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Geografia e Antropocene, Dispense di Geografia

Tratta l'Antropocene visto come inizio di un'era geologica, spiegando nel dettaglio le varie tesi e citando esempi concreti che le affermino.

Tipologia: Dispense

2019/2020

Caricato il 12/05/2022

teachme98
teachme98 🇮🇹

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Scarica Geografia e Antropocene e più Dispense in PDF di Geografia solo su Docsity! GEOGRAFIA E ANTROPOCENE Cristiano Giorda PREFAZIONE: La valutazione degli effetti dell’impronta ecologica sul pianeta non può prescindere da quelle discipline che misurano e quantificano gli effetti prodotti dalle attività ponendo al centro le interazioni tra natura e cultura ma si tratta anche di un necessario correttivo di prospettiva, che ci permette di porre rimedio alle nostre fantasie e illusioni che spesso ci presentano un mondo totalmente irrealistico. Questa dissonanza cognitiva ha dato origine a ciò che si definisce pleonastico (superfluo, non necessario) di “disponibilità-mondo”, un mondo che elargisce beni di consumo a getto continuo. GEOGRAFIA E ANTROPOCENTE. UN’INTRODUZIONE appunto: che cos’è l’antropocene: è l’epoca geologica attuale, in cui l'ambiente terrestre, nell’insieme delle sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche, viene fortemente condizionato su scala sia locale sia globale dagli effetti dell’azione umana, con particolare riferimento all' aumento delle concentrazioni di CO2 e CH4 nell'atmosfera. 1 la ricerca degli obbiettivi Antropocene come segno dell’impronta umana sull’ambiente, come la prova del sigillo della natura sulle culture delle società umane. Il primo obbiettivo è di indagare l’Antropocene dal punto di vista della geografia inserendola nel lessico e negli studi geografici e di quale possa essere oggi il contributo della geografia al suo sviluppo. Il secondo è capire se questo concetto possa cambiare la visione della geografia. Il libro pone domande ed esplora le risposte, senza dare delle definizioni e lasciando il lettore libero di interpretazione delle varie letture che non sono mai in contrasto tra di loro in quanto la definizione di Antropocene sia condivisa. 2 genesi dell’Antropocene: l’uomo come forza geologica Il concetto di Antropocene nasce dal biologo Eugene Stormir negli anni Ottanta ma non ebbe successo fino agli anni 2000 dove venne ripreso dal premio Nobel Paul Crutzen (chimico atmosferico) per marcare le conseguenze che le attività umane hanno provocato ai processi biologici terrestri. Quello che il biologo e il chimico atmosferico volevano affermare è abbastanza semplice: la pervasività dell’attività umana nei processi biologici che avvengono sulla terra e che caratterizzano il pianeta in quanto essere vivente è tale per cui abbiamo il bisogno di marcare l'ingresso in una nuova era geologica caratterizzata dall’attività dell’umanità. Questo provocherebbe la fine dell’Olocene (che diventerebbe così la più breve era della storia), è necessario però stabilire gli indicatori del passaggio; tra questi identificarne l’inizio che porta a dover esprimere un’interpretazione tra specie umana, ambiente globale e modo di produzione capitalistico. Nascono così quattro principali ipotesi: - Da Crutzen e Stoermer vedono come punto di svolta la rivoluzione industriale avvenuta tra Settecento e Ottocento (fondamentale l’invenzione della macchina a vapore di Watt nel 1784); - Morton sostiene che sia frutto di processi di lungo periodo come l’agricoltura e l’allevamento che ha modificato la modalità di interazione tra uomo e ambiente; - Antropocene Working group afferma che invece è stata l’esplosione della prima bomba atomica, avvenuta in Nuovo Messico nel 1945; - I geografi Simon L. Lewis e Mark A. Maslin che individuano nell’anno 1610 come quello fatale, dove una serie di trasformazioni (a partire dalla scoperta dell’America, con rivoluzioni scientifiche, botaniche, cartografiche, agronomiche e chimiche) abbiano portato ad un punto di svolta. Così il termine non solo è entrato a far parte delle scienze della natura e della geografia ma anche in diverse discipline; come nelle scienze sociali dove si sposta l’attenzione sui fenomeni e i processi che legano l’uomo e la società all’ambiente. Il termine Antropocene, che parla dell’umanità come forza geologica, ha preso in poco tempo molta importanza per due importanti motivi: - Definire l’umanità come forza naturale va contro le basi della scienza moderna che divide il conoscibile tra ciò che è natura e ciò che è cultura; il mondo della natura è conoscibile e prevedibile e i suoi soggetti ed oggetti appaiono ben definiti, che lasciano poco spazio all’indeterminatezza. Il mondo della cultura invece ha soggetti poco definiti che cambiano in base alla contingenza storica mentre gli oggetti appaiono mutevoli. Se l’umanità produce natura, anche la natura produce umanità ed è così che la legittimità politica della scienza subisce una riconsiderazione; è nei significati che generano le controversie ambientali e le crisi ecologiche che si manifesta l’inscindibilità delle conoscenze del loro processo produttivo e delle pratiche che veicolano. - La concettualizzazione dell'umano come specie; se così fosse il problema si sarebbe posto anche nelle conferenze che hanno cercato di governare il cambiamento climatico, invece si è ovviato con la nozione di “responsabilità comuni ma differenziate”. Essendo solo certi paesi che hanno aumentato il quantitativo di anidride carbonica nell’aria, saranno questi che ne pagheranno il conto. Non un processo generale dell'umanità ma la conseguenza di modi di intendere il rapporto con l'ambiente e le sue risorse nati da precisi contesti regionali e diffusisi fino a coinvolgere la scala mondiale creando diversità e disuguaglianze. Jason Moore afferma che è scorretto attribuire la colpa all’uomo quando invece è il regime biologico capitalista che ci ha condotto a questa situazione, discorso critico nei confronti della globalizzazione. 3 i geografi, l’Antropocene e l’educazione geografica Il concetto di antropocene, dopo vari dibattiti in varie discipline, ha fatto la comparsa anche in campo geografico. Individuare una dimensione geografica nei problemi che riguardano il pianeta è facile, diverso e trasferire un concetto nato in altri campi all'interno dell’epistemologia disciplinare. l’Antropocene ha una dimensione geografica spazializzata: il primo lavoro di un geografo potrebbe consistere nel rendere evidenti rapporti e analizzare i cambiamenti e gli impatti a scale diverse, sviluppare un punto di vista spazializzato cambia il modo in cui si analizza un problema e influenza nettamente se l’approccio sia le conclusioni. L' antropocene presenta per la geografia una sfida perché le interroga sul cuore stesso del suo oggetto di studio: le trasformazioni I.3 Cambiamento L’Antropocene è il racconto di un impatto che coinvolge luoghi e territori, risorse e politica, spazi e corpi, clima ed economia, ambienti e società che cambiano. Oltre al cambiamento, le parole che descrivono l’Antropocene sono sfida (la sfida appunto dell’Antropocene che necessita di descrizioni diverse rispetto a quelle classiche della geografia) e velocità legata ai grafici che dimostrano l’impennata della crescita della concentrazione di anidride carbonica e altri gas serra nell’atmosfera, della crescita della popolazione mondiale e dell’uso delle risorse naturali; e la parola crisi. Questi termini non sono nuovi in quanto sono le parole chiave nei discorsi relativi alla globalizzazione. I.4 Capitalocene Idea nata da Jason W. Moore, che sostiene che gran parte della crisi ambientale è il risultato dei modelli di produzione e consumo basati sul capitale; il suo è un tentativo di pensare la crisi ecologica e di dare maggiore risalto alla dialettica fra natura e società piuttosto che a quella fra natura e uomo, spostare l’attenzione dalla geologia alla politica. I.5 Clima L’umanità è da sempre stata influenzata dal clima e ha dovuto convivere, sviluppando adattamenti culturali e tecnologie in grado di migliorare la propria esistenza. Con questo argomento i geografi hanno dovuto ritrattare la concezione del clima. Infatti, è stato proprio il clima a caratterizzare l’Olocene, grazie ad una fase interglaciale stabile che ha sviluppato condizioni favorevoli alla specie umana. L’Olocene inizia 11.700 anni fa e contiene la fase di domesticazione di piante e animali, l’invenzione delle città, l’esplosione demografica e lo sfruttamento di combustibili fossili per produrre energia. Questo porta i geografi a riconsiderare la relazione clima-comunità umana; a come interpretare prima l’adattamento, poi l’interazione, e infine la reciproca trasformazione. Il clima si sta rivelando uno dei fattori geografici più mutevoli, ma anche uno dei più impattanti sui processi di territorializzazione. Sembra possa essere considerato sempre più un elemento legato agli esiti delle azioni umane. I.6 Confini Gli studi sull’Antropocene, anche quando parlano di politica, trascurano la geopolitica e la geografia politica, concentrandosi sugli aspetti biopolitici. Eppure, non dovrebbe essere così in quanto, oggi più che nel passato, i conflitti e le relazioni geopolitiche saranno legate al cambiamento ambientale, al controllo delle risorse naturali, dei movimenti di popolazione e delle popolazioni stesse nel momento in cui dovessero dare inizio a rivolte e rivoluzioni causate dai processi centrali dell’Antropocene. I.7 Controllo L’Antropocene tocca in molti modi il tema del controllo, del potere e quindi del limite. L’uomo ha perso il potere sulla natura, ha perso la credenza di poterla controllare a proprio vantaggio. I.8 Educazione L’educazione geografica è da tempo attenta allo sviluppo sostenibile, alla diversità culturale, ai temi della disuguaglianza e dell’inclusione. L’ Antropocene va oltre la globalizzazione, anche se i due fenomeni hanno molti punti di contatto e l’educazione geografica ci può mostrare cosa accade nelle diverse regioni, come tutto genera flussi, reti e interazioni: orienta al futuro come progetto per abitare il pianeta. I.9 Energia In chiave economica, per la geografia l’energia è stata soprattutto la fonte da ottenere in abbondanza e a buon mercato per sviluppare l’industria e le attività umane in un mondo in competizione che ne richiedeva sempre di più. Il problema delle fonti di energia si collega geopolitici, commerciali e di esaurimento delle risorse. Difficilmente compaiono i problemi legati all’inquinamento, alla qualità della vita o con la produzione di ricchezze e disuguaglianze. L’Antropocene ci stimola a rivedere il ruolo dell’energia partendo dal fatto che l’energia non si crea ma si trasforma, tutta la vita infatti è legata a processi di trasformazione di essa, anche i cicli del pianeta stesso. Ogni forma di territorializzazione è legata ai modi di trasformare l’energia a disposizione. Tutto ruota attorno all’energia e se nelle campagne si parla di un’energia di sedimentazione e di processi culturali, in città tutto ciò che accade e dipende dalla trasformazione di fonti fossili che in un certo senso è ancora energia solare immagazzinata nella Terra. La liberazione di energia accumulata nei combustibili fossili è anche la causa del cambiamento del clima, che sta a sua volta generando impatti sull’ambiente, sulla società, nell’economia, nella politica e nella cultura. Se riuscissimo ad ottenere tutta l’energia necessaria da fonti rinnovabili come il sole e il vento, sarebbe comunque grazie alla trasformazione dell’energia ad aver rivoluzionato l’organizzazione dei territori e il rapporto fra società umane e ambiente terrestre. I.10 Estinzione di massa/biodiversità L’Antropocene è una questione ecologica che raccoglie tutte le emergenze che nascono dall’impatto sulla biodiversità causato non solo dall’azione umana ma anche dalle sue conseguenze, come il cambiamento climatico. Parlare di estinzione di massa sembra un argomento datato ma in realtà è molto attuale, non è dovuta solamente a questioni di caccia o alla riduzione degli ambienti naturali ma a questioni legate a tutti quei temi che la geografia tratta: globalizzazione, crescita demografica, dell’urbanizzazione allo sfruttamento delle risorse naturali, delle decisioni politiche per la conservazione degli habitat ai modelli culturali con i quali ci rapportiamo agli ambienti. I.11 Foreste In Man and Nature, scritto da George Parkins Marsh nel 1864 e considerato la pietra miliare dell’ambientalismo, c’è un capitolo sulle foreste, tutto il libro dedicato ha un unico tema: la superficie terrestre modificata per opera dell'uomo. Fu tra i primi a comprendere l'estensione dei cambiamenti indotti dall'azione dell'uomo nelle condizioni fisiche del globo che abitiamo evidenziando i rischi generati dalla trasformazione dell'ambiente naturale senza un'adeguata conoscenza dei suoi processi e suggerendo che l'azione dell'uomo vada indirizzata a un uso più cauto e sostenibile. Marsh e tra i primi a osservare che i disboscamenti cambiano il clima e la meteorologia locale, alterando il comportamento delle altre specie, anche di quelle coltivate. L’Antropocene tende a scardinare la divisione tra uomo e natura; se la prima conquista dell'uomo fu la distruzione di boschi, la loro distruzione definitiva ci appare ora come quella che potrebbe anche essere l'ultima di queste conquiste. Questo è uno dei tanti modi in cui l'interazione dell'uomo con l'ambiente ha prodotto la superficie della terra come la vediamo oggi, questa interazione è poco raccontata nei libri di geografia fisica e umana. È giunto il momento di riscrivere i manuali di geografia intendendo come ambiente non più una cosa naturale che circonda il soggetto ma il risultato di interazioni con l'uomo ed i cambiamenti, che stanno diventando ogni giorno più evidenti. L’Antropocene rappresenta scientificamente il punto di intersezione fra la storia della terra e la storia dell'uomo, cambiando non solo la narrazione delle scienze, ma le basi stesse della loro costruzione moderna. I.12 Ibrido Frank Raes identifica gli ibridi in quelle cose che intrecciano natura e uomo in modo inestricabile, per cui non sono naturali né artificiali, né scientifiche né politiche. Sono tutte queste cose insieme e se queste cose non fossero insieme non sarebbero più niente. Ad esempio, le foreste, che vengono sempre raccontate come elementi della natura, sono quasi nella totalità ibridi, risultanti dall'interazione plurisecolare tra uomo e natura. Eliminare del tutto l'intervento umano sarebbe destabilizzante ed ecologicamente negativo. La natura nell’Antropocene e ibrida, un prodotto dell'attività umana che altera sistemi ecologici di basi, con effetti a cascata. Tuttavia, l'uomo ha sempre contribuito con l'ambiente creando pianure e paesaggi ma li abbiamo sempre definiti elementi antropici, ibrido sembra invece definire cose che stanno nel mezzo. I.13 Irreversibilità L’irreversibilità e la condizione dei processi ambientali trasformati dall'azione dell'uomo. Cambiano irreversibilmente i cicli Joe chimici, la composizione delle rocce, il clima e cambiano irreversibilmente la disponibilità delle risorse naturali in seguito al loro sfruttamento e alla loro trasformazione e la composizione dell'atmosfera in conseguenza delle emissioni di gas legate alle attività umane. Anche lo spazio geografico cambia irreversibilmente. I.14 Luoghi di origine e tempi Quasi tutte le domande sull’Antropocene partono dal “quando” mentre sarebbe più opportuno partire dal “dove”. Infatti, tutti i fenomeni non sono mai del tutto globali, o almeno dal loro inizio. Importante è quindi individuare il luogo o i luoghi dove l’Antropocene ha iniziato ad espandersi. Tracce dell’attività mineraria di epoca romana sono state ritrovate, grazie alla dispersione dei venti, nei carotaggi polari. Un altro segno dell’attività irreversibile dell’uomo lo ritroviamo a Léon, a Las Medulas (Spagna) dove i romani, nel I sec. d.C. estraevano l’oro con innovative tecniche che sfruttavano l’acqua per erodere la roccia e facendo franare a valle intere parti di versanti. Se si identifica come inizio Antropocene la capacità dell’attività umana di trasformare irreversibilmente il paesaggio e rendendo impossibili una distinzione fra ciò che è opera umana e ciò che non lo è, Las Medulas potrebbe essere uno dei più antichi luoghi di inizio dell’Antropocene. Tuttavia, ci sono altri luoghi in competizione con questo come le opere idrauliche, le piramidi, la muraglia cinese, le rovine di Machu Picchu. Recentemente sono state scoperte in Sudafrica le tracce di una civiltà scomparsa che è estratto l'oro di miniere e modificato in modo irreversibile il paesaggio già in un periodo che gli archeologi datano fra 70.000 e 200.000 anni fa. I.15 Luoghi Per un geografo l’inizio dell’Antropocene dovrebbe basarsi sui cambiamenti dei luoghi. mari si stanno riempiendo di microplastica; lo stesso vale per la concezione politica, che rischia di sostituire il paradigma anziché essere lo strumento della sua negoziazione operativa. L’Antropocene è certamente anche una metafora, una denominazione della territorializzazione, una rappresentazione che come la carta geografica tende a sostituirsi a ciò che dovrebbe rappresentare, trasformando progressivamente il mondo in ciò che vorrebbe invece ridurre a segno. I.19 Territorio/territorializzazione Problemi diversi legano uomini e ambienti a scale differenti su tutto il pianeta. La geografia fornisce al dibattito sull’Antropocene due categorie: quella di luogo e di sistema territoriale. Se ci chiediamo dove si verifica tutto ciò che l’Antropocene ci fa vedere, fermarsi a discorsi generali non basta. Il pianeta non è omogeneo e l’ibridazione uomo-ambiente cambia da un posto all’altro. L’Antropocene ha una dimensione globale, ma si diversifica in migliaia di contesti differenti: in Alaska bruciano le foreste, a Miami si allagano le strade, sulle Alpi si piantano ulivi e via dicendo; così, mentre milioni di persone emigrano perché le condizioni dei loro luoghi sono diventate inospitali, altre regioni si sviluppano perché hanno saputo adattarsi. L’adattamento è un concetto che per la geografia diventerà ancora più importante a causa della velocità con cui avvengono i cambiamenti. Bisogna imparare a spiegare come le grandi questioni dell’Antropocene avvengono e si diversificano in luoghi e sistemi territoriali. Solo se pensiamo e rappresentiamo il mondo con questa chiave concettuale possiamo poi trasformarlo in modo più sostenibile e coerente con l’obbiettivo di migliorarlo. Se non possiamo più distinguere completamente l'ambiente dall'uomo, allora non possiamo cambiare il mondo se non agendo all'interno delle strutture con cui le società umane lo hanno modificato e cercano di controllarlo attraverso l'economia, la politica, la società e la cultura: i territori, appunto. I.20 Uomo-Ambiente Se non possiamo più separare l’uomo dalla natura, se dobbiamo cominciare a rappresentare la Terra come un inestricabile complessità di umano-ambientale, la prima conseguenza è che non possiamo più spiegare la natura o la società da sole, come se fossero dotate di autonomia. Oggi, nelle scuole, si insegna a distinguere gli elementi naturali da quelli artificiali, ovvero la distinzione che nel Cinquecento ha dato origine al pensiero moderno; la geografia, come le altre scienze, studia quindi la relazione fra uomo e ambiente, tuttavia, l’idea di Antropocene ci pone a rivalutare questo schema. Distinguere tra uomo e ambiente non è sbagliato ma non è più del tutto corretto per comprendere i processi di cambiamento. Il cambiamento, secondo quanto suggerisce l’Antropocene, è il prodotto ibrido di un ambiente che comprende l’uomo e di un uomo che agisce in base alle sue conoscenze dell’ambiente. 2 Il paesaggio geografico nell’Antropocene 2.1 Paesaggi geogenici e paesaggi antropogenici Occuparsi del rapporto tra paesaggio e Antropocene significa accettare come indicatore attendibile dei cambiamenti il paesaggio. Tra le conseguenze osservabili dell’Antropocene vi siano cadute di tipo paesaggistico, guardare quindi il paesaggio per cercare i segni, le tracce e l’interferenza di processi economici e sociali che non hanno immediatamente una natura paesaggistica. Si chiede quindi al paesaggio di dare una testimonianza visivamente esemplare di un cambiamento storico epocale. Una prova di questo tipo può esserci data parzialmente o indirettamente dal paesaggio naturale, ossia attraverso la costruzione di tipi descrittivi basati su fattori di carattere fisico (clima, vegetazione, idrografia, morfologia) ovvero, in termine tecnico, attraverso la mappatura dei biomi di origine geogenica, le unità elementari della biosfera identificate attraverso le loro caratteristiche vegetali e climatiche. L’equivalente di questo sarebbe l’Urlandschaft , il paesaggio terrestre primordiale, pre-umano, bioscape o wildscape; quadro visivo di un ambiente naturale fuori dalla storia e lo possiamo trovare: nelle foreste boreali del Canada, nelle savane del Botswana o nelle aree interne dell’Australia. La biosfera nella quale viviamo non è composta soltanto da biomi di origine naturale: allo stato attuale questi sono ormai o minoritari o incorporati in sistemi umani ubiquitari. Per capire qualcosa del rapporto che lega il paesaggio e Antropocene bisogna tenere conte che: a) Rispetto agli ecosistemi naturali non umani, i biomi antropogenici prodotti dall’interazione umana (culturale e sociale insieme) con la biosfera hanno un’estensione planetaria decisamente maggiore; b) I biomi antropogenici prodotti dall’interazione umana con la biosfera danno vita a sistemi misti composti da insediamenti umani ed ecosistemi naturali, foreste, campi, siepi ecc. “a mosaici eterogenei di paesaggi che combinano una varietà di differenti usi e copertura del suolo”. Pensare all’Antropocene come nuova era geologica permette di evitare due posizioni estreme: da una parte pensare che l’Antropocene sia qualcosa che c’è sempre stato, un tratto che caratterizza da sempre la storia umana; dall’altro l’idea che l’Antropocene consista nella rottura di un equilibrio che per secoli avrebbe conservato intatti gli ecosistemi terrestri. 2.2 Appunti per un repertorio essenziale di paesaggi antropocenici Chiedere al paesaggio di dare segni esemplari dell’Antropocene significa dare forma alle trasformazioni innescate sugli ecosistemi dall’attuale modo di produzione. In questo modo il paesaggio viene inteso come un indice, in un’icona immediatamente riconoscibile. Una caratteristica del paesaggio, infatti, è quella di mettere in evidenza i cambiamenti avvenuti sui processi biogeografici. È ovvio dire che non basta una sequenza di immagini per mettere a tacere l’intero dibattito. Secondo Alexander von Humboldt il paesaggio costituisce il primo momento della conoscenza scientifica, fondamentale per catturare l’attenzione e aprire un orizzonte di ricerca. Ecco alcuni esempi di paesaggi contrassegnati da specifici processi di modellamento e produzione dello spazio terrestre che possono essere definiti “tipicamente antropocenici”. Paesaggi insediativi - Il Cairo, Egitto, città molto inquinata. Nel 2018 in un rapporto di The Eco Experts, sull’inquinamento di 48 città in 24 paesi in tutto il mondo, ha svelato che Il Cairo è la città più inquinata del mondo; i residenti respirano un’aria carica di polveri sottili, superiore di 11 volte rispetto al valore di sicurezza. - Le favela, a Rio de Janeiro, secondo i dati del Brazilian Istitute of Geography and Statisticsn nelle favelas brasiliane vivono più di 11 milioni di persone. È composta da un certo numero di comunità e di complexos più grandi, il loro numero totale (nel 2016) è di 1019 favelas, con una popolazione di circa 60mila abitanti, un terzo dei quali vive sotto la soglia di povertà, il territorio è gestito da bande criminali. Paesaggi delle monoculture biotiche (= essere viventi) - Un mosaico di 30mila serre in Andalusia, Spagna. Si tratta della più grande concentrazione di serre, vari studi hanno dimostrato la scarsa sostenibilità sociale di questa struttura, infatti molti lavoratori vengono retribuiti con un salario minimo giornaliero, la maggior parte della manodopera è composta da immigrati provenienti dall’Africa o dall’Est Europa, che lavorano senza assicurazione e copertura sanitaria in quanto privi di documenti. - Feedlots, California. Gli USA sono i primi produttori a livello mondiale. Nel 2018 uno studio ha calcolato che per ogni consumatore medio americano servono 222,2 Kg tra carne rossa e pollame. Per soddisfare la richiesta si persegue un modo di produrre soggetto a molte critiche da parte degli studiosi dell’Antropocene per il collegamento del cambiamento climatico dovuto ad un eccessivo sfruttamento dei combustibili fossili, acqua, sostanze di sintesi e mangimi a base di cereali (sfruttamento del suolo che potrebbe essere destinato all’alimentazione umana). Paesaggi delle monoculture abiotiche (=non popolato da organismo) - La lavorazione elle sabbie bituminose a Fort MacMurray, California. Un tempo, le rive del fiume Athabasca erano ricoperte da foreste boreali; per estrarre le sabbie bituminose (sostanza che una volta raffinata è simile al petrolio) la terra è stata scavata per oltre 60 metri di profondità. Rispetto agli idrocarburi convenzionali questa lavorazione richiede molta energia e di acqua; l’impatto ambientale è molto forte, infatti studi hanno dimostrato che le popolazioni che vivono a valle di questi bacini hanno sviluppato alti tassi di tumori rari, insufficienza renale, lupus e ipertiroidismo. - Centrale elettrica a carbone a Konin, Polonia. Le centrali polacche e tedesche sono nei primi sei posti delle centrali più inquinanti e sono responsabili del 30% delle emissioni di mercurio in Europa. Le emissioni delle centrali sono incompatibili con il piano di arrivare entro fine secolo al di sotto della soglia dei 2° C per il riscaldamento globale. Il carbone, che per la Polonia produce l’80% della produzione di energia, è il combustibile più inquinante. 2.3 Paesaggi antropocenici e paesaggi metabolici. Quale la storia, quale futuro? L’Antropocene trova le sue essenziali fondamenta spaziali in due complementari pilastri: megalopoli e monoculture. La colonizzazione della biosfera da parte della tecnosfera è avvenuta a partire dalla Rivoluzione industriale, secondo modalità che si sono ripercosse sugli aspetti paesaggistici; modalità che oggi andrebbero ripensate. È essenziale quindi rendere le attività tecniche compatibili e coevolutive con i sistemi del pianeta, conversione ecologica della società. Oggi tutto accade come se ci fossero due tendenze antitetiche e mutualmente esclusive: da un lato si profila la prosecuzione business as usual, tecnificazione del paesaggio legati all’esigenza di crescita economica e tecnologica, dall’altro abbiamo una logica di vitalizzazione, la ricerca di un agire sociale e territoriale-paesistico, che ira a soddisfare i bisogni degli esseri umanitenendo conto della loro appartenenza alla rete della vita planetaria, preservando la salubrità metabolica del vivente e dei suoi sistemi naturali di sostegno. Molte forme di vita quotidiana “tradizionale” Un secondo rischio legato alla rappresentazione dell’Antropocene è intendere i suoi processi e trasformazioni “lontane” dal quotidiano o frutto di decisioni politiche sulla quale è impossibile incidere. Educare all’Antropocene significa appropriarsi dei problemi antropocenici su un piano personale e affettivo , solamente tramite questo è possibile costruire il senso di consapevolezza e responsabilità verso il pianeta. Negli ultimi anni, una riflessione sulla “geografia delle emozioni” ha dimostrato che non può esistere consapevolezza senza coinvolgimento emozionale. Anche la CIEG, fa riferimento alla dimensione affettiva sottolineando come la geografia nutra la curiosità, consente di apprezzare la bellezza e di come sia in grado di affascinare e ispirare le persone. Come sostiene la geografa Ann Bartos, per prendersi cura di qualcosa bisogna prima averla a cuore. Educare all’Antropocene richiede di considerare la relazione con il pianeta in una prospettiva soggettiva ed emozionale, interrogandosi su cosa muova l’Antropocene nelle nostre coscienze e che cosa fare per partecipare attivamente alle scelte sul futuro del pianeta. 3.3.3 educare al futuro dell’Antropocene Il discorso sull’Antropocene è declinato al futuro, come l’uomo abiterà la Terra nei prossimi decenni e quali sono le sfide che si dovranno affrontare. La geografia, nel tema del futuro, ha un ruolo importante e spesso sottovalutato; come ha sostenuto Giuseppe Dematteis in Progetto implicito qualsiasi sintesi geografica è anche un discorso al futuro. La pratica di osservare, pensare, immaginare i luoghi non è mai neutrale: significa selezionare ciò che di un luogo ha valore e che rimanga tale in modo da poter essere trasmesso alle future generazioni oppure, al contrario, evidenziare ciò che non ci piace per denunciarlo e prospettare soluzioni migliori per migliorarlo. Il tema dell’Antropocene offre alla geografia la possibilità di recuperare e valorizzare la capacità di pensare al futuro attraverso l’analisi del presente. Eric Pawson comprende nel campo dell’educazione all’Antropocene anche il tema tecnologico: nell’era dell’Antropocene la tecnologia è una componente irriducibile. L’obbiettivo deve essere quello di formare soggetti consapevoli di come la tecnologia intervenga nella trasformazione delle relazioni con il pianeta e di sviluppare uno spirito critico nel considerare le opportunità e i rischi legati al loro utilizzo. 3.3.4 costruire azioni di cittadinanza antropocenica Abitare l’Antropocene costituisce una sfida non solo nel piano culturale (uomo come principale agente del cambiamento) ma anche delle soluzioni concrete che possano migliorare la qualità della vita sul pianeta. L’ultimo principio di un’agenda per l’educazione geografica all’Antropocene evoca una competenza di natura progettuale delle azioni sul territorio; si fonda sulla convinzione che qualsiasi percorso formativo in ambito geografico non possa rimanere un esercizio intellettuale ma debba tradursi in azione. Si intende quindi valorizzare una delle principali sfide educative della geografia: la cittadinanza attiva ovvero prendersi cura e assumersi una responsabilità nei confronti del territorio che si abita. In ogni contesto formativo è possibile immaginare interventi su molteplici ambiti rappresentativi delle problematiche dell’Antropocene: dalle iniziative sul piano della sensibilizzazione, dell’informazione e della comunicazione, a interventi che sviluppino i temi della sostenibilità ambientale, dell’accoglienza e dell’integrazione. Le possibilità a livello scolastico sono molteplici: da semplici iniziative in ambito curricolare (recupero di spazi abbandonati nella scuola, l’allestimento, cura e manutenzione di spazi verdi,…) e veri e propri progetti sviluppati come istituto scolastico. 3.4 conclusioni L’Antropocene, divenuto un termine ombrello, significa molte cose. Questa concezione costituisce un limite e un’opportunità: è un limite in quanto il concetto rischia di diluirsi in un ventaglio troppo ampio e vago e quindi di perdere incisività, è un’opportunità in quanto, nella sua generalità può essere impiegato per mettere al centro la moltitudine delle sue possibili declinazioni nei diversi contesti territoriali. L’approccio geografico, come esemplificato dalla CIEG, consente di valorizzare le potenzialità implicite nel concetto di Antropocene. Per Antropocene generalmente si intende il fatto che l’uomo ha originato le trasformazioni del pianeta a una scala globale; un approccio geografico porta a riconoscere che tali trasformazioni si fondano sulle condizioni altamente differenziate e specifiche che caratterizzano i diversi contesti ambientali. La geografia più affascinare le persone proprio per la sua capacità di unire emozioni e conoscenza, apprezzamento della bellezza e presa in carico dei problemi, che è la vera sfida dell’educazione: quello di avere cura del nostro futuro e del nostro pianeta. 4 L’Antropocene, ovvero il riavvicinamento fra geografia fisica e umana Da anni si sviluppa un dibattito tra geografi fisici e umani, su quali siano i contenuti propri, i metodi specifici, il limite delle rispettive discipline. Il concetto di Antropocene arriva come un deus ex machina in grado di cambiare la trama del confronto. Nella concezione originaria di Antropocene, si parla di un tempo in cui l’uomo assume un ruolo dominante nel trasformare la forma e i processi de nostro pianeta; i modi e le fasi sono strettamente collegati con la storia dell’umanità, che però opera negli scenari ancora legati alla natura e alla storia della Terra. All’interno della riflessione sull’Antropocene si propone di esplorare la terra di mezzo che si sviluppa tra i domini dell’uomo e quelli della natura utilizzando strumenti della geologia e della geografia. 4.1 La scienza del sistema Terra Secondo un approccio scientifico olistico la Terra viene definita come “un sistema complesso di sistemi fisici, chimici e biologici che interagiscono fra loro”. In questa visione la Terra viene rappresentate attraverso una serie di sfere (biosfera, idrosfera, litosfera, … ) che si sovrappongono e interagiscono in specifiche aree. All’interno di questa visione può essere collocato il concetto di “Earth System Science”, un modello di costruzione del sapere in cui le conoscenze delle tradizionali discipline di scienze della Terra vengono integrate da altre scienze per formare la base di una conoscenza globale. La scienza del sistema terrestre trascende i confini disciplinari per trattare la Terra come un sistema integrato e cercare una comprensione più profonda delle interazioni fisiche, chimiche, biologiche e umane che determinano gli stati passati, attuali e futuri. In questo modo, la scienza del sistema terrestre promuove la sintesi e lo sviluppo di un modello olistico in cui il processo e l’azione disciplinari conducono a una sinergica interdisciplinarità. la geomorfologia, in quanto disciplina specificatamente dedicata allo studio delle forme terrestri, offre contributi fondamentali allo sviluppo della scienza del sistema Terra, mentre la geomorfologia applicata approfondisce specificatamente le mutue relazioni fra l'uomo e l'ambiente geomorfologico. La geomorfologia si è dedicata principalmente alle analisi di terreno di forma i paesaggi che possono essere colti nella loro interezza, dalla scala locale a quella regionale; L' arduo compito dello studio dei processi globali veniva lasciato alla all'astronomia, alla geodesia e alla geofisica. Il progresso delle metodologie di telerilevamento ha offerto nuovi strumenti alla ricerca geomorfologica per la comprensione delle forme dei processi che agiscono alla Scala dell'intero pianeta; lo sviluppo delle tecnologie digitali ha permesso di effettuare analisi multiscalari, collegando quindi dati raccolti a scala di dettaglio in diverse località per produrre sintesi cartografiche riassuntive. I progressi dell’informatica, la nascita della geomatica e lo sviluppo dei sistemi informativi territoriali hanno fornito gli strumenti indispensabili per effettuare sempre più sofisticate analisi multidimensionali. Con questi strumenti na varie scale spazio- temporali le possibili relazioni fra uomo e natura. Con questi strumenti è possibile cartografare e interpretare la dinamica ambientale che quotidianamente interagisce con l'attività dell'uomo sul territorio. In una tipica sequenza di ricerca, l'inquadramento regionale fornisce le dimensioni e contorni geografici dell'aria in cui analizzare un problema geomorfologico, meglio definita e delimitata scala locale tramite modelli digitali del terreno e ortofotografie. Lo studio di terreno la viaggio morfologica esprimono in versione sintetica le relazioni fra le forme EI processi presenti nell'area, evidenziando quei fenomeni in cui l'attività morfogenetica può rappresentare un pericolo per la stabilità del paesaggio ed eventualmente un rischio per l'uomo. i risultati delle indagini possono utilizzati per interpretare gli effetti regionali del cambiamento. Gli inventari e le sintesi regionali possono infine confluire nelle grandi infrastrutture di dati utilizzate per la modellizzazione dei processi globali e per la ricostruzione di scenari evolutivi a vario termine. 4.2 Cronologia dell’uomo e della natura Per descrivere in modo univoco la storia della Terra, gli scienziati utilizzano la scala dei tempi geologici prodotta dalla Commissione internazionale di stratigrafia; strumento in continuo aggiornamento a causa dei progressi della tecnologia. La scala dei tempi geologici è suddivisa in età geocronologiche: esse descrivono lo scorrere del tempo in modo “astratto” ma coerente in tutto il pianeta. Queste suddivisioni sono materializzate in particolari corpi rocciosi definiti unità cronostratigrafiche: esse sono riconoscibili per il loro contenuto e per le discontinuità che le delimitano, rendendole correlabili dalla scala locale a quella globale. Osservando le unità della scala dei tempi geologici risulta evidente che la scansione cronologica aumenta progressivamente di dettaglio avvicinandosi al tempo presente. Dal punto di vista geologico noi oggi viviamo nell’Olocene (epoca interamente recente, iniziata 11.650 anni dal presente), all’interno del Quaternario (quarto periodo iniziato 2 milioni e mezzo di anni fa), nel Cenozoico (era della vita recente, iniziata circa 66 milioni di anni fa). Per convenzione la scala va in milioni di anni ed inizia al “tempo presente” e questo crea alcuni problemi in quanto questo cambia con il tempo e quindi occorre scegliere un valore standard di riferimento. Dal punto di vista geocronologico la scala di età è stata posta al 1° gennaio 1950 perché, a causa degli esperimenti nucleari, non è più possibile avere risultati attendibili della datazione al radiocarbonio; l’inizio della cronologia dell’era Comune, parte dalla nascita di Cristo (a.C; d.C.). Fra i ricercatori è comune l’idea che per discutere in modo corretto il dibattito sull’Antropocene sia necessario discutere il problema dell’esistenza di una continuità o meno fra la storia dell’uomo e quella della natura. Da qui deriva la formulazione della specifica domanda cui il modo scientifico cerca di rispondere: “Se le suddivisioni della scala dei tempi geologici individuano delle differenze nel funzionamento del sistema terrestre e dei cambiamenti concomitanti nelle forme di vita residenti, vi è un particolare momento della Storia in cui il nostro pianeta registra un cambiamento a scala globale per effetto dell'azione umana?” sistematizza in rapporti periodici tutte le ricerche fatte sull’argomento. Il più recente rapporto dell’IPCC afferma che il riscaldamento globale è inequivocabile. In generale, il cambiamento climatico può essere provocato sia da cause naturali (cambiamenti della quantità di energia emessa dal Sole, piccole variazioni dell’orbita terrestre, eruzioni vulcaniche ecc…) che da cause antropiche. Tuttavia, i ricercatori sono concordi nell’affermare che i fattori naturali hanno avuto un ruolo non particolarmente significante nel cambiamento climatico, infatti le attività umane hanno causato più della metà dell’aumento della temperatura globale dal 1951 al 2010. Tra le più rilevanti cause antropiche troviamo i gas serra, le emissioni di polveri e di aerosol e i cambiamenti di destinazione dell’uso dei suoli. Il ruolo principale è giocato dai gas serra: essi hanno la capacità di trattenere la radiazione infrarossa in uscita dalla Terra, creando una copertura che trattiene il calore all’interno. I più importanti gas serra presenti sono: il biossido di carbonio, il metano, il protossido di azoto e altri presenti in percentuali più basse come il tetrafluorometano, l’esafluoruro di zolfo e numerosi alocarburi. Dalla Rivoluzione industriale a oggi, la concentrazione di biossido di carbonio in atmosfera è passato da 278 ppm a 414 ppm, con un incremento del 49%. La concentrazione di metano ha raggiunto le 1.865 ppb (parti per miliardo) con un incremento superiore del 158%, rispetto al valore pre-industriale di circa 722 ppb. La concentrazione del protossido di azoto è passata da 270 ppt (parti per trilione) a 331ppt, con un aumento del 23%. Dai dati emessi dal quitno rapporto dell’IPCC riassume il contributo dei diversi settori economici all’emissione dei gas effetto serra. Il grande contributo (più del 34,6%) del settore energetico che emette prevalentemente anidride carbonica, il 23% è causato dal settore agricolo e forestale. Le lavorazioni industriali, i trasporti e gli edifici sono direttamente responsabili rispettivamente del 21%, 14% e del 6%. 5.3 le politiche per il cambiamento climatico Per riflettere le relazioni che legano il cambiamento climatico con l’Antropocene è necessario considerare anche le politiche a contrasto con il riscaldamento globale, sia quelle già attuate che quelle future. In genere si distinguono politiche di mitigazione e di adattamento. Le prime mirano a eliminare le cause alla base del riscaldamento globale mentre le seconde puntano a limitare gli effetti. Le politiche di mitigazione sono in grado di offrire spunti di analisi interessanti per la riflessione sull’Antropocene. Ripercorrendo le tappe principali dello sviluppo delle politiche di mitigazione, è possibile distinguere cinque periodi: - I primi passi sono stati mossi tra la fine degli anni Ottanta e i primi degli anni Novanta. Nel 1988 viene istituito l’IPCC, nel 1992 viene adattata la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, avente come obbiettivo di lungo periodo la stabilizzazione delle concentrazioni di gas serra nell’atmosfera a un livello tale da escludere qualsiasi pericolosa interferenza delle attività umane sul sistema climatico. I 189 paesi firmatari dell’UNFCCC hanno determinato le basi dei trattati successivi, ovvero, il principio di equità, legato alle responsabilità “comuni ma differenziate” e alla capacità di intervento dei singoli paesi. - La retifica e l’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto rappresenta la seconda tappa, durante la terza conferenza delle parti, svoltasi a Kyoto nel 1997, si giunge all’accordo che riprende il principio delle responsabilità. Il Protocollo impone limitazione sulle emissioni solo ai paesi industrializzati, l’obbiettivo è la stabilizzazione delle emissioni dei gas climalteranti ovvero, riportare il livello pari all’anno 1990. - Terza fase, post-Kyoto; caratterizzato da un forte rallentamento dell’azione. Fase contrassegnata da una disillusione nei confronti di un protocollo successivo in grado di rafforzare gli obblighi e portare tutti i paesi verso un percorso di riduzione globale delle emissioni. Emergono così alcune importanti criticità del Protocollo di Kyoto, i limiti sono dovuti a una scarsa volontà di partecipazione, così l’approccio diventa a base volontaria. - La quarta farse riguarda l’Accordo di Parigi (2015) che ha l’obbiettivo di mantenere il riscaldamento planetario sotto il limite dei 2°C, chiedendo agli stati di limitarlo a 1,5°C. Si passa da un impostazione top-down (a base volontaria) ad un approccio bottom-up ovvero dove i singoli stati decidono i propri metodi per rispettare i livelli di riscaldamento. - Quinta fase. Se si continua a procedere con questo passo, si rischia di arrivare al 2100 con un aumento del riscaldamento globale pari a 2,2-3,4°C. Per portare questi livelli sotto 1,5°C bisognerebbe modificare drasticamente la maggior parte dei settori economici. Gli scienziati pensano così a due strade da prendere, entrambe con punti di forza e debolezza. La prima riguarda le politiche di mitigazione tradizionali: la necessità di mettere in campo azioni realmente efficaci, capaci di portare a forti riduzioni delle emissioni per raggiungere, nel più breve tempo possibile, una situazione di sostanziale azzeramento. Questo porterebbe alla quasi totale decarbonizzazione di tutte le economie; si tratterebbe di una riconversione gigantesca con forti effetti, anche negativi. Esistono infatti numerose resistenze da parte di soggetti politici ed economici che hanno portato in passato il fallimento dei negoziati per un accordo successivo a quello di Kyoto. La second potenziale alternativa, non punta solamente a ridurre le emissioni, ma piuttosto a modificare direttamente alcuni aspetti del funzionamento del sistema climatico attraverso tecnologie di tipo geoingegneristico. Per esempio la carbon dioxide removal che punta a sequestrare il biossido di carbonio; comprende una serie di tecniche che possono contribuire a limitare il riscaldamento mediante la sottrazione di CO2 direttamente dall’atmosfera. Esistono varie tecniche, più o meno complesse, tutte ancora in fase di sperimentazione, alcuni di sperimentazione puramente teorica in quanto molti di questi interventi potrebbero avere effetti negativi più gravi rispetto ai benefici. L’adattamento prevede, come dice la parola, la capacità di adattarsi al cambiamento climatico. Infatti, anche se si riducessero del tutto le emissioni dei gas serra, la lunga permanenza dei gas in atmosfera e l’inerzia termica degli oceani indurrebbero comunque dei cambiamenti che durerebbero per secoli. 6 Le migrazioni e l’Antropocene 6.1 La centralità delle migrazioni internazionali Dal 2015 in poi, dopo le migrazioni di massa in Europa, la parola migrazione è entrata a far parte, quasi in maniera ossessiva, della quotidianità. Questo ha portato un aumento del potere politico dei partiti anti-migranti e la costruzione di un muro (da Donald Trump, 2019) che separa il confine tra gli Stati Uniti e il Messico. Il discorso delle migrazioni è molto complesso e non deve e non può essere interpretato solo ed esclusivamente come la povertà che bussa alle porte della ricchezza. Al giorno d’oggi sono numerosi i paesi che vedono i propri abitanti “fuggire”, per conflitti bellici e per crisi economiche; questo rende facile capire come il numero dei migranti sia aumentato da 170 milioni nel 2000 a 258 milioni nel 2018. Il continente asiatico e quello europeo troviamo più del 60% dei migranti. Il ruolo delle migrazioni è sempre stato rilevante nella storia della presenza umana sulla superficie terrestre. La progressiva occupazione del pianeta è stata il risultato di due forze congiunte: la capacità di riprodursi e quella di spostarsi, ovvero la migrazione. Senza migrazione non avremmo avuto la civilizzazione e il suo impatto è sempre stato sempre più rilevante, fino ad arrivare ad una nuova era geologica: l’Antropocene. È comunque tra il 1850 e il 1920 che si ha il più alto numero di migrazioni, siamo verso il 5% della popolazione mondiale, mentre adesso siamo attorno al 3,3%. Una parola chiave per comprendere le migrazioni è la parola sicurezza, non solo sicurezza dello Stato ma anche la sicurezza umana (intesa come violazione dei diritti umani, impoverimento, violenza); pur essendo un argomento fondamentale, gli stati che accolgono i migranti spesso svalutano questo aspetto. 6.2 Disastri ambientali e migrazioni Se osserviamo le ripercussioni delle azioni umane sulle migrazioni, un ruolo indiscutibile è rappresentato dalla mobilità internazionale della tecnologia che ha reso le comunicazioni e i trasporti di merci e persone molto più veloci (abbassando anche i loro costi). Tuttavia, la direzione alla quale si vuole guardare è il rapporto tra cambiamento climatico e migrazione. Oggi, infatti, molte questioni ambientali possono essere responsabili dello sfollamento e della mobilità. Esistono distinzioni tra i casi di insorgenza lenta e i cambiamenti ambientali (desertificazione, innalzamento del livello del mare e il degrado del suolo) e cambiamenti a insorgenza rapida come cicloni tropicali ed eruzioni vulcaniche. I principali fattori ambientali che possono causare spostamenti sono le tempeste, le inondazioni, siccità e desertificazione e innalzamento del livello del mare. Sono nati così dibattici, saggi e anche sceneggiature che rappresentano il conto da pagare per l’azione scriteriate dell’uomo. Secondo Crutzen e Stoermer, viviamo in un’era geologica dove i modelli di produzione e consumo sono in grado di determinare equilibri e squilibri ambientali: le attività umane hanno alterato e alterano le forze della natura e hanno inevitabili ripercussioni sulla mobilità delle persone. Lo status di rifugiato (Convenzione di Ginevra, 1951) è destinato a chi è perseguitato per razza, religione, cittadinanza, appartenenza ad un gruppo sociale o per le proprie idee politiche; dell’ambiente e delle condizioni climatiche non c’è traccia. La maggior parte degli spostamenti per cause naturali, in genere, sono interni tuttavia, il Sud globale rientra quasi sempre in queste categorie. 6.3 La naturalizzazione della categoria di Antropocene Secondo l’International Displacement Monitoring Centre, nel 2018 si sono registrati ben 28 milioni di sfollati in correlazione con conflitti (10,8 milioni) e disastri ambientali (17,2 milioni). Dal 2008 al 2014 oltre 150 milioni di persone sono state costrette a spostarsi per eventi metereologici estremi, soprattutto tempeste e alluvioni. Grazie a questi rapporti, si creano ipotesi di scenari futuri in considerazione soprattutto dell’aumento della temperatura globale. 6.4 E allora sono tutti migranti ambientali? Le migrazioni sono un processo storico caratterizzato dalla vicenda umana sulla Terra che ha assunto aspetti e connotazioni sempre più articolati dal XIX secolo in poi e che nel corso degli ultimi quarant’anni ha subito un’accelerazione tale in termini di quantità, eterogeneità di genere e ceto, politicizzazione da giustificare la definizione di “era delle migrazioni” riferito al nostro tempo. Al giorno d’oggi si tende a guardare le migrazioni come un problema e ai migranti e richiedenti asilo come a una minaccia; la prospettiva della sicurezza si riferisce quasi sempre ai confini del tipi di Xylella al giorno d’oggi: la fastidiosa, la multiplex, la sandy e la pauca, quella in Puglia è la più simile all’ultima. La Xylella, come si può notare, prolifera dove si trovano monoculture, stesse piante ad una distanza ravvicinata. Il risultato è un ibrido in quanto dovuto per colpa dell’uomo, ma non creato dall’uomo stesso. Questi ibrido sono locali ma allo stesso tempo mondiali. Questo ci porta alla fine della Natura per come la conosciamo, nell’Antropocene l’umanità ha più potere, ma anche meno controllo. 8.4 disumani camaleontici L’olio può assumere molte forme che variano in base alle necessità umane e così anche l’olivo, che a seconda della potatura assume una diversa forma. 8.5 conclusioni Cosa vuol dire proteggere gli ulivi in questo senso? Come una controversia sul significato di malattia rimette in moto una considerazione interna alle richieste e obbligazioni alle pratiche moderne? Che valore economico ha l’evento Antropocene? La chiave è la promiscuità. Infatti, spesso tra un ulivo e l’altro venivano coltivati diversi frutti e ortaggi, o pascolavano gli animali, questo tipo di coltura è ancora oggi visibile. La seconda chiave è il movimento delle piante intorno al mondo, il confinamento delle “cattive” forme di vita e la circolazione di quelle buone. 9 GLI UOMINI E LE FORESTE NELL’ANTROPOCENE “Gli esseri umani dipendono dagli alberi quasi quanto dai fiumi e dal mare, ad essi ci lega un’intima relazione culturale e spirituale ma anche fisica: un vero scambio di ossigeno ed anidride carbonica.” Una relazione basata su fattori antropici ma anche biologici. Ecco perché le foreste sono un elemento fondamentale negli studi dell’Antropocene. Le foreste sono il segno dell’integrazione delle piante e dell’interazione tra piante e uomo. Nella storia troviamo spesso situazioni in cui l’uomo sradicava alberi e foreste (circoscrivendone l’area) per far spazio a campi coltivabili o venivano posti al centro di attività agro-silvo-pastorali su cui sono basati interi sistemi economici di lunga durata. Il rapporto tra uomo e foresta è sempre segnato da fasi alterne di forestazione, deforestazione e riforestazione che possono essere analizzate in senso geografico come declinazioni specifiche del processo di territorializzazione, deterritorializzazione e riterritorializzazione. I boschi sono uno strumento per ricerche incentrate sull’ambiente inteso come configurazione della territorialità, come forma della natura ed elemento di base del processo umano d costruzione sociale e di rafforzamento della consapevolezza di sé da parte degli individui e delle comunità. 9.1 Cenni storici sull’Antropocene Antropocene: concetto utile per studiare i cambiamenti nella relazione uomo-pianeta. Zalasiewicz , offrono gli strumenti essenziali per definire l’Antropocene come epoca geologica successiva all’Olocene. L’utilità di questi lavori è la capacità di avere una visione sistematica dei processi, essenziale nel caso dei boschi per avvicinarsi ad essi con una prospettiva globale e interdisciplinare. La dimensione globale fa riflettere sul problema della datazione, dall’inizio dell’Antropocene. Studiosi affermano che si parli di Antropocene a partire dal XX secolo, altri parlano di PaleoAntropocene cercando i segni nella preistoria della capacità trasformativa dell’uomo. posizioni contrastanti che sono accordate in merito al ruolo dei boschi, infatti, l’uomo abita e trasforma i boschi fin dall’antichità. Infatti, si hanno modifiche dall’atmosfera a partire dalle prime coltivazioni dell’uomo ma questa chiave interpretativa, fa coincidere l’Antropocene con l’Olocene, stringendo troppo il significato del concetto di Antropocene. 9.2 Le foreste e l’Antropocene Diecimila anni fa la Terra era ricoperta da foreste naturali, a partire dalla rivoluzione neolitica l’uomo ha avviato un processo di deforestazione graduale e frammentaria; questo è anche correlato al processo di perdita della biodiversità che ha caratterizzato l’Olocene. Attraverso l’agricoltura, la pastorizia, la deforestazione e le bonifiche, l’uomo abbia ridotto del 45% (un terzo solo nel XX secolo) la massa vegetale globale. Negli ultimi 250 anni le foreste sono diminuite del 19% e nello stesso tempo la superficie dedicata all’agricoltura è aumentata di quattro volte e mezza. A partire dalla Rivoluzione Industriale l’uomo ha aumentato la sua necessità di spazi, in relazione all’aumento della popolazione. Dal 1990 al 2015, con una perdita dell’1%, si nota un graduale tasso di riduzione di deforestazione grazie a processi di riforestazione in alcune regioni. La deforestazione non è un processo irreversibile, come lo dimostrano l’Asia orientale, l’Europa mediterranea e il Nord America, dove negli ultimi anni si registra un trend positivo. Questo consente di mantenere una sorta di equilibrio. C’è comunque da dire che le moderne foreste non possono rimpiazzare quelle originarie, i nuovi ecosistemi avranno bisogno di molto tempo per riacquistare una stabilità interna da potergli permettere di superare le siccità o gli incendi. Inoltre, va sottolineato, a contrario di ciò che si potrebbe pensare, che molti boschi, per poter sopravvivere, hanno bisogno della cura umana, l’abbandono porta al degrado. 9.3 Le foreste pluviali di latifoglie tropicali e subtropicali: l’Amazzonia nell’Antropocene L’Amazzonia è sempre stata descritta come un paradiso terrestre, ma questo sminuisce il ruolo dell’uomo e descrive le società locali come primitive ed arretrate. Numerose evidenze dimostrano che il suolo amazzonico ha avuto numerose modifiche da parte dell’uomo già nell’età preistorica e che la foresta ha prosperato per gran parte della storia umana. Il sistema ecologico scoperto dai colonizzatori non era il residuo di un mondo primitivo ma la prova del fatto che l’uomo può modificare l’ambiente senza distruggerlo. La maggior parte degli alberi che costituiscono l’Amazzonia sono quelle che hanno beneficiato della presenza dell’uomo perché sono stati coltivati o perché le modifiche introdotte hanno favorito la loro crescita. L’impatto dell’attività coloniale ha sottratto alle foreste la risorsa del sapere delle popolazioni indigene, generando uno squilibrio. 9.4 le foreste di latifoglie e le foreste miste temperate: i boschi europei nell’Antropocene L’ambiente europeo è diverso oggi rispetto a com’era nel passato. Grazie allo spostamento della popolazione verso le città, le montagne e le colline sono state abbandonate e, la vegetazione che era stata devastata per dar spazio a campi per il pascolo o per colture varie, ha cominciato a rinascere. In Europa esistono ancora delle foreste vergini, una al confine con la Bielorussia e la Bosnia, e un’altra in Bosnia. Le foreste vergini sono quelle dove l’uomo non ha mai praticato nessuna attività (utilizzo del legname, pascolo, raccolta dei funghi) e non vanno confuse con quelle naturali che hanno risentito delle attività antropiche ma che da tempo non vengono più utilizzate. In Europa più che di foreste naturali bisogna parlare di foreste vetuste, ovvero che rispondono a determinati requisiti, alla quale corrispondono circa il 50% delle foreste nelle regioni temperate, mentre le foreste vergini sono concentrate nelle regioni boreali e tropicali. 9.4.1 ibridazioni: il bosco come elemento del territorio Gli ambienti europei sono quasi nella totalità ibridi, risultati dall’interazione dell’uomo. il processo di riforestazione, non è positivo in tutti i casi, infatti, si ha anche un’enorme perdita della biodiversità. I boschi europei possono essere definiti con il termine “antromi”, biomi il cui funzionamento è basato sull’interazione uomo-natura. 9.4.2 narrazioni: il bosco e la rappresentazione del territorio I boschi, da sempre, hanno anche un significato culturale. 9.5 Conclusioni L’Antropocene al giorno d’oggi si presenta sia come oggetto di studio che come strumento utile per analizzare e comprendere i fenomeni contemporanei. Nell’Antropocene l’umano non può più essere escluso da quei sistemi che vengono definiti naturali (si rivelano sempre ibridi) e non si può pensare di sfruttare le risorse del pianeta senza ritegno. Diventa quindi necessario un comportamento etico non solo per la responsabilità in senso altruistico ma anche egoistico per salvaguardare la sopravvivenza dell’uomo. essere consapevoli non significa essere nostalgici del passato, al giorno d’oggi abbiamo a disposizione delle tecnologie avanzate che ci permettono di interagire al meglio con la natura. 10 L’UOMO STA MANGINDO LA TERRA? SISTEMI DEL CIBO NELL’ANTROPOCENE Nell’Antropocene i sistemi della produzione del cibo modificano i processi naturali che regolano gli equilibri biofisici. La fine dell’Olocene potrebbe essere caratterizzata dall’aumento del suolo coltivato, in cui l’agente principale è la specie umana; per altri la fine coincide con la Rivoluzione industriale e l’utilizzo di combustibili fossili (prima il carbone e poi il petrolio). L’evoluzione storica dei sistemi del cibo è strettamente connessa all’impatto dell’uomo sugli equilibri planetari, che ha portato alla nascita del concetto di Antropocene. Tuttavia sono pochi gli studi che analizzano questa relazione. 10.1 La produzione del cibo verso e nell’Antropocene Uno studio sul terreno dell’Iowa, una volta ricoperto da prateria ad alto fusto e con uno strato di humus molto alto, è stato convertito per la produzione cerealicola e lo strato di humus si è immediatamente dimezzato; il fiume vicino, il Des Moines, presenta una concentrazione di sostanze chimiche dannose molto elevata e questo va poi a riversarsi nel Golfo del Messico. A causa di queste acque, si è creata una zona completamente eutrofizzata (eccesso di materiale organico vegetale e quindi riduzione dell’ossigeno a disposizione delle altre specie). La biodiversità è stata compromessa e il territorio è occupato da una sola specie di pianta, il mais, l’area viene infatti chiamata Corn Belt. Gli impatti ambientali dei sistemi produttivi influiscono su tutte le componenti dell’ambiente e non solo a livello locale. Alcuni studiosi nell’ambito delle scienze della
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