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Geografia Delle Lingue- Le lingue Romanze, Slide di Geografia

''Le lingue Romanze" Geografia delle lingue Prof Ferrari

Tipologia: Slide

2021/2022

Caricato il 25/05/2023

Bianca_unich
Bianca_unich 🇮🇹

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Scarica Geografia Delle Lingue- Le lingue Romanze e più Slide in PDF di Geografia solo su Docsity! . GEOGRAFIA ESAME Esame Geografia Le lingue romanze La geografia delle lingue romanze Le lingue romanze Le lingue romanze condividono una origine comune: il loro sviluppo in ogni caso può essere fatto risalire al latino. Il latino, dal canto suo, si sviluppò da una forma linguistica parlata originariamente in alcune piccole comunità del Lazio (Lazio) nell'Italia centrale, probabilmente colonizzate da protolatini intorno al 1000 a.C. Tale ramo dell'indoeuropeo sembra essere stato portato nella penisola verso la fine del secondo millennio a.C., e comprendeva l'osco (parlato in gran parte dell'Italia meridionale almeno fino al momento del disastro di Pompei, come testimoniano chiaramente i graffiti), umbro (parlato nell'alta valle del Tevere) e numerose altre varietà più o meno note oltre al gruppo dialettale latino. Si può dire che l'etichetta "latino" si riferisca inizialmente a questo gruppo di dialetti correlati, ma ben presto venne a designare prima la lingua di Roma - attestata fin dal VI secolo a.C. - e poi ad essere usato come termine sempre più ampio per una gamma di varietà correlate che differiscono lungo le dimensioni temporali, geografiche e sociali. Il latino era, come abbiamo visto, delimitato a sud e a est da lingue affini, mentre a nord il suo principale vicino era l'etrusco non indoeuropeo. Le lingue romanze dopo il crollo dell’Impero Romano d’Occidente Nonostante il crollo militare e politico dell'Impero d'Occidente e la successiva perdita di territorio da parte dei romani, le lingue germaniche e slave in realtà fecero meno progressi in Europa di quanto ci si potesse aspettare. In Iberia, ad esempio, i Visigoti erano già di lingua latina prima del loro arrivo e conservavano molti aspetti della civiltà che vi trovavano, con se stessi ora in un ruolo dominante; l'uso continuato del romanzo non è quindi sorprendente. Nella Gallia settentrionale, per fare un secondo esempio, alla fine del V secolo emerse un regno franco cattolico sotto Clodoveo, in cui il latino si affermò fin dall'inizio come lingua sia della religione che dell'amministrazione e dove un volgare romanzo, con una significativa sovrapposizione franca, iniziò rapidamente a svilupparsi. Più difficile è invece la persistenza - o reintroduzione - del romanzo nell'area della Romania odierna. La sopravvivenza o meno del romanzo quando il dominio politico passò in altre mani può essere ascritta in parte all'estensione e alla profondità della precedente latinizzazione e in parte alla densità e al modello di insediamento dei nuovi arrivati; l'uso da parte della chiesa cristiana come lingua 'ufficiale' del latino/romanzo (quello che alcuni studiosi chiamano 'tardo latino' è lo stesso di ciò che altri chiamano 'primo romanzo') è certamente anche un fattore rilevante. Le ragioni della progressiva divergenza linguistica delle lingue romanze A partire dal crollo dell’Impero Romano d’Occidente si possono evidenziare tre ragioni principali della progressiva divergenza linguistica: - la prima è semplicemente la tendenza generale alla frammentazione linguistica insita nel processo di acquisizione della lingua, controbilanciata in ogni momento dalla necessità di comunicare con gli altri all'interno di una comunità linguistica condivisa. Data la perdita di un unico sistema educativo uniforme e data la crescente separazione l'uno dall'altro dei vari gruppi di parlanti, le pressioni che compensavano la frammentazione si indebolirono e la dialettizzazione procedeva rapidamente. Le ragioni della progressiva divergenza linguistica delle lingue romanze - In secondo luogo, vi erano già durante l'Impero incipienti divergenze tra il latino di varie province, almeno in parte a causa della diversa lingua o lingue parlate (e spesso continuate ad essere parlate per secoli) in varie regioni prima che il latino diventasse il linguaggio predominante. - La terza ragione dell'accresciuta divergenza linguistica in seguito alla disgregazione dell'Impero risiede nelle lingue dei conquistatori, immediate o successive. Quindi ci si aspetta, ad esempio, di trovare la maggior parte delle parole di origine germanica in francese, in particolare in quei dialetti - come il Vallone - più vicini all'eventuale frontiera romancio-germanica, meno nelle altre aree di lingua romanza dove l'insediamento germanico era meno denso. Nello spagnolo (e in misura minore nel catalano e nel portoghese) si trova un sostanziale elemento arabo, che riflette l'occupazione di parti significative della penisola da parte di parlanti arabi per quasi otto secoli, mentre nel caso del rumeno i contatti costanti con lo slavo e altre lingue non romanze hanno portato a un sostanziale elemento lessicale non romanzo nella lingua anche nel vocabolario quotidiano. Le ragioni della progressiva divergenza linguistica delle lingue romanze A partire dalla prima parte del Medioevo, tuttavia, almeno nella parte occidentale del mondo romanzo, si potevano intravedere i primi segnali di una nuova fase dell'evoluzione linguistica, ovvero il progressivo emergere in una determinata area di un dialetto più favorito per vari motivi rispetto a qualsiasi altro; da queste varietà predilette, a velocità diverse nei diversi territori, si è sviluppata una serie di lingue nazionali. La tempistica precisa e il risultato di questo sviluppo, che ha influenzato le forme scritte della lingua notevolmente prima dell'idioma quotidiano parlato, è dipeso da tutta una varietà di fattori storici, in particolare l'istituzione o meno di uno stato-nazione in una determinata regione e la politica, esplicita o meno, del gruppo linguisticamente dominante nei confronti di coloro la cui forma di discorso nativa era diversa dalla loro. La classificazione delle lingue romanze La classificazione interna delle lingue romanze è un argomento complesso e spesso controverso che può non avere una risposta univoca. Sono state proposte varie classificazioni, basate su diversi criteri. La classificazione delle lingue è, in generale, problematica. In particolare le lingue romanze (così come altre famiglie diffusesi su aree non molto frazionate) formano un vasto continuum dialettale attraversato da numerosi e divergenti fenomeni lessicali, strutturali e fonetici. Tale continuità linguistica tra le varie parlate implica necessariamente, oltre alla succitata difficoltà nell'identificare una precisa realtà linguistica locale distinta dalle circostanti, che sia sempre Contemporaneamente a questi sviluppi, troviamo dapprima un processo di frammentazione linguistica tra i regni cristiani e poi il graduale emergere di due dei dialetti risultanti, castigliano e portoghese, per diventare a tempo debito le lingue nazionali di Spagna e Portogallo. Le lingue romanze della penisola iberica Più specificamente, possiamo osservare che all'inizio della Riconquista esisteva una gamma di dialetti ispano-romanzi, tradizionalmente raggruppati, soprattutto a causa delle divisioni politiche dell'epoca, in quattro, da ovest a est, galiziano, leonese, castigliano e (navarro-) aragonese, con il catalano ancora più a est. I parlanti di ciascuno di questi dialetti rioccuparono gradualmente il territorio a sud, ma la fascia centrale dominata dal castigliano si allargò gradualmente, al punto da interrompere l'espansione verso sud di catalano, aragonese e leonese in punti vicini ad Alicante a est e Badajoz a ovest, con una consistente striscia più a ovest cristianizzata da parlanti galiziano-portoghese, che raggiunsero e riconquistarono l'Algarve entro la metà del XIII secolo (a quel punto si può dire che il Portogallo moderno abbia preso forma). All'inizio, fu in gran parte il mozarabico che questi dialetti entranti sostituirono (sebbene forse con una certa influenza residua del mozarabico sui dialetti dell'Andalusia), ma in gran parte del terzo meridionale del paese, dall'ultima parte del XII secolo in poi, furono spesso le lingue non romanze, in particolare l'arabo e il berbero, a cedere il passo al castigliano, proveniente dal nord e ora in posizione dominante. Inoltre, lungo i fianchi orientale e occidentale del territorio spagnolo inizialmente riconquistati rispettivamente da parlanti l'aragonese e il leonese, il castigliano guadagnò terreno abbastanza rapidamente, un processo aiutato senza dubbio dal fatto che le differenze tra i dialetti a quel tempo erano significativamente inferiori a quelle riscontrate ora tra lo spagnolo standard (castigliano) e quelle forme di aragonese e leonese che continuano ad essere parlate oggi. Il castigliano come lingua ufficiale Nel Medioevo il castigliano, uno dei tanti dialetti della penisola, si diffonde al di fuori dei confini della Castiglia per motivi commerciali e, grazie alla flessibilità, diventa una vera e propria lingua franca. Durante il Regno di Alfonso X (1221-1284) non solo diviene lingua ufficiale di Corte, ma si sostituisce al latino come strumento di diffusione culturale. Nella seconda metà del Quattrocento, con i Re Cattolici, il castigliano è insieme alla religione, la condizione sine qua non per la definizione dell'unità nazionale. Il regime franchista, cinque secoli dopo, continua a cavalcare questa idea e reprime duramente tutte le lingue altre presenti sul territorio peninsulare nonostante le tre principali – il catalano, il galiziano e il basco – fossero già state riconosciute come lingue regionali dalla costituzione del 1931 (artt. 4 e 50) che ne autorizzava l'insegnamento, insieme al castigliano, nelle rispettive aree. Il castigliano e le lingue co-ufficiali Con il ritorno della democrazia, dopo la morte di Franco nel 1975, la costituzione del 1978 riconosce il castigliano quale lingua ufficiale dello Stato e il catalano, il basco e galiziano come lingue nazionali nelle Comunità in cui si parlano. Artículo 3 1. El castellano es la lengua española oficial del Estado. Todos los españoles tienen el deber de conocerla y el derecho a usarla. 2. Las demás lenguas españolas serán también oficiales en las respectivas Comunidades Autónomas de acuerdo con sus Estatutos. 3. La riqueza de las distintas modalidades lingüísticas de España es un patrimonio cultural que será objeto de especial respeto y protección. Le lingue co-ufficiali in Spagna sono: - il catalano-valenciano-balearico (in Catalogna con leggi del 1983 e del 1998, nella Comunità Valenciana nel 1983, nelle Isole Baleari nel 1986); - il galiziano (in Galizia con leggi del 1983); - il basco (nei Paesi Baschi dal 1982); - l’aranese-occitano (in Catalogna, limitatamente alla Valle d’Arán, dal 2006 e poi con legge del 2010). La lingua catalana. La situazione in Catalogna La lingua catalana, in età medievale lingua della corte d’Aragona, caratterizza la Catalogna (nord-est della Spagna), Comunità Valenciana, Isole Baleari, principato di Andorra e il territorio italiano di Alghero, in Sardegna. Il catalano manifesta alcune differenze con le altre lingue ibero-romanze e manifesta alcune affinità con il Francese e alcuni dialetti del Nord Italia in quanto molto del suo lessico è di origine gallo-romanza. In Catalogna al 2018 vi erano 2,3 milioni di parlanti come lingua abituale (36,3%), contro i 3,1 milioni di parlanti abituali il castigliano (48,6%), mentre un altro 7,4% dichiarava di usare entrambe le lingue. La lingua catalana. La situazione nella Comunità Valenciana L’idioma valenciano è lingua ufficiale in tutta la comunità valenciana, sebbene essa sia da considerare una varietà dialettale del catalano. Non è parlato in tutta la comunità valenciana, ma soprattutto lungo la costa, dove assume anche variazioni subdialettali. Secondo stime, al 2015 circa il 28% della popolazione della comunità valenciana parlava abitualmente in catalano (valenciano), pari a oltre 1,2 milioni di persone. La lingua catalana. La situazione nelle Isole Baleari Si chiama baleare o balearico la famiglia dei dialetti catalani parlati nelle Isole Baleari; le sue sottovarianti sono il maiorchino (mallorquí) a Maiorca, il minorchino (menorquí) nell'isola di Minorca e l'ibizenco (eivissenc) nelle Pitiuse (Illes Pitiuses) formate da Ibiza (Eivissa) e Formentera. Non è parlato in tutta la comunità valenciana, ma soprattutto lungo la costa, dove assume anche variazioni subdialettali. La lingua baleare venne portata dagli abitanti provenienti dal Rossiglione e dall'Ampurdán ai tempi della conquista di Maiorca da parte del re Giacomo I d'Aragona, per cui, si conservano caratteristiche dialettali imparentate con le varianti di dette zone. Tuttavia, il fatto che l'arcipelago baleare, per la sua posizione strategica nel Mediterraneo, si convertisse in centro commerciale e in ponte per l'espansione catalana/aragonese, apportò prestiti lessicali presi da altre lingue. Secondo stime, al 2015 circa il 37% della popolazione delle Isole Baleari parlava abitualmente in catalano (baleare),pari a oltre 400mila persone. Il galiziano Il galiziano è la lingua parlata nella Galizia, l'estrema punta atlantica del territorio spagnolo. Il gallego è la lingua romanza più affine al portoghese. Nonostante essa sia parlata ancora oggi, ha subito e sta continuando a subire un processo di indebolimento dovuto all'estendersi della dominazione castigliana. Ci fu un momento in cui il galiziano arrivò ad essere la lingua colta fuori dalla Galizia e dal Portogallo; basti infatti ricordare che scriveva in galiziano il re Alfonso X nelle sue Cantigas de Santa Maria. Il gallego-portoghese ebbe un'esistenza ufficiale e piena per quasi 700 anni, finché tra la fine del XIV secolo e gli inizi del XV secolo salì al potere una nobiltà di origine castigliana che favorì la repressione della lingua e la perdita della funzione pubblica, ufficiale, letteraria e religiosa del galiziano fino alla fine del XIX secolo. Secondo l’inchiesta statistica del 2018, più del 30% della popolazione in Galizia parla abitualmente gallego (quasi ottocentomila persone), mentre un altro 22% parla più in gallego che castigliano. L’occitano-aranese La Valle d’Arán è una piccola regione storica della Catalogna, nella provincia di Lleida, di appena 10.175 residenti nel 2020. Situata nel lembo sud-est della regione storica della Guascogna, ha avuto vicende molto turbolente, con cambi di possesso e di governo nel corso dei secoli, specialmente durante il Medioevo. Nonostante ciò ha mantenuto la propria cultura, i propri costumi e il proprio idioma, derivante dall’occitano (lingua d’oc). Con capitale a Viella (Vielha in Aran), ha un governo autonomo, il Consiglio Generale di Aran (Consell General d'Aran), in virtù della Legge 16/1990 sul regime speciale della Val d'Aran, aggiornata con la nuova Legge di Aran del 21 gennaio 2015. È stata contea (comarca) fino al 2015, anno da cui è giuridicamente considerata un unico ente territoriale. Secondo gli ultimi dati del 2018, l’aranese ha comunque pochi parlanti: appena 2,6 migliaia alla nascita, 2,1 come lingua identificativa e 1,7 come lingua abituale dei parlanti. Le lingue di Spagna non ufficiali più rilevanti ARAGONESE: l'idioma aragonese si è delineato, a partire dal VII-VIII secolo, dai dialetti latini parlati nella penisola iberica nonché da un substrato basco. Il periodo più vitale dell'aragonese coincise storicamente con l'epoca del regno di Aragona (1035-1479). Tuttavia, già dal 1412, con l'avvento al trono della dinastia castigliana dei Trastámara, il castigliano passò ad essere la lingua della corte e della nobiltà aragonese. Il definitivo affermarsi del regno di Castiglia come potenza iberica e la sua unione dinastica con l'Aragona (1479, nozze di Isabella di Castiglia con Ferdinando d'Aragona), nonché la Mentre l'occitano antico e il francese antico erano certamente più simili dei loro discendenti moderni, esistono in realtà parallelismi molto più stretti, sia sincronici che diacronici, tra l'occitano e il catalano che tra occitano e francese. Le forme dell'occitano rimasero in uso generale nella parte meridionale del paese fino alla fine del XV secolo e oltre; in effetti, solo l'editto di Villers -Cotterets nel 1539 lo estromise come lingua scritta ufficiale, sebbene a questo punto il francese fosse ampiamente considerato come dotato di maggiore prestigio, con tutte le conseguenze che derivano da un tale atteggiamento. L'occitano rimase tuttavia praticamente l'unica lingua parlata quotidiana nel suo territorio d'origine fino al nuovo clima sociale e politico seguito alla Rivoluzione, dopodiché il francese fece rapidi progressi, soprattutto nelle città e tra i ceti in ascesa. Sono stati fatti vari tentativi per ristabilire una qualche forma di valorizzare l'occitano come lingua letteraria, in particolare dal movimento Felibrige del XIX secolo Dall'ultima guerra vari provveimenti hanno consentito l'insegnamento delle forme locali di lingua a tutti i livelli di istruzione, ma con scarsi risultati. Le lingue romanze galliche: il franco-provenzale Il Franco-provenzale è il nome dato al gruppo di dialetti parlati nella Francia centro-sudorientale, all'incirca in un triangolo delimitato da Grenoble, Ginevra e Lione, nella Svizzera romanda e in Val d'Aosta in Italia, sfumando quindi abbastanza nettamente nei dialetti gallo-italiani dell'estremo nord dell’Italia. Condividendo alcune caratteristiche del francese, dell'occitano e dell'italo- romanzo, questi dialetti, avendo perso la presa sulle città menzionate in precedenza, sono ora ridotti allo status di patois, essendosi frammentata la lingua precedentemente relativamente unificatasi basata sull'uso di Lione. Vale la pena notare che il trattamento separato riservato al franco-provenzale è dovuto almeno tanto alla sua diffusione geografica su tre Paesi e alla sua caratterizzazione come zona di transizione linguistica. La situazione linguistica attuale della Francia. Il francese come lingua ufficiale L'ordinanza (o, impropriamente, l'editto) di Villers-Cotterêts è un documento promulgato tra il 10 ed il 15 agosto 1539 nella località omonima dal re di Francia Francesco I. Suddivisa in 192 articoli, l'ordinanza introdusse una riforma della giurisdizione ecclesiastica, ridusse alcune prerogative delle città e rese obbligatoria la tenuta dei registri di battesimo. È soprattutto nota però per essere l'atto con il quale venne stabilito il primato e l'esclusività della lingua francese nei documenti pubblici. Diventando la lingua ufficiale del diritto e dell'amministrazione, il francese scardinò così la supremazia del latino e declassò ad un rango inferiore tutte le altre lingue del Paese. L’avvento della francophonie Il primo uso della parola francophonie pare risalire a Onésime Reclus, un geografo francese che, nel 1886, pubblicò un volume dal titolo France, Algérie et colonies dedicato alla descrizione dell'impero coloniale francese con particolare attenzione al territorio algerino. Si tratta di un’opera imponente di geografia fisica e umana che prende in esame la Francia e le colonie dell’epoca. Reclus considera la conformazione naturale dei territori, ma anche la storia di popolazione di abitano, loro civiltà e lingue. A questo proposito Reclus afferma che nelle colonie, dopo i primi momenti di confusione linguistica, dovuta alla mescolanza tra popolazioni diverse, il francese è destinato a diffondersi. Grazie al sistema scolastico introdotto dal governo coloniale, questi nuovi francesi impareranno la lingua ed entreranno a contatto con la grande tradizione culturale francese. Il francese nella Costituzione Dopo la seconda guerra mondiale, il francese diviene simbolo riconosciuto dell’unità nazionale, seppure non espressamente esplicitato nella normativa nazionale. Si riscontra, però, una apertura all’insegnamento delle lingue regionali con diverse normative, prima fra tutte la ora soppressa Loi Deixonne del 1951, che riconosceva già il basco, il bretone, il catalano e l’occitano, a cui poi seguirono altre. Nel 1992, però, è stato aggiunto un riferimento preciso alla lingua francese dalla legge costituzionale n. 92-554 del 25 giugno 1992 e, in seguito, è divenuto primo comma dell’articolo 2 della Costituzione con la legge costituzionale n. 95-880 del 4 agosto 1995. Ora l’articolo 2 della Costituzione Francese recita: «La langue de la République est le français. L'emblème national est le drapeau tricolore, bleu, blanc, rouge. L'hymne national est « La Marseillaise ». La devise de la République est « Liberté, Égalité, Fraternité ». Son principe est : gouvernement du peuple, par le peuple et pour le peuple. » Il francese nella Costituzione Dopo la seconda guerra mondiale, il francese diviene simbolo riconosciuto dell’unità nazionale, seppure non espressamente esplicitato nella normativa nazionale. Si riscontra, però, una apertura all’insegnamento delle lingue regionali con diverse normative, prima fra tutte la ora soppressa Loi Deixonne del 1951, che riconosceva già il basco, il bretone, il catalano e l’occitano, a cui poi seguirono altre. Nel 1992, però, è stato aggiunto un riferimento preciso alla lingua francese dalla legge costituzionale n. 92-554 del 25 giugno 1992 e, in seguito, è divenuto primo comma dell’articolo 2 della Costituzione con la legge costituzionale n. 95-880 del 4 agosto 1995. Il francese nella Costituzione e la Loi Toubon L’enunciato relativo alla officialité sono state suggerite in origine dalla volontà di salvaguardare il francese dalla crescente anglofonia e non già dall ’esigenza di contrastare le lingue regionali (esigenza alla quale nondimeno la norma sulla officialité è stata poi, almeno in parte, asservita). Sull’onda delle novità costituzionali introdotte nei primi anni Novanta, la successiva legge n. 94-665 del 4 agosto 1994 (la nuova legge relative à l’emploi de la langue française che ha abrogato il testo del 1975, meglio nota come loi Toubon) precisa all’articolo 1 che la lingua francese – «lingua della Repubblica in virtù della Costituzione» – è «un elemento fondamentale della personalità e del patrimonio della Francia» ed è «la lingua dell’educazione, del lavoro, del commercio e dei servizi pubblici». Il principio di ufficialità comporta pertanto un dovere all’uso del francese che non vale soltanto per lo Stato e per gli uffici pubblici, ma che si estende anche a tutti i soggetti, di diritto pubblico o privato, implicati nell’erogazione dei servizi pubblici, mentre gli utenti di tali servizi non possono, dal canto loro, vantare alcun diritto all ’uso di una lingua differente dall’unica lingua ufficiale. La loi Toubon ha inoltre conservato l’obbligo di utilizzare il francese nei contratti in cui sia parte un ente pubblico e in vari settori della comunicazione. Il francese nella Costituzione e la riscoperta delle lingue regionali In seguito, la complessa riforma introdotta con la legge costituzionale n. 2008-724 del 23 luglio 2008 aggiunse una nuova disposizione costituzionale espressamente dedicata alle lingue regionali alimentando così le speranze di quanti auspicavano una svolta in questa materia. Benché infatti la novella costituzionale del 2008 non abbia comportato alcuna profonda modifica dei diritti spettanti alle collettività territoriali, essa ha perlomeno inserito un nuovo importante tassello nella disciplina costituzionale del fattore linguistico, la cui colonna portante era stata appunto edificata, circa quindici anni prima, con il riconoscimento del francese come lingua ufficiale della Repubblica. E così, il titolo XII della Costituzione, dedicato alle collettività territoriali, si è arricchito di un nuovo articolo 75-1 (approvato dopo un iter non facile), in base al quale «le lingue regionali appartengono al patrimonio della Francia». Si tratta di un’affermazione importante, che denota la consapevolezza della situazione non facile in cui versano gli idiomi locali francesi, duramente provati da una lunga storia assimilazionista (testimoniata anche dalla «politica di unificazione linguistica» della Rivoluzione) nonché la sincera volontà di proteggerli in quanto, a loro volta, patrimonio francese. Tuttavia, sarebbe un grave errore pensare che l’art. 75-1 sia stato introdotto con l’intento di riequilibrare, come una sorta di contrappeso, il valore riconosciuto alla lingua francese come lingua ufficiale. I due aspetti, quello della ufficialità, da un lato, e quello della protezione del patrimonio linguistico regionale, dall’altro, non soltanto non hanno lo stesso peso costituzionale (o perlomeno non sembrano averlo) ma, più ancora, operano tendenzialmente su piani differenti, che in teoria non si dovrebbero incrociare. Il francese nella Costituzione e la riscoperta delle lingue regionali: la Loi Molac La legge n. 2021-641 del 21 maggio 2021 relative à la protection patrimoniale des langues régionales et à leur promotion (nota anche come loi Molac dal nome del suo principale artefice, il deputato Paul Molac) si è posta in apparente discontinuità con la tradizionale tendenza della cultura dominante francese a salvaguardare e promuovere la lingua nazionale. Consiglio costituzionale ha dichiarato la non conformità parziale alla Costituzione della citata loi Molac, legge che appunto mirava a dare finalmente attuazione all’art. 75-1 della Costituzione. La legge sulla protezione delle lingue regionali del 2021 ha infatti individuato uno spazio di interferenza tra il principio dell’ufficialità della lingua francese e il principio della c.d. patrimonialité delle lingue regionali, nel quale si è innestato l’intervento del Consiglio costituzionale. Questo intervento si è posto in continuità con la giurisprudenza pregressa del Conseil, deludendo le attese di quanti auspicavano una svolta in materia. I due articoli maggiormente osservati dai giudici costituzionali come non conformi alla Costituzione sono l’art. 4 sull’insegnamento delle lingue regionali e l’art. 9 sull’utilizzo dei segni diacritici nei documenti ufficiali. Le lingue regionali riconosciute dal Ministero della Cultura Situazione linguistica del territorio italiano. Il friulano Il ladino Il Ladino dolomitico fa parte del gruppo linguistico retoromanzo è un raggruppamento di lingue neolatine unite da strette affinità e parlate da oltre 800.000 persone nella parte centro-orientale dell’arco alpino. Le altre due lingue riconosciute che ne fanno parte sono il Romancio ed il Friulano; nel complesso queste tre lingue costituiscono l’intero gruppo. I ladini delle Dolomiti abitano le quattro valli che si dipartono dal Gruppo del Sella (3152 m). In direzione radiale troviamo a sud-ovest la Val di Fassa, a nord-ovest la Val Gardena, a nord-est la Val Badia con Marebbe, a sud-est Livinallongo e Colle Santa Lucia. A est, nella valle del Boite, si trova Cortina d'Ampezzo. La minoranza ladina è divisa in due regioni, Trentino Alto-Adige e Veneto e in tre province (Bolzano, Trento e Belluno) che costituiscono la regione etnolinguistica e storico-geografica della Ladinia. Il numero dei parlanti ladino ammonta a 30.000 persone circa. Il ladino si può suddividere in: atesino, fassano, agordino, ampezzano, cadorino. Il ladino La situazione nel Nord-Ovest d’Italia Le colonie linguistiche Si tratta di piccoli gruppi che parlano lingue appartenenti a famiglie diverse. Sono arrivati in momenti diversi da altri Paesi e che, insediatesi in territori circoscritti, hanno mantenuto la loro identità culturale benché immerse in un contesto differente. - colonie in Sardegna: Catalano ad Alghero; Tabarchino, una variante della parlata ligure, adottata originariamente dalla popolazione in fuga da Tabarka in Tunisia e ospitata nel Settecento nell’Arcipelago del Sulcis (Carloforte nell’Isola di San Pietro, Calasetta nell’Isola di Sant’Antioco); - colonie germanofone (Walser, Mòchena, Cimbra, Bavarese in Veneto e Friuli Venezia Giulia); - altre colonie storiche (croata, greca, albanese), Le colonie germanofone Walser: I Walser (contrazione del tedesco Walliser, cioè vallesano, abitante del canton Vallese) sono una popolazione di origine germanica che abita le regioni alpine attorno al massiccio del Monte Rosa. Il popolo Walser definisce la propria lingua come Titsch, Töitschu o Titzschu, termini imparentati con il tedesco standard Deutsch. Gli studi etno-storico-geografici di fine '800 e '900 ne hanno tradizionalmente fatto risalire le origini al ceppo degli Alemanni. Stabilitisi nella Valle del Goms, da qui, durante il XII-XIII secolo, coloni Walser provenienti dall'alto Vallese si stabilirono in diverse località dell'arco alpino in Italia, Svizzera, Liechtenstein, Austria e Francia. La storia del popolo Walser in Valsesia inizia verso la metà del XIII secolo, quando alcuni piccoli gruppi di coloni, per migrazioni progressive, giungono nelle vallate a sud del Monte Rosa. Mòcheni: L'origine sembra vada fatta risalire ad un'immigrazione di coloni tedeschi, chiamati dai signori feudali di Pergine allo scopo di rendere produttiva una zona fino ad allora scarsamente antropizzata. a lingua mòchena (nome nativo Bersntoler sproch, in tedesco Fersntalerisch o Mochenische) è una lingua appartenente al gruppo delle lingue tedesche superiori, parlata nei tre comuni italiani siti nel versante orientale della valle dei Mòcheni o del Fersina (Bersntol), in provincia di Trento: Fierozzo (Vlarötz), Frassilongo (Garait), Palù del Fersina (Palai en Bersntol) e, in forma minoritaria nel comune di Sant'Orsola Terme (Oachpergh), sulla sponda occidentale. Cimbri: i cimbri costituiscono la minoranza etnica e linguistica attualmente stanziata in pochi centri sparsi nell'area montuosa compresa tra le province di Trento (Luserna), Vicenza (altopiano dei Sette Comuni, in particolare Roana), e Verona (Tredici Comuni, in particolare Giazza). Una minuscola isola cimbra, di origine più recente, si trova inoltre sull'altopiano del Cansiglio (province di Belluno e Treviso). Le comunità germanofone storiche d’Italia La situazione linguistica nel Nord-Est d’Italia Le lingue di minoranze linguistiche In regime di co-ufficialità con l’italiano, rimandano ad altrettante minoranze nazionali che hanno i propri riferimenti culturali e politici al di là dei confini. Rispetto alle altre tipologie minoritarie, queste lingue presentano proprie caratteristiche peculiari e, proprio in quanto parlate da gruppi il cui nucleo centrale nazionale è situato oltre i confini dello Stato italiano, risultano tutelate da accordi di diritto internazionale. - Tedesco (Alto Adige); - Sloveno (Friuli Venezia-Giulia); - Francese (Valle d’Aosta). Le aree di minoranza slovena in Italia Schema riassuntivo delle lingue in Italia Lingue regionali: Sardo (1,6 milioni); Gallurese (100 mila); Sassarese (100 mila); Friulano (500-600 mila); Ladino (30 mila); Franco-provenzale (70 mila); Occitano (100 mila). Colonie linguistiche: Catalano algherese (44 mila); Greco-italiota (20 mila); Croato (1.000); Arbëreshe (100 mila). Minoranze linguistiche: Francese (100 mila); Tedesco (comprendente anche le colonie storiche, 345 mila); Sloveno (100 mila). Lingue dialettali: Napoletano-Calabrese (dialetti meridionali, 5,7-7,5 milioni); Siciliano (4,7 milioni); Veneto (3,8 milioni); Lombardo (3,6 milioni); Piemontese (700 mila); Emiliano (3 milioni); Romagnolo (1,1 milioni); Ligure (500 mila). Non vengono conteggiati i dialetti mediani da Ethnologue che vengono classificati nella lingua italiana: i dialetti toscani hanno comunque circa 3 milioni di locutori, i dialetti laziali circa 600 mila. Le lingue romanze orientali La storia del ramo più orientale della famiglia di lingue romanze è più complessa quella delle varietà che abbiamo finora discusso. Derivando dal latino parlato nella provincia romana della Dacia, e quindi spesso noto come daco-romeno, l'antecedente del moderno romeno, sebbene menzionato dal XIII secolo, è rinvenibile nei testi solo del XVI secolo. In sostanza, vi sono due opinioni sulla persistenza di una lingua romantica in quella che oggi è la Romania: - uno è che il latino è stato preservato senza una pausa a nord del Danubio, sebbene questa provincia sia stata abbandonata da Roma già nel 271 d.C. - l'altro è che il latino è stato perso in questa regione, ma in seguito reintrodotto da locutori romanzi del Danubio, poiché questi migrarono verso nord sotto la pressione delle popolazioni slave. La seconda visione sembra più plausibile, dato che sia il fatto che la provincia settentrionale sia stata una delle ultime ad essere occupate, ma uno delle prime ad essere abbandonate. Le lingue romanze orientali Il romanzo balcanico è generalmente diviso in quattro tipi principali, di cui uno, daco-rumeno, è l'antecedente del moderno romeno. La lingua romena oggi è parlata da più di 24 milioni di locutori. Il romeno è lingua ufficiale della Romania, della Moldavia e della provincia autonoma della Voivodina in Serbia Le altre tre principali varianti sub-danubiane sono: - l’istro-rumeno, parlato da meno di mille locutori intorno a Ucka Gora nella parte orientale della penisola istriana non lontano da Rijeka; - il megleno-rumeno, parlato da circa cinquemila parlanti a nord-ovest di Salonicco in Grecia al confine con la Macedonia del Nord; - l’arumeno (o macedo-romeno), parlato da 250.000 locutori in Grecia settentrionale, parti dell'Albania e della Macedonia del Nord. Lingue del Romanzo Balcanico APPUNTI Le lingue romanze hanno il loro centro di sviluppo nel lazio meridionale intorno al 1000 A.C., si inseriscono in un contesto dove c’erano già delle parlate preindoeuropee per esempio le parlate etrusche. All’inizio si collocano in un’area contenuta rispetto alle altre due parlate
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