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Geografia delle lingue, Dispense di Geografia

trascrizione delle slides di geografia delle lingue

Tipologia: Dispense

2023/2024

Caricato il 29/06/2024

LuanaDiTrani
LuanaDiTrani 🇮🇹

2 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Geografia delle lingue e più Dispense in PDF di Geografia solo su Docsity! Pagina di 1 233 “1” Cosa è la Geografia? A che serve la Geografia? Come può essere utile la Geografia in un Corso di Lingue? La geografia come campo di indagine antico Ad Anassimandro di Mileto (610-546 a.C.), filosofo ionico discepolo di Talete, viene tradizionalmente attribuita una prima mappa del mondo, ma né Erodoto né Aristotele ne danno notizia. Secondo Diogene Laerzio, il commentatore del secolo III d.C. dal quale deriviamo molte delle notizie sui filosofi della Scuola Ionica, Anassimandro fu il primo a tracciare uno schema (perimetron ) del mondo, e pure il primo a costruire un globo. Più tardi Eratostene di Cirene (276 c. -194 c. a.C.), filosofo, matematico e bibliotecario ad Alessandria, grazie al suo ruolo disponeva di tutte le informazioni relative alle conoscenze geografiche fino a quel tempo trascritte, così da indurlo a scrivere la sua opera Geographika , in cui viene utilizzato per la prima volta il termine geografia, sebbene di essa sia rimasto solo qualche frammento. Effettuò inoltre la prima misura delle dimensioni della Terra con una approssimazione veramente singolare considerati le tecniche ed i mezzi all’epoca impiegati.La riscoperta della cartografia e della geografia A partire dal XVI secolo, si registrò una rinnovata rifioritura degli studi geografici, astrologici e cartografici; l’approfondimento e il rinnovato studio di tali materie permise di riacquistare alla geografia il carattere di universalità avuto nella scienza greca. L’invenzione della stampa, la scoperta di nuove terre da parte dei grandi navigatori oceanici, quali Cristoforo Colombo (1451-1506), Amerigo Vespucci (1454-1512), Giovanni Caboto (1450 circa-1498 circa) e Ferdinando Magellano (1480-1521) nonché il forte interesse politico venutosi a creare intorno ai nuovi territori crearono l’humus adatto per lo sviluppo di nuove problematiche inerenti alle tecniche cartografiche allora conosciute. La sfericità della terra diventò un concetto affermato. La navigazione a stima fu abbandonata. Crebbe il bisogno di mezzi strumentali e cartografici Pagina di 2 233 sempre più precisi. Ed in questo clima, furono riconsiderati i sistemi di riferimento geografici.Due differenti sguardi sulla geografia "Che cos’è un geografo?" "È un sapiente che sa dove si trovano i mari, i fiumi, le città, le montagne e i deserti". (…) "Le geografie", disse il geografo, "sono i libri più preziosi fra tutti i libri. Non passano mai di moda. È molto raro che una montagna cambi di posto. È molto raro che un oceano si prosciughi. Noi descriviamo delle cose eterne". Antoine de Saint-Exupéry, Il piccolo principe, 1943 È l’uomo che conferisce alla Terra un significato, un destino, un motivo per esistere. Tutti gli aspetti e le forze della Terra diventano geografici soltanto nell’incontro con l’uomo. La geografia non esiste infatti senza la natura ma nemmeno senza l’uomo. Con la conoscenza geografica comprendiamo sempre meglio il mondo ma anche noi stessi e il dovere di ciascuno e di tutti di operare a beneficio dell’intera umanità. Osvaldo Baldacci (1914-2007) Perché la geografia (1978) il corso di Geografia si incentra sulle relazioni tra uomo e ambiente, perciò: una gran parte della nostra attenzione sarà rivolta allo studio delle “impronte” che l’uomo lascia sulla Terra. I campi di studio della geografia: L’uomo rientra in questo campo di studio sotto un duplice aspetto: in primo luogo egli è sensibile – nel modo di distribuirsi sulla Terra e nella estrinsecazione della sua a t t i v i t à – a l l ’ i n fl u e n z a dell’ambiente fisico in cui vive, dato che questo può essere più o meno ostile alla sua vita e alla sua diffusione: si Pagina di 5 233 distanza (ICT), cosicché, secondo gli autori che seguono tale impostazione, diventa sempre più irrilevante e ridondante il significato di localizzazione e e luogo. Thomas Friedman scrive nel 2006 il libro «The World is Flat». Già nel passato diversi autori avevano parlato di «mondo senza confini», o di «processo di deterritorializzazione» o di «scomparsa della distanza», ma egli categorizza i fattori determinanti del cosiddetto progressivo «appiattimento» del mondo.Il mondo si va appiattendo? Le «forze» per Friedman che hanno spinto verso l’appiattimento del mondo sono le seguenti:«The world is spiky» Richard Florida su The Atlantic nel 2005 fornisce una prima risposta denotando alcune situazioni di concentrazione: Lo sviluppo urbano, che concentra popolazione e attività economiche: Populationdensity isofcourse acrude indicator ofhuman andeconomic activity. But it does suggest that at least some of the tectonic forces of economics are concentrating people and resources, and pushing up some place smore than others . Still, differences in population density vastly understate the spikiness of the global economy ; the continuing dominance of the world's most productive urban areas is astounding . L’innovazione sempre più concentrata: Population and economic activity are both spiky, but it's innovation —the engine of economicgrowth—that is most concentrated. So although one might not have to emigrate to innovate, it certainly appears that innovation ., economic growth, and prosperity occur in those places that attract a critical mass of top creative talent .Perché il mondo sembra piatto secondo Florida. The world today looks flat to some because the economic and social distances between peaks worldwide have gotten smaller. Connection between peaks has been strengthened by the easy mobility of the global creative class—about 150 million people worldwide. They participate in a global technology system and a global labor market that allow them to migrate freely among the world's leading cities. Dunque, le rafforzate interazioni sociali permettono, grazie anche ai nuovi mezzi di comunicazione, di avvicinare le aree “aguzze” del pianeta, ossia le aree di concentrazione. Ma per le periferie che succede? Pagina di 6 233 Le periferie secondo Florida Economic and demographic forces are sorting people around the world into geographically clustered "tribes" so different (and often mutually antagonistic) as to create a somewhat Hobbesian vision. We are thus confronted with a difficult predicament. Economic progress requires that the peaks grow stronger and taller. But such growth will exacerbate economic and social disparities, fomenting political reactions that could threaten further innovation and economic progress. Managing the disparities between peaks and valleys worldwide - raising the valleys without shearing off the peaks - will be among the top political challenges of the coming decades.Le dimensioni della scienza contemporanea Parallelamente alle trasformazioni profonde coinvolgenti il sistema economico in cui viviamo, il progetto scientifico e il modo di ragionare delle scienze sociali è andato segnando un punto di svolta progressivo e con esso le proposte, le implicazioni e il linguaggio dei saperi territoriali. Il segno del mutamento è dato dalle conseguenze di vasta portata connesse all’introduzione, nel progetto esplicativo della scienza contemporanea, delle tre fondamentali dimensioni del tempo, dello spazio e della soggettività, ovvero i tre capisaldi intorno ai quali il sapere è andato rifondandosi per padroneggiare un mondo caratterizzato da incertezza, instabilità e ingovernabilità. (Conti, 2012, p. XI)La dimensione storica La nuova faccia della scienza si caratterizza quindi per premesse concettuali profondamente diverse dal passato. Il primo punto fermo riguarda il tempo che esprime un’evoluzione non già verso l’equilibrio, ma qualcosa di molto più problematico, soggetto a dinamiche molteplici che non permettono in alcun modo di prevedere gli sviluppi futuri. La storia risulta pertanto una componente ineliminabile in ogni valida interpretazione dei fenomeni economici e sociali. (Conti, 2012, p. XI).La dimensione spaziale. La rivincita della storia non può essere separata da quella della dimensione spaziale (territoriale). Lo spazio non è una cosa morta, ma una molteplicità di rapporti economici, sociali, culturali. Esso è quindi multidimensionale ed eterogeneo, non scomponibile indifferentemente in parti, così come le parti non sono riassumibili nel tutto. La sua strutturazione è certamente anche l’espressione dell’attività economica, ma questo non è che un aspetto, sicuramente importante, di un intreccio di forze e di processi tra loro non scomponibili. (Conti, 2012, p. XI).La dimensione soggettiva. Un terzo punto fermo è conseguente ai precedenti. Nessun percorso scientifico è sufficiente, da solo, a dare intellegibilità a un Pagina di 7 233 mondo la cui complessità non può prevedere una spiegazione compiuta. È dunque necessario svelare l’illusione della soggettività della conoscenza. L’osservatore, indissociato dalla propria cultura, dal proprio linguaggio disciplinare e dal proprio progetto conoscitivo, rientra così irrimediabilmente nel discorso scientifico. Se la realtà possiede molteplici dimensioni, ogni sua interpretazione sarà quindi un «punto di vista» in un unico processo conoscitivo di fenomeni che, per poter essere compresi, devono appunto essere osservati nei loro molteplici aspetti. Non ci sono dubbi che i maggiori progressi della scienza contemporanea si sono avuti introducendo l’osservatore nell’osservazione. “2” Il termine Ecumene, già adoperato dai Greci per indicare la terra conosciuta ed abitata, venne ripreso dal Ratzel nel senso di “territorio in cui l’uomo è a casa sua”. Possiamo più ampiamente definire l’ecumene come lo “spazio terrestre esteso fin dove l’uomo, grazie alla sua adattabilità all’ambiente e al progresso delle sue tecniche di sfruttamento del suolo, riesce ad abitare durevolmente in normali condizioni di vita. Per contrapposto si chiama Anecumene l’insieme delle aree permanentemente disabitate. L’anecumene può esservi per: limiti di temperatura; limiti di altitudine; limite di aridità; altri limiti (luoghi insalubri).Il limite tra ecumene ed anecumene non è una linea, ma una fascia più o meno larga, in cui sono presenti gruppi di uomini senza abitazioni stabili; a tale fascia si dà il nome di Subecumene. Secondo il Ratzel i popoli qui presenti sono “popoli marginali” (Randvölker), che possono vivere o in condizioni divenute stabili nel tempo, oppure tendere all’estinzione. In alta montagna, tra il limite dell’ecumene (che coincide più o meno col limite delle colture) e le aree sommitali prive di vegetazione, si interpongono fasce subecumeniche, cui i pastori fanno salire le mandrie e le greggi in estate per sfruttare i pascoli, e ne ridiscendono col sopravvenire della cattiva stagione. La popolazione nel Mondo vive distribuita in modo ineguale: innanzitutto, quasi tutta la popolazione vive nell’emisfero boreale; gran parte di essa si concentra nella zona temperata e Pagina di 10 233 miliardi. Attualmente la popolazione mondiale è poco meno di 7,4 miliardi di individui. Nel 2050, secondo le proiezioni ONU si dovrebbero raggiungere i 9,7 miliardi. Nel 2100 si dovrebbe avere una popolazione di circa 11,2 miliardi. La rivoluzione demografica L’accelerazione del ritmo di incremento, nota col nome di rivoluzione demografica, fu dovuta soprattutto alla «ritirata della morte», ossia alla riduzione del tasso di mortalità, soprattutto infantile, cui hanno contribuito in notevole misura i progressi della medicina e il miglioramento delle condizioni di vita a partire dalle regioni più evolute. “3” I movimenti naturali di popolazione: la natalità La natalità si definisce in valore assoluto come “numero dei nati in un anno solare” e in valore relativo come rapporto fra il numero dei nati in un anno e il totale della popolazione residente moltiplicato per mille (tasso di natalità).
 Quasi ovunque nel mondo è più elevata la natalità maschile, ma poiché i maschi accusano una più forte mortalità, nelle classi adulte si stabilisce un certo equilibrio, mentre nelle classi anziane il rapporto tende addirittura a capovolgersi per effetto della maggiore longevità femminile. Per analizzare la natalità è importante anche valutare il tasso di fecondità (numero dei nati per mille donne in età feconda, in genere compresa tra i 15 e i 49 anni di età). I movimenti naturali di popolazione: la mortalità Con una tipologia di calcolo simile si può calcolare l’indice di mortalità. Particolarmente rilevante per osservare le condizioni di salute di una popolazione è il calcolo dell’indice di mortalità infantile, ossia il rapporto fra il numero di bambini morto a meno di un anno di vita sul totale dei neonati. Anche il tasso di mortalità a meno di 5 anni di vita è particolarmente preso in considerazione nelle statistiche ufficiali internazionali. La transizione demografica Pagina di 11 233 Secondo questa teoria, basata su dati osservati, il tasso naturale (ovvero il saldo tra indice di natalità meno l’indice di mortalità) si sviluppa con una funzione simile a quella della curva logistica. La transizione demografica: la prima fase In una prima fase si ha il tipo primitivo, caratterizzato da un’elevata natalità, ma anche da una mortalità molto alta; le classi giovanili sono molto più numerose di quelle anziane e la durata della vita è molto bassa. La transizione demografica: la seconda fase Il tipo in via di evoluzione è proprio delle popolazioni che da non molto tempo e soltanto parzialmente si vanno modernizzando e manifestano oggi i più vistosi incrementi naturali. La natalità si mantiene molto alta e la mortalità ha iniziato una rapida curva discendente grazie alla lotta contro le malattie endemiche e alla progressiva introduzione della medicina moderna. Sono le popolazioni destinate nei prossimi anni a conoscere un boom spettacolare, poiché la ritirata della morte può venire ulteriormente accelerata, mentre è difficile una sostanziale diminuzione delle nascite. La transizione demografica: la terza fase Si può distinguere, poi, un tipo ad uno stadio di sviluppo avanzato, in quanto, il tasso di mortalità scende di molto, cosicché i tassi di incremento naturale sono elevatissimi, che però sono sul punto di ridursi piuttosto che di crescere. La transizione demografica: la quarta fase Tipo a natalità diminuita e bassissima mortalità, in cui diminuisce sempre più il tasso naturale e si cominciano ad avere politiche sul controllo delle nascite. La Zero Population Growth Nell’ultimo stadio della transizione demografica, come si è visto, vi è un ritorno a un incremento demografico vicino allo zero (ZPG=Zero Population Growth), simile a quello della fase pre-transitoria, con l’abbassamento dei tassi di natalità. Alla teoria della transizione demografica sono state mosse alcune critiche. Una di queste è che si tratterebbe di una teoria ottimistica e deterministica che lascia al “normale corso degli eventi” il compito di Pagina di 12 233 ristabilire l’equilibrio demografico. Sarebbe a dire che coloro che fanno uso della teoria della transizione demografica per spiegare lo sviluppo demografico a livello globale, lasciano implicitamente intendere che, tutto sommato, i Paesi che oggi si trovano in una situazione demografica in piena fase di transizione e con alti tassi di incremento della popolazione, presto o tardi cominceranno a vedere scendere i loro tassi di natalità, come è già avvenuto per i paesi industrializzati. Effettivamente, la teoria della transizione demografica fu elaborata sul calco dello sviluppo demografico dei Paesi occidentali (e dell’Europa, in particolare). Per questa ragione si tende, ormai, a diffidare della sua portata “globale”, specie per quanto riguarda la sua capacità di lettura e di interpretazione dei fenomeni demografici in atto nei PVS. Il timore è quello che, a causa delle oggettive condizioni di degrado economico-sociale e ambientale, si possa instaurare in diversi di questi Paesi uno sviluppo demografico che prescinda dalla transizione demografica “classica”, per portarsi verso una transizione demografica “maligna”, che sostituisce il terzo stadio con uno in cui i tassi di mortalità raggiungono nuovamente i tassi di natalità, tornando a una situazione simile a quella del primo stadio della transizione. In tal modo si avrebbe una ZPG, ma dovuta a un netto peggioramento delle condizioni di vita. I limiti allo sviluppo demografico Il primo approccio sistematico al rapporto fra incremento demografico e scarsità delle risorse (alimentari) lo si ha già nell’opera di Thomas Malthus (1766-1834), secondo il quale poiché la popolazione ha un incremento esponenziale, mentre la produzione di alimenti ha una crescita lineare, ben presto la popolazione non potrà più crescere ulteriormente, in quanto verrebbero a mancare gli alimenti (la capacità di carico sarà raggiunta). Infatti, nonostante l’aumento di popolazione potrebbe significare un aumento di forza lavoro e dunque una messa a colture di maggiori quantità di terre, in realtà – per la teoria dei rendimenti decrescenti – un aumento di uno dei fattori della produzione (in questo caso, il lavoro) non dà un aumento proporzionale della produzione, anche perché – nel caso delle risorse alimentari – avendo bisogno di produrre più di quanto si produca normalmente, si mettono a coltura terre marginali con scarsa fertilità. Pagina di 15 233 condizione di stabilità ecologica ed economica in grado di protrarsi nel futuro. La condizione di equilibrio globale potrebbe essere definita in modo tale che venissero soddisfatti i bisogni materiali degli abitanti della Terra e che ognuno avesse le stesse opportunità di realizzare compiutamente il proprio potenziale umano”. Nel 1992 gli Autori hanno proposto un primo aggiornamento di quel Rapporto dal titolo “Oltre i limiti dello sviluppo”. Essi adottano il concetto di sviluppo sostenibile, ma ne danno una interpretazione in cui vengono riproposti limiti assoluti allo sfruttamento delle risorse e alla crescita economica, affermando che la situazione attuale è insostenibile, proprio perché tali limiti sono costantemente superati. I ricercatori del MIT dicono che sono tre i modi principali per rispondere a un segnale di superamento dei limiti di sostenibilità: ignorare il problema o scaricarlo sugli altri; alleviare le pressioni mediante artifici tecnici o economici che non modificano le cause sottostanti; fare un passo indietro e cambiare la struttura del sistema socioeconomico umano. Ancora una volta gli Autori ribadiscono che sostenibilità non significa che non vi debba essere alcuna crescita economica, ma essa dovrebbe essere indirizzata per il prioritario sviluppo di quanti ne hanno più bisogno, ridistribuendo le ricchezze e contenendo il consumo di risorse e le emissioni di sostanze inquinanti dei più ricchi. Nel 2004 vi è stato un nuovo aggiornamento, “I nuovi limiti dello sviluppo”, in cui gli autori sostengono, in sintesi, che si deve accettare l'idea della finitezza della Terra, che è necessario intraprendere più azioni coordinate per gestire tale finitezza, che gli effetti negativi dei limiti dello sviluppo rischiano di diventare tanto più pesanti quanto più tardi si agirà. Essi prospettano quindi una rivoluzione sostenibile: di lunga durata come le precedenti, per nulla simile a cambiamenti repentini come la rivoluzione francese, in grado di dare nuove risposte al problema millenario della vita umana sulla Terra. Notano, tuttavia, che la rivoluzione sostenibile dovrà essere accompagnata ben più delle precedenti dalla consapevolezza della sua necessità e degli obiettivi di massima da raggiungere. Una società sostenibile, dicono, deve anche essere una società solidale e con diseguaglianze contenute: ricchezze eccessive inducono Pagina di 16 233 comunque un consumo sostenuto delle risorse naturali ed un crescente inquinamento, mentre una povertà diffusa esporrebbe il pianeta al peso insostenibile di una crescita esponenziale della popolazione. Gli autori rifiutano l'obiezione secondo la quale la tecnologia ed i meccanismi automatici del mercato sono sufficienti ad evitare il collasso del sistema. Propongono al riguardo l'esempio della pesca: lo sfruttamento sempre più intenso di una risorsa naturale di per sé rinnovabile ha condotto al depauperamento della fauna ittica, al punto che il prodotto della pesca comincia a diminuire. La tecnologia ha reso la pesca sempre più aggressiva (sonar, individuazione di branchi tramite satelliti, ecc.), il mercato ha reagito alla scarsità aumentando il prezzo, trasformando così un alimento per poveri in un alimento per ricchi. Pagina di 17 233 La piramide demografica La piramide demografica è un particolare diagramma a barre, che ci permette di visualizzare la struttura della popolazione in base alle classi di età di cui è composta e il genere. Pagina di 20 233 MACROAREE 1950- 1955 1960- 1965 1970- 1975 1980- 1985 1990- 1995 2000- 2005 2010- 2015 2015- 2020 MONDO 45,49 49,55 56,17 59,85 62,24 64,81 68,53 69,92 AFRICA 36,28 41,13 45,19 49,23 50,17 51,96 58,58 60,90 ASIA 41,48 45,62 55,31 59,99 63,35 66,65 69,80 71,20 EUROPA 60,99 66,03 66,89 67,57 68,46 69,61 73,60 74,95 AMERICA LATINA E CARIBI 49,69 54,74 58,80 62,40 65,83 69,01 71,19 72,02 NO D AMERICA 65,91 66,94 67,86 70,92 72,46 74,80 76,83 76,69 OCEANIA 56,98 60,91 63,47 66,91 69,87 72,59 75,36 76,46 MACROAREE Speranza di vita alla nascita Femmine 1950- 1955 1960- 1965 1970- 1975 1980- 1985 1990- 1995 2000- 2005 2010- 2015 2015- 2020 MONDO 48,49 52,86 60,02 64,35 66,98 69,36 73,31 74,72 AFRICA 38,75 43,81 48,07 52,29 53,75 55,13 61,93 64,44 ASIA 43,20 47,43 57,49 63,00 66,74 70,12 74,01 75,49 EUROPA 66,16 72,09 74,10 75,58 76,87 78,08 80,71 81,63 AMERICA LATINA E CARIBI 53,21 58,94 63,77 68,32 72,20 75,55 77,71 78,49 NO D AMERICA 71,81 73,72 75,47 78,11 79,19 79,96 81,58 81,63 OCEANIA 61,49 66,16 69,32 73,02 75,36 77,23 79,38 80,45 MACROAREE Speranza di vita alla nascita M+F 2030- 2035 2040- 2045 2050- 2055 2060- 2065 2070- 2075 2080- 2085 2090- 2095 2095- 2100 MONDO 74,79 76,15 77,35 78,41 79,39 80,31 81,24 81,70 AFRICA 66,65 68,73 70,47 71,96 73,26 74,46 75,64 76,23 ASIA 75,83 77,23 78,52 79,70 80,84 81,97 83,14 83,73 EUROPA 80,61 82,01 83,31 84,57 85,87 87,11 88,22 88,78 AMERICA LATINA E CARIBI 77,97 79,67 81,26 82,70 83,99 85,17 86,27 86,81 NO D AMERICA 81,32 82,75 84,08 85,25 86,34 87,37 88,41 88,92 OCEANIA 80,50 81,53 82,46 83,35 84,20 85,11 86,12 86,64 MACROAREE Speranza di vita alla nascita Maschi 2030- 2035 2040- 2045 2050- 2055 2060- 2065 2070- 2075 2080- 2085 2090- 2095 2095- 2100 MONDO 72,45 73,86 75,14 76,29 77,34 78,33 79,31 79,81 AFRICA 64,66 66,61 68,23 69,64 70,92 72,12 73,33 73,94 ASIA 73,70 75,14 76,54 77,86 79,13 80,38 81,65 82,29 Pagina di 21 233 EUROPA 77,64 79,24 80,69 82,13 83,58 84,89 86,07 86,64 AMERICA LATINA E CARIBI 75,05 77,02 78,94 80,65 82,12 83,40 84,56 85,11 NO D AMERICA 79,21 80,92 82,48 83,76 84,86 85,88 86,91 87,41 OCEANIA 78,55 79,54 80,44 81,30 82,13 83,04 84,07 84,60 MACROAREE Speranza di vita alla nascita Femmine 2030- 2035 2040- 2045 2050- 2055 2060- 2065 2070- 2075 2080- 2085 2090- 2095 2095- 2100 MONDO 77,21 78,53 79,66 80,64 81,54 82,41 83,27 83,69 AFRICA 68,67 70,91 72,78 74,34 75,68 76,88 78,02 78,58 ASIA 78,09 79,44 80,61 81,66 82,67 83,69 84,73 85,26 EUROPA 83,54 84,77 85,94 87,04 88,20 89,38 90,44 90,96 AMERICA LATINA E CARIBI 80,88 82,27 83,55 84,73 85,85 86,95 88,02 88,55 NO D AMERICA 83,44 84,59 85,69 86,78 87,85 88,91 89,95 90,48 OCEANIA 82,50 83,55 84,52 85,45 86,34 87,24 88,24 88,73 Paesi con maggiore speranza di vita M+F Età media Paese 1950-1 955 1985-1 990 2015-20 20 2020 Cina, Hong Kong 63,15 76,96 84,63 44,79 Giappone 62,80 78,53 84,43 48,36 Cina, Macao 60,98 76,54 84,04 39,27 Svizzera 69,34 77,23 83,56 43,05 Singapore 60,23 74,93 83,39 42,23 Spagna 64,59 76,86 83,36 44,86 Italia 66,52 76,38 83,28 47,29 Austra lia 69,39 76,19 83,20 37,88 Isole del Canale 69,23 74,94 82,84 42,55 Islanda 72,24 77,61 82,77 37,49 Paesi con minore speranza di vita M+F Età media Paese 1950-1 955 1985-1 990 2015-20 20 2020 Repubblica Centroafricana 32,74 49,64 52,67 17,61 Le sotho 45,00 59,81 53,51 24,01 Ciad 36,06 46,73 53,80 16,55 Pagina di 22 233 “4” The UN Migration Agency (IOM) defines a migrant as any person who is moving or has moved across an international border or within a State away from his/her habitual place of residence, regardless of (1) the person’s legal status; (2) whether the movement is voluntary or involuntary; (3) what the causes for the movement are; or (4) what the length of the stay is. I movimenti migratori influiscono sulla consistenza numerica e sulla distribuzione territoriale dei gruppi umani.
 Li si potrebbe classificare in base all’entità:
 emigrazioni di massa;
 emigrazioni per infiltrazione. Un’altra possibile classificazione riguarda i moventi:
 
 migrazione spontanea;
 migrazioni organizzate;
 migrazioni coatte. Infine, un’altra classificazione attiene alla durata:
 
 migrazioni permanenti;
 migrazioni temporanee;
 spostamenti pendolari residenza-luogo di studio o di lavoro. Migrazioni di popoli
 
 Agli spostamenti di gruppi umani più o meno compatti, o addirittura di interi popoli, si devono imputare i grandi incroci, le sovrapposizioni e interposizioni di gruppi etnici in tutti i continenti e particolarmente nell’Eurasia in epoca remota.
 
 Migrazione degli Indoeuropei o Ariani dall’altopiano iranico.
 Colonizzazione dei Greci e dei Romani.
 Migrazioni germaniche e celtiche.
 Sierra Leone 28,79 39,72 54,07 19,40 Nigeria 33,81 45,95 54,18 18,06 Somalia 33,99 46,38 56,94 16,68 Costa d'Avorio 30,17 53,32 57,25 18,85 Sud Sudan 27,93 41,81 57,43 19,04 Gui ne a -Bi ssa u 35,59 46,30 57,82 18,83 Guinea Equatoriale 33,96 47,70 58,25 22,34 Pagina di 25 233 dopo mesi e a volte anni, come la siccità, la deforestazione, le carestie e l’inquinamento, vengono classificati come “slow-onset disaster” o disastri a lenta insorgenza I profughi ambientali / 3
 
 I rapid-onset disaster sono spesso il prodotto dei slow-onset disaster e dell’attività umana. La presenza di tali disastri ambientali, è dovuta principalmente alla cattiva gestione delle risorse naturali e alla distruzione dell’ecosistema da parte dell’uomo. Basti pensare ad esempio, alla rimozione di alberi o vegetazione in generale (al fine di cementificazione o altre attività commerciali), che può creare condizioni nella quale l’acqua non più trattenuta nel terreno, può provocare inondazioni e frane.
 Sia in caso di disastri a rapida insorgenza che di disastri a lenta insorgenza gli effetti possono essere tragici, a partire dalla distruzione di beni e mezzi di sussistenza, perdite economiche, agli scompensi sociali e psicologici e alla perdita di vite umane. Naturalmente sia gli eventi improvvisi, sia i processi graduali, possono spingere le persone a migrare. I profughi ambientali / 4
 
 Nel 1985 il ricercatore egiziano Essam El-Hinnawi, autore di vari rapporti UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente), ha fornito per la prima volta dei criteri distintivi per i rifugiati ambienti, distinguendone tre tipi:
 
 1. Gli individui che si spostano temporaneamente a causa di stress ambientali, ma successivamente fanno ritorno nei luoghi di provenienza per iniziarvi la ricostruzione;
 
 2. Gli individui che si spostano in maniera permanente e vengono ricollocati in altre aree. Questi tipi di rifugiati subiscono l’effetto dei grandi progetti di sviluppo (come le grandi dighe) e dei disastri naturali;
 
 3. Gli individui che si spostano permanentemente perché non possono essere sostenuti dalle risorse delle loro terre a causa del degrado ambientale. Le guerre e le modificazioni di confini politici hanno sempre portato, come immediata conseguenza, esodi e trasferimenti tumultuosi di Pagina di 26 233 gruppi umani.
 
 Importante fu la nuova definizione dei confini dopo la Seconda Guerra Mondiale.
 Altri esempi: la guerra greco-turca; la scissione dell’India e del Pakistan; la costituzione dello Stato di Israele. Se le migrazioni di popoli e gli esodi coatti hanno avuto un’importanza notevole nelle variazioni del mosaico etnico di vasti territori, i movimenti di colonizzazione hanno contribuito all’espansione umana sulla Terra.
 Nell’età moderna l’Europa avvia un processo di progressiva “europeizzazione” dell’America e dell’Australia. Le cause che spingevano gli emigrati non erano sempre le stesse. Nella maggior parte vi era un eccesso di popolazione nel Paese natale; a ciò si aggiunga l’aleatorietà dell’economia agricola con ricorrenti carestie; infine, molti gruppi erano spinti da motivi religiosi o ideologici, vedendo il Nuovo Mondo come un luogo dove poter realizzare le proprie concezioni spesso utopiche. Fattore importante per la migrazione negli Stati Uniti fu per esempio l’abolizione della schiavitù, con l’impiego progressivo di manodopera europea. 
 Anche il miglioramento dei trasporti marittimi (navi a vapore) contribuì notevolmente all’immigrazione nel Nord America.
 Si può distinguere una vecchia emigrazione dall’Europa del Nord e dell’Ovest, con una nuova emigrazione (a cavallo dell’inizio del Novecento) con protagonisti Europei del Sud e dell’Est.
 La prima guerra mondiale pose fine alla emigrazione di massa nordatlantica. Migrazioni interne
 La mobilità della popolazione all’interno di un territorio nazionale è quasi sempre connessa a incentivi di ordine economico e sociale.
 Le migrazioni interne rispondono ai bisogni dell’organizzazione del territorio nazionale. A seconda dello stadio di evoluzione demografica ed economica delle diverse parti del Paese, la ricerca di un equilibrio può comportare lo spostamento di famiglie da aree sovrapopolate verso zone da bonificare e colonizzare, l’abbandono delle montagne povere e delle campagne arretrate per aree più progredite; il fenomeno dell’inurbamento,… Pagina di 27 233 Migrazioni temporanee
 
 Nomadismo, transumanza, alpeggio.
 
 Migrazioni stagionali;
 
 Pendolarismo (movimenti giornalieri). “5”-“6” Le città si formano quando si realizzano alcune condizioni sociali, politiche e soprattutto materiali a ciò favorevoli.
 
 Esiste in primo luogo un fattore alimentare che alle origini limita non poco il formarsi di aggregazioni di tipo urbano. Nutrire una popolazione fortemente concentrata è possibile solo disponendo di riserve di cibo consistenti, trasferibili, accumulabili e conservabili. Esiste però anche una condizione politica non trascurabile: la città deve poter esercitare una forma di egemonia sulle campagne, poiché queste non avrebbero interesse a rifornirla spontaneamente.
 
 Complementare a ciò è l’esistenza di una rete di comunicazioni, centrata sulla città, efficiente e adatta anche a trasporti di grandi dimensioni. Il processo di formazione di una città viene denominato sinecismo (dal greco syn-oikismos=elezione di un domicilio comune).
 
 Esempi nell’antichità sono quelli egizi, mesopotamici, etruschi, fino all’antica Roma. Se il sinecismo si pone all’origine della formazione della città, in termini materiali o quanto meno politici e amministrativi, la crescita degli agglomerati urbani e il loro mantenimento nel tempo possono dipendere da cause anche totalmente estranee rispetto alle motivazioni iniziali. Si parla allora di “inerzia urbana” per sottolineare un fenomeno abbastanza consueto: quando una città ha preso a esistere si comporta come un essere vivente, nel senso che diventa capace di rinnovare continuamente le sue cellule pur conservando e ripetendo certi caratteri originari. L’inerzia urbana non è stasi ma moto uniforme o uniformemente accelerato. Una delle caratteristiche pressoché costanti di un Pagina di 30 233 Le città, però, funzionano come sistemi aperti, che intrattengono con il resto del territorio interscambi di materia, energia, ecc. Esse inoltre sono collegate tra loro da analoghe interazioni e in questo senso si parla di reti urbane. Come infrastruttura connettiva territoriale la rete urbana svolge due azioni essenziali:
 la valorizzazione delle risorse locali;
 il miglioramento dell’efficienza delle interconnessioni con i circuiti nazionali e internazionali, individuando dei nodi e delle polarizzazioni. A partire dalle reti, dai sistemi territoriali urbani, si possono creare interconnessioni maggiori tra alcuni di essi, venendosi a creare un unico mega-sistema urbano, che possono essere definito megalopoli. • Megalopoli: conurbazione di più metropoli (già realizzata o in formazione) che dà vita a un continuum urbano, soprattutto lungo le più importanti vie di comunicazione • BoWash (Boston – Washington) – studiata da Gottmann (1961), conurbazione costiera, mostra la tendenza alla piena conurbazione (pur con aree interstiziali) • Fasi di sviluppo: – 1950-1970: crescita dei sobborghi: suburbanizzazione; – 1970-1990: crescita suburbana rallentata; edge cities, parchi industriali e commerciali fuori città; nuova crescita delle aree centrali – 1990-2000: ritorno al core. Gentrification; preferenza (residenziale, terziaria) per localizzazioni centrali; classe creativa; 
 immigrazione, ristrutturazione economica e gentrification => più alto grado di non equità sociale ed economica. 
 Spostamento di poveri e immigrati verso le vecchie aree suburbane interne. Crescita dei sobborghi, per funzioni specializzate (smart growth), una volta staccati dalla città, ora inglobati nella megalopoli. 
 Sobborghi: industria e commercio(mall ecc.); Centro: servizi selezionati e finanziari • • Megalopoli (v. mappa precedente): 42.400.000 persone nel 2000. • Area extraurbana attorno alla Megalopoli (area di pendolarismo) altri 8 milioni Lo studio geografico della forma urbana si dice spesso morfologia urbana. 
 All’inizio del Ventesimo secolo Carl Sauer proponeva di considerare le località urbane come manifestazioni del rapporto tra società umane e paesaggi naturali. Per Sauer la cultura era il fattore, i paesaggi naturali il mezzo, la pianta e la struttura urbana le forme.
 Due concetti appaiono molto rilevanti:
 Pagina di 31 233 il sito;
 la situazione.
 Il sito si riferisce alle caratteristiche fisiche del terreno su cui la città è insediata, nonché alla sua ubicazione assoluta in termini di coordinate geografiche.
 Con situazione si indica l’ubicazione relativa, cioè la posizione di un insediamento rispetto alle caratteristiche fisiche e culturali delle aree circostanti.
 Le radici delle principali città moderne risalgono ad aggregazioni di case che hanno rappresentato ovunque la regola nella costituzione di un insediamento umano.
 Ancora oggi, nella maggior parte del mondo, chi vive in zone rurali risiede perlopiù in insediamenti formatisi attorno a un nucleo centrale, ovvero in villaggi o borghi piuttosto che in case disperse sul territorio o in fattorie isolate. La definizione geografica di “centro” è: “un agglomerato più o meno grande di case che sia un nucleo di vita socialmente organizzata, in modo da svolgere funzioni di interesse pubblico (amministrative, religiose, commerciali, culturali, ecc.) I villaggi sono centri rurali, cioè abitati da comunità essenzialmente contadine, la cui vita è imperniata sulla utilizzazione del suolo.
 Il metodo di analisi di Demangeon si fonda su tre aspetti fondamentali:
 il sito;
 l’origine;
 la forma. In pianura, l’elemento fisico da tener presente è l’acqua. I centri sono attratti dai corsi d’acqua; ma se questi sono instabili, allora cercano i luoghi un poco elevati (dossi, argini, ecc.). Il centro di ponte, nel punto di incrocio di un fiume con una strada, è generato dal congiunto richiamo dell’acqua e delle vie di comunicazioni. Il centro di confluenza sta nel cuneo delimitato da due fiumi confluenti, che costituiscono una buona difesa naturale. I centri di pianura lontani dai corsi di acqua sono in genere attratti dalle vie di comunicazione (centri di strada, centri di crocicchio). La necessità di vicinanza alle vie di comunicazione si è sentito soprattutto con l’evoluzione tecnologica dei mezzi di trasporto. Più si accentuano le forme del rilievo, più si hanno differenti tipologie di adattamento ad esso:
 1) centri di fondovalle;
 2) centri di pendio;
 3) centri di ripiano o di terrazzo orografico;
 4) centri di sommità o di poggio o di cocuzzolo;
 5) centri di sella o di valico;
 Pagina di 32 233 6) centri di sprone;
 7) centri di dorsale. Tra i vari esempi paradigmatici di villaggi agricoli occorrono menzionare: 
 il villaggio agglomerato (haufendorf), in cui le case, tutte dotate di un piccolo orto, sono disposte senza ordine attorno a uno spiazzo centrale:
 il villaggio rotondo (runddorf), in cui le case si dispongono ad anello a formare un compatto cerchio difensivo attorno ad uno spiazzo, mentre gli orti sono disposti verso l’esterno (tipico dell’agricoltura dell’openfield);
 il villaggio di strada (strassendorf), in cui le case sono allineate lungo una via di comunicazione con gli orti alle spalle.
 L’insediamento sparso sorge successivamente quando non ci sono più pericoli dall’esterno e si necessita di continue cure dei campi (sono tipici dei paesaggi del bocage) e della mezzadria. Quando si sviluppano commerci tra due o più insediamenti rurali, questi ultimi iniziano ad acquisire tratti fisici nuovi via via che i loro abitati intraprendono nuovi tipi di occupazione. I villaggi perdono così il carattere puramente sociale e residenziale tipico degli insediamenti fondati sull’agricoltura. Gli insediamenti non sono quasi più del tutto autosufficienti, ma diventano parte di un sistema di comunità. L’inizio del processo di urbanizzazione è visibile nei tipi di edifici che vengono eretti e nella maggiore importanza assunta dalle vie principali e dalle strade che conducono ad altri insediamenti. L’ubicazione di ciascun villaggio rispetto agli altri diventa rilevante man mano che gli insediamenti rurali un tempo autosufficienti si trasformano in cittadine dedite alle attività urbane e agli interscambi. Si viene a instaurare una gerarchia urbana, così schematizzabile:
 borgata rurale;
 villaggio;
 paese;
 città;
 metropoli;
 area metropolitana;
 megalopoli. I termini città e cittadina indicano insediamenti sviluppatisi attorno a un nucleo centrale, il Central Business District (CBD) di carattere multifunzionale, nel quale l’uso del territorio è sia residenziale che non residenziale. Le cittadine sono più piccole e hanno un grado di complessità funzionale inferiore alle città.
 Il termine sobborgo contraddistingue un’area secondaria, un segmento Pagina di 35 233 popolazione a basso reddito viva vicino al centro urbano; in realtà, in tale modo essi ottengono risparmi sui costi di trasporti, ma anche su quelli abitativi, assumendo l’ipotesi di occupazione di case con marcate caratteristiche di declino edilizio Un’interessante rielaborazione critica di tale modello è stata proposta da Hoyt (1932) sulla base dell’ipotesi che la struttura interna della città sia condizionata dalla disposizione delle vie radiali, da nuclei abitativi preesistenti nei confronti della città, dall’esistenza di ostacoli naturali (rilievi, corsi d’acqua, ecc.). Queste infrastrutture ed elementi fisici differenziano l’accessibilità e la desiderabilità delle diverse aree urbane, secondo “settori” piuttosto che “zone”. Questi settori tenderanno a caratterizzarsi a partire dalle scelte degli abitanti a reddito più elevato, che hanno maggiore propensione al trasferimento e, quindi, maggiore capacità di esprimere sul mercato dei suoli le loro scelte. Il settore tenderà poi a caratterizzarsi stabilmente nell’ambito della struttura urbana, attraverso un “effetto-vicinato”, tanto più importante quanto più quanto più le utilizzazioni saranno percepite come antagoniste. 
 La struttura urbana, comunque, spesso non si costruisce attorno ad un solo centro, come postulato nei modelli discussi, ma si sviluppa piuttosto intorno ad un certo di numeri di centro entro l’area urbana. Questa è la base del modello a nuclei o multicentrico (Harris e Ullman, 1945) Le ragioni addotte nel modello per l’esistenza di nuclei separati e funzionalmente separati si possono far risalire: alla richiesta specializzata di suolo da parte di certe attività (commercio, turismo, ecc.); alla tendenza all’agglomerazione da parte di certe attività; alla conflittualità fra alcune attività per l’uso del suolo; alle conseguenti differenze di rendita, a compenso della capacità di forzare certe attività ad agglomerarsi in parti definite dell’area urbana.
 Ne derivano marcate differenze nel tipo di utilizzazione del suolo nei vari distretti urbani, tanto più numerosi e caratterizzati quanto più l’area urbana è vasta. Le new towns sono città interamente e attentamente pianificate con il primario scopo di fungere da satellite residenziale alle grandi metropoli europee. I primi esempi, derivati da una forte concezione utopistica, sono quelli dei primi del Novecento delle città giardino (la prima edificata è stata Letchworth nel 1903). Esse derivano da una concezione idealistica propugnata soprattutto da Ebenezer Howard, in cui si ipotizzava una concezione del costruito molto ridotta e a bassa densità, mentre grandi spazi dovevano essere riservati al “verde pubblico”, per ovviare al congestionamento urbano e alla vita caotica della città.
 Pagina di 36 233 L’uso esclusivo delle new towns per scopi puramente abitativi si è ridotto nelle più recenti generazioni delle stesse, laddove si hanno anche motivazioni economiche per la costruzione delle stesse, come pure per la redistribuzione delle funzioni amministrative.
 Il processo più interessante delle città nord-americane è senz’altro quello della suburbanizzazione, iniziata con lo spostamento delle industrie in periferia e successivamente quello dei servizi anche commerciali (shopping malls).
 In tempi più recenti i settori destinati all’uso residenziale per cittadini di reddito elevato continuano a espandersi oltre i limiti della città centrale, occupando le aree suburbane più panoramiche e appetibili e isolandole tramite restrizioni basate sul prezzo e su pratiche di zoning. Le fasce di reddito medio e medio-basso e basso si sistemano in altrettante aree della zona periferica, separate in base al loro reddito. Le minoranze etniche vengono spesso relegate nel centro città o in alcune vecchi periferie industriali, pur se gli immigrati scelgono sempre più i sobborghi come prima sistemazione quando entrano nel Paese e anche una percentuale crescente di minoranze autoctone opta per la suburbanizzazione. Diversamente da quanto accade nei depressi quartieri segregati delle città centrali, tuttavia, la segregazione suburbana all’interno degli ethnoburbs appare essere una scelta abitativa da parte di minoranze più abbienti. 
 A partire dagli anni Novanta, con la crescente espansione incontrollata e l’aumento dei costi impliciti nella separazione spaziale sempre maggiore tra i vari segmenti funzionali della periferia, il processo di espansione delle zone periferiche si è rallentato. I sobborghi cominciano a rinascere come entità urbane indipendenti, autosufficienti e slegati dalla grande città, come outer ciries, caratterizzate da un paesaggio di grattacieli per uffici, massicci complessi di strutture commerciali al dettaglio, zone industriali affermate, numerosi quartieri occupati da appartamenti e condomini, oltre ad aree residenziali recintate e protette per cittadini con reddito medio-alto, dette gated communities. Nel momento in cui le outer cities cominciano a competere con i ruoli funzionali chiave della metropoli, esse diventano nodi di strutture concentrate adibite a uffici e ad attività commerciali e si caratterizzano per il fatto di ospitare al proprio interno più posti di lavoro che residenti. Tale tipologia di città viene chiamata edge city. 
 La metropoli è dunque oggi diventata una realtà a più nuclei e le regioni urbane sono sempre più “galattiche”, organizzate principalmente ai sistemi delle vie di comunicazione. Ai margini di tale modello vi sono i sobborghi esterni, non ancora strutturati, chiamati exurbs.
 Pagina di 37 233 “7”-“8”
 Gli elementi della geografia culturale 
 
 Il contesto: le cose, le idee, le pratiche, le emozioni avvengono in uno spazio ben delimitato.
 
 La cultura: tutte le attività umane che avvengono in un determinato luogo.
 
 La geografia culturale: analizza le intersezioni fra contesto e cultura, analizza le tracce lasciate sul contesto dalla cultura;
 Le tracce non sono lasciate nel contesto solo dagli esseri umani, ma anche dalla natura, dagli altri esseri viventi, ecc. La geografia culturale di Claval
 
 Claval categorizza i rapporti fra geografia e cultura nel seguente modo:
 
 - la cultura come insieme di ciò che è stato inventato e trasmesso fra le generazioni, ossia la diffusione delle tecniche, delle attitudini, delle idee e dei valori;
 - la cultura come insieme di componenti materiali, sociali, intellettuali e simboliche;
 - la cultura come sistema di relazioni, lo studio delle dimensioni psicologiche e sociali, le identità;
 - la cultura come fattore essenziale di divisione e di strutturazione delle società;
 - la cultura come via d’accesso a dei modi superiori di essere;
 - la cultura come via di interpretazione dei rapporti fra natura e sovra- natura, con le implicazioni di ontologia, religione, ecc.
 
 Per Claval l’etnogeografia diventa l’analisi della cultura mediante la categoria esplicativa dello spazio, attraverso la classificazione di come la società si insedia nello spazio e la lettura dei paesaggi prodotti. Il sistema culturale
 
 Un sistema culturale include un certo numero di tematiche centrali ed è caratterizzato da una specifica organizzazione interna.
 L’approccio culturale in geografia significa che si sta studiando un sistema olistico, le cui componenti principali non possono essere dissociate.
 Pagina di 40 233 - regioni culturali;
 - aree culturali;
 - mondi culturali. Lo spazio esistenziale
 
 Lo spazio esistenziale o di vita è la struttura più interiore dello spazio così come appare nelle concrete esperienze del mondo come membri di un gruppo culturale. 
 
 Tale spazio è intersoggettivo e riferibile a tutti i membri facenti parte del gruppo poiché essi hanno socializzato secondo un insieme comune di esperienze, segni e simboli. 
 
 I significati dello spazio esistenziale quindi sono quelli di una cultura così come filtrata dall’esperienza dell’individuo, piuttosto che la somma dei significati degli spazi percepiti individualmente. Lo spazio esistenziale non è un mero spazio passivo, ma viene costantemente creato e ristrutturato dalle attività umane. La definizione del luogo 
 
 La definizione del luogo è al centro degli studi geografici, ma solo a partire dagli anni Settanta si è cominciato a dare allo studio dello stesso una connotazione scientifica.
 Secondo la definizione di Agnew (1987), il luogo è frutto di una combinazione di tre componenti:
 
 - sito (location), riferito a un punto assoluto nello spazio con una specifica attribuzione di coordinate (latitudine e longitudine) e con distanze misurabili con altri siti;
 - località (locale), ovvero la struttura materiale prodotta dalle relazioni sociali, il modo in cui un luogo appare (edifici, strade, parchi e tutti gli altri tangibili e visibili aspetti di un luogo);
 - senso del luogo (sense of place), si riferisce ai legami immateriali con il luogo, ai sentimenti e alle emozioni evocate dal luogo, che possono essere individuali o condivise con altri, in tal ultimo caso perciò mediate e rappresentate.
 La definizione del luogo di Sack
 
 
 Pagina di 41 233 «Il luogo si riferisce a qualcosa creato dall’essere umano. Un luogo viene creato quando si prende un’area dello spazio e intenzionalmente si tracciano intorno ad essa dei confini e si cerca di controllare cosa succede dentro di esso attraverso l’uso (implicito o esplicito) di regole riguardo a ciò che può essere o non può essere fatto. Questa perimetrazione e la produzione di regole conduce alla creazione del luogo ad ogni scala, da una stanza allo Stato-nazione». (Sack, 2004) Il senso sociale del luogo 
 
 Le relazioni sociali di un luogo, possono portare a relazioni di potere sistematicamente asimmetriche, che si traducono in «norme» di comportamento esplicite oppure implicite (questo avviene anche nei luoghi più familiari, come la propria abitazione).
 
 La mappatura di particolari significati, pratiche e identità di un luogo conducono alla costruzione di luoghi «normativi» dove gli individui si possono o trovare «in place» (a proprio agio) o «out of place» (spaesati).
 Ciò che viene etichettato come fuori posto (persone, cose, pratiche, ecc.) si dice che abbiano trasgredito confini invisibili che definiscono ciò che è appropriato da ciò che è inappropriato.
 
 Pertanto, si può evidenziare una geografia dell’esclusione di alcuni individui che non rispettano la «normativa» dei luoghi, il senso sociale comune dello stesso. Le esclusioni possono essere dovute alla classe sociale, alla razza, al genere e alle disabilità. Le componenti del concetto di luogo
 
 Secondo Relph (1976) vi sono sei maggiori componenti che conducono al concetto di luogo:
 
 - l’idea della collocazione, intesa sia facendo riferimento alle caratteristiche interne (sito) sia alle interrelazioni e alle connessioni con gli altri luoghi (situazione);
 - il luogo implica un’integrazione di elementi di natura e cultura, rendendolo un unicum;
 - i luoghi sono interconnessi da un sistema di interazioni e di trasferimenti spaziali, sono parte di uno schema di circolazione;
 - i luoghi sono localizzati, fanno parte di aree più grandi e sono punti focali in un sistema di localizzazione;
 - i luoghi emergono o sono in divenire, attraverso i cambiamenti storici Pagina di 42 233 e culturali vengono aggiunti nuovi elementi e altri scompaiono, denotando una propria peculiare componente storica;
 - i luoghi hanno significato; sono caratterizzati dall’agire umano e dalle credenze che esso ha degli stessi.
 «Insideness» and «Outsideness»
 
 L’essenza del luogo non risiede tanto nelle forme materiali dallo stesso, ma nell’esperienza di appartenenza («insideness») distinta da una sensazione di esclusione («outsideness»). Si ha dunque la sensazione di appartenere a un luogo e di identificarsi nello stesso.
 Le manifestazioni di differenziazione fra «interno» ed «esterno» sono significativi sul territorio come le mura e le porte di una città, i cartelli stradali dei limiti cittadini, le frontiere.
 
 «La soglia concentra non solo il confine fra dentro e fuori ma anche la possibilità di passaggio dall’uno all’altro» (Eliade, 1959).
 
 Le aree interne ed esterne sono definite non chiaramente, ma variano a seconda delle nostre intenzioni e, nel momento in cui ci muoviamo, esse si spostano con noi. 
 Riusciamo sempre a percepire ciò che è il nostro luogo da ciò che è fuori dal nostro luogo. La sensazione di perdita del luogo («placelessness»»)
 
 Relph (1976) nota che alcuni luoghi nel tempo tendono a perdere la propria identità per uniformarsi a una cultura di massa consumistica («macdonaldizzazione» secondo Ritter, «disneyzzazione» secondo Bryman) che rende il luogo «inautentico», incapace di creare veri legami con gli individui e a cui l’individuo non riesce veramente a produrre sentimenti di attaccamento.
 Relph identifica le seguenti manifestazioni di perdita del luogo:
 
 - luoghi che diventano diretti verso altri (luoghi per turisti, distretti del divertimento, centri commerciali, disneyficazione, museificazione, ecc.);
 - luoghi che si uniformano e si standardizzano (nuove città e suburbi, aree industriali, nuove strade e aeroporti, stili standardizzati di architettura);
 - luoghi senza forma o con architetture non a misura d’uomo (subtopia, gigantismo, componenti non collegate ai valori culturali del luogo);
 - distruzione di luoghi (guerra, riqualificazione urbana con distruzione del preesistente, ecc.);
 Pagina di 45 233 Un’analisi più approfondita dei contenuti e del significato del concetto di “etnia” è stata fatta più di recente da Anthony D. Smith (1986), che ha individuato sei condizioni necessarie per poter definire una comunità sociale come etnia, sei caratteri specifici e costitutivi del legame etnico.
 
 - Il nome dell’etnia.
 
 - La coscienza di una discendenza comune per tutti gli appartenenti alla comunità.
 
 - Il senso di una storia comune.
 
 - La partecipazione a una comune cultura (non sempre la lingua).
 
 - Il rapporto fra la comunità e un territorio determinato, la patria.
 
 - Il senso di solidarietà all’interno della comunità.
 Etnocentrismo ed etnicismo
 
 Accanto al modo comunitario di essere dei legami e dei rapporti sociali e ai loro segni visibili e distintivi — caratteri interni della comunità etnica — vi sarebbero altri due concetti che, secondo Smith, ne definiscono il comportamento verso l’esterno, ovvero l’ etnocentrismo e l’etnicismo, l’uno riferito all’atteggiamento cognitivo del gruppo, l’altro a quello pragmatico.
 
 L’etnocentrismo induce i membri della comunità a distinguere in via pregiudiziale il “noi” dal “loro”, attribuendo contenuto diverso alle azioni e alle esperienze degli outsiders rispetto a quelle degli insiders; ciò conduce a catalizzare la totalità, o la maggior parte, dei sentimenti positivi nel gruppo d’appartenenza, riservando quelli negativi per gli “altri”. 
 
 L’etnicismo, invece, riguarda la possibile mobilitazione del gruppo contro dei fattori di disgregazione interni o una minaccia esterna, e spinge a rafforzare e ad esaltare i suoi caratteri collettivi nei riguardi di un referente negativo, interno o esterno, che viene percepito come un pericolo. 
 
 Le specifiche caratteristiche della configurazione etnica di una comunità sociale sarebbero dunque tre: una interna — il fortissimo Pagina di 46 233 senso dell’identità e dell’appartenenza sociale — e due esterne, ovvero l’etnicismo e l’etnocentrismo. Il concetto di nazione
 
 Una «nazione» consiste in un gruppo di individui che condividono una cultura comune e occupano un determinato territorio, ai quali sono legati da un forte senso di unità, frutto di un patrimonio comune di costumi e credenze. 
 
 La lingua e la religione possono essere elementi unificatori, ma importanza ancora maggiore rivestono la convinzione emotiva di avere una distinta identità culturale e il senso di etnocentrismo.
 
 Un'ulteriore complicazione consiste nel fatto che alcune nazioni sono senza Stato, cioè non possiedono territorio nazionale nemmeno all'interno di un grande Stato multietnico (esempio Nazione Curda). Il concetto di Stato
 
 Il termine «Stato» sta a indicare una unità politica indipendente che occupa un territorio ben definito e stabilmente abitato ed è dotata di una piena sovranità, riconosciuta internazionalmente, sui suoi affari interni ed esteri.
 
 Nella terminologia anglosassone le entità politiche vengono chiamate spesso Countries ossia Paese in Italiano. La parola inglese country deriva dal latino contra, che significa contro o dalla parte opposta. Come origine sembra piuttosto strana per il termine che non sembra denotare un’unità politica, ma una entità che si oppone a qualcosa, non aggrega una comunità.
 
 I geografi politici di lingua romanza preferiscono il termine Stato che deriva dal latino status, condizione, sebbene questa parola possa essere fuorviante quando si ha presenza di Stati federati come negli Stati Uniti d'America 
 Il concetto di Stato-nazione 
 
 Il termine composto Stato-nazione si riferisce propriamente a uno Stato Pagina di 47 233 la cui sezione territoriale coincide con l'area occupata da una Nazione, un popolo distinto, oppure perlomeno la cui popolazione condivide un senso generale di coesione e adesione a un insieme di valori comuni In altre parole, lo Stato-Nazione è un’entità i cui membri si sentono naturalmente legati fra loro poiché condividono la lingua, la religione, o qualche altra caratteristica culturale abbastanza forte da tenerli uniti e far sì che si sentano distinti rispetto a chiunque si trovi all'esterno della loro comunità.
 
 Uno Stato multinazionale è uno Stato che comprende al proprio interno più di una nazione. Spesso in questi casi non vi è un singolo gruppo etnico predominante. In alternativa, una singola nazione può essere distribuita su più territori ricoprendo una posizione dominante in due o più Stati. L’etnoregionalismo 
 
 «L’etnoregionalismo è definibile come la tensione verso l’autonomo raggiungimento - con le proprie risorse umane e naturali - dell'obiettivo di perpetuare un gruppo sociale ove questo coincida con un tratto distinguibile dell'organizzazione del territorio della cultura: con un'eredità che verrebbe altrimenti dissipata. 
 Esso si esplicita nella richiesta di sovranità esclusiva sul territorio da parte del gruppo identificato da una lingua comune ed è ovvio che la segregazione progressiva del sistema così individuato ne è la massima garanzia». (Zanetto, 1987). Nazionalismo e minoranze etniche
 
 In realtà, per quanto tutti i Paesi si diano da fare per arrivare ad un patrimonio di valori condivisi e suscitare nei cittadini un senso di fedeltà verso lo Stato, pochi possono definirsi realmente Stati-nazione.
 
 Attraverso la richiesta di riconoscimento della propria soggettività storica e le azioni politiche tipiche del nazionalismo un gruppo può cercare di ottenere quello strumento con cui la nazione può finalmente diventare soggetto politicamente autonomo, ovvero lo Stato, che è così Stato nazionale.
 
 Se, pur non raggiungendo il suo obiettivo, riesce a conseguire almeno una quota dell'autonomia desiderata, il gruppo nazionale viene far parte di uno Stato multinazionale (il più delle volte una Federazione).
 Pagina di 50 233 giapponese, 
 buddhista, 
 africana. 
 
 Con la modernizzazione urbano-industriale e la crescita demografica si assiste a una de-occidentalizzazione del mondo. Le aree culturali secondo Schwartz (2013) 
 
 Schwartz ipotizza che vi siano tre tipi di grandi contrapposizioni culturali:
 
 - Autonomy versus embeddedness. L’autonomia delle persone si manifesta attraverso due tipologie fondamentali: intellettuale e affettiva. Il radicamento, invece, incorpora le persone all’interno di una società prestabilita, aumentando il senso di solidarietà e di appartenenza al gruppo sociale.
 
 - Egalitarianism versus hierarchy. L’egualitarismo induce le persone a considerare gli altri come uguali, a incrementare la solidarietà fra gli individui. Le culture gerarchiche, invece, inducono a definire più rigidamente strutture e ruoli, in modo da cercare una maggiore produttività nell’agire con compiti ben definiti.
 
 - Harmony versus mastery. Le culture basate sull’armonia sono più conservative, esplorano meno il mondo naturale e quello sociale, cercando di non fare troppi stravolgimenti. Le culture basate sul dominio incoraggiano le spinte individuali per portare a cambiamenti guidati, confidando nella risoluzione di problematiche mediante il progresso. La mappa culturale di Inglehart e Welzel
 
 In un procedimento simile Inglehart e Welzel hanno semplificato la loro rappresentazione su due categorie contrapposte:
 
 1) Traditional values versus Secular-rational values;
 
 2) Survival values versus Self-expression values.
 
 I valori tradizionali sottolineano l'importanza della religione, dei legami Pagina di 51 233 genitori-figli, del rispetto per l'autorità e dei valori familiari tradizionali. Queste società hanno alti livelli di orgoglio nazionale e una visione nazionalistica.
 
 I valori secolari-razionali hanno preferenze opposte ai valori tradizionali. Queste società pongono meno enfasi sulla religione, sui valori familiari tradizionali e sull'autorità.
 
 I valori di sopravvivenza pongono l'accento sulla sicurezza economica e fisica. È legato a una prospettiva relativamente etnocentrica e a bassi livelli di fiducia e tolleranza.
 
 I valori dell'autoespressione danno un'elevata priorità alla protezione dell'ambiente, alla crescente tolleranza e all'uguaglianza di genere e alle crescenti richieste di partecipazione al processo decisionale nella vita economica e politica. La mappa culturale di Inglehart e Welzel
 Questa mappatura avviene attraverso una serie di interviste in alcuni Paesi a livello mondiale in diverse ondate (waves), in modo che la rappresentazione possa essere modificata nel corso del tempo. Significativa è per esempio della metà degli anni Novanta (wave 4). La più recente mappatura è invece del 2023 (wave 7). Pagina di 52 233 I mondi culturali (civilizzazione e spazio)
 La dimensione meta-culturale.
 
 Oltre le civilizzazioni e le grandi culture vi è un ultimo livello, quello meta-culturale.
 Si può definire meta-ultura il dominio dietro le culture, che è quindi parte dell’ambito della civilizzazione. Al di là delle differenze culturali, vi sono molti collegamenti culturali fondamentali che uniscono gli essere umani e le società, in altre parole, livelli culturali che sono molto più inclusivi di altri.
 Al livello della meta-cultura corrisponde il livello fondamentale dei «mondi culturali». In questo caso la parola «mondo» assume due significati precisi: quello di «radici culturali» e quello di «bacini culturali».
 Alcuni mondi culturali sono meglio compresi se concepiti come reti ed altri attraverso il concetto di contiguità, posizionandosi come bacini nello stesso strato. Le radici culturali
 
 Un mondo culturale può essere unito se esso ha una base comune o presenta un messaggio universale. I mondi culturali che si formano come reti includono differenti culture e civilizzazioni; esse esprimono ciò che è comune ad altre culture, apparentemente estranee. Questo presuppone che, oltre queste culture e civilizzazioni, vi è un livello che tende all’universalità. In una prima analisi, questi mondi culturali trasversali corrispondono alle grandi religioni universali e alle ideologie maggiori.
 Altri movimenti vanno prendendo forma, preannunciando la nascita di nuovi mondi, come per esempio i concetti di modernità e post- modernità.
 Mentre le regioni e le aree culturali assumono una certa continuità e una prossimità spaziale caratterizzata da un’area omogenea e continua, un mondo culturale può unire spazi molto distanti, geograficamente separati.
 Questa configurazione a rete dei mondi culturali rappresentano l’attuale struttura culturale e politica mondiale, che tende a organizzarsi attorno a rilevanti sistemi di alleanza che si strutturano a rete piuttosto che in blocchi.
 La coesione di tali spazi è prima di tutto culturale e secondariamente geopolitica. Pagina di 55 233 diversità culturale, sino-americano, ispano-americano, italo-americano, ecc.). I modelli «core+»
 I modelli «core+» sono presenti nelle società occidentali moderne con una riconosciuta identità nazionale da lungo tempo, ma che negli ultimi anni vanno sperimentando una forte corrente immigratoria culturalmente divergente.
 Essa è anche diffusa nei paesi post-coloniali, laddove, nel tentativo di costruire una identità nazionale, si creano nuove minoranze etniche.
 Centrale per il modello è l’idea che vi sia una identità centrale consensuale, una cultura dominante a cui si aggregano un certo numero di distinti minori gruppi culturali. Le minoranze accettano la cultura dominante che è radicata nel tempo e nel luogo; piuttosto, la cultura minoritaria rafforza quella centrale, contribuendo a fornire ad essa addizioni in grado di incrementare la propria varietà. Le addizioni possono essere viste dal nucleo centrale o come qualcosa separato, di nessuna rilevanza, ma anche come una minaccia per lo stesso, oppure come un elemento di rafforzamento del nucleo stesso una subcategoria o una variante regionale. Il modello dei «pilastri»
 Il modello dei «pilastri» nasce come reazione difensiva in società profondamente divise, mantenendo un’unità nazionale e al contempo soddisfacendo le tendenze separatiste dei diversi gruppi. In questo modello la società è concepita come un insieme di «pilastri», ognuno auto-contenuto e con scarse connessioni con gli altri. Tutti i pilastri supportano la sovrastruttura statale che impone loro condizioni minime di uniformità, permettendo ad ogni gruppo di gestire le proprie istituzioni culturali, sociali, educative, politiche ed anche economiche.
 
 In tale modello ogni gruppo crea, gestisce e consuma la propria eredità culturale. Il ruolo dello Stato centrale si limita a mantenere un’eguaglianza fra i vari gruppi, ma non incoraggia l’interscambio culturale fra i vari gruppi. I modelli «salad bowl/rainbow/mosaic»
 In tali modelli si pensa che i diversi gruppi culturali si riconoscano reciprocamente, ma non cerchino di fondersi in un’unica cultura centrale, lasciando libera espressione per ognuno di essi, che però si arricchiscono dell’interscambio culturale con gli altri, pur rimanendo elementi distintivi e peculiari all’interno della società.
 Pagina di 56 233 
 Gli strumenti «politici» per promuovere la cultura in tali modelli sono sostanzialmente di due tipi:
 
 - inclusivi (ogni singolo gruppo diventa parte della cultura principale e dell’eredità dei luoghi, generando però due ordini di problematiche, ovverosia le questioni riguardanti il «peso» di ogni singola cultura e la possibile distorsione e diluizione delle eredità dei diversi gruppi);
 
 -esclusivi (ogni gruppo rimane formalmente distinto dagli altri, riconoscendo e rafforzando la gestione della propria eredità al gruppo di appartenenza). La cultura e la comunicazione
 La cultura è la somma dei comportamenti, delle abilità, delle tecniche, delle conoscenze e dei valori accumulati dagli individui nel corso della vita e, su un’altra scala, dell’insieme dei gruppi di cui fanno parte. È un’eredità trasmessa da una generazione a un’altra, ma non è rigida, perché le comunicazioni in atto nei gruppi sociali la trasformano continuamente.
 La cultura genera flussi di informazione che permettono alla società di funzionare e di trasformarsi. Inoltre tali flussi la modellano, poiché assicurano la diffusione delle innovazioni, la conoscenza di nuovi atteggiamenti e provocano reazioni di accettazione e di rifiuto. Ciò che viene trasmesso dipende dai media a disposizione del gruppo. È a partire dai processi di comunicazione che si coglie il carattere dinamico della cultura. I tipi di comunicazione 
 
 - comunicazione orale e gestuale;
 - scrittura;
 - disegno e arti plastiche;
 - disegno tecnico;
 - nuovi media.
 
 Forme di comunicazione
 
 - scambio di informazione e comunicazione simbolica;
 Pagina di 57 233 - comunicazione asimmetrica: televisione, società dei consumi e cultura di massa;
 - ampliamento della vita di relazione e media interattivi;
 - monopolio dell’accesso all’informazione e autorità;
 
 Ciò che viene trasmesso 
 
 - gesti, atteggiamenti, rituali, abilità;
 - conoscenze teoriche, norme astratte, sistemi religiosi o metafisici;
 - la costruzione del reale da parte delle culture («mappe della conoscenza»). La cultura e le tappe della vita
 Per l’individuo la cultura è innanzitutto eredità. Ciascuno è esposto in un modo particolare agli atteggiamenti e ai valori dell’ambiente in cui si trova. Li riceve in forma diversa e sempre nuova perché non vive nella stessa famiglia, circondato dalle stesse persone, nello stesso periodo e nelle stesse circostanze.
 Ognuno fa un’esperienza diversa della cultura, legata agli episodi dell’esistenza («time geography»).
 Tuttavia, ci sono delle costanti: gli orizzonti di vita, gli ambienti frequentati, i contatti possibili cambiano con l’età e, allo stesso modo, le fonti di informazioni culturali evolvono.
 Le tappe della vita
 - prima infanzia;
 - infanzia;
 - adolescenza;
 - età adulta;
 - vecchiaia.
 
 Oppure:
 
 - gioventù (0-21 anni)
 - giovani adulti (22-43 anni);
 - età di mezzo (44-65 anni);
 - età anziana (66 e oltre)
 
 I riti di passaggio fra le diverse tappe della vita sono spesso contrassegnate nelle società, spesso scanditi anche da riti religiosi o manifestazioni collettive. Pagina di 60 233 
 - la «Generazione Alpha», dal 2013 in poi. L’identità individuale
 - l’individuo agisce mosso da forze esterne (individuo dominato);
 - l’individuo è il riflesso della società (uomo sociale);
 - l’individuo è responsabile delle proprie azioni (individuo libero);
 - il comportamento dell’individuo è una mediazione fra imposizione sociale e pulsioni individuali (concezione freudiana). L’identità sociale
 
 L’individuo sociale nasce con l’interiorizzazione dei codici di comportamento, delle conoscenze acquisite sul mondo e delle norme morali. Nella maggior parte dei casi, questo individuo sociale non ha una realtà autonoma: la sua consistenza deriva dal fatto che fa parte di un tutto con cui egli cerca di fondersi il più possibile e di interpretare il ruolo assegnatogli.
 L’integrazione in un gruppo che conferisce all’individuo un’identità sociale inizia molto presto e si conferma nell’adolescenza, quando le prescrizioni sono interiorizzate. Cultura e vita sociale
 Al di là dell’eredità comune di codici che permettono di comunicare, le abilità e le conoscenze sono distribuite in modo diseguale tra i membri di una stessa società: ciascuno è chiamato a ricoprire un ruolo diverso secondo il genere, l’età e le capacità tecniche o intellettuali. Ogni persona è legata a tutte le altre da una rete complessa di relazioni. Sono possibili diverse architetture sociali, che implicano configurazioni spaziali specifiche e assicurano, ma non con la stessa efficacia e con lo stesso stile, il funzionamento e la dinamica dell’insieme. “9”-“10”-“11” Pagina di 61 233 L’ambiente e la cultura
 L’ambiente rappresenta il teatro dell’agire umano, da cui l’uomo si distacca man mano che avanza nel suo processo di sviluppo, pur avendo un dialogo con l’ambiente ed operando all’interno delle potenzialità da esso offerte. Non c’è più dipendenza, quindi, dall’ambiente, ma interrelazione: la cultura è un filtro che permette di dialogare con l’ambiente. La cultura come insieme 
 
 La cultura finisce per avere così valore di insieme, che caratterizza il gruppo e contribuisce a dare “organicità” e “specificità” al territorio. Di questo “insieme” fa parte il linguaggio come elemento essenziale per la trasmissione di quei valori che costituiscono la “cultura”. Il linguaggio
 
 In effetti, la più grande conquista dell’uomo è il linguaggio. Infatti, impariamo a pensare, a sentire, a giudicare attraverso e nei limiti che le parole, gli idiomi e la sintassi della nostra lingua ci impongono.
 Esso rende possibile la comunicazione dei significati e la partecipazione attiva all’interno di un gruppo, in modo tale da renderlo capace di formare una società stabile, di creare e di trasmettere una propria identità; ed in questo contesto il linguaggio viene ad assumere una funzione sociale ed espressione di comportamento interpersonale. Il linguaggio e il suo ambiente 
 
 Il comportamento linguistico dell’individuo riflette necessariamente le caratteristiche più importanti della sua personalità, ma anche gli elementi specifici di un dato ambiente, perché esso ha preso origine e si è sviluppato in un particolare contesto culturale e ambientale. Influenza dell’ambiente fisico sulle lingue
 L’influenza dell’ambiente fisico sulle lingue si manifesta in due dinamiche principali:
 
 • nel lessico (nome di piante, di animali, fenomeni meteorologici, tipi di terreno, ecc.);
 
 • nella localizzazione e distribuzione della popolazione e nei percorsi di diffusione delle lingue. 
 Pagina di 62 233 
 Sotto quest’aspetto influiscono:
 
 - morfologia (rilievi, pianure, valli);
 - insularità (isolamento o contatto);
 - paludi (aree non bonificate);
 - clima (freddo, caldo, eventi climatici, ecc.). La toponomastica
 
 Espressione di questo rapporto con l’ambiente è la toponomastica, un campo di indagine di indubbio interesse in quanto contribuisce a dare un non trascurabile contributo di conoscenza dei rapporti uomo- ambiente. I termini geografici dialettali riconducono infatti alla umanizzazione attiva dello spazio, delimitano l’area di intervento dell’uomo, consentono di indagare sulle cause, i nessi tra ambiente naturale e gruppo umano, rendendo più agevole la comprensione della percezione che l’uomo ha avuto dell’ambiente nel tempo, della utilizzazione economica delle risorse disponibili e quindi della organizzazione territoriale di una regione data. Il nome dei luoghi: la toponomastica
 Lo studio del nome dei luoghi, la toponomastica (topos=luogo e onomia=nome) è stato per lungo tempo una tradizione per i geografi storici e culturali. I nomi dei luoghi forniscono chiavi di lettura per il panorama storico, l’origine e le strutture degli insediamenti, le occupazioni, i cambiamenti politici ed etnici, le attività umane e i processi di diffusione culturale. Si può evidenziare che i toponimi forniscono prova dell’insediamento ambientale e delle condizioni sociali al tempo in cui il nome viene coniato, senza riflettere le successive variazioni.
 Il processo di creazione dei toponimi è sostanzialmente di due tipi: 
 
 «evoluzione nel corso del tempo»;
 
 «conferimento» (in cui un individuo o più deliberatamente scelgono il toponimo che viene conservato nel tempo). Pagina di 65 233 del gruppo, e questo non è privo di importanza perché in un sistema democratico chi gestisce il potere deve saper interloquire con tutti, anche con le diverse classi sociali, e dunque deve conoscerne il linguaggio e la cultura.
 
 La metropoli è intesa come il principale centro decisionale del territorio abitato dalla comunità etnica: dalla sua vitalità e dalla sua forza dipende l'elaborazione di nuove idee, di nuovi modelli comportamentali, di nuove espressioni linguistiche e culturali.
 
 Nello stesso tempo, l'efficienza della rete urbana influisce sulla solidità e la coesione del gruppo, che deve fare riferimento ad un insieme coordinato di punti di insediamento per essere ben inserito sul territorio. Lingua e società
 
 Si possono individuare quattro aspetti principali sul rapporto tra lingue e società in cui queste sono parlate o scritte:
 a) diversi gruppi umani usano diverse varietà della lingua, in rapporto alle diverse classi e ai contesti sociali;
 b) gli stessi gruppi umani utilizzano “registri” differenti per esprimere diversi stati d’animo, emozioni, ecc.;
 c) la lingua rispecchia la società e la cultura nella quale è usata;
 d) la lingua forma la società nella quale è usata. 
 I tipi di linguaggio
 Secondo H. Gobard per ogni specifica area culturale si possono individuare quattro tipi di linguaggio, indipendentemente dalla lingua utilizzata:
 a) un linguaggio vernacolare, locale, parlato spontaneamente, legato all’esigenza di un gruppo di sentirsi in comunione;
 b) un linguaggio veicolare, nazionale o regionale, imparato per necessità e destinato alla comunicazione a scala urbana;
 c) un linguaggio referenziale, legato alle tradizioni culturali, orali o scritte, espressione di continuità di valori mantenuta viva attraverso la rivitalizzazione della cultura classica;
 d) un linguaggio mitico, magico, apparentemente incomprensibile, espressione di sacralità. La lingua standard
 
 Pagina di 66 233 Nelle società tecnologicamente avanzate è probabile che esista una lingua standard, la cui qualità è materia di identità culturale e interesse nazionale. In genere, la scelta della lingua standard di un popolo è legato ai gruppi di potere e a scelte politiche.
 In generale, i dialetti si possono concepire come varianti regionali di una lingua standard. Lingua e dialetti
 Cosa è un dialetto ?
 
 • In senso linguistico, un dialetto è una varietà di una lingua.
 
 • In senso genealogico, un dialetto è una lingua che si è evoluta da un’altra lingua.
 
 • In senso sociolinguistico, un dialetto è una lingua subordinata ad un’altra lingua. I dialetti in senso linguistico
 • Comprensione reciproca. Se c’è mutua intelligibilità, ossia se i due parlanti si capiscono tra loro quando parlano, ci si trova sicuramente di fronte a due dialetti della medesima lingua;
 
 • Lessico di base in comune. Se più dell’80% delle parole di uso comune impiegate dai due parlanti sono le stesse (anche se pronunciate in modo differente), i due idiomi sono dialetti della stessa lingua;
 
 • Morfologia e sintassi omogenee. Se i due parlanti utilizzano le stesse regole grammaticali per esprimersi, parlano due dialetti della stessa lingua. I dialetti in senso genealogico
 Secondo questa definizione, un dialetto è una varietà linguistica originata da una lingua antecedente. Il dialetto, quindi, è in un certo senso il “figlio” di una lingua “genitrice” dalla quale deriva. I dialetti in senso sociolinguistico
 
 I sociolinguisti hanno identificato alcuni parametri per identificare la differenza tra lingua e dialetto:
 Pagina di 67 233 
 • Diffusione geografica limitata. Mentre la lingua viene impiegata in un territorio molto esteso, il dialetto si parla in un’area geografica di piccole dimensioni.
 • Assenza di uno standard. Il dialetto non ha elaborato una forma “corretta” riconosciuta da tutti i parlanti. Si trova quindi in una situazione di forte frammentazione locale. In sostanza, ogni comunità lo parla in modo diverso.
 • Scarso prestigio. Il dialetto è percepito dalla popolazione che lo parla come un idioma rozzo. Viene per lo più parlato dalle persone povere e poco istruite.
 • Uso informale. Un dialetto viene impiegato in situazioni sociali informali, ad esempio in famiglia o tra amici. Non si usa presso gli uffici pubblici, a scuola oppure per fare conferenze o colloqui lavorativi.
 • Corpus letterario limitato. Un dialetto viene prevalentemente parlato, e non scritto. La letteratura è in genere assente o scarsa. Quando presente, è di poco valore.
 • Presenza di una lingua-tetto. Il dialetto, nelle comunità dove viene parlato, è influenzato da una lingua tetto, ossia da un idioma prestigioso che viene impiegato nelle situazioni formali e nella letteratura. Dalla lingua tetto il dialetto riceve prestiti (parole e costrutti grammaticali).
 • Mancanza di lessico tecnico-scientifico. Il dialetto ha un vocabolario limitato alle parole della vita quotidiana, e quindi non ha i termini adatti per parlare di scienza, tecnologia, filosofia e altre branche del sapere. L’evoluzione delle lingue
 
 Esistono lingue che avanzano diffondendosi su vaste aree per poi indietreggiare, lingue che sono parlate da un numero limitato di persone che si mantengono “stabili” (anche se in effetti non esistono lingue completamente omogenee e stabili nel tempo), altre che perdono sempre più consistenza e significato culturale. I livelli qualitativi delle lingue
 
 Rispetto al livello di sviluppo qualitativo raggiunto da una lingua, Breton (1976) individua cinque stadi:
 a) al primo livello si trovano le lingue prive di scrittura, di tradizione orale e uso locale;
 b) al secondo livello vi sono le lingue locali (o vernacolari) entrate in uno stadio di “letterizzazione”;
 c) al terzo livello si hanno le parlate “veicolari”, che all’inizio erano lingue vernacolari, ma poi elevate a lingua relazionale;
 Pagina di 70 233 Dilalia: concetto introdotto da Berruto (1987), in cui una lingua sola viene utilizzata per i contesti formali, mentre negli usi bassi e informali le due lingue sono interscambiabili.
 
 Diacrolettia: concetto introdotto da Dell’Aquila e Iannaccaro (2004), indica una evoluzione temporale associata a un cambiamento di politica generale e di politica linguistica, in cui una lingua prima minoritaria viene a essere utilizzata anche nei contesti formali, mentre la prima lingua rimane solo nei contesti formali. La difesa della lingua
 
 Di fronte alla scomparsa di una lingua, altre se ne affacciano: sono le lingue emergenti, espressione di gruppi e di entità statali che raggiungono l’indipendenza, che promuovono a lingue ufficiali parlate locali attraverso una politica linguistica volta alla loro unificazione, standardizzazione e arricchimento. Questi obiettivi sono raggiunti attraverso:
 la naturalizzazione (il ricorso sistematico alle sole radici nazionali);
 la classicizzazione (il recupero delle radici classiche);
 la occidentalizzazione (l’adozione di forme internazionali). La politica linguistica
 
 Quasi tutti i Paesi hanno una politica linguistica, a volte palese, altre volte meno, a volte imposta, altre volte stabilizzata da lungo tempo, con la quale si tende a privilegiare l’uso di una lingua a discapito di un’altra, per ridurre le differenze, per omogeneizzare la popolazione, al fine di rendere più semplice il controllo politico e sociale, in una parola per esercitare il potere in maniera meno conflittuale. I modelli di interazione etnica
 
 Assimilazione
 Melting pot statunitense, integrazione alla francese, formazione di lingue ibride di contatto (pidgin e creole);
 
 Multiculturalismo
 pluralismo britannico, salad bowl, modello bilinguistico o plurilinguistico
 
 Funzionalismo
 Accoglienza di flussi migratori, lavoratori, ospiti (turismo), bilinguismo Pagina di 71 233 non perfetto, informale
 
 Eterolocalismo
 distribuzione dispersa, attività sociali separate, identità condivise su internet, globalizzazione, comunità scientifica, bilinguismo o plurilinguismo volontario
 La dinamica linguistica delle aree limitrofe (Breton, 1978)
 
 Secondo tale modello, procedendo dal centro di una regione etnolinguistica (A) verso il centro di un’altra regione etnolinguistica (B), possiamo osservare una serie di aree con connotazioni linguistiche differenti. La prima è l’area dell’etnia A e in cui si parla solo la lingua a (Aa); andando verso l’esterno, però, ancora nella regione dell’etnia A, ci saranno persone che hanno come prima lingua a, ma utilizzano anche la vicina lingua b (frangia bilingue Aab). Proseguendo ancora, si incontrerà una zona, sempre di etnia A, dove è invece la lingua b a prevalere, mentre la lingua a ha solo un’importanza secondaria (frangia bilingue Aba). Ancora più all’esterno, infine, ci sarà un’area appartenente, sì, all’etnia A, ma monolingue b (Ab), e quindi, osserva Breton,
 completamente allofona. Più avanti ancora ci sarà l’area dell’etnia B, con monolinguismo etnofono b (Bb).
 Le fasi territoriali del passaggio dalla lingua a alla b attraverso due frange di bilinguismo a diversa prevalenza possono darci un’idea del processo, in questo caso, di deculturazione dell’etnia A per effetto della maggiore influenza dell’etnia B (dal cui punto di vista si può invece parlare di acculturazione). La geografia linguistica 
 
 Lo studio della distribuzione territoriale delle lingue e dei loro meccanismi di diffusione nello spazio e nel tempo hanno dato vita alla “geografia linguistica” (o geolinguistica, o linguistica spaziale). Le regole di Bartoli
 
 Il Bartoli formulò una serie di considerazioni che, pur non avendo l’assolutezza delle leggi (l’Autore preferì chiamarle norme) avevano interessanti contenuti geografici:
 
 - Norma dell’area isolata: se di due forme linguistiche una si trova in Pagina di 72 233 un’area isolata e l’altra in un’area più accessibile ai mezzi di comunicazione, la prima è più antica;
 
 - Norma dell’area centrale (o delle aree laterali): se di due forme di una stessa lingua una si trova nelle aree periferiche della regione che usa quella lingua e l’altra nelle aree centrali, la prima è più antica;
 
 - Norma dell’area vasta: se di due forme linguistiche una è usata in un’area più ampia dell’altra, allora la prima è la più antica;
 
 - Norma dell’area seriore: Nelle zone in cui la lingua è arrivata più tardi, tende a conservarsi la fase più antica;
 
 - Norma della fase sparita: se di due fasi linguistiche, una sta per scomparire, quella che sta per estinguersi è la fase più antica. Le norma dell’area isolata
 
 La norma dell’area isolata, sostenendo che le forme linguistiche si conservano più a lungo invariate in quelle regioni che sono meno esposte agli scambi con l’esterno, è senz’altro convincente; basterebbe considerare la città come zona di più facili comunicazioni e la campagna come zona isolata per ritrovare le osservazioni da cui siamo partiti. Ne abbiamo in Italia un’ottima dimostrazione: quella rappresentata dal sardo, lingua nella quale si conservano numerosi arcaismi. Mentre in italiano, ad esempio, i termini per indicare “domani”, “casa” e “grande” derivano tutti dal latino tardo, in sardo, invece, la derivazione dal latino arcaico (cras, domus e magnus) permane negli attuali kras, domo e mannu.
 Similmente, l’isolamento dell’Islanda, unito ad una solida cultura scritta, ha reso possibile un’eccezionale conservazione della lingua originale, che è rimasta sostanzialmente invariata negli ultimi mille anni, tant’è che, di fatto, oggi un islandese è capace di leggere senza troppe difficoltà anche una saga del XIII secolo; per lo stesso motivo, d’altra parte, alcune particolarità grammaticali che in altre lingue germaniche sono andate attenuandosi sono rimaste invece immutate nella lingua islandese. Le norma dell’area centrale
 
 Pagina di 75 233 filogenetica. Sostanzialmente, si cerca di risalire in tutte queste lingue a una lingua antenata comune, sebbene molti studi siano ancora in divenire e si abbiano diverse ipotesi.
 Secondo Ethnologue si possono attualmente configurare 142 famiglie linguistiche, di cui però solo sei occupano la maggior varietà di lingue e il più elevato numero di parlanti.
 Per quanto riguarda la varietà linguistica la famiglia Niger-Congo conta 1.536 lingue e quella Austronesiana 1.225.
 Andando, invece, ad evidenziare il numero dei parlanti, la famiglia Indo- Europea ha circa 3,3 miliardi di individui, seguita dalla famiglia Sino- Tibetana con 1,4 miliardi di parlanti. I gruppi etno-linguistici
 
 I gruppi etno-linguistici sono oggi circa tremila e sono distribuiti in maniera non uniforme sui diversi continenti, con la frammentazione linguistica che si presenta più forte in Africa, in Asia e in Oceania. I concetti di continuum e discretum nelle lingue
 
 Un continuum è una catena di varietà di lingue (o dialetti), appartenenti alla stessa famiglia e geograficamente adiacenti, la cui intelligibilità diminuisce con il crescere della distanza geografica.
 Due di esse ne costituiscono i poli e sono tra loro molto 
 diverse, mentre le altre si trovano in una posizione intermedia che sfumano una nell’altra.
 Dunque esse non appaiono separate da confini precisi (isoglosse nette), ma con punti di contatto e di sovrapposizione tali da determinare il passaggio graduale dell’una nell’altra.
 
 Si ha un continuum linguistico quando spostandosi geograficamente il linguaggio varia in maniera graduale, in modo da risultare mutualmente comprensibile e simile tra due località poste nelle vicinanze e invece di difficile comprensione man mano che la distanza tra le due località di allarga. 
 
 Il discretum invece avviene quando il continuum è fatto di varietà che non sfumano tra loro ma sono indipendenti almeno in parte, quindi differenziabili nettamente. La lega linguistica
 
 Pagina di 76 233 Dagli studi di Trubezkoj emerge il concetto di sprachbund, tradotto in italiano con il termine lega linguistica. Esso designa il progressivo avvicinamento di lingue eterogenee o diverse che, venendo a contatto in una stessa area culturale, si sono reciprocamente influenzate in modo da assumere caratteristiche comuni non riferibili a un'originaria parentela genetica, ma risultato di una secondaria convergenza storica Le lingue più diffuse
 
 Fra questi gruppi, le lingue diffuse in più Paesi sono soltanto un centinaio. In particolare:
 l’inglese (lingua ufficiale o in situazione privilegiata in quarantasette Paesi);
 il francese (parlato in ventisei Paesi);
 l’arabo (parlato in ventuno Paesi);
 lo spagnolo (parlato in venti Paesi);
 il portoghese;
 il tedesco. Le lingue principali
 
 Appena quindici lingue sono parlate da più di cento milioni di persone:
 
 inglese (1,456 miliardi);
 cinese mandarino (1,138 miliardi);
 hindi (610 milioni);
 spagnolo (559 milioni);
 francese (310 milioni);
 arabo standard (274 milioni);
 bengalese (273 milioni);
 portoghese (264 milioni);
 russo (255 milioni);
 urdu (232 milioni);
 indonesiano (199 milioni);
 tedesco standard (133 milioni);
 giapponese (123 milioni);
 pidgin nigeriano (121 milioni);
 arabo egiziano (102 milioni). I linguaggi artificiali
 
 Diverse dalle lingue naturali o spontanee sono le lingue “artificiali”, Pagina di 77 233 create per far fronte ad avvertite esigenze di comunicazione su vasta scala.
 Si possono poi avere delle lingue “resuscitate”, ossia lingue morte riportate in uso da un gruppo etnico come espressione di una identità ritrovata. I linguaggi artificiali
 
 Fra i linguaggi artificiali si possono evidenziare:
 
 - linguaggi con intenti universali, il più noto di tutti è l’esperanto;
 
 - linguaggi di inclusione, per esempio il linguaggio dei segni (Ethnologue al 2023 ne classifica 159);
 
 - linguaggi letterari, in alcune opere si inventano non solo nuovi termini, ma anche delle lingue o parte di esse;
 
 - linguaggi tecnici specifici, in questa epoca, per esempio, i linguaggi di programmazione dei computer.
 
 Numerose differenze a livello politico, linguistico e culturale (soprattutto tra Europa occidentale ed Europa orientale) come conseguenza dei numerosi movimenti avvicendatisi sul territorio (uso di alfabeti differenti). “12”-“13” L’Europa linguistica • Si contano all’incirca sessanta lingue statuarie. • Alto livello di omogeneità dovuta all'appartenenza della gran parte stesse alla famiglia linguistica indoeuropea. • Lingue estranee alla famiglia indoeuropea: il basco (le cui origini sono ancora ignote e sicuramente antecedenti al periodo di indoeuropeizzazione del continente), l'ungherese, il finnico, l'estone e il lappone (appartenenti alla famiglia uralica o ugrofinnica), la lingua maltese (lingua semitica), varietà di arabo maghrebino, il Pagina di 80 233 Questo provoca una separazione netta di due aree politico-culturali, occidentale ed orientale, e di due modelli imperiali (romano-germanico vs. greco-bizantino). Vengono a formarsi, a partire dal X secolo tre grandi lingue veicolari: latino, greco e paleoslavo Dal VII secolo, il greco viene eliminato dalla liturgia cristiana occidentale; il latino diventa progressivamente lingua unitaria della cultura europea, lingua comune anche nell’insegnamento universitario (dal XII secolo) Evoluzione del latino - Dall’alto medioevo (VI-VII sec.) al basso medioevo (XI sec.) lingua di liturgia ma anche riferimento linguistico per gestione delle cose laiche; - dal XII sec. lingua internazionale dei clerici in Europa occidentale - lingua universale delle “fabbriche del sapere” del medioevo nelle grandi università europee (Bologna, Parigi, Salamanca, Oxford, Colonia, Coimbra, ecc.) - lingua del diritto e lingua delle traduzioni dall’arabo dei trattati scientifici (matematica, geometria, geografia, ecc.) - tre fattori di cambiamento: democratizzazione, laicizzazione, semplificazione; - durante l’Umanesimo e il Rinascimento il latino continuava ad essere usato come strumento di dibattito scientifico internazionale: Copernico, Keplero, Newton, Spinosa e Leibniz; Secoli XVIII e XIX - attività didattica in latino nelle principali università europee; XX secolo - drastico ridimensionamento del peso del latino nella vita sociale e culturale; solo nella chiesa di Roma mantiene il suo primato; Concilio Vaticano II (1962-1965) sostituzione della lingua liturgica con l’italiano Pagina di 81 233 Evoluzione del Greco Il greco (bizantino-medievale) è stato “collante” di popoli diversi nell’Europa orientale, ma non ha avuto un ruolo paragonabile a quello del latino in Occidente. - Il greco non ha dato origine a una pluralità di lingue “neogreche” e non si è imposto come lingua comune presso le genti slave; - Attitudine non accentratrice della chiesa ortodossa (autocefala); - Mancanza di una rete di università (studia) collegate tra loro; - “Aureo isolamento” nella tradizione classica: ideologizzazione del greco classico e disprezzo per il greco moderno; - La conquista ottomana (XV sec.) ha ulteriormente accentuato l’isolamento della tradizione linguistica e culturale greco-bizantina. greco = grecità Fin dalle Storie di Erodoto, gli Ateniesi cercano di imporre il concetto di grecità: lo stesso sangue, la stessa lingua, la comunanza di luoghi e riti sacri, e infine costumi simili.    Le migrazioni nel Medioevo Germaniche (Völkerwanderungen) Un’imponente ‘migrazione di popoli’ germanici avvenne nei primi cinque secoli dell’era cristiana è contribuì a ridisegnare la carta linguistica dell’Europa: sotto la pressione degli Unni, le tribù germaniche abbandonarono le terre più orientali per passare nelle regioni dell’Europa centrale e meridionale. Dal 800 al 1300, coloni agricoli germani si rivolsero di nuovo ad est riconquistando terre a scapito delle popolazioni slave. Slavi (VIII secolo) A partire dall'inizio del VII secolo gli slavi incominciarono un collettivo movimento migratorio. Verso occidente gli Slavi occuparono i territori dell'Europa centrale lasciati in parte vuoti dai Germani, che si erano Pagina di 82 233 spostati all'interno di quello che era l'Impero romano. Evitando la pianura pannonica attraverso la Polonia giunsero fino alla Pomerania Verso sud, gli slavi scesero lungo la penisola balcanica: attraverso la "Porta Morava", scesero verso il Danubio, che attraversarono a Vindobona; attraversando la Serbia giunsero fino in Dobrugia e nel Pindo. Magiari (IX e X secolo) Il popolo magiaro discende dal ceppo ugro-finnico dei popoli uralici, formatosi nella prima metà del I millennio a.C. nelle vicinanze dei Monti Urali (sul versante asiatico). Gli ungheresi si spostarono nel corso dei secoli in conseguenza di cambiamenti politici, strategici e ambientali finché non raggiunsero il Bacino dei Carpazi e la pianura pannonica intorno l’895 d.C. Fra Medioevo e Rinascimento A occidente si impone gradualmente una cultura romano-germanica, in cui la lingua veicolare principale diviene il latino medioevale, anche grazie al ruolo capillare della Chiesa e delle Abbazie nel conservare la cultura classica e cattolica. A oriente si avvia una fase culturale più composita, in cui al greco si sovrappone l’afflusso di popolazioni slave, che però, grazie alla progressiva evangelizzazione ortodossa e alla standardizzazione di una antica lingua slava ecclesiastica, riesce a formare una propria identità culturale, messa comunque alla prova da ulteriori invasioni e migrazioni da est di popolazioni uraliche e orientali (Ungari, Mongoli, ecc.). Con la formazione delle monarchie assolute, dei liberi comuni e più in generale di una situazione politico-culturale sempre più policentrica, gradatamente il latino viene sostituito dai diversi volgari. In tal senso, alcuni fatti possono ritenersi importanti: - Monarchie assolute; - Sedi universitarie; - Invenzione della stampa; - Riforma protestante; - Consolidamento di alcuni Stati (Portogallo, Spagna, Francia, Inghilterra, Danimarca). Pagina di 85 233 • Istanze autonomiste delle minoranze linguistiche • Democratizzazione politica • Derussificazione • Regressione del francese Scenari futuri del secolo XXI • Aree con forme di pluri- e multi- linguismo (dovute alle migrazioni) • Bilinguismo lingua nazionale-inglese • Latino = lingua di cultura (neutra) → lingua sovranazionale • Inglese = lingua di lavoro (nazionale) → lingua ausiliaria internazionale Europa linguistica attuale Attualmente, considerando soltanto i locutori madrelingua, le lingue più utilizzate in Europa sono: - Russo (circa 100 milioni); - Tedesco (circa 95 milioni, lingua più parlata nella UE); - Francese (circa 66 milioni); - Inglese (circa 65 milioni); - Italiano (circa 65 milioni); - Spagnolo (circa 45 milioni); - Polacco (circa 40 milioni); - Ucraino; - Neerlandese; - Rumeno. Lingue dell’Unione Europea L'UE ha 24 lingue ufficiali: Pagina di 86 233 bulgaro, ceco, croato, danese, estone, finlandese, francese, greco, inglese, irlandese, italiano, lettone, lituano, maltese, neerlandese, polacco, portoghese, rumeno, slovacco, sloveno, spagnolo, tedesco, svedese e ungherese. Di queste tre (inglese, francese e tedesco) hanno lo status più elevato di lingue “procedurali” della Commissione europea (mentre il Parlamento europeo accetta tutte le lingue ufficiali come lingue di lavoro). Cronologia Con le adesioni all'UE di nuovi paesi, il numero di lingue ufficiali è aumentato. Lingua ufficiale dell'UE a partire dal... 1958: neerlandese, francese, tedesco, italiano 1973: danese, inglese 1981: greco 1986: portoghese, spagnolo 1995: finlandese, svedese 2004: ceco, estone, ungherese, lettone, lituano, maltese, polacco, slovacco, sloveno 2007: bulgaro, irlandese, rumeno 2013: croato Politica Linguistica dell’Unione Europea La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, adottata nel 2000 e resa giuridicamente vincolante dal trattato di Lisbona, proibisce le discriminazioni fondate sulla lingua (articolo 21) e obbliga l'Unione a rispettare la diversità linguistica (articolo 22). Il primo regolamento, datato 1958 e che istituiva il regime linguistico della Comunità economica europea, è stato modificato seguendo le successive adesioni all'Unione europea e definisce le lingue ufficiali dell'UE, unitamente all'articolo 55, paragrafo 1, TUE. Le disposizioni di tale regolamento e dell'articolo 24 TFUE prevedono che ogni cittadino dell'Unione europea possa rivolgersi per iscritto a qualsiasi istituzione Pagina di 87 233 od organo dell'UE in una delle suddette lingue e ricevere una risposta redatta nella stessa lingua. La politica dell'UE in materia linguistica si basa sul rispetto della diversità in tutti gli Stati membri e sulla creazione di un dialogo interculturale in tutta l'Unione. Al fine di applicare concretamente il rispetto reciproco, l'Unione incoraggia l'insegnamento e l'apprendimento delle lingue straniere, nonché la mobilità dei cittadini, attraverso programmi dedicati all'istruzione e alla formazione professionale. Nella sua risoluzione dell'11 novembre 2021 sullo «spazio europeo di ricerca: un approccio olistico condiviso», il Parlamento ha sottolineato l'importanza dell'apprendimento delle lingue straniere, in particolare dell'inglese. Poneva l'accento sulla necessità che gli Stati membri si adoperino per promuovere lo sviluppo della competenza linguistica a tutti i livelli, in particolare nell'ambito dell'istruzione primaria e secondaria, per accogliere l'obiettivo del "plurilinguismo" formulato dal Consiglio d'Europa e per raggiungere il parametro di riferimento che prevede che tutti gli studenti abbiano una conoscenza sufficiente di almeno due altre lingue ufficiali dell'UE entro il termine del ciclo di istruzione secondaria di primo grado Lingue Romanze Le lingue romanze condividono una origine comune: il loro sviluppo in ogni caso può essere fatto risalire al latino. 
 Il latino, dal canto suo, si sviluppò da una forma linguistica parlata originariamente in alcune piccole comunità del Lazio (Lazio) nell'Italia centrale, probabilmente colonizzate da protolatini intorno al 1000 a.C. Tale ramo dell'indoeuropeo sembra essere stato portato nella penisola verso la fine del secondo millennio a.C., e comprendeva l'osco (parlato in gran parte dell'Italia meridionale almeno fino al momento del disastro di Pompei, come testimoniano chiaramente i graffiti), umbro (parlato nell'alta valle del Tevere) e numerose altre varietà più o meno note oltre al gruppo dialettale latino. 
 Si può dire che l'etichetta "latino" si riferisca inizialmente a questo gruppo di dialetti correlati, ma ben presto venne a designare prima la lingua di Roma - attestata fin dal VI secolo a.C. - e poi ad essere usato come termine sempre più ampio per una gamma di varietà correlate che differiscono lungo le dimensioni temporali, geografiche e sociali. Il latino era, come abbiamo visto, delimitato a sud e a est da lingue affini, mentre a nord il suo principale vicino era l'etrusco non indoeuropeo. Pagina di 90 233 
 Da est verso ovest si hanno:
 
 - il balcanoromanzo;
 - l’italoromanzo;
 - il galloromanzo;
 - l’iberoromanzo.
 
 Tutte sono unite come anelli di una catena dalle lingue-ponte (dalmatico, galloitaliano e ladino, catalano).
 
 Il criterio di Tagliavini è soprattutto di tipo geografico.
 La classificazione delle lingue romanze di Lausberg (1956-62)
 
 In Lausberg invece assumono una funzione preponderante le ragioni storico-evolutive. Lo studioso tedesco distingue tre raggruppamenti principali – i primi due ulteriormente ramificati – che si sarebbero formati in seguito a diverse ondate di innovazioni:
 
 a) Romània occidentale 
 Galloromania
 Retoromania (romancio, ladino e friulano)
 Italia settentrionale
 Iberoromania
 
 b) Romània orientale 
 Italia centrale e meridionale
 Dalmazia
 Romania
 
 c) Sardegna
 
 In una prima fase l’Italia è il centro di irradiazione delle innovazioni: è il periodo in cui si forma il vocalismo romanzo comune, che copre tutta la Romània salvo le zone più conservative (la Sardegna e la Dacia).
 In una seconda fase (a partire dal III sec.), centro d’irradiazione diventa la Gallia: si determina allora la separazione tra la Romània occidentale (con lenizione) e quella orientale. La classificazione delle lingue romanze: 
 l’ipotesi della Romània continua
 Pagina di 91 233 
 Più recentemente è stata sottolineata, in particolare da Renzi e Salvi (1994) e da Bossong (2008), l’importanza anche a fini classificatori dei fattori morfosintattici.
 
 Se ne deduce l’esistenza di una grande area senza variazioni brusche, detta Romània continua, sullo sfondo della quale spiccano due varietà più originali, il francese da una parte, il rumeno dall’altra. 
 Si noti che:
 1) l’originalità del francese è data quasi esclusivamente da fattori di evoluzione, quella del rumeno a pari merito da tratti conservativi e innovativi;
 
 2) il panorama sarebbe decisamente monco se non rappresentasse anche delle varietà non-standard: in particolare non emergerebbe la divisione tra l’Italia centro-meridionale e quella settentrionale, orientata verso il polo francese;
 
 3) si disegnano delle concordanze tra l’Iberoromania, l’Italia meridionale e la Romania. La classificazione delle lingue romanze: 
 l’ipotesi della Romània settentrionale e della Romània meridionale
 
 Proprio quest’ultimo fenomeno è focalizzato da Zamboni (2000), che distingue una Romània settentrionale e una meridionale caratterizzate da precisi tratti sintattici.
 
 Se i criteri fonologici conducono dunque a una divisione longitudinale della Romània, quelli sintattici portano a una divisione orizzontale, separando, per esempio, all’interno della Romània occidentale, il francese dallo spagnolo, all’interno di quella orientale, il fiorentino popolare dal palermitano. La classificazione di Ethnologue
 Vengono classificate 43 lingue romanze.
 
 - Orientali (4 lingue fra cui il romeno);
 
 - Lingue romanze italo-occidentali (34 lingue);
 - italo-dalmate (5 lingue, fra cui le lingue meridionali d’Italia);
 - occidentali (29 lingue);
 Pagina di 92 233 - gallo-iberiche (28 lingue);
 - gallo-romanze (15 lingue);
 - gallo-italiche (6 lingue);
 - gallo-retiche (9 lingue);
 - oil (6 lingue);
 - francese (5 lingue);
 - sudorientali (1 lingua);
 - retiche (3 lingue);
 - iberico-romanze (13 lingue);
 - iberico orientale (1 lingua);
 - oc (2 lingue);
 - iberico occidentale (10 lingue);
 - asturiano-leonese (2 lingue);
 - castigliano (4 lingue);
 - portoghese-galiziano (4 lingue);
 - pirenaico-mozarabiche (1 lingua);
 
 - Lingue meridionali (5 lingue);
 - Corso (1 lingua);
 - Sardo (4 lingue). Il luogo di sviluppo del proto-germanico Nel periodo di frammentazione della comunità indoeuropea, un gruppo di tribù si diresse verso l'Europa nord-occidentale, l'area intorno all'estremità occidentale del Baltico comprendente la Svezia meridionale, la Danimarca e lo Schleswig-Holstein. Qui si sviluppò una cultura dell'età del bronzo. Questa migrazione era probabilmente in via di completamento all'incirca nel 2000 a.C. Nel corso del tempo il dialetto indoeuropeo deli coloni subì una serie di cambiamenti di vasta portata che ne fecero una nuova lingua, nota come germanica o germanica primitiva. Non abbiamo prove dettagliate per i primi movimenti delle tribù germaniche né per lo sviluppo della loro lingua. Nella loro nuova patria quasi sicuramente le tribù indoeuropee in migrazione trovarono il territorio già occupato da altri abitanti con differenti modi di Pagina di 95 233 tribù germaniche più a sud, verso l'Europa continentale: alcuni popoli germanici si attribuirono in epoca storica un'origine scandinava (Longobardi, Burgundi, Goti ed Eruli). L'influenza scandinava sulla Pomerania e sulla Polonia settentrionale a partire dal III periodo fu comunque molto forte, tanto che alcuni autori includono queste regioni tra quelle della cultura dell'età del bronzo scandinava. Queste prime migrazioni, non documentate, si ritiene che portarono allo sviluppo della cultura di Jastorf, nelle pianure germaniche settentrionali, indicate in magenta. La cultura di Jastorf fu una cultura archeologica dell'età del ferro diffusa nell'attuale Germania settentrionale. Durò dal VI al I secolo a.C., dando vita alla parte meridionale dell'età del ferro pre- romana.Le lingue germaniche: la prima fase delle migrazioni, i popoli germanici orientali Verso la fine dell'era precristiana, le tribù germaniche, inclusi Vandali, Burgundi e Goti, lasciarono la patria germanica comune. I Goti, gli unici che hanno lasciato tracce linguistiche significative, si trasferirono sulle coste baltiche a est dell'Oder, alcuni di loro si spostarono nei Balcani intorno al 200 d.C., e da lì verso ovest in Italia, Francia e Spagna. A causa della direzione inizialmente orientale della migrazione, la lingua dei Goti è chiamata 'germanica orientale'; poiché generalmente si ritiene che si sia separata dal germanico comune, è considerata un ramo, allo stesso livello del germanico occidentale e settentrionale. Altra popolazione che condussero una migrazione imponente furono i Vandali, che costituirono un regno sulle sponde settentrionali dell’Africa. I popoli germanici orientali non riuscirono a mantenere per molti secoli le loro conquiste e, per varie regioni, tali popolazioni e le loro relative lingue scomparvero già nell’800 d.C.I popoli germanici Per il periodo intorno alla nascita di Cristo si possono distinguere cinque Pagina di 96 233 grandi confederazioni di tribù germaniche (su prove archeologiche piuttosto che linguistiche): - i Germani settentrionali (poi svedesi, danesi e norvegesi) in Scandinavia, - i Germani orientali (principalmente Goti, Vandali e Burgundi) tra l'Oder e la Vistola, molti dei quali arrivati molto recentemente dalla Scandinavia, e tre gruppi probabilmente corrispondenti agli Ingaevones, Istaevones ed Herminones di Tacito (Germania, 2, 3): - i Germani del Mare del Nord («Ingevoni», Frisoni, Angli e Sassoni) sulla costa del Mare del Nord; - i Germani del bacino del Reno-Weser («Istevoni», principalmente Franchi) tra il Weser e il basso Reno; - i Germani del bacino dell’Elba («Irminoni», compresi Alemanni, Bavaresi e Longobardi) sull'Elba media e inferiore. La stabilizzazione dei Germani Occidentali: la creazione del Sacro Romano Impero La popolazione germanica dei Franchi era piuttosto contenuta all’inizio, ma con la disgregazione dell’Impero Romano e l’assorbimento della cultura gallo-romanza, riuscì a creare una federazione di popoli che vennero man mano consolidati in un regno nella Gallia centrale a partire dal V secolo. Data fondamentale fu nell’800: Carlo Magno fu incoronato Imperatore da Papa Leone III a Roma, in una cerimonia che riconosceva formalmente l'Impero franco come il successore dell'Impero Romano d'Occidente. I Franchi furono importanti perché sopraffecero altre popolazioni germaniche, che vennero pian piano inglobate. Fra queste assumono particolare importanza i Longobardi, stanziati inizialmente nel bacino dell’Elba e insediatisi in Italia a partire dal 568 e integratisi progressivamente con la popolazione italica. Pagina di 97 233 La caduta del regno longobardo in Italia fu nel 773-774 ad opera proprio di Carlo Magno, sebbene permase la Langobardia Minor nel Sud Italia, con alcuni ducati che vennero successivamente assorbiti dai Normanni. Dopo una serie di guerre civili all’interno dell’Impero, il Trattato di Verdun dell’843 impose la tripartizione dell’impero grosso modo in quelli che ancora oggi sono Francia (Regno dei Franchi Occidentali), Germania (Regno dei Franchi Orientali e la Francia Media (Paesi Bassi, Lorena, Alsazia, Borgogna, Provenza e Italia) fra i tre figli di Ludovico il Pio. Le lingue germaniche al giorno d’oggi Il numero delle lingue germaniche, pur considerando le diverse varianti regionali, è molto ridotto; più o meno le principali possono essere quantificate in circa una dozzina. Ciò che rende rilevante il gruppo delle lingue germaniche sono le stime dei madrelingua, che variano da 450 milioni a 500 milioni e fino a oltre 520 milioni. Gran parte dell'incertezza è causata dalla rapida diffusione della lingua inglese e dalle stime contrastanti dei suoi madrelingua. Ciò in cui le lingue germaniche non hanno rivali, tuttavia, è la loro distribuzione geografica. Sebbene originariamente queste lingue fossero limitate a una piccola parte dell'Europa, colonizzatori e immigrati le impiantarono con successo, in particolare l'inglese, nelle Americhe, in Africa (es. Sud Africa), Asia (es. India), così come nel Pacifico (es. Australia) . Inoltre, l'inglese è diventata la lingua internazionale più importante del mondo, al servizio del commercio, della cultura, della diplomazia e della scienza, compresa la linguistica.La classificazione di Ethnologue Vengono classificate 49 lingue germaniche. - Lingue nordiche (7 lingue); - scandinave orientali (4 lingue fra cui danese, norvegese e svedese); - scandinave occidentali (3 lingue, faroese, islandese e norn); - Lingue occidentali (42 lingue); - inglese (2 lingue, inglese, scots); - frisone (3 lingue); - alto tedesco (20 lingue); - tedesco (18 lingue); - hunsrik (lingua del Brasile); - medio tedesco (8 lingue);
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