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Sintesi delle proteine: Trascrizione e traduzione, Dispense di Biologia

Una panoramica dettagliata della sintesi delle proteine, un processo fondamentale nella biologia cellulare. La trascrizione e la traduzione, due tappe fondamentali nella sintesi proteica, e illustra come il dna codifica per tutti i tipi di rna. Inoltre, il documento descrive la replicazione dei virus a rna e la loro trascrizione in dna. Utile per chi studia biologia molecolare, genetica e virologia.

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 24/04/2024

aamelyx
aamelyx 🇮🇹

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Scarica Sintesi delle proteine: Trascrizione e traduzione e più Dispense in PDF di Biologia solo su Docsity! Geni e proteine I vari caratteri fenotipici degli individui sono determinati dai geni, tratti discreti del DNA costituiti da un numero variabile di nucleotidi. Il concreto l’informazione di un gene si esprime attraverso la legge universale: “un gene-una proteina”, che aerma che ogni gene codica per una specica proteina. Questa relazione fu intuita per la prima volta all’inizio dello scorso secolo, quando il medico inglese Archibald E. Garrod ipotizzò che alcune malattie metaboliche avessero basi ereditarie. Il medico dichiarò che la mutazione di un singolo gene fosse suciente a inibire la sintesi di un enzima implicato nella via metabolica compromessa. Negli anni Quaranta la relazione tra geni e proteine divenne evidente grazie agli studi di George W. Beadle e Edward L. Tatum sulla mua del pane: Neurospora crassa. Analizzando i meccanismi metabolici scoprirono che un gene inuenza il fenotipo di un organismo perché è proposto alla sintesi di una proteina. Oggi sappiamo che il quadro è più complesso della semplice relazione un gene-una proteina, un gene codica in realtà per una singola catena polipeptidica ed è più corretto riformulare la legge con la relazione “un gene-un polipeptide”. Inoltre è necessario tenere conto anche dei meccanismi regolatori come lo splicing alternativo. Per questo la versione più recente della teoria può essere espressa come “un gene-più polipeptidi”. Il codice genetico La maggior parte dei geni codica per la sintesi di catene polipeptidiche. La traduzione di un codice fatto di nucleotidi come quello del dna, in un alfabeto di lettere ben diverse (gli amminoacidi delle proteine) avviene grazie all’unità fondamentale del codice genetico è il codone, una tripletta di basi azotate. Ogni codone guida la sintesi di un particolare amminoacido. L’espressione del codice genetico coinvolge diverse strutture cellulari e richiede diverse fasi per la sua attuazione. Innanzitutto il dna guida la sintesi di una molecola complementare di RNA (messaggero), tramite il processo di trascrizione. L’RNA messaggero migra dal nucleo verso i ribosomi, ovvero le macchine molecolari responsabili della sintesi proteica cioè la traduzione dell’RNA messaggero in catene polipeptidiche. La traduzione si basa sulla corrispondenza tra triplette di basi azotate e amminoacidi. Tuttavia i tipi di basi azotate che costituiscono gli acidi nucleici, sono quattro ed esistono dunque, 64 opzioni di diverse triplette con un totale di appena 20 amminoacidi che compongono le proteine. Questo signica che più triplette codicano per uno stesso amminoacido, e per tale ragione si dice che il codice genetico è ridondante (o degenerato). Alcuni codoni non portano però alla sintesi di alcun amminoacido, e sono chiamati “codoni nonsenso” (o codoni di stop) poiché indicano il punto in cui terminare la sintesi della catena polipeptidica. Il codice genetico è l’alfabeto universale del mondo biologico, è comune a tutte le forme di vita, conservato nel tempo dall’evoluzione per la sua ineguagliabile ecacia. Il DNA contiene le ricette dee proteine di una ceula Le cellule contengono una quantità enorme di DNA. In quelle umane, in ogni minuscolo nucleo ci sono circa 6.4 miliardi di coppie di basi che contengono l'informazione genetica. Il genoma di un organismo è l'insieme del materiale genetico contenuto nelle sue cellule e i genomi variano per dimensione e struttura: ● in una cellula batterica, il genoma è composto da una molecola di DNA circolare; ● in una cellula eucariotica,la maggior parte del genoma è suddivisa tra un numero determinato di cromosomi presenti nel nucleo. Ogni cromosoma è un pacchetto distinto di DNA e di proteine associate. ● Anche i mitocondri e i cloroplasti delle cellule eucariotiche contengono DNA e hanno quindi hanno un genoma. La maggior parte del DNA non ha una funzione nota ma una piccola porzione del nostro genoma ha un ruolo chiave ben conosciuto ovvero quello di codicare per l'RNA e le proteine prodotti dalla cellula. Un gene è una sequenza precisa e ordinata di nucleotidi che codica per una determinata proteina o per una molecola di RNA e dato che le proteine essenziali per la vita sono morte gli organismi possiedono molti geni. L'ipotesi "un gene, un enzima" Negli anni Quaranta del secolo scorso, grazie a uno studio sulla mua del pane (Neurospora crassa), i genetisti statunitensi Beadle e Tatum dedussero che ogni genere è responsabile della produzione di una proteina. I due genetisti trattarono coi raggi X N la crassa inducendo delle mutazioni casuali. Dopo di che misero in coltura le mue irraggiate e notarono che alcuni ceppi mutanti non erano più in grado di svilupparsi nel terreno minimo. Questo terreno era povero da un punto di vista nutrizionale perché conteneva solo saccarosio, sali minerali e vitamina H. La crescita poteva essere ripristinata solo aggiungendo al mezzo di coltura una sostanza nutritiva. Beadle e Tatum riuscirono a identicare il composto essenziale per la crescita di ciascun mutante deducendo che ogni mutazione avesse inattivato l'enzima responsabile della produzione della sostanza nutritiva divenuta essenziale. Questa conclusione fu battezzata come ipotesi "un gene, un enzima". L'ipotesi di Beadle e Tatum ha subito nel tempo delle modiche dettate dalle nuove scoperte scientiche che hanno mostrato come anche altre proteine potessero inuenzare il fenotipo. Infatti, diverse proteine sono caratterizzate da una struttura quaternaria e quindi sono formate da più catene polipeptidiche (polimeri di amminoacidi) che possono essere codicate da geni dierenti. Anche se il prodotto nale dell'espressione di un gene non è sempre un polipeptide, è più corretto utilizzare l'espressione "un gene, un polipeptide". Le tre fasi dea trascrizione La trascrizione è simile alla duplicazione del DNA, infatti anche alla base della trascrizione vi è l'accoppiamento di basi azotate complementari. Vi sono due dierenze tra trascrizione e duplicazione del DNA: ● il prodotto della trascrizione è l'RNA e non il DNA; ● la trascrizione copia solo una sequenza di nucleotidi a gene a partire da un lamento di DNA (invece di copiare i 2 lamenti di un cromosoma). Nella trascrizione, le basi azotate dell'RNA si legano alla basi complementari esposte sul lamento stampo, ovvero sul lamento di DNA trascritto (il lamento complementare non è copiato). Il processo avviene dunque in 3 fasi: 1. Inizio —> l'RNA polimerasi, enzima che assembla la catena di RNA, si lega al promotore, sequenza di DNA che indica il punto di inizio della trascrizione. Per ogni gene esiste una regione promotore. Alcune unità costitutive di una struttura più complessa (subunità) dell'RNA polimerasi svolgono il doppio lamento di DNA determinando le dissociazione di 14 paia di basi. 2. Allungamento —> l'RNA polimerasi si sposta lungo il lamento stampo di DNA in direzione 5'-3', aggiungendo nucleotidi solo all'estremità 3' della molecola di RNA. 3. Terminazione —> il terminatore, sequenza di terminazione, indica il punto in cui nisce il processo di trascrizione. Quando raggiunge questa sequenza, l'enzima RNA polimerasi si separa dal lamento stampo di DNA e rilascia la molecola di RNA. La molecola di DNA si riavvolge nella conformazione a doppia elica. RNA polimerasi Negli eucarioti le forme di RNA vengono sintetizzate da 3 tipi di RNA polimerasi: ● la RNA polimerasi I, riconosce un promotore specico e sintetizza l'RNA ribosomiale, si trova nel nucleolo ● la RNA polimerasi II, riconosce diversi tipi di promotori e sintetizza l'RNA messaggero; ● la RNA polimerasi III, riconosce promotori che possono trovarsi dopo l'inizio della trascrizione e sintetizza l'RNA transfer. Negli eucarioti, alcuni passaggi si svolgono in maniera più articolata: durante la fase di inizio della trascrizione, l'RNA polimerasi ha bisogno dell'aiuto di proteine regolatrici delle fattori di trascrizione. L'RNA polimerasi può legarsi al promotore solo se le proteine sono presenti sul gene. Si tratta di un sistema di controllo che gli organismi eucariotici utilizzano per trascrivere solo i geni necessari in un momento della vita della cellula. Tutte e tre le RNA polimerasi sono dotate di un sistema di controllo e riescono a riconoscere e a correggere una buona parte degli errori che possono vericarsi durante la sintesi degli RNA sullo stampo di DNA. Se un nucleotide del DNA non è accoppiato correttamente al nucleotide corrispondente sull'RNA, si ottiene una distorsione nella appaiamento DNA stampo-RNA nascente. L'RNA polimerasi è in grado di riconoscere questa alterazione strutturale e a sostituire i nucleotidi errato con quello corretto nell'RNA nascente. L'RNA La molecola di RNA, a mano a mano che viene sintetizzata, la si avvolge in una forma tridimensionale determinata dall' accoppiamento delle basi complementari che la compongono. Il ripiegamento nale determina se l'RNA avrà funzione di mRNA, di tRNA o rRNA. L'osservazione che il DNA della cellula codica per tutti i tipi di RNA ha stimolato un dibattito sulla denizione di gene. In origine, un gene era denito come un frammento di DNA che codica per una proteina. Ma di recente i biologi hanno ampliato la denizione includendo qualunque sequenza di DNA che viene trascritta. La frase espressione genica può quindi indicare la produzione di una proteina, di un polipeptide o di una molecola di RNA. Differenze tra promoti degli eucarioti e quei dei procarioti Nel procarioti, il promotore è una sequenza di DNA situata in prossimità dell'estremità 5’ della regione che codica una proteina. Un promotore procariotico possiede due sequenze fondamentali: 1. la sequenza di riconoscimento, ossia la sequenza riconosciuta dall'RNA polimerasi; 2. il TATA box (così denominato poiché ricco di coppie di basi AT), che si trova più vicino al sito di inizio e in corrispondenza del quale il DNA inizia a denaturarsi per esporre il lamento stampo. L'RNA polimerasi degli eucarioti invece, non è in grado di legarsi semplicemente al promotore e di iniziare a trascrivere, essa infatti si lega al DNA dopo che sul cromosoma si sono associate varie proteine regolatrici dette fattori di trascrizione. Il primo fattore di trascrizione si lega al TATA box, portando ad un cambiamento di forma sia di sé stesso sia del DNA e favorendo il legame di altri fattori di trascrizione (tra cui l'RNA polimerasi) che vanno a formare il complesso di trascrizione. Alcune sequenze del DNA, come il TATA box, si trovano nei promotori di molti geni eucariotici e vengono riconosciute da fattori di trascrizione presenti in tutte le cellule dell'organismo. Altre sequenze dei promotori sono speciche di particolari geni e vengono riconosciute da fattori di trascrizione presenti soltanto in particolari tessuti. Questi specici fattori di trascrizione svolgono un ruolo importante nel dierenziamento, ossia nella specializzazione delle cellule durante lo sviluppo. Dopo che l'RNA polimerasi si è legata al promotore, comincia il secondo stadio della trascrizione: l'allungamento. La RNA polimerasi apre il DNA e legge il lamento stampo in direzione 3’-5’. Come la DNA polimerasi, anche la RNA polimerasi aggiunge i nuovi nucleotidi all'estremità 3' della molecola di RNA in crescita, quindi la direzione in cui cresce l'RNA è da 5' a 3', ma non ha bisogno di un primer per dare inizio al processo. Il nuovo RNA si allunga verso l'estremità 3' partendo dalla prima base che costituisce l'estremità 5'; di conseguenza l'RNA trascritto è antiparallelo al lamento di stampo del DNA. Come fa l'RNA polimerasi a sapere quando smettere di aggiungere nucleotidi al trascritto di RNA in crescita? Analogamente al sito di inizio, sul lamento stampo del DNA ci sono particolari sequenze di basi che ne stabiliscono la terminazione (terzo stadio della trascrizione). Negli eucarioti il primo prodotto della trascrizione, o trascritto primario, è più lungo dell'mRNA maturo e deve andare incontro a un notevole processo di trasformazione prima di essere tradotto. Nea traduzione si costruiscono le proteine La trascrizione copia l'informazione codicata in una sequenza di basi del DNA nel linguaggio complementare dell'mRNA. Quando la trascrizione è stata compilata e quindi l'mRNA è stato modicato la cellula è pronta a tradurre il messaggio dell'mRNA in una sequenza di amminoacidi. Il codice genetico Il codice genetico è l'insieme di regole che deniscono come usare i nucleotidi dell'mRNA per assemblare gli amminoacidi in catene polipeptidiche. L'unità fondamentale è il codone ovvero un gruppo di tre nucleotidi di mRNA che corrispondono a un amminoacido oppure a un segnale di stop. Negli anni Sessanta bisognava capire quanti nucleotidi di RNA servissero per specicare un amminoacido. Poiché l'RNA contiene solo 4 nucleotidi diversi un codice genetico con una corrispondenza uno a uno avrebbe potuto specicate solo 4 amminoacidi e quindi molti meno di 20 che costituiscono le proteine. Un codice con 2 nucleotidi per codone avrebbe specicato solo 16 amminoacidi diversi, un codice con tre nucleotidi per codone avrebbe dato luogo a 64 combinazioni diverse e quindi più che sucienti per specicare i 20 amminoacidi. I dati sperimentali confermarono quindi la struttura a triplette del codice. Un secondo problema però era determinare quali condoni corrispondessero a ciascun amminoacido e negli anni Sessanta, gli scienziati trovarono una risposta grazie alla sintesi di molecole di mRNA in laboratorio. Questo mRNA sintetici furono incubati insieme a tutti gli ingredienti necessari alla traduzione e l'analisi delle catene polipeptidiche ottenute permise di decifrare il codice genetico. Dunque le analisi chimiche dimostrarono che il codice genetico contiene anche le istruzioni per iniziare e terminare la traduzione. Caratteristiche del codice AUG è il codone di inizio dell'mRNA e codica anche per una metionina. Mentre i codoni UGA, UAA e UAG indicano lo stop della traduzione e il distacco del polipeptide dal complesso di traduzione. Se non consideriamo i 4 codoni che regolano l'inizio e il termine della traduzione, il rapporto tra codoni e amminoacidi è di 60:19. Il processo è reso più eciente dalla produzione di molte copie di mRNA in modo tale che la cellula abbia a disposizione più di una ricetta da leggere ai ribosomi. Inoltre, decine di ribosomi possono legarsi insieme a una molecola di mRNA disponendosi uno accanto all'altro e i ribosomi scorrono lungo l'mRNA assemblando 15 amminoacidi al secondo. Grazie a questa catena di montaggio ad alta velocità la cellula può fabbricare molte copie di una stessa proteina partendo da un solo mRNA. Modifiche post-traduzionali dee proteine La proteina quando viene sintetizzata può svolgere il proprio compito dopo che si è ripiegata e dopo che ha subito altre modicazioni chimiche. Folding La specica composizione di un polipeptide promuove l'instaurarsi o meno di legami fra gli aminoacidi determinando la forma tridimensionale di una proteina. Nel processo di folding, ovvero di ripiegamento, alcuni enzimi catalizzano la formazione di legami chimici mentre altre proteine, dette chaperonine, stabilizzano il processo assicurando la conformazione tridimensionale. Può accadere che una proteina si ripiega in maniera errata se la catena di amminoacidi presenta errori trasmessi da una sequenza di DNA alterata. Il risultato di un errore di ripiegamento può determinare la presenza di patologie: alcune forme di brosi cistica, infatti, sono causate da una proteina di membrana che non si ripiega correttamente. Gli errori di ripiegamento delle proteine possono vericarsi anche in assenza di errori nella sequenza di DNA: ad esempio, la malattia dell'alzheimer è associata a una proteina chiamata amiloide che si ripete in modo errato e forma una massa anomala nelle cellule cerebrali. Un altro esempio è il morbo della mucca pazza e di malattie simili che colpiscono esseri umani e ovini e sono causate da prioni, che hanno catene proteiche ripiegate in maniera errata. Altre modificazioni La sequenza polipeptidica possiede informazioni strutturali utili a guidarne il ripiegamento e presenta a una delle estremità una sequenza segnale, ovvero una serie di amminoacidi che indirizzano la traslocazione della proteina verso il compartimento cellulare corretto dove potrà completare la propria sintesi ed essere modicata. In aggiunta al ripiegamento, alcune proteine devono subire altri cambiamenti prima di diventare funzionali: ad esempio, l'insulina, compatta da 51 amminoacidi, viene tradotta come proinsulina, formata da 80 amminoacidi. Specici enzimi tagliano la pensilina quando le necessità nutrizionali lo richiedono. Un altro tipo di cambiamento riguarda l'unione di più polipeptidi a formare proteine di grandi dimensioni. L'emoglobina, ad esempio, è formata da 4 catene polipeptidiche codicate da geni diversi. Altri tipi di modicazioni riguardano l'aggiunta di gruppi funzionali ai residui amminoacidi come per esempio la metilazione ovvero l'aggiunta di gruppi metile.Si tratta di una modicazione degli istoni che regolano la disponibilità del DNA a essere trascritto: a seconda dell'amminoacido metilato, la cromatina è più o meno compatta e quindi più o meno accessibile alle polimerasi. Fa parte di questa categoria la fosforilazione, l'aggiunta di un gruppo fosfato, importante per la regolazione del ciclo cellulare e dell'apoptosi. Le proteine possono essere soggette anche all'aggiunta di zuccheri, glicosilazione, con eetti sulla stabilità delle proteine e sulla sua attività. È possibile anche osservare l'aggiunta di lipidi alle catene peptidiche con l'eetto di aumentarne l'idrofobicità: in questo modo possono direzionarsi e inserirsi nelle membrane degli organuli cellulari dove svolgeranno la funzione. Mutazioni Una mutazione è un cambiamento nella sequenza del Dna di una cellula: può vericarsi in un gene che codica per una proteina, in un RNA o in una regione utile per la regolazione dell'espressione genica. Anche se a volte una mutazione causa malattie, le mutazioni sono fonti della variabilità che contraddistingue la vita e rende possibile l'evoluzione. Mutazioni puntiformi Una mutazione può: ● cambiare solo una o poche coppie di nucleotidi, mutazioni puntiformi; ● riguardare una porzione estesa di cromosomi, mutazione cromosomica; ● inuenzare il numero di cromosomi e il cariotipo, mutazioni genomiche. Sostituzione Una mutazione per sostituzione si ha quando un nucleotidi viene sostituito con un altro. Questa mutazione è silente se il gene mutato codica per la stessa proteina espressa dalla versione wild type del gene. È possibile che una mutazione sia silente perché ogni amminoacido può essere codicato da più di un codone. Spesso accade che una mutazione per sostituzione modichi un'intera tripletta di nucleotidi portandola a codicare per un amminoacido diverso, questo cambiamento si chiama mutazione di senso: in questo caso è possibile che l'aminoacido codicato alteri la forma della proteina compromettendo così la sua funzione. Si hanno anche mutazioni non senso e si hanno quando una tripletta di nucleotidi che codica per un aminoacidi si trasforma in una che codica per un codone di stop. Inserzione o delezione Una mutazione per inserzione deriva dall'aggiunta di uno o più nucleotidi a un gene mentre una delezione rimuove nucleotidi. Nella mutazione per spostamento del sistema di lettura, detta anche mutazione frame shift, il numero dei nucleotidi aggiunti o rimossi non è multiplo di 3; dato che gli amminoacidi sono codicati da triplette di nucleotidi, un'aggiunta o una delezione di questo tipo altera il sistema di lettura dei codoni. Queste mutazioni portano all'alterazione della sequenza di amminoacidi o alla formazione prematura di codoni di stop con un eetto distruttivo sulla funzionalità della proteina. Anche quando l'inserzione o la delezione non provocano lo spostamento del sistema di lettura l'eetto può essere signicativo se il cambiamento altera in modo drastico la forma della proteina. Espansione di triplette In una mutazione per espansione di triplette il numero di copie di una sequenza di tre o quattro nucleotidi aumenta nel corso di alcune generazioni. A ogni generazione, i sintomi si manifestano più precocemente o diventano più gravi. Introni ed esoni Negli eucarioti la sequenza del DNA che costituisce il gene per la sintesi di una proteina presenta, al suo interno, altre sequenze ripetute di nucleotidi, chiamate introni, che non vengono utilizzate per codicare gli amminoacidi da inserire nella proteina. Il gene è perciò formato da sequenze di nucleotidi che codicano gli amminoacidi, chiamate esoni, intervallate da sequenze di introni non codicanti: il gene non è quindi una sequenza continua di nucleotidi, ma una serie di sequenze discontinue di esoni interrotte da porzioni di DNA che non vengono utilizzate per la sintesi delle proteine (introni). La formazione dell’RNA messaggero è perciò più complessa di quanto descritto, perché viene trascritto un pre-RNA, che contiene sia gli esoni sia gli introni, e prima di passare nel citoplasma questo pre-RNA viene “processato”, modicato: vengono tagliati gli introni e successivamente vengono saldati insieme (splicing,Saccharomyces cerevisiae) gli esoni, in modo da ottenere la sequenza di nucleotidi che contiene l’esatta informazione per l’inserimento di tutti gli amminoacidi che costituiscono la proteina, “ripulita” dalle sequenze intruse degli introni. Solo una piccola porzione del DNA degli eucarioti viene utilizzata per la sintesi proteica: tutto il resto è costituito da introni non codicanti, il cui ruolo è ancora sconosciuto. Le mutazioni genomiche ● poliploidia: produzioni di cellule poliploidi, caratterizzate da una o alcune serie di cromosomi in più ● non disgiunzione: quando una coppia di cromosomi non si separa nell'anafase I oppure quando due cromatidi non si separano durante l'anafase II (trisonomia 21). La forma dei virus La forma dei virus è molto varia. Per esempio, esistono capsidi virali che hanno la forma di un icosaedro regolare, un solido geometrico composto da 20 facce triangolari identiche, dai cui vertici spuntano 12 «spine» che servono al virus per agganciarsi alla cellula da infettare. In altri tipi di virus, il capside può essere formato da 60, 320 e persino 430 facce. Molti virus hanno queste forme perché sono facili da assemblare: con una varietà limitata di proteine si possono costruire, come puzzle tridimensionali, involucri anche molto grandi. Altri virus, come quelli responsabili di alcune malattie delle piante, hanno la forma di un tubetto cavo, al cui interno è «incollata» la molecola di acido nucleico. Esistono virioni di forma più complessa, come quelli di alcuni batteriofagi (virus che infettano i batteri) che hanno una «testa icosaedrica» montata su una «coda» a sua volta appoggiata su un «trespolo» a sei zampe. Nel batteriofago, la testa è il capside vero e proprio che contiene l’acido nucleico, mentre la coda e le zampe costituiscono una struttura che serve a iniettare l’acido nucleico del virus all’interno della cellula batterica ospite. Dove si trovano i virus I virus si trovano ovunque: sono presenti in ogni ambiente in cui ci sono organismi da parassitare, anche nei fondali oceanici e nel terreno. Si stima, per esempio, che in una sola goccia d’acqua marina possono essere contenuti anche un milione di virioni e che ci siano molte più particelle virali sulla Terra che stelle nell’Universo. Gli scienziati hanno identicato sino ad oggi circa 5000 tipi di virus, ma stimano che siano almeno 1000 volte di più. Inoltre, virus dello stesso tipo possono presentare molte varianti del loro DNA o RNA. I virus hanno una elevata selettività per l’ospite: ogni tipo virale infetta cioè un partico- lare tipo di organismo e di cellula. Esistono virus parassiti di animali, di piante, di funghi, di batteri e persino di altri virus. Talvolta, però, un virus che infetta una certa specie può cambiare la sua natura e diventare infettivo anche per una specie diversa.Questo passaggio da una specie all’altra è detto salto di specie (spillover, in inglese). Come funzionano i virus L’infezione virale inizia con il riconoscimento da parte del virus della sua cellula ospite. Il virione si lega alla cellula ospite attraverso un legame chimico tra le proteine e gli zuccheri che si trovano sulla propria supercie e quelle presenti sulla supercie esterna della cellula ospite, dette recettori. Un virus può riconoscere le proteine presenti su alcune cellule ma non su altre: per questa ragione, per esempio, il virus dell’inuenza infetta solo le cellule dell’apparato respiratorio ma non quelle dei muscoli o di un altro apparato del corpo. Dopo che è avvenuto il riconoscimento, si verica l’introduzione da parte del virus del proprio patrimonio genetico all’interno della cellula. Il modo in cui questo avviene dipende dal tipo di virus e dal tipo di cellula ospite: per esempio, molti virioni parassiti di cellule animali fondono l’envelope (il rivestimento di lipidi e carboidrati, il pericapside) con la membrana plasmatica della cellula, formata anch’essa principalmente da lipidi, e liberano all’interno della cellula il loro acido nucleico, DNA o RNA. Il ciclo litico Il ciclo di replicazione virale si chiama ciclo litico perché al termine di questo processo si verica la rottura (lisi) della cellula ospite. Il meccanismo di replicazione dipende dal tipo di acido nucleico posseduto dal virus; nel caso di un virus a DNA: Dopo l’introduzione del genoma nella cellula ospite, il virus ne sfrutta gli organuli e i meccanismi molecolari per produrre copie di se stesso. La cellula ospite è costretta a leggere le istruzioni contenute nel patrimonio genetico virale: alcuni virus a DNA utilizzano l’enzima DNA polimerasi della cellula ospite per replicare il proprio DNA; altri, invece, contengono nel proprio patrimonio genetico le informazioni per produrre la propria polimerasi virale. Nei virus a DNA il patrimonio genetico virale è trascritto in RNA virale, che serve per produrre le proteine virali nei ribosomi della cellula ospite. Al termine di questo processo, il DNA virale e le proteine virali si assemblano per formare un nuovo virione. Dopo che si è replicato in migliaia di copie, il virus può abbandonare la cellula. Il processo descritto provoca molti danni alla cellula ospite. Alcune cellule sono distrutte quando i virioni le abbandonano: uscendo dalle cellule animali, per esempio, i virioni portano via una parte della membrana cellulare; in altri casi la cellula muore per lo stress causato dall’intensa azione di replicazione del virus. I nuovi virioni abbandonano la cellula pronti a invaderne altre e a cominciare un nuovo ciclo litico. Il ciclo lisogeno In alcuni casi, al posto del ciclo litico, il virus va incontro a un processo di replicazione diverso, chiamato ciclo lisogeno. Ciò avviene quando, subito dopo l’infezione della cellula ospite, il patrimonio genetico del virus si inserisce all’interno del patrimonio genetico della cellula ospite, formando un provirus. Il provirus non si replica, ma quando la cellula ospite duplica il proprio DNA prima della divisione cellulare, duplica anche il patrimonio genetico del virus: le cellule glie conterranno quindi il provirus. Generalmente i provirus non danneggiano le cellule e quindi non producono sintomi o malattie. Talvolta un provirus può riattivarsi e cominciare un ciclo litico. Funziona in questo modo, per esempio, il virus dell’Herpes simplex (HSV): dopo l’infezione il virus va incontro al ciclo lisogeno e può rimanere allo stadio di provirus per tutta la vita dell’individuo senza provocare disturbi; talvolta però il virus si riattiva, passa al ciclo litico e provoca la cosiddetta «febbre labiale», cioè la comparsa di vescicole intorno alla bocca. Virus a RNA (ricerca) I virus sono piccoli parassiti, cellule infettive acellulari che si riproducono nelle cellule e che dipendono dalle cellule ospiti (batteriche, vegetali o animali) per riprodursi. I virus sono classicati per natura, struttura del genome e secondo la modalità di riproduzione: esistono virus a DNA e virus a RNA. Dato che l’RNA è a lamento singolo, si risolve il problema della duplicazione con la trascrizione da RNA a RNA da cui si ottiene poi un RNA complementare al loro genoma che viene usato per sintetizzare copie del genoma virale attraverso la trascrizione. Esistono però virus a RNA a singolo lamento che sono suddivisi in RNA virus a polarità + e polarità -. Dunque il materiale genetico di questi virus è l’RNA ed essi si replicano nel citoplasma ma alcuni virus a RNA a singolo lamento a polarità + utilizzano un metodo diverso di replicazione. Si tratta dei retrovirus che utilizzano la trascrizione inversa per creare una copia di DNA a doppio lamento del genoma RNA. Dato che la trascrizione dell’RNA non comporta i meccanismi di controllo degli errori presenti nella trascrizione del DNA, i retrovirus ma anche altri virus a RNA sono predisposti a mutazioni. Esempi di retrovirus sono la leucemia e il virus dell’immunodecienza umana (HIV) che provoca l'AIDS (sindrome da immunodecienza acquisita). Il genoma del virus dell’immunodecienza umana non si duplica però da RNA a RNA, ma dopo aver infettato la cellula ospite esegue una copia in DNA del proprio genoma e la usa per produrre altro RNA. Questo RNA serve sia come stampo per fare altre copie del genoma virale, sia come mRNA per produrre le proteine virali. Esempi di virus a RNA sono il rareddore, la SARS, l’inuenza, l’Ebola, l’epatite C e la COVID-19. I virus a RNA I virus a RNA contengono all’interno del capside una molecola di RNA anziché di DNA. Questi virus sono responsabili di molte malattie umane: alcune con sintomi in genere non molto gravi, come il rareddore e l’inuenza, altre invece molto più gravi, come l’AIDS e la SARS (un’infezione dei polmoni detta sindrome respiratoria acuta). L’infezione di una cellula da parte di un virus a RNA avviene in modo simile a quello descritto per i virus a DNA e permette al virus di introdurre la sua molecola di RNA nella cellula ospite. Le cellule non duplicano l’RNA, ma costruiscono le loro molecole di RNA a partire dal proprio DNA; per questo motivo, esse non replicano la molecola di RNA del virus. I virus a RNA riescono però ugualmente a procedere nell’infezione in due modi. Alcuni virus, detti retrovirus, al momento dell’infezione introducono nella cellula, oltre al proprio RNA, anche una particolare proteina, l’enzima trascrittasi inversa, che serve a produrre una molecola di DNA virale a partire da quella di RNA del virus. Al termine di questa operazione, all’interno della cellula ospite sarà presente una molecola di DNA che contiene le informazioni necessarie a produrre nuove copie dell’RNA virale e le sue proteine. Altri virus, come quelli dell’inuenza e della SARS, introducono nella cellula ospite solo il proprio RNA. Tra le istruzioni contenute nell’RNA virale vi sono anche quelle per creare un enzima, detto RNA replicasi, che interviene nel processo di produzione di molecole di RNA a partire da altre molecole di RNA e permette Le misure di contenimento della diusione del SARS-CoV-2 Per interrompere il passaggio di virus da una persona all’altra, è importante conoscere alcune delle sue caratteristiche biologiche, come la modalità di trasmissione e il tempo di sopravvivenza al di fuori dell’organismo. Tutti i virus, per propagarsi, hanno bisogno di un organismo in cui riprodursi. Questo non signica, però, che le particelle virali non siano in grado di sopravvivere anche quando sono rilasciate nell’ambiente, per esempio con uno starnuto o un colpo di tosse. Il periodo di sopravvivenza sui diversi tipi di supercie dipende dal tipo di virus e dalle condizioni ambientali. Nel caso del coronavirus SARS-CoV-2 una risposta denitiva non è ancora disponibile: un primo studio sembra indicare che il virus possa sopravvivere no a 3 ore nelle goccioline (droplet) emesse con lo starnuto o i colpi di tosse o nell’aereosol emesso quando si parla o si espira, circa un giorno sulle superci di cartone e più giorni sulla plastica e sull’acciaio inossidabile. Tuttavia, come molti altri virus, anche i coronavirus sono sensibili all’azione del sapone e dei disinfettanti a base di alcol (etanolo) o di ipoclorito di sodio (contenuto, per esempio, nella candeggina): la prima raccomandazione è quindi quella di lavarsi spesso le mani e di pulire le superci con interventi di sanicazione mirati, come quelli previsti per i mezzi pubblici o le scuole. Per contenere la diusione di un virus che si trasmette per via aerea, la misura più ecace rimane quella del distanziamento sociale: una distanza di almeno un metro dovrebbe essere suciente per evitare che il virus possa trasmettersi da un individuo all’altro. Questo è il motivo per cui, di fronte alla minaccia del nuovo coronavirus, molti paesi (compresa l’Italia) hanno deciso di chiudere le scuole e limitare gli spostamenti, in modo da evitare gli assembramenti di persone nei luoghi chiusi o sui mezzi pubblici. Oltre a proteggere le fasce della popolazione più a rischio, il rispetto di queste indicazioni ha l’obiettivo di ridurre la pressione sul sistema sanitario e di limitare i rischi per medici, infermieri e tutti coloro che lavorano negli ospedali. L’inuenza L’inuenza è un’infezione virale che colpisce soprattutto naso, gola e bronchi, e meno spesso i polmoni. L’infezione dura generalmente una settimana ed è caratterizzata da picchi di febbre alta, dolori muscolari, mal di testa, tosse, mal di gola e perdita di muco dal naso. Nella maggior parte dei casi la guarigione avviene spontaneamente dopo alcuni giorni, senza l’intervento del medico o senza assumere farmaci specici, con le sole accortezze di rimanere al caldo e al riposo e di reintegrare i liquidi persi. Tuttavia, l’inuenza può causare conseguenze anche gravi nelle cosiddette «categorie a rischio», come i neonati, i bambini, gli adulti sopra i 65 anni e gli individui aetti da altre patologie (per esempio malattie dell’apparato respiratorio o decit del sistema immunitario). Ogni anno è possibile vaccinarsi contro l’inuenza stagionale: il vaccino è consigliato alle persone che potrebbero subire gravi conseguenze dall’infezione, come quelle che fanno parte delle categorie a rischio. I virus inuenzali I virus responsabili dell’inuenza sono virus a RNA: ne esistono tre tipi, distinti dalle lettere A, B e C. I virus A sono i più comuni e diusi e sono anche quelli che causano i sintomi più gravi; sono ulteriormente suddivisi in sottotipi, a seconda delle dierenti glicoproteine (molecole formate da una proteina e uno zucchero) che si trovano sul capside che racchiude il genoma virale. Alcune di queste glicoproteine sono: neuraminidasi (contraddistinte dalla lettera N), altre sono emoagglutinine (indicate dalla lettera H). Le glicoproteine possono combinarsi in modo assortito: per esempio, il virus dell’inuenza aviaria di cui si è sentito parlare nel 2005 è un virus H5N1, mentre il virus dell’inuenza suina (o messicana) del 2009 è un virus H1N1. Queste glicoproteine sono molto importanti perché sono le molecole che permettono al virus di entrare e uscire dalla cellula ospite. Il virus dell’inuenza ha la massima diusione quando la temperatura dell’aria è tra i 30 °C e i 35 °C. Nonostante questo è molto più comune ammalarsi in inverno piuttosto che in estate. La ragione è che i luoghi ideali per la diusione del viru sono gli ambienti chiusi, riscaldati, molto aollati e con poco ricambio d’aria, come i mezzi pubblici, le aule scolastiche, i centri commerciali e le palestre. In inverno si passa molto più tempo in questi luoghi e la trasmissione virale da un individuo all’altro avviene con frequenza maggiore rispetto all’estate, quando invece la trasmissione è ridotta dal fatto che passiamo più tempo all’aria aperta. Inoltre, gli scienziati ritengono che l’aria fredda e povera di umidità, tipica dell’inverno, faccia seccare le nostre mucose nasali, indebolendo in questo modo le nostre difese e favorendo l’infezione virale. Il vaccino contro l’inuenza La ricorrenza annuale dell’inuenza potrebbe farci pensare che basti vaccinarsi una volta sola per rimanere protetti a lungo. Purtroppo non è così, perché l’immunità conseguente alla vaccinazione anti-inuenzale dura infatti solo 6-8 mesi, e non basta dunque a proteggerci per due stagioni consecutive. Inoltre, da una sta- gione inuenzale all’altra, il virus non è esattamente identico a quello della stagione precedente perché, mentre si replica nelle cellule ospiti, il suo RNA muta rapidamente per errori nella copiatura della sequenza di nucleotidi; queste mutazioni rendono necessario vaccinarsi di nuovo. La buona notizia però è che si può arrivare «preparati» all’ondata stagionale di inuenza; le stagioni, e quindi l’inverno, cadono in periodi diversi nell’emisfero australe rispetto a quello boreale, dandoci così l’opportunità di conoscere in anticipo le varianti virali in circolazione. Infatti, i virus che causano l’epidemia a Sud dell’Equatore (dove è inverno quando da noi è estate) saranno con buona probabilità quelli che colpiranno l’emisfero Nord nel nostro periodo invernale. L’identicazione dei virus inuenzali circolanti è operata da una rete di laboratori-sentinella in tutto il mondo. I dati raccolti sono poi inviati all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che pubblica le raccomandazioni riguardo alla composizione dei vaccini. Di solito, la composizione vaccinale per la stagione inuenzale nell’emisfero Nord è stabilita dall’OMS nel mese di febbraio in vista dell’inverno seguente, mentre quella per l’emisfero Sud nel mese di settembre. L’OMS provvede anche a fornire ai produttori di vaccini i ceppi virali di riferimento, in modo da garantire un’identica composizione per tutti i vaccini prodotti da ditte diverse. Lo studio delle epidemie e delle pandemie Le epidemie annuali di inuenza e le pandemie sono oggetto di studio dell’epidemiologia, la disciplina della medicina che studia la distribuzione delle malattie o di altri eventi sanitari in una popolazione (per esempio le morti, gli infortuni, le risposte ai farmaci o ai vaccini) e ne indaga le cause o i fattori che ne modicano la frequenza. L’epidemiologia permette di studiare lo stato di salute delle popolazioni e di capire che cosa lo determini; inoltre, ore alla sanità pubblica gli strumenti per programmare gli interventi più idonei e rappresenta un pilastro dell’igiene, la disciplina che ha l’obiettivo di promuovere e conservare la salute individuale e collettiva attraverso la prevenzione delle malattie. Per comprendere come un’epidemia emerge e si dionde è importante ricostruire la catena di contagio. In questo modo si conoscono alcuni aspetti chiave: la modalità di trasmissione dell’infezione; il periodo di incubazione, cioè il periodo di tempo che intercorre fra il contagio e lo sviluppo dei sintomi; la contagiosità, cioè la capacità dell’agente patogeno di trasmettersi da un ospite a un altro. È quindi fondamentale monitorare l’andamento dell’epidemia con un’analisi temporale (curva epidemica), spaziale (distribuzione geograca) e delle caratteristiche personali dei casi (gruppo di età, sesso, occupazione). La forma della curva epidemica fornisce importanti informazioni sulle possibili modalità di trasmissione della malattia. Il rapporto tra l’ambiente e le pandemie virali A seguito dell’emergenza dovuta alla diusione del SARS-CoV-2, gli scienziati si sono concentrati sullo studio della relazione tra l’ambiente in cui viviamo e le pandemie di origine virale. Sono così emerse alcune ipotesi che, se confermate, ci potrebbero aiutare a capire come prevenire la prossima epidemia e potrebbero aiutare anche a far ripartire l’economia, che ha subito danni enormi a causa della pandemia. La collaborazione tra virologi, ecologi e climatologi ha dimostrato, già da alcuni anni, che un utilizzo intensivo e non sostenibile del territorio aumenta il pericolo di diusione delle zoonosi, cioè delle malattie che sono trasmesse agli esseri umani da altre specie animali. Molti virus provengono da animali selvatici Le popolazioni di animali selvatici sono spesso un «serbatoio» di virus e batteri con i quali queste popolazioni hanno imparato a convivere, dato che nel tempo il loro sistema immunitario ha sviluppato l’immunità a questi agenti di malattia. La deforestazione delle aree tropicali e la rapida diusione delle attività umane (come l’agricoltura, l’estrazione di minerali, l’allevamento, l’urbanizzazione) in territori prima dominati dagli alberi e dalle specie animali a loro legate, aumentano le probabilità di contatto tra gli esseri umani e le popolazioni di animali «serbatoio». La distruzione o il degrado dell’habitat forestale di una specie può, per esempio, spingere le specie selvatiche ad avvicinarsi alle città, frequentando parchi e giardini come «sostituti» dell’habitat naturale ormai perduto. È quello che si è vericato in Costa d’Avorio, Repubblica Democratica del Congo e Gabon per il virus Ebola, del quale sono stati vettori pipistrelli e scimpanzé spinti a frequentare le aree urbane in seguito alla perdita del loro habitat naturale. Il legame tra le pandemie e i cambiamenti climatici Il rapporto tra i cambiamenti climatici registrati sul nostro pianeta negli ultimi decenni e la diusione dei virus è stato dimostrato in modo inequivocabile. Il riscaldamento globale per esempio favorisce la diusione di virus, e in alcuni casi anche di batteri, in territori precedentemente non interessati dalla loro presenza: è il caso del virus Zika, un virus a RNA che causa una febbre, generalmente di lieve entità. Questo virus è trasmesso agli esseri umani da una zanzara del genere Aedes il cui habitat, un tempo limitato alla fascia intertropicale, si sta velocemente espandendo verso nord a causa dell’aumento delle temperature e dell’umidità atmosferica. Inoltre, alcuni biologi ritengono che lo scioglimento dei ghiacciai e del permafrost (lo strato di terreno perennemente gelato presente alle alte latitudini) conseguente al riscaldamento globale, potrebbe portare in circolazione antichi virus oggi sconosciuti. Diusione del virus SARS-CoV-2 e qualità dell’aria
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