramite canali simbolici di comunicazione, con la complicità di chi la subisce, in quanto è agita e subita in modo né chiaramente conscio né inconscio. Si tratta di qualcosa che va oltre le nostre categorie di coscienza o incoscienza, è qualcosa di cui non ci rendiamo conto perché l’ordine naturale è quello. Si verifica quando sistemi di simboli e significati sono imposti a persone in modo che siano vissuti come legami, abitudini sociali quotidiane che diamo per scontato, così la graduale accettazione e internalizzazione di idee diventa neutralità e naturalità della vita quotidiana. La violenza simbolica si realizza attraverso vari meccanismi: - Misconoscimento un processo che fa sì che forme di dominazione che dovrebbero essere viste come problematiche vengano in realtà camuffate, mascherate da relazioni incatenate, che le rende così legittime, naturali e conoscitiva agli occhi del dominato. Viene descritto da Bourdieu tramite la metafora del learned helpness, ovvero la capacità incompresa. Il misconoscimento porta ad acquisire un determinato habitus, un determinato modo di essere di porsi nel mondo, che appare legato a strutture naturali, ma che è frutto esclusivamente di un processo di socializzazione. - Denegazione un processo che consiste in quelle pratiche sociali in cui gruppo o soggetto, dominante, minimizza temporaneamente e simbolicamente le disparità di potere tra loro e i soggetti dominati. Si tratta di una forma di manipolazione che si realizza attraverso la prossimità relazionale, si va a ridurre tutto quello che fa apparire il dominato e il dominante distanti tra loro. Ciò consente alla persona denominata di beneficiare di un duplice canale relazionale. Crea una finta intimità col dominato, ma allo stesso tempo rinforza la gerarchia in quanto rimane sempre al vertice. (es. marito che pulisce casa ogni 5 anni, ma si presenta come un buon casalingo). Bourdieu descrive il caso di un sindaco di una provincia francese che, durante un discorso ai cittadini, parla in dialetto piuttosto che 2 rispecchia l’aspettativa del pubblico). All’interno di una società etero normata è molto più semplice definirsi etero sessuati, ma ciò non significa che la performance della persona non binaria non esista, ma semplicemente è più difficile essere riconosciuta, avendo come effetto la stigmatizzazione. Per rendere la performance più autentica possiamo utilizzare delle tecniche di performance: - Setting - Tecniche di rappresentazione - Fronte personale (appearance + manners) = tutto ciò che posso fare al mio corpo (appearance, apparenza) e tutto ciò che posso fare col mio corpo (manners, maniera). Per apparire convincenti plasmiamo l’apparenza e come ci muoviamo nelle nostre performance. GARFINKEL ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo del pensiero queer. Nel 1967 pubblicò un saggio di una ricerca sulle persone intersex, le quali avevano apparato sessuale maschile e femminile allo stesso tempo. Nell’ambito di questa ricerca conosce Agnes Torres, la quale si presenta come intersex, per poi scoprire che si tratta di una donna trans che si presenta come donna. Arriva a capire che il genere è come apprendimento ed esecuzione di comportamenti giudicati appropriati dal pubblico; inizia a pensare che non ci fosse nulla di biologico, ma semplicemente una performance. Conclude quindi come la naturalezza dei comportamenti femminili non derivi dalla base biologica naturale, ma dalla ripetizione dei comportamenti il genere appare naturale, non è naturale. In un suo scritto dice “Agnes’ appearance was convincingly female”. Esso viene colpito e resta basito dal fatto che non riuscì a capire che davanti a sé avesse una donna trans, che non si basava sulla biologia del soggetto, ma sulla sua performance. L’origine dell’ordine sociale non è esterna all’individuo, la costruzione sociale sta nella ripetizione continua di pratiche quotidiane, le stesse attraverso cui rispondiamo alle aspettative del pubblico, che possono diventare le stesse che ci permettono di sovvertire alla realtà. Il genere si crea nelle pratiche attraverso cui le persone cercano di dare prova di essere uomini o donne, in quanto richiesto dalla società. CRITICHE AL MODELLO DEI DUE SESSI Il modello dei due sessi consiste nell’idea che oggettivamente esistano due sessi, maschile e femminile, legati a differenze biologiche. Dall’antica Grecia al XVIII secolo prevaleva il cosiddetto one-sex model, dove si riteneva che le donne fossero meno di un soggetto maschile sviluppato, designato come un corpo maschile che si sviluppava verso l’interno. Ciò non era legato ad una mancanza di competenze scientifiche, si trattava di un’idea sociale associata a una spiegazione biologica. Nel XIX secolo iniziamo a nominare il corpo femminile attraverso concetti a doc. Laqueur spiega come il one-sex model non reggesse più durante l’illuminismo (XVII secolo) per distinguere le differenze biologiche perché tutti vengono considerati uguali dotati di una cittadinanza. Era necessario quindi un altro modo per giustificare le disuguaglianze, per questo viene creata la donna come essere differente da quello maschile. Le disuguaglianze iniziano ad essere “naturalizzate”, quindi spiegate sulla base di fattori sociali. DECOSTRUIRE IL SESSO Prospettiva del decostruzionismo sostiene l’idea che il corpo non esista al di fuori dell’esperienza che se ne ha, dei significati che ad esso sono attribuiti in un dato contesto sociale. TEORIA QUEER – JUDITH BUTLER Idea che il genere non deriva dal sesso in quanto esso non esiste, se esso non esiste viene a meno la base attraverso cui si crea una società ideata sulla base binaria. L’idea sostenuta da questa prospettiva è che la possibilità della logica binaria possa essere sostituita da differenze multiple, dalla possibilità di trasformazione continua in quanto dietro non c’è nulla. 5 Se il sesso non esiste, su cosa si basano le nostre differenze? Dietro c’è solo il genere – il solo è una potentissima costruzione sociale; le nostre differenze sono solo un discorso. Ma perché questa costruzione sociale esiste ancora? A cosa serve? Ciò serve a preservare l’eterosessualità come forma naturale e superiore della sessualità, mi permette di dire che l’eterosessualità è una situazione normale eteronormatività. Non possiamo capire il genere senza tener conto dell’eterosessualità. La teoria queer va a ribaltare il rapporto tra la sessualità e di genere (normalizzare nel mondo della sociologia è un’accezione negativa). L’eteronormatività mi permette di naturalizzare il desiderio eterosessuale così da: - Stigmatizzare e regolare le forme di desiderio non-etero (che possono esistere solo come deviazione della norma) – escludere forme sessuali “non produttive” - Controllare la sessualità (se deriva dal genere che deriva dal sesso è per forza stabile) – stabilizzare le relazioni affettive - Rafforzare (ancora di più) le differenze binarie – le posizioni di “donne” e “uomini” sono costruite come mutualmente esclusive. IL FEMMINISMO OCCIDENTALE Storia delle ondate femministe sviluppatesi nel contesto occidentale, si tratta di qualcosa di parziale. La storia del femminismo nel contesto occidentale è organizzata e raccontata come il susseguirsi di una serie di ondate concetto utilizzato per categorizzare queste fasi, rende l’idea di un movimento che nel momento stesso in cui fa dei passi avanti conosce anche dei momenti di ritorno indietro. Questo concetto evidenzia come nella storia del femminismo si siano alternate fasi di lotta per diritti e susseguiti periodi di immobilità e conseguenti passi indietro, che prendono il nome di backlash. È un concetto che va usato a scopo euristico per semplificare una realtà troppo complessa; va inoltre preso con le pinze in quanto nasca da una focalizzazione sulle forme di lotta più visibili sullo spazio pubblico. Il concetto di ondata si riferisce a forme di mobilitazione che coinvolgono un numero importante di persone e perché il concetto di femminismo non era ancora stato inventato PRIMA DELLE ONDATE: PROTOFEMMINISMO Usato per descrivere le forme di femminismo che si svilupparono prima dell’avvento dei movimenti femministi del XIX e XX secolo e quindi prima che il concetto stesso di femminismo si sviluppasse e circolasse. Cristine de Pizan a partire dalla propria esperienza, scrisse un libro dove spiegò le difficoltà dell’essere donna all’interno di un contesto maschile. Mary Wollstonecraft scrisse un libro in contrapposizione a Le Mille di Rousseau, scrisse la dichiarazione dei diritti delle donne LA PRIMA ONDATA Fa riferimento ai movimenti delle donne inglesi ed americane per il diritto di voto. Si tratta di un movimento che si evolve tra il 1848 e il 1920, dove fu emanato nella costituzione americana il diritto di voto riferito alle donne bianche. 1848 4 donne bianche americane impegnate a promuovere i diritti nei confronti della popolazione nera e la necessità di abolire lo schiavismo. Si recarono a Londra in una convention che promuoveva l’idea dell’abolizione dello schiavismo, ma si trovarono a non poter partecipare alla convention nonostante le loro ideologie. Si trovarono quindi a discutere sul cittadino delle cittadine americane donne e il loro accesso alla sfera pubblica. Elaborarono la “Dichiarazione dei sentimenti” ovvero ripresero la dichiarazione di indipendenza americana, e la parafrasano trasformandola in un vero e proprio testo femminista, mettendo come soggetti principali donne e 6 uomini invece che re e colonie. Ci sono anche riferimenti espliciti alla religione (usati sia per elevare la figura della donna sia per evidenziare la marcata differenza tra uomo e donna) Sempre nel 1848 viene organizzata la Seneca Fall Convention circa 300 tra donne e uomini si riuniscono a Seneca Falls a NY per sostenere la causa dell’uguaglianza tra uomini e donne, dove riuscirono ad ottenere anche la firma di circa una ventina di uomini. Altre due piccole convention vennero tenute in altri Stati americani, ed è proprio da qui che prese piede il movimento femminista americano. MOVIMENTO ABOLIZIONISTA Se ben la prima ondata fu un movimento composto da donne ambienti, quindi bianche e di classe media, molte delle sue proponenti erano anche attive nel movimento abolizionista, ciò quindi permise a donne afroamericane di trovare spazio all’interno dello stesso movimento, anche se in maniera limitante. Una figura di grande importanza fu Sojourner Truth nacque schiave ed iniziò a partecipare col movimento femminista e nel 1851 pronunciò un discorso conosciuto come “Ain’t I a woman?”, che marca il significato del movimento femminista nero e allo stesso tempo una critica sia al movimento femminista ed alla sua bianchezza, che non riusciva a riconoscere le donne nere in quanto donne, che a coloro che non erano in grado di eliminare le differenze tra uomini e donne. PRIMA ONDATA: EFFETTI Le battaglie della prima ondata si sono concentrate sulla presenza delle donne sullo spazio pubblico, dove c’era prevalentemente una richiesta, ovvero la partecipazione delle donne nel mondo politico tramite il diritto di voto. Con questa prima andata si pensava che bastasse consentire alle donne le possibilità di accesso, richiedendo di partecipare alle varie istituzioni, senza andarle a criticare. Gli effetti più evidenti si hanno sul diritto di voto: 1920 con la IX dichiarazione americana venne emanato il diritto di voto alle donne in gran parte di Paesi. Dopo il voto venne introdotto il termine “femminismo” nel linguaggio comune dopo essere stato rivendicato, nato inizialmente come insulto verso le suffragette. Successivamente a questa prima ondata femminista si assiste ad una frammentazione del movimento su più questioni: - Si inizia a parlare di diritti produttivi e aborto legale - Espansione delle opportunità educative - Miglioramento delle condizioni lavorative delle donne - Negli stati Uniti si parla anche di movimento anti-linciaggio (nel momento in cui nascono leggi antischiaviste prende piede questo movimento, sempre nei confronti della popolazione nera) BASKLASH DELLA PRIMA ONDATA  Dopo aver ottenuto il diritto al voto il movimento incominciò a perdere influenza e consistenza numerica, in quanto le donne ebbero la possibilità di partecipare alla vita politica e l’idea che la battaglia non fosse più necessaria  Molte donne si dimostrarono indifferenti all’ottenimento del diritto di voto, in quanto la volontà di partecipare alla scena pubblica non sempre corrispondeva a desiderio  Stigmatizzazione delle donne che votano e partecipano alla vita pubblica in movimenti politici  La Grande Depressione del 1929 porta all’emanazione e diffusione di leggi che andavano a ridurre la possibilità di impiego per le donne sposate, che era cresciuto durante la Prima Guerra Mondiale, riportando la donna all’interno della sfera familiare. Vennero ad esempio emanate leggi che limitavano l’orario delle donne o incentivi economici per mogli e madri per disincentivare la loro partecipazione alla vita pubblica.  In Europa iniziano a circolare le idee culturali del nazionalsocialismo e il ritorno ad un modello tradizionale di femminilità, dove la donna corrisponde all’idea di madre. 7 SNCC (= student nonviolent coordinating committee) è distese (attribuzione del documento ancora non chiara dal punto di vista storico), andando a denunciare le forme di potere che si formavano in spazi che apparentemente dovevano essere più sensibili rispetto alle condizioni di disuguaglianze di genere. Da qui iniziano una serie di riflessioni che porteranno a strutturarsi del movimento femminista radicale. Il movimento femminista radicale esprime la propria pratica politica tramite la costituzione di gruppi separatisti femministi, a cui soltanto le donne potevano partecipare, partendo dall’idea che l’uomo, anche il più ben intenzionato, all’interno di un gruppo sia comunque in grado di influenzare la capacità delle donne di percepire il loro stato di oppressione e che la comprensione piena della propria condizione subordinata all’interno della società passi necessariamente dal confronto con le proprie simili, tra donne (c’è stata un’evoluzione e la maggior parte dei gruppi femministi oggi esistenti non sono separatisti, ma inclusivi rispetto alla partecipazione maschile); questa separazione è ritenuta dalle donne femministe della seconda ondata necessaria per liberarsi della cultura maschile inculcata dalla società nelle donne stesse; tutto ciò nella pratica prende il forma nei cosiddetti gruppi di autocoscienza dove venivano raccontati episodi di esperienza personale e di vita quotidiana, per spiegare come non fossero frutto di una determinata situazione psicologia della persona e legate alla singola persona, ma si trattava di episodi ricorrenti aventi carattere sociale, incrementando l’idea di come il personale sia politico. Il femminismo radicale della seconda ondata individua il problema in una serie di istituzioni della vita quotidiana, le quali non vennero considerate all’interno della prima ondata (es. questione dell’amore romantico e relazioni sentimentali), qui invece si arriva ad elaborare l’idea che si debba partire dalla quotidianità delle esperienze raccontate per trasformare la società. Questa frangia della seconda ondata tende ad adottare una serie di pratiche politiche proprie dei movimenti sociali, quali proteste, scioperi, sit-in, forme di boicottaggio, uso di strumenti artistico-culturali (1968 boicottaggio miss America). L’attenzione si concentra principalmente temi che riguardano i canoni estetici e ipersessualizzazione delle donne; l’aborto e la contraccezione; la liberazione sessuale. IN ITALIA Nel 1944 viene formata L’Unione Donne Italiana (nel 2003 cambia nome in Unione Donne in Italia), che si descrive come femminismo istituzionale, una posizione che non rimanda a una distinzione tra femminismo liberale e radicale, che cerca di agire principalmente sulle istituzioni. In generale è una organizzazione che ha assunto progressivamente posizioni politiche più radicali tramite strumenti fortemente istituzionali. Nel 1969/1970  nasce il primo movimento femminista radicale, il Movimento di liberazione della donna, nato all’interno del partito radicale, che aveva come obiettivi principali la legalizzazione dell’aborto e la creazione di asili-nido. Emma Bonino aveva un ruolo fondamentale all’interno del movimento Nel 1970 si ha una rivolta femminile e nasce il vero primo gruppo separatista italiano, dal nome “Sputiamo su Hegel” e fortemente influenzata dalla posizione di Simone de Beauvoir. SECONDA ONDATA Si sviluppa l’idea che il personale è politico e che il dominio maschile si eserciti attraverso istituzioni personali quotidiane, come il matrimonio, la maternità e le pratiche sessuali, e che non si tratti più di una questione di leggi (la questione non poteva quindi restare solamente nelle leggi, ma in quelle istituzioni considerate intermedie tra la legge e la vita quotidiana). Le richieste si concentrarono principalmente su retribuzioni, aborto, educazione, asili e servizi di conciliazione. In questa seconda ondata possiamo notare un doppio focus: - Donne come gruppo sociale oppresso 10 - Corpo femminile come primo luogo/ strumento di questa oppressione, identità femminile legata ancora a qualcosa di oggettivo, ovvero alla capacità di generare vita (strettamente collegato alla riflessione di Simone de Beauvoir) Il femminismo della seconda ondata inizia a produrre concettualizzazioni teoriche (il femminismo della prima ondata non lo fa o lo fa in modo non del tutto esplicito), per opporsi a quella visione del mondo basata sul principio maschile che era stata prodotto attraverso le teorie elaborate dagli uomini. LIMITI SECONDA ONDATA I principali limiti rimandano alle caratteristiche sostanziali di coloro che parteciparono o che ebbero maggiore spazio all’interno del dibattito della seconda ondata; si trattava nuovamente di un gruppo particolarmente ristretto che comprendeva donne bianche eterosessuali di classe medio/alta. Ciò non significa che all’interno del femminismo della seconda ondata non partecipassero anche soggettività che non si riconoscevano in questa identità che emergeva come principale, ma è vero indubbiamente molte soggettività non riuscirono però a trovare spazio e visibilità all’interno del movimento femminista. Le critiche principali arrivarono proprio sulla questione della classe, della razza e dell’eterosessualità. Prima critica fondamentale si concentra sulla questione di classe. Sul piano della classe sociale la maggior parte delle critiche si sviluppa all’interno dell’ambito britannico, dove si era sviluppata una consolidata tradizione femminista marxista/socialista, che nasceva col tentativo di coniugare l’obiettivo della lotta di classe con quello della lotta contro il patriarcato. Nel contesto americano invece la critica alla seconda ondata sul piano della classe fu portato avanti principalmente dal femminismo nero. La seconda critica è relativa all’eccessiva eterosessualità espressa dal femminismo della seconda ondata che si sviluppa a partire dall’esperienza delle femministe lesbiche, che instaurarono un rapporto iper complesso con la seconda ondata; le femministe lesbiche aderirono alla frangia radicale fin dall’inizio e la patologizzazione di questa categoria venne interpretata come una minaccia alla libertà di tutte le donne perché il rendere la categoria lesbica una patologia serve a controllare non solo le donne lesbiche, ma tutte le donne. Venne denunciato dalle femministe lesbiche come la stigmatizzazione nei loro confronti serviva prima di tutto per controllare le donne eterosessuali. I conflitti interni tra i due gruppi emersero rapidamente. La terza critica riguarda la razza. Tra tutte le critiche interne alla seconda ondata, quella che proviene dal femminismo nero è quella che più ha impattato il movimento femminista della terza ondata; fu un femminismo in grado di creare alleanze. Nasce come una corrente interna al femminismo radicale che mira a far emergere la doppia oppressione, double jeopardy, delle donne di colore da parte del razzismo, del patriarcato e del capitale. Il principale contributo del femminismo nero al dibattito rimanda al concetto di intersezionalità rimanda all’idea che la nostra identità non abbia caratteristiche monolitiche, ma che si formi dall’intersezione di una serie di diverse identità, ciascuna delle quali può potenzialmente essere un sistema di oppressione. Le origini del black feminism sono però antecedenti alla seconda ondata, esiste un proto-femminismo nero che rimanda a ciò che le donne nere fecero durante il periodo dello schiavismo. TERZA ONDATA Fa riferimento alla fase del femminismo che trae avvio all’inizio degli anni ’90. Nasce dall’ascolto delle critiche della seconda ondata, ovvero che si trattasse di un femminismo troppo omogeneo che aveva gettato su tante categorie di donne la visione del mondo delle donne bianche eterosessuali di classe media (es. la famiglia dalle donne bianche della seconda ondata viene considerata un meccanismo oppressivo, il femminismo nero mette invece in discussione questa prospettiva). Mira a pluralizzare il concetto di femminilità e di identità femminile per promuovere una maggiore rappresentatività del movimento, promuovendo una serie di coalizioni tra soggetti 11 oppressi – creazione di rapporti col movimento lgbt - e va a considerare contemporaneamente multiple forme di oppressione. Il fatto scatenante fu un processo che si tenne nell’ottobre del 1991 tra Anita Hill e Clarence Thomas. Anita Hill, sua assistente, al tempo giudice in via di conferma della Corte Suprema americana, lo denunciò per via di molestie sessuali sul luogo di lavoro, molestie che ancora oggi molti farebbero fatica a percepire come molestie, in quanto si faceva riferimento a situazioni di micro-violenze, dove venivano portate avanti avance e commenti a fondo sessuale, ovvero delle miocroviolenze che metà della popolazione ancora non è in grado di capire quanto siano gravi. Lei si trovò a fare un esposto che non venne accettato dal procuratore, ma si andò ugualmente a processo in quanto la stampa venne a sapere di ciò. Clarence Thomas non venne condannato, ma ebbe invece l’opportunità di essere confermato alla Corte Suprema. La reazione a questo processo e a ciò che successe, in particolare il fatto che Thomas venne confermato come giudice della Corte Suprema americana diede vita alla terza ondata del femminismo. Dal testo intitolato “Becoming the Third Wave” di Rebecca Walker si inizia a parlare in maniera formale di terza ondata. In sintesi, la terza ondata del femminismo cerca di essere a proprio agio con le contraddizioni, in quanto si tratta di un’ondata fortemente plurale che cerca di tenere insieme una serie di esperienze profondamente diverse che non possono essere messe sullo stesso piano. È necessario assimilare l’idea che il patriarcato possa esprimersi in maniera differente tra diverse persone ed essere altrettanto efficace. Questa caratteristica, che è anche la principale differenza con la seconda ondata, viene individuata da Leslie Heywood e Jennifer Drake all’interno della “Third Wave Agenda”. Messi in discussione quelli che fino a quel momento erano i fondamenti della teoria femminista, la terza ondata è infatti un’ondata che ingloba in sé fortemente anche l’influenza e la teoria queer del ripensare il genere. In termini di pratiche si deve immaginare un’ondata che si manifesta principalmente sul piano culturale e creativo, che va a adottare pratiche politiche tipiche dell’evoluzione attivistica nel suo complesso; cerca di promuovere una diversa idea di cultura andando a produrre una cultura diversa (esempio di Guerrilla Girls e The vagina monologue= opera teatrale del 1995 che viene presentata a Broadway per la prima volta e si basa sull’intervista a 200 donne su sesso, relazioni e violenza sessuale. Ogni rappresentazione si compone di un numero variabile di monologhi, ciascuno dei quali prende in considerazione un aspetto dell’esperienza femminile raccontata a partire dall’intervista di base su cui si fonda. L’idea è quella di ridare voce alla versione femminile sui temi del sesso, della prostituzione, dell’immagine del corpo, dell’amore, del ciclo mestruale, della violenza. Bisogna immaginare come queste interviste coinvolgano maggiormente casalinghe, donne violentate durante i conflitti nell’est Europa; quindi, luoghi ed esperienze diverse tra di loro che nel complesso rendono l’idea di pluralità e quindi di tenere insieme realtà ed esperienze totalmente differenti tra di loro). QUARTA ONDATA Si tratta di un’ondata che si sviluppa a partire dal 2012 (per via di una mobilitazione sui diritti delle donne che tornano ad essere al centro del dibattito), ma con maggiore evidenza poi dal 2017. Manca ancora un’analisi sistematica del fenomeno in quanto è molto complesso in cui si affiancano diversi movimenti e una cooptazione del pensiero femminista da parte di una serie di realtà dominanti (es. maglietta di H&M con frasi femministe quando nella pratica non è femminista); fase difficile da valutare in quanto non è semplice capire quanto sia reale questa quarta ondata e quanto invece ci sia un’estrazione del valore femminista da parte di istituzioni (media, industria..) che sono espressione del pensiero dominante. Si tratta quindi di un concetto che deve essere preso con le pinze. Molti sostengono che ci sono differenze sostanziali tra la terza e la quarta ondata, molti invece ritengono che sia solo una prosecuzione della terza. C’è la 12 che questa possibilità di scelta è propria a chiunque in quanto ciascuno di noi è costretto ad essere libero e si domanda sul perché gli uomini scelgono la via della trascendenza, mentre molte donne la via dell’immanenza, scegliendo una via di passività e di oggettivazione. La risposta prevalente dell’epoca era quella per cui c’era qualcosa di innato che rendeva le donne naturalmente passive e più propensa all’immanenza. Tutta l’opera nasce per dimostrare che l’immanenza femminile è frutto di un processo di costruzione sociale dell’identità donna che si basa prepotentemente sul modello di passività. Nella costruzione del pensiero occidentale l’uomo venga costantemente presentato come la norma, il soggetto universale, e che questa costruzione dell’uomo come soggetto universale trasformi tutto quello che non è uomo in ALTRO. “L’uomo è definito come un essere umano e la donna come una femmina – ogni volta che si comporta come un essere umano viene definito come qualcuno che imita l’uomo”. IL FEMMINILE COME IL SECONDO SESSO Non è tanto il riconoscimento della differenza tra uomo e donna, pur non negando che esista (corpo); il problema risiede nella costruzione della disuguaglianza sulla differenza. Le definizioni socialmente costruite di maschile e femminile hanno costruito un ordine gerarchico non riversibile dei sessi; anche se i due sessi sono necessari l’uno all’altro, questa necessità non è mai stata concettualizzata nei termini di una condizione di reciprocità tra loro. Se costruiamo il maschile come concetto universale, non è necessario una condizione di reciprocità col concetto femminile. Le donne non solo vengono costruite come qualcosa di diverso, ma non vengono mai poste allo stesso livello in questo contratto sociale; il problema sta che nella maggior parte dei casi i vari binomi (giorno e notte) vengano considerati come complementari, ma ciò non si verifica quando si creano delle disuguaglianze. Secondo Simone de Beauvoir quello che rende peculiare la creazione dell’altro femminile è IL SECONDO SESSO Nel momento in cui la donna viene trasformata in altro e interiorizzata viene condannata e costretta alla condizione di immanenza, quindi trasformata in oggetto rispetto all’altro maschile. Simone de Beauvoir si chiede come la donna si sia trovata concepita e si concepita come altro rispetto al maschile femminile analizza da un lato il corpo e i processi sociali che agiscono sul corpo – la donna a partire dal corpo viene trasformata in oggetto; dall’altro lato esistono poi una serie di miti che sostengono questo processo e che confluiscono in quello che de Beauvoir considera come “eterno femminino” CORPO E CULTURA Il secondo sesso parla dalla biologia e dal corpo, ma guarda alle cause storiche e sociali per cui la biologia femminile è stata interpretata. Per lei la donna è la sua capacità biologica di riprodurre e dare vita. Pensiero che può apparire contradditorio, lei guarda alla costruzione sociale della biologia. “Donne non si nasce, ma di diventa” Il corpo femminile non è di per sé un limite e qualcosa che definisce ciò che le donne possono o meno fare, il problema è che viene definito socialmente come qualcosa che limita la sua soggettività e la circoscrive nei limiti della sua natura. Per l’autrice il corpo non è qualcosa che determina la passività, ma la costruzione sociale del corpo stesso che fa nascere questa visione. Secondo SdB le origini della disuguaglianza tra uomini e donne sono, da un lato radicate nel corpo e nella biologia, ma il risultato di processi economici sociale e storici che agiscono su quella biologia. Si trova costantemente una tensione tra il corpo la donna è la sua biologia, la sua capacità di riprodursi - e la cultura la donna è socialmente fatta, non nata. La donna è ciò che la società costruisce come tale a partire da quel dato biologico. Tutto quello che è maschile, sull’idea della biologia, viene costruito come qualcosa di attivo e come soggetto, al contrario della donna che rimane ancorata all’idea di oggetto (es. la procreazione – donna uovo passivo; uomo sperma attivo). 15 Nel momento in cui il corpo della donna viene significato come altro diseguale, il femminile diventa metafora di passività, debolezza, dipendenza, e quindi di immanenza incapacità di dare senso autonomamente alla propria esistenza. Successivi processi di “rinforzo” vanno a confermare alle donne la loro dipendenza, la loro mancanza di autonomia e il loro essere oggetto. Per SdB il corpo della donna non è sufficiente per giustificare l’inferiorità femminile, che si crea solamente considerando come la società ha definito il concetto di “femminile”. ETERNO FEMMININO La costruzione della condizione di immanenza delle donne non avviene solo attraverso la costruzione sociale del suo corpo, ma anche attraverso una serie di rappresentazioni culturali che alimentano una femminilità idealizzata, non autentica e immutabile. Tutte queste rappresentazioni culturali formano il mito dell’eterno femminino (essenza della femminilità) si tratta di un concetto difficile da comprendete in quanto descritto in modo molto vago, si tratta di un mito che assume molte forme contradditorie tra di loro (santità della madre, purezza della vergine, femme fatale…), è ciò che risulta mettendo insieme tutte le rappresentazioni stereotipate del concetto femminile. Questo mito estremamente contradditorio nega l’individualità e intrappola le donne in un modello immutabile. Il secondo problema di questo mito è che va a definire uno standard di per sé irrealizzabile in quanto contraddittorio. Infine, il mito è problematico perché richiede alle donne di inseguire un ideale che viene definito dagli altri, contribuendo alla creazione della donna come oggetto, impedendo alla donna stessa di decidere cosa è e condannando il proprio destino, in quanto definita in partenza come oggetto. Se non si risponde all’ideale di eterno femminino non si è considerate abbastanza donne e non sufficientemente femminili (forma di violenza simbolica). Il secondo sesso, nel secondo volume, analizza la condizione femminile in una serie di fasi o eventi biografici per mostrare come, progressivamente, la donna sia ricondotta alla condizione di oggetto, fatto tramite l’analisi di pubertà o matrimonio. L’opera più riconosciuta in termini di critiche di SdB è la maternità rappresenta il processo di trasformazione della donna in oggetto più rilevante e rientra nel mito dell’eterno femminino. Nel periodo in cui lei scrisse “il Secondo sesso”, le donne non avevano la possibilità di scegliere se diventare madri o meno. Le pressioni sociali, sia in modo diretto che indiretto, erano molto forti per coloro che non avevano figli e una forte condanna sociale e criminalizzazione dell’aborto. Si era donne soltanto se si è madri, indubbiamente vero sia nel 1949 che oggi; il pieno compimento della donna si realizza solo nel momento in cui si diventa madre. Le donne all’epoca sono costrette a capitolare. L’analisi di SdB parte dalla sua riflessione critica, dove denuncia il modo di costruire la maternità, che imponendo alle donne di scegliere di essere solamente madri impedisce loro la via della trascendenza, trasformandole in oggetto. LA MATERNITA’ intrappola la donna nella sua biologia, riportandola alo stato di solo e puro corpo passivo. La donna, diventando incinta, fa sì che il proprio corpo diventi proprietà sociale all’interno di un sistema patriarcale; quindi, di chi si trova al vertice di questo sistema. Secondo l’autrice nella maternità la donna è alienata nel suo stesso corpo, e si arrende alla “gratuita crescita cellulare su cui non ha controllo”. Questa assenza di controllo, che caratterizza lo stato di maternità, contribuisce a rendere la donna oggetto, passiva e immanente. “Una nuova esistenza giustificherà la presenza della donna”. FEMMINISMO LIBERALE E FEMMINISMO RADICALE FEMMINISMO LIBERALE 16 Betty Friedan nel 1963 pubblica “The feminime mystique – La mistica della femminilità”. Si tratta di un questionario svolto dall’autrice e inviato alle sue ex compagne, chiedendo come la loro vista stesse andando, per capire se avessero raggiunto il mito americano (sposarsi, trovare un lavoro e creare una famiglia). Nelle risposte che emersero viene fuori come la realtà quotidiana fosse descritta come qualcosa di oppressivo, in cui non si sentivano realizzate; molte di loro assumevano addirittura psicofarmaci. Nel momento in cui presentavano questo disagio on erano in grado di dare un nome al malessere in quanto vedevano il mondo con gli occhi dei subordinanti, facendo emergere “il problema che non ha nome”, descritto come un senso di disagio e frustrazione che descrivevano la loro vita, che erano apparentemente confortevoli e agiate. Nella mistica della femminilità Betty sostiene che questo problema è proprio la mistica della femminilità, inteso come gli effetti normativi e disciplinanti della cultura, un sistema culturale che aveva permesso alle figlie di rifiutare ciò che le madri avevano rifiutato. - Alla fine degli anni ’50, l’età del matrimonio era scesa di 4 anni rispetto al 1920 - La percentuale di donne iscritte al college era passata dal 47% del 1920 al 35% del 1958 - Il 60% delle studentesse lasciava il college per sposarsi prima di diventare “non desiderabile” nel mercato matrimoniale Per spiegare questa discrepanza tra possibilità e il fatto che le donne non coglievano queste accresciute possibilità, che ad esempio erano garantite sul piano legale, viene elaborato il concetto della mistica della femminilità, che può essere inteso come una vera e propria ideologia che nel corso degli anni ’50, grazie principalmente all’azione dei mass media, aveva esaltato le peculiari virtù femminili – la casalinga americana che svolgeva correttamente i suoi doveri domestici veniva presentata dai media americana come l’invidia delle donne di tutto il mondo (ricordare il periodo storico – secondo dopoguerra e inizio Guerra Fredda). GUERRA FREDDA E RUOLO FEMMINILE La creazione della casalinga americana come modello da invidiare era funzionale anche all’interno dui uno scontro ideologico che si verificava all’interno della Guerra Fredda, tra Usa e URSS, totalmente contrapposto al modello del secondo, che aveva una visione della donna molto più parificata (mandarono una donna nello spazio). Si tratta di un periodo che durò per molti anni, e la sfida che veniva posta dal messaggio dell’URSS per gli Stati Uniti era ancora più potente. IL PROBLEMA CHE NON HA NOME Si trattava di un problema che a livello mediatico era già stato riconosciuto nel momento in cui lei pubblicò il libro, ma si pensava che il problema della donna risiedesse nel fatto che era troppo scolarizzata ed allontanata dal suo obiettivo principale, tant’è che vennero istituiti dei corsi di recupero del “ruolo femminile”. LA MISTICA DELLA FEMMINILITA’ quando esce ha un impatto fondamentale, provoca una reazione che porta molte donne a scrivere direttamente all’autrice in cui molte donne ammettevano di essersi ritrovate nella descrizione del libro e di poter finalmente dare un nome al loro problema. Il successo della Friedan risiede principalmente nel linguaggio, ma anche nel fatto che essa scriveva a proposito della propria personale esperienza quotidiana della donna. Tuttavia, il suo pensiero è anche nettamente meno radicale rispetto a SdB e molto più accettabile nelle richieste. Oltre a ciò, “La mistica della femminilità” è più accettata rispetto al “Secondo sesso”, in quanto non vengono mai individuate le origini in chiare strutture oppressive del potere. FEMMINISMO LIBERALE Betty Friedan, esponente del femminismo liberale, trova una soluzione molto poco radicale. Per lei il problema delle donne nella società occidentale sta nella mancanza di emancipazione all’interno delle strutture sociali esistenti contraddizione nel suo pensiero; donne che hanno la possibilità di studiare non lo fanno, al tempo stesso richiesto più spazio all’interno di queste strutture. 17 Altra istituzione che ha un ruolo fondamentale nel sostenere la famiglia nucleare come struttura oppressiva è la creazione dell’infanzia. L’infanzia non è una fase naturale, è stata creata dalla società come fase specifica del corso di vita e di pari passo con lo sviluppo del pensiero pedagogico si pensa che si tratti di una fase in cui i bambini abbiamo un determinato bisogno di attenzioni, trasformandoli in soggetti che richiedono una costante attenzione pura, che all’interno di società patriarcali e dove non esiste un Welfare interamente sviluppato gravi sulle donne, vincolandole alla loro condizione di immanenza. La costruzione dell’infante come soggetto incapace di volere ed intendere sostiene il patriarcato e vincola la madre al compito di cura. Da un lato l’attenzione dei genitori, e in particolare della madre, nei confronti dei figli si estende in un periodo lunghissimo (dipende molto anche dalla condizione sociale in qui ci si trova). Dall’altro lato c’è anche una continua anticipazione di queste attenzioni e del bambino come essere speciale (attenzioni già da quando il bambino è nel pancione). LA DIALETTICA DEL SESSO La soluzione al problema, per la Firestone, sta nella rivoluzione, che implica soluzioni radicali, e che quindi in senso etimologico va alle radici, implicando l’eliminazione della differenza biologica nella rivoluzione. A partire da questa idea dell’eliminare la differenza biologica che viene elaborata un’utopia femminista, in cui l’eliminazione della differenza biologica, passa necessariamente tramite l’uso di nuove tecnologie e la diffusione dei compiti di crescita e educazione nella società. L’obiettivo finale deve essere quindi l’eliminazione del privilegio maschile e della stessa distinzione dei sessi. Essa ritiene che contraccezione e la creazione di asili siano “aiuti timidi”, in quanto si limitano ad aiutare le donne, senza però porsi il problema del perché siano le donne a dover crescere i figli. Per lei la soluzione radicale deve essere cercata: - Nello sviluppo di tecnologi di riproduzione artificiale che liberano il corpo femminile dal peso della maternità, rendendole libere se diventare madri e dalla cura del figlio sia svincolata dalla loro produzione – idea - Costruzioni di households – comunità che fanno a sostituire la famiglia. Nella sua prospettiva doveva essere costituita da circa 10 persone che decidono di riunirsi per circa 7/10 anni e prendersi cura di bambini nati “naturalmente” da componenti di households, da bambini nati da chi non era interessato al prendersi cura di loro o da queste riproduzioni artificiali, per scardinare la prospettiva della famiglia nucleare monogama, dove la crescita dei figli rappresenta un impegno sociale. FEMMINISMO LIBERALE E FEMMINISMO RADICALE Si tratta di due correnti molto distanti che vanno a sintetizzare i diversi livelli di politicizzazione a cui sono legati, ai diversi milieu culturali e alla diversa classe sociale ed età delle principali autrici. Hanno però in comune l’idea che la cultura abbia una natura politica (immagini, significati, discorsi e rappresentazioni del corpo, della sessualità, della famiglia e del lavoro contribuiscono al controllo delle donne) e tendono a generalizzare la condizione femminile nel tempo, nello spazio, nelle differenze di classe e di background etnico. BLACK FEMINISM – FEMMINISMO NERO Contributo che si estende oltre la seconda ondata. Panorama molto complesso all’interno del quale troviamo diverse voci. È una parte del movimento femminista che trae origine dall’insoddisfazione per i risultati della prima ondata femminista, conclusa intorno al 1920 quando viene inserito il XIX emendamento nella costituzione americana che garantiva il voto solo alle donne bianche americane, e in parte per un’insoddisfazione delle tematiche della seconda ondata con prospettive che riguardavano solo le donne bianche di classe media. Anche il femminismo Nero si struttura in diverse fasi: - 1° fase – abolizionismo, con l’obiettivo di combattere la schiavitù 20 - 2° fase – movimento dei diritti civili, in contemporanea con la seconda ondata femminista Il Black feminism si distingue dalla più generale teorizzazione della seconda ondata in quanto il suo interesse si concentra sull’analisi dei multipli sistemi di dominazione. Il Black feminism è un processo di lotta di autoconsapevolezza che spinge donne e uomini a attualizzare una visione umanistica della realtà dalla definizione si capisce un ampliamento di focus netto rispetto a quello che si è visto fino ad ora. Questo perché il femminismo Nero cambia profondamente le pratiche femministe e le teorizzazioni di gender studies, ponendosi obiettivi più ambizioni. In questo senso nelle sue battaglie non include soltanto donne e donne nere. L’influenza del Black feminism dà origine ai filoni di studi coloniali e post-coloniali, questo perché lo sforzo del Black feminism è di pensare il mondo attraverso le categorie dei soggetti marginali. Per capire il Black feminism dobbiamo guardare alla pratica di resistenza delle donne negli Stati Uniti durante il periodo dello schiavismo. Da qui parte il percorso di donne, razza e classe di Angela Devis. DONNE, RAZZA E CLASSE Radici del femminismo nero intrecciate nella storia della diaspora africana. Lo schiavismo si fondava sulla costruzione di un soggetto senza genere, che andava a creare un’uguaglianza negativa tra schiavi e schiave funzionali allo sfruttamento lavorativo. Si trattava di un primo passaggio di de umanizzazione. Il genere ha una funzione fondamentale in quanto ci permette di riconoscerci come esseri umani. Togliere il genere è un passo verso la de umanizzazione. Le donne nere erano sfruttate come “veicoli per la riproduzione biologica”. Angela Davis spiega che è necessario tornare alle origini e vedere chi ha precorso il femminismo Nero. Harriet Jacobs nasce schiava e a 15 anni viene venduta dal padrone che la possedeva in via materna a un altro padrone che la molestava. Ha una serie di figli che ebbe dal padrone e da altri. Nel 1940 decise di scappare in quanto minacciata dal padrone che voleva vendere i suoi figli. Vive per 15 anni nella soffitta di sua nonna e scrive un libro, autobiografico, che per la prima volta presenta il racconto della vita di una schiva afroamericana nelle piantagioni. Libro di grande impatto sia per l’abolizione dello schiavismo che per narrare le condizioni delle donne nere. Pubblico a cui fu indirizzato fu quello delle donne bianche cristiane, per promuovere la causa dell’abolizionismo cercando di creare un’alleanza col femminismo delle donne bianche. Harriet Moses Tubman schiava nera che ebbe un ruolo fondamentale quando riuscì a scappare nell’Underground railroad, una strada che permetteva di scappare dagli stati in cui era ancora presente lo schiavismo e quelli dove invece era già stato abolito. Venne così nominata perché si diceva che durante il suo tragitto non perse nessuno. Femminismo Nero che si distingue dalla seconda ondata perché combattere era una questione di sopravvivenza. Milla Granson ruolo fondamentale nella costruzione della “scuola di mezzanotte”. Ebbe la possibilità di imparare a leggere e scrivere grazie alla sua padrona e durante la notte iniziò a dare lezioni ad altri schiavi e incominciò a firmare documenti falsi di liberazione per far scappare gli stessi. PRIMA FASE – ABOLIZIONISMO Ain’t I a woman?  libro che critica il classismo e il razzismo e la presunta vulnerabilità della donna. Libro che rivendica la forza delle donne perché parte dalla resistenza che le donne nere schiave hanno dovuto affrontare, rischiando la loro vita e cercando di salvarne altre. Idea di femminilità che si struttura come forza e capacità di pensare in maniera alternativa per la propria sopravvivenza (non si possono pensare la jacobs e harriet tramite caratteristiche di debolezza e vulnerabilità in quanto si trovano sempre in una posizione più privilegiata). Femminismo nero che muove una critica al modo in cui fino a quel momento si pensava alla donna e alla femminilità. SECONDA FASE – SECONDA ONDATA FEMMINISTA 21 Il Black feminism nasce ufficialmente in questa fase e il termine compare per la prima volta nel 1977 in un manifesto che lo definisce come un femminismo che lotta contro le oppressioni di razza, classe, genere e sessualità (questo perché molte femministe nere erano lesbiche). Nasce per rivendicare una voce e raccontare un’esperienza di vita diversa rispetto a quelle del femminismo della seconda ondata; visto come la forma più radicale di femminismo in quanto prende in analisi tutte le forme di oppressione esistenti. Il femminismo nero nasce alla critica del solipsismo bianco, ovvero una cecità delle femministe della seconda ondata, che porta a pensare che le donne siano tutte bianche e gli uomini neri, assumendo solo una prospettiva, quella delle donne bianche. Rivendica un’altra prospettiva sulle donne e la femminilità, ovvero il mancato riconoscimento delle donne nere, facendo sì che il femminismo diventi una critica alla femminilità più che una affermazione della femminilità. Partendo dalla stroia delle donne nere e alla loro lotta contro la schiavitù è necessario descrivere la femminilità anche attraverso vulnerabilità, resistenza e capacità di reinventarsi. Andare a ripensare all’identità della donna e alla questione della femminilità è necessario per evitare di riprodurre gli elementi tipici del sistema di oppressione; quindi, quello che il sistema patriarcale già pensava, ovvero che si trattasse di donne deboli, senza abbastanza forza. Il femminismo nero è un invito a ripensare e a cambiare il vocabolario della lotta femminista e dei gender studies. Quello che fa il femminismo nero è ripensare a una serie di concetti base del femminismo fornendo una lettura che è alternativa rispetto a quella che è stata elaborata in particolare dalla seconda ondata. Il primo concetto su cui si interroga è quello di Femminilità l’analisi parte dalla constatazione che fino a quel momento tutte le riflessioni che erano state prodotte sulle donne e sulla loro identità erano intrinsecamente prodotte da donne bianche. Ciò si notava anche da una scarsissima rappresentazione delle donne nere all’interno dei prodotti dell’epoca. La femminilità nera era prodotta attraverso 3 principali stereotipi:  Mammy= donna nera schiava che si prende cura della famiglia bianca, modo in cui negli stati del sud degli USA si pronuncia la parola mamma. Visione anche dei soldati che romanticizzano la figura della domestica nera, senza figli, che è pronta ad accudire ed accettata perché si rende disponibile alla cura della famiglia bianca, carattere scorbutico accettato in quanto funzionale alla protezione degli stessi  Jezebel= figura di una regina idolatrata ad Israele che poi diventa all’interno delle rappresentazioni della femminilità nera lo stereotipo della seduttrice, della donna che seducendo inganna. Stereotipo di seduzione e manipolazione.  Sapphire= rappresenta lo stereotipo della moglie scorbutica, aggressiva, non docile che rimette in linea marito e figli. Stereotipo che ha fatto una particolare rappresentazione ed evoluzione e prende la forma della angry black woman o dell’amica nera impertinente (amica della protagonista bianca nei film). Si tratta di stereotipi pensati all’epoca, ma presenti ancora oggi. Aggressività e scorbutica che servono per empatizzare anche a livello mediatico = donne nel mondo rap. Queste immagini hanno in comune il fatto che suggeriscono come le donne nere non possano essere delle brave madri e mogli. Mentre l’eterno femminino è un mito contradditorio, qui si va incontro a una visione molto chiara, ovvero che le donne nere non siano adatte a questi due ruoli. Femminilità bianca e femminilità Nera si costruiscono a vicenda, favorendo l’oppressione di entrambi i gruppi. Gli stereotipi della femminilità Nera spiegano alle donne bianche cosa dovrebbero o non dovrebbero essere per essere considerate vere donne, quindi essere donne curate, femminili e docili. Idea che la femminilità nera sia intrinsecamente inadatta nel ruolo di madre. (Uno degli stati che ha portato più avanti la sterilizzazione forzata delle donne fosse il North Carolina). 22 al sistema di soggettività marginali spesso si riconosce in pratiche quotidiane e pratiche di resilienza che implicano una necessità di sopravvivere. La marginalità positiva, vista come possibilità, ha anche un’implicazione sul piano delle pratiche politiche del femminismo in relazione al tema delle coalizioni. Essa implica il dare importanza a creazione di coalizioni, quindi alleanze e relazioni di solidarietà politica tra soggetti politici subalterni. Il principio di intersezionalità, quindi dell’idea che i sistemi di oppressione lavorano costituendosi tra loro, implica una maggiore consapevolezza del fatto che non basti occuparsi di un sistema di oppressione alla volta e si traduce in pratica politica, che porta alla messa in relazione di diversi gruppi subalterni, di diversi gruppi politici marginali e sociali. I muri ribaltati diventano ponti invito al Black feminism di creare alleanze e che rimanda all’idea di famiglia non fatta solo di legami di sangue. MASCULINITY STUDIES Parte dei gender studies che si sviluppa a partire dagli anni ’80 e che si preoccupa di analizzare le identità maschili e le sue trasformazioni. Perché è necessario considerare questo ramo e da dove emerge l’interesse? Da un punto di vista teorico dalla necessità di smantellare quel soggetto universale maschile che resta nel background di tutta l’analisi di women studies elaborata nella prima fase di costruzione del pensiero dei gender studies. Ci si rende conto che concentrandosi solo sull’identità femminile si rischi di rendere ancora più invisibile e non problematica l’identità maschile e l’esperienza maschile; l’interesse per i men’s studies deriva anche dalla consapevolezza che non tutti gli uomini beneficiano del sistema patriarcale allo stesso modo e che lo stesso sistema patriarcale ha delle richieste per gli uomini che possono essere altrettanto gravose quanto quelle previste per le donne: il privilegio maschile è anche una trappola e trova la sua controparte nella costante tensione e competizione che impone ad ogni uomo il dovere di affrontare la sua viralità in ogni circostanza. Specializzazione degli studi di genere che pone al centro della sua riflessione l’analisi e la questione dell’identità maschile, che cosa definisce in un dato tempo e spazio l’identità dell’uomo, i modelli sociali della maschilità e come le aspettative di ruolo variano che vengono collegate all’identità maschile e i modi in cui gli uomini negoziano la propria identità nella vita quotidiana, quindi cosa gli uomini fanno per essere riconosciuti come uomini, e le trasformazioni che hanno interessato, e continuano a interessare, l’identità maschile. Alan Petersen per lui i masculinity studies nascono per andare a smascherare la mascolinità nelle sue pretese di naturalità e immutabilità, nascono come un tentativo di andare a problematizzare quel soggetto naturale, neutrale e non problematico che è l’uomo. In generale i men’s masculinity studies si sono sviluppati attorno a quattro temi principali (ovviamente non gli unici sviluppatisi): - Divisione del lavoro , e partecipazione maschile a lavori di cura e lavori produttivi tipicamente femminili (uomini insegnanti o infermieri) e la partecipazione femminile a culture lavorative maschili (analisi di ciò che succede nel momento in cui la donna viene collocata in un ambiente di lavoro prettamente maschile, come quello di camionisti o muratori) - Dotazione del potere , che fa riferimento a relazioni tra uomini e donne e anche gli squilibri nella dotazione di potere tra diversi gruppi di uomini che si formano in base a distinzioni di classe, razza, ceto, appartenenze etnico e culturali, orientamento sessuale… quindi come il potere patriarcale viene distribuito in modi diseguali tra diverse categorie di uomini - Organizzazione della sessualità , che fa riferimento ad aspettative sociali e alle prassi dei soggetti riferiti alla vita sessuale maschile e femminile (uomini che non corrispondono al modello iper-virile costruiscono la propria identità maschile) 25 - Gestione della vita affettiva , come gli uomini gestiscono l’espressione sociale della propria intimità e dei propri stati emotivi, quali emozioni la società riconosce e accetta come espresse dagli uomini e quali effettivamente esprimono e quali invece non vengono espresse. I men’s studies nascono come riflessione dei gender studies ed hanno una radice profondamente sociologica (se i women’s studies sono stati in larga parte emersi nell’ambito filosofico, questi no). L’analisi dell’identità maschile e l’interesse per la stessa inizia a svilupparsi tra la metà degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 negli Stati Uniti. Questo perché in quella fase negli USA inizia una riflessione dal basso sull’identità maschile. Comprendere lo sviluppo dei gender studies, ancora una volta, implica la comprensione di ciò che avviene fuori dall’accademia, quindi nell’ambito dei movimenti sociali. È infatti nell’ambito di tre diversi movimenti sociali che nasce una prima problematizzazione dell’identità maschile in cui ci si inizia a chiedere che cos’è l’uomo, cos’è l’identità maschile e come essa si sta trasformando: - Movimento degli uomini mitopoietici  movimento ancora attivo che nasce alla fine degli anni ’70 e che sosteneva il fatto che l’identità maschile era in profonda crisi perché l’uomo si era allontanato troppo dalla natura; per loro la crisi dell’identità maschile si ricongiunge allo sviluppo della società industriale che aveva allontanato l’uomo dalla sua vera natura e dai suoi istinti. Questo movimento sosteneva che l’industrializzazione aveva separato la vita privata dalla sfera lavorativa, quindi allontanando l’uomo dal suo ruolo all’interno della famiglia, favorendo tramite il consumo di massa la perdita di valori tipicamente maschili. Per recuperare la loro vera identità gli uomini dovevano recuperare il proprio rapporto con la natura e la parte più selvaggia dell’identità. Si collocano a una posizione interna dell’identità maschile, senza considerare la posizione femminile, rispetto alla quale sono neutri. Questo movimento organizzava dei camping di sopravvivenza in contesti rurali e selvaggi, dove invitava gli uomini a sopravvivere per una settimana, con l’idea di ritornare all’uomo collegato strettamente alla natura e a un’identità maschile naturale che era stata corrotta dai processi di industrializzazione e dalla modernizzazione sociale. - Movimento dei pro-femministi  movimento che si collega al femminismo della seconda ondata, gruppo abbastanza ridotto di soggetti maschili, che aveva iniziato a capire come il femminismo potesse essere qualcosa di positivo anche per l’identità maschile. Per loro l’ingresso del genere femminile nel mondo del mercato del lavoro e in generale l’emancipazione femminile, potesse avere effetti positivi come occasione per riconnettersi coi propri figli, partner e lato emotivo, andando a scardinare i ruoli tradizionali di genere che erano imposti sia agli uomini che alle donne. - Movimento dei man’s rights  movimento che si colloca all’opposto del movimento dei pro-femministi e quindi in una posizione completamente antifemminista; nasce negli anni ’80 partendo dalla stessa constatazione della crisi della maschilità degli uomini mitopoietici e dalla stessa volontà degli uomini pro-femministi di liberare gli uomini dai ruoli di genere. Il problema in questo caso si identifica nel femminismo, che avrebbe prodotto un’immagine falsata degli uomini, come aggressivi, violenti e oppressori, e avrebbe enfatizzando i privilegi maschili portando le donne a una profonda trasformazione e allontanandole da quelli che erano i ruoli classici considerati prettamente femminili. Tutti questi movimenti evidenziano un problema di presunta crisi di mascolinità e portano allo sviluppo di una riflessione che trova il suo compimento in una serie di pubblicazioni, che vengono identificate nella pubblicazione del libro “Masculinities” nel 1995 pubblicato da Raewyn Connell, donna trans, che cerca di sistematizzare il dibattito cercando di far sì che il dibattito non resti solamente nell’ambito accademico. Il libro parte da analisi empiriche condotte su diversi gruppi di uomini, cercando di dimostrare l’esistenza di diverse maschilità, mettendo in discussione l’idea che 26 l’identità maschile sia un blocco monolitico, idea creata da secoli e secoli di trasformazione della maschilità in qualcosa di neutro, e che le diverse maschilità sono associate a diverse posizioni di potere all’interno di un sistema gerarchico di tipo patriarcale. MASCHILITA’ COME CONFIGURAZIONE DI PRATICHE Negli anni ’90 si era già sviluppata l’identità di genere, compresa in un’ottica costruzionista e interattivista e quindi come qualcosa che si costruisce costantemente nell’interazione sociale. A partire da questa idea la Connell elabora la sua teoria delle maschilità considerandole come una configurazione di pratiche la maschilità non è un’entità fissa, ma configurazioni di pratiche che devono essere compiute e realizzate nell’azione sociale e che quindi possono differire in relazione alle interazioni di genere che sussistono in un determinato contesto sociale (abbiamo molto la visione di Goffman, per interpretare bene il ruolo devo compiere una serie di azioni socialmente definite all’interno di un’interazione sociale e quindi variare in base ai contesti in cui mi trovo, ogni interazione definisce cosa vuol dire uomo all’interno di quel determinato contesto). La tua identità di genere nasce solo nel momento in cui viene ratificata e riconosciuta dalla società con cui ti confronti e che quindi può variare a seconda delle relazioni di genere in diversi contesti, ovvero non ci sono pratiche di maschilità che valgono in ogni tempo e ogni spazio, ma ogni contesto sociale riconosce e definisce cosa vuol dire essere uomo in quel determinato contesto. Si parte da un’idea di genere che non è fisso e immutabile, ma il genere è una configurazione di pratiche che si fanno ripetutamente. Il genere non è qualcosa di fisso, ma relazionale (si realizza nelle relazioni), plurale (può variare), situazionale/storico (costantemente variabile, dipendente da spazio e tempo in cui ci troviamo) e performativo (segue un copione socialmente definito, o se si distanzia ottiene stigmatizzazione). Differenti mascolinità emergono da differenti combinazioni, ovvero configurazioni di: - Contesti occidente/oriente, che cosa definisce l’uomo nella cultura italiana rispetto ad altre= uomo italiano rispetto all’uomo giapponese, due visioni di viralità differenti, sia oggi che nel passato - Strutture non si è uomini nelle diverse strutture proposte, ovvero famiglia, scuola, sport, amicizie… - Relazioni tra uomini e uomini, tra uomini e donne; quello che fa la mascolinità sono pratiche diverse; mostrarsi uomo all’interno di una relazione eterosessuale con la propria compagna implica una serie di pratiche, e non sono le stesse che ci si aspetta nel rapportarsi in una relazione tra amici - Pratiche insiemi di gesti dal valore simbolico All’interno di diverse strutture, relazioni, pratiche ecc. troviamo differenti configurazioni di pratiche, intese come gesti che hanno un’alta capacità simbolica in grado di simboleggiare la capacità maschile (ritorno a Goffman; il dottore per mostrare il suo ruolo indossa il camice, una pratica dal valore simbolico che aiuta a ottenere riconoscimento) che ci permettono di trasmettere l’idea della mascolinità e dell’essere maschile. Si dimostra la propria mascolinità attraverso diverse configurazioni di pratiche. MASCOLINITA’ E PRATICHE Ogni contesto e struttura definisce una serie di pratiche simboliche considerate appropriate per un uomo, per poter dimostrare la propria mascolinità e la propria appartenenza al genere maschile. Queste pratiche devono essere apprese, i gesti dal valore simbolico devono essere appropriati dall’attore e resi convincenti per poter ottenere il riconoscimento in quanto uomini (collegamento a Goffman). C’è necessità di dimostrare la propria mascolinità in quanto tutti gli studi di gender studies hanno mostrato che l’uomo è un soggetto neutro, che resta indefinito e che per poter essere riconosciuti come uomini non basta il proprio corpo, ma bisogna attuare in maniera 27 MASCOLINITA’ EGEMONICA Ciò che è egemonico in un dato contesto può non esserlo in un altro contesto in quanto è la forma dominante di mascolinità in una certa società. Essa si impone come standard rispetto al quale gli uomini vengono valutati come veri uomini, ma egemonico non vuol dire né comune né possibile, ma un ideale pressoché raggiungibile che è valutato come migliore e con più valore. Quando Connell nel 1995 scrive il suo libro identifica alcune caratteristiche ricorrenti della mascolinità egemonica, in quanto in alcuni contesti sociali alcune caratteristiche ricorrono, perché a fronte di pratiche differenti, la sostanza che deve essere dimostrata è la stessa. Ci sono caratteristiche che ricorrono nei modelli prevalenti di mascolinità egemonica: aggressività, coraggio, stoicismo (limitazione dell’emotività), ricerca del rischio e dell’avventura, competitività, successo, eterosessualità (base indiscutibile), capacità ed esperienza sessuale, virilità, bianchezza (ad esempio i cavalieri della Disney, Tom Cruise in Top Gun, il protagonista di 50 sfumature di grigio, Chuck Buss). A fronte di pratiche diverse le caratteristiche sono spesso le stesse. La mascolinità egemonica è un’ideologia che rappresenta solamente il vertice della piramide, è un modello irraggiungibile e questa sua irraggiungibilità ha un ruolo chiave nel mantenere il controllo sul comportamento maschile. L’identità maschile si raggiunge attraverso una performance che ha come copione la mascolinità egemonica, ma se il copione è irraggiungibile la performance sarà destinata sempre e comunque al fallimento. In quanto ideologia è tradotta in istituzioni, quindi sostenuta e riprodotta da diverse istituzioni, quali scuola, famiglia, sport, relazioni… La mascolinità egemonica rappresenta soltanto il vertice di una piramide di una gerarchia ed esistono anche altri modelli. Queste mascolinità NON rappresentano modelli, ma posizioni rispetto alla mascolinità egemonica: modelli significa che sono associati sempre alle stesse caratteristiche, posizioni invece fa riferimento al fatto che l’agency degli uomini li porta a posizionarsi in maniera diversa rispetto alla mascolinità egemonica. I vari posizionamenti di mascolinità identificati da Connell: - Mascolinità complice posizionamento più comune, dove si collocano la maggior parte degli uomini; questo, perché la mascolinità egemonica nella realtà non esiste ed è solo un modello da attingere e provare da raggiungere. La maggior parte conseguentemente si colloca in questa categoria che porta gli uomini a non mettere in discussione l’ordine dei generi, ma ad aderire al modello egemonico senza avere la possibilità di raggiugerlo. È la posizione assunta dagli uomini che non hanno tutte le caratteristiche della mascolinità egemonica, ma, nonostante ciò, non la mettono in discussione e beneficiano della sua posizione dominante, in quanto traggono un guadagno. L’esempio classico lo si può ritrovare in tutte le serie televisive americane, dove c’è la presenza di un capo, che rappresenta all’interno di quella società la mascolinità egemonica, e coloro che gli stanno attorno rappresentano la mascolinità complice. Colui che si posiziona nel posizionamento della mascolinità complice non mette in discussione l’ordine dei generi che caratterizza una determinata società, ma non può aspirare al vertice (al quale nessuno può aspirare perché è irraggiungibile), ma in parte beneficiano di quell’ordine gerarchico che li pone sopra ad altri uomini e sopra le donne, quindi qualche beneficio ne traggono. - Mascolinità marginalizzata questo posizionamento si riferisce ad altri uomini che non hanno accesso all’egemonia in virtù di caratteristiche ascritte che sono immodificabili o difficilmente modificabili. Molto spesso questa marginalità emerge lungo il colore della pelle, delle disabilità o della classe sociale (nel mondo del rap il colore della pelle non è caratteristica determinante che prevede una marginalizzazione, ma lo è piuttosto l’orientamento sessuale). Egli distingue le mascolinità marginalizzate da quelle subordinate in quanto le prime possono mettere in discussione altri ordini di dominazione, ma non mettono mai in discussione l’ordine di dominazione del genere, anzi, in molti casi per 30 ambire all’egemonia adottano gli stessi comportamenti oppressivi del maschio egemonico. Si cerca quindi di raggiungere l’egemonia, ma non potendola raggiungere sulla base di caratteristiche ascritte (classe, razza, disabilità fisica) cercano di raggiungerla tramite comportamenti di genere propri del maschio egemonico. Si tratta di una critica del sistema classe, ma non sempre del sistema genere. - Mascolinità subordinata si differenziano da quelle marginalizzate e dalle complici perché non cercano di raggiungere l’egemonia, ma cercando di metterla apertamente in discussione. In questo caso la critica è diretta apertamente all’ordine dei generi e si caratterizzano per pratiche che vanno contro ciò che definisce l’essenza della mascolinità egemonica. Come esempi ricorrenti di mascolinità subordinate abbiamo mascolinità gay e mascolinità espresse dagli uomini presenti nei gruppi femministi; queste mascolinità rappresentano una minaccia diretta all’ordine dei generi e perciò sono fortemente stigmatizzate dalla mascolinità egemonica. MASCOLINITA’ COMPLICI E MARGINALIZZATE Quello che è importante prendere a livello di azioni è il fatto che i tentativi delle mascolinità complici e delle mascolinità marginalizzate nel raggiungere la mascolinità egemonica sono destinati nella maggior parte dei casi a fallire, ma, nonostante ciò, vanno a validare e rinforzare il modello egemone. La mascolinità nel nostro contesto si esprime anche attraverso il consumo di carne rossa; una serie di ricerche mostrano come gli uomini che non adottano questo stile di consumo basato su carne rossa tendono a giustificare la propria scelta alimentare; è un bisogno che all’interno delle relazioni omosociali dimostra la consapevolezza che il modello egemonico prevedono quello stile di vita culinario (un prete cristiano cattolico invece non si colloca in nessuna posizione, ma la singola persona può decidere se porsi a favore di una determinata posizione o meno, ad esempio tramite i sermoni). MASCOLINITA’ EGEMONICA E PATRIARCATO In tutto ciò abbiamo detto che il concetto di mascolinità egemonica si collega al concetto di patriarcato, ma non equivale col patriarcato. Il concetto di mascolinità egemonica ci aiuta a capire come il patriarcato si legittima; la mascolinità egemonica identifica l’ideologia che sostiene e domina su un ordine patriarcale e quindi sia su altri uomini che sulle donne. In questo senso la gerarchia delle mascolinità ci aiuta ad avere un’idea più complessa di concetto di patriarcato perché evidenzia come al suo interno si realizzi una gerarchia dei benefici; l’idea che tutti gli uomini non beneficiano dell’idea del patriarcato e che uomini più o meno aderenti al modello egemonico ottengano più o meno benefici dal sistema patriarcale. Il fatto che la mascolinità egemonica crei questa capacità costante di ricerca di tentativi fa si che la ricerca della mascolinità si concretizzi in una serie di sforzi funzionali al patriarcato, ma anche alcune caratteristiche innate (colore della pelle, nazionalità) possono impedire, anche a chi si sforza, di corrispondere al modello. In questo senso i masculinity studies vanno a ripensare alla definizione di patriarcato, descritto come un sistema sociale in cui risorse, beni, privilegi e poteri sono distribuite in un modo iniquo che favorisce gli uomini rispetto alle donne, gli uomini che corrispondono all’ideale egemonico di maschilità rispetto ad altri uomini. In questo senso anche le mascolinità complici e marginalizzate ottengono qualcosa dal patriarcato, sebbene risorse e privilegi che sono meno desiderabili ed evidenti. TENDENZE DI CRISI NEL MODELLO EGEMONICO Un po’ tutte le ricerche, anche nell’esperienza quotidiana, ci fanno notare quelle che sono definite come “tendenze di crisi” all’interno del modello egemonico. Il modello tradizionale di mascolinità sembra essere entrato in crisi a causa di cambiamenti sociali, economici, politici e culturali, che si riflettono in una serie di trasformazioni che sono notate anche quotidianamente: - Aumento dell’investimento maschile in bellezza, fitness, moda ecc… 31 - Maggiore partecipazione al lavoro domestico e all’assistenza familiare - Maggiore visibilità e riconoscimento (socio-politico) delle mascolinità non egemoniche MASCOLINITA’ INCLUSIVA – PROSPETTIVA OTTIMISTA Prospettiva che in letteratura fa riferimento alle mascolinità esclusive e sostiene che queste trasformazioni devono essere elette come un cambiamento positivo. La diffusione di mascolinità inclusive, quindi in grado di fare proprie una serie di pratiche tipicamente associate alla femminilità o a mascolinità non egemoniche, è letta come qualcosa che sta cambiando positivamente la società, producendo una diminuzione del livello di transfobia degli uomini e un aumento della capacità di esprimere le proprie emozioni, rilevato da studi psicologici. Il problema è che la maggior parte delle ricerche si concentrano su giovani uomini con elevatissimi livelli di istruzione; quindi, sono condotte nella maggior parte dei casi di maschi americani che frequentano il college, rappresentando quindi una piccola parte della popolazione maschile nel suo complesso. In realtà la diffusione e la maggiore rappresentazione di mascolinità non egemoniche non producono per tutti gli uomini una reazione di apertura, ma in alcune categorie porta a comportamenti totalmente opposti e all’idea di doversi difendere da quella che è definita come l’ideologia gender. MASCOLINITA’ IBRIDE Prospettiva più complessa che si pone in un’ottica molto più critica e meno ottimistica rispetto alle mascolinità inclusive. Questa prospettiva interpreta le trasformazioni che stiamo osservando in maniera molto critica sostiene che le nuove mascolinità, sempre più presenti e rappresentate a livello culturale, stanno semplicemente creando un nuovo ordine di mascolinità egemonica. Questo concetto è stato elaborato in un articolo nel 2014 da parte di Bridges & Pascoe, dove viene descritta come la selettiva incorporazione da parte degli uomini di performance ed elementi identitari solitamente associati alle mascolinità subordinate, marginalizzate e alla femminilità (in un certo senso può essere letta come un’appropriazione culturale). Questa prospettiva presta attenzione alle dimensioni di potere e disuguaglianze, dicendoci che non tutti gli uomini hanno la stessa possibilità di diventare maschi inclusivi, in quanto dipende fortemente da classe sociale e capitale culturale (es. Gianluca Vacchi non ottiene lo stesso stigma di una qualsiasi altra persona x nel modo di ballare in quanto la sua posizione di potere ha maggiore rilevanza) che alcune pratiche simboliche della mascolinità non egemonica sono incluse, mentre altre escluse, e che esiste un’inclusione fittizia che si limita a elementi stilistici e non a una reale presa di posizione rispetto all’ordine dei generi, quanto piuttosto a una cooptazione di alcuni elementi stilistici delle mascolinità non egemoniche che vengono cooptati dal mercato. Perché la prospettiva delle mascolinità ibride è interessante? Perché evidenzia che l’obiettivo primario dell’egemonia è rendersi naturale, rendersi invisibile. Per essere efficace l’egemonia si deve nascondere e quindi il suo processo primario è quello di rendersi normale. La migliore strategia che può porre in essere per sopravvivere è quella di adattarsi al mondo che la circonda, ibridandosi di ciò che non è egemonico per nascondersi ancora meglio. Nel momento in cui il mondo di pluralizza e diverse maschilità diventano più visibili e più forti, l’egemonia può sopravvivere solo appropriandosi di alcune caratteristiche di mascolinità non egemoniche. Le mascolinità ibride utilizzano tre principali meccanismi attraverso cui si manifestano: - Discursive distancing presa di distanza discorsiva (Bourdieu), si realizza quando vengono prese le distanze dalle maschilità che sono state oggetto di una critica femminista senza realmente aderire ai valori del femminismo. Distanziamento della maschilità ibrida da quella egemonica più superficiale che reale. - Strategic borrowing presa in prestito strategica, le mascolinità ibride permettono agli uomini egemonici, quindi bianchi, di classe media ed etero, di prendere strategicamente in prestito elementi stilistici delle mascolinità non-egemoniche senza soffrire delle medesime 32 quindi il distanziamento dall’amore e dall’amore diventano elementi verso cui si costruisce la mascolinità. MASCOLINITA’ E OMOTRANSFOBIA Il modo in cui viene costruita la mascolinità egemonica sulla base del modello tradizionale di questo tipo di mascolinità si collega anche al problema dell’omotransfobia, dove l’idea di fondo che è stata elaborata uno psicologo tedesco è che l’omotransfobia non si colleghi solo a una questione di sessismo, quanto piuttosto ad un meccanismo attraverso cui gli uomini vanno a costruire, rinforzare ed enfatizzare la propria identità maschile. Abbiamo detto che l’eterosessualità rappresenta una caratteristica più o meno essenziale e ricorrente nella maggior parte dei modelli di mascolinità egemonica e l’enfatizzazione dell’etero normalità; quindi, l’idea che l’eterosessualità sia l’unico comportamento normale è un elemento centrale della mascolinità egemonica. Per dimostrare la propria mascolinità l’uomo si deve distanziare da ciò che è percepito come femminile, e in questo senso l’identità gay diventa un principio di differenziazione, ovvero un modo per costruire le proprie identità in termini avversivi. In questo senso l’omotransfobia diventa un meccanismo attraverso cui differenziarsi dal contrario e ribadire la propria identità maschile. Si evidenzia come già in giovanissime età si inizia a parlare di sessualità attraverso la denigrazione sistematica della sessualità, ovvero la minaccia del dire “sei gay” tra ragazzi diventa quasi un intercalare. Nel 2007 invece viene pubblicato uno studio di Pascoe sulle scuole superiori americane dal titolo “Dude, you are a fug” in cui dimostra la frequenza attraverso cui l’identità gay è utilizzata in termini avversivi per rinforzare la propria identità mascolina. Nella maggior parte dei casi si nota come questi insulti non facciano riferimento al reale orientamento sessuale della persona insultata, ma al fatto che un certo comportamento è da considerarsi come eccessivamente femminile, quindi debole e subordinato. In questo senso l’omotransfobia serve per affermare un ordine gerarchico e la propria mascolinità – dobbiamo ricordare che si tratta di un meccanismo di espressione di mascolinità maschile e della continua richiesta di riaffermarsi come uomini. Ricerca fatta da Guizzardi e Trappolin nel 2019 su ragazzi e ragazze di scuole superiori italiane, da cui emerge che l’omosessualità risulti essere più problematica tra i ragazzi. In particolare, quasi 1/3 del campione maschile considera l’omosessualità come una malattia, mentre dello stesso parere sono il 12,4% del campione femminile. Inoltre, più di 1/3 dei maschi si rapporta con l’omosessualità in termini conflittuali, esprimendo nei confronti delle persone gay odio e repulsione, mentre gli stessi atteggiamenti sono riservati alle ragazze lesbiche solo nel 9,85 dei casi. Guardando al campione femminile si nota come le ragazze mettono in luce un rapporto meno conflittuale nei confronti delle differenze che attribuiscono ai gay, solo il 9,9% dei casi si dichiarano sentimenti di odio e repulsione nei loro confronti. Tra i giovani intervistati quindi i giovani uomini esprimono odio e repulsione nel 34,8% dei casi nei confronti degli uomini gay; le giovani donne esprimono lo stesso sentimento nei confronti degli uomini gay nel 9,9% die casi. Per quanto riguarda il rapporto col lesbismo, le ragazze che esprimono odio o repulsione raggiungono il 13,5% del totale. L’omosessualità per i giovani uomini rappresenta un maggiore problema rispetto al lesbismo in quanto le mascolinità subordinate mettono in discussione l’ordine dei generi, quello che la mascolinità gay rappresenta è un rischio per la mascolinità egemonica. “La maschilità deve dunque essere dimostrata e appena dimostrata è nuovamente messa in discussione e va difesa un’altra volta. La maschilità viene definita più in termini negativi, ciò che un uomo non è, più che in termini positivi, che cosa egli è. Gli uomini hanno paura degli altri uomini e l’omofobia è il principio organizzatore centrale della nostra definizione culturale di maschilità. L’omofobia trae origine dal timore che altri uomini possano mascherarci, mettere in discussione la nostra maschilità, rilevare al mondo e a noi stessi che non siamo all’altezza del nostro ruolo e che non siamo veri uomini”. 35 MASCOLINITA’ E VIOLENZA DI GENERE La mascolinità si struttura attraverso un processo di distanziamento e dominazione del principio femminile, di ciò che è percepito come opposto. Fred Pelka, vittima di violenza sessuale descrive la violenza sessuale come un assalto, atto di presa di controllo, espressione di prepotere e una rivendicazione della propria forza o viralità. La violenza sessuale nell’ambito degli studi sulla mascolinità emerge come la combinazione di una serie di fattori socio-culturali, tra cui la necessità di provare la propria mascolinità – la paura di essere percepiti come femminili e quindi inferiori spinge gli uomini ad agire nel modo più maschile che conoscono. Se si pensano ai processi di socializzazione di genere la violenza rappresenta una costante; se si entra in negozi di giocattoli e ci si sofferma sul lato dei bambini si nota la presenza di giochi prevalentemente violenti, come pistole, coltelli ecc. La questione della violenza maschile in questo senso si collega a un processo di socializzazione che parte dall’infanzia e che inizia attraverso piccoli eventi che collegano la mascolinità alla possibilità dell’uso della violenza; emerge come collegato a quel processo di dominazione della femminilità come elemento di costituzione dell’identità maschile e si collega a quello che in letteratura è stato definito come “male entitlement”, che rimanda all’idea di avere un diritto. In questo caso la sensazione di avere un diritto di possesso sul mondo e in particolare sulle donne. Questo concetto è frutto di un processo di socializzazione all’interno di una cultura che costantemente ti ricorda che il mondo è costruito attorno a te. Si collega a tanti atti e messaggi che diamo per scontati, a tutte quelle micro forme di socializzazione (l’assumere che una donna sia lesbica perché non ci sta); ciò si acquisisce nel tempo attraverso una serie di rinforzi culturali diretti e indiretti che spesso vanno a coinvolgere anche il piano mediatico, che vanno a riprodurre tradizionali ruoli di genere, che rendono la donna e in generale tutto quello che circonda l’uomo come funzionale all’uomo stesso (serie tv della Rai che presentano casi di violenza sessuale in cui la donna si rileva essere manipolatrice che finse la violenza per vendicarsi dell’uomo di turno problema di stigmatizzazione e screditamento di una eventuale ribellione , togliendo valore della questione e della prospettiva, andando a rinforzare l’idea che l’uomo abbia di per sé diritto sul possesso del corpo femminile). Rimanda poi a un collegamento tra un certo tipo di mascolinità e l’espressione di una serie di posizioni politiche; nel 2013 viene pubblicato un libro che predice l’elezione di Trump tramite una serie di analisi su differenti fenomeni nel contesto statunitense, collegando la crescita del razzismo e del populismo a una questione legata alla mascolinità, notando come queste posizioni politiche si manifestino con maggiore evidenza tra i maschi bianchi della classe media americana e collega all’interno del testo la crescita di razzismo/populismo a una mobilità discendente che i maschi bianchi di questa classe hanno iniziato a conoscere sul piano principalmente economico e che veniva reinterpretato dagli stessi come l’effetto di una serie di leggi che favorivano l’uguaglianza sociale, l’emancipazione femminile e della popolazione minore; collegano quindi la propria caduta sociale e il ridimensionamento delle proprie possibilità di vita all’aumento delle opportunità per altre categorie sociali. L’aumento di sentimenti populisti e razzisti si ricollega a una discrepanza tra ciò che questi uomini sentivano di avere come diritto e la loro reale condizione. Partendo dall’idea che razzismo e populismo rispondono alla sensazione di essere stati derubati del sogno americano, prevalentemente maschile, si elabora il concetto di perdita di controllo, diritto acquisito per nascita che era dato per scontato. 36
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