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Geografia e Antropocene, Sintesi del corso di Geografia

Scienze AmbientaliGeografia fisicaGeografia umanaGeologia

riassunto del libro: Geografia e Antropocene. Uomo, ambiente, educazione.

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Geografia e Antropocene e più Sintesi del corso in PDF di Geografia solo su Docsity! Geografia e Antropocene. Uomo, ambiente, educazione La terra ha quatt ro miliardi e mezzo di anni. Dal 2009, un gruppo di scienziati sta cercando di determinare se l’Olocene, l’epoca geologica in cui siamo da 12 mila anni, sia terminata. Dieci anni di ricerche hanno evidenziato che abbiamo lasciato l’Olocene per entrare nell’epoca dell’Antropocene, perché il pianeta terra e i suoi sistemi sono ora infl uenzati più dagli umani che dall’insieme di tutti gli altri processi naturali. Geografia e antropocene. Un’introduzione Il concetto di Antropocene è stato proposto per la prima volta negli anni Ottanta del Novecento dal biologo Eugene Stoermer. Ebbe però poco successo fino agli anni 2000, quando venne usato durante un discorso dal premio Nobel Paul Crutzen. La datazione di questa nuova era geologica porta i ricercatori a esprimere un’interpretazione situata e non- neutrale dell’interazione tra specie umana, ambiente globale e modo di produzione capitalistico. Le ipotesi tenute in considerazione sono prevalentemente quattro: 1.Crutzen e Stoermer identificano le rivoluzioni industriali tra Settecento e Ottocento come fondamentali per la possibilità da parte dell’uomo di connaturare la vita della Terra, individuando come momento fondamentale l’invenzione della macchina a vapore di Watt nel 1784; 2. è l’incipit di processi di lungo periodo, come l’esordio dell’agricoltura e dell’allevamento, a dare le basi primordiali di questa modalità di interazione tra vita dell’uomo e vita della Terra; 3. la tesi dell’Antropocene Working Group invece fa risalire le origini di questa era geologica alla prima esplosione di una bomba atomica, avvenuta in Nuovo Messico nel 1945; 4. l’ultima ipotesi è sostenuta dai geografi Simon Lewis e Mark Maslin che individuano nel 1610 l’anno in cui una serie di trasformazioni, a partire dalla scoperta dell’America, le rivoluzioni scientifiche, botaniche, cartografiche, agronomiche e chimiche arrivano a un punto di svolta. L’Antropocene parla dell’umanità come forza geologica. Questa affermazione comporta due importanti considerazioni: - Affermare l’umanità come forza naturale significa minare la differenza all’origine della scienza moderna che divide il conoscibile tra ciò che è naturale e ciò che è culturale. Ma se l’umanità produce natura, anche la natura produrrà umanità. È nei significati che generano le controversie ambientali e le crisi ecologiche che si manifesta l’inscindibilità delle conoscenze dal loro processo produttivo e dalle pratiche che veicolano. - La seconda considerazione deriva dalla concettualizzazione dell’umano come specie. Affermare che siamo entrati nell’Antropocene equivale a dire che vi sono azioni che l’umano in quanto specie ha perpetrato per arrivare a tanto? Essendo i paesi occidentali quelli che più hanno contribuito ad alzare il livello di anidride carbonica nell’atmosfera, saranno anche quelli che ne dovranno pagare il conto  Moore si chiede dunque perché indichiamo l’uomo in quanto tale come caratterizzante questa era geologica, quando è il regime ecologico capitalista, con i suoi ampliamenti di scala, che ci ha portato dove siamo? Se noi collettivamente diveniamo una forza geofisica, allora abbiamo anche una maniera collettiva di vivere che è cieca alla giustizia. L’Antropocene ha certamente una dimensione geografica, spazializzata: ciò che riassumiamo in chiave globale presenta nette differenziazioni regionali e locali, e il primo lavoro di un geografo potrebbe consistere nel rendere evidenti i rapporti e analizzare i cambiamenti e gli impatti a scale diverse. L’Antropocene presenta per la geografia una sfida al contempo teorico-metodologica, perché la interroga sul cuore stesso del suo oggetto di studio, le trasformazioni della superficie terrestre derivate dall’interazione tra società umane e ambiente, ed empirica, perché la stimola a riflettere sui modi di considerare e gestire il capitale ambientale della Terra e su come governare la complessità dei sistemi territoriali. L’Antropocene rappresenta la morte pubblica dell’idea moderna della natura separata dalla società. Discutere di antropocene porta i geografi a interrogarsi sui limiti e sulle prospettive del rapporto fra la specie umana e il suo pianeta, sui processi di trasformazione in atto, sull’uso delle risorse, sull’impatto dei sistemi antropici sui sistemi ambientali, e quindi a spaziare da questioni ecologiche a questioni politiche, tra le quali individuare strette relazioni. L’antropocene può essere esplorato anche come un processo sociale e culturale, in particolare come preoccupazione per il futuro del pianeta e del genere umano, e questa sfida si concretizza in quattro direzioni: - Coinvolgimento critico delle tecnologie spaziali; - La contrapposizione delle diversità locali alla grandi narrazioni totalizzanti; - La capacità di trasmettere argomenti a favore della speranza accanto ai tanti allarmismi; - Il dare al futuro un’importanza pari a quella del passato. La geografia può riproporsi in campo educativo come disciplina capace di indagare la connessione tra fatti naturali e avvenimenti sociali e le sue conseguenze per la vita umana. È necessario definire una road map per l’educazione geografica che sappia ripensare attraverso l’antropocene le finalità e il ruolo della propria proposta educativa. L’antropocene sembra poter offrire uno spazio di reale incontro tra le discipline. Come può la geografia contribuire allo sviluppo dell’idea nuova di una rappresentazione generale ma non generalizzante del mondo? Parte prima. Antropocene, geografia, educazione geografica Piccolo lessico per una scrittura geografica dell’Antropocene Addomesticazione. La relazione fra l’uomo e la Terra passa per il concetto di addomesticazione. Il senso del luogo è fatto anche di vissuti, di sogli, di sentimenti e di persone. Come il paesaggio. Non è mai lo spazio geografico assoluto, oggettivo. È invece sempre uno spazio geografico che include l’uomo come attore e come spettatore, come essere emozionale e produttore di poetiche. La specie umana ha addomesticato gran parte della natura. Cambiamento Ogni descrizione geografica, per essere attuale, può solo riguardare dei processi, dei movimenti, delle interazioni. Il cambiamento globale è frammentato in mosaici regionali che pochi conoscono davvero. anche la via d’uscita. Dubai consuma immense risorse energetiche e naturali per portare la vita nel deserto. Il turismo e il commercio portano soldi. Il deserto è perfetto per ottenere energia dal sole. E l’acqua può essere ottenuta dissalando il mare con l’energia del sole. Facile? Niente affatto. Ma è un laboratorio di futuro e come tale merita attenzione. Narrazioni/date In geografia l’antropocene è iniziato prima che in geologia. I geografi dovrebbero far riferimento alle modifiche dell’ambiente della superficie terrestre e quindi all’uomo agente modificatore e strutturatore del territorio. L’inizio dell’antropocene può essere retrodatato almeno fino al 1492, data simbolica della scoperta dell’America, e alle sue conseguenze successive. Fra queste, un fenomenale spostamento di esseri umani, specie animali, varietà botaniche, batteri e virus che ha cambiato i paesaggi agricoli e le culture alimentari in tutti i continenti. Osservatore L’osservatore interferisce con il mondo e contribuisce alla sua trasformazione. Da geografi il nostro contributo può consistere nel cercare le tracce dell’Antropocene, le sue evidenze, non solo nelle alterazioni antropogeniche dei cicli geologici e chimici del pianeta, ma anche nel cambiamento del modo con cui osserviamo e rappresentiamo la Terra. Il concetto di antropocene ci chiede di cambiare il modo in cui consideriamo la nostra posizione di osservatori. Lo fa rivelandoci non solo che la natura è dinamica, in perenne cambiamento, ma anche che questo cambiamento non è più completamente separabile dall’azione umana, che i due soggetti dell’osservazione sono a un certo livello composti dalla stessa sostanza. Attraverso l’osservazione e la successiva rappresentazione di ciò che ha osservato agisce anche come trasformatore della relazione in atto. Realtà/fiction Per alcuno l’Antropocene è un dato di fatto: il sistema terra è oggi completamente alterato dall’azione umana, con conseguenze su tutti i suoi cicli geologici, chimici, climatici e biologici. Ne consegue un approccio scientifico operativo che mira a studiare i processi e a individuare le possibili azioni umane in grado di diminuire gli effetti negativi al fine di garantire un futuro migliore alla specie umana e al pianeta, nella consapevolezza che il destino dell’uno dipende ormai dal comportamento dell’altro. Per altri l’antropocene è una fiction, un azzeccato storytelling che connette fatti e situazioni disparate individuando un attore principale (l’uomo) e un insieme di scenari globali e locali nei quali ambientare la sua affascinante vicenda. Infine, è comparsa anche una visione molto politica, che vede l’antropocene come una conseguenza del capitalismo e del suo braccio armato, la globalizzazione. L’approccio scientifico-operativo ne fa una questione di misurazioni e azioni di intervento tese a ricostruire con l’azione umana un presunto equilibrio ecologico perduto, mettendo troppo in secondo piano quanto la trasformazione del pianeta da parte dell’uomo sia legata a processi prima di tutto culturali e sociali. L’approccio letterario è una forte tentazione, il suo rischio però è quello di spostare troppo l’attenzione sulla narrazione e sui suoi meccanismi, mettendo in secondo piano il fatto che intanto le foreste stanno bruciando, i ghiacciai si sciolgono, la barriera corallina muore e i mari si stanno riempiendo di microplastica. Territorio/territorializzazione Qui la geografia fornisce al dibattito sull’antropocene due categorie indispensabili: quella di luogo e quella di sistema territoriale. Se proviamo a chiederci dove si verifica tutto ciò che l’antropocene ci fa vedere, ci accorgiamo che fermarci a discorsi generali e planetari non basta. Le parole per delimitare queste diversità sono geografiche: luoghi (termine più generico e umanistico) e territori (termine che focalizza l’attenzione sulla relazione materiale e simbolica fra uomo e Terra). L’adattamento è un concetto che per la geografia dovrà diventare ancora più importante a causa della velocità con cui i paesaggi, le economie e le culture stanno cambiando. Occorre territorializzare l’Antropocene, cioè imparare a spiegare come le grandi questioni dell’antropocene avvengano e si diversificano in luoghi e sistemi territoriali. Uomo-ambiente L’idea di fondo dell’antropocene ci chiede di cominciare a pensare se questo schema non sia giunto al capolinea. Distinguere ciò che è naturalia da ciò che è artificialia è sempre più difficile, in qualche caso impossibile. Il cambiamento è il prodotto ibrido di un ambiente che comprende l’uomo e di un uomo che agisce in base alla sua conoscenza dell’ambiente. Il paesaggio geografico nell’Antropocene Ciò che, come geografi, chiediamo al paesaggio è di darci una testimonianza visivamente esemplare di un cambiamento storico epocale: quello pesantemente contrassegnato dall’uso intensivo di fertilizzanti di sintesi e di combustibili fossili, dalla deforestazione e dalla diffusione della plastica. Se vogliamo capire qualcosa del rapporto che lega paesaggio e Antropocene dobbiamo tenere conto del fatto che a) rispetto agli ecosistemi naturali non umani, i biomi antropogenici prodotti dall'interazione umana - culturale e sociale insieme - con la biosfera hanno un'estensione planetaria decisamente maggiore; b) i biomi antropogenici prodotti dall'interazione umana con la biosfera danno vita a sistemi misti composti da insediamenti umani ed ecosistemi naturali, foreste, campi e siepi, ecc Pensare l’antropocene come una nuova era geologica permette di evitare due posizioni simmetricamente estreme che impediscono di coglierne la specificità. Da un lato, l'idea che fa dell'Antropocene qualcosa che c'è sempre stato, un tratto che caratterizza da sempre la storia umana. Dall'altro, l'idea che l'Antropocene consista nella rottura di un equilibrio che per secoli avrebbe conservato intatti gli ecosistemi terrestri. Ciò che accomuna queste due visioni è che entrambe negano il carattere storico, socialmente costruito, del paesaggio, dunque la sua natura dinamica e in continuo divenire e, con essa, la differenza che intercorre tra "schemi metabolici" e "schemi non-metabolici" di organizzazione e governo del territorio. Possiamo parlare di un paesaggio incorporato - mosaico che si regge sulla convivenza di eterogeneità - basato come si è detto sulla copresenza e l'interazione metabolica di biomi geogenici e di biomi antropogenici, e di un paesaggio totalmente sovrascritto, in cui la continuità col passato è completamente interrotta e la varietà di usi differenti del suolo viene bruscamente meno. A rigore, soltanto quest'ultimo può essere de finito propriamente un paesaggio dell'Antropocene. Riteniamo utile individuare un certo numero di modelli o tipologie paesaggistico-territoriali contrassegnati da specifici processi di modellamento e produzione dello spazio terrestre, che per la loro forza e pervasività possono essere definiti tipicamente antropocentrici. - Esempi iconici di paesaggi insediativi, frutto di un’intensa sovrascrittura dello spazio terrestre che ha inciso pesantemente sulla biodiversità e la qualità della vita dei suoi abitanti (Il Cairo, Egitto – città più inquinata al mondo; Favelas a Rio de Janeiro, Brasile – vivono più di undicimila persone) - Paesaggi delle monoculture biotiche ( Andalusia, Spagna – mosaico di 30.000 serre agricole; feedlots presso Bakersfield, California – primi produttori mondiali di carne bovina, per ogni consumatore medio americano sono stati calcolati 222,2 kg annui tra carne rossa e pollame) - Paesaggi delle monoculture abiotiche (Fort MacMurray, Canada – residui petroliferi fuoriusciti durante la lavorazione delle sabbie bituminose; Konin, Polonia – paesaggio di una centrale elettrica a carbone, le centrali polacche e tedesche sono responsabili del 30% delle emissioni di mercurio in Europa) Molte forme di vita quotidiana dette tradizionali, governate a mezzo di saperi e pratiche contestuali, hanno subito e ancora subiscono processi di smantellamento e sostituzione con sistemi lavorativi e di consumo prevalentemente industrializzati – non biodegradabili – non rinnovabili. Sarebbe necessario adoperarsi per una vera e propria rifondazione di luoghi e paesaggi in quanto beni comuni. Educare (geograficamente) all’Antropocene. Una proposta di agenda a partire dalla Carta internazionale sull’educazione geografica. La sfida posta dal concetto di antropocene si definisce nei termini di una provocazione culturale, coincidente nel riportare al centro dell’attenzione la domanda fondamentale su cosa significhi abitare un mondo in cui l’uomo partecipa pienamente dei processi di trasformazione del pianeta e quali siano le implicazioni etiche, politiche, sociali, economiche e ambientali di tali processi. Il concetto di antropocene opera nella direzione di provocare un risveglio della coscienza. La Carta internazionale sull’educazione geografica del 2016 è un documento internazionale promosso dalla Commissione sull’Educazione Geografica dell’Unione Geografica Internazionale che aggiorna la precedente edizione del 1992. La Carta costituisce un fondamentale riferimento anche per una riflessione sull’educazione geografica dell’Antropocene. È possibile individuare almeno quattro passaggi-chiave che hanno una forte attinenza con il tema dell’antropocene: - Il riconoscimento dell’unitarietà di società e ambiente, che operano congiuntamente nella trasformazione della Terra; - Tale azione trasformativa dell’uomo sulla Terra non è omogenea né univoca, ma si esprime in forme e modi tanto diversi quanti sono i luoghi e i paesaggi che l’uomo ha contribuito a costruire e a trasformare sulla superficie terrestre; - Le forme e i modi in cui i luoghi e i paesaggi della terra sono abitati non dipendono soltanto dal rapporto con l’ambiente fisico, ma anche dalle relazioni reciproche tra le diverse società e le diverse culture; - Comprendere, capire e apprezzare i modi in cui la Terra è abitata e trasformata costituisce la principale missione educativa della geografia. Il richiamo all’antropocene evoca il coinvolgimento diretto e quotidiano di ciascun individuo e la responsabilità soggettiva nei confronti dei modi di abitare e vivere il pianeta. La Carta enfatizza particolarmente il contributo educativo che la geografia può offrire per formare soggetti consapevoli e responsabili, che sappiano riflettere sulle conseguenze sociali e spaziali delle proprie decisioni e operare nell’ottica di migliorare i propri contesti di vita. Basi di un’agenda geografica per educare all’antropocene: - Territorializzare l’antropocene  vale a dire nell’agganciare il tema a situazioni e casi territorialmente definiti, che consentano di illustrare ed evidenziare i diversi ordini di problemi posti dal modo in cui il pianeta è abitato e trasformato dall’opera dell’uomo.  educazione al 1. l'Antropocene propriamente detto, caratterizzato da una massiccia in fluenza antropica sull'ambiente, che viene fatto iniziare con la Rivoluzione industriale, o comunque, con la fase di maggior crescita dello sviluppo industria le, dal 1850 circa in poi; 2. il Paleoantropocene, che va dalla comparsa dei primi ominidi e, soprattutto, dalla Rivoluzione agricola, fino a quella industriale e prende in considerazione quelle piccole ancorché significative variazioni segnalate da Ruddiman e da altri autori, derivanti dall'azione umana precedente allo sviluppo industriale; 3. una fase ancora precedente in cui non si riscontra una influenza umana. In tutte le proposte precedentemente esaminate e, più in generale, negli studi sull'Antropocene, il cambiamento climatico gioca un ruolo centrale per l'estensione temporale e spaziale del fenomeno. L'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), l'ente internazionale creato nel 1988 ad opera dell'Organizzazione meteorologica mondiale e del Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP) con il compito di valutare le informazioni scientifiche rilevanti rispetto ai cambiamenti climatici indotti dall'uomo, raccoglie e sistematizza in rapporti periodici tutte le ricerche scientifiche pubblicate a livello mondiale su questo tema. Il quinto (e più recente) Rapporto dell'IPCC che il riscaldamento del pianeta Terra è inequivocabile. Il cambiamento climatico può essere provocato sia da cause naturali che antropiche. Le prime includono cambiamenti della quantità di energia emessa dal Sole. picco le variazioni quasi-periodiche dell'orbita terrestre, caduta di meteoriti, eruzioni vulcaniche e altro ancora. Questi fattori hanno avuto un'influenza minore nelle dinamiche climatiche. Gli scienziati riconoscono che i fattori di origine umana sono le cause dominanti del riscaldamento globale oggi in atto, affermando che «<è estremamente probabile che le attività umane abbiano causato più della metà dell'aumento osservato della temperatura superficiale media globale dal 1951 al 2010». Tra le più rilevanti cause antropiche si segnalano le emissioni di gas serra, le emissioni di aerosol e polveri e i cambiamenti di destinazione d'uso dei suoli. Il ruolo principale è giocato dai gas serra: presenti in piccolissime percentuali nell'atmosfera terrestre, essi hanno la capacità di trattenere la radia zione infrarossa in uscita dalla Terra, agendo così alla stregua di una gigantesca coperta o serra che trattiene il calore all'interno. Dalla Rivoluzione industriale a oggi la concentrazione atmosferica di biossido di carbonio è passata da circa 278 a 414 ppm (parti per milione), con un incremento del 49%, soprattutto a causa dell'utilizzo di combustibili fossili (car bone, petrolio e gas naturale) e, in misura minore, della deforestazione e delle reazioni chimiche connesse alla produzione del cemento e a numerosi altri contributi minori. Metano  le principali fonti di emissione di origine naturale sono le aree umide e paludose e le zone a permafrost quando quest'ultimo si degrada a causa delle elevate temperature, mentre quelle di origine antropica riguardano soprattutto i settori dell'agricoltura e dell'allevamento, per la presenza delle risaie e per il processo di fermentazione enterica durante la digestione dei ruminanti (per la maggior parte bovini). Protossido di azoto  gas serra risultante da reazioni chimiche di microrganismi nei terreni e negli ocea ni. Circa i due terzi di queste emissioni sono naturali e derivano dai terreni ricoperti di vegetazione, mentre un terzo è di origine antropica e proviene dalla lavorazione agricola dei campi concimati, dalla gestione del letame e degli scarti di origine animale, dalla produzione di fertilizzanti azotati e dal la combustione di biomasse e combustibili fossili. Si è soliti distinguere tra politiche di mitigazione e di adattamento. Le prime mirano a eliminare le cause alla base del riscaldamento globale mentre le seconde puntano a limitarne gli effetti. Politiche di mitigazione: 1. I primi passi sono stati mossi tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta. In questa prima fase viene istituito, nel 1988, l'IPCC. Successivamente, nel 1992, viene adottata la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici. I 189 paesi firmatari della UNFCCC si riuniscono annualmente nella Conference of parties, per programmare e organizzare il percorso di mitigazione. 2. La ratifica e l’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto costituiscono la seconda tappa del percorso di costruzione delle politiche di mitigazione. Nel 1997 si integrano gli obiettivi e vengono resi vincolanti per i paesi sviluppati. Il Protocollo di Kyoto impone limitazioni alle emissioni solo ai paesi industrializzati, mentre per i paesi in via di sviluppo non sono previsti obblighi. 3. La terza fase è quella post-Kyoto, una fase di progressiva disillusione verso il disegno che prevedeva l’istituzione di un trattato immediatamente successivo a Kyoto, in grado di rafforzarne gli obblighi e portare tutti i paesi verso un percorso di riduzione globale delle emissioni. Gli sforzi politici e diplomatici si spostano verso un approccio meno vincolante, basato su un sistema di impegni a base volontaria da parte dei singoli Stati. 4. La quarta fase è quella dell'Accordo di Parigi (2015), che ha l'obiettivo di chiarato di mantenere il riscaldamento planetario entro il limite massimo dei 2 "C, ma chiedendo ai governi di impegnarsi per puntare a limitarlo a 1.5 °C. Con l'Accordo di Parigi non vi sono più né obblighi di riduzione delle emissioni né target prefissati. L'Accordo è infatti basato su un approccio bottom-up, che vede i singoli paesi autodefinire in modo volontario i propri target di riduzione delle emissioni. L'Accordo prevede infine una serie di revisioni con cadenza periodica, nelle quali gli Stati dovranno dimostrare il raggiungimento degli impegni presi. 5. La quinta fase riguarda le possibili implementazioni future delle azioni di mitigazione e viene discussa nella prossima sezione. Se anche tutte le emissioni venissero, per magia, azzerate, la lunga permanenza dei gas serra già emessi in atmosfera e l'inerzia termica degli oceani indurrebbero comunque dei cambiamenti nel sistema climatico. La comunità scientifica raccolta sotto l'egida dell'IPCC apre quindi a due possibili strade (e a loro eventuali combinazioni) per riuscire a fronteggiare il riscaldamento globale prima che sia troppo tardi. 1. politiche di mitigazione "tradizionali": lungo questa linea l'IPCC sottolinea la necessità di mettere in campo azioni realmente efficaci, capaci di portare a forti ridu zioni delle emissioni di gas serra delle diverse nazioni per raggiungere, nel più breve tempo possibile, una situazione di sostanziale azzeramento. Questa soluzione dovrebbe portare alla quasi completa decarbonizzazione delle nostre economie, dalla produzione di energia ai trasporti. 2. secondo potenziale approccio che non punta (solo) a ridurre le emissioni, ma piuttosto a modificare direttamente alcuni aspetti del funzionamento del sistema climatico terrestre attraverso tecniche di tipo geoingegneristico. Si tratterebbe di mettere in atto soluzioni ad alto contenuto tecnologico, in alcuni casi molto futuristiche, che possono essere suddivise in due diverse categorie: la prima fa riferimento a tecniche di mitigazione conosciute come carbon dioxide removal che puntano a sequestrare il biossido di carbonio ormai presente in atmosfera, la seconda è la solar radiation modification, che include alcune misure modificazione delle radiazioni in entrata e/o in uscita dal sistema Terra, non collocabili all'interno delle politiche di mitigazione. La carbon dioxide removal comprende una serie di tecniche che possono contribuire a limitare il riscaldamento mediante la sottrazione di CO, diretta mente dall'atmosfera. Esistono diversi metodi di carbon dioxide removal: - la afforestazione e la riforestazione, che riguardano la piantumazione di nuovi alberi rispettivamente su terreni non coperti da boschi da molto tempo, o disboscati da poco; - la soil carbon sequestration, che comprende varie tecniche di sequestro del carbonio nel suolo; - la enhanced weathering e la ocean alkalinization che puntano ad amplificare i processi naturali di sequestro della CO, da parte dell'azione di degradazione meteorica e di alcalinizzazione degli oceani; - -la ocean fertilization che consiste nell'aggiungere nutrienti, micronutrieti (come il ferro) o macronutrienti (come azoto e fosforo), nell'oceano con conseguente aumento della produzione biologica; - il processo di bioenergy with carbon capture and storage in cui la CO2 atmosferica viene dapprima sequestrata da biomassa in crescita, per essere p bruciata per produrre bioenergia e, infine, catturata prima che raggiunga l’atmosfera e immagazzinata in formazioni geologicamente stabili in profondi nel sottosuolo; - - la direct air carbon dioxide capture and storage che utilizza processi chimici per catturare la CO, dall'aria e immagazzinarla in formazioni geologiche anti che in profondità nel sottosuolo. Nella maggior parte dei casi si tratta di metodologie che si trovano in via di sviluppo iniziali. Le tecniche di solar radiation modification puntano ad abbassare diretta mente la temperatura terrestre sia diminuendo l'energia globale in entrata, attraverso una riduzione della luce solare che raggiunge la superficie terrestre, sia aumentando quella in uscita dal sistema Terra: - La stratospheric aerosol injection risulta essere la tecnica a oggi più studiata e consiste nell'iniezione nella stratosfera di anidride solforosa, un gas capace di formare aerosol, ossia minuscole particelle in sospensione nell'aria. Immettere grandi quantità di polveri in atmosfera, gli acro sol hanno la caratteristica di riflettere verso l'esterno una parte della radiazione solare in entrata, provocando un abbassamento della temperatura media planetaria. Si ipotizzano infatti cambiamenti nei regimi di partecipazione e circolazione atmosferica, modifiche della composizione chimica della stratosfera, cambiamenti nella microfisica delle nuvole; - La marine cloud brightening consiste nello spruzzare varie tipologie di particelle sulle nuvole marine allo scopo di renderle più riflettenti; - - La cirrus cloud thinning ha lo scopo di rendere più sottili e trasparenti le nubi alte dette cirri, per ridurre la loro capacità di esercitare l'effetto serra. Questo viene fatto attraverso l'iniezione di agenti chimici in grado di provocare la formazione di gocce d'acqua; - - La ground-based albedo modification è una tecnica meno futuristica delle precedenti, che consiste nel cambiare artificialmente la capacità riflettente di parte della superficie terrestre, ad esempio colorando di bianco i tetti, coprendo ghiacciai e deserti con teli in grado di riflettere la luce solare, cambiando la riflettività dell'oceano. Si prevedono impatti sulle precipitazioni nelle aree monsoniche e sulla riduzione delle ondate di calore. La maggior parte di questi metodi ha la concreta potenzialità di dare luogo a effetti col laterali negativi anche molto critici, perché vanno a modificare direttamente i meccanismi fisici alla base del funzionamento del sistema climatico globale. Una volta applicata la tecnica non è più possibile tornare indietro. Tre diverse possibilità di evoluzione: 1. nessuna immediata decarbonizzazione, ma riduzioni delle emissioni progressive, quando non addirittura lente o quasi nulle  business as usual. 2. La seconda possibilità è che l'umanità opti per una forte e immediata accelerazione delle attuali politiche di mitigazione, che porti a una veloce diminuzione delle emissioni di gas serra e a un loro sostanziale La deforestazione non ha avuto la medesima intensità in tutte le regioni del pianeta: si stima infatti che dalla preistoria a oggi le perdite maggiori abbiano riguardato le foreste delle fasce temperate (-32/35%), seguite dalle foreste sub-tropicali. Rinascita delle foreste  è stata resa possibile la crescita e la messa a dimora di nuovo legname perché le vecchie foreste erano state rimosse, gli incendi boschivi sono stati maggiormente controllati, i terreni agricoli sono stati abbandonati e riportati alla foresta e la domanda di legname e di prodotti derivati dal legname è diminuita. I nuovi ecosistemi impiegheranno molto tempo per raggiungere una condizione di stabilità interna tale da consentire loro di superare momenti critici quali incendi o siccità. In molti casi oggi boschi e foreste necessitano dell'intervento umano per sopravvivere in buone condizioni: si è creata una sinergia che non può essere sottovalutata. Il suolo amazzonico ha subito importanti modificazioni a causa dell'attività umana fin dall'epoca preistorica e che la foresta amazzonica ha prosperato per gran parte della storia umana. Il concetto di foresta vergine è in realtà difficilmente applicabile in Europa. Questa definizione si riferisce a ecosistemi forestali sviluppati in condizioni naturali, senza l'influenza di attività antropiche (utilizzazioni legnose, pascolo, raccolta di funghi, caccia, fuoco ecc.). Le foreste vergini non vanno confuse con quelle comunemente dette naturali, cresciute cioè sulla linea di successione naturale. Old growth forest  presentano popolamenti forestali che in passato sono stati utilizzati dall’uomo, ma che attualmente sono molto vecchi e in condizioni di buona naturalità, avendo avuto la possibilità di evolversi per decenni in assenza di intervento antropico. Non solo quando toglie spazio alla natura l'uomo dimostra la propria capacità di esercitare un impatto negativo sul pianeta Terra, bensì anche quando estro mette sé stesso dalla natura, abbandonandola dopo che per secoli l'ha trasformata e resa dipendente da sé. Utilizzando un concetto che appartiene al lessi co dell'Antropocene, i boschi europei possono essere considerati come degli antromi, ovvero dei biomi il cui funzionamento è basato sull'interazione tra uomo e natura. Siamo quindi di fronte a un paradosso nel paradosso in quanto si tende a presentare come fine idea le l'estromissione definitiva dell'uomo dagli ecosistemi considerati naturali sulla base della presunzione che gli ecosistemi funzionerebbero meglio senza l'uomo, quando invece è proprio quest'ultimo ad averli creati. L’uomo sta mangiando la terra? Sistemi di cibo nell’Antropocene L'evoluzione storica dei sistemi del cibo è strettamente connessa all'impatto dell'uomo sugli equilibri planetari che hanno portato alla nascita del concetto di Antropocene. Le conseguenze sull'atmosfera, infine, sono globali: l'agroindustria cerealicola l'allevamento intensivo che sostiene, infatti, fondano la propria efficienza sul consumo di combustibili fossili e rappresentano una delle principali fonti di gas serra. 1. la trasformazione dello strato di sedimenti (suolo) che ricopre le terre coltivabili, ridotto in estensione e spessore dall'erosione accelerata dall'agricoltura intensiva di matrice industriale - e fortemente degradato da pratiche di coltivazione e allevamento che non rispettano i cicli naturali di rigenerazione. Il 33% delle superfici coltivabili mondiali presenta livelli di degrado del suolo elevati o moderati, dovuti all'eccessivo sfruttamento delle risorse del terreno. 2. gli effetti sulla qualità e quantità delle risorse idriche a scala locale e globale. Si calcola che la produzione agricola sia responsabile del 70% dei pre lievi idrici globali e che questo dato sia destinato ad aumentare in assenza di contromisure adeguate. 3. gli impatti dell'agricoltura intensiva - basata sull'utilizzo di combusti bili fossili - sull'atmosfera, attraverso la diffusione di agenti inquinanti e l'emissione di gas serra. L'agricoltura sarebbe responsabile del 12% delle emissioni antropogeniche di gas climalteranti su scala globale. 4. i sistemi del cibo contemporanei, inoltre, sono causa di importanti impatti sulla biosfera. L'agricoltura intensiva, così come l'urbanizzazione, ha portato alla trasformazione di molti ecosistemi naturali (biomi) in "antromi". Una delle specie animali simbolo dell'impatto dei sistemi del cibo umani sulla biosfera è il pollo, addomesticato circa 6.000 anni fa e oggi allevato come fonte principale di proteine (carne e uova) per gran parte degli abitanti della Terra. Oggi la popolazione di quest'uccello (oltre 20 miliardi di esemplari) è superiore a quella di qualunque altra specie di volatili selvatici e domestici. I sistemi del cibo contemporanei sono infatti caratterizzati da geografie diseguali, con alcune regioni pienamente inserite nel le dinamiche globalizzate di produzione intensiva agro-industriale, altre maggiormente caratterizzate da sistemi produttivi di piccola scala più rispettosi degli equilibri locali. Alla radice della "grande accelerazione” della seconda metà del Novecento c'è l'affermazione dell'economia industriale e finanziaria di stampo capitalista e della concezione utilitaristica delle risorse ambientali che essa veicola. È possibile quindi immaginare sistemi economici, sociali e politici alternativi a quello attuale, che riducano la pressione sui limiti planetari e che permettano alla specie umana di agire in uno spazio d'azione "sicuro" nel futuro prossimo? Ammettere l'esistenza di una nuova epoca planetaria, caratterizzata da equilibri inediti tra l'uomo, le altre specie viventi e i sistemi ambientali e da un'evoluzione ancora imprevedibile significa inevitabilmente porsi il problema di come gestire questi nuovi equilibri evitando di superare in maniera irreversibile e pericolosa i limiti della sostenibilità. La EAT ha pubblicato nel 2019 un rapporto intitolato Food in the Anthropocene: The EAT Lancet Commission on Healthy Diets from Sustainable Food Systems, che propone una serie di strategie considerate necessarie per garantire diete salutari e sistemi del cibo sostenibili a tutti gli abitanti della Terra nel 2050, attraverso una Grande trasformazione alimentare, fondata soprattutto sul cambiamento delle diete individuali e sulla transizione dei sistemi produttivi verso una maggiore sostenibilità ambientale. Si sono sviluppate proposte e riflessioni finalizzate a ipotizzare e praticare sistemi produttivi radicalmente alternativi a quello dominante, fondati sulla sovranità alimentare, sulla de-mercificazione del cibo (Henderson, 2004), sul cibo come bene comune, su economie del cibo - anche nell'Antropocene - sviluppate al di fuori della cornice dominante del capitalismo neoliberista. Perché un museo delle tecnologie dell’antropocene? In questo contesto caotico e creativo nascevano le stanze delle meraviglie, le Wanderkamern con lo scopo di assorbire e mostrare le novità. Si raccoglieva proprio di tutto, in particolare le cose più bizzarre, vere o inventate che fossero. La divisione tra naturalia e artificialia ha aperto la porta al pensiero moderno, in cui la divisione tra natura e uomo è poi diventata divisione tra oggetto e soggetto, tra fatti oggettivi e valori soggettivi, tra le scienze da una parte e l'arte, la religione e la politica dall'altra: un amalgama di dualismi che Bruno Latour ha chiamato la Costituzione moderna. La Costituzione moderna non funziona (più). Invece di creare oggetti ben definiti, formulare pensieri illuminati o porre domande chiare e risolvibili, stiamo creando cose e problematiche complesse come la salute, le città, l'inquina mento, l'intelligenza artificiale, il cambiamento climatico, la sicurezza alimenta re, l'immigrazione...
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